IL CONTRATTO: PROFILI E QUESTIONI

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IL CONTRATTO: PROFILI E QUESTIONI
CORSO DI DIRITTO CIVILE A.A. 2015/2016
IL CONTRATTO: PROFILI E QUESTIONI
Prof. Giovanni Furgiuele
con la collaborazione
della Dott.ssa Giulia Tesi e dell’Avv. Marco Rizzuti
DIRITTO CIVILE Prof. GIOVANNI FURGIUELE Lezioni a cura della Dott.ssa Giulia Tesi INTRODUZIONE 1. Profili introduttivi sul corso di diritto civile………………………………………………………………pag. 2 2. La definizione di contratto: riflessioni sul contenuto dell’articolo 1321 del codice civile……………………………………………………………………………………………………………………………pag. 5 3. Gli effetti obbligatori e gli effetti reali del contratto………………………………………………….pag. 13 4. L’attività di interpretazione……………………………………………………………………………………pag. 25 1 INTRODUZIONE 1. Profili introduttivi sul corso di diritto civile. Il corso prende l’avvio con alcune considerazioni di carattere introduttivo che tenderanno a mettere in risalto alcuni aspetti specifici del ragionamento tecnico giuridico che costituiscono gli strumenti utili a capire lo svolgimento ulteriore del corso stesso. Innanzitutto, vale la pena soffermarsi sul concetto di diritto civile. La prima domanda da porsi è, quindi, inerente al significato di diritto Che cos’è il diritto civile? civile e alla differenza che sussiste fra quest’ultimo e le cosiddette istituzioni di diritto privato. Potrebbe, a tal proposito, sembrare che il diritto civile rappresenti soltanto una sommatoria di concetti e argomenti che si vanno ad aggiungere a quelli che normalmente sono impartiti con l’insegnamento di diritto civile. In altre parole, l’obiettivo dell’insegnamento di diritto civile potrebbe essere quello di migliorare la preparazione dello studente attraverso la conoscenza di dati oggettivi ulteriori rispetto a quelli che sono già presenti nel suo bagaglio culturale. Noi, però, non riteniamo che il diritto civile abbia come unico obiettivo quello di integrare la preparazione che viene fornita dall’insegnamento del diritto privato. Al contrario, per comprendere a pieno il significato del corso di diritto civile è opportuno riflettere su entrambi i termini in questione: diritto e civile. Per quanto concerne il diritto, bisogna prendere atto del fatto che esistono, a livello dottrinale, diversi modi di concepire il medesimo. Il concetto di diritto 2 In primo luogo, per diritto possiamo intendere, nient’altro che l’indicazione di un complesso di norme. Prendiamo, ad esempio, gli articoli del Codice Civile: essi non sono altro che una serie di norme Pertanto, è possibile caratterizzare il diritto come una serie di norme, con la conseguenza che la conoscenza dello stesso passa attraverso la conoscenza, nell’ambito della materia di cui ci stiamo occupando, del contenuto degli articoli del Codice Civile In tal modo, si dà una visione statica del mondo giuridico. In altri termini, ciò che è stato stabilito nel 1942 e che costituisce il contenuto del Codice Civile ci dice che cosa sussiste dal punto di vista dei rapporti giuridici privatistici. Non si ritiene, però, che questo sia l’unico modo di concepire il diritto. Esso non è soltanto il complesso delle norme che provengono dallo Stato, dalla Comunità europea o da qualsiasi altro organo dotato di potere legislativo. Quello appena descritto è solo un modo di descrivere il fenomeno giuridico che, riferendo il tutto al complesso delle norme, esalta il profilo statico del mondo giuridico. Accanto a questa visione ce ne sono altre. Non è possibile, in questa sede, ingigantire la questione facendo riferimento a tutte quelle teorie che si pongono in contrasto con la concezione puramente normativa del diritto. È opportuno, però, porre l’attenzione su due aspetti. Il complesso di norme che rappresenta il materiale originario del fenomeno giuridico costituisce, nella vita di tutti i giorni, il riferimento al realizzarsi di un’attività interpretativa svolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Quando si parla di diritto si vuole, quindi, fare riferimento soprattutto al materiale da cui si origina l’attività di interpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione 3 non rappresenta un momento secondario, ma un momento di realizzazione dinamica (e, quindi, non statica) del fenomeno giuridico. Quando si dice che una norma ha una certa estensione, quando, cioè, si realizza, nella visione dei soggetti a cui compete l’attività di carattere interpretativo, una certa immagine si dà una specifica visione del fenomeno giuridico. Ciò, in altri termini, significa fare riferimento ad un complesso di norme senza, però, soffermarsi soltanto sul mero dato normativo. Tutto quanto sopra detto comporta l’attribuzione, al termine diritto, di un’estensione che va al di là del profilo normativo. Il diritto civile, quindi, è certamente un complesso di norme, ma non è soltanto quello. Quella che si svolge a livello normativo è soltanto una parte del discorso giuridico. Pertanto, per capire cosa si intende per diritto significa, anche, andare al di là del dato normativo. In questo contesto, quindi, lo svolgimento dell’attività interpretativa si realizza attraverso l’utilizzo di tutto ciò che caratterizza, in maniera essenziale e costitutiva, il momento dell’interpretazione (principi, regole, attività, valutazioni). Nella sostanza, il diritto non è solo un complesso di norme ma, in senso più autentico e reale, è ciò che si realizza in un certo momento a seguito dello svolgimento dell’attività di interpretazione. Soffermiamoci, ora, sul termine civile. Come detto sopra, il diritto civile è Il diritto civile un momento dell’insegnamento privatistico. È, quindi, opportuno mettere in relazione il diritto civile e le istituzioni di diritto privato. Quest’ultimo insegnamento ci dà un’immagine, per così dire, statica della disciplina privatistica. Viceversa, nell’ambito di questa logica, l’insegnamento civilistico indica un riferimento ad un’attività ulteriore che si arricchisce del momento interpretativo. 