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Stili di vita
Lamberto Cantoni
La natura
è di tendenza
c
I giochi di moda della
primavera estate 2012
alludono ad una nuova
alleanza tra stilisti e natura.
Ma quale significazioni
scaturiscono dalla
moltiplicazione dei segni
naturalistici disseminati
tra i look di quasi tutte le
grandi marche? A quale
natura pensano gli stilisti
quando metaforizzano il
soggetto per eccellenza
della moda, la Donna,
attraverso riferimenti
floreali? Perchè Dolce
& Gabbana preferiscono
invece pomodori,
melanzane, zucchine,
cipolle e peperoncini?
Chi opera nella moda, nel tentativo di intercettare le propensioni della gente ai cambiamenti
del gusto, sempre più spesso elabora contenuti
che hanno la proprietà di attraversare la geografia
liquida del sociale. In altre parole, se in un preciso
momento gli appelli al naturalismo provenienti
da fonti diverse incontrano l’interesse di persone
eterogenee dal punto di vista degli stili di vita, ebbene qualcosa di questa, chiamiamola fascinazione
collettiva, dovrà per forza entrare nell’equazione
della moda come uno dei termini da immettere nel
dispositivo di calcolo delle tendenze. Solo così si
potrà creare l’illusione di una moda che cavalca ciò
che con Hegel potremmo definire “lo spirito dei
tempi”. Non c’è dubbio che uno degli idola temporis
contemporanei sia la dilagante rincorsa a fornire
una base naturale ad ogni dimensione della vita
culturale.
Non sorprende quindi, se recentemente molti
commentatori dei giochi di moda hanno presentato le collezioni primavera estate 2012, favoleggiando romantici ritorni alla natura parlando di
garden style, di improvvise riscoperte del flower
power che tra la seconda metà degli anni sessanta
il movimento degli hippies a partire da San Francisco diffuse come un contagio in tutto l’Occidente, di un ritorno della donna-fiore di proustiana
memoria. Il concetto è semplice da capire quanto
plausibile. In una fase di stagnazione economica
i look da dark lady e il power dressing risultano in
contrasto con l’etica diffusa che circola tra la gente. Come compromesso tra l’inestirpabile propensione all’eleganza e al dispendio di chi se lo può
permettere e ciò che si percepisce essere i limiti
del politicamente corretto, ecco apparire forme ›
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Le collezioni primavera/estate 2012 di tutte le marche,
presentano ineludibili richiami floreali. Naturalmente si
tratta di una natura trasfigurata dalla visionarietà di ciascun
singolo stilista.
che alludono alla natura più gioiosa. Facciamo alcuni esempi facilmente riscontrabili in boutique: gli
spolverini Prada “superposé bouquet” realizzati con
applicazioni di fiori di pizzo; per Moncler Gamme
Rouge, Giambattista Valli ha creato uno spolverino
in organza con suggestive applicazioni di fiori di
ciliegio in tessuto carta; Louis Vuitton, invece, ha
preferito rivestire con raffinati fiori di pizzo l’abito
in organza stile new look rivisitato (stretto in vita e
gonna a palloncino ben sopra le ginocchia); i jersey
di seta di Blumarine presentano spettacolari maxi
margherite multipigmentate effetto 3D; Alberta
Ferretti invece per i suoi jersey estivi si è affidata a
sensuali stampe caratterizzate da geometrie e fiori
ispirati alla jungla. Ancora, meriterebbero ben più
di una citazione il sex appeal gioioso dei completi a
stampe floreali di Giorgio Armani e Roberto Cavalli.
Noto di passaggio che l’attuale il ritorno alla
natura degli stilisti coincide perlopiù con un uso
strategico dell’ornamento floreale. Secondo Sofia
Gnoli, giornalista e storica dei fatti di moda, non
si vedevano tanti fiori dal 1947, ovvero dal giorno
in cui Christian Dior presentò al suo debutto la
linea Corolle, divenuta grazie alla sovrapposizione
semantica di una ispirata Carmel Snow, il New Look
che avrebbe rivoluzionato il modo di vestire delle
donne ricche nel dopoguerra.
In alcune pagine della sua autobiografia
( Christian Dior et moi, 1956) il grande sarto motivò
la sua donna-fiore come una reazione all’austerity
imposta dalla guerra. In breve, si veniva da un lungo
periodo nel quale le donne vestivano come soldati.
