Sard Ant 34 schema
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Sard Ant 34 schema
Esegesi biblica Uno sguardo al Vecchio Testamento A proposito della pubblicazione di I. Finkelstein e N. Asher Silberman di Francesco Licheri Le prime formulazioni critiche sulla veridicità delle vicende narrate dalla Bibbia hanno suscitato un enorme interesse -tuttora perdurante- fin dai progressi in ambito scientifico verificatisi nel Seicento, e quali fertili risultanze dell’Umanesimo e del Rinascimento. Il dibattito sulla “storicità” della Bibbia -ovvero sulla sua affidabilità quale fonte di fatti realmente accaduti- riprese con rinnovato vigore nel Settecento, con l’Illuminismo, e proseguì con le successive Scuole di Pensiero Filosofico note come Positivismo e Modernismo. E’ appena il caso di menzionare il grande filosofo ebreo sefardita Baruch –ovvero, Benedetto, in ebraico- Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632, L’Aia, 21 febbraio 1677), autentico precursore della moderna esegesi biblica; per le sue idee e scritti incappò in gravissima scomunica dal collegio rabbinico olandese nel luglio 1656. Ben più tardi, occorre anche ricordare il rinomato biblista ed orientalista tedesco Julius Wellhausen (Hameln 1844 - Gottinga 1918) il quale sostenne in modo convincente, ad esempio, che la Torah (in ebraico, Legge, o Dottrina), ossia i primi cinque libri della Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) - noti meglio come Pentateuco - non potevano essere opera attribuibile al Mosè biblico, o comunque al lavoro di una sola persona. Fra l’altro, Wellhausen evidenziò l’importanza e le risultanze della riforma religiosa del biblico re Giosia. Frattanto, dalla metà dell’Ottocento, numerosi studiosi europei e statunitensi, a volte solo appassionati -comunque, sovente, espressione di presenze ed interessi coloniali- iniziarono ad individuare rovine, collegate al Mondo Biblico, di antiche città, di monumenti e reperti, di archivi, in tutto il Vicino Oriente antico, Egitto incluso. Un grande interesse per l’archeologia detta poi, appunto, biblica, fu suscitato dalla pubblicazione dei resoconti su siti biblici individuati nel corso dei suoi viaggi in Palestina da Edward Robinson (1794 – 1863) professore americano di letteratura biblica; proseguì con le attività di scavo in tutta l’area della Fertile Mezzaluna, dopo la 1° e 2° Guerra Mondiale, e tali attività ebbero, spesso con forti connotazioni politico-religiose, un notevolissimo e decisivo impulso dopo la fondazione dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948. Tuttavia, il fondatore della nuova disciplina eminentemente dedicata all’individuazione e allo scavo sistematico di siti menzionati nell’Antico o Vecchio Testamento, e relativi reperti, denominata Archeologia Biblica, è William Foxwell Albright (1891-1971), archeologo americano, biblista, esperto di lingue antiche e di manufatti in ceramica. Per un breve resoconto sulla storia dell’Archeologia Biblica è da segnalare il saggio di P. R. S. Moorey, Un secolo di Archeologia Biblica, 1998, Electa, pp.165, incluse Tavole e bibliografia scelta. Dalla metà degli anni ‘60 il dibattito sulla “storicità” della Bibbia si è notevolmente inasprito con la contrapposizione del mondo accademico biblico in due Scuole che possono essere definite, per brevità, di Esegesi Biblica. Una è rappresentata dalla cosiddetta “Scuola di Copenhagen”, meglio nota come Scuola Minimalista. Gli esponenti di questa Scuola - Minimalisti quali Niels Peter Lemche, Thomas L. Thompson, Philip R. Davies - sono in genere degli storici e biblisti che si occupano di rilevare le discrepanze, o le inconsistenze, fra i testi veterotestamentari e le scoperte archeologiche. A loro avviso, la letteratura biblica deve essere considerata quale “una raccolta di storie”, piuttosto che documenti storiografici che possono far luce sulla “vera” Storia del caso, e propugnano di utilizzare solo le risultanze archeologiche, specie quelle extra-bibliche, con le relative analisi ed interpretazioni, per ricostruire la Storia dell’Antico Israele. L’altra Scuola, specularmente, è