4 In altri termini, il diritto civile non ha soltanto una funzione di integrazione, per così dire, contenutistica ma, anche, una funzione di integrazione sotto il profilo del metodo. Il corso di diritto civile in questione non si pone come obbiettivo soltanto l’arricchimento delle nozioni statiche di istituzioni di diritto privato. Il corso in questione seguirà un diverso approccio metodologico che sarà utile per esprimere risposte e conoscenze rispetto a problemi che si pongono nell’ambito del rapporto fra soggetti privati. In altre parole, il corso avrà ad oggetto la valutazione, intesa in senso ampio e preciso, di ciò che costituisce la disciplina dei rapporti a livello civilistico. Fatta questa breve premessa in ordine all’immagine del diritto civile, veniamo ora al contenuto del corso che avrà ad oggetto il contratto. 2. La definizione di contratto: riflessioni sul contenuto dell’articolo 1321 del codice civile. Come è stato detto al termine del paragrafo precedente, il corso in questione avrà ad oggetto il contratto. Pertanto, in questa prima parte introduttiva, occorre, innanzitutto, soffermarsi sulla definizione di contratto. Nell’ambito della suddetta valutazione relativa al significato di diritto civile, bisogna fare un primo riferimento al testo normativo. Com’è noto, infatti, esiste un articolo, il quale contiene una definizione di contratto. Il riferimento è, chiaramente, all’articolo 1321 del c.c. – “Nozione” – il quale, appunto, si preoccupa di definire il contratto. Articolo 1321 c.c. Innanzitutto, è interessante soffermarsi sulla rubricazione dell’articolo 5 (“Nozione”), con la quale il legislatore pensa di aver definito il suo compito, ossia dire cosa lui intende per contratto. L’articolo 1321 c.c. così recita: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Il contratto, secondo il codice civile, è, quindi, un accordo fra due o più parti finalizzato al raggiungimento di un determinato obbiettivo, consistente nella costituzione, nella regolamentazione o nell’estinzione di un rapporto giuridico di tipo patrimoniale. Ad avviso di chi scrive, tale definizione merita alcuni approfondimenti che verranno poi ampliati nel proseguo del corso. Gli approfondimenti in questione riguardano il concetto di parte, il concetto di accordo, il significato di rapporto giuridico ed, infine, la patrimonialità del rapporto medesimo. Per quanto riguarda il concetto di parte, esso costituisce, nel suo Il concetto di parte significato tecnico, il riferimento ad un centro di interessi. Tale concetto, quindi, non vuole far riferimento ad un solo soggetto (persona fisica o giuridica), ma, al suo interno, possono essere ricompresi anche una pluralità di persone fisiche (o giuridiche) portatrici di un medesimo centro di interessi. Il concetto di parte è, quindi, un concetto tecnico che, di per se, non pone particolari problemi di carattere giuridico. I problemi nascono, invece, rispetto al concetto di accordo. L’accordo può essere, innanzitutto, inteso in modo atecnico nel senso di Il concetto di accordo ritenerlo sussistente ogniqualvolta le parti la pensino alla stessa maniera. Nella sostanza, lo stesso è un’intesa della volontà di Tizio rispetto alla volontà di Caio; vi è una configurazione unitaria della valutazione di quello che il contenuto del contratto. 6 Quello appena descritto è il modo di considerare l’accordo in senso comune, ossia l’intesa fra due parti che valutano in maniera unitaria un certo fenomeno. L’accordo in senso comune e l’accordo in senso legale Questo, però, non è il significato del concetto di accordo di cui all’articolo 1321 c.c.; non è questo l’accordo utile alla formazione del contratto. L’accordo in senso comune è il frutto di una valutazione atecnica del contratto che dà luogo ad un’immagine non conforme al contenuto della normativa civilistica. Per comprendere meglio quanto sopra detto, prendiamo in esame alcune ipotesi specifiche. Prendiamo, in primo luogo, la cosiddetta riserva mentale. In questo La riserva mentale caso, Tizio dice una cosa di cui però è consapevole di non volere quello specifico contenuto e, per questo, utilizza una specifica valutazione, in termini espressivi di un linguaggio, che non è corredata da una reale volontà. La riserva mentale, quindi, in certe ipotesi, fa sorgere degli interrogativi perché, secondo la valutazione del legislatore, prevale, nonostante la mancanza di volontà di una parte, comunque il contratto. La scelta del legislatore si sostanzia sul profilo del difetto di conoscenza, nella controparte, della situazione, in forza della quale il soggetto che dichiara la sua volontà la esprime non volendo realmente il contenuto della stessa. In questi casi, quindi, prevale l’immagine dell’accordo rispetto ad una situazione di reale conoscenza delle cose. L’operazione è, evidentemente, complessa: nelle suddette ipotesi nasce il contratto anche se manca, nell’ambito di una parte, la volontà specifica del contenuto dello stesso. 