Dior le disegnò come se fossero dei fiori e fece
esplodere il desiderio di bellezza con il quale la
moda riprese di colpo il comando sul mutamento
del gusto. Dopo la linea Corolle, venne la linea a Tulipano (1953) e quella Mughetto (1954). Il successo
fu strabiliante. Tuttavia, il cambiamento di registro
passionale imposto da Dior, utile alla fuoriuscita
dalle ombre emotive della guerra in tempo di pace,
non cancella il fatto che la donna-fiore era ben
presente nella moda fin dalle sue origini moderne. I
vestiti della contessa Greffhule descritti da Proust
nelle sue Correspondance (1880-1895) erano costellati di citazioni floreali. Questi vestiti finirono
poi per caratterizzare i tratti della duchessa di
Guermantes, personaggio centrale della Recherche. Ebbene, l’abito descritto da Proust della
coppia Greffhule/Guermantes è oggi conservato al
Musée de la Mode et du Costume di Parigi, ed è un
meraviglioso abito di seta lilla, con maniche gonfie
a gigot, stampato a fiori mauve e gialli, creato da
Charles Frederick Worth, considerato dagli storici,
in fondatore della couture negli anni sessanta
dell’ottocento.
La femme-fleur ha dunque una lunga storia che
ci parla della persistenza semantica nell’abbigliamento femminile, di significazioni agganciate ad
elementi floreali utilizzate per l’intensificazione di
emozioni e sentimenti che vanno dal fascino, alla
sensualità appena accennata, al crudele desiderio
mondano.
Dolce & Gabbana preferiscono
cipolle e peperoncini
Abbiamo visto come l’attuale ritorno alla Natura
di un numero significativo di stilisti coincida perlopiù con una reinterpretazione dei motivi floreali
stampati sui tessuti. L’eccezione più eclatante è
rappresentata da Dolce & Gabbana che stanchi di
passeggiare nei giardini della moda hanno preferito esplorare l’orto mediterraneo inventandosi immagini stilizzate di pomodori, melanzane, zucchine,
cipolle e peperoncini. Ricamati, cuciti e stampati sui ›
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Le significazioni delle donne-fiore sono ben conosciute e
appartengono alla storia della moda. Cosa ci racconta di
diverso la donna-pomodoro di Dolce & Gabbana?
tessuti della loro collezione primavera/estate 2012,
ci restituiscono una immagine della moda divertente, ironica senz’altro più intelligente del fiorame
post moderno dilagante.
I due creativi hanno chiamato questa collezione
“Bellezza italiana”. La narrazione che l’accompagna
ci porta con la fantasia a passeggiare come flaneur
in una delle tante cittadine siciliane. Lungo strade
strette, intasate di gente e di vita, immaginate di
essere a Noto o a Siracusa verso mezzogiorno,
splendide ragazze vestite con tubini classici, con
abiti tagliati in vita e arricciati; o semplicemente
in shorts, si fanno notare per l’eleganza in perfetta
sincronia con gli odori, i rumori e i sapori che da ogni
parte cercano di dialogare con l’ospite inatteso ma
subito accettato dall’accogliente cittadina.
La sincronia con il contesto è iscritta sull’abito delle ragazze: stampe di ortaggi replicano nel
linguaggio muto dei tessuti i colori e l’effervescenza
di vita che si osserva intorno ad uno dei tanti chiostri
nei quali si vendono melanzane, pomodori, cipolle
vere, pronte a trasformarsi in un mondo di sapori
mediterranei tipici della cucina tradizionale. Sapori
sensuali che visti in forma di abiti sembrano trasformarsi in piccoli saperi esibiti con gioiosa sfacciataggine dalle ragazze che, con il loro incedere solare,
avevano attirato l’attenzione dell’ospite, guidandolo
alla scoperta di seduzioni multisensoriali da ricordare come un’esperienza.
Gli abiti della collezione/narrazione sono capi
realizzati in organza e cotone mischiati a crochet
nei toni pastello celeste, beige, pesca e nudo. Una
tavolozza di colori perfettamente in sintonia con la
fantasia raccontata sopra. Una specie di sogno ad
occhi aperti che dobbiamo immaginare come la condensazione psichica di segni eterogenei dalla quale
è scaturita l’idea della collezione dei due stilisti.