quella Massimalista i cui esponenti, sebbene non sempre all’unisono, e anzi a volte con vari distinguo, ritengono che i libri biblici sono da prendere in grande considerazione poiché, sostanzialmente, riflettono avvenimenti e situazioni realmente accadute. Fra i Massimalisti si annoverano archeologi e biblisti quali Baruch Halpern, William G. Dever, Lawrence E. Stager, Amihai Mazar, Amnon Ben-Tor. Ho ritenuto opportuno fare queste premesse perché il libro di Israel Finkelstein e N. Asher Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito (ed. italiana, 2002, Carocci, Roma, pp.409, Euro 23,80) è da leggere inquadrato in questo contesto. Aggiungo che essi, dichiaratamente, si collocano fra le due suddette Scuole, e quindi né Massimalisti, né Minimalisti. Naturalmente la loro ricca e significativa bibliografia riflette la puntuale conoscenza di entrambe Scuole. E’ anche necessario dire che il titolo italiano del loro lavoro non rende giustizia al contenuto. Infatti, il libro concerne tutta la storia d’Israele, dai patriarchi fino al ritorno dall’esilio. Inoltre, il titolo originale in inglese, The Bible Unearthed. Archaeology’s New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts (New York, 2001) è certamente ben più adatto. Lo Scopo del libro: fornire “..una dimostrazione archeologica e storica convincente di una nuova interpretazione della nascita dell’antico Israele e dei testi sacri storici” (p. 9), come appunto si evince dal titolo inglese originale. Gli Autori aggiungono che il loro “nuovo punto di vista archeologico...” si coniuga col “... tentativo di separare la storia dalla leggenda” (biblica, ndr). Inoltre, 36 Sardegna Antica un altro obiettivo consiste nel far conoscere al grande pubblico i più recenti orientamenti archeologici in merito. E nell’Introduzione anticipano che “... l’archeologia ha fornito sufficienti testimonianze in favore di una nuova idea: il nucleo storico del Pentateuco e della Storia Deuteronomistica si sarebbe costituito sostanzialmente nel settimo secolo a.C...” precisando, più avanti, “... all’epoca del re Giosia allo scopo di fornire una legittimazione ideologica ad ambizioni politiche precise e a specifiche riforme religiose” (p.17). A questo punto è bene tener presente che per Storia Deutoronomistica si intende un corpus costituito dai Libri di Giosuè, dei Giudici, il primo e il secondo Libro di Samuele e il primo e il secondo Libro dei Re; il tutto rappresenta un racconto unico della storia di Israele dai tempi della conquista di Canaan alla monarchia. Storia Deuteronomistica perché, per quanto concerne lo stile letterario e la prospettiva teologica, è simile e s’ispira alla teologia presente nel libro del Deuteronomio. Sulla base degli ultimi eventi riportati in tale Storia, è quasi certo che possa essere stata perlomeno aggiornata intorno al 560 a.C., durante l’esilio, con integrazioni in epoca post-esilica. In questo gli Autori sono allineati alle posizioni della stragrande maggioranza degli esegeti anche ecclesiastici. Ritengo anche opportuno ricordare che il Deuteronomio (o seconda Legge), quinto Libro del Pentateuco -dal quale diverge nettamente per la terminologia usata- è costituito essenzialmente da sermoni attribuiti a Mosè e comincia con una ricapitolazione dei principali avvenimenti durante il viaggio degli israeliti dall’Egitto alla terra di Moab; successivamente vengono sostanzialmente ripetuti i Dieci Comandamenti e altre leggi religiose e civili. L’ultima parte contiene gli ultimi discorsi attribuiti a Mosè, un resoconto della nomina di Giosuè come suo successore, il Cantico di Mosè, la benedizione finale di Mosè alle dodici tribù d’Israele e la cronaca della sua morte e sepoltura. La storia letteraria di questo libro, soprattutto il codice delle leggi, è complessa e controversa: come già detto, molti studiosi considerano la maggior parte dei suoi contenuti come materiale trasmesso prima oralmente e poi fissato definitivamente intorno alla metà del VI secolo a.C., in epoca esilica e post- esilica. Il Deuteronomio si può anche identificare quale blocco portante del “Libro della