Guitar Book. La guida completa per il chitarrista

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Guitar Book. La guida completa per il chitarrista
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Primi passi
La prima chitarra
Senza avere la pretesa di pronunciare insegnamenti profetici, qualche consiglio per partire
con il piede giusto...
Innanzitutto diciamo che, se anche il nostro obbiettivo è suonare la chitarra elettrica,
comunque può essere meglio partire con una classica o un'acustica. Questo
semplicemente perché l'acquisto di una chitarra elettrica è sempre abbastanza oneroso,
sia per il prezzo dello strumento in sé, sia per gli accessori che richiede. Inoltre,
comprando una chitarra elettrica senza avere una conoscenza adeguata dello strumento
potrebbe portare ad acquisti sbagliati: vi sono veramente infiniti modelli che possono
montare componenti molto diverse.
Allora, classica o acustica? In realtà la differenza per chi mette per la prima volta le mani
su una chitarra è minima: se davvero si vuole passare all'elettrica può essere meglio
comprare un'acustica, che con il suo manico stretto e bombato e con le corde metalliche si
avvicina di più ad alle caratteristiche dell'elettrica, ma per chi parte da zero cambia
davvero poco.
Con questa nostra prima chitarra possiamo iniziare a prendere confidenza con lo
strumento, cominciare a metterci mano e capire le posizioni più adeguate ed i principi
fondamentali del suo funzionamento. In questa fase è fondamentale assimilare con calma
la gran quantità di informazioni basilari pratiche e teoriche che comunque sono
indispensabili. Se non abbiamo nessun maestro a guidarci i primi passi possono essere
davvero difficoltosi in quanto non saremo in grado di ottenere risultati apprezzabili prima di
esserci lasciati alle spalle un bel po' di ore di pratica ma è molto importante non lasciarsi
mai prendere da eccessiva fretta: l'approccio deve essere sempre graduale e progressivo.
Anche volendo studiare da auto-didatti, è sempre consigliabile avere a portata di mano un
amico che possa aiutarci in caso di necessità: potrà toglierci qualche dubbio e fornirci
almeno le dritte essenziali per cominciare a suonare.
Anche senza disporre di tutti i suoni che ci potrebbe dare un'elettrica la chitarra acustica (o
classica) è a tutti gli effetti uno strumento completo e non bisogna assolutamente
sottovalutarlo: molto spesso chitarristi rock vedono la chitarra classica come una specie di
elettrica mancata, mentre in realtà è l'oggetto di tecniche molto diverse dalla 'scuola jazz',
quella del rock e degli accordi per intenderci. Molti chitarristi iniziano ad interessarsi allo
strumento proprio per il fascino della chitarra elettrica, ma avere tra le mani per un po' di
tempo un'acustica o una classica ci aiuterà a conoscere nuovi tipi di sonorità e magari ci
scopriremo più interessanti ad approfondire questo tipo di strumento prima di correre a
comprare un'elettrica.
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La prima chitarra elettrica
Come sceglierla, cosa guardare, come evitare di fare un cattivo affare.
Dopo aver fatto un po' di pratica sulla chitarra acustica o classica (abbiamo fatto un po' di
pratica, vero?), se proprio il nostro strumento non amplificato ci ha stancati, possiamo
cominciare a pensare a comprarci una chitarra elettrica.
Essendo la nostra prima chitarra elettrica, non è detto che vogliamo spendere un capitale:
con questa premessa possiamo scegliere se comprarne una usata o una nuova ma poco
'prestigiosa'. Il mio consiglio è di comprarne una usata. Certo, acquistando una chitarra di
seconda (o terza, o quarta...) mano dovremo stare bene attenti che non presenti problemi
o difetti gravi, però ci basterà essere un po' svegli per portarci a casa a poco prezzo uno
strumento di qualità eccellente, con cui sarà tutto più facile. Senza contare che una
chitarra davvero di qualità può essere pressoché eterna. Comprandone invece una nuova
ma di marca ignota o quasi rischiamo, spendendo gli stessi soldi, di avere tra le mani uno
strumento di qualità mediocre, che non ci darà una mano nell'apprendimento e che
probabilmente dovremo cambiare quando saremo diventati bravi e sentiremo la necessità
di 'qualcosa di più.
Qualcuno si chiederà: "come può uno strumento aiutarci a suonare?". Può eccome: una
buona tastiera, dei buoni tasti, dei buoni pickup, la qualità dei legni e dei materiali...sono
tutti elementi che ci aiuteranno sia a migliorare la nostra tecnica, sia a ottenere buoni
risultati. Spesso chitarre di cattiva qualità richiedono una maggiore pressione sulle corde,
presentano una tastiera più lenta e offrono suoni meno apprezzabili.
A questo punto però bisogna chiarire che non tutte le chitarre sconosciute sono cattive
chitarre e non tutte le chitarre di buona marca sono buone chitarre: l'unico modo per
individuare una chitarra qualitativamente buona è provarla. Proprio per questo ci sarà
d'aiuto aver suonato un po' sulla chitarra acustica: sapremo capire subito se la chitarra che
stiamo provando ha un carattere diverso da quello che ci aspettiamo.
Ora ci resta da capire solo cosa deve avere la nostra chitarra. Tralasciando tutto ciò che
riguarda l'estetica che naturalmente non dipende da un giudizio oggettivo, possiamo dare
un'occhiata alle più diffuse soluzioni, agli 'optional' e alle dotazioni di ogni strumento
tenendo sempre presente il genere di uso che abbiamo in mente.
Per quanto riguarda l'elettronica è sempre bene tenere presente le differenze sostanziali
tra i vari tipi di pickup, attivi e passivi, single-coil e humbucker. In realtà con ogni buona
chitarra elettrica si può suonare qualunque genere, però avere sotto mano il materiale
giusto ci aiuterà.
Un altro elemento da tener presente è il ponte mobile. Molte chitarre montano questo
dispositivo: è chiaro che diventa una complicazione inutile se ci interessa solo suonare
basi punkrock, ma con l'esperienza possiamo sempre imparare a farne buon uso e si può
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rivelare molto utile. Insomma, comporta qualche problema in più nel cambio-corde e
nell'accordatura, però probabilmente ci tornerà comodo. A nostra discrezione, decidiamo
in base al genere che abbiamo in mente, come già detto il ponte mobile non serve a molto
se vogliamo suonare solo accompagnamenti o come chitarra ritmica.
Diamo un'occhiata alla qualità delle meccaniche (meccaniche buone non richiedono
alcuno sforzo nell'accordatura), alla presenza eventuale del blocco corde prima del
capotasto (delle viti che fissano le corde affinché non si scordino usando il ponte mobile),
osserviamo il profilo del manico per capire se soffre di lieve torsione, controlliamo che i
tasti metallici siano adeguati alle nostre esigenze e non richiedano troppo sforzo alle dita
della mano sinistra.
Accordare la chitarra
Oltre ad essere un'abilità che dobbiamo forzatamente possedere, è anche un pratico
esercizio per affinare l'orecchio: vediamo come accordare la nostra chitarra.
Quando si è agli inizi accordare la chitarra può essere davvero difficile, molto più difficile
che suonare qualche accordo. Ci servirà un bel po' di esercizio per riuscire ad accordare
con disinvoltura le sei corde, ma soprattutto ci servirà molta pazienza: dobbiamo
assolutamente resistere alla tentazione di utilizzare un accordatore elettronico.
Prima di iniziare però dobbiamo sapere quali sono le note che dobbiamo ottenere da
ciascuna corda: l'accordatura standard è detta EADGBe. Questa strana sigla ha in realtà
un significato molto semplice da comprenderle, ma per poterne parlare dobbiamo fare un
salto indietro e vedere la siglatura internazionale delle sette note:
DO = C
RE = D
MI = E
FA = F
SOL = G
LA = A
SI = B
Un modo migliore per memorizzare e ricordarli la terminologia
internazionale è quella di partire dal LA con la scala e cioè
(LA,SI,DO,RE,MI,FA,SOL) e andare in ordine alfabetico partendo dalla
lettera A e cioè (A,B,C,D,E,F,G). In questo modo basta ricordarsi che la
lettera A corrisponde alla nota LA il resto viene seguendo la scala
normale delle note.
Se siamo abituati ai nomi tradizionali delle note ci troveremo un po' in difficoltà a
memorizzare queste sigle, ma sono veramente fondamentali per suonare la chitarra,
pertanto meglio impararle bene fin da subito. Avevamo detto che l'accordatura si dice
EADGBe: ora questa sigla assume un senso. Indica infatti le sei note generate dalla
vibrazione a vuoto (senza premere nessun tasto) delle sei corde, partendo dalla corda più
grave (la più spessa). Quest'ultima pertanto, suonata a vuoto, dovrà generare un E, ossia
un MI. La seconda corda un A, ossia un LA, e così via. L'ultima corda, la più sottile, viene
indicata da e: la lettera minuscola ci ricorda che si tratta di un MI inferiore di un'ottava a
quello della prima corda. Un piccolo schema per chiarire ulteriormente:
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e (mi) ------------------------------------------------B (si) ------------------------------------------------G (sol) ------------------------------------------------D (re) ------------------------------------------------A (la) ------------------------------------------------E (mi) -------------------------------------------------
Ecco le sei corde con le rispettive note. Finalmente possiamo passare all'accordatura vera
e propria.
Per accordare lo strumento ci serve forzatamente un parametro esterno, ossia un suono
da usare come confronto: tale suono deve essere sicuramente noto, quindi dobbiamo
conoscerne la nota con certezza. La nota universalmente utilizzata è il LA a 440Hz, con
frequenza naturale definita da un numero intero e corrispondente alla quinta corda (D'ora
in poi le corde vengono lette in senso opposto e cioè la prima corda corrisponde al Mi
sottile, la seconda al Si e cosi via).
Dunque ci serve uno strumento in grado di restituirci con certezza un LA a 440Hz:
abbiamo diverse possibilità. A tale impiego si prestano infatti ottimamente diversi
strumenti, primo tra tutti il diapason: costituito da 2 barre metalliche, messo in vibrazione
genera un LA perfetto. Il problema è che questo LA risulta essere un'ottava più alto di
quello che ci serve per la seconda corda della chitarra (un LA appunto): dovremo avere
buon orecchio. Si possono acquistare anche accordatori a fiato, ossia particolari 'fischietti'
che generano proprio il LA che interessa a noi. Oppure possiamo affidarci a strumenti
dall'accordatura più salda, come ad esempio un pianoforte.
Una volta che sappiamo dove reperire questo famoso LA, possiamo iniziare ad accordare
la "quinta" corda della nostra chitarra: la suoniamo senza premere nessun tasto e
confrontiamo il suono ottenuto con il LA di riferimento. Se la nostra corda emette un suono
più
grave
dovremo
tenderla
ulteriormente
attraverso
la
chiavetta
(meccanica) corrispondente, se il suono è troppo acuto dovremo invece renderla meno
tesa intervenendo sempre sull'apposita meccanica. Quando i due suoni ci appariranno
identici (sempre tenendo conto del diverso timbro dei due strumenti...) potremo procedere
ad accordare le altre corde.
La quarta corda (D), la possiamo accordare prendendo come riferimento proprio la corda
che abbiamo appena accordato: premendo quest'ultima al 5° tasto otterremo il Re della
quarta corda. Lavoriamo confrontando i due suoni come fatto prima.
Il suono della terza corda (G) si ottiene in modo analogo, al 5° tasto della quarta corda.
Invece la seconda corda (B) corrisponde al 4° tasto della terza corda, mentre la prima
corda (e) la otteniamo dal 5° tasto della seconda.
Ci manca solo il MI della sesta corda: anche la prima corda è un MI, quindi possiamo
lavorare confrontando le due, ricordandoci sempre però che la prima corda è di un'ottava
superiore. Oppure possiamo accordare la sesta corda sapendo che il suo 5° tasto
corrisponde alla quarta corda, al LA.
Decisamente complicato, vero? In realtà con un piccolo schema è molto più intuitivo:
vediamo ora le varie corde affiancate al loro suono di riferimento.
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VI
V
IV
III
II
I
E = al 5° tasto è uguale alla V
A = LA 440 (diapason, accordatore, pianoforte...)
D = V corda al 5° tasto
G = IV corda al 5° tasto
B = III corda al 4° tasto
e = II corda al 5° tasto
Dunque si tratta fondamentalmente di confrontare un suono di riferimento con la corda
che dobbiamo accordare suonata a vuoto.
E' facile capire come ci voglia un orecchio ben allenato per svolgere con la dovuta
precisione il lavoro di confronto tra suoni: proprio per questo è un esercizio utilissimo e
direi fondamentale. Il mio consiglio è di cominciare a usare gli accordatori elettronici solo
dopo aver affinato l'udito ed aver imparato ad accordare con velocità da soli: l'accordatore
può essere utile per velocizzare la accordature ma non va considerato come una
scorciatoia per imparare ad accordare.
Infine bisogna sottolineare che alcuni chitarristi utilizzano accordature diverse dalla
standard EADGBe: tali variazioni possono essere utili per semplificare le diteggiature
volendo ottenere particolari suoni, o semplicemente per sperimentare nuove sonorità. Si
parla in particolare spesso di "dropped C" o "dropped D": in questi casi la prima corda
viene ribassata a C o D. Dunque le accordature corrispondenti saranno DADGBe e
CADGBe, ma le variazioni possibili sono infinite. Di solito all'inizio di ogni tablatura o
spartitura troviamo indicata l'accordatura in uso.
Accordare con ponte mobile
Impariamo ad accordare una chitarra che monta ponte mobile: una procedura piuttosto
semplice, ma che è opportuno tenere bene a mente.
Abbiamo capito il funzionamento del ponte mobile: ora non ci resta che capire come
accordare una chitarra che monta tale dispositivo usando le manopole per l'accordatura
fin. Se non sappiamo cosa sono andiamo a riprendere un paio di schemi:
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Le viti di cui stiamo parlando sono indicate nel primo dalla lettera E, nel secondo dal
numero 10.
Dunque, per iniziare ad accordare dovremo allentare il morsetto che si trova dietro al
capotasto (A nel primo schema): così con le meccaniche potremo accordare normalmente
le corde.
Una volta accordate tutte e sei le corde, serriamo le viti del morsetto: così facendo
isoliamo le meccaniche, bloccandone l'accordatura.
E' ora di intervenire sulle viti per l'accordatura fine: ciascuna vite funziona come una
piccola meccanica e ci consente di ottenere velocemente un'accordatura precisa. Usando
queste viti possiamo quindi accordare velocemente la chitarra per ovviare a lievi
scordature dovute all'uso del ponte mobile.
Le meccaniche in questo modo saranno usate piuttosto raramente, ossia quando dovremo
cambiare le corde oppure nel caso in cui dobbiamo suonare con accordature stravaganti:
le viti per l'accordatura fine infatti non consentono grandi passaggi di tono, avendo
un'escursione limitata, pertanto per passare ad esempio da E a C dovremo probabilmente
svitare il morsetto e usare la meccanica.
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Ripassiamo:
1.
2.
3.
4.
Allentiamo il morsetto
Accordiamo normalmente usando le meccaniche
Serriamo il morsetto
Perfezioniamo l'accordatura con le viti
Alcuni appunti: innanzitutto, le viti per l'accordatura fine si chiamano viti, ma in realtà non
sono tali! Si tratta di piccole manopole che si manipolano tranquillamente con le dita.
Meglio specificare, per non confonderci con altre viti (ad esempio quelle usate per regolare
l'action delle corde...!).
Infine, ricordiamoci che il morsetto che sta dietro al capotasto NON regge da solo la
tensione delle corde! Dunque, anche quando è serrato, le meccaniche non possono
essere spostate, perchè l'accordatura si perderebbe comunque!
Il Plettro
Come impugnare il plettro, come usarlo: basilari informazioni da tenere presente.
Il plettro è fondamentalmente un sottile triangolo di plastica usato per mettere in vibrazione
le corde. Naturalmente ne esistono di diversi materiali e forme, ma la caratteristica che
più ne influenza la prestazione è il suo spessore, indicato in millimetri: un plettro più
spesso è anche più rigido e quindi non si fletterà a contatto con le corde. Ognuno si trova
bene con un tipo di plettro diverso, quindi è bene provarne diversi per trovare quello adatto
al nostro stile: per suonare bene è anche importante avere un buon feeling con il proprio
plettro.
Di solito il plettro si stringe tra pollice e indice, ma si può anche impugnare tra pollice e
medio. E' necessario che il plettro sia ben saldo tra le nostre dita, tuttavia l'impugnatura
dev'essere sciolta e consentire un certo gioco al plettro, in modo da assecondare le sue
reazioni a contatto con le corde.
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Osserviamo il primo schema (è vero, le corde non hanno tutte lo stesso diametro chiedo
scusa!). Possiamo suonare inclinando il plettro in modo diverso rispetto alle corde: la
prima posizione solitamente si usa nelle pennate verso il basso, per far sì che il plettro
scorra più facilmente sulle corde. La seconda posizione piuttosto neutra può essere usata
in pennate alternate o suonando poche corde contemporaneamente. Infine, la terza
posizione, si usa solitamente per la pennata dal basso.
Ora guardiamo il secondo schema: si tratta ancora di tre diverse posizioni del plettro, ma
questa volta vediamo 'l'affondamento' nelle corde: la posizione che causa una maggior
vibrazione della corda è senz'altro la C, con l'intera punta del plettro tra le corde, ma in
questa posizione è anche piuttosto difficile suonare velocemente, cosa che invece ci
riuscirà semplicissima con la posizione A, ossia sfiorando appena le corde. Tornando per
un istante al primo schema, possiamo infine notare che mantenendo il plettro inclinato
