Il viaggio d`inverno - La Nota del Traduttore

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Il viaggio d`inverno - La Nota del Traduttore
Newsletter n. 28bis, anno VI, maggio 2010 | © 2010, N.d.T. – La Nota del Traduttore | Direttore Responsabile: Dori Agrosì
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L’ INTERVISTA
Dori Agrosì
Amélie Nothomb
e I l v i a g g i o d’ i n v e r n o
(V o l a n d , T r a d u z i o n e d i M o n i c a C a p u a n i )
Il viaggio d’inverno è il suo romanzo più breve ?
Il viaggio d’inverno è il diario intimo di Zoïle, scritto in quattro ore all’interno di un aeroporto, non poteva
essere più lungo. A mio avviso la questione della lunghezza non si pone neanche: i miei romanzi mi
vengono biologicamente in questo modo, hanno il solo formato che possono avere. E d’altra parte, non mi
disturba il fatto che siano brevi.
Nei suoi romanzi ci sono degli elementi che puntualmente tornano. Si può parlare di romanzi seriali ?
Sì, ho l’assurda pretesa che solo dopo la mia morte riapparirà un disegno complessivo. Deve sapere che i
miei libri pubblicati formano un gigantesco rebus, la cui soluzione è la rivelazione di un crimine. Se
qualcuno dopo la mia morte si ricorderà di me, avrà modo di svelarlo.
Si riconosce nella definizione di scrittrice surrealista ?
Ovviamente sì, essendo io di nazionalità belga. Giulio Cesare ha detto: «L’assurdo in Belgio è un pleonasmo» e
aveva completamente ragione. Noi belgi siamo surrealisti molto prima della nascita del Surrealismo!
Abbiamo idee bizzarre e facciamo cose bizzarre. Pensi che Bruxelles è pieno di pazzi, non pericolosi, in
realtà solo un po’ bizzarri! Una volta un tizio si è messo improvvisamente a dirigere il traffico, rischiando
più volte di finire sotto una macchina. L’ho salvato dicendogli: «Signor vigile, guardi che oggi è il suo
giorno libero!». Mi riconosco completamente in questo clima surreale.
Si può considerare Il viaggio d’inverno come la sua interpretazione post 11 settembre ?
Come tutti sono rimasta traumatizzata dall’11 settembre. Ma in maniera più aneddotica, deve sapere che
faccio sistematicamente suonare il bip al portale della sicurezza degli aeroporti. Mi trovavo all’aeroporto
di Mosca, nel febbraio 2008, e naturalmente ho fatto suonare il bip. Purtroppo la perquisizione è stata
molto snervante. Quando è terminata, mi ricordo di aver pensato in un momento di collera: “Bene, potrei
farlo esplodere sul serio questo aereo!” E ad un tratto mi sono chiesta come avrei fatto, dato che il mio
bagaglio era già stato registrato. Legga il romanzo, ho trovato il modo. Il resto del romanzo è venuto dalla
mia immaginazione.
Perché sulle copertine dei suoi romanzi c’è spesso la sua foto? È in qualche modo legato all’elemento
autobiografico ?
Avevo pensato di metterci una foto di Salvador Dalì e poi sono stata più modesta.
Che effetto le fa aver posato per un ritratto Harcourt?
È stata un’ esperienza che mi ha divertita molto. Lo studio Harcourt mi ha contattata nel novembre del
2009. Non avrei mai accettato se non fossi stata certa che il risultato sarebbe stato magnifico, odio essere
fotografata. Mi sono detta: «se nemmeno loro riescono a farti una bella foto, è colpa tua».
I tre personaggi del romanzo Il viaggio d’inverno hanno rispettivamente dei nomi che iniziano con “A”
(Astrolabe – ma anche Aliénor) e “Z” (Zoïle). C’è un significato specifico o è soltanto un caso ?
Non è un caso. Sono l’alpha e l’omega, come nell’Apocalisse. Ho scelto questi nomi per la loro bellezza e
la loro storia e solitamente, quando devo scegliere i nomi dei miei personaggi, faccio numerose ricerche in
un vecchio dizionario di nomi antichi. Posso dirle che sono molto più sensibile alla lettera “ A” che alla
lettera “ Z” e non solo a causa del mio nome. La “A” è la mia lettera preferita e Arthur Rimbaud associa
alla “A” il colore nero. Non devo, dunque, andare molto lontano per spiegare che il nero, così come i
nomi, hanno per me un ruolo molto importante.
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Dori Agrosì
Cronaca di una primavera annunciata
Se i romanzi di Amélie Nothomb fossero dei quadri, certamente seguirebbero il
movimento surrealista. Se Freud fosse ancora in vita sarebbe lieto di poterli
interpretare. Poiché sono il risultato della scrittura, i romanzi di Amélie appaiono
come veri e propri sogni ad occhi aperti a narrare automatismi psichici. Non ci
sarebbe così tanto autobiografismo se non fossero avventure oniriche e pertanto
Il viaggio d’inverno è l’ennesimo viaggio onirico nothombiano.