Legge” rinvenuto -pare casualmente- nel tempio di Gerusalemme durante il regno di Giosia (640-609 a.C.) di cui si parla nei Libri biblici 2 Re e 2 Cronache. In questo senso l’attribuzione a Mosè intenderebbe conferire valore alle importanti riforme religiose attuate da Giosia, re del regno di Giuda, nel 622-621 a.C. I nostri Autori hanno suddiviso la loro opera in tre parti, ed è corredata da sette Appendici e Note di notevole interesse. La prima parte consiste in riassunti dal Pentateuco, poi gli Autori si chiedono in quale misura questa “storia” sia confermata da altri documenti o reperti archeologici, ed infine propongono una loro opinione sull’origine dei racconti esaminati. La saga dei Patriarchi, la schiavitù in Egitto, Mosè, l’Esodo... Al riguardo non si hanno conferme storiche extra-bibliche, o archeologiche, o epigrafiche; i racconti possono essere basati su antiche tradizioni locali ma, ad esempio, secondo gli Autori, la tradizione patriarcale “deve essere considerata una sorta di “pia” preistoria di Israele,... una visione romantica” del passato. La figura patriarcale di Abramo in Giudea “... funge da elemento unificatore delle tradizioni settentrionali e meridionali. “, le prime aventi il patriarca Giacobbe (pp. 58-59). Tutto questo è funzionale alla volontà del regno di Giuda nel VII secolo a.C., governato dal re Giosia, di costituire un regno unito con quello settentrionale d’Israele, rivendicandolo alla dominazione egiziana subentrata a quella assira. Il conflitto fra il faraone Neco (610-595 a.C.) rispecchia, secondo i nostri Autori, il conflitto fra Giosia e detto faraone il quale, appena incoronato, inviò a Canaan, nel 609 a.C., un esercito che uccise Giosia nella battaglia di Megiddo. L’indagine sulla figura di Mosè e sull’Esodo: totale esito negativo. Ad esempio, l’Esodo non c’è stato, almeno nel momento e nel modo descritto nella Bibbia (pag.76); le conquiste di Giosuè nella terra di Canaan del tredicesimo secolo a.C. sono impensabili, per non dire impossibili, a causa della tanto documentata esistenza di presidi egiziani che controllavano strettamente tutta l’area. In ogni modo, di tali conquiste non è stata individuata alcuna documentazione, neanche in Egitto, o evidenza archeologica in loco. Finkelstein e Silberman, pur non negando che il racconto delle conquiste possa includere “anche memorie e leggende popolari “, rilevano un fatto molto interessante, riguardo il periodo della probabile composizione del Libro di Giosuè, ovvero: “ ... l’elenco dettagliato delle città presenti nel territorio della tribù di Giuda. (Gios. 15,21-62). Questo elenco riflette con precisione i confini del regno di Giuda all’epoca di re Giosia…” (p.105). Giosia, quindi, si considerava un “novello” Giosuè e come lui poteva aspirare a riunificare l’intero territorio in virtù della stretta osservanza delle norme contenute nel “Libro della Legge” scoperto nel Tempio, e quindi dell’unico Dio nazionale. Il quarto capitolo, Chi erano gli israeliti ?, suscita un grande interesse per la sua originalità. Gli Autori sostengono che la maggior parte degli Israeliti sono autoctoni. In altre parole, non arrivarono a Canaan dall’esterno bensì sono costituiti da popolazioni locali, degli altopiani interni a Canaan, che riuscirono ad imporsi gradualmente quando la cultura delle città cananee crollò perché non ebbero più il sostegno egiziano durante il periodo del Ferro I (circa 1150-900 a.C.). Quindi, “l’apparizione dell’antico Israele fu il risultato, e non la causa, del collasso della cultura cananea” (p.133). Questa teoria è basata su articolate indagini svolte in tutti gli insediamenti degli altopiani su un periodo che decorre dal 3500 al 586 a.C. Gli abitanti di questi insediamenti, durante l’Età del Ferro, non si cibavano di carne di maiale, e questo potrebbe essere un importante indizio di una specifica identità comune. Forse si tratta “della più antica pratica culturale del popolo d’Israele attestata archeologicamente”(p.134). E’ anche assai interessante rilevare che dalla famosa stele del faraone Merneptah si apprende che nel 1207 a.C. viveva in Canaan un popolo