appello - Sinistra Lavoro

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appello - Sinistra Lavoro
sInIstra lavoro
settImanale
anno II - numero 21 - 13 maggio 2015
www.sinistralavoro.it - [email protected]
una sinistra all’altezza
Matteo renzi va avanti coMe un treno. negli ultiMi giorni la caMera ha approvato l’italicuM, una legge elettorale studiata per portare il paese direttaMente verso il presidenzialisMo senza passare dal via, ovvero senza passare per la costituzione. la riforMa della
scuola è già pronta e coMpleterà il processo, già avviato dalla gelMini per l’università, di
aziendalizzazione della scuola pubblica.
di Francesco D’Agresta
e Danilo Borrelli
nel contempo il mondo del lavoro
continua a subire tutti i contraccolpi della crisi economica senza
segnali di ripresa, sale il tasso di
disoccupazione ed in particolar
modo di quella giovanile, mettendo a nudo l’inconsistenza del
Jobact, provvedimento utile solo
all’ennesima precarizzazione dei
rapporti di lavoro.
tutto ciò non è avvenuto in modo
indolore per il partito democratico. lo sciopero generale della
scuola ha registrato una straordinaria partecipazione e nelle
piazze della protesta ad essere
messi all’indice sono stati proprio
il premier ed il partito democra-
tico. la stessa segretaria generale
della cgil dichiara che oggi non
voterebbe più per il pd.
Ma è durante l’approvazione, a
colpi di fiducia, dell’italicum che
si è consumata la frattura politica:
ampi pezzi di pd si sono opposti
alla legge elettorale, ma renzi è
andato avanti, appunto, come un
treno. il presidente del consiglio
ha potuto contare su una maggioranza parlamentare, ormai stabile, che prescinde dal suo
partito. una maggioranza parlamentare che è il cuore di quell’idea di partito della nazione non
ancora nato, ma già all’opera.
per pippo civati l’italicum ha rappresentato un punto di non ritorno, «la goccia che ha fatto
traboccare il vaso» come ha di-
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chiarato lo stesso.
l’opposizione di sinistra a questo
governo sta maturando da tempo
e l’uscita di civati ha ovviamente
un forte valore simbolico, è la rottura di un tabù, il segnale che in
molti auspicavamo: il prevalere
delle politica, quella di sinistra,
sull’appartenenza di partito, un
segnale importante che dà forza
ad un percorso già in atto, la costruzione di una nuova forza politica di sinistra.
la forza politica di sinistra di cui
tutti da tempo sentono l’esigenza,
diversa dal partito democratico,
ma diversa anche dalla rissosità e
dall’inefficacia dei partiti che abbiamo conosciuto fin ora e nei
quali abbiamo militato.
un progetto che si può concretizzare a condizione che non ci siano
nuove ammucchiate elettorali o
alleanze federative tra sconfitti in
cerca di una ricollocazione.
con il percorso di human factor
si è messo in campo un luogo politico reale di ricostruzione e di
rinnovamento, ribadito da sel in
questi giorni con la disponibilità
ad andare oltre se stessa.
intorno a queste premesse sta nascendo una nuova sfida politica
alla quale contribuirà anche civati
e alla quale tutti noi, che abbiamo
nelle settimane scorse accettato la
sfida lanciataci da sel, siamo chiamati. per costruire a partire da lì
una nuova sinistra del lavoro e dei
diritti, di massa, popolare, di governo.
Questo percorso, già in atto, si sta
rafforzando di giorno in giorno,
insieme ai tanti compagni e compagne che hanno deciso di gettarsi anima e corpo verso il futuro.
italia/politica
ciccio cirigilano*
italicuM, spartiacQue
per la sinistra
l’approvazione – in un’aula parlaMentare seMivuota – dell’italicuM, e la volontà di andare
avanti con la controriforMa della scuola ha riMescolato il Quadro politico. per la priMa
volta, dall’inizio della legislatura, il partito di Maggioranza relativa che forMalMente
chiaMiaMo pd, Ma che è già un’altra cosa, Mostra apertaMente delle crepe che solo le alchiMie lessicali potranno far finta di sanare.
Questo è quello che leggo nel definitivo abbandono di pippo civati, la cui fuoriuscita annunciata
dal gruppo, di là delle facili battute di quante e quanti ironizzano
sottovalutandone la portata, rappresenta quanto sia diventata oramai impossibile la permanenza in
quel luogo da parte di chi ha in
mente una politica fortemente ancorata ai temi del lavoro, della sua
difesa, della sua centralità… del
suo riconoscimento costituzionale, per dirla con le parole di pietro
ingrao
che,
proprio
rivolgendosi alle lavoratrici e ai lavoratori, usava definirli costituenti.
non sappiamo se, quella che si
annuncia come una fuoriuscita solitaria, nelle prossime settimane
farà registrare altre fuoriuscite. di
certo è che un argine che si è
rotto: in modo doloroso, come
sempre lo è lo strappo con un partito e con una comunità che si è
contribuito a far nascere. ecco
perché questa è una fase in cui il
rispetto deve avere il sopravvento.