7 In tali situazioni, quell’accordo che fa prevalere la logica contrattuale è non accordo in senso comune, ma accordo in senso legale. Nell’ipotesi di riserva mentale, in sostanza, prevale l’immagine legale dell’accordo, in quanto manca, in capo ad una delle parti, la volontà specifica. Un’altra ipotesi da prendere in considerazione è quella dei cosiddetti vizi Errore, violenza e dolo del volere: errore, violenza e dolo. Si tratta, come è noto, di ipotesi che costituiscono motivo di impugnazione del contratto. Per quanto riguarda l’errore, esso è, secondo quanto è stabilito dall’articolo 1428 del c.c., causa di impugnativa del contratto quando siamo in presenza di errore essenziale e di errore riconoscibile. Nei casi in cui, però, l’errore non è riconoscibile o essenziale prevale la situazione per come risulta dichiarata. Il medesimo discorso vale, anche, per la violenza e per il dolo. Bisogna, anche, aggiungere che i vizi del volere costituiscono motivo di impugnazione del contratto per annullamento. Ciò significa che, diversamente da quanto previsto nelle ipotesi di nullità del contratto, l’impugnativa deve essere esercitata entro precisi limiti di tempo, altrimenti l’azione si prescrive e rimane fermo il contratto così come è stato concluso. Anche in questi casi, quindi, prevale, non tanto l’accordo reale, quanto piuttosto l’accordo dichiarato. In altre parole, nelle ipotesi sopra descritte (come, anche, nei casi di riserva mentale) quel concetto di accordo descritto dall’articolo 1321 c.c. non è, sostanzialmente, reale ed effettivo perché, da un punto di vista giuridico, le cose vanno in maniera completamente diversa. Il legislatore, nei casi descritti, tende a far prevalere la necessità della conservazione dello schema giuridico contrattuale. Tale scelta determina una situazione che non ricade nell’ambito della visione normale e corrente del concetto di accordo che, nelle ipotesi in 8 questione, aggiunge alla sua consistenza una dimensione ulteriore: non è l’accordo in senso comune, è l’accordo in senso legale. Quanto detto vale, in genere, anche rispetto ad altre situazioni di invalidità del contratto: nelle ipotesi, per esempio, di rescissione o di risoluzione del contratto che possono essere esercitate entro precisi limiti temporali trascorsi inutilmente i quali si ha la prevalenza dell’accordo (non in senso comune, reale) in senso legale. Vi è, anche, altro. Prendiamo la disciplina delle cosiddette condizioni generali di contratto. Si tratta di modi, altamente diffusi, di conclusione Le condizioni generali di contratto di una relazione di carattere contrattuale. Tizio, per esempio, va a comprare una macchina e, al momento dell’acquisto, gli vengono sottoposte una serie di condizioni generali di contratto di cui, nella maggior parte dei casi, ignora il contenuto completo. In queste ipotesi, non siamo nell’ambito dell’accordo come fusione di due volontà; prevale, anche in questi casi, l’idea di accordo in senso legale che, com’è evidente, non ha nulla del concetto comune di accordo. Vi sono, anche, ulteriori complicazioni rispetto al concetto di accordo. Nella disciplina dettata dal codice civile esiste l’articolo 1324 c.c. – Articolo 1324 c.c. “Norme applicabili agli atti unilaterali” – il quale così recita: “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Gli atti unilaterali sono quegli atti che sono perfetti sulla base di un’esclusiva manifestazione di volontà proveniente da una sola parte. Più nello specifico, gli “atti unilaterali tra vivi” sono quegli atti che sono destinati a produrre effetti nell’ambito di un rapporti fra persone entrambe in vita: ciò significa che la norma in commento non 9 riguarda gli atti testamentari che, per quanto riguarda gli effetti, si rifanno al momento della morte del testatore. Detto ciò, secondo quanto stabilito dall’articolo 1324 c.c., agli atti unilaterali fra vivi aventi natura patrimoniale si applica la medesima disciplina prevista per il contratto. La suddetta uniformazione di disciplina pone, però, dei problemi per quanto concerne la distinzione fra atto unilaterale e contratto. In questo contesto, vi è un’altra norma che deve essere richiamata, ossia l’articolo 1333 c.c.1 – “Contratto con obbligazione del solo proponente” – il Articolo 1333 c.c. quale stabilisce: “La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivano obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata”. In sostanza, secondo quanto stabilito dalla norma in commento, la proposta, da cui scaturiscono obbligazioni per il solo proponente, sfugge alle normali regole dell’irrevocabilità. Al secondo comma dell’articolo si aggiunge che il destinatario “può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”. In un caso di questo genere, quindi, si dà luogo ad un procedimento particolare di configurazione del rapporto contrattuale. Nella sostanza, si hanno delle situazioni di difficoltà di chiarimento per quanto concerne il rapporto fra atto unilaterale proveniente da una parte e rapporto contrattuale. Tali situazioni, evidentemente, complicano il concetto di accordo. Veniamo, ora, ad analizzare il concetto di “rapporto giuridico” richiamato dall’articolo 1321 del codice civile. Il rapporto giuridico 1 A livello interpretativo, l’articolo 1333 c.c. pone una serie di difficoltà; tra l’altro si tratta di una norma, per così dire, vecchia già presente nel Codice di Commercio del 1882 e che poi è stata trasfusa nel Codice Civile del 1942. 10 Rispetto al suddetto concetto è possibile fare una prima valutazione ragionando in termini di derivazione dell’articolo 1321 del codice civile. Tale articolo, essendo un articolo del codice, si disegna di situazioni che ricadono all’interno della disciplina del codice medesimo. Pertanto, il rapporto giuridico è un rapporto che si realizza all’interno dell’ordinamento giuridico dello Stato da cui proviene lo stesso Codice Civile. Questa, però, non è l’unica possibilità che può essere riferita al concetto di rapporto giuridico. Esiste, infatti, una pluralità di ordinamenti giuridici, per cui, il contratto interessare riguardare rapporti giuridici che si realizzano in ordinamenti giuridici diversi (nell’ordinamento giuridico comunitario; nell’ordinamento giuridico regionale; nell’ordinamento giuridico canonico). Questo, evidentemente, moltiplica le immagini di rapporto giuridico e complica, di conseguenza, l’idea di contratto. Soffermiamoci sul concetto di “patrimoniale” che caratterizza il rapporto giuridico al quale si riferisce l’articolo 1321 del codice civile. Il concetto di patrimoniale Solitamente, quando si fa riferimento a qualcosa che ha valore patrimoniale si intende significare che una certa situazione ha una sua rilevanza dal punto di vista economico. Nell’ambito dei rapporti giuridici, però, non è detto che tutte le relazioni siano relative ad una materia patrimoniale. Per comprendere meglio il concetto di “patrimoniale” al quale si riferisce l’articolo 1321 c.c. è opportuno leggere, anche, l’articolo 1174 c.c. – “Carattere patrimoniale della prestazione” – il quale, nella normativa generale in materia di obbligazioni, stabilisce che la prestazione “deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale del creditore”. 