chiamato Israele. Il Capitolo cinque, col quale termina la I parte dello studio, avvia l’ampio dibattito e preliminari riflessioni concernenti i re Davide e Salomone, la Monarchia Unita - ovvero,il regno d’Israele al nord con quello a sud di Giuda - lo status di Gerusalemme nel decimo secolo a.C., la trasformazione del regno di Giuda. Questi ed altri temi sono poi trattati in modo articolato nella II e III parte del libro in esame. Diciamo subito che Davide e Salomone sono considerati personaggi storici, sebbene i loro regni e le loro gesta siano sicuramente da ridimensionare nettamente per l’assenza di testimonianze archeologiche che attestino i loro regni. In breve, i due personaggi sarebbero stati una sorta di capi tribali locali. Ad esempio, le famose porte fortificate ed edifici delle città settentrionali di Megiddo, Hazor e Gezer, la cui ricostruzione è attribuita a Salomone, come da narrazione biblica, oggi molti archeologi –fra i quali i nostri Autori– le datano ad epoca più tarda, e precisamente alla dinastia degli Omridi (884-842 a.C.), la grande dinastia settentrionale fondata da un generale israelita, Omri, e proseguita col figlio, Acab, la cui moglie era la notoria Gezabel. Le costruzioni note come le “stalle “ di Megiddo sarebbero state, in realtà, magazzini, e sarebbero da attribuire Geroboamo II (783-743 a.C.), re d’Israele. Storicamente ed archeologicamente, quindi, anche considerando la datazione avanzata per le suddette città, non vi sono testimonianze di una Monarchia Unita con base a Gerusalemme. Riguardo Davide, però, un’interessante conferma archeologica è rappresentata dall’iscrizione in piccole parti di un manufatto di basalto - probabilmente una stele - recuperato circa 15 anni or sono nel sito biblico di Tel Dan, nel nord d’Israele. L’iscrizione, in aramaico, esalta l’invasione e la vittoria di un re arameo nell’area considerata, e l’uccisione del figlio del re d’Israele e di un figlio della“ Casa di Davide”. Da notare anche che “ lo studioso francese André Lemaire ha inoltre suggerito di recente che un riferimento analogo alla casa di Davide si può trovare nella famosa stele di Mesha, re di Moab, del nono secolo a.C., che è stata trovata nel diciannovesimo secolo ad est del Mar Morto… ”(p.144-145). Aggiungo che questa stele lamenta l’oppressione del regno di Moab da parte del già menzionato Omri, re d’Israele. Per Finkelstein e Silberman è proprio quella di Omri la prima vera dinastia d’Israele, non quella di Davide, come attestato dalle notevoli testimonianze archeologiche di Dan, Samaria, Megiddo, Izreel, Hazor, Gezer (pp.192-209), tutti siti a nord di Gerusalemme. Deve anche essere rilevato che i regni di Omri e Acab sono descritti in testi contemporanei assiri, moabiti e aramei. Nella III e ultima parte, si ribadisce, inizialmente, che Gerusalemme, in epoca davidica e salomonica, era un centro di piccole dimensioni, nonostante il testo biblico -fin dall’inizio- le attribuisca uno status di città regia. “L’archeologia dimostra che i primi re di Giuda non erano all’altezza della potenza… paragonabili ai siti settentrionali… Anche se le strutture reali della casa di Davide a Gerusalemme (cancellate probabilmente da edifici successivi ) raggiunsero un certo grado d’imponenza… i segni essenziali di uno stato pienamente sviluppato appaiono nel regno di Giuda solo alla fine dell’ottavo secolo a.C., duecento anni dopo Salomone” (p.249). Gli Autori, però, più avanti, affermano che da tavolette cuneiformi in accadico provenienti dall’archivio reale egiziano di Tell el-Amarna, del 14° secolo a.C., emerge un’altra Gerusalemme, una cittadella dalla quale il re Abdi-Heba scambiava lettere con il faraone d’Egitto. Urusalim, come allora veniva chiamata Gerusalemme nell’età del tardo bronzo,” Basalto, 32 x 22 cm., in lingua Aramaica, 858-824 a.C., scoperta a Tel Dan (Galilea) nel 1994. Oggi all’Israel Museum, Gerusalemme. era una piccola fortezza dell’altopiano situata sul lato sudorientale dell’antica Gerusalemme che in seguito sarebbe stata conosciuta come la città di Davide”. E aggiungono che la popolazione sedentaria del