come in 1° e 3° posizione potremo suonare velocemente pur affondando come in
posizione C, perché l'inclinazione del plettro ci aiuterà a scorrere tra le varie corde: si tratta
di un comodo compromesso e abbiamo ora capito perchè la posizione n°2 sia meno
istintiva.
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La mano destra
Molti dubbi attanagliano i neofiti: quale è la posizione corretta della mano destra? Deve
appoggiarsi allo strumento o no? Facciamo chiarezza!
Suonando in pizzicato ad ogni corda dedichiamo un dito (o quasi): distendiamo bene la mano
sulle sei corde
Usando il plettro è importante che quest'ultimo possa raggiungere tutte le corde, le altre dita di
solito non servono: la posizione della mano è più abbassata
La posizione della mano sinistra non desta mai perplessità, perché è definita dai tasti che dobbiamo
suonare.
Invece la mano destra, soprattutto agli inizi, ci fa impazzire: esistono tanti modi per suonare e spesso ci
troviamo ad avere le dita in posizioni scomode. I problemi nascono dal fatto che abbiamo spesso la
necessità di appoggiarci in un punto fisso, sia per mantenere la mano destra più stabile, sia per
orientarci sulle corde.
Finché si tratta di suonare accordi, i problemi sono contenuti: l'unica cosa che può destare qualche
preoccupazione è il palm-muting, che ci richiede di suonare con un gran lavoro di polso, vincolando il
fianco della mano al contatto con le corde. Se siamo soliti suonare con ampi gesti del avambraccio
dovremo abituarci a cambiare velocemente stile, poggiando la mano sulle corde e suonando con il
polso: questione di allenamento. I grossi dubbi vengono però quando dobbiamo suonare singole corde
o gruppi di corde distanti, nel pizzicato o negli assoli ad esempio. Vediamo dove mettere questa mano!
Se dobbiamo suonare senza plettro solo le prime 3 corde (EAD) potremmo trovarci comodi suonando
come se si trattasse di un basso: appoggiamo il pollice sul bordo superiore del pickup e con indice e
medio andiamo a pizzicare le corde. Facile e rapido.
Se invece dobbiamo suonare solo le ultime corde possiamo tranquillamente appoggiarci, sempre con il
pollice, sulle corde superiori.
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Ma quando dobbiamo pizzicare diverse corde con il plettro, come accade in quasi tutti gli assoli e le
scale? Qualcuno si trova comodo appoggiandosi con i mignolo sul body, un po' più in basso del Mi
cantino. Altri si appoggiano anche alla struttura del ponte con l'intero palmo, ma così finiamo per
suonare troppo vicini al ponte stesso, ottenendo suoni metallici e poco profondi.
Suonare in sospensione sulle corde non è poi così difficile: agli inizi, certo, ci sembrerà impossibile.
Sbaglieremo spesso corda, affonderemo male...ma il senso dell'orientamento spaziale sullo strumento
è un istinto che prima o poi bisogna affinare e la fermezza della mano destra è indispensabile.
Quindi, esercitiamoci a suonare cercando meno appigli possibile!
E soprattutto ricordiamoci che possiamo sempre contare sulle corde che non suoniamo, appoggiandoci
su di esse non solo recuperiamo la posizione facilmente ma evitiamo anche di farle vibrare
inavvertitamente!
Il pollice (mano sinistra)
Dove mettiamo il pollice? Come lo posizioniamo sul manico? Togliamoci qualche dubbio
evitando pericolosi errori di impostazione.
Solitamente la posizione del pollice si trova istintivamente già dal primo approccio con lo strumento.
Tuttavia si rischia sempre di incappare in qualche errore di impostazione che può darci problemi per il
futuro: meglio dunque chiarire rapidamente questo dettaglio che può influire parecchio sulla nostra
tecnica e velocità d'esecuzione.
Naturalmente non esiste una regola universale: molto dipende dalle nostre abitudini, dalla nostra
comodità e dal genere che suoniamo. Ciascuno si avvicina alla chitarra in modo personale e non è
detto che una posizione del pollice inusuale sia necessariamente 'sbagliata' o porti a qualche
svantaggio.
Detto ciò, cerchiamo di capire quali sono, in linea di massima, le impostazioni più diffuse ed istintive per
quanto riguarda il pollice della mano sinistra: esse dipendono fondamentalmente da ciò che stiamo
suonando.
Nel momento in cui suoniamo tendiamo a premere con il pollice sul dorso del manico: tale posizione ci
consente di tenere le dita ben pigiate sulle corde. E' lo stesso principio di una pinza in pratica, un gesto
molto spontaneo e fondamentale: una giusta forza ed un giusto posizionamento del pollice ci
consentono di tenere la mano sinistra più 'ferma', dosando l'energia con cui premiamo le corde. Senza
contare che quando ci spostiamo lungo la tastiera è proprio il pollice che, esercitando più o meno
pressione, ci ferma la mano nella posizione che vogliamo.
Se suoniamo accordi 'normali' (per esempio powerchords) il nostro pollice si porta dietro le corde che
suoniamo (nel caso del powerchord dunque, il pollice finisce nella parte alta del manico, dietro le prime
3/4 corde).
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Se suoniamo invece in barrè la posizione cambia: sappiamo bene che il dito più ciritico, in questo caso,
è l'indice che esercita la sua pressione su tutte le corde. Proprio per questo il pollice va a posizionarsi
orizzontalmente proprio contrapposto all'indice e perlopiù al centro (in senso verticale) del manico, così
da aiutare a distribuire la pressione su tutte le corde.
Tuttavia il pollice non è sempre relegato nella parte posteriore del manico: può talvolta tornarci utile
anche sulla tastiera, per almeno due motivi. Innanzitutto può mutare il Mi basso (la prima corda, E),
appoggiandosi su di essa senza premerla.
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Questa impostazione ci può risultare molto comoda se suoniamo con un certa 'forza' e non vogliamo
fastidiose vibrazioni della prima corda.
Ma se possiamo mutarla con una leggera pressione...allora possiamo anche pigiarla! Ebbene sì,
raramente ci tornerà utile, però il pollice può anche premere la prima corda
Posizione che ci può essere utile per qualche virtuosismo, ma che è molto usata per il basso, dove il
manico è più stretto e risulta più agevole portare il pollice sui tasti.
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Collegare chitarra, effetti e ampli
Rapida occhiata sui collegamenti fondamentali che dobbiamo creare tra il nostro strumento e
l'amplificazione.
Innanzitutto consideriamo i cavi: esistono svariati tipi di cavi, ma l'unica cosa di cui bisogna davvero
curarsi è che siano ben schermati. Ma un'altro fattore costitutivo dei cavi può essere importante: la
lunghezza.
Il suono generato da pickup passivi infatti risente particolarmente di cavi troppo lunghi. Problema
inesistente invece per i pickup attivi, visto che il suono di questi ultimi parte dallo strumento già preamplificato. Per questo stesso motivo le elettroniche attive tollerano anche di più una cattiva
schermatura dei collegamenti, poichè eventuali ronzii e disturbi che di solito vengono amplificati
insieme al suono si avvertono di meno.
Solitamente, con un piccolo ampli domestico il collegamento più facile ed intuitivo è il chitarra-effettiampli. Tutto facile, funziona. In realtà però è un tipo di collegamento piuttosto riduttivo, soprattutto nel
momento in cui abbiamo a disposizione una buona preamplificazione: possiamo ad esso collegare
gli effetti almeno secondo due sistemi, a cascata (tutti gli effetti tra pre e ampli) o in send/return (preeffetti-pre-ampli).
Per capire bene questo tipo di collegamento, però, andiamo qua: spiega tutto Luca!
Quali effetti compro?
Gli effetti sono sul mercato sotto diverse forme: quali scegliere? Quali sono le differenze? Brevi
indicazioni per orientarsi..
Unità rack
Pedale singolo
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Pedaliera multi-effetto
Multi-effetto da tavolo (studio)
L'effettistica può essere analizzata almeno sotto due punti di vista: il primo riguarda l'effetto in sè,
come manipolazione del suono. Il secondo invece prende in considerazione l'hardware, ossia l'unità
fisica che racchiude l'effetto (o gli effetti).
Quest'ultimo aspetto è importantissimo per stabilire di cosa abbiamo bisogno: il mercato infatti ci
presenta gli effetti in almeno tre forme.
La prima forma, che chiamiamo in causa e scartiamo subito, è l'unità rack. Le unità rack sono quelle
specie di cassettiere che vediamo ai concerti: unità in grado di gestire diversi effetti
contemporaneamente (compresi effetti 'esterni' come i pedali) e comandate da una pedaliera MIDI.
Comunque come già accennato, per il momento non ne parliamo troppo, visto che di certo non ci sarà
utile acquistarne una finchè non vorremo allestire l'impianto per un concerto di mano nostra.
A questo punto dobbiamo analizzare altri due sistemi: i singoli pedali ed i multi-effetto.
I multi-effetto si presentano fondamentalmente in due forme: da pavimento e da 'studio'. I primi sono
vere e proprie pedaliere, i secondi necessitano di essere collegati ad altre pedaliere per consentire lo
switch immediato tra gli effetti, che altrimenti vanno impostati a mano.
Tutti i multi-effetto, lo dice il nome, consentono di gestire una grande quantità di effetti diversi,
solitamente suddivisi in 'moduli'. In pratica abbiamo la possibilità di impostare un certo numero
di moduli diversi, applicando in ognuno di essi gli effetti che vogliamo e poi, mentre suoniamo,
possiamo passare da un modulo all'altro premendo i pedali.
Ogni pedale singolo, invece, contiene un solo effetto con relative regolazioni. A riguardo c'è poco da
dire: premendo il pedale attiviamo l'effetto, premendo nuovamente il pedale lo disinseriamo.
E ora rispondiamo: cosa ci conviene comprare?
Sulla carta i multi-effetto sono senz'altro vantaggiosi: con un prezzo tutto sommato ragionevole ci
possiamo portare a casa tutti gli effetti di cui avremo bisogno (ed anche di più). Va detto che spesso i
pedali singoli offrono risultati qualitativi più apprezzabili (=un miglior suono!) ed una maggiore e più
'fine' regolazione dei parametri dell'effetto.
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Una cosa è certa: all'inizio conviene scegliere un buon multi-effetto, magari a pedaliera, così da
poterlo usare tranquillamente anche su un palco. In questo modo, avendo a disposizione tutti gli
effetti esistenti, potremo davvero imparare a conoscerli e gestirli.
A questo punto possiamo decidere se continuare con una pedaliera multi-effetto o compiere quel passo
che molti chitarristi ritengono necessario, ossia la creazione di una personale pedaliera composta
da singoli pedali collegati tra loro. Questo passo ci consente di scegliere direttamente quali effetti
acquistare e integrare nella nostra pedaliera, con la certezza di avere sempre uno standard qualitativo
alto.
Bisogna dire che alcune pedaliere multi-effetto in realtà ci possono dare la stessa qualità dei pedali
singoli: a questo punto la valutazione è solo economica, tenendo presente che se ci creiamo una
pedaliera di effetti singoli spendiamo in proporzione al numero di pedali che compriamo, quindi al
numero di effetti che usiamo.
L’Amplificatore
Amplificatore a valvole
Testata e Cassa (JCM900)
Combo (Carvin)
L’amplificatore è una componente fondamentale della catena elettroacustica, necessaria per il
potenziamento del segnale generato dai pick-up della chitarra elettrica che altrimenti non avrebbe
energia sufficiente per essere collegato direttamente all’altoparlante.
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Un amplificatore utilizza energia elettrica proveniente da una fonte esterna (corrente o batterie) per
controllare l’invio del segnale proveniente dalla chitarra all’altoparlante, consentendo di modificare il
tono e il volume e di aggiungere caratteristiche quali la distorsione e l’eco (il riverbero). Di fatto, con il
termine di amplificazione è possibile indicare non solo gli amplificatori di potenza, ma anche altri
dispositivi di elaborazione del suono, quali equalizzatori, espansori, compressori ecc. Gli amplificatori
possono essere costruiti con due tecnologie diverse, considerate spesso come due filosofie distinte:
utilizzando circuiti a valvole o a transistor (solid state). Gli A. a valvole sono stati i primi ad essere
prodotti negli anni ’50-’60, per poi essere sostituiti da quelli solid state nelle due decadi successive.
Questi ultimi, infatti, sono in grado di riprodurre fedelmente ed amplificare un suono con maggiore
affidabilità, assicurando, cioè, quella che viene chiamata alta fedeltà (High-Fidelity, HI-FI). Tuttavia,
dopo una prima diffusione di questo secondo tipo di A., è apparso evidente come le valvole siano una
componente essenziale dell’amplificazione, in grado di caratterizzare il tipico sound della chitarra
elettrica. In tal senso, si sono mosse le principali case produttrici di amplificatori tornando, da un lato,
alla tradizionale ma costosa tecnologia a valvole nei loro modelli più prestigiosi e costruendo, dall’altro,
dispositivi ibridi che combinino circuiti a valvole e circuiti a transitor con l’obiettivo di assicurare i
vantaggi dell’una e dell’altra tecnologia.
Inizialmente, gli amplificatori erano separati dagli altoparlanti (si parla di testata e di casse), ma
recentemente sono stati realizzati anche dispositivi combinati, che prendono il nome di combo, in grado
di assicurare un trasporto più agevole e una maggiore flessibilità.
Gli altoparlanti
Gli amplificatori a valvole devono adattarsi perfettamente all'impedenza degli altoparlanti, che varia da
4 ohm (leggi om), 8 ohm oppure 16 ohm. Non vanno mai accesi se non sono collegati agli altoparlanti,
se non si vuole danneggiare seriamente il trasformatore o le valvole finali. Gli amplificatori a transistor
sono in questo senso più robusti; anzi quasi tutti i modelli di un certo livello sono immuni sia al corto
che al circuito aperto sulle uscite per gli altoparlanti, anche se comunque è sempre meglio averli
collegati. In genere l'impedenza minima degli altoparlanti dà il massimo volume di uscita a livelli
accettabili di distorsione. Il montaggio di altoparlanti d'impedenza maggiore di quella prescritta causa
solo un volume di uscita ridotto, e forse anche un minore tasso di distorsione. Se non c'è un pulsante di
stand-by sull'amplificatore, è buona precauzione abbassare a zero il volume prima dell'accensione,
anche sugli ampli a transistor. Attenzione alle impedenze di uscita degli amplificatori (o finali), che
dovranno essere compatibili con le impedenze delle casse.
Finale
Casse
4ohm
8ohm
8ohm
8ohm
16ohm
16ohm
16ohm
Si può quindi affermare che le impedenze uguali sono chiaramente abbinabili fra loro, mentre un finale
che ad esempio ha un uscita di 8 ohm può essere collegato ad una cassa che abbia l'entrata a 16 ohm.
Adattare l'impedenza di uscita del finale di potenza a quella degli speaker significa fare in modo che
tutta l'energia emessa dal finale venga trasferita alle casse senza perdita di segnale e quindi far
funzionare il sistema al meglio delle sue possibilità (ed evitare danni), e per ciò i valori sopra descritti
non danno problemi, anche se è sempre meglio collegare due impedenze di valore uguale.
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Send & return
Tutto il sistema di preamplificazione si basa sul controllo di volume globale della sezione output, che, a
seconda della concatenazione delle apparecchiature, sarà o sul preamplificatore o sulle unità
multieffetto.
Dipende dalla loro posizione nel percorso del segnale. Ogni tipo di effetto, intendendo in questo senso
apparecchiature a rack o, eventuelmente, pedalini appositamente dedicati, dovrebbe lavorare sul suono
dopo che il segnale viene preamplificato.
Utilizzando il send-return, il suono verrà a passare negli effetti tramite il pre, che lo riprenderà per poi
inviarlo all'uscita del pre stesso e sarà controllato dal potenziometro del volume output level sul
preampli. Se invece gli effetti sono in serie dopo il pre (si definisce sistema a cascata), l'output level
dell'ultima apparecchiatura nel percorso del segnale avrà il controllo del volume globale.
Il send-return è un ottimo sistema per i collegamenti di effetti all'interno di un preamplificatore. Avevamo
già accennato a questo sistema nella sezione dedicata agli amplificatori, i quali racchiudono in un
blocco compatto sia il pre che il finale.
Analizzando il percorso del segnale, si può notare che il suono dovrebbe giungere al finale completo di
tutte le caratteristiche costruite durante il tragitto. Gli effetti dovrebbero essere inseriti, a seconda della
loro tipologia, in punti diversi: compressori, distorsori, equalizzatori vanno posti prima del preampli,
mentre gli effetti d'ambientazione (chorus, delay, riverbero ecc,) dopo. Vi sono anche delle eccezioni, in
quanto a seconda delle varie impedenze delle apparecchiature queste possono essere inserite in
determinati punti. Il send-return viene utilizzato per mantenere il più possibile il segnale analogico,
mixandolo appunto con gli effetti digitali. Questi, all'interno del pre, verranno utilizzati in maniera da
influire il meno possibile con la natura analogica del suono, lavorando comunque nelle loro
caratteristiche. Questo perché non tutte le apparecchiature digitali offrono una conversione A/D-D/A
(analogico/digitale - digitale/analogico) di ottimo livello, e proprio per questo motivo collegandole in
cascata dopo il pre potrebbero influire negativamente sul suono, facendogli ad esempio perdere
determinate frequenze oppure "mangiando" dinamica alla pasta effettiva del suono. Vediamo quindi
come comportarsi con i vari tipi di effetti nel loro rapporto send-return.
Innanzitutto controlliamo l'impedenza di lavoro: i pedali solitamente prediligono segnali di basso livello
(l'uscita della chitarra), mentre gli effetti a rack generalmente i segnali di linea, che sono di alto livello,