11 Anche tale norme suscita qualche perplessità. Innanzitutto, parrebbe che essa voglia delimitare l’ambito delle obbligazioni, limitandole esclusivamente a quelle di carattere patrimoniale. In realtà, non è proprio così perché ci sono tutta una serie di ipotesi che hanno una loro rilevanza anche al di là del loro valore economico. Facciamo un esempio banale: Tizio si obbliga gratuitamente, nei confronti di una certa persona, ad andare a suonare il violino in un determinato giorno. Ed aggiunge che, qualora non si presentasse, pagherà una somma di danaro. Tale ipotesi ricade nell’ambito dell’articolo 1174 c.c.? In sostanza, l’articolo 1174 c.c. è una norma che necessita di interpretazione in modo tale da darne una lettura più ampia o più ristretta a seconda dei valori che si vogliono far prevalere. In altre parole, la patrimonialità è concetto relativo che si manifesta a seconda della disciplina della prestazione. È opportuno, nella sostanza, valutare il complesso della disciplina per caratterizzare, in senso patrimoniale o meno, la prestazione. In conclusione, la valutazione del contenuto dell’articolo 1321 c.c. è critica. In base a quanto finora detto, l’articolo in commento non ha un reale contenuto normativo perché, nella sostanza, non ci dice concretamente ed effettivamente che cos’è il contratto. Dalle considerazioni fatte emerge l’inutilità dell’articolo 1321 c.c. che non costituisce una chiave di lettura, un modo per definire lo schema contrattuale. Esso offre semplicemente l’immagine comune del contratto. Se, viceversa, si sposta l’attenzione sugli aspetti giuridici del contratto, il discorso si complica e il contenuto dell’articolo 1321 c.c. mostra tutte le sue carenze. La nozione di contratto che emerge dall’articolo in commento è, quindi, parziale ed illusoria rispetto alla vera immagine del contratto. 12 Tutte le situazioni sopra illustrate pongono in evidenza la necessità di sottoporre l’articolo 1321 c.c. ad un procedimento interpretativo, ad un’analisi del significato reale del contenuto della norma. Evidentemente, l’articolo 1321 c.c. costituisce un puro oggetto di un riferimento di carattere testuale ma nulla di più: vi è una complessità di situazioni che deve essere illustrate per capire come ci si deve comportare quando siamo in presenza della materia contrattuale. In questo senso, il concetto comune di contratto – come fusione di volontà – si differenzia dal concetto legale di contratto. Da un punto di vista operativo, l’articolo 1321 c.c. a nulla serve perché non è altro che una conformità al concetto normale di accordo. Pertanto, la prima lezione metodologica che si può ricavare da quanto finora detto è quella di dire che la regola prevista nell’ambito di una norma non deve essere esaltata, ma deve essere vista nel suo specifico significato. In altre parole, la valutazione che dobbiamo fare del contratto è una valutazione che tenga conto della complessità delle ipotesi. 3. Gli effetti obbligatori e gli effetti reali del contratto. L’altro aspetto che dobbiamo prendere in considerazione in questo primo capitolo introduttivo concerne gli effetti del contratto. Quando si parla di effetti del contratto, l’obbiettivo è quello di capire a cosa serve il contratto, ossia quale è la risultanza, da un punto di vista effettuale, che scaturisce dalla situazione di carattere contrattuale.2 2 È importante sottolineare che, in questa sede, verrà trattato l’argomento del contratto in generale sarebbe, però, altrettanto interessante analizzare, anche dal punto di vista effettuale, la situazione specifica delle singole tipologie contrattuali (compravendita; locazione; mandato). 13 Sotto il profilo di carattere generale, si deve distinguere fra due tipologie di effetti: effetti obbligatori ed effetti reali. Gli effetti obbligatori del contratto riguardano le obbligazioni che Effetti obbligatori scaturiscono dal contratto stesso. In questo senso, il contratto serve a costituire rapporti obbligatori fra le parti. Per esempio, nel contratto di locazione, il proprietario dà in locazione il bene e da ciò scaturisce un obbligo, di consegna del bene, a suo carico ed a carico al locatorio consistente nel pagamento del canone. Gli effetti reali del contratto costituiscono l’applicazione, a seguito del rapporto contrattuale, di una delle situazioni che si sostanziano della Effetti reali realità (diritto di proprietà ed altri diritti reali minori). In altri termini, effetto reale significa effetto giuridico che ha attinenza ad una res, ossia sul godimento o sulla titolarità del bene. Quando si distingue fra effetti reali ed effetti obbligatori del contratto, bisogna, anche, tener presente che gli stessi possono realizzarsi all’interno del medesimo contratto. Dal contratto di compravendita, per esempio, scaturisce il diritto di proprietà in testa al compratore (effetto reale), ma si ha anche l’obbligo, in capo al compratore, di pagamento del prezzo di vendita (effetto obbligatorio). La questione relativa agli effetti – obbligatori e reali – del contratto deve essere analizzata prendendo in considerazione il contenuto dell’articolo Articolo 1376 c.c. 1376 del codice civile. L’articolo 1376 c.c. – “Contratto con effetti reali” – prevede che nei “contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di un cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”. 14 Il principio che scaturisce da tale articolo è quello in forza del quale l’effetto reale è una conseguenza del puro e semplice consenso Il principio del