territorio di Abdi-Heba, inclusi gli abitanti di Gerusalemme, non superava le 1500 unità. A questo punto mi sembra necessario dire che per Città di Davide s’intende il nucleo originario di Gerusalemme, ubicato a nord del monte Sion - e precisamente sulla collina dell’Ophel - fondato dalla popolazione cananea dei Gebusei e, secondo la Bibbia, conquistato dal re Davide intorno al 1000 a.C.. Si noti che tale località si trova al di fuori della cerchia di mura che caratterizzano, oggi, la città vecchia di Gerusalemme. L’Ophel (“ tumulo”, “mucchio”) è il pendio che sale da Sion fino a dove oggi vi è la cosiddetta spianata del Tempio ove vi sono le moschee di Omar, o della Roccia, e al-Aqsa. Attualmente sull’area indicata come la Città di Davide sono in corso scavi archeologici le cui risultanze sono oggetto di interpretazioni divergenti. Ad ogni modo, benché allora Gerusalemme fosse una piccola città fortificata -influente sul territorio della Giudea, con un tempio, una corte ed almeno uno scriba- mi sembra evidente che era tenuta in grande considerazione dal potente Egitto. Infatti, il prof. Nadav Naaman invita alla prudenza, sulla questione Gerusalemme “insignificante fortezza nel decimo secolo a.C.”. In un suo saggio (Cow Town or Royal Capital ?, Biblical Archaeology Review, Jul/Aug 1997) è perfettamente consapevole che le evidenze archeologiche sulla Gerusalemme del decimo secolo a.C. sono assai scarse, sostanzialmente trascurabili. Ma questo fatto, a suo avviso, può essere spiegato. Ad esempio, Naaman ritiene che importanti edifici e monumenti erano con tutta probabilità ubicati sotto l’area oggi occupata dalla grande spianata del Tempio, che ovviamente non può essere scavata. Inoltre, anche tutta l’area in cui si trova la Città di Davide ha avuto una interrotta serie di insediamenti dal X al VI secolo a.C. Le distruzioni lasciano tracce, ma quando si verifica una continua occupazione del sito spesso non restano molte evidenze degli edifici precedenti anche a causa del riutilizzo di materiali, specie lapideo. Viceversa, esistono molte tracce della città distrutta dai babilonesi nel 586 a.C. In breve, non è corretto -sostiene Naaman- trarre conclusioni negative da assenza di evidenza archeologica. Il punto cruciale è, come ricordano gli Autori, che “la Bibbia include materiale storico, non storico e quasi storico”. La III parte del libro prosegue trattando diffusamente del regno di Giuda, che diventa importante solo dopo il 722 a.C., con la caduta di Samaria, e “ L’influenza demografica, economica e politica di Gerusalemme era diventata enorme e si accompagnava ad un nuovo progetto politico e territoriale: l’unificazione di tutto Israele” (p.260). Ideatori e registi di questo ambizioso disegno sono i re Ezechia e, in particolare, Giosia. Lui, discendente della XVI generazione di re Davide, fu il fautore di una completa riformulazione politico- Sardegna Antica 37 Basalto nero, 124 x 71 cm., in lingua Moabita, circa 830 a.C., scoperta nel 1868 in Giordania. Oggi al Museo del Louvre. religiosa dell’identità israelita e della Storia d’Israele. A questo punto, è opportuno tenere presente che da molti decenni, anzi, da oltre un secolo, gli archeologi specialisti del Vicino Oriente antico sono dell’avviso che non ci sia alcuna prova di una società statuale organizzata edomita prima dell’IX e dell’VIII secolo a.C. Finkelstein è uno di questi. In particolare, è appena il caso di ricordare che i minimalisti enfatizzano questo fatto come una delle tante prove per dimostrare le loro tesi circa l’inaffidabilità della Bibbia in quanto fonte storica, in toto o in parte. Recentemente, tuttavia, scavi archeologici condotti sin dal 2004 dal prof. Thomas E. Levy dell’University of California, San Diego (UCSD), a Khirbat al Nahas, in Giordania, appaiono aver gettato nuova luce sulla storia di Edom (e quindi, si sostiene, sulle relative vicende riportate, ad esempio, da I e II Re, etc.) portando alla luce manufatti e identificando insediamenti umani organizzati in una società statuale ben prima del X secolo a.C. Il prof. Levy (ed il suo folto team di esperti