è da mesi che discutiamo della nascita di un nuovo soggetto a sinistra di quel che rimane,
culturalmente, del partito democratico. e abbiamo cominciato a
farlo con maggiore prefigurazione
a Milano, grazie ad un atto di
grande sensibilità e altruismo politico di sinistra ecologia libertà
che, attraverso human factor, ha
inteso mettersi a disposizione dell’intera sinistra italiana; è continuato a roma con la grande
partecipazione alla manifestazione organizzata della fiom per
lanciare la coalizione sociale. l’arrivo di pippo civati è un ulteriore
tassello sulla strada della costruzione di quell’alternativa che,
come ci siamo detti, non vuole ri-
nunciare alla costruzione di una
sinistra ampia, maggioritaria, con
vocazione al governo e pronta a
dare battaglia in tutti i luoghi a
sua disposizione contro lo scempio che si sta facendo del lavoro,
della costituzione, dello stato sociale.
l’approvazione dell’italicum, in
questo quadro, segna un vero e
proprio spartiacque, perché se dal
punto di vista delle politiche sociali già il Jobs act aveva segnato
un definitivo allontanamento dalle
ragioni del lavoro e dei suoi protagonisti, arrivando a superare a
destra anche le politiche antisociali dei governi berlusconiani
succedutisi nell’arco di un ventennio, con l’approvazione della
legge elettorale e con l’annunciata
controriforma della costituzione
si vuole cambiare il carattere
stesso della democrazia così
come l’avevamo conosciuta a partire dal secondo dopoguerra.
ecco forse il perché della sofferta
decisione odierna di civati e di
quante e quanti vorranno seguirlo. la consapevolezza che il
leviatano è oramai fuoriuscito
dalle acque che lo avevano faticosamente tenuto sommerso per
chiudere definitivamente la partita
del modello sociale fin qui sopravvissuto.
ora però bisogna correre. non si
può rimandare oltre, perché abbiamo una sola chances per provare a limitare in parte i danni che
saranno provocati dalla nuova
legge elettorale. inutile farsi illusioni: come ha scritto Massimo
villone, vi sono alcuni danni irreparabili.
Ma ancora qualche atto possiamo
contribuire a scriverlo in occasione della controriforma costituzionale, soprattutto se le alcune
delle alchimie lessicali che hanno
fatto sì che il pd di renzi arrivasse
all’oggi si trasformeranno in atti
concreti nei passaggi parlamentari. per quel tempo abbiamo bisogno che un nuovo soggetto che
segni e sogni l’alternativa sia in
stato avanzato di cantierizzazione. se non sapremo cogliere
l’esiguità del tempo a disposizione porteremo sulle nostre
spalle una responsabilità di carattere epocale.
*Sinistra Lavoro di Basilicata
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italia/politica
intervista a
luciano gallino*
“in Questi anni un gioco
al ribasso”
il sociologo luciano gallino spiega coMe e perché il nostro paese ha scelto sul teMa “la via
bassa”: abbassare salari e diritti invece di rilanciare investiMenti e forMazione. colpa di una
sinistra che non c’è. e anche di una cultura cattolica orMai disattenta
ai valori del lavoro.
non lo dice chiaramente, ma se
dovesse scegliere una parola che
riassuma la “temperatura” del lavoro in questo scorcio di italia, luciano gallino, sociologo e decano
degli studiosi del tema nel nostro
paese, sceglierebbe la parola
dumping, ribasso. perché, come
dice lui, i governi italiani degli ultimi 20 anni su questo terreno
“hanno scelto la via bassa” per aggirare gli ostacoli senza affrontarli. “la via bassa delle relazioni
industriali, dell’erosione dei diritti, degli scarsissimi investimenti
su formazione professionale. lo
sa qual è percentuale di diplomati
del nostro paese?
e’ il 23%, la metà degli altri paesi
europei. abbiamo tolto la spina
alla scuola. e invece di costruire
un patrimonio di competenze e
capacità - e dunque di domanda e
di potere di acquisto - si è scelto
il contrario. e ora paghiamo”.
Da noi cosa è accaduto?
che si è andati avanti su quella
strada. il Jobs act sembra una scopiazzatura di quell’era lì. Minori
garanzie, dunque maggiore lavoro. una cosa fuori dal tempo,
ormai smentita da fior di studi che
dicono l’opposto: è dagli alti salari e dagli elevati investimenti in
formazione che si allarga la domanda di lavoro nei paesi evoluti.
noi invece vogliamo competere
con la cina ma sui costi. ridicolo,
c’è una differenza che è ancora di
1 a 10 su una singola ora di lavoro. appunto, abbiamo scelto la
via bassa.