consensualismo
manifestato dalle parti alla stipulazione di un contratto.3 Pertanto, in virtù dell’accordo, dinanzi al quale si sia in presenza di una situazione contrattuale, si produce l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà o di altro diritto reale. In altre parole, secondo l’articolo 1376 c.c., l’effetto reale, cioè il trasferimento, si realizza in virtù del “consenso delle parti legittimamente manifestato”. E’, quindi, sufficiente l’accordo circa il trasferimento affinché si abbia immissione del compratore nell’ambito del diritto di proprietà. Ciò vuol significare che la sussistenza in senso giuridico di un contratto perfeziona la fattispecie prevista dall’articolo 1376 c.c. e la produzione dell’effetto reale. La valorizzazione del consenso delle parti come momento determinante ai fini della produzione dell’effetto reale suscita, però, alcune perplessità. L’articolo in commento sembra sottolineare un’ovvietà ma, come proveremo a spiegare fra un attimo, non è proprio così. Il principio del consensualismo è il frutto di una valutazione legislativa, di una disciplina introdotta dal legislatore. 3 A livello storico comparatistico, l’articolo 1376 c.c. è il frutto del perfezionamento di una precedente disciplina contenuta nel Codice Civile del 1865, la quale si esprimeva in maniera non chiara e non definitiva rispetto alla logica del consensualità. In linea storico generale, il principio del consensualismo trova la sua origine nell’ambito del Code Civil francese del 1804. Sulla scorta della normativa codicistica francese, il principio in commento trasmigra, oltre che in Italia, anche in Spagna. Viceversa, nell’ordinamento tedesco si ha una visione diversa. Il Codice Civile germanico non ripete, infatti, il principio del consensualismo ma inquadra il fenomeno sulla base delle vicende che sono proprie dei rapporti di obbligazione, per cui, a seguito dell’adempimento dell’obbligazione si avrà l’immissione nella proprietà o nella titolarità del diritto reale. 15 Innanzitutto, riflettiamo brevemente sul contenuto dell’articolo 1376 del codice civile. Nella norma si parla di “contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata”, ciò significa che il principio del consensualismo opera esclusivamente nelle ipotesi di contratti che stabiliscono il trasferimento di una cosa individuata in modo specifico; viceversa, non opera nelle ipotesi di contratti aventi ad oggetto cose generiche perché, in tali casi, è necessaria l’individuazione. L’articolo continua facendo riferimento a quei contratti che hanno ad oggetto “la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto”. Tale specificazione tende ad ampliare le ipotesi di operatività del principio del consensualismo che, secondo quanto previsti dall’articolo 1376 c.c., opera anche al di fuori delle vicende proprie della realità (ad esempio, nell’ambito del trasferimento dei diritti di credito o della cessione del contratto). La norma in commento stabilisce, poi, che, nei contratti sopra descritti, la proprietà o il diritto “si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso”. A questo proposito, è necessario porsi una domanda: quand’è che, nell’ambito della logica dell’articolo 1376 c.c., il consenso è causa del verificarsi di certi effetti? Il consenso può essere inteso come la pura e semplice situazione di accordo ed intesa fra due soggetti. In realtà non è proprio così, almeno che non si voglia sconfessare la disciplina di quelle ulteriori situazioni di validità del consenso: in certi casi, per esempio, non sarà sufficiente solo l’accordo, ma sarà necessaria anche una determinata formalizzazione dell’accordo. Infine, alcune perplessità sorgono anche in riferimento al fatto che il consenso debba essere “legittimamente manifestato”. Non si comprende bene cosa voglia significare questa ulteriore 16 caratterizzazione del consenso: forse sarebbe stato più opportuno parlare di consenso legalmente manifestato. Dopo aver fatto queste prime valutazioni critiche sul contenuto dell’articolo 1376 c.c., soffermiamoci su una valutazione sistematica del principio del consensualismo. Considerazioni critiche sul principio del consensualismo A tal proposito, verranno, di seguito, analizzate una serie di fattispecie che risultano contrarie al principio giuridico del consensualismo e per le quali, dunque, si può senz’altro ritenere che il consenso (l’accordo contrattuale tra le parti) non costituisce l’unico presupposto necessario affinché si realizzi l’effetto reale. La disamina delle fattispecie che sollevano dei dubbi circa l’effettiva Articolo 1155 c.c. portata del principio del consensualismo, deve iniziare con l’analisi della norma di cui all’articolo 1155 c.c. – “Acquisto di buona fede e precedente alienazione ad altri” – il quale così recita: “Se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore”. L’articolo in questione, evidentemente, non tiene conto della logica dell’articolo 1376 c.c., in quanto la considerazione in termini di consensualità non è ripetuta. La norma si occupa dell’ipotesi in cui il venditore venda il medesimo bene mobile a soggetti diversi. In questo caso, se ci calassimo nella logica dell’articolo 1376 c.c. dovremmo dire che l’effetto traslativo sarà prodotto esclusivamente dal contratto che è stato stipulato per primo perché la situazione consensuale si è già realizzata. Viceversa, secondo quanto stabilito dall’articolo 1155 c.c., si detta una regola di carattere particolare per disciplinare situazione di conflitto fra contratti, offrendo una valutazione secondo la quale a seguito della stipulazione del contratto si ha l’immissione nel possesso del 17 bene. Pertanto, nel caso in cui il bene venga alienato a soggetti diversi prevale chi per primo ne ha acquistato il possesso in buona