anche se alcuni possono disporre della selezione per lavorare con entrambi i tipi di segnale. Nello
stesso send-return non possono coesistere pedali e processori, a meno che non si voglia guadagnare
in rumore piuttosto che in suono: in pratica avremo un aumento di fruscio e una diminuzione del
volume. Può capitare che un pre abbia a disposizione due send-return: in questo caso possiamo
collegare in uno i pedali (segnali di basso livello, ad es. -10db), all'altro i processori a rack (segnali di
linea, cioè +4db). Attenzione al fatto che i due send-return siano indipendenti e non stereofonici. In
quest'ultimo caso devono essere adattati ad una linea di segnale stereo. Solitamente il send-return a
basso livello lavora prima dei controlli di equalizzazione, i quali opereranno sull'unità a rack, lasciando
inalterato il segnale trattato nel primo send-return. Nella maggior parte dei casi, troviamo un solo sendreturn nel pre, che avrà molto probabilmente a fianco un pulsante di selezione che serve a regolare due
valori (-10db o +4db): selezioniamo il primo per i pedali e il secondo per le unità a rack. Possiamo infine
trovare anche un potenziometro di regolazione della mandata effetti, molto utile per ottimizzare una
regolazione fine, in quanto può capitare di trovare effetti con tarature diverse da quelle sopra descritte:
è molto raro che succeda, ma nel caso stiamo sempre nei parametri sopra descritti, che sono standard.
I collegamenti possono essere fatti in serie, in parallelo o in entrambi i casi. Se manca quest'ultima
opportunità, è necessario sapere in quale due modi precedenti si tratta, in quanto questo ha una
grande influenza sul suono. Conviene quindi guardare le istruzioni.
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Collegamenti del send-return in parallelo.
Con questo sistema si divide il segnale in due parti: uno viaggia attraverso il pre fino all'output, l'altro
viene prelevato dal send e inviato al processore esterno, che dopo averlo elaborato lo rimanda nel
return. In questo punto il segnale effettato può essere mixato con l'originale da un apposito controllo
(mix, effect ecc.). E' fondamentale che il segnale di ritorno all'ampli sia solo quello effettato: azzeriamo
quindi sul processore esterno il controllo del segnale dry (diretto), in quanto quest'ultimo è già presente
nel pre ed è perciò inutile farne arrivare un altro.
Collegamenti del send-return in serie.
L'intero segnale viene inviato al processore utilizzando il send-return in serie. Dopo essere stato
effettato, ritorna al preampli: in questo caso la differenza del bilanciamento è data dai controlli dry e
level nel processore.
Dividiamo in due categorie i processori.
Effetti che processano l'intero segnale, che sono il Distorsore, il Compressore, l'Equalizzatore ecc., per
i quali è consigliato il collegamento tra chitarra e ampli oppure nel send-retun in serie, in quanto
lavorano sulla pasta del suono in tempo reale.
Effetti che mixano una porzione di segnale trattato a quello originale, quali il Flanger, il Chorus, il Delay,
il Pitch transposer, il Riverbero ecc. A questi è consigliato il collegamento in parallelo perché lavorano
sui circuiti di tempo di ritardo. Bisogna comunque fare una premessa: alcuni processori di qualità
elevata (Eventide, TC Elet.) hanno una processione A/D-D/A talmente elevata da non influire
negativamente sul segnale dry, per cui possono essere messi in serie nel send-return o addirittura in
cascata dopo il pre e prima del finale. Rimane comunque il fatto che in parallelo...
Il distorsore è poco consigliabile nel send-return: anzi, non bisognerebbe proprio mai metterlo. Il
compressore può essere collegato nella mandata effetti (un altro modo di chiamare il send-return), ma
è preferibile prima (se a pedale) o dopo il pre in cascata (se è a rack). In questo caso non si dovrebbero
collegare processori nel send-return.
Un ulteriore uscita che è possibile trovare nel preamplificatore e la direct output.
Le valvole di un valvolare
Cosa sono esattamente le valvole degli amplificatori? Come funzionano? Facciamo luce su una
componente di cui si parla molto ma che pochi conoscono.
Di amplificatori valvolari si parla spesso: quasi tutti i chitarristi riconoscono ed apprezzano (chi più chi
meno) il loro inconfondibile suono. Sappiamo tutti dunque che l'unità fondamentale dell'amplificatore
valvolare, lo dice il nome, è la valvola. Ma di cosa si tratta esattamente?
Storicamente la valvola viene molto prima del transistor: faceva parte delle prime componenti
elettroniche già agli inizi del 1900. Per la prima metà del secolo è stata impiegata su ogni
apparecchiatura (radio, televisori, calcolatori, aspirapolveri, ...) per poi venir rapidamente rimpiazzata
dal transistor a metà degli anni '60. Ormai solo in campo musicale sono presenti elettroniche valvolari,
in quanto decisamente più costose e delicate dei moderni transistor.
La valvola è fondamentalmente un diodo: ossia due elementi elettrici accoppiati. Si tratta di anodo e
catodo, ossia un elemento di carica positiva e l'altro, forzatamente per induzione, di carica negativa. I
due elementi non si toccano, ma si trovano a distanza ravvicinata e vengono rinchiusi all'interno di
una sorta di lampadina, ossia un bulbo vitreo in cui viene creato il vuoto. Un altro oggetto che si trova
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all'interno di questo bulbo è il 'filamento', la cui funzione è esattamente quella di scaldare il catodo.
Quest'ultimo, raggiunta una certa temperatura, sviluppa una nube elettronica intorno a sè. L'anodo
invece non emette alcun elettrone ed è, come già detto, caricato: tale carica deriva dalla rete elettrica
cui attinge la valvola, che è di norma di tipo alternato (AC) e che quindi oscilla tra carica positiva e
negativa con una certa frequenza (50Hz). Quando l'anodo assume carica positiva la nube di
elettroni generata dal catodo migra verso l'anodo generando un flusso di corrente, che si
interrompe nei momenti in cui l'anodo è negativo.
Dal momento che l'anodo non sviluppa nube elettronica, il flusso di elettroni indotto segue sempre la
stessa direzione, ossia da catodo ad anodo: parliamo di corrente diretta (DC). Dunque, prelevando
corrente da una fonte alternata, la valvola converte la corrente in continua.
Comunque la corrente di uscita risente in qualche modo della corrente alternata di partenza in quanto,
come abbiamo visto, per metà del tempo (quando il catodo è positivo) non vi è flusso. Si può ovviare il
problema aggiungendo alla valvola un secondo diodo il cui anodo sia positivo quando quello del primo
diodo è negativo: in questo modo vi è un flusso continuo e dalla medesima fonte alternata si può
ricavare maggiore corrente diretta.
Tuttavia quanto detto finora ancora non ci permette di capire esattamente l'utilità della valvola: alla
nostra descrizione mancano infatti ancora diversi elementi.
Le valvole montate sui nostri amplificatori in realtà non sono costituite dai diodi che abbiamo appena
visto, bensì da 'triodi'. Il nome stesso ci suggerisce la differenza: queste componenti presentano 3
elementi attivi anziché 2. Dunque ad anodo e catodo si aggiunge la griglia di controllo, caricata
negativamente: una vera e propria griglia collocata a distanza ravvicinata tra anodo e catodo.
Modificando la tensione di tale griglia possiamo deviare in parte o totalmente il flusso di
elettroni generato tra i diodi: è proprio questo l'aspetto che più ci interessa, poichè la possibilità di
variare l'entità del flusso (ossia la corrente che giunge all'anodo) ci consente di amplificare il segnale.
Quando infatti la griglia tende a diventare positiva convoglia un flusso elettronico sempre maggiore
verso l'anodo.
Schema semplificato di una valvola (triodo)
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La classe di un amplificatore
Amplificatori di classe A o di classe AB? Cosa cambia? Quali sono i pregi ed i difetti dell'una e
l'altra tipologia? Vediamo..
Si sente spesso parlare di 'Classe A' o 'Classe AB' per quanto riguarda gli amplificatori: vediamo di
cosa si tratta, cercando di semplificare quanto più possibile un discorso che è piuttosto complesso da
affrontare nella sua interezza.
Precisiamo innanzitutto che consideriamo l'argomento solo per quanto riguarda il campo che ci
interessa, ossia le amplificazioni per chitarra, e ricordiamoci che tale discorso vale sia per elettroniche
valvolari sia per elettroniche a transistor, ma per comodità prendiamo in considerazione solo le prime,
perchè sulle seconde le considerazioni relative alla classe acquistano minore importanza.
Parliamo dunque di amplificatori valvolari e veniamo subito al sodo: quali sono le differenze tra classe A
e classe AB? Si parla in questo caso delle valvole finali dell'amplificatore: se sono di classe A,
esse lavorano sempre allo stesso livello (prossime al massimo), anche in assenza di segnale.
Insomma, la corrente anodica che le attraversa è sempre presente alla massima potenza, anche se
non suoniamo: questo comporta innanzitutto una minore durata delle valvole. Il suono è solitamente
corposo e caldo, anche perchè fondamentalmente il finale dell'amplificatore, come abbiamo visto, è
come se fosse sempre al massimo.
Parliamo ora della classe AB: quando non sono raggiunte da alcune segnale, la corrente al loro
interno si interrompe. Quando il segnale ritorna, le coppie di valvole push-pull tornano ad essere
attraversate dalla corrente ma tale passaggio dallo stato di quiete al funzionamento pieno genera una
lieve distorsione del segnale, che si avverte chiaramente nel suono finale. Il suono generato è più
limpido, poichè le valvole non lavorano sempre al massimo e per questo il segnale non raggiunge alti
livelli di saturazione.
I finali di classe AB, inoltre, consentono una potenza di uscita decisamente superiore rispetti ai classe
A: una caratteristica che li rende ampiamente diffusi.
Ampli per chitarra e ampli tradizionali (hi-fi)
Ma cosa cambia tra un amplificatore per chitarra e l'amplificatore che troviamo installato sul
nostro stereo? Possiamo collegare a quest'ultimo la chitarra?
Rispondiamo subito: no, non possiamo usare nè l'amplificatore nè le casse dello stereo per
amplificare il nostro strumento. Questo perchè gli amplificatori per chitarra possiedono caratteristiche
proprie e sono progettati espressamente per essere usati nell'amplificazione del nostro strumento.
Ma quali sono esattamente le caratteristiche che li rendono così diversi da un normale amplificatore hifi? Proviamo a vedere...
Innanzitutto parliamo di frequenze: l'amplificatore hi-fi riproduce in modo lineare tutte le frequenze
udibili all'orecchio umano. Questo almeno, è quanto è progettato per fare. L'amplificatore per
chitarra invece enfatizza le frequenze medie (1KHz/4KHz), mentre la risposta alle frequenze basse
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sfuma poco dopo il MI della prima corda: in genere i bassi di un ampli per chitarra partono da 70 o
80Hz, abbastanza poco se pensiamo che il nostro orecchio arriva a percepirne fino a 15/25Hz. Senza
contare che gli amplificatori che, per costituzione, sono privati della parete di fondo, possiedono bassi
ancor meno enfatizzati.
Quanto detto finora ci aiuta a capire come -a livello di prestazioni- i due tipi di amplificatori non siano
interscambiabili: eppure finora non abbiamo ancora incontrato un vero e proprio 'limite' che ci
impedisca di collegare la chitarra all'amplificatore hi-fi. Il limite di cui stiamo parlando è il distorto, o
meglio l'overdrive.
Tutti noi sappiamo bene come l'overdrive di un amplificatore sia fondamentale: da quando esistono le
chitarre elettriche esiste il distorto, ossia quel suono caratteristico di un amplificatore portato al suo
limite (ed oltre). Ovviamente gli ampli per chitarra sono costruiti per sopportare l'overdrive senza
rovinarsi ed, anzi, per favorire la distorsione del suono ancora prima di raggiungere il livello massimo
di saturazione.
Tuttavia si capisce che la distorsione del suono originale di per sè non è un fattore positivo, soprattutto
per un hi-fi: per questo l'amplificatore hi-fi è progettato in direzione opposta, ossia per ritardare il
più possibile la distorsione del suono.
Riassumiamo un attimo questo fondamentale passaggio:
l'ampli per chitarra quando raggiunge (ad esempio) l'85% della sua capacità inizia a distorcere il suono.
Superata ovviamente una certa soglia di saturazione (120%) inizia a danneggiarsi.
L'amplificatore hi-fi invece non distorce fino al raggiungimento della sua potenza massima (100%):
questo gli consente di raggiungere l'output massimo mantenendo il suono fedele. Varcata questa soglia
inevitabilmente viene danneggiato.
Come funziona un amplificatore?
Cerchiamo di capire esattamente come funzioni un normale amplificatore per chitarra, provando
a evidenziare tutti quei fattori che influiscono sul suono finale.
Schema delle componenti di un amplificatore
Partiamo da zero: a cosa serve l'amplificatore? La risposta è immediata: ad amplificare il debole
segnale proveniente dai pickup della nostra chitarra, così da poter essere trasmesso all'esterno o
modellato.
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E come fa ad amplificare il segnale? Fondamentalmente assorbe energia esterna (dalla rete elettrica) e
la 'plasma' secondo i dati provenienti dal segnale dei pickup. Già questa affermazione implica diversi
passaggi oscuri. Via allora, iniziamo a parlare del funzionamento di un amplificatore, tenendo sempre
presente il semplice schema che troviamo qui a lato: già intuitivamente capiamo che una prima
componente fondamentale è l'alimentatore.
Basta infatti dare un'occhiata allo schema per vedere che l'alimentatore è collegato a tutte le altre parti
dell'amplificatore: insomma, da esso dipende il funzionamento dell'intero apparecchio. Come ci
suggerisce il nome, l'alimentatore non fa altro che fornire energia al sistema, rendendo in
pratica utilizzabile quella fornita dalla rete elettrica. Tale operazione si articola in almeno due momenti
fondamentali: prima di tutto la corrente elettrica della rete deve essere portata ad una tensione
adeguata all'utilizzo da parte delle altre componenti elettroniche. Si tratta di un'operazione tutto
sommato semplice, compiuta da un normale trasformatore. Tuttavia la corrente che esce dal
trasformatore non è ancora pronta: la rete domestica ci fornisce infatti una corrente alternata, ossia
la cui differenza di potenziale oscilla con una determinata frequenza (50Hz) tra valori positivi e valori
negativi: al nostro apparecchio serve invece una corrente stabile (continua). In un amplificatore
valvolare intervengono qui le prime valvole, con il compito di 'raddrizzare' l'oscillazione tra valori positivi
e negativi della corrente alternata: all'uscita di queste valvole la differenza di potenziale si mantiene
sempre su valori positivi, ma continua ad oscillare. Facciamo maggiore chiarezza con un piccolo
grafico:
Così si presenta la corrente alternata:
Ed eccola come esce dalle valvole 'raddrizzatrici':
Insomma, c'è ancora del lavoro da fare per renderla continua. Questo lavoro viene svolto dai
condensatori, che accumulano su una delle loro armature i picchi di carica, e la rilasciano in direzione
dell'altra armatura nei momenti in cui la tensione è minore: il risultato finale è una corrente che inizia ad
essere omogenea. Infine, una serie di induttori e circuiti attivi (negli ampli a transistor) livella
definitivamente la corrente, rendendola finalmente continua ed a disposizione di tutte le altre
componenti dell'amplificatore.
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La prima di queste componenti che il segnale della chitarra incontra sul suo percorso è il
preamplificatore (1° stadio di amplificazione): può essere composto -nei valvolari- da una o più valvole
che amplificano il segnale secondo un guadagno fisso. Questa fase può essere trascurabile se la
chitarra collegata monta pickup attivi quindi già comprensivi di preamplificatore: per questo molti ampli
hanno due ingressi distinti per PU attivi e PU passivi.
Dopo il primo stadio troviamo i controlli di equalizzazione e volume, di solito costituiti da condensatori
identici a quelli che troviamo collegati alle manopole della chitarra, ma che possono anche essere di
tipo attivo (soprattutto sugli ampli a transistor). A seguire si raggiunge il 2° stadio di amplificazione,
costituito da un'altra valvola (o più valvole) che amplificano nuovamente il segnale: questa fase è
necessaria perchè prima di questa fase si collocano la maggior parte degli effetti, mentre il riverbero
(che vediamo nella schema a lato) va a intercettare in uscita il segnale uscente dal 2° stadio.
Questa collocazione del riverbero, fondamentalmente in parallelo al 2° stadio, è legato al suo
funzionamento ed alla presenza al suo interno di due valvole di amplificazione. A questo punto si
inserisce il controllo del volume generale, solitamente ti tipo passivo, subito prima del separatore di
fase, una componente che scinde il segnale in due componenti sfasate di 180°, i cui rami sono
ulteriormente allontanati dal pilota, che amplifica -tramita una valvola- i due segnali così ottenuti. Infine
una coppia di valvole (le finali) converte la tensione di segnale in flusso di corrente che andrà poi a
sollecitare gli altoparlanti (fondamentalmente si tratta di dare al segnale giunti sin qui la potenza
necessaria a sollecitare gli altoparlanti).
Gli Effetti
Processori di segnale
Qualsiasi strumento utilizzato per alterare il suono, dai semplici effetti a pedale ai più complessi effetti
da studio (rack) rientrano nella categoria dei sound processor ovvero elaboratori del suono. I metodi
fondamentali per ottenere un'alterazione del suono sono quattro:

I controlli di voume e di guadagno

I controlli di equalizzazione e di tono

Gli effetti basati sul tempo

Dispositivi per il cambiamento di tono
Controlli di volume e guadagno
Questi controlli permettono di variare l'intensità di un suono amplificato, fino a portarlo agli estremi della
distorsione.
Il canale ad alto guadagno avrà maggiore sensibilità e probabilmente una minore capacità di
sovraccarico. Quindi, dato che la differenza trai guadagni complessivi dipende quasi sempre da un
alterazione del guadagno ottenuta con la prima valvola, si aumenta così la possibilità di produrre
distorsione nella prima valvola. E questo è desiderabile in quanto, potendo portare in distorsione la
prima valvola, si può ottenere un suono distorto a qualsiasi posizione del volume.
24
La distornione
Una chitarra elettrica può fornire in uscita un segnale prolungato di 50 o più millivolts. Un segnale di
questo livello può sovraccaricare (o portare in "overdrive") l'amplificatore. Gli amplificatori per chitarra
sono perciò progettati per sopportare condizioni di ampio e prolungato sovraccarico applicate ai loro
ingressi. Tale sovraccarico può non di meno causare distorsione nello stadio pilota e/o di potenza,
quando la chitarra sia suonata ad alto volume.
Controlli di equalizzazione
I controlli di equalizzazione e di tono modificano il canale del suono incrementando o eliminando alcune
frequenze.
Gli effetti basati sul tempo
Questi effetti permettono di utilizzare copie ritardate di un segnale per creare una molteplicità di effetti
diversi.
Dispositivi per il cambiamento di tono
Con questi dispositivi è possibile aumentare o diminuire l'altezza di una nota.
La Teoria
Le Scale
Il primo argomento veramente esteso e complesso che incontriamo: facciamo chiarezza nel
mondo delle scale, parlando in sintesi di maggiori, minori e pentatoniche.
Creare una scala vuol dire, l'abbiamo già detto parlando dei modi, creare una sequenza di note o, se
preferiamo, una sequenza di toni e semitoni. Ogni scala parte da una tonica, la nota iniziale che
definisce e dà il nome alla scala (stiamo dicendo le stesse cose che avevamo già visto per quanto
riguarda le triadi, ricordate?). La scala maggiore è anche detta scala diatonica maggiore: significa che
al suo interno tutte le note sono diverse. Possono esistere tra esse intervalli cromatici (stesso nome ma
suono diverso: C e C#) e intervalli diatonici (nome diverso: C e F). Se consideriamo la scala maggiore
di C che avevamo già visto (CDEFGABC) possiamo notare che tra le diverse note esiste una sequenze
di toni e semitoni particolare, comune a tutte le scale maggiori: vediamola.
C-t-D-t-E-st-F-t-G-t-A-t-B-st-C.
Abbiamo così cercato di schematizzare la sequenza di toni (t) e semitoni (st) indicandone la posizione
tra le varie note della scala. Per comodità riscriviamo la sequenza: t t st t t t st. Esattamente come
avevamo visto parlando delle triadi, inoltre, ogni nota della scala occupa una posizione precisa, definita
dal grado: la prima nota è I°grado, la seconda nota (D) II° grado e così via. Ricordiamo i nomi già visti:
la nota in I° grado si dice tonica, in III° grado modale ed in V° grado dominante.
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Abbiamo detto che la sequenza di toni e semitoni è caratteristica di tutte le scale maggiori: per
costruire la scala maggiore di E (ad esempio) ci sarà dunque sufficiente, partendo dalla scala cromatica
e scegliendo come nota iniziale E, selezionare le note definite da questa sequenza di toni e semitoni.
Discorso a parte va ovviamente fatto per quanto riguarda le scale minori. Dovremo infatti fare i conti
con diversi tipi di scale minori: naturali, armoniche e melodiche.
Per prima cosa, vediamo subito le sequenze che interessano queste tre tipologie diverse:
naturale: t st t t st t t
armonica: t st t t st+t st
melodica: t st t t t t st
Ora che abbiamo chiarito questo, possiamo fare un esempio, provando innanzitutto a costruire la
scala minore naturale di C. Per fare ciò ci conviene partire dalla scala maggiore di C, che ormai ci
ricordiamo bene: CDEFGABC. La sequenza era: t t st t t t st. Se confontiamo questa sequenza con
quella della minore naturale possiamo individuare i gradi (le note della scala) che subiranno variazioni:
proviamo a sovrapporre le due sequenze.
maj: I t II t III st IV t V t VI t VII st VIII
min: I t II st III t IV t V st VI t VII t VIII
Abbiamo indicato in rosso i gradi delle due scale, in nero le sequenze di toni/semitoni ed in blu i gradi
che cambiano: III, VI, VII. Nella scala minore naturale saranno tutti abbassati, poichè preceduti da
un semitono che non trova corrispondenti nella sequenza della scala maggiore. Vediamo ora a
quali note corrispondevano questi gradi nella scala maggiore di C: Mi (E), La (A), Si (B). Dunque li
facciamo diventare rispettivamente Mib, Lab e Sib. Questi tre bemolli occuperanno quindi il III, VI e VII
grado nella scala minore naturale di C, mentre tutte le altre note saranno identiche a quelle della scala
maggiore. Vediamo ora la scala ottenuta: Do Re Mib Fa Sol Lab Sib Do (CDEbFGAbBbC).
Discorso identico per la creazione di ogni altra scala minore.
Infine vediamo un ultimo modello di scala, la pentatonica. Si tratta di un tipo di scala molto utilizzata
perchè semplicissima: nasce infatti da una semplificazione delle scale tradizionali.
Per ottenere la scala pentatonica maggiore di qualsiasi tonalità ci basta considerare la scala maggiore
e cancellare IV e VII grado. Otteniamo dunque una scala di sole 5 note (ricordiamoci che l'VIII° è la
stessa nota della tonica).
Se vogliamo individuare la pentatonica minore non dovremo far altro che partire dalla scala minore ed
eliminare questa volta II e VI grado.
Abbiamo così introdotto finalmente il concetto di scala. Dobbiamo tenere presente, però, che
l'argomento è ben lungi dall' essere esaurito: esistono ancora molte informazioni che non conosciamo
su questo argomento, senza contare che bisognerà cominciare a vedere le scale in funzione dello
strumento su cui le suoneremo, ossia la chitarra.
Per ora accontentiamoci di ciò che abbiamo appena imparato e prendiamoci tempo per digerire queste
nozioni che ci saranno indispensabili per arrivare ad una perfetta comprensione della natura degli
accordi.
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Modi
Prima di parlare delle scale dovremo introdurre il sistema modale: cerchiamo di definirlo
brevemente.
Finora abbiamo parlato con grande disinvoltura di intervalli e triadi, semplificando però notevolmente la
materia: è doveroso aprire una piccola parentesi di approfondimento per parlare delle scale, un
concetto in cui ci siamo imbattuti spesso ma che non abbiamo mai veramente chiarito. Per parlare delle
scale però, dovremo prima vedere cos'è il sistema modale.
Inoltre, parlando delle triadi abbiamo già in qualche modo capito che alla base degli accordi esiste un
sistema di 'armonizzazione' che regola i rapporti tra le note: ora dobbiamo addentrarci in questo
sistema e capirne il funzionamento.
Tutto parte da una scala: ancora non sappiamo esattamente in cosa consista nè come sia formata. Per
ora accontentiamoci di definirla sommariamente attraverso le nozioni che già possediamo: la scala è
una successione di note definite da un'alternanza di toni e semitoni. Alla fine di questo articolo potremo
finalmente dare una migliore definizione. Vediamo ora la scala di C maggiore come esempio:
C
D
E
F
G
A
B
C
Fin qui è tutto facile: come vediamo, partendo dalla nota C abbiamo creato una successione di note.
Come già detto, per ora evitiamo di addentrarci nel concetto di scala e ci concentriamo su altro:
prendiamo una nota dalla scala (per esempio la seconda, D) e costruiamo una scala partendo da
essa, mantenendo la successione di note di partenza. Non stiamo facendo niente di strano:
ricostruiamo la stessa identica successione partendo questa volta da D. Dunque:
D
E
F
G
A
B
C
D
E' semplice comprendere che potremmo fare lo stesso partendo da ogni nota della prima scala
considerata, quella di C, che chiameremo scala madre. Otterremo dunque 7 diverse sequenze, tutte
costruite partendo però dalla scala madre di C: possiamo cominciare a tirare le prime conclusioni.
Avevamo già parlato di tonica: anche per quanto riguarda le scale, è la nota di partenza. Ora noi
abbiamo però estratto dalla scala madre un secondo grado (D) e l'abbiamo fatto diventare
tonica, generando da essa una nuova scala. Si tratta dunque di una tonica secondaria: è tonica,
poichè all'interno del suo modo occupa il I° grado, ma è secondaria perchè fa riferimento alla scala
madre da cui l'avevo estratta, la scala maggiore di C. Complicato?
Riassumiamo: dalla scala madre (C maj: CDEFGABC) abbiamo estratto il II° grado (D). Da esso
abbiamo creato una nuova scala (DEFGABCD), identica alla prima ma in cui la D non occupa più il II°
grado, bensì il I° (tonica). Possiamo fare lo stesso con ogni nota della scala madre, generando dunque
7 diverse sottoscale, o modi. Ogni nota della scala madre è dunque semitonica, poichè può essere il I°
grado di una sottoscala costruita partendo da essa.
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Ora dobbiamo solo dare dei nomi alle diverse sottoscale, ai diversi modi:
CDEFGABC = ionico
DEFGABCD = dorico
EFGABCDE = frigio
FGABCDEF = lidio
GABCDEFG = misolidio
ABCDEFGA = eolio
BCDEFGAB = locrio
Adesso sappiamo cos'è il sistema modale: possiamo iniziare a parlare delle scale.
Triadi
Fondamento di quasi tutte le scuole di chitarra sono gli accordi: partiamo dalle triadi per vedere
come nascono.
Abbiamo già parlato di intervalli: un concetto che ci tornerà molto utile in questa trattazione.
Cerchiamo come sempre di dare per scontate meno nozioni possibile e di partire da zero: cos'è un
accordo?
La definizione di accordo è semplicissima: si tratta infatti di tre o più note suonate
contemporaneamente. Come al solito però, è necessario andare un po' oltre e vedere quali sono le
regole che uniscono le note di un accordo, quali princìpi seguono e come vengono nominati i diversi
accordi.
Per fare ciò, partiamo dal concetto di triade: tre note armonizzate tra loro. Per vedere come si
costruisce una triade ed in cosa consiste esattamente questa 'armonizzazione', iniziamo da una scala
prelevando da essa tre note: la prima, la terza e la quinta.
Se partiamo dalla scala maggiore di C abbiamo appena estratto, nell'ordine, C, E, G.
La prima è la tonica, che definisce l'accordo e il nome (se la tonica, come nel nostro caso è C,
l'accordo è di C). La terza è detta modale, poichè indica il modo dell'accordo: nel nostro esempio se si
tratta di Mi avremo un accordo maggiore, se invece è un Mib l'accordo sarà minore. Abbiamo infine la
quinta: solitamente si dice che quest'ultima nota completa la triade senza definirne alcuna
caratteristica, invece può generare triadi aumentate e diminuite (due concetti che avevamo già visto
parlando degli intervalli).
A questo punto però dobbiamo approfondire ulteriormente il discorso, riprendendo quanto già sappiamo
sugli intervalli. Abbiamo appena detto che la modale stabilisce se l'accordo è minore o maggiore: in
realtà possiamo essere più precisi chiarendo che è l'intervallo tra prima e terza che definisce il
modo dell'accordo. Come sempre, schematizzando un po' riusciamo a capire meglio:

Una triade maggiore comprende un'intervallo di terza maggiore tra prima e terza, ed un intervallo
di terza minore tra terza e quinta: così le note saranno prima, terza maggiore e quinta giusta.
(intervalli: terza maj-terza min)
28

Una triade minore contiene invece una terza abbassata di un semitono: l'intervallo tra prima e
terza diventa così una terza minore. La quinta però dev'essere ancora giusta, quindi l'intervallo tra
terza e quinta dovrà essere terza maggiore. (intervalli: terza min-terza maj)

La triade diminuita si può costruire partendo dalla minore, mantenendo l'intervallo tra prima e terza
minore e aggiungendo un intervallo minore anche tra terza e quinta: così la quinta non sarà più
giusta, ma diminuita. (intervalli: terza min-terza min)