A parte la crisi del sindacato, di
cui si parla da anni, sembra che
anche in Parlamento il lavoro
abbia poca rappresentanza politica.
e’ vero, e per due motivi. e’ finita
l’era della sinistra di derivazione
marxista, che su quello fondava
gran parte della sua identità. cosa
ci sia stato e ci sia oggi di sinistra
in quel partito che da pds, poi ds,
oggi è diventato il pd io francamente non so. direi poco o nulla.
una forza politica che lascia tutto
il campo al cosiddetto libero mercato e teorizza che i salari devono
adeguarsi all’offerta per conto
mio con quella cultura lì ha tagliato i ponti.
Da dove è iniziata questa “slavina del lavoro”?
vedo una data chiave: il 1997.
l’anno in cui si è introdotto il “lavoro in affitto” e si sono moltiplicate le forme contrattuali dei
cosiddetti lavori atipici. e’ stato
quello scorcio di fine anni ’90 a
sfondare il muro delle garanzie.
Ma eravamo vittima dell’ocse, che
nei suoi rapporti teorizzava un
nesso preciso tra rigidità della
protezione legale del lavoro (i vincoli al licenziamento) e disoccupazione. in sostanza, diceva, basta
rendere più facile licenziare per
aumentare i tassi di occupazione,
per creare nuovi posti. un errore
madornale. che dieci anni dopo è
stato ammesso dagli stessi capi
economisti dell’ocse. Ma noi invece …
E il secondo motivo?
e’ venuta meno quella cultura cattolica attenta al lavoro che negli
anni 60 e 70 ha costruito, dal centro, molta legislazione di garanzie
lungimiranti, ha dato voce a diritti, ha rappresentato un blocco
sociale, sindacale, politico di innovazione. era un’area che aggregava associazionismo come le
acli, pezzi di poltica (la cosiddetta
sinistra dc) e di sindacato (la cisl
degli anni 70). e’ stato un patrimonio prezioso. che oggi non esiste più. e si sente.
da www.famigliacristiana.org
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italia/grecia
enrico grazzini*
la Moneta parallela in grecia e
Quella coMpleMentare in italia
sarà l’eMissione di una nuova Moneta parallela l’ultiMa arMa di tsipras per evitare di abbandonare l’euro? anche in italia alcuni econoMisti e intellettuali, tra i Quali luciano gallino, propongono una Moneta coMpleMentare all’euro per uscire dalla crisi. che effetto
possono avere Queste Monete alternative?
in grecia nel cuore dell’europa si
sta giocando una “sporca guerra”
tra creditori ricchi del nord e debitori poveri del sud. Questa
guerra mette a nudo l’europa
reale di fronte alle panglossiane illusioni europeistiche. e l’esito di
questa guerra segnerà irreversibilmente il futuro di questa europa
reale sempre più divisa.
La moneta parallela in Grecia
secondo il financial times e la
reuters la possibilità che il governo greco emetta una moneta
parallela all’euro ed eventualmente dichiari default (fallimento)
è sempre più concreta. infatti le
trattative con le cosiddette istituzioni (la ex troika, cioè ue,
bce,fMi) non danno risultati positivi e si avvicina il momento in cui
lo stato greco non avrà più fondi
per fare fronte ai suoi impegni. la
liquidità scarseggia, la ue non
paga i 7,2 miliardi che aveva promesso al precedente governo
greco, la bce taglia i fondi in euro
e il governo greco non sa come
pagare pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici. da qui le voci
crescenti sulla possibilità che il
governo socialista di syriza decida
di emettere una sorta di moneta
alternativa per pagare gli stipendi,
pur continuando a rimanere nell’euro. la moneta parallela, secondo ufficiose fonti governative
greche, darebbe luogo a un credito dei cittadini verso lo stato
greco. gli assegnatari, in primis
pensionati e dipendenti pubblici,
potrebbero utilizzarlo anche per
pagare le tasse o per scontarlo in
banca ricevendo una somma in
euro, ma inferiore al valore nominale del titolo. il vantaggio della
nuova moneta fiscale consiste nel
fatto che lo stato in questo modo
potrebbe pagare i dipendenti pubblici e risparmierebbe euro preziosi per ripagare i creditori
esteri, cioè fMi, bce e europruppo.
lo svantaggio consiste invece nel
fatto che lavoratori pubblici e pensionati ovviamente non sarebbero
troppo contenti di essere pagati
con una moneta nazionale soggetta a forte svalutazione. la fuga
di capitali continuerebbe.