fede, indipendentemente dal momento di stipulazione del contratto. Secondo la suddetta logica, ciò che acquista rilevanza è una visione procedimentale che, per la realizzazione dell’effetto traslativo, necessita, oltre che della stipulazione del contratto, anche di ulteriori elementi (acquisto del possesso; buona fede del possessore). Quanto sopra detto vale per i beni mobili. Per quanto concerne, invece, i Articolo 2644 c.c. beni immobili, occorre considerare il contenuto dell’articolo 2644 del codice civile. La norma è collocata nell’ambito del Libro VI del Codice Civile e si pone all’interno della disciplina della trascrizione. A proposito di questo articolo, ci si deve chiedere quale sia il collegamento con quanto sancito al primo comma di esso e l’articolo 1376 c.c., nel caso in cui oggetto della compravendita sia un bene immobile. Secondo l’articolo 1376 c.c. sulla base della data di un certo contratto si verificherebbe l’effetto traslativo, perciò un soggetto non potrebbe più disporre della cosa e, dunque, un’eventuale alienazione successiva sarebbe destinata a soccombere: ma ciò è, altrettanto, vero quando oggetto del trasferimento è un bene immobile? La risposta non può che essere negativa, in quanto alla luce del secondo comma dell’articolo 2644 c.c., dopo che vi sia stata la trascrizione del titolo, contro colui che ha eseguito la trascrizione non possono essere opposti diritti acquistati da altri verso il suo autore anche se l’atto di acquisto di essi risalga a data anteriore a quello di colui che ha trascritto. Pertanto, se da un lato, l’articolo 1376 c.c. sembra essere espressione di un principio, dall’altro lato, si riscontra che esso non vale per i trasferimenti immobiliari, in quanto non 18 sembrano in alcun modo giuridicamente compatibili le due norme messe a confronto. Entrando nel merito dell’articolo 2644 c.c. – “Effetti della trascrizione” – esso, come abbiamo già detto, è dettato nell’ambito della disciplina della trascrizione. Anche in questo caso, come nelle ipotesi precedentemente elencate, si ha una disciplina di carattere particolare. La stipulazione del contratto, che ricade nell’ambito dell’elencazione contenuta nell’articolo 2643 c.c. – “Atti soggetti a trascrizione” – non dà luogo immediatamente all’acquisto in proprietà. E’, infatti, necessario che alla stipulazione del contratto faccia seguito il fenomeno della trascrizione. Pertanto, acquista colui che ha trascritto per primo, indipendentemente dalla data del contratto di acquisto. La catena traslativa, quindi, implica un riferimento all’esistenza di una stipulazione contrattuale cui faccia seguito la trascrizione; soltanto se la trascrizione si verifica tempestivamente, non preceduta da una precedente trascrizione effettuata da colui che ha acquistato in un momento successivo, il procedimento è completo e dà luogo all’acquisto della proprietà. Anche questa ipotesi si presta ad un’interpretazione complessiva del fenomeno traslativo, nel senso di comprendere al suo interno la trascrizione così che essa dia luogo all’effetto acquisitivo non tanto, e non solo, a seguito della stipulazione del contratto, quanto, piuttosto, a seguito della trascrizione. Vediamo, anche, il contenuto dell’articolo 2645 c.c. – “Altri atti soggetti a trascrizione” – secondo cui: “Deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall’articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti 19 immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi”. In sostanza, l’articolo in commento tende ad un’estensione, in sede interpretativa, fra i casi espressamente previsti (articolo 2643 c.c.) ed altri casi che producono effetti analoghi. Pertanto, in questi ultimi casi, la trascrizione, qualora si realizzi in un momento anteriore, risulta determinante ai fini dell’effetto acquisitivo. Nelle ipotesi di cui agli articoli 2644 e 2645 c.c. si attribuisce, quindi, rilevanza ad un procedimento che, da un lato, comprende il contratto e, dall’altro, comprende la trascrizione e che dalla combinazione di questi due elementi fa scaturire l’effetto acquisitivo. Altro caso da considerare, nell’ambito delle norme in maniera di trascrizione, è quello previsto dagli articoli 2684 – “Atti soggetti a Articoli 2684 e 2685 c.c. trascrizione” – e 2685 – “Altri atti soggetti a trascrizione” – c.c., i quali disciplinano la trascrizione dei beni mobili registrati. Secondo quanto stabilito dall’articolo 2684 c.c., sono soggetti a trascrizione “per gli effetti stabiliti dall’articolo 2644”: 1) “i contratti che trasferiscono la proprietà o costituiscono la comunione”; 2) “i contratti che costituiscono o modificano diritti di usufrutto […]”; 3) “gli atti fra vivi di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti”; 4) “le transazioni […]”; 5) “i provvedimenti con i quali nel giudizio di espropriazione si trasferiscono la proprietà o gli altri diritti […]”; 6) “le sentenze […]”. Pertanto, anche in riferimento a beni mobili registrati vale quanto sopra detto circa la necessaria presenza della trascrizione, ai fini della realizzazione dell’effetto acquisitivo. L’impostazione che emerge dalle norme sopra citate la si rinviene, anche, Articolo 1265
c.c.
nell’ambito dell’articolo 1265 c.c. in materia di cessione del credito. 20 Anche in questo caso, prevale la necessità di tutelare l’acquirente piuttosto che colui che cede il proprio credito. Per questa ragione, la norma prevede che se “il medesimo creditore ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché essa sia di data posteriore”. In sostanza, nell’ipotesi in commento, prevale la cessione che è stata notificata o accettata per prima, nel senso di attribuire rilevanza, non tanto all’atto della cessione, quanto piuttosto al compimento di una serie di attività ulteriori che completano il procedimento acquisitivo. Ancora, occorre prendere in considerazione l’articolo 1380 del codice Articolo 1380 c.c.