Infine la triade aumentata nasce con due intervalli di terza maggiore (I°-III°, III°-V°), come ormai
possiamo intuire facilmente. Dunque: prima, terza maggiore e quinta aumentata. (intervalli: terza
maj-terza maj)
Se prestiamo un po' di attenzione ci renderemo conto che non è difficile come può sembrare:
finalmente cominciamo a svelare i meccanismi che stanno alla base della musica. Naturalmente non
possiamo fermarci qua: nei prossimi giorni continueremo su questa scia, approfondendo il discorso ed
introducendo le quadriadi, per arrivare finalmente a definire in modo completo gli accordi.
Gli Intervalli
Un concetto basilare ed indispensabile per addentrarsi nella teoria musicale: un discorso
generale sull' intervallo.
Prima di entrare nel merito di discorsi più complessi è necessario avere le idee chiare sui fondamenti
della teoria musicale: dando per scontata la sola conoscenza delle sette note, dobbiamo
obbligatoriamente parlare degli intervalli.
Un intervallo viene definito come 'la distanza' tra due note, o se preferiamo tra le loro altezze.
L'intervallo è dunque indicato come un numero, ossia il numero di note che separano gli estremi
dell'intervallo stesso. Con un semplicissimo esempio è tutto più semplice: tra LA e MI esiste un
intervallo di quinta. Per capirlo ci è sufficiente, partendo dal LA, contare quante note incontriamo per
arrivare al MI: mentre diciamo MI solleviamo il quinto dito, giusto? Intervallo di quinta, allora.
L'intervallo tra una nota e sè stessa si dice unisono, ma ci sono altre cose che ci interessa sapere sugli
intervalli. Sempre a livello di definizioni, vi è una distinzione tra l'intervallo che intercorre tra note
suonate contemporaneamente e note suonate in sequenza: il primo si dice intervallo armonico, il
secondo intervallo melodico.
Ora dobbiamo capire in cosa consista un intervallo giusto. Sono detti giusti gli intervalli di unisono,
quarta, quinta e ottava, perchè appartengono sia alla scala maggiore sia a quella minore costruita dalla
nota più bassa dell'intervallo. Gli intervalli di terza, sesta e settima possono invece essere maggiori o
minori, a seconda della scala. Abbiamo trascurato volontariamente l'intervallo di seconda, di cui sarà
necessario parlare in seguito. Adesso invece possiamo dare un'occhiata ad eccedenti e diminuiti: se
abbassiamo o eleviamo di un semitono un intervallo giusto otteniamo rispettivamente un diminuito ed
un eccedente. Se invece abbasso di un semitono un intervallo maggiore ottengo un minore, se elevo di
un semitono un intervallo minore ottengo un maggiore. E' naturale che non sia esattamente semplice
da comprendere, cerchiamo di schematizzare:
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GIUSTO + 1/2 = eccedente
GIUSTO - 1/2 = diminuito
MAGG.RE + 1/2 = eccedente
MAGG.RE - 1/2 = minore
MINORE + 1/2 = maggiore
MINORE - 1/2 = diminuito
Non ci resta che vedere i rivolti, un concetto piuttosto semplice: ogni intervallo infatti può essere
'invertito' semplicemente portando la nota più grave all'ottava successiva. Se riprendiamo l'intervallo di
quinta analizzato prima (LA-MI), possiamo vedere il suo rivolto nell'intervallo MI-LA, in cui il LA è stato
inalzato all'ottava successiva (la stessa del MI in questo caso). L'intervallo che prima era di quinda è
diventato di quarta: contare per credere. Generalmente si dice che la somma di un intervallo e del suo
rivolto è sempre 9: saperlo ci sarà d'aiuto per individuare velocemente i rivolti. Un altra cosa da sapere
è che il rivolto di un intervallo giusto è un intervallo giusto, mentre maggiori/minori, eccedenti/diminuiti
vengono invertiti (da un maggiore si ottiene un minore e così via).
A tutto ciò c'è una sola eccezione: l'intervallo di seconda. Quest'ultimo appartiene sia alla scala
maggiore sia alla scala minore, ma non è giusto poichè il suo rivolto non si mantiene giusto.
Quadriadi e Accordi
Introduciamo le quadriadi: l'ultimo tassello che ci manca per poter giungere agli accordi.
Ormai siamo vicini a definire in modo completo gli accordi: abbiamo capito quali siano le regole
dell'armonizzazione ed i princìpi del sistema modale, abbiamo visto (seppure in modo sommario) le
scale e soprattutto abbiamo già chiarito il significato delle triadi: non ci resta che parlare delle
quadriadi, come naturale continuazione.
A questo punto comprendere cosa siano le quadriadi è piuttosto semplice: ricordandoci che una triade
è formata da I, III e V grado, ci sarà sufficiente aggiungere un VII grado per ottenere una quadriade.
Dunque, parlando di intervalli, abbiamo posto un intervallo di terza dopo il V°, individuando così il VII°
e, considerando la quadriade nel suo insieme, un accordo di settima.
Tutto facile quindi fin qua. Questo sistema di costruzione delle quadriadi conduce tuttavia ad avere
diversi 'tipi' (specie) di accordi, definiti da sigle piuttosto complesse: cerchiamo di vederci chiaro fin da
subito prendendo un esempio che peschiamo dalla scala che abbiamo visto più spesso, ossia la scala
maggiore di C (modo ionico): CDEFGABC. Ricodiamo la triade che ne avevamo estratto? C, E,
G.
Come detto sopra, aggiungiamoci il VII° (per individuarlo ci basta contare la settima nota della scala!!):
B.
Ecco la nostra quadriade: C, E, G, B. L'accordo corrispondente (ossia formato da queste stesse note) è
Cmaj7. Dobbiamo ora capire il significato di questa sigla.
La lettera C ci è chiara: esattamente in modo analogo a quanto visto nelle triadi, la tonica dà il nome
all'accordo. La sigla maj (maggiore) ci fa capire che il VII grado che abbiamo aggiunto alla triade (B in
questo caso) è maggiore. Se preferiamo possiamo dire che tra VII° e tonica (I°) vi è un intervallo di
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settima maggiore. Inutile dire che il numero 7 è associato all'ormai famoso VII grado che aggiungiamo
alla triade...
Quando invece troviamo un VII° minore ci sarà sufficiente rimpiazzare la siglia 'maj' con la semplice m
che indica sempre accordi minori. Solo raramente troviamo la sigla min per indicare un VII° minore. Si
rischia invece di trovare spesso il simbolo '+' a sostituzione della sigla maj (nell'esempio di prima: C7+):
questo sistema può creare qualche problema perchè il simbolo '+' rappresenta in realtà il diesis.
Tuttavia c'è dell'altro: nei nostri esempi abbiamo sempre considerato triadi e quadriadi costruite
esclusivamente sulla tonica della scala di C (quindi partendo da C). In realtà possiamo costruire
combinazioni di 3 o 4 note partendo da ogni grado, prestando ovviamente attenzione agli intervalli.
Dunque, se per esempio volessimo prendere come punto di partenza il III° della scala di C otterremmo
E, G, B come triade ed E, G, B, D come quadriade.
Per completare questa parte vediamo infine diverse specie di accordi generati da 4 suoni, cercando
questa volta di prestare particolare attenzione alle distanze 'interessanti': tra prima e terza, tra terza e
quinta, tra settima e ottava (quest'ultima ci è indispensabile nel caso delle quadriadi per comprendere il
valore della settima aggiunta). L'accordo visto sopra, Cmaj7 presentava al suo interno distanze di tt
(due toni) tra I e III, ts (un tono e mezzo) tra III e V e s (un semitono) tra VII e VIII.
Cm7 conterrà invece distanze di ts, tt e t: le note con cui abbiamo a che fare saranno dunque C, Eb,
G, Bb. Prestando attenzione a questo ultimo accordo considerato, noteremo come tutti i conti tornano:
la nota di partenza è C. Se da essa contiamo una distanza di un tono arriviamo a D, aggiungendo un
semitono arriviamo a Eb. Discorso analogo ovviamente per le successive due note.
Cmaj7 e Cm7 rappresentano ciascuno una specie di accordi nati sulle basi delle quadriadi: dopo
esserci dilungati ad osservare toni e semitoni tiriamo un po' le somme e presentiamo anche le altre due
specie fondamentali.
SPECIE
SIGLA (esempio) GRADI
TONI DOVE
Settima Maj
Cmaj7
tt/ts/s I°, IV°
I-III-IV-VII
Settima Minore Cm7
I-IIIb-V-VIIb ts/tt/t II°, III°, VI°
Dominante
dal V
C7
Semidiminuito Cm7b5
tt/ts/t dal V
I-IIIb-Vb-VIIb ts/ts/t VII°
Diamo un'occhiata alla tabella qua sopra e facciamo alcune considerazioni. Nella colonna 'Toni'
abbiamo inserito le sequenze di toni e semitoni 'notevoli', ossia tra I°-III°, III°-V° e VII°-VIII°. La colonna
'Dove' invece indica su quale grado o quali gradi nello sviluppo di una scala maggiore (modo
ionico) ciascuna specie di accordi viene costruita: tale 'limite' è imposto proprio dalla sequenza di toni e
semitoni, che deve trovare corrispondenza nelle note della scala.
Sempre osservando la tabella notiamo qualche anomalia scorrendo la riga della specie 'Dominante':
tale specie infatti si costruisce sulla V della tonalità maggiore.
Conoscendo queste norme abbiamo introdotto gli accordi quasi senza rendercene conto: proviamo a
capire a che punto siamo.
Sappiamo ora che ad ogni triade (costituita da tre note 'armonizzate' secondo regole ben precise)
corrisponde un accordo. Accordi più complessi sono invece associabili alle quadriadi, composizoni
armonizzate di 4 note, che sappiamo in parte riconoscere ed individuare attraverso le rispettive sigle.
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Attenzione però: non illudiamoci che all'accordo di C (la nostra triade C E G) possa essere aggiunto
solo il VII°! Potremmo, tanto per fare un esempio, aggiungervi un IV° (F) ottenendo così C4, ossia
accordo di Do maggiore di quarta.
Questo semplicissimo e banale esempio ci fa capire che l'argomento non è ancora chiuso: abbiamo
semplicemente visto, in modo semplificato, le regole basilari dell'armonizzazione che stanno alla base
di ogni accordo ma dobbiamo ancora fare qualche passo avanti per poter padroneggiare il sistema di
armonizzazione e muoverci con disinvoltura nel mondo degli accordi.
Per quanto riguarda questa parte puramente teorica, si andrà verso l'individuazione e la costruzione di
accordi sempre più complessi, ma prima sarà bene prenderci una piccola pausa e cominciare
finalmente a vedere tutto ciò che abbiamo detto finora trasposto sul nostro strumento: la chitarra.
Inizieremo dunque finalmente a far incontrare teoria e pratica.
Tablature e Spartiti
Tablature e spartiti, due diversi sistemi di rappresentazione musicale: vediamo le differenze
(profonde) e capiamo qual'è il più efficace.
Innanzitutto, se ancora non abbiamo le idee chiare, andiamo a vedere esattamente cos'è una
tablatura. Gli spartiti invece li abbiamo quasi sicuramente già incontrati, magari suonando un altro
strumento o nelle lezioni di musica a scuola.
Sappiamo che entrambi i sistemi servono a rappresentare la musica, ma vi sono differenze radicali:
diversità che stanno alla base dei due sistemi stessi e li rendono, all'uso pratico, profondamente lontani
l'uno dall'altro.
Per prima cosa, visualizziamoli entrambi: qua sotto un esempio di pentagramma...
32
...ed ecco una parte di tablatura pescata direttamente dall'archivio di questo sito...
E|--9---12------12------12------16b----------------------B|-12b-----12b----12b----12sr------17--------------15btsrG|------------------------------------------16-----------D|----------------------------------------------18b-18-14A|-------------------------------------------------------E|-------------------------------------------------------Le differenze (molte) balzano subito all'occhio.
Senza addentrarci nella simbologia adottata vediamo il meccanismo di rappresentazione: sul
pentagramma troviamo visualizzate le note, che assumono valori diversi in base alla posizione
occupata. Sulla tablatura invece non troviamo alcuna nota. E' proprio questo il nodo fondamentale, ciò
che ci consente di capire dove stia la differenza tra i due sistemi: il pentagramma rappresenta la
teoria musicale, ossia un ambiente astratto. La tablatura invece è la semplice trasposizione
grafica di una situazione materiale, ossia di quello che viene a crearsi sulla tastiera nel momento in
cui suoniamo. Non ci dice 'cosa suonare', ma ci indica 'come suonarlo'.
Proprio per questo la tablatura risulta più accessibile a più rapida da interpretare: non dobbiamo
possedere cognizioni astratte, non dobbiamo nemmeno conoscere le sette note per poter suonare una
tablatura. I numeri ci dicono quali tasti premere, le 6 corde direttamente visualizzate come linee
orizzontali ci consentono di interpretare con immediatezza quello che vediamo. Una volta imparati
pochi simboli che rappresentano tecniche particolari, siamo già pronti per suonare la tablatura.
Proprio per questi motivi la maggior parte dei chitarristi leggono, scrivono e diffondono la musica
attraverso tablature.
Fin qua sembrerebbe proprio che il sistema delle tablature sia il più vantaggioso: una semplificazione
notevole, meno simbologia, meno astrazione e una facile interpretazione. In realtà è un metodo di
rappresentazione che possiede tanti, enormi limiti rispetto al pentagramma.
Uno su tutti: se non abbiamo mai ascoltato una musica, non potremo assolutamente suonarla leggendo
la tablatura. Questo perchè la tablatura non ci fornisce alcuna informazione sul tempo: non vi è
alcuna trascrizione di tempo, pause o velocità d'esecuzione.
Naturalmente invece lo spartito ci dà ogni informazione necessaria: viene indicato il tempo, la velocità,
le battute, le pause, la durata di ogni singola nota. Dunque, possiamo tranquillamente eseguire
qualunque composizione anche senza averla mai sentita.
Ma un altro limite della tablatura è la sua possibilità di utilizzo unicamente legata ad uno strumento
musicale: la chitarra. E' infatti evidentemente impossibile suonare una tablatura con altri strumenti,
poichè la tablatura stessa rappresenta la tastiera di una chitarra. E' invece ovvio che le 7 note alla base
di ogni paentagramma sono universali e perfettamente riproducibili con ogni strumento musicale, voce
compresa.
Un ultimo fattore che può sembrare irrilevante ma gioca la sua parte è la storia dei due sistemi: il
pentagramma fonda la sua rappresentazione su simboli convenzionali e universalmente riconosciuti,
che invece mancano nelle tablature. Esiste in queste ultime una sorta di 'convenzione' nell'uso dei
simboli, ma è totalmente arbitraria e pertanto spesso si rischia di incontrare segni poco chiari.
Le conclusioni sono immediate: la tablatura è un metodo di scrittura ottimale per la chitarra ed indicato
per suonare pezzi che abbiamo la possibilità di ascoltare. La facilità di stesura e lettura ne fanno un
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sistema rapido ed intuitivo, accessibile a tutti. La comprensione del pentagramma invece richiede
conoscenze teoriche e comunque una buona capacità di astrazione musicale da svilupparsi nel tempo.
Non è così immediato nell'interpretazione, ma attraverso una simbologia completa e sintetica consente
di suonare qualunque tipo di composizione, con qualunque tipo di strumento, anche senza aver mai
sentito il pezzo in questione.
Non dimentichiamoci poi, che se siamo in grado di leggere uno spartito saremo per forza in grado di
comprendere anche una tablatura, ma il contrario non è assolutamente vero: anche solo questo
dovrebbe essere sufficiente per capire cosa conviene imparare.
L'uso della tablatura è comodo e rapido per l'uso della chitarra, ma se vogliamo davvero suonare e fare
musica, sapersi muovere su uno spartito è indispensabile.
La chitarra elettrica
Fin dai primi tempi in cui la chitarra fu utilizzata all'interno di moderne band blues e jazz sorse il
problema di amplificarne il suono, spesso coperto completamente da quello degli altri strumenti dotati di
volume ben più alto. Così per l'intero arco degli anni 30 sono state tentate diverse soluzioni al
problema, che hanno condotto alla nascita, intorno al 1940, dei primi modelli di chitarra elettrica come
noi oggi la conosciamo.
L'elemento fondamentale di questo nuovo strumento era la presenza di un pickup, ossia di un
trasduttore che consentisse di trasformare il suono in segnale elettrico, poi facilmente amplificabile. La
presenza di tale dispositivo rendeva d'altro canto inutile la funzione della cassa di risonanza: così fu
ideata la solid-body, ossia la chitarra elettrica a corpo pieno. Ciò non toglie che siano tuttoggi presenti
sul mercato numerosi modelli di chitarre elettriche dotate di una piccola cassa acustica, che conferisce
allo strumento un suono caratteristico più ovattato.
Comunque tutte le chitarre elettriche possiedono alcuni elementi comuni:
innanzitutto la presenza di potenziometri. Si tratta di manopole (il numero può variare) che consentono
di regolare velocemente certe caratteristiche del suono, intervenendo sul segnale proveniente dai
pickup prima che esso raggiunga l'amplificatore.
Vicino ai potenziometri solitamente troviamo anche il selettore per i pickup, che ci permette invece di
scegliere quali pickup utilizzare (nel caso ovviamente che la chitarra ne monti più d'uno!). Le corde
sono poi fissate al corpo della chitarra attraverso un ponte più complesso di quello di una chitarra
acustica normale, in quanto consente nella maggior parte dei casi di regolare action (altezza delle
corde sulla tastiera) e diapason (distanza capotasto-ponte). Alcune chitarre elettriche montano ponti
mobili, che permettono con una leva di modificare la tensione delle corde mentre si sta suonando.
La tastiera è pressochè identica a quella di una normale chitarra, anche se spesso è attaccata al corpo
intorno anche al 23° tasto, così da poter essere sfruttata in tutta la sua lunghezza. Per questo stesso
motivo la forma del corpo della chitarra è spesso determinata da due spalle mancanti, una superiore
ed una inferiore. Tornando alla tastiera, molte chitarre ormai montano tasti jumbofrets, caratterizzati
da uno spessore maggiore e che consentono di esercitare una minore pressione sulle corde. Un
elemento costitutivo utilizzato spesso per classificare le chitarre elettriche è rappresentato dal metodo
con cui il manico viene attaccato al corpo. Esso può infatti essere imbullonato con una placca metallica
(bolt-on), incollato ad incastro, o prolungato per l'intera lunghezza dello strumento(neck-thru). In
quest'ultimo caso il corpo della chitarra sarà formato da due parti di legno (una superiore ed una
inferiore) che si uniranno alla parte finale del manico andando a originare lo strumento stesso. Il manico
della chitarra elettrica può inoltre contenere una barra di torsione, ossia una barra di legno differente o
di metallo che percorre il manico nella sua lunghezza e può talvolta essere regolata tramite una vite
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posta dietro il capotasto. La barra serve ad impedire movimenti di torsione eccessivi del manico, che
possono essere indotti dalla tensione delle corde o da sforzi meccanici di altra origine.
Nella parte posteriore del corpo infine, troviamo uno o più sportelli che ci consentono di accedere ai
vani in cui è contenuta l'elettronica, la batteria (se si montano pickup attivi) e le molle del ponte tremolo.
Da queste cavità si apre una presa (jack), solitamente sul fianco della chitarra, per collegare la chitarra
la chitarra stessa all'amplificatore.
La chitarra elettrica
La chitarra acustica
Anatomia della chitarra acustica
Ovation 1769-ad5B
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Chitarra classica
Chitarra folk
Il principio fondamentale di uno strumento acustico a corde, di qualunque tipo esso sia, si basa sulla
vibrazione delle corde stesse e sulla successiva emissione di onde sonore. La semplice vibrazione, pur
producendo suddette onde, non è sufficiente affinché queste ultime possano essere udite
perfettamente dal nostro orecchio. Un esempio può essere la chitarra elettrica non amplificata: se si
colpisce con un plettro o con le dita una corda facendola vibrare, si può costatare come il volume della
nota suonata sia relativamente basso e quindi poco udibile. Per porre rimedio a questa situazione, si
deve ricorrere ad un amplificazione del suono che rappresenta la fondamentale differenza
fondamentale tra chitarra elettrica e chitarra acustica. Infatti mentre nel primo caso per l’amplificazione
si utilizzano dei componenti elettronici nel secondo caso si utilizza un corpo vuoto. Questo corpo vuoto,
presente in tutte le chitarre acustiche, è definito cassa armonica.
Quindi, la cassa armonica principalmente ha il compito di amplificare il suono emesso dalla vibrazione
delle corde. Secondariamente essa introduce delle armoniche, dovute alla vibrazione delle parti in
legno di cui e costituita, che incidono sul timbro dello strumento stesso. Il pregio dei materiali e la
qualità costruttiva influenzano, e non di poco, la "voce" dello strumento, indirizzando la scelta degli
appassionati verso certi marchi piuttosto che altri. Il termine chitarra acustica però è un po’ generico
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poiché possiamo suddividere questo genere di strumento in due categorie: la chitarra classica e la
chitarra folk. Entrambi i tipi di chitarra sono acustiche, amplificano il loro suono in maniera naturale e
del tutto autonoma,ma spesso si tende ad identificare la chitarra acustica con quella folk, considerando
erroneamente la chitarra classica una categoria a se stante. Naturalmente esistono delle differenze tra i
due tipi di chitarre, analizziamole insieme.
Il primo aspetto, e anche il più evidente, che differenzia chitarra classica (figura 1) da chitarra folk
(figura 2) è sicuramente il suono. Con la chitarra classica si utilizzano solitamente corde di naylon, le
quali contribuiscono a dare allo strumento un suono più morbido e dolce, mentre nella folk le corde
sono più rigide e di materiale metallico, con una caratteristica sonora quindi più squillante. Altro aspetto
che differenzia i due strumenti è la grandezza del corpo, che nella classica è di dimensioni ridotte.
Anche la tastiera è differente, nella classica più larga, e si attacca al corpo al 12° tasto (nella folk più
affusolata si attacca al 14°). Sono diversi anche i sistemi di ancoraggio delle corde al ponte e sulla
paletta.
Manutenzione della chitarra
Le informazioni descritte in questa sezione vi consentiranno di avere cura nel migliore dei modi del
vostro strumento. Troverete spero anche qualche consiglio sull'acquisto di una nuova chitarra o su
eventuali guasti che possono verificarsi durante l'uso. Sono trattati vari argomenti, dall'elettronica dei
pick-up alla correzione della curvatura del manico. Ovviamente bisogna ricordarsi che non siamo
professionisti quindi per guasti seri o interventi di un certo livello bisogna rivolgersi ad un liutaio esperto.
Le corde
Le corde possono essere di due tipi: in acciaio o in nailon. Le corde d'acciaio vengono montate sulle
chitarre elettriche e sulle acustiche folk mentre le corde di nailon sono montate su chitarre classiche.
Calibro e tensione delle corde
Il tono della nota prodotta dalla corda di chitarra dipende da tre fattori: la tensione cui è sottoposta
(controllata dalle meccaniche); la lunghezza della parte vibrante (determinata dalla distanza tra il
capotasto e l'osso del ponte); e la sua massa. Con l'aumentare dia del diametro sia del peso della
corda, ne aumenta anche la massa. Se due corde di eguale lunghezza si trovano sottoposte a tensione
uguale, quella dotata di massa maggiore vibrerà a frequenza minore e produrra una nota più bassa:
ecco perchè le corde più basse sono più spesse.
Calibro di corde (in pollici: 1 pollice = 2.54 cm)
Ultra light ( .008, .010, .014, .022, .030, .038 )
Extra light ( .010, .014, .020W, .028, .040, .050 )
Light ( .011, .015, .022W, .030, .042, .052 )
Medium ( .013, .017, .026W, .034, .046, .056 )
Heavy ( .014, .018, .028W, .040, .050, .060 )
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Correzione dell'action
Dopo aver montato le corde si passa a regolare l'action (L'action di una chitarra può essere definita
come la sua sonabilità, in pratica non è altro che l'altezza delle corde rispetto alla tastiera)secondo le
propie esigenze.
Questa fase si effetua agendo direttamente sulle singole sellette del ponte (Fender,Wilkinson), oppure
sui perni laterali su sui è fissato (Gibson, Floyd Rose).
Prima di regolare l'action bisogna valutare i pro e i contro.
Action alto
Pro