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non a caso, secondo voci ufficiose, la manovra si accompagnerebbe alla nazionalizzazione delle
banche e e al possibile default
della grecia.
la minaccia di emettere moneta
parallela potrebbe essere una
forma di pressione del governo
greco per riuscire finalmente a
conquistare concessioni sostanziali sul debito pubblico da parte
della ex troika. in effetti la moneta parallela greca si configurerebbe come una scommessa
azzardata del governo per fare
default, ottenere allora finalmente
la ristrutturazione dei debiti, ma
senza possibilmente farsi cacciare
dall’eurozona, e senza portarne
(giustamente) la responsabilità di
fronte agli elettori e alla comunità
internazionale.
infatti tutti sanno che la grecia
non è e non sarà mai in grado di
ripagare il debito pubblico pari al
175% del pil, almeno senza una
drastica ristrutturazione/taglio
del debito.
il problema è quindi: come ottenere il taglio del debito, senza
uscire dall’euro?
la moneta parallela potrebbe
forse funzionare in questo senso:
potrebbe essere un nuovo temporaneo mezzo di pagamento – peraltro a rischio di fortissima
svalutazione – sostitutivo degli
euro (che in grecia non ci sono
più) senza però uscire formalmente dall’euro.
chi infatti si addosserà la responsabilità politica dell’eventuale
uscita dall’euro della grecia? tsipras non vuole uscire perché sa
che sarebbe un disastro e che in
qualche modo non rispetterebbe
il suo mandato e le sue promesse.
ammesso che il governo greco
abbia effettivamente un piano al-
italia/grecia
Moneta parallela e
complementare
ternativo, questo potrebbe essere
probabilmente quello dichiarare
fallimento senza però uscire dall’euro. sarà allora l’eurozona, che
sbatterà fuori dall’euro la grecia?
La moneta complementare in
Italia
abbastanza analogo – anche se
inserito in un contesto assai meno
drammatico, perché in italia non
c’è attualmente difficoltà a ripagare i debiti in euro – è il progetto
promosso in italia da alcuni economisti ed intellettuali, tra cui chi
scrive. per aumentare la domanda, strozzata dalla deflazione
imposta da bruxelles e berlino, e
quindi per fare crescere l’economia, l’appello firmato da gallino
prevede che lo stato emetta a titolo gratuito certificati di credito
fiscale per un importo pari in tre
anni a 200 miliardi di euro. a differenza che in grecia – e questa è
una differenza sostanziale – ovviamente tutti gli stipendi verrebbero
pagati in euro, e i ccf, in quanto
titoli negoziabili e convertibili in
euro, sarebbero quindi aggiuntivi
alla moneta unica, e non sostitutivi. i ccf sono titoli statali che
danno luogo a uno sconto fiscale
alla pari, ma solo due anni dopo
la loro emissione. sono perfettamente legali secondo i trattati e i
regolamenti europei. Quindi,
come in grecia, i ccf permetterebbero di creare liquidità e nuova
moneta circolante senza abbandonare l’euro.
i 200 miliardi in ccf verrebbero
assegnati gratuitamente ai lavoratori in proporzione inversa al reddito, e alle aziende in proporzione
al numero di occupati. chi ha bisogno subito di euro da spendere
– ovvero la parte più povera della
società e del’economia – venderebbe subito i suoi ccf applicando uno sconto. gli acquirenti
sarebbero invece tutti quei soggetti in buona salute finanziaria
disposti a pagare in euro i ccf
scontati per avere il 100% di riduzione fiscale alla loro scadenza.
gran parte dei ccf verrebbe tramutata in euro e spesa (una parte
verrebbe invece risparmiata) o, da
parte delle aziende, investita: così
la moneta – costantemente negata
dalle banche italiane, che hanno
già accumulato circa 350 miliardi
di sofferenze per crediti non pagati – ricomincerebbe a circolare
nell’economia. a differenza del
Qe della bce, che alimenta soprattutto il circuito finanziario, l’emissione
di
ccf
servirebbe
all’economia reale. le famiglie potrebbero fare ripartire i consumi e
le aziende ritornerebbero a lavorare e ad assumere. grazie al moltiplicatore sul reddito, il pil
aumenterebbe subito di parecchi
punti e i conseguenti ricavi fiscali
coprirebbero il deficit pubblico
che altrimenti si creerebbe con i
ccf. inoltre alle aziende verrebbero concessi gratuitamente ccf
in funzione del numero degli occupati in modo da ridurre il cuneo
fiscale. così le imprese diventerebbero più competitive e si potrebbe mantenere il saldo attivo
della bilancia commerciale con
l’estero. grazie alla crescita del
pil aumenterebbe l’occupazione e
diventerebbe finalmente sostenibile il peso del debito pubblico.
la proposta elaborata da gallino,
biagio bossone, Marco cattaneo,
stefano sylos labini, dal sottoscritto e da altri economisti**
(vedi monetafiscale.it), farebbe ripartire l’economia, verrebbe accolta con grande entusiasmo sia
dai lavoratori che dagli imprenditori, e rispetterebbe perfettamente i trattati europei: infatti i
ccf, essendo titoli fiscali, non
romperebbero il monopolio della
bce sulla moneta unica, e, come
pretende la ue, non aumenterebbero il debito pubblico. insomma,
non sarebbe necessario spaccare
l’euro per rilanciare l’economia.
sul piano politico è chiaro che
l’unione europea e la bce non farebbero salti di gioia di fronte al
fatto che venga emesso un titolo
che in pratica aggira il monopolio
della bce e diventa moneta nazionale contro i diktat della ue e di
berlino. anche le banche, che
pure avrebbero molto da guadagnare dalla ripresa dell’economia,
potrebbero essere contrarie all’emissione di una sorta di nuova
moneta statale concorrente con
quella bancaria. tuttavia la moneta fiscale, in italia come in grecia e negli altri paesi del sud
europa, è forse l’unica via concreta di uscita dalla crisi. e’ ora
che la sinistra e le forze di opposizione se ne accorgano e abbraccino il progetto.