Quando in libreria esce un romanzo targato “Amélie Nothomb”, la critica si
scatena. Il romanzo passa al setaccio pagina dopo pagina e poi si scopre che tutte
le testate del mondo concordano sempre sugli stessi punti, in positivo e in
negativo, rispettivamente: i fedelissimi e gli occasionali. E la diagnosi è
inconfondibile tanto che verrebbe voglia di abbozzare una sorta di cartella in cui
surrealismo e metodicità si rincorrono. Se il surrealismo fosse una patologia, sarebbe in relazione con
l’area di provenienza, il Belgio, tanto diffusa nel milieu artistico. La metodicità con cui Amélie
“partorisce” nuove opere è incredibile, la fa assomigliare a una sorta di vampiressa i cui libri danno una
certa vertigine ai lettori, alla critica, ai suoi editori e, non per ultima, a lei stessa. Con questi presupposti
c’è molto da dire sul suo nuovo romanzo, Il viaggio d’inverno. Che poi si dica che sia volutamente
collegato al lied Il viaggio d’inverno di Schubert, ceci n’est pas un piège, non è un tranello. Che sia anche
un viaggio psichedelico suscitato dall’assunzione di funghi allucinogeni, ceci est un trip, è un trip. Che sia
in più un viaggio d’amore… non, ceci est un voyage d’enfer!, no, è un viaggio d’inferno! Il viaggio di un
uomo, Zoïle, venditore di soluzioni energetiche per il riscaldamento per uso domestico che
paradossalmente si scontra con l’irrimediabile gelo fisico e metafisico di un amore impossibile. Rifiutato
dalla sua bella, Zoïle decide di schiantare un inferno su Parigi, pilotando un Boeing 747, partendo e non a
caso da nord: dal “freddo” di un inverno interminabile, simbolo del “freddo” di un amore mal corrisposto.
È il viaggio di un folle. Non che il rifiuto di una donna lo abbia reso tale, probabilmente il germe della
follia c’era già, al punto da portarlo a scrivere un diario di bordo, una sorta di testamento redatto nelle
ultime quattro ore di vita e per questo, 112 pagine, onestamente è fin troppo lungo. Ma è il diciottesimo
romanzo di Amélie alla cui brevità siamo abituati e possiamo dire che rientra nel suo stile.
Il suo dono per il romanzo surrealista questa volta va dalla A alla Z, da Aliénor a Zoïle, passando per
Astrolabe e Amélie, tutti apocalitticamente a picco sulla Tour Eiffel. Il viaggio viene declinato in diversi e
rapidissimi aspetti: musicale, psichedelico e terroristico. Tutti aspetti che offrono delle chiavi di lettura
sapientemente intrecciate nella storia di questo amore surreale. Altrimenti come si spiega il perché di
tanti personaggi, ciascuno a modo proprio, profondamente alienati?
Poi però il tutto è piacevolmente narrato, altrimenti come potrebbe un’opera d’arte surrealista suscitare
tanta ammirazione? Ci sono passaggi bellissimi che verrebbe voglia di incorniciare come quadri d’autore.
Contengono tutto il mondo della metafora autobiografica di Amélie, sfumata in tutti e tre i personaggi.
Poi naturalmente ci sono vari elementi che puntualmente tornano in ogni suo romanzo facendo pensare a
una sorta di romanzi seriali e a romanzi come piatti à la carte, a menu fisso, che a cambiarlo non sarebbe
più la stessa cucina. E siamo allo champagne. Per l’occasione un Roederer, il risvolto frizzante. Ma poi
ecco la novità, seppur nel rituale: la scelta dei nomi. Sempre eccentrici, eppur sempre veri. E questa
volta per includere l’umanità intera vanno dalla A rimbaldianai alla Z di Zoïle. E in mezzo a tanti esseri
alienati c’è anche lei, Amélie, naturalmente, che per completare la triangolazione “autore protagonista
lettore” cerca di convincerci, strizzando l’occhio, che la Tour Eiffel è a forma di A perché Gustave Eiffel
era perdutamente innamorato di una donna che come lei portava il nome di Amélie. Be’, proprio come lei
forse no… e il lettore si sorprende, si diverte, o ci crede: se lo dice la Nothomb… sarà vero!
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INTERVISTA
a Monica Capuani
Traduttrice italiana di Amélie Nothomb
Dori Agrosì
Da quali lingue traduce?
Dall’inglese e dal francese.
Quanti romanzi di Amélie Nothomb ha tradotto
finora?
Una decina. Da Dizionario dei nomi propri in poi.
Più un adattamento teatrale di Mercurio, insieme ad
Agnese Nano, che abbiamo anche ritradotto.
La sua attività di traduttrice teatrale l'aiuta a
svolgere l'attività di traduttrice letteraria?
Questo mi ha aiutato a tradurre i romanzi di Amélie
Nothomb, vista la loro qualità fortemente dialogica.
E quella di giornalista?
La cura per la scrittura che ricerco come giornalista
aiuta anche la mia attività di traduzione. Lo sforzo è
sempre quello di scrivere bene, in una lingua naturale
e piacevole all'orecchio.