Maggiore volume

il timbro tende a migliorare

Contro

Note più dure: necessaria maggior pressione del dito

fraseggi veloci più difficili
ideale per chitarra ritmica
Action bassa
Pro

note più agevoli da eseguire

assoli più facili da eseguire
Contro

fa "friggere" le corde sulla ritmica

minor volume

il timbro può peggiorare un po
l'action ideale è di circa 1,5-2 mm.per i bassi e di 1-1,5 mm. per i cantini. Controllare che le corde non
frustino, se ciò avviene può dipendere dalle corde troppo basse, dalla regolazione del manico o dai tasti
consumati (in questo caso occorrerà l'aiuto del liutaio).
Cambiare Pickup
L'elettronica gioca senz'altro un ruolo fondamentale nel definire il comportamento finale dello
strumento: cambiare pickup può trasformare radicalmente il carattere della nostra chitarra.
Innanzitutto chiediamoci: perchè cambiare i pickups della nostra chitarra?
Le motivazioni possono essere tante e potenzialmente tutte valide: pickup ed elettronica influiscono
enormemente sul suono finale ed è relativamente semplice ed economico intervenire in questo campo.
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Mentre infatti lavoretti sul body o sul manico possono portare a danni irreversibili (meglio affidarsi ad un
buon liutaio!), gli interventi di elettronica sono perlopiù facilmente eseguibili in casa: tutto ciò che ci
serve di solito è un saldatore e un cacciavite.
Sappiamo bene che esistono pressochè infiniti modelli di pickup, tutti dotati di caratteristiche proprie:
se non abbiamo le idee chiare sui pickup, cerchiamo di fare un minimo ordine ripassando qua.
Prima di iniziare i lavori, ancora un paio di precisazioni: innanzitutto le misure dei pickup seguono quasi
sempre particolari standard. Questo significa che un pickup single-coil normale si può installare sulla
maggior parte delle chitarre che sono predisposte ad ospitare questo tipo di pickup. Stesso dicasi per
gli humbucker. Non è un discorso sempre valido purtroppo, perchè esistono pickup vintage o semiartigianali di misure particolari, così come esistono chitarre particolari o customizzate che hanno sedi di
dimensioni diverse, create per ospitare soltanto pickup di un certo tipo.
Dobbiamo poi precisare che mischiare sullo stesso strumento elettroniche attive e passive è sempre
sconsigliabile: innanzitutto perchè complicheremo notevolmente gli interventi da compiere ed in
secondo luogo perchè rischiamo di ottenere cattivi risultati in termini di suono.
Infine ricordiamoci ciascuna chitarra ha un suo preciso schema elettronico ed ogni modello di pickup
richiede particolari cablaggi e collegamenti: è impossibile fare un discorso universale che sia valido per
ogni strumento e con ogni pickup, quindi cerchiamo di trattare l'argomento in modo generico. Come già
detto si tratta di operazioni piuttosto semplici, che quindi potremo facilmente adattare alle nostre
necessità.
Prima di ogni altra cosa dovremo accedere alla 'buca' che nasconde l'elettronica: solitamente questa si
trova sul retro dello strumento, ma su alcuni modelli (come la Fender Stratocaster) per accedere
all'elettronica bisogna rimuovere il battipenna. Nella foto qua sotto vediamo cerchiato in rosso il
coperchio della buca:
Ci basterà svitare le viti che lo serrano per rimuoverlo e accedere allo scomparto sottostante. Ciò che ci
troviamo ora davanti agli occhi è difficile da descrivere: come già detto ogni chitarra possiede uno
schema elettronico tutto suo ed in molti casi il risultato all'occhio inesperto è un inestricabile groviglio di
cavi e collegamenti. Cerchiamo prima di tutto di individuare gli elementi fondamentali:
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I cerchi rossi segnano i tre potenziometri, il cerchio grigio la batteria da 9v (è evidente dunque che
siamo di fronte a elettroniche attive), il cerchio viola evidenzia il selettore dei pickups mentre la freccia
bianca indica il canale che conduce i cavi dai pickups fino a questa cavità: ora sappiamo con cosa
dovremo lavorare.
Questi elementi (eccezion fatta per la batteria) sono presenti su quasi tutte le chitarre, ma possono
essere collegati in modo molto diverso, anche a seconda dei pickup installati.
Se tuttavia tutto ciò che dobbiamo fare è cambiare uno o tutti i pickups, il discorso si semplifica
notevolmente, perchè non è necessario conoscere lo schema dei collegamenti: vediamo come fare.
Innazitutto dovremo rimuovere le sei corde, ma per questo non dovrebbero esserci problemi. Quindi
svitiamo il pickup dalla sede, in cui è fissato attraverso due viti (attenzione, alcuni pickup presentano
due viti anche per regolarne la distanza dalle corde: svitiamo quelle giuste, ossia quelle che vanno a
mordere il legno dello strumento!). Una volta svitato il pickup (e aperto lo sportello posteriore dello
strumento), tiriamo dolcemente il pickup verso l'alto osservando contemporaneamente l'interno
della cavità dell'elettronica: così potremo facilmente individuare i cavi che dalla buca giungono al
pickup, che nella maggior parte dei casi sono due. Non ci servirà a questo sapere null'altro:
guardiamo bene dove sono collegati questi cavi e li stacchiamo (con le forbici, senza strappare). A
questo punto potremo rimuovere il pickup (ancora collegato ai suoi cavi) dalla sede.
Infiliamo i cavi del nuovo pickup nel tunnel che dalla sede conduce alla buca: se troviamo difficoltà a
farli avanzare possiamo usare un normale passacavi per fili elettrici. Quando i cavi del nuovo pickup si
affacciano nella cavità non dovremo far altro che saldarli negli stessi punti in cui erano fissati quelli
del vecchio pickup. Fatto ciò avvitiamo il pickup nella sua sede ed abbiamo finito.
Ripassiamo in sintesi:
1. Svitiamo il PU da rimuovere
2. Individuiamo nella buca i cavi ad esso collegati e li tagliamo
3. Rimuoviamo il PU
4. Infiliamo i cavi del nuovo PU a partire dalla sede di quest'ultimo
5. Facciamo arrivare i cavi del nuovo PU nella buca
6. Colleghiamo i cavi nuovi così come erano collegati i cavi vecchi
7. Avvitiamo il PU
Come avevamo anticipato, si tratta di un'operazione piuttosto semplice.
ATTENZIONE: non dobbiamo scoraggiarci se non sappiamo saldare cavi! Si tratta di
un'operazione molto semplice infatti: una volta riscaldato il saldatore ci basta porlo in contatto con il
punto del collegamento per far sciogliere un po' di rame (quelle patacchette metalliche) e poi
appiccicarvi il filo. Se non vi è rame da fondere sufficiente a garantire un buon fissaggio possiamo
tranquillamente trovare in ferramenta delle placchette di rame apposta per saldature. Stiamo sempre
attenti a non far entrare in contatto la punta del saldatore con componenti elettroniche o protezioni dei
cavi!
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Dicevamo però che l'elettronica di ogni chitarra è particolare e che ogni pickup necessita di
collegamenti diversi: come abbiamo visto cambiare un pickup può essere un'operazione piuttosto
semplice, ma qualunque altro intervento richiede una conoscenza dello schema elettronico del nostro
strumento. Si tratta fondamentalmente dello schema dei collegamenti: qua qualche esempio ed
ulteriore chiarimento.
Elettroniche e schemi elettronici
Prima di qualsiasi intervento dobbiamo conoscere i collegamenti elettronici del nostro
strumento: cerchiamo di vederci chiaro.
Abbiamo visto come un'operazione semplice come cambiare un pickup non ci richieda particolari
conoscenze nè una grande dose di esperienza.
Nello svolgere tale operazione si nota però facilmente come l'incavo contenente l'elettronica della
chitarra sia in realtà sede di collegamenti che non ci sono del tutto chiari. Conoscerli meglio ci aiuterà
sia a intervenire con maggior consapevolezza sulle componenti elettroniche, sia ad approfondire la
comprensione del nostro strumento.
Purtroppo ogni chitarra presenta una sua elettronica: a seconda che vi siano pickup attivi o passivi, a
seconda del tipo di selettore installato, del tipo e numero di potenziometri...insomma, le variabili sono
infinite. Per questo non esiste uno schema universale che possa essere imparato e usato per capire
ogni strumento ma bisogna in molti casi rifarsi agli schemi rilasciati dai produttori.
Tuttavia, basta un minimo di esperienza per capire meglio i collegamenti elettronici e consentirci di
intervenire tranquillamente anche senza la guida di uno schema.
Allegati a questo testo (a fondo pagina) troviamo alcuni schemi che ci mostrano appunto i collegamenti
interni delle chitarre in questione ed i cablaggi di alcuni pickups. Un solo appunto a riguardo: laddove,
nello schema della Fender SRV, troviamo la dicitura 'to ground' (18) si parla proprio della messa a
terra: per ridurre ronzii e rumori è necessario che l'impianto elettronico della chitarra sia 'messo a terra'
collegandolo al legno dello strumento con una vite.
Attachments
Cablaggi dei Pickup Gibson
Collegamenti sulla Fender
Stratocaster SRV
Collegamenti sulla Starfire
Special
Collegamenti Gibson Les Paul
Standard DC
Collegamenti Gibson Blueshawk
Collegamenti Gibson Nighthawk
a 2 Pickup
Collegamenti Gibson Nighthawk Schema elettrico e collegamenti
a 3 Pickup
Gibson SG X (1 pickup)
Pulire lo strumento
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Molti trascurano la pulizia dello strumento, limitando gli interventi alla manutenzione ordinaria a
lunga frequenza: perdendo poco tempo possiamo invece allungare la vita dello strumento e
mantenerne inalterato il suono.
Pulire la chitarra: spesso non ci si pensa. Al massimo ci accontentiamo di togliere la polvere con un
panno ogni tanto...e invece una corretta pulizia della chitarra può influire enormemente sia sulla durata
dello strumento sia sul suo corretto funzionamento.
Infatti ruggine, depositi di sporco e gocce di sudore possono compromettere la prestazione finale del
nostro strumento ben più di quanto pensiamo, portando anche a guasti e malfunzionamenti, soprattutto
nel caso in cui si ossidino le parti metalliche. Prevenire questo tipo di problemi è molto semplice e
richiede davvero poco tempo: abbiamo bisogno di pochi prodotti di uso comune e un briciolo di
pazienza.
Iniziamo dunque dalla pulizia generale del body: le vernici plastiche usate sulle chitarre elettriche hanno
di solito una straordinaria capacità di attirare la polvere, per questo il nostro primo compito sarà
rimuovere con un panno asciutto la polvere depositata sulla superficie. Se vogliamo possiamo usare un
panno statico (quelli che attirano la polvere) ed a lavoro ultimato possiamo usare prodotti antistatici
per prevenire la formazione della polvere. In questa fase stiamo bene attenti a non usare il prodotto su
parti in legno non coperte di vernice plastica, che potrebbero rovinarsi.
A questo punto possiamo occuparci delle altre parti dello strumento, la cui pulizia richiede però la
rimozione delle corde: come ben sappiamo, togliere le sei corde contemporaneamente non è salutare
per il legno del manico e se abbiamo un ponte mobile è decisamente dannoso. Procediamo quindi
lavorando su singole parti, in modo da rimuovere una corda per volta:
1. togliamo la prima corda
2. ci prendiamo cura della relativa porzione di tastiera, della meccanica, del pickup che sottostava la
corda rimossa e delle altre parti ora accessibili
3. montiamo la corda nuova (quella vecchia una volta rimossa è meglio buttarla via)
4. ripetiamo la stessa procedura smontando la seconda corda...
Per quanto riguarda la tastiera, dobbiamo prestare particolare attenzione. Si tratta infatti di una parte
estremamente delicata dello strumento, poichè il legno deve essere in buone condizioni per garantire
scorrevolezza ed assenza di imperfezioni anche minime. Dunque prima di tutto rimuoviamo lo sporco
che inevitabilmente si sarà accumulato a ridosso di ogni tasto metallico: ci basta un oggetto
sufficientemente fine ed appuntito. Stiamo naturalmente attenti a non intaccare il legno... A questo
punto potremmo lasciarci tentare da numerosi prodotti per 'velocizzare' le tastiere: in realtà raramente
valgono il prezzo pagato. Conviene usare invece prodotti generici per legno vivo normalmente in
commercio o cera di carnauba (usata per le pipe), che troviamo dal ferramenta. Distribuiamo il
prodotto su tutta la lunghezza dello strumento e lasciamo riposare per qualche minuto. Rimuoviamo
con cura i residui (soprattutto attorno ai tasti metallici) e verifichiamo la scorrevolezza della tastiera:
alcuni prodotti tendono a lasciare il legno appiccicoso. In questi casi ci basta ripassare con un panno
lievemente umido per rimuovere la pellicola di prodotto rimasta sul legno.
La manutenzione delle meccaniche è più semplice, ma possiamo comunque prestare un po' di
attenzione ai prodotti che usiamo: molte persone infatti lubrificano le meccaniche con olii poco indicati,
mentre troviamo tranquillamente in commercio prodotti che lubrificano e proteggono
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dall'ossidazione, prevenendo quindi la formazione di ruggine. Con cura apriamo il coperchio della
meccanica fino a individuarne gli ingranaggi e lubrifichiamo con moderazione. Questo tipo di intervento,
effettuato anche raramente, ci consentirà di mantenere la funzionalità delle meccaniche ed in
particolare ne renderà più precisa l'azione.
Prendersi cura dei pickup invece è piuttosto semplice: se le teste dei magneti appaiono arruginite
(anche lievemente) possiamo grattare con carta vetrata fine (500/800). Se lo strato di ruggine è
significativo a operazione ultimata la testa del magnete risulterà più lontana dalla corda: possiamo
rimediare alzandolo semplicemente laddove possibile. Se il nostro pickup non prevede la regolazione
dell'altezza dei singoli magneti, togliamoci dalla testa l'idea di compensare abbassando la corda, e
pensiamo piuttosto che se davvero la ruggine era tanto spessa, rimuovendola non abbiamo alterato