* da economiaepolitica.it
* Attualmente i promotori dell’appello sono, oltre quelli citati, i docenti:
Maria
Luisa
Bianco,
Massimo Costa, Stefano Lucarelli,
Guido Ortona, Tonino Perna.
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europa/grecia
luigi vinci
viva varoufakis!
infuria l’attenzione Mediatica, con scarne eccezioni, Mi pare solo dal lato del Manifesto,
sul tratto naïf dell’abbigliaMento del Ministro greco varoufakis alle riunioni europee per
il “salvataggio” della grecia: in Quanto prova provata, se ce n’era bisogno, del suo “coMportaMento dilettantesco” in Queste riunioni.
da una parte la totalità dei ministri economici degli altri paesi,
giacca, cravatta e toni di grigio
ministeriale, a segnalare sobrietà,
scientificità, conti precisi, desiderio di venire incontro ai greci ma
su basi serie; dall’altro un simpatico ma ormai noioso comiziante
che insensatamente insiste a difendere la popolazione greca
dall’ennesimo assalto alla baionetta euro-germanico orientato,
per il bene di essa, ovviamente, a
farla definitivamente fuori.
riescono a capirsi, mi sono chiesto in tutto il periodo che ci separa dalla vittoria elettorale di
syriza, varoufakis e gli altri ministri economici europei? perché la
questione è molto semplice, ma al
tempo stesso si tratta di un confronto tra posizioni e linguaggi inconciliabili, dove magari alcune
parole sono le stesse, ma significano cose completamente diverse. come, per esempio, le
parole “ripresa dell’economia”. significa anche ripresa dell’occupazione e del benessere sociale,
oppure, concretamente, il contrario?
varoufakis dice: non possiamo
più spremere la popolazione
greca, che è allo stremo, cioè non
possiamo continuare a tagliare
pensioni e servizi sociali, licenziare gli impiegati pubblici che li
realizzano, lasciar correre i salari
in un mercato del lavoro privo di
regole perché così continuano a
cadere, né possiamo continuare
ad alienare ad acquirenti esteri il
patrimonio nazionale, i suoi porti,
le sue poche industrie, le sue
isole. le vostre tabelle dicono da
anni che operando su questa linea
l’economia riprenderà: non ha
fatto invece che precipitare.
la ripresa economica della grecia
può solo passare per un miglioramento delle condizioni di vita popolari. le risorse finanziarie per
realizzarla vanno perciò reperite
nella grande ricchezza dei grandi
evasori fiscali e combattendo la
corruzione degli apparati amministrativi. non siamo in grado di
presentare al riguardo conti precisi, perché si tratta di avviare una
lotta. consentiteci un po’ di fiato,
si tratta di quattro soldi, un infinitesimo di quel che continuate a
dare a quelle banche che speculando hanno portato la crisi usa in
europa. siamo stati mandati al governo con questo programma, che
significa anche difesa della nostra
dignità di popolo.
gli altri ministri hanno le loro tabelline esattissime al centesimo,
che spiegano come uccidendo i
pensionati greci e i bambini greci
con patologie gravi e continuando
a immiserire operai, impiegati,
piccolo lavoro autonomo, la grecia andrà meglio. non è il caso di
dire molto di più: i loro discorsi li
conosciamo, ci vengono esposti
tutti i giorni da entusiasti operatori della grande stampa e della
televisione, sono i medesimi che
hanno giustificato la “riforma”
Monti-fornero delle pensioni, la
distruzione definitiva dello statuto dei lavoratori, la prosecuzione alla grande del precariato
arricchita da nuovi nomi in inglese.
Qualche considerazione. Questa
discussione che sembra tra sordi
è indicativa di un disastro europeo assoluto, più precisamente
del fatto che mentre gli altri
grandi sistemi non europei, statali
e superstatali, tendono a crescere,
con tutta la fatica e tutti i contrasti
e i drammi che si vuole, l’europa
si è infilata in un tunnel senza
uscita e dichiara che questa è la
strada giusta. poniamoci la questione del come e del perché da
tre lati.
il primo consiste nel quesito di
che fine abbia fatto quell’illumini-
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smo cui la civiltà europea formalmente si richiama, cioè quel
grande passaggio dal dominio
della superstizione, in genere in
abito religioso e portata dalle gerarche religiose, su tutto, dalla politica
alle
scienze,
dall’organizzazione sociale alla
sessualità e alla famiglia, ecc.,
verso, invece, il dominio del ragionamento critico su base concreta,
l’autonomia della cultura, della ricerca scientifica, della politica, dei
governi.