interdisciplinari) sostiene in modo assai articolato, da tutta una serie di esami del sito di al-Nahas (1), che Edom era una complessa società urbanizzata già prima dell’XI secolo a.C., ovvero, prima della monarchia di Davide e Salomone, secondo l’Antico Testamento. So bene che, a parte la già menzionata, notissima stele di Dan - che, ricordo, menziona la Casa di Davide - molti archeologi sono dell’avviso che sui Regni di Davide e Salomone non abbiamo documentazione archeologica ed epigrafica. Società organizzata, dicevo, in grado di produrre autonomamente manufatti in rame. Datazioni di altissima precisione condotte col C14 ed altre sofisticatissime attrezzature digitali sul sito, e su numerosi reperti anche egizi, hanno confermato -sostengono Levy e altri- che le aree industriali del luogo possono essere datate, appunto, al 1000 a.C. Inoltre, il prof. Levy aggiunge che la fortezza individuata nell’area facesse parte di una rete di fortificazioni realizzate intorno al 950 a.C. da re Salomone, per proteggere i confini a sud, specie quelli con l’Egitto, del suo regno. Finkelstein non è di questo avviso (2) poichè, in primo luogo - fra l’altro - è da provare che il sito di Khirbat alNahas facesse parte del regno edomita... Inoltre, le rovine di una grande fornace stratificata (smelting activity; industrial-scale metal production) e 38 Sardegna Antica fortezza in situ non possono essere datate prima del tardo 8° secolo a.C.: infatti, tutti i siti del plateau edomita sono da datare fra l’8° ed il 6° secolo a.C., come si evince, secondo Finkelstein, anche da un puntuale raffronto da siti ben stratificati nel sud della Giudea. Devo anche segnalare un fatto di grande importanza, a questo riguardo e per l’archeologia tout court: è stato scoperto un nuovo metodo per datare i reperti ceramici. Tale metodo è tuttora in fase sperimentale; con approfondimenti e tests si vuole stabilire quanto esso sia realmente valido. Basandosi sull’utilizzo del fuoco e dell’acqua, un team di scienziati delle università di Edimburgo e di Manchester ha elaborato una nuova tecnica per datare i reperti archeologici. Un metodo semplice che “supera” le tecnologie avanzate impiegate dalla scienza moderna ma che sembra essere altrettanto efficiente: infatti, gli esperti spiegano che fuoco e acqua costituiranno i soli due elementi necessari per rivelare con precisione l’età dei resti antichi. Questa ricerca, uscita sulla pubblicazione inglese “Proceedings of the Royal Society”, assisterà gli archeologi nella datazione di costruzioni e reperti di ceramica risalenti a migliaia e migliaia d’anni addietro, sottolineando le falle delle tecniche di datazione impiegate fino ad ora. Reperti in argilla cotta quali piatti, bicchieri e ceramiche costituiscono, generalmente, un campione importante per lo studio delle civiltà passate, ma la loro datazione è palesemente complicata. Il carbonio 14, infatti, generalmente utilizzato per datare i resti lignei e ossei, non funziona con i reperti di ceramica, e i metodi sinora impiegati in quest’ultimo campo, come la termoluminescenza, sono molto complessi e costosi. La nuova tecnica messa a punto dagli scienziati britannici sarebbe in grado, però, di risolvere questi problemi: utilizzando il metodo della reidrossidazione. La tecnica della reidrossidazione si basa sulla scoperta che l’argilla scaldata ad altissime temperature, non appena tolta dalla fornace comincia a reagire chimicamente con l’ambiente circostante. Questa reazione lentissima, dipendente dall’anzianità della ceramica, può essere misurata con strumenti di precisione e dare così un’accurata datazione all’oggetto studiato. E’ stato rilevato che riscaldando un reperto a temperature molto elevate, si riesce ad ottenere il rilascio di ogni sostanza assorbita da questo nel corso del tempo, ovvero dalla prima volta in cui è stato cotto. Maggiore è la perdita di peso, più antico è il reperto in questione: difatti, le ceramiche possono assorbire una parte delle sostanze con le quali entrano in contatto e, conseguentemente, aumentare il proprio volume col passare del tempo. Una volta surriscaldato il