troppo la distanza effettiva del conduttore (la ruggine non fa più parte del magnete!). Evitiamo
comunque di usare prodotti sul pickup, in quanto potrebbero interferire con funzionamento del
magnete.
Infine le cure relative al ponte non sono complicate: lubrifichiamo, così come abbiamo fatto con le
meccaniche, tutti gli organi in movimento. Nei ponti mobili prestiamo particolare cura alle superfici di
scorrimento (staffe e perni) mentre sui ponti fissi possiamo lisciare per bene le zone di contatto con le
corde e lubrificare gli organi di regolazione (i ponticelli che regolano l'action di ogni corda, o le massette
per determinarne il diapason) e assicuriamoci che non vi siano detriti di ruggine.
Qualcuno usa anche pulire le corde, ad esempio facendole bollire in acqua. E' un metodo che
funziona, in quanto dilata le spire metalliche della corda facendo rilasciare lo sporco catturato, ma in
ogni caso per ottenere un buon suono le corde andrebbero cambiate piuttosto spesso, ai primi
segni di ammaccatura o deterioramento, quindi sono procedure che sconsiglio.
L'acquisto di nuovi pick-ups
Cambiare i pick-ups della propria chitarra può essere un'operazione da considerare. Per capirne
qualcosa di più sulle prestazioni del pick-up da acquistare, ci sono alcune cosette da
considerare.
Come abbiamo visto in altre pagine di questo guitar book, i pick-up sono fondamentalmente dei
magneti quindi è facile intuire che tanto più potente è il magnete tanto più intenso sarà il suono, questo
implica anche l'accentuazione maggiore delle frequesze alte.
Sappiamo tutti, e se qualcuno non lo sa, lo saprà ora ;-), che la potenza del magnete nel corso degli
anni si indebolisce ma questo fenomeno a volte non è considerato un inconveniente, anzi molti
ricercano pick-up "d'annata" a tal punto da spingere alcune case produttrici come la Seymour Duncan
ad invecchiare manualmente alcuni dei suoi prodotti.
Le bobine dei pick-up differiscono tra loro per il diametro dei fili usati e il numero di spire attorno ad
essa. Un filo sottile ha maggiore resistenza al flusso della corrente rispetto ad un filo di maggiore
diametro. Un più alto numero di spire da alla bobbina una maggiore impedenza e maggior volume, ma
comporta anche una riduzione della brillantezza. L'impedenza di lavoro di un pick-up è difficile da
misurare senza l'uso di strumentazioni sofisticate, pertanto nella determinazione approssimata delle
prestazioni di un pick-up è pratica comune misurare la resistenza della bobbina alla DC.
Controllo della prestazione di un pick-up.
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Considerando la relazione che intercorre tra la resistenza e l'impedenza in AC è possibile ricavare un
utile indicazione sulle caratteristiche approssimate di tono e di volume del proprio pick-up.
Ovviamente per testarlo va prima staccato dal circuito.
A questo punto selezionare ohm sul tester e toccare con le due punte le uscite dei pick-ups. La
resistenza dovrebbe aggirarsi intorno ai 3K e i 14K. Un pick-up con restistenza 3K, ha un timbro
chiarissimo, ma un volume basso, mentre con pik-up a 12k ha un timbro più caldo.
PS: Il cambio dei pick-ups è un'operazione comunque delicata e quindi andrebbe fatta eseguire da un
esperto.
Curvatura del Manico
Regolare la curvatura del manico: un parametro che si considera poco nella cura e nel settaggio
dello strumento, ma che influisce notevolmente sulle prestazioni.
Il coperchio che alloggia il registro di regolazione della barra..
...ed il vano dopo aver rimosso il coperchio.
I manici delle nostre chitarre sono fondamentalmente dritti, anche se in molti casi presentano lievissime
curvature rientranti o uscenti. Tuttavia molti elementi possono modificare accidentalmente la
corretta curvatura del manico: condizioni di eccessiva umidità, lunghi periodi senza corde montate e
urti fisici sono i fattori che più di tutti alterano la curvatura.
Per ovviare agli eventuali problemi che derivano da una curvatura del manico troppo accentuata vi è
(su quasi tutte le chitarre) un registro di regolazione: si tratta di una vite posta dietro il capotasto
(a volte nascosta sotto un coperchietto) e che agisce direttamente sulla barra di torsione (truss-rod),
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un'asta metallica che percorre il manico in tutta la sua lunghezza. Agendo sulla vite noi possiamo
tendere la truss-rod e modificare così la curvatura del manico.
Prima di tutto però è necessario capire se il nostro manico è davvero troppo curvo: per fare ciò ci
basta premere contemporaneamente la prima corda (E, mi basso) al I e XXIV (o XXII) tasto.
Osservando i tasti centrali dovremmo notare uno spazio tra corda e tastiera: tale spazio dev'essere
circa 1/2mm. Uno spazio maggiore significa un manico curvo verso l'esterno, che deve essere quindi
allentato, viceversa una distanza minore tra corda e tasto vuol dire che il manico è curvo verso l'interno
e la barra di torsione andrà serrata.
A questo punto l'operazione da svolgere è semplice: dopo aver rimosso l'eventuale coperchietto che si
trova dietro il capotasto, sulla paletta, possiamo accedere al dado (o vite, dipende dai modelli) di
regolazione della barra di torsione. Stiamo bene attenti a serrare (o allargare) la vite in modo molto
progressivo, effettuando nuove misurazioni ad ogni serraggio: solo in questo modo possiamo essere
sicuri di trovare la curvatura giusta.
Inoltre, se dobbiamo allentare la vite, ossia correggere una curvatura verso l'esterno, conviene smollare
di un po' la vite fino a superare la giusta curvatura e poi procedere a serraggi progressivi: questo
metodo ci consente alla fine di ottenere una regolazione più stabile. In pratica, se abbiamo un manico
curvo verso l'esterno, lo allarghiamo fino a farlo diventare curvo verso l'interno, per poi stringerlo al
punto giusto.
Teniamo comunque sempre presente che la barra di torsione deve fondamentalmente flettere il legno
del manico: è un assestamento che richiede diverse ore, quindi dopo aver serrato e prima di
effettuare la verifica lasciamo al legno il tempo di deformarsi.
Gli effetti di una corretta regolazione sono molteplici: innanzitutto se il manico è troppo curvo verso
l'esterno le corde saranno troppo lontane dai tasti per assicurare una buona suonabilità e la
regolazione dell'action non sarà fedele. Al contrario, un manico curvo verso l'interno farà 'friggere' le
corde sui tasti metallici e ridurrà drasticamente l'action ed il sustain.
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Prontuario di Accordi
Tonalità di La (A)
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Tonalità di Si (B)
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Tonalità di Do (C)
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Le Tecniche
Le tecniche particolari
Per ottenere suoni diversi gli effetti spesso non sono sufficienti: è necessario ricorrere a
tecniche particolari.
Sopratutto suonando la chitarra elettrica ci si rende facilmente conto che esistono infiniti modi per
generare suoni diversi: i pickup percepiscono ogni minima vibrazione delle corde e ciò ci dà la
possibilità di trovare nuovi tipi di sonorità intervenendo non solo attraverso effetti di manipolazione
del suono ma sul metodo stesso con cui noi mettiamo in vibrazione le corde. Avere una buona
conoscenza delle tecniche fondamentali per chitarra elettrica è importantissimo perchè, unitamente alla
padronanza degli effetti, ci consente di ampliare ulteriormente il numero di diversi suoni che siamo in
grado di ottenere. Non dobbiamo poi dimenticare che l'apprendimento e l'uso di diverse tecniche
aumenta le nostre capacità di movimento sulla tastiera ed una volta raggiunta una certa padronanza
impreziosisce ogni composizione.
Alcune tecniche coinvolgono soltanto la mano sinistra (si esercitano dunque sulla tastiera) altre solo la
mano destra (intervenendo sul ponte o sul modo con cui vengono fatte vibrare le corde), mentre in
diversi casi è richiesta la coordinazione delle due mani.
Palm Muting
Il Palm-Muting è una delle tecniche più importanti ed utilizzate: è molto semplice da imparare
ma non è facile padroneggiarla appieno.
Il palm-muting è molto utilizzato soprattutto per chitarre d'accompagnamento e comunque
generalmente in presenza di distorsioni.
Consiste nell'appoggiare, mentre si suona, il palmo della mano destra sulle corde, smorzandone così la
vibrazione. Il suono risultante è ovattato: anche per il modo con cui viene ottenuto è facile pensare al
pedale di sordina di un pianoforte. Come detto, è semplice imparare a suonare in palm-muting ma non
è sempre altrettanto semplice riuscire a padroneggiare appieno questa tecnica: per suonare con
pennate rapide o alternando parti in palm-muting a parti normali, ad esempio, è necessario fare un po'
di pratica.
Generalmente risulta più comodo usare questa tecnica da seduti, poichè possiamo tranqullamente
lasciare il polso più basso del solito appoggiandoci agevolmente sulle sei corde. Suonando in piedi,
invece, bisogna prestare qualche accorgimento in più perchè usare il palm-muting, sopratutto sulle
ultime tre corde, può essere un problema se si è alle prime armi. E' bene imparare a tenere il polso in
una posizione particolarmente angolata, che consenta di usare il plettro senza muovere il fianco della
mano appoggiato alle corde. Per avere un maggiore controllo del muting sulle corde G B E si può
ricorrere al dito mignolo, tenendolo ben rigido ed utilizzandone il fianco per prolungare la superficie di
contatto con le corde. Bisogna poi tener sempre presente che il suono varia anche in base a dove
appoggiamo la mano: se il nostro palmo tocca le corde vicino al ponte, il suono risulterà un po' meno
ovattato, mentre mutando le corde proprio sopra i pickup il risultato del palm-muting sarà molto più
spiccato. E' utile infine esercitarsi ad alternare rapidamente parti in palm-muting a parti suonate
normalmente, senza allontanare troppo in queste ultime la mano dalle corde.
Per accentuare l'effetto di palm-muting si può anche ricorrere all'uso della mano sinistra che,
sollevandosi lievemente dalla tastiera, contribuirà a fermare la vibrazione delle corde suonate.
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A stoppare le sei corde: palm muting.
Il polso suonando in palm-muted (a destra) risulta più angolato. Inoltre il fulcro del movimento di
plettrata (punto blu) si sposta su di esso anzichè sull'avanbraccio come molti chitarristi sono abituati
Bending/Releasing, Vibrato
Tutti sappiamo che la tensione di una corda è tra le caratteristiche che maggiormente
influenzano il suono.
Per questo motivo, aumentando o diminuendo la tensione della corda in vibrazione, il suono emesso
aumenterà o diminuirà di tonalità.
Diminuire la tensione di una corda mentre si suona è pressochè impossibile se non usando un ponte
mobile, ma aumentare la tensione è relativamente semplice. E' infatti sufficiente far sì che il dito che
preme al corda sulla tastiera la 'sollevi' verso la corda superiore (o la 'abbassi' vero la corda inferiore!),
sempre ovviamente premendola in corripondenza del tasto desiderato: in questo modo la tensione
aumenterà significativamente ed avremo un cambiamento di tono. E' il bending.
Dicevamo che diminuire la tensione di una corda è impossibile senza usare un ponte mobile: ora che
sappiamo cos'è il bending in realtà possiamo anche compiere il movimento opposto. Sarà infatti
sufficiente suonare la corda già in tensione e riavvicinarla con il dito alla sua posizione iniziale per
ottenere l'effetto inverso, il releasing.
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Lo stesso principio viene utilizzato per ottenere il cosiddetto vibrato. Tecnica semplicissima, consiste
nell'alternare bending e releasing mantenendo costanti corda e tasto. Il risultato è appunto un suono
'vibrato', in continua variazione di tono. In parole povere, premendo la corda, la tendiamo e la
riportiamo alla posizione iniziale diverse volte: è importante che questo tipo di movimento sia fluido e
sciolto, affinchè la tonalità a cui eleviamo la corda mettendola in tensione sia sempre la stessa (occorre
in pratica tendere sempre la corda allo stesso modo ossia, se vogliamo, spostarla verticalmente sulla
tastiera sempre della stessa misura).
Si tratta di tre tecniche piuttosto semplici sia da comprendere sia da mettere in pratica e molto
utilizzate, sopratutto negli assoli, quindi è bene padroneggiarle con sicurezza.
Bending sul 9° tasto della corda G: sollevando la corda fino a farle toccare la D passiamo dal MI al FA
Con le altre dita possiamo coprire le corde superiori così che non vengano messe in vibrazione
generando suoni fastidiosi
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Un ingrandimento che ci mostra chiaramente la corda sollevata
Hammer On e Pull Off
Come mettere in vibrazione le corde senza usare il plettro o le dita della mano destra:
direttamente sulla tastiera, hammer-on e pull-off.
La mano destra ed il plettro non sono gli unici mezzi che abbiamo per mettere in vibrazione le corde:
molte tecniche restituiscono alle dita che si trovano sulla tastiera un ruolo importante, che va ben oltre il
semplice 'premere le corde in corripondenza dei tasti'.
Così, soprattutto nei passaggi particolarmente veloci, è comodo e utile passare da un tasto all'altro
usando hammer-on e pull-off. Entrambe le tecniche si basano sulla possibilità di far vibrare le corde con
le sole dita della mano sinistra: vediamo come.
L'hammer-on viene utilizzato per passare da una nota più bassa ad una più alta (da un tasto inferiore
ad uno superiore se vogliamo): con il plettro mettiamo in vibrazione la prima nota mentre la seconda va
fatta suonare battendo con decisione il dito della mano sinistra sul tasto corrispondente. Principio
analogo per il pull-off, usato invece per passare da una nota più alta ad una più bassa: viene suonata