le dottrine liberiste, nel complesso delle loro varianti contemporanee, hanno fatto cilecca
ovunque. oggi tocca all’europa,
ma nei decenni trascorsi è toccata
ai paesi della periferia capitalistica, producendo in africa centinaia di milioni di morti (solo in
bambini una media di 10 milioni
all’anno) per fame, guerre etniche, ecc. Quelle dottrine vantano
che le economie, dopo aver fatto
i “compiti” ovvero i “sacrifici”, si riprendono: ma è sempre successo
così nella storia, infatti il problema non è questo, è come fare
riprendere le economie, primo,
alla svelta, secondo, senza massacri dove la gente è più povera e
tracolli delle condizioni di vita
dove la gente è meno povera.
immanuel kant scrisse come il razionalismo medievale (l’analogo
delle tabelline liberiste di oggi),
poiché tramite la pura attività logica mentale è in grado di “dimostrare” tutto e il contrario di tutto,
non ha nulla di scientifico, non è
in grado di recare alcun contributo alla conoscenza: mentre la
ricerca scientifica effettiva, praticata osservando la realtà e intervenendovi sperimentalmente, era
l’unica via dell’incremento del sapere e della risposta valida ai problemi.
karl popper argomenterà quasi
due secoli dopo come una teoria
che si pretenda scientifica dinanzi
al fallimento empirico o sperimentale di una qualsiasi sua tesi è obbligata a ricostruirsi a fondo, pena
la sua retrocessione dal rango di
teoria scientifica a quello di superstizione.
si noterà che ho citato, anche per
autodifesa, due grandi studiosi
borghesi, non Marx e lenin.
siamo oggi dominati in europa (lo
sono la politica, le università, i
media) dai portatori fanatici, incapaci anche di un momento di ripensamento, di un apparato di
superstizioni ben confezionato.
il secondo lato della questione
porta al quesito del perché mai
una tale caduta verticale in una
superstizione bigotta di nuovo
tipo coinvolga i grandi apparati di
potere politici e culturali. non
sono certo composti, pur con le
necessarie eccezioni, da imbecilli;
tutt’altro, si tratta in genere di
persone molto intelligenti e molto
colte.
che siano economicamente competenti, è però un altro par di maniche: ciò che “sanno” sono le
tabelline preparate da tecnici formati nelle università liberiste occidentali del tipo bocconi, stando
ai quali se la realtà dice una cosa
diversa dalle tabelline è la realtà a
essere sbagliata. l’economista
vero del consesso dei ministri
economici europei è varoufakis.
la mia risposta al quesito, molto
in sintesi, è questa: il liberismo,
imposto al mondo in due tornate
dalle presidenze statunitensi reagan (anni ottanta) e clinton (anni
novanta) fu un tentativo di venire
fuori da una situazione imballata
del capitalismo mondiale, di caduta cioè dei profitti; e il mezzo
consistette nel consenso alla
grande finanza di operare liberamente a livello planetario, sia sul
terreno dell’espansione dell’area
e delle forme di investimento che
sul terreno della speculazione,
cioè attraverso la produzione autonoma, in forma di titoli di ogni
tipo, di denaro di fatto.
ciò ha portato alla ripresa dell’economia mondiale, ma anche a
continue cadute critiche, di cui
quella del 2007-2008 è risultata
devastante. parimenti ha portato
a una redistribuzione della ricchezza mondiale violentemente
asimmetrica, tutta a grande vantaggio dei vertici economici e
delle loro partnership politiche e
culturali e tutta a grande svantag-
gio delle classi popolari, cioè delle
maggioranze sociali. in breve, la
crisi fu solo spostata in avanti nel
tempo da reagan e clinton, e si è
presentata a un certo momento in
forma particolarmente aggravata
soprattutto in quell’occidente che
aveva inventato, o praticato da subito e in maniera assoluta, le politiche liberiste.
c’è un grande motore planetario,
giova sottolineare, la grande finanza speculativa, che succhia
quotidianamente enormi volumi
di ricchezza dalle tasche delle
maggioranze sociali, cioè della
ricchezza che queste maggioranze creano agendo nell’economia “reale”: all’incirca cioè volumi
pari a qualcosa come metà del pil
mondiale. ecco quel che spiega
come mai crescita tecnologica e
anche crescita produttiva non producono più benefici sociali, come
era invece un tempo, pur attraverso le lotte di classe popolari.
veniamo ai grandi apparati di potere politici e culturali. essi sono
protagonisti fanatici delle politiche liberiste per ragioni molto
semplici. cito James galbraith, da
repubblica: si tratta, riguardo al
grosso dei ministri economici europei, di “politici preoccupati del
loro destino personale in patria,
per lo più esponenti della destra
estrema in coalizioni di centro-destra, oppure terrorizzati che a
casa loro accada qualcosa di simile all’ascesa di syriza”.