Che differenza c’è tra la donna-fiore che ab-
biamo visto essere l’imago di tendenza di questa
stagione e la donna-peperoncino di Dolce & Gabbana? La prima, si lega un una immagine di fragile
bellezza, in definitiva un fiore si contempla e non lo
si mangia; la donna-cipolla, o melanzana, scegliete
voi, possiede allusioni al tempo stesso sensuali e
ironiche. La prima la sento fuori di me, la seconda
sembra poter entrare in qualche modo dentro di
me. C’è un altro aspetto da non sottovalutare. La
collezione di Dolce & Gabbana forse grazie alla
scelta espressiva degli ortaggi mi appare segnata
da un realismo un po’ folle che va aldilà degli effetti
percepibili della decorazione floreale degli abiti
che ho descritto all’inizio.
Cosa ha in più questo realismo folle rispetto le
metafore dell’astrazione floreale? A me pare più in
sintonia con la sensibilità contemporanea, stanca
di abiti-favola evocanti un tempo perduto, avida di
nuove tensioni che trasferiscano alle nostre apparenze un senso di appartenenza ad un mondo vero.
Ecco perché considero una genialata aver
accompagnato la comunicazione del punto vendita
della collezione con un allestimento particolare,
mai visto nella moda: per circa una settimana nelle
boutique D & G dietro ai bellissimi abiti in vetrina si intravedeva la messa in posa di cassette di
ortaggi capace di creare l’illusione di uno dei tanti
negozietti di frutta e verdura che s’incontrano nelle
città del sud. L’effetto era di un doppio straniamento: abiti non più semplicemente mostrati in quella
specie di guardaroba stagionale che è una boutique
postmoderna, bensì abiti messi in processo dalla
presenza di ortaggi a loro volta sradicati dalla loro
significazione prima (essere mangiati) e sottoposti
o esposti al dispositivo dell’eleganza e della bellezza. Una follia d’allestimento che celebra una collezione tra più belle degli ultimi anni e ci riconcilia
con una moda capace di sorprenderci e divertirci. ◆
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Dolce & Gabbana
e l’eleganza
mediterranea
Domenico Dolce (1958) e Stefano Gabbana
(1962) crearono il loro marchio verso la metà
degli anni ottanta. La loro prima sfilata nell’85
con abiti realizzati nei migliori laboratori
artigianali siciliani incontrò subito l’interesse
della critica. Subito dopo, in controtendenza
rispetto il paradigma dominante tra i colleghi
della Donna manager seduttrice (minigonna
+ spalla squadrata), proposero una immagine
femminile ispirata all’immaginario letterario
e cinematografico della donna siciliana: una
felice sovrapposizione, ben orchestrata di
veli, pizzi, reggiseno portati a vista, guepière
accompagnate da rosari usati come collane.
Ma anche gilet maschili con il dorso di
pizzo e giacche a volte severe al limite della
provocazione sessuale. Il loro stile risultava
perfettamente riconoscibile, glamour e
austero, una sorta di visionario neorealismo
incapsulato nella fase più stucchevole della
moda neobarocca del periodo. Il loro successo
fu immenso e verranno ricordati dagli storici
come gli unici talenti stilistici degni di reggere il
confronto con la grande generazione di creativi
del made in Italy (Missoni, Krizia, Armani, Ferrè,
Versace).
Nel ’90 daranno vita alle collezioni per uomo
e nel ’94 nascerà D&G, le linee per giovani,
entrambe di immediato successo critico e
commerciale.
Oltre ad essere straordinari stilisti Domenico
Dolce e Stefano Gabbana si rivelarono geniali
strateghi della comunicazione. In collaborazione
con Ferri, Maisel, Newton, Lindbergh, solo per
fare qualche nome, hanno creato momenti
fotografici di grande valore. Personalmente
considero memorabile la scelta nell’87/88
come fotografo di Ferdinando Scianna, autore
di un reportage di moda nella loro Sicilia da
annoverare come una delle interpretazioni della
foto di moda più efficace di sempre.
Oggi Dolce & Gabbana rappresentano una
eccellenza della moda italiana nel mondo. La
loro autorevolezza ha ben pochi paragoni. Le
loro sfilate attirano opinion leader di ogni tipo e
rappresentano uno del momenti più attesi per la
definizione delle tendenze stagionali.
Le foto di backstage e della sfilata
primavera/estate 2012 per gentile
concessione degli stilisti.
La foto nella boutique di D&G di Bologna
è di Antonio Bramclet