civile (il quale, tra l’altro, si colloca nell’ambito della disciplina generale degli effetti del contratto) che così recita: “Se, con successivi contratti, una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento (si pensi al diritto che consegue, in capo al locatore, a seguito della stipulazione di un contratto di locazione) relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito. Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore. Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione”. Prendiamo, ad esempio, l’ipotesi di una pluralità di contratti di locazione. Seguendo la logica dovrebbe prevalere il contratto che è stato stipulato per primo o che, comunque, ha data certa anteriore rispetto agli altri. Come emerge dalla lettera dell’articolo in commento, la logica seguita, in questo caso, dal legislatore è diversa da quella sopra espressa: ciò che è determinante, infatti, è il godimento del bene concesso in locazione. 21 Infine, si segnala anche il contenuto degli articoli 2913-­‐2917 c.c. che disciplinano il pignoramento. Si tratta di un’ipotesi estranea al Articoli 2913 e ss. c.c. meccanismo della circolazione ma che risulta comunque interessante ai fini del discorso che stiamo affrontando. In particolare, l’articolo 2913 c.c. – “Inefficacia delle alienazioni del bene pignorato” – così recita: “Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, salvo gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri”. Secondo la disciplina codicistica, quindi, il pignoramento tende ad immobilizzare giuridicamente l’atto nel momento di inizio dell’attività esecutiva, con la conseguenza che l’atto medesimo, se posto in essere successivamente al pignoramento, risulta privo di effetti. In base a quanto è stato finora detto, dal complesso delle disposizioni analizzate emerge un qualche cosa rispetto all’effetto traslativo: in Visione procedimentale particolare, risulta che, nell’ambito delle ipotesi che abbiamo visto, per quanto concerne l’effetto traslativo si tende a valorizzare, non la logica del contratto, ma la logica del comportamento successivo alla stipulazione del contratto stesso. Il punto centrale del discorso che stiamo affrontando, quindi, concerne il momento di realizzazione dell’effetto traslativo: cosa determina l’acquisto, per esempio in materia di compravendita, del diritto di proprietà? Poniamoci un, ulteriore, interrogativo: cosa è il diritto di proprietà? E’ un titolo che scaturisce da un contratto? E’ un diritto privato che consegue, esclusivamente, alla stipulazione del contratto? Oppure è qualcosa di diverso? Se si ragiona ritenendo la proprietà come ipotesi che scaturisce dal contratto è sufficiente, per aversi acquisto in proprietà, che si abbia la stipulazione dell’accordo. 22 Da ciò, deriverebbe una definizione della proprietà come regola di disciplina del rapporto fra due privati con esclusione dei terzi. In realtà non è proprio così. Sulla base, infatti, degli articoli che abbiamo, precedentemente, analizzato risulta che la proprietà è un diritto che opera nei confronti di tutti; si parla di proprietà nei confronti di tutti i soggetti. Nella sostanza, quanto detto finora è ciò che determina la circolazione. La sconfessione del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 c.c. non è superabile neppure attraverso quei tentativi di recupero effettuati da certa dottrina. Alcuni autori del passato hanno, per esempio, proposto la distinzione fra proprietà relativa – che configura il rapporto intercorrente fra venditore e compratore – e proprietà assoluta – che configura le vicende che intercorrono fra il proprietario ed i terzi. Con la conseguenza che il contratto dà luogo all’acquisto della proprietà relativa, mentre la trascrizione dà luogo all’acquisto della proprietà relativa. Si tratta di un giuoco di parole. Ci si chiede, però, quale sia l’utilità di questa impostazione. Parlare di proprietà in senso relativo è una contraddizione in termini, mentre, appare più realistico ritenere che la proprietà, viceversa, è un diritto che opera, comunque, nei confronti di tutti. Altri interpreti, per recuperare il contenuto dell’articolo 1376 c.c., fanno riferimento al concetto di opponibilità. La stipulazione del contratto rende il diritto opponibile nei confronti della controparte. Opponibilità si ha, però, anche quando, sulla base della stipulazione del contratto, gli effetti che da esso scaturiscono si impongono, non soltanto nei confronti dell’altra parte, ma nei confronti di tutti. 23 Si tratta di un modo di procedere che, pur avendo una sua utilità, appare privo di fondamento, in quanto tende ad eliminare la sostanza delle norme giuridiche a favore di espedienti puramente tecnici. Pertanto, il fenomeno circolatorio è un fenomeno complesso che necessita di valutazioni di carattere ulteriore che non possono essere, per così dire, relegate esclusivamente al contratto stipulato fra le parti. Naturalmente, con ciò non si vuole affermare che ciò che risulta dalla vicenda puramente contrattuale sia privo di conseguenze giuridiche: si vuole, solamente dire che l’acquisto in proprietà deriva, non solo dal contratto, ma da una catena procedimentale di cui il contratto è solo una parte. La verifica, sopra fatta, dei dati normativi (articoli 1155, 2644 ecc. del Codice Civile) conferma la prospettiva di carattere procedimentale per l’acquisto del diritto di proprietà. Il compimento di determinate operazioni se poste in essere, non dalla controparte del contratto di compravendita, ma da un terzo può dar luogo all’acquisto in proprietà da parte del terzo stesso. In sostanza, non si tiene conto, ai fini dell’acquisto, della priorità della stipulazione di un contratto traslativo, viceversa, si tiene conto del realizzarsi di una catena procedimentale a cui consegue l’effetto traslativo. 24 4. L’attività di interpretazione. Questa prima parte introduttiva termina con alcune riflessioni sull’attività di interpretazione. Prima di procedere con le suddette riflessioni, occorre sottolineare che, in questa sede, si parla dell’interpretazione della norma; le questioni relative all’interpretazione del contratto verranno, invece, affrontate nell’ultima parte del corso. In primo luogo, cerchiamo di riflettere sul concetto di fenomeno giuridico. Come sopra accennato, in maniera forse troppo superficiale si potrebbe dire che il fenomeno giuridico si sostanzia, semplicemente ed esclusivamente, nella conoscenza del contenuto delle norme che risultano dai vari testi di legge. Far coincidere il significato del fenomeno giuridico esclusivamente a quanto sopra detto sarebbe, però, troppo riduttivo. Pertanto, per ampliare il panorama entro cui muovere la nostra riflessione, prendiamo in considerazione tre diverse posizioni sostenute, in primo luogo, da tre importanti autori che, come vedremo, appartengono a mondi giuridici ed epoche storiche diverse. Innanzitutto, prendiamo in esame la posizione di H. Kelsen.4 Kelsen è il Kelsen difensore della teoria del diritto come complesso di norme. Per avere il diritto ci vuole la norma, la norma precede il diritto, alla norma consegue il diritto. È un discorso chiuso quello di Kelsen. Egli è un autore che opera dalla fine dell'ottocento fino alla metà del novecento e nasce in Austria e vive all'interno del mondo culturale di stampo germanico, dove risulta l'esaltazione della dimensione del carattere normativo e normativo vuol dire esaltare il profilo che caratterizza le vicende giuridiche, nel senso di derivare il fenomeno giuridico dallo 4 H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, II ed., Milano, Edizioni di Comunità, 1954. 