reperto, il team britannico ha impiegato uno strumento per la misurazione precisissimo, in grado di monitorare il manufatto nella sua ricombinazione con le sostanze presenti nell’acqua e nell’atmosfera. Attraverso tale periodo di osservazione, gli studiosi hanno potuto quantificare il tempo impiegato mediamente da un reperto ad assimilare le sostanze esterne, riuscendo così ad assegnargli una datazione precisa. Per provare il loro metodo, gli esperti hanno chiesto al famoso Museo di Londra di collaborare con loro, ottenendo la possibilità di sperimentare la loro tecnica su reperti d’epoca oramai conosciuta. L’esito è stato straordinario: infatti, grazie al metodo del surriscaldamento si è potuto datare con precisione i reperti risalenti all’età imperiale romana, all’epoca medievale e ai tempi moderni. Questo nuovo metodo potrebbe essere proprio la tecnica del futuro: semplice, economica e precisa, poiché si fonda sulle leggi della matematica e della fisica. Per ora, questo metodo è stato sperimentato su reperti databili a duemila anni fa, ma gli scienziati sono fiduciosi nel suo impiego nella datazione di manufatti più antichi, sino a diecimila anni fa.La mia opinione su questo lavoro di Finkelstein e Silberman - che tuttora suscita reazioni ambivalenti anche nel mondo ebraico - è la seguente. In primo luogo, gli Autori dimostrano una rara competenza sia come archeologi che come storici, ben documentati e con argomentazioni quasi sempre persuasive. Appaiono metologicamente corretti e imparziali, nonostante entrambi siano ebrei, e questo è lodevole. Riconoscono ampiamente che i racconti biblici non possono essere oggi accettati, in blocco, come opera storica accurata nel senso ampio e moderno del termine, bensì come testi anche molto intrisi di valenze ideologiche, teologiche, e quindi con scopi educativi e formativi per la “coscienza” di un popolo. L’importanza che loro attribuiscono al regno di Giosia appare -a mio modesto avvisoeccessiva, riguardo la redazione delle tradizioni d’Israele. Secondo altri specialisti la redazione finale dei testi risalirebbe in gran parte all’epoca persiana o addirittura all’inizio dell’epoca ellenistica. Un altro aspetto fondamentale è l’adozione, da parte di Finkelstein, della Bassa Cronologia per l’Età del Ferro I e II, e sulla quale dissentono altri noti archeologi, fra i quali A. Mazar; dal punto di vista storico, le conseguenze principali dell’abbassamento della cronologia tradizionale di circa 100 anni sono, ad esempio, l’eliminazione delle uniche testimonianze archeologiche monumentali (Megiddo e altre città menzionate) databili alla Monarchia Unita con capitale a Gerusalemme, e la rivalutazione del Regno settentrionale nella storia del X-IV secolo a.C. In altri termini, Finkelstein ritiene sbagliata la cronologia tradizionale del periodo davidico-salomonico (cfr. Appendice D del volume in oggetto). In conclusione, è un libro di grande valore ed interesse, scritto in modo avvincente e accessibile al vasto pubblico, considerato l’argomento. E’ evidente che gli Autori cercano solo la “verità”. Sicuramente dopo la sua lettura sarà ancora più difficile leggere in modo “tradizionale o conservatore” l’Antico Testamento, che tuttavia mantiene intatti singolare potenza letteraria, teologica e spirituale. Note 1) Cfr. Thomas Levy et al. High-precision radiocarbon dating and historical biblical archaeology in southern Jordan, Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA (PNAS)105, September 2008. T. Levy and Mohammad Najjar: Some Thoughts on Khirbet en-Naúas, Edom, Biblical History and Anthropology - A Response to Israel Finkelstein,Tel Aviv 33 (2006), pp.3 -17. Si veda inoltre: T. Levy, T. E., R. B. Adams, M. Najjar, A. Hauptmann, J.D. Anderson, B. Brandl, M. A. Robinson and T. Higham, 2004. Research Reassessing the chronology of Biblical Edom: new excavations and C14 dates from Khirbat en-Nahas (Jordan) in Antiquity 78; 863-876. 2) Cfr., ad esempio, I. Finkelstein,The Pottery in Edom: A Correction, in Antiguo Oriente 6, 2008; anche : Khirbat en-Nahas, Edom and Biblical History, Tel Aviv 32 (2005), pp.119-125.