Il piccolo Testagialla diventerà un baas
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Il piccolo Testagialla diventerà un baas
© Mondadori Education Doris Lessing Il piccolo Testagialla diventerà un baas I Farquar erano sposati da molti anni quando nacque il piccolo Teddy; e furono commossi dal compiacimento dimostrato dai loro domestici, che accorsero a congratularsi portando in dono polli e uova e fiori e contemplarono estasiati la piccola testa coperta di lanugine dorata e gli occhi azzurri del bimbo. Si felicitarono con Mrs Farquar come se avesse compiuto un miracolo e Mrs Farquar, che ne era convinta quanto loro, ringraziò gli indigeni che la circondavano pieni di ammirazione con un sorriso colmo di benevola riconoscenza. Un giorno, quando a Teddy vennero tagliati per la prima volta i capelli, Gideon il cuoco raccolse da terra le morbide ciocche dorate e le tenne in mano quasi con reverenza. Poi sorrise al bimbo ed esclamò: – Piccolo Testagialla! –, e da allora quello fu per gli indigeni il nome del bambino. Gideon e Teddy erano diventati subito grandi amici. Quando aveva finito il suo lavoro, Gideon si caricava Teddy sulle spalle, lo portava all’ombra di un grande albero e là giocava con lui, costruendogli con erba, foglie e rametti dei piccoli bizzarri giocattoli o modellando degli animali con la terra umida. Quando Teddy cominciò a muovere i primi passi Gideon si accosciava davanti a lui e con dei mormorii di incoraggiamento lo invitava a raggiungerlo e quando il bimbo stava per cadere lo afferrava e lo lanciava in aria finché entrambi restavano senza fiato per il gran ridere. Mrs Farquar voleva molto bene al vecchio cuoco per via dell’affetto che dimostrava al bambino. I Farquar non ebbero altri figli; e un giorno Gideon disse: – Ah, padrona, il Signore lassù ti ha mandato questo solo; ma Piccolo Testagialla è la cosa più preziosa che abbiamo in questa casa. Quell’«abbiamo» commosse profondamente Mrs Farquar, che alla fine del mese aumentò il salario al cuoco. Gideon era al loro servizio da parecchi anni; era uno dei pochi indigeni che tenessero la moglie e i figli nel quartiere dei neri annesso alla fattoria e perciò non chiedeva mai di poter tornare nel suo kraal1, lontano qualche centinaia di miglia. Ogni tanto capitava di vedere, fermo ai margini del bush2, un negretto più o meno dell’età di Teddy, intento ad osservare con riverente timore il bimbo bianco, i suoi capelli incredibilmente biondi e i nordici occhi azzurri. I due bambini si scrutavano a vicenda con palese interesse e una volta Teddy allungò incuriosito una mano per toccare le guance e i capelli neri del piccolo indigeno. Gideon, che li stava osservando, scosse il capo con aria meditabonda e disse: – Ah, padrona, adesso sono due bambini, ma uno da grande diventerà un baas3 e l’altro un servitore, – e Mrs Farquar sorrise mestamente e rispose: – Sì, Gideon, stavo pensando 1. kraal: villaggio abitato dagli indigeni africani. 2. bush: vegetazione tipica del paesaggio africano. 3. baas: termine africano per designare un bianco padrone di fattorie e dei relativi lavoranti neri. anch’io la stessa cosa, – e sospirò. – È la volontà di Dio, – replicò Gideon, che era stato allevato in una missione. I Farquar erano molto devoti e il comune amore per Dio aveva creato uno stretto legame fra i padroni e quel loro domestico. Quando ebbe circa sei anni Teddy ricevette in regalo un monopattino e scoprì l’ebbrezza della velocità. Correva come il vento nel giardino attorno alla casa, in mezzo alle aiuole, seminando il terrore fra le galline, che fuggivano starnazzando, e i cani che ringhiavano risentiti, e al termine della corsa compiva un’ampia e vertiginosa curva e infilava la porta della cucina gridando: – Guardami, Gideon! – E Gideon rideva e rispondeva: – Sei proprio bravo, Piccolo Testagialla. Il figlio più piccolo di Gideon, che faceva già il pastorello, venne apposta dal quartiere dei neri per vedere il monopattino. Se ne tenne a rispettosa distanza, ma Teddy non seppe resistere alla tentazione di esibirsi e gridando: – Spostati, piccolo, lasciami passare! – cominciò a girare in tondo attorno al negretto finché questi, terrorizzato, fuggì di corsa nel bush. – Perché lo hai spaventato? – gli chiese Gideon in tono severo. – Be’, non è che un negro – gli rispose Teddy con aria di sfida, e scoppiò a ridere. Ma quando Gideon si voltò e se ne andò senza una parola cominciò a impensierirsi. E poco dopo sgattaiolò in casa, prese un’arancia e la portò a Gideon. – Tieni, è per te, – gli disse. Non voleva riconoscere d’aver sbagliato e chiedere scusa ma non intendeva neppure alienarsi l’affetto di Gideon. Gideon accettò l’arancia con riluttanza e sospirò. “Presto andrai via, Piccolo Testagialla, andrai a scuola”, mormorò fra sé, “e quando tornerai sarai ormai un uomo”. Scosse mitemente il capo e concluse: – E così le nostre strade si separeranno. Sembrava che volesse tenere Teddy a distanza, non perché fosse risentito, ma piuttosto con l’aria di chi è rassegnato all’inevitabile. Quando Teddy era ancora in fasce l’aveva cullato fra le braccia e aveva raccolto il suo primo sorriso: più tardi l’aveva portato sulle spalle e aveva giocato per ore con lui. Ma adesso non si sarebbe permesso neppure di sfiorarlo, quel bambino bianco. Perciò continuava a volergli bene ma lo trattava con distaccata deferenza. Teddy ne fu dapprima indispettito, ma a poco a poco cominciò a comportarsi con il vecchio cuoco come aveva visto sempre fare agli adulti: era cortese ed educato, ma quando entrava in cucina a chiedere qualcosa il suo tono era quello di un bianco che dà un ordine a un domestico, sicuro d’essere obbedito. Doris Lessing, Racconti africani, Feltrinelli