Mi permetto di aggiungere, grazie
anche alla copertura che mi viene
da galbraith, come si tratti di figure pronte, alla fine dei loro
mandati, a passare alla gestione
di grandi amministrazioni pubbliche oppure a entrare nei consigli
di amministrazioni di grandi banche o di grandi multinazionali. insomma il loro “terrore” è anche di
trovarsi esclusi dall’area dei padroni del mondo, di quelli che,
crisi sì crisi no, continuano ad accumulare miliardi e potere.
il terzo lato della questione l’ho
già avviato ma voglio esplicitarlo.
lo scontro tra varoufakis e i ministri economici degli altri governi
europei esprime sul terreno della
politica economica, lo scontro politico di classe avviato segnatamente in europa dai livelli alti
borghesi-capitalistici e dai loro
rappresentanti politici, culturali,
ecc.
in europa i movimenti dei lavoratori hanno realizzato, con grandi
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sforzi e grandi sacrifici e scontando feroci repressioni, nell’arco
di quasi un secolo e mezzo, immense conquiste di civiltà: diritti
sociali in forma universalistica e il
passaggio, da dittature reazionarie o da sistemi parlamentari nei
quali potevano votare solo i maschi ricchi, a democrazie, cioè a
realtà statali partecipate da tutta
la popolazione. profittando di ciò
che è avvenuto nell’economia
mondiale dagli anni ottanta in
avanti i vertici economici capitalistici e i loro associati politici e culturali hanno intrapreso una
controffensiva antisociale distruttiva. l’unione europea ne è stata
lo strumento politico principale, e
la cosa continua. la crisi del
2007-2008 è stata l’occasione per
accelerare il ritmo e incrementare
gli obiettivi della controffensiva.
ho posto la domanda, all’inizio,
se varoufakis e i suoi colleghi europei si capiscono. certo che sì.
solo che stanno politicamente ai
lati opposti della frattura sociale.
credo, in ultimo, che l’intenzione
di varoufakis (e del governo greco
nella sua interezza) sia primariamente di prendere tempo, usando
la forza obiettiva del prezzo che i
poteri europei politici ed economici pagherebbero per un ipotetico default ovvero per una
dichiarazione di insolvenza della
grecia nei confronti dei creditori,
oggi soprattutto gli altri stati europei, più qualcosa soprattutto
nelle banche tedesche. i governanti greci inoltre stanno usando
sagacemente la carta di possibili
sviluppi dei loro rapporti economici e politici con russia e cina.
l’obiettivo degli altri governi europei è palesemente, a sua volta,
di ottenere dalla grecia anche
solo una dichiarazione ridotta di
accettazione delle misure di bilancio peggiori che essa rifiuta,
quelle cioè riguardanti pensioni,
pubblico impiego e alienazioni
(“privatizzazioni”) del patrimonio
pubblico: se hanno paura di una
crisi della tenuta in molti paesi dei
governi liberisti, hanno paura
pure degli effetti finanziari e sulla
ripresina economica del default
greco, così come di uno sgangheramento dei rapporti di forza politico-militari in europa. sono tra
l’incudine e il martello. sbaglierò,
ma è la grecia la parte più forte
dello scontro politico
APPELLO
Legge di iniziativa popolare:
Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza
storico-linguistica dei Rom e dei Sinti
Rom e Sinti sono la più grande minoranza europea – oltre 12 milioni distribuiti in
tutti i Paesi -; non hanno una terra di riferimento, neppure l’India delle lontane origini,
non hanno, come altre minoranze, rivendicazioni territoriali, quindi non hanno mai
fatto guerre per rivendicare una patria, non hanno sedi di rappresentanza, sono cittadini del luogo nel quale vivono. Rappresentano quindi il perfetto popolo europeo,
ma ciononostante sono il popolo più discriminato d’Europa.
In Italia sin dal 1400 Rom e Sinti sono la minoranza storico-linguistica più svantaggiata e più stigmatizzata nonostante gli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia
e gli interventi di numerose organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’Unione europea. In Italia Rom e Sinti sono circa 150.000, oltre metà cittadini italiani, ma ciononostante continuiamo
ad essere considerati fondamentalmente come “estranei” e “nomadi”. Il “nomadismo” moderno è piuttosto rappresentato dall’essere
ancora un popolo che vive ai “confini”, non solo fisici, nel tentativo di costruire dei rapporti di pacifica convivenza e di mantenimento
della propria identità, che consiste anche in una concezione di vita, che si può anche definire uno stato dell’anima, un modo di
vedere il mondo, lo spazio e il tempo che non si possono omologare.
Anche per questa “irriducibilità” all’omologazione, le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella
del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione al privato sociale. Eppure la partecipazione di rom e sinti alla
vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo
che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali,
nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità.