Trova che i romanzi di Amélie Nothomb siano uno
specchio deformante della figura dell'autrice
oppure uno specchio deformante della realtà ?
L'autrice è molto misteriosa anche per chi la
conosce bene: è difficile decifrarne le deformazioni,
visto che si conosce poco il suo vero aspetto. La
realtà, nei romanzi di Amélie, viene un po'
estremizzata, per renderne più evidenti alcuni
elementi.
Come le sembra questo romanzo rispetto agli altri ?
Ha, come sempre, i suoi irresistibili momenti di
imprevedibilità.
Il viaggio d'inverno, quanto può essere considerato
un romanzo d'amore e quanto un romanzo sulla
follia ?
Follia e amore sono spesso inestricabili in Nothomb.
Avendo tradotto quasi tutti i romanzi di Amélie
Nothomb, ha l'impressione che siano dei romanzi in
un certo senso seriali ?
Amélie dice di studiare la natura umana, à la
Balzac, sia nei romanzi autobiografici che in quelli di
pura fiction. In questo senso, quindi, forse sì, esiste
una serialità.
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Nota del Redattore
Ana Ciurans
Il viaggio d’inverno, Amélie Nothomb (Voland – Traduzione di Monica Capuani)
Al suo diciottesimo romanzo sembra che la Nothomb abbia raggiunto appieno la
maggiore età come autrice. Non perché questo sia il suo libro migliore (che per
me rimane il tredicesimo, Acido solforico) ma perché c’è, oltre a tanto mestiere,
un definitivo assestamento dell’universo nothombiano. Scelte e altrettanti rifiuti
che ribadiscono la strada intrapresa in Metafisica dei tubi: Chi accetta ogni cosa
non è più vivo dell’orifizio del lavandino. Nel più parigino dei suoi romanzi (forse
traccia anche questa di un assestamento di radici), la Nothomb sceglie la tensione
verso la superficie che fa da livella alla profondità e il piacere dell’affabulazione.
E si affida appieno alla sua bravura narrativa rivelando l’epilogo nella prima
pagina. Infatti veniamo subito a sapere che un passeggero, in partenza
dall’aeroporto Roissy – Charles De Gaulle, sta per fare esplodere l’aereo delle
tredici e trenta. E quel che leggiamo sono i pochi appunti, che alla rinfusa, il protagonista e voce narrante
butta giù nelle quattro ore d’attesa che lo separano dalla morte. Lui, Zoïle, lavora presso la società
francese del gas e dell'elettricità, l’EDF-GDF. Il suo mestiere consiste nell’offrire soluzioni energetiche
alle persone che si sono appena trasferite. In uno dei suoi controlli, presso un sottotetto senza
riscaldamento del quartiere di Montorgueil, conosce due donne, a dir poco una strana coppia. Aliénor
Malèze, la titolare dell’appartamento, grassa e autistica, eppure brillante scrittrice e Astrolabe, la sua
bella e affascinante agente, nonché esecutore materiale della scrittura che l’infelice le detta.
Ovviamente Zoïle se ne innamora immediatamente. L’incredibile sovrapposizione delle due identità serve
alla Nothomb per giocare la metafora dell’io e il suo doppio che si cela in ogni essere umano. Ma
soprattutto nella complessa personalità dello scrittore, che dalla propria mostruosità trae creazione.
L’essere pretende, anzi esige, di essere amato nella sua totalità, proprio perché è quella, la parte più
brutta/brutale di sé stesso, che è in grado di amare. A sua volta inscindibile dalla bellezza, che ne è solo
messaggera. Infatti, durante un illuminante trip (il viaggio, appunto), indotto da funghi allucinogeni
guatemaltechi che Zoïle offre alle sprovvedute, Aliénor assume il ruolo di un essere tanto inutile quanto
sacro, mentre Astrolabe diventa stone, una donna di pietra con la quale non riesce a consumare l’amore,
come avrebbe voluto. Le donne, dice Zoïle, amano sempre fuori tempo massimo. Lo sbalorditivo epilogo
non lascia ombra di dubbio. Non è questione di scadenze, perché sarebbe andata comunque così. La
Nothomb, sempre più se stessa, si è divertita a giocare con nomi e simbologie fino in fondo: “A” come
Amélie, Astrolabe e Aliénor. Ma non è forse una enorme “A” quel che simboleggia la Tour Eiffel? Spero, a
questo punto, di avervi incuriosito abbastanza.
i.
Nella poesia Voyelles di Arthur Rimbaud, la A è la vocale che rappresenta il colore nero:
A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu : voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes :
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,
U, cycles, vibrements divins des mers virides,
Paix des pâtis semés d'animaux, paix des rides
Que l'alchimie imprime aux grands fronts studieux ;
O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
Silence traversés des Mondes et des Anges :
- O l'Oméga, rayon violet de Ses Yeux ! -
Golfes d'ombre ; E, candeur des vapeurs et des tentes,
Lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d'ombelles ;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
Dans la colère ou les ivresses pénitentes ;
Arthur Rimbaud, Voyelles, 1872.
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