25 Stato. La norma esaltata è quella che viene posta dallo Stato, è lo Stato l'autore del complesso delle norme. Altra posizione significativa e quella sostenuta da Santi Romano,5 il Santi Romano quale propone una visione ulteriore e più ampia rispetto a quella sostenuta da Kelsen. Esso non limita il diritto alla pura e semplice dimensione costituita dal complesso delle norme, ma intravede la dimensione della realtà giuridica in una dimensione più ampia della pura e semplice esistenza del dato normativo, perché propone tutta una serie di aspetti, principi e frammenti, soluzioni e concetti che sono all'origine dell'evoluzione del modo di essere del fenomeno interpretativo, ossia del fenomeno da cui risulta l'effettiva sostanza riconducibile all'interno del concetto di norma. L’Autore elabora il concetto di ordinamento giuridico. L'ordinamento giuridico è quello che risulta, certo dalle norme, ma anche dall'attività ulteriore. Il diritto non è solo norma, ma è ordinamento e, quindi. lo si ha in tutte le situazioni in cui siamo in presenza di fenomeni organizzativi, di complessi sociali. Da ciò risulta la cosiddetta pluralità degli ordinamenti giuridici. E’ significativo e importante ricordare che Santi Romano non è un autore di cultura germanica, ma italiana, e si colloca fra la seconda metà dell'ottocento e la prima del novecento. Infine è interessante tener presente la posizione di un autore di cultura Dworkin angloamericana a noi contemporaneo. Si tratta di R. Dworkin,6 il quale ragiona in ordine ai problemi specifici che si pongono da un punto di vista del carattere normativo, indagando certi aspetti dal punto di vista di ciò che è necessario fare per risolvere alcune domande di carattere particolare. 5 SANTI ROMANO, L’ordinamento giuridico, II ed., Firenze, 1946. 6 R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, in Collezione di testi e studi classici del pensiero politico e economico europeo nel Novecento, Milano, 1982; ID., Taking rights seriously, Cambridge, 1978. 26 Ci si pone in una logica profondamente attenta al profilo dinamico dell'ordinamento, andando a verificare come nascono le regole. L’Autore esalta il profilo argomentativo e si pone in una logica dinamica per passare da una situazione giuridica vecchia ad una situazione giuridica nuova. Ed esalta non la molteplicità delle visioni, cioè non ragiona in ordine a ciò che si caratterizza nel senso di pluralità di profili diversi, di valutazioni diverse, ma considera giusta solo una soluzione. In particolare, Dworkin pone l’accento sul collegamento fra etica e diritto. In altri termini, una parte del discorso giuridico è rappresentato da aspetti etici, cioè aspetti particolari di una valutazione tipica. I tre modelli proposti si riflettono, evidentemente, sull’immagine di interpretazione: per Kelsen essa si sostanzia esclusivamente nella lettura del testo; per Santi Romano si hanno, viceversa, diversi punti di arrivo che influiscono sul fenomeno interpretativo; infine per Dworkin l’interpretazione è la fonte diretta da cui scaturisce l’idea giuridica. Alla base di una concezione del diritto non esclusivamente ristretto alla lettera della norma vi è, evidentemente, il L’interpretazione fenomeno dell’interpretazione. In materia di interpretazione, occorre fare riferimento, in primo luogo, all’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale così recita: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole Art. 12 preleggi secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. 27 La norma suscita, evidentemente, delle perplessità. L’interpretazione è un’attività che, sulla base di ciò che risulta dalla lettera del primo comma dell’articolo 12 preleggi, appare bloccata al significato letterale delle parole e (si aggiunge poi) all’intenzione del legislatore. Il che fa nascere problemi. Che significa questa espressione? Il Giudice, che determina il senso di determinate norme, legge soltanto la norma e la applica alla lettera? E’ quella l’intenzione del legislatore? Il secondo comma poi amplia le possibilità nel senso che precisa che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe e, se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. L’articolo 12 delle preleggi, nella sostanza, offre una risposta rispetto alla miriade di possibilità che possono darsi in ordine all’interpretazione di una determinata norma. Nell’intenzione del legislatore (sia del 1942 che del 1865, che conteneva una disposizione simile) questo era lo scopo della norma. Il legislatore riteneva di aver risolto tutti i problemi interpretativi così disponendo. Tuttavia questa è una fantasia, non è la realtà. Non è detto che si possano risolvere tutti i problemi che caratterizzano l’attività interpretativa sulla mera lettura del dato normativo, o anche semplicemente ricorrendo alle altre modalità interpretative elencate dall’art. 12. preleggi. E’ questa la ragione per cui il nostro corso non prenderà in esame solo i dati normativi, ma anche le sentenze, per poter ragionare così ad ampio spettro degli argomenti oggetto del corso, con le relative problematiche. Quando si parla di interpretazione non si può ragionare solamente sulla base della lettura di un certo dato normativo. Il giurista deve procedere, nella maggior parte dei casi, all’attribuzione di un senso Interpretazione come attribuzione di senso 28 alla norma che è chiamato ad interpretare. In altre parole, l’interpretazione non è, semplicemente, riconoscimento di senso ma è, nella maggior parte dei casi, attribuzione di senso alla norma con cui il giurista è chiamato a confrontarsi. A ciò consegue che, nello svolgimento dell’attività interpretativa, il giurista è influenzato da vari fattori (fattori economici, religiosi, morali, etici) che contribuiscono all’attribuzione del senso della norma.7 7 Si veda, a tal proposito, H. G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, 2000. 29