La proposta di legge di iniziativa popolare “NORME PER LA TUTELA E LE PARI OPPORTUNITA’ DELLA MINORANZA STORICOLINGUISTICA DEI ROM E DEI SINTI “ presentata da 14 cittadini italiani in rappresentanza di 47 associazioni rom e sinte il 15
maggio 2014 presso la Corte di Cassazione vuole realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono la pari dignità sociale
e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la tutela di tutte le minoranze storico-linguistiche con apposite norme; contrastare discriminazione e pregiudizio nei
confronti della minoranza rom e sinta che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione
sociale ed economica anche per i loro mancato riconoscimento istituzionale come minoranza.
Il disegno di legge di iniziativa popolare si articola in diversi punti:
1. la specifica tutela del patrimonio linguistico-culturale della minoranza rom e sinta, con istituti analoghi a quelli previsti dalla legge
n. 482/1999 per tutte le altre minoranze (diritto allo studio e all’insegnamento della lingua, diffusione della cultura e delle tradizioni
storico-letterarie e musicali);
2. l’incentivo e la tutela delle associazioni composte da Rom e Sinti, conforme alla libertà di associazione prevista dall’articolo 18
della Costituzione per favorire la partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale, culturale e politica del Paese;
3. il diritto di vivere nella condizione liberamente scelta di sedentarietà o di itineranza, di abitare in alloggi secondo una pluralità di
scelte secondo le norme della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali di Strasburgo dell’1 febbraio 1995, le
raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dell’OCSE e della Commissione europea e la Strategia nazionale d'inclusione dei Rom,
dei Sinti e dei Caminanti;
4. norme che sanzionino le discriminazioni fondate sull'appartenenza ad una minoranza linguistica in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza senza distinzione di lingua e di etnia.
Chi condivide questo appello condivide la convinzione che il riconoscimento della minoranza rom e sinta, della sua storia, della sua
cultura, insomma della sua identità consente di accogliere rom e sinti nella comunità più generale insieme con tutte le altre identità
che costituiscono il nostro patrimonio nazionale.
Promotori della proposta di legge di iniziativa popolare:
Dijana Pavlovic, Davide Casadio, Saska Jovanovic, Ernesto Grandini, Manuel Solani, Cen Rinaldi, Yose Bianchi, Giorgio Bezzecchi, Concetta Sarachella, Donatella Ascari, Massimo Lucchesi, Carlo Berini, Paolo Cagna Ninchi, Alessandro Valentino
Prime Adesioni:
Alma Adzovic (mediatrice), Osmani Bairan (AIZO), Rita Bernardini (segretaria nazionale Radicali Italiani), Antun Blazevic (Associazione TheaterRom), Paolo Bonetti
(Università Bicocca di Milano), Luca Bravi (storico), Marco Brazzoduro (Associazione Cittadinanza e Minoranze), Alberto Buttaglieri (SOS razzismo), Giuseppe Casucci
(Dipartimento immigrazione UIL), Roland Ciulin (giornalista), Giuseppe Civati (parlamentare), Furio Colombo (giornalista), Kurosh Danesh (Dipartimento immigrazione
CGIL), Chiara Daniele (ricercatrice), Giancarlo De Cataldo (scrittore), Michele Di Rocco (campione europeo pesi leggeri), Roberto Escobar (Università Statale Milano),
Paolo Ferrero (segretario Partito della Rifondazione comunista), Eleonora Forenza (europarlamentare), Mercedes Frias (Associazione Prendiamo la parola), Dori Ghezzi
(Fondazione Fabrizio De André), Alfonso Gianni (Fondazione Cercare Ancora), Graziano Halilovic (Associazione Roma onlus), Laura Halilovic (regista), Selly Kane (Dipartimento immigrazione CGIL), Curzio Maltese (europarlamentare), Luigi Manconi (presidente Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani),
Filippo Miraglia (ARCI), Moni Ovadia (autore-attore), Francesco Palermo (parlamentare), Marco Pannella (Presidente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale
Transpartito), David Parenzo (giornalista), Loris Panzeri (GRT), Pino Petruzzelli (autore-attore), Marco Revelli (storico e sociologo), Paolo Rossi (autore-attore), Giuseppe
Sangiorgi (Istituto Luigi Sturzo), Angela Scalzo (Dipartimento immigrazione UIL), Pietro Soldini (CGIL nazionale), Giovanna Sorbelli (Associazione EU Donna), Barbara
Spinelli (europarlamentare), Santino Spinelli (docente, musicista), Gennaro Spinelli (Associazione FutuRom), Carlo Stassolla (Associazione 21 luglio), Voijslav Stojanovic
(AssociazioneNonsolorom), Vladimiro Torre (Associazione Them Romanò), Antonio Tosi (Politecnico di Milano), Elena Valdini (Fondazione Fabrizio De André), Tommaso
Vitale (Direttore scientifico Master “Governing the Large Metropolis” Sciences Po, Parigi), Alex Zanotelli (missionario comboniano).
Per adesioni: [email protected]
Comitato promotore legge di iniziativa popolare
Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza storico-linguistica dei Rom e dei Sinti
Iniziativa annunciata nella Gazzetta Ufficiale del 16 maggio 2014 n. 112
[email protected][email protected]
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