normalmente la prima, la seconda viene fatta vibrare staccando con decisione il dito dal primo tasto
suonato, 'strappando' lievemente di lato la corda, lasciando ovviamente un dito sul tasto relativo alla
seconda nota. Complicato?
Con un esempio in tablatura è più facile:
e|---------B|---------G|---------D|---------A|--5h7p6--E|----------
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H e P indicano rispettivamente hammer-on e pull-off.
Con il plettro (o con un dito della mano destra!) suoniamo la seconda corda al quinto tasto.
Mantenendo l'indice sul 5° tasto, portiamo l'anulare sul 7° tasto, premendo la corda con decisione: così
questa sarà messa in vibrazione. Intanto possiamo rilasciare l'indice e posizionare il medio sul 6° tasto:
sollevando con altrettanta decisione l'anulare dal 7° tasto la corda verrà fatta vibrare...al 6° tasto, dove
abbiamo posizionato il medio!
E' facile capire che in questo modo abbiamo suonato 3 note usando solo una volta il plettro: è una
tecnica che, se ben utilizzata, consente di suonare con maggiore velocità passaggi di tasto anche
complessi (sempre restando sulla stessa corda però!). Per questa sua capacità di collegare
rapidamente note diverse, hammer-on e pull-off sono anche definiti, più italianamente:
legato ascendente e legato discendente.
Tapping
Una tecnica normalmente poco usata ma che può rivelarsi utile se non indispensabile in diverse
occasioni.
Conoscendo hammer-on e pull-off possiamo parlare di un'altra tecnica particolare, il tapping.
Come abbiamo visto apprendere hammer-on e pull-off è piuttosto semplice ma nella loro esecuzione si
possono incontrare diversi problemi, soprattutto se dobbiamo suonare una lunga e veloce sequenza di
legati: rischiamo in questo caso di saltare qualche nota o di generare suoni fastidiosi mettendo
erroneamente in vibrazione altre corde. Queste difficoltà nascono dalla necessità di coordinare
continuamente la mano sinistra, autrice di hammer-on e pull-off con la mano destra, indispensabile per
suonare la prima nota di ogni serie.
Una soluzione la si può facilmente trovare limitando l'uso del plettro: generalmente suonando
successioni in legato suoniamo sempre la prima nota in modo tradizionale, con il plettro. Il tapping
consiste proprio nell'abbandonare l'uso del plettro anche per la prima nota, che suoneremo invece
praticando una sorta di hammer-on o pull-off con uno o più dita della mano destra. Inizialmente può
sembrare una tecnica macchinosa e complicata, visto che comunque richiede di spostare rapidamente
la mano destra sulla tastiera, posizione che decisamente non le compete. In realtà i vantaggi sono
molteplici: innanzitutto ci permette di suonare con molta più disinvoltura hammer-on e pull-off anche
molto veloci, e fa in modo che tali sequenze risultino più omogenee giacchè anche il suono iniziale è
originato da una sorta di hammer-on. Inoltre usando diverse dita della mano destra possiamo cambiare
velocemente corda, mantenendo inalterato l'effetto di legato. Infine ci dà la possibilità di raccordare
diverse sequenze di legato senza mai perdere la continuità del suono, suonando anche tasti tra loro
molto distanti: insomma, in pratica la mano sinistra esegue normalmente le sequenze di hammer-on e
pull-off, mentre la mano destra esegue la prima nota iniziale con un hammer-on a sua volta invece di
usare il plettro. Inutile dire che quest'ultimo non può essere abbandonato: le parti in cui è necessario
suonare in tapping sono spesso alternate da parti da suonare normalmente!
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Per suonare in tapping è utile tenere il plettro tra pollice e medio: avremo l'indice libero di premere sulla
tastiera all'occorrenza.
Stesso discorso, ma ricordiamoci...anche l'anulare ci torna utile per pizzicare le corde inferiori
Pennata Ska
Una tecnica limitata ad un genere, che non richiede particolari conoscenze teoriche ma
necessita di tanto esercizio pratico: la pennata ska.
La pennata ska è una tecnica che spesso si tende a sottovalutare: non trovando spesso spazio in altri
genere musicali viene considerata una tecnica inferiore se non del tutto inutile, anche perché non
presenta, nella sua esecuzioni, particolari stravaganze tecniche. In realtà è giusto affrontare questo
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argomento come ogni altro, poiché la pennata ska restituisce un suono unico ed inconfondibile e,
anche se magari non la useremo mai, costituisce comunque un pratico esercizio tecnico che di certo
non nuoce! Inoltre ci aiuta a capire che esistono diversi modi per suonare gli accordi ed il risultato
cambia notevolmente.
Premettiamo innanzitutto: si suona di solito senza effetti applicati, al massimo una lieve distorsione. Il
suono si ottiene suonando con pennate dal basso e mutando immediatamente. Vediamo come.
La pennata ska nella sua completezza prevede che l'accordo venga suonato normalmente (pennata
dall'alto) tenendo però le corde mutate (palm muting). Subito dopo lo stesso accordo va suonato con
una pennata dal basso, senza stavolta mutare le corde ma bloccandone la vibrazione subito dopo
averle suonate.
Inutile dire che è più difficile da spiegare che da eseguire, ma comunque questo tipo di esecuzione
presenta una certa complessità e macchinosità, soprattutto se dobbiamo suonare velocemente: per
suonare un accordo dobbiamo praticamente effettuare due pennate anzichè una, coordinando peraltro
le due mani per mutare le corde.
Così si può suonare una pennata ska semplificata, ottenendo un risultato molto simile all'orecchio ma
rinunciando a buona parte della complessità del metodo spiegato sopra. Sarà sufficiente suonare
l'accordo dal basso e mutare subito dopo le corde. Attenzione però: abbiamo detto che stiamo
suonando senza distorsione o altri effetti. Ciò ci consente di attuare un piccolo stratagemma per
semplificare ulteriormente l'esecuzione: invece di mutare le corde con il palmo della mano destra
possiamo sollevare lievemente le dita della mano sinistra dai tasti. In questo modo riusciremo a
suonare con maggiore disinvoltura e più velocemente, e le corde risulteranno perfettamente mutate,
non dovendo fare i conti con il gain di una potente distorsione.
Powerchord e Barrè
Due tipi particolari di accordo, diversi in tutto ma entrambi estremamente diffusi: indispensabile
saper suonare in powerchord e in barrè.
Barrè (notare l'indice a premere le sei corde)...
...e powerchord (l'indice preme solo la prima corda, il dito medio non preme nessuna corda)
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Il powerchord è un tipo di accordo particolare: è generato sue due note, la tonica e la quinta. Proprio
per questo viene definito anche come accordo di quinta, ma in realtà la sua origine risiede in un
'bicordo'. Infatti, sebbene sulla chitarra suoniamo tre corde per ogni powerchord, in realtà le note sono
sempre due: una delle due si ripete. Per intenderci, il powerchord in A risulta formato da A ed
E (intervallo di quinta) e ancora A.
Sulla tastiera la visualizzazione è semplicissima: ci basta premere con l'indice la A sulla prima corda (5°
tasto) e poi con anulare e mignolo E ed ancora A sulla seconda e terza (per entrambe 7° tasto). La
diteggiatura resta invariata per tutti i powerchord: è sufficiente muoversi lungo la tastiera per individuare
gli altri accordi, ricordando sempre che la nota premuta dall'indice è la tonica che definisce il
powerchord. Si può fare lo stesso discorso scendendo di una corda: indice sulla seconda corda,
anulare e mignolo su terza e quarta. Perchè non scendere allora di una corda ancora? Attenzione: non
possiamo!! Ricordate quanto detto sopra? L'intervallo è sempre costante, accordi di quinta. Ora
riportate alla mente come si accordava la chitarra prima di comprare l'accordatore elettronico: dalla
corda A si pigiava il quinto tasto e si trovava la D, con il quinto tasto della D si trovava la G, con il
settimo tasto della G si trovava la B...eccoci, abbiamo trovato il problema. Tra la quarta e quinta corda
esiste un'intervallo diverso, che non ci renderebbe più possibile mantenere la diteggiatura del
powerchord. Dunque, possiamo permetterci soltanto di avere powerchord con toniche sulla seconda
corda, ma non più giù.
I vantaggi di questo tipo di accordo sono comunque molti: innanzitutto l'incredibile facilità esecutiva
derivante dal fatto di non dover mai modificare la posizione reciproca delle dita. Come già detto infatti,
la diteggiatura non cambia mai: questa semplicità consente di spostarsi con estrema velocità da un
accordo all'altro. Inoltre, mancando una terza nota, l'accordo possiede una sonorità molto più semplice
e povera: un difetto senz'altro, ma può essere vantaggioso quando suoniamo con distorsioni: l'effetto
finale è un suono denso e compatto. Se infatti proviamo a suonare con una buona distorsione gli
accordi tradizionali ci rendiamo conto che l'effetto non sempre è gradevole: le diverse note che formano
l'accordo finiscono per sovrapporsi ed il risultato finale è spesso fastidioso. Il powerchord, di sole due
note, risolve in modo drastico ma efficace il problema. Infine, dovendo utilizzare solo tre dita, possiamo
usare il medio per stoppare eventualmente le corde inferiori, così da non metterle inavvertitamente in
vibrazione.
Alla semplicità dei powerchord affianchiamo volontariamente gli accordi in barrè, decisamente più ostici
per chi è alle prime armi. Concettualmente sono davvero semplici da comprendere, ma l'esecuzione
richiede parecchie ore di lavoro. Chiariamo subito cos'è il barrè: parliamo di barrè quando con un solo
dito pigiamo diverse corde. Prendiamo come esempio il FA, il barrè più celebre forse (e l'accordo più
odiato da chi sta imparando a suonare!):
|---1--|---1--|---2--|---3--|---3--|---1--Il problema nasce da un difetto fisico proprio di ogni chitarrista: la mancanza di un sesto dito. Per
suonare questo accordo, infatti, dovremmo avere a disposizione un dito per ogni corda. Inutile
scervellarsi per trovare strani sistemi per suonarlo: l'unica via d'uscita è il barrè. Per farlo, posizioniamo
il dito indice disteso sul 1° tasto, tenendolo ben dritto a ridosso del tasto metallico e parallelo a
quest'ultimo: così il nostro dito farà da 'capotasto' premendo contemporaneamente tutte le corde al 1°
tasto. Abbiamo risolto il problema di quei fastidiosi "1" sulla prima, quinta e sesta corda. Ora, con le
altre dita che ci restano (dovrebbero essere tre) possiamo tranquillamente completare l'accordo,
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premendo secondo (quarta corda) e terzo tasto (seconda e terza corda): il gioco è fatto! Probabilmente
il suono che ne esce sarà pessimo, perchè è necessario molto esercizio per suonare in barrè con
disinvoltura: bisogna formare un minimo di callo ed una discreta muscolatura sul dito indice.
Ovviamente il FA non è l'unico accordo suonato in barrè: vi sono numerosissimi accordi di questo tipo,
ma individuarli è semplice poichè non vi è mai un'altro sistema comodo per suonarli. Vi sono anche
accordi che non richiedono un barrè di tutte le corde ma solo di due, tre o quattro: in alcuni casi tali
accordi si possono suonare anche con la diteggiatura normale e senza ricorrere al barrè, quindi sta al
suonatore decidere quale tecnica sia la più comoda.
Siamo insomma davanti a due tipi di accordo profondamente diversi: da una parte l'estrema
semplicità esecutiva e povertà di suono del powerchord, dall'altra l'impegnativo barrè che convolge
tutte le corde. Possono questi due accordi avere qualcosa in comune? Apparentemente no. In realtà
molto più di quanto possiamo aspettarci.
Per spiegarlo è più facile prendere in mano la chitarra ed evitare troppi giri di parole: suoniamo il
powerchord di prima, quello in A. Se abbiamo poco orecchio possiamo aiutarci con un accordatore:
indicherà A. Ora suoniamo una per una le tre corde del powerchord: saranno A E A come previsto.
Sullo stesso tasto della tonica del powerchord (5° tasto) costruiamo un bel accordo F in barrè.
Suoniamo e guardiamo l'accordatore (o aguzziamo l'udito): ancora A. Abbiamo appena imparato
qualcosa: trasferendo la diteggiatura del Fa sui vari tasti otteniamo accordi aventi la stessa tonica dei
powerchord suonati sugli stessi tasti. E, proprio come nei powerchord, possiamo anche scendere di
una corda. In realtà non abbiamo scoperto niente di entusiasmante: alle note A E A abbiamo aggiunto
C# E A. Una nota in più dunque, quanto ci basta per uscire dal mondo dei bicordi ed entrare in quello
degli accordi.
Questo barrè ci consente la stessa facilità esecutiva di un powerchord (a patto di avere una certa
disinvoltura nell'uso del barrè!) ed una gamma di suoni più ampia.
Tecnica = velocità ?
La tecnica è sinonimo di velocità? Non è solo un problema lessicale: proviamo a dare una
risposta.
Molti chitarristi -anche con grande esperienza- considerano la tecnica come sinonimo di velocità
esecutiva e viceversa. Ma sono davvero la stessa cosa? Davvero una implica per forza l'altra?
In effetti la prima risposta che diamo è SI'. Ci basta pensare che un brano particolarmente veloce
richiede, per essere suonato, una grande disinvoltura, quindi una buona tecnica. E viceversa,
naturalmente, possedere una buona tecnica ci consente di suonare più velocemente.
Ma se passiamo dalla parte opposta, pensando al brano in sè: è vero che un brano veloce è per forza
tecnicamente impegnativo? A questo punto la causalità che prima risultava evidente non è più così
chiara: no, non è così.
Un brano può essere molto veloce eppure non richiedere particolare abilità tecnica
nell'esecuzione. E, viceversa, un brano tecnicamente impegnativo può essere anche lento.
Per capire ascoltiamo il primo esempio allegato: questo breve riff è eseguito con una discreta velocità
eppure in esso non vi è alcuna difficoltà tecnica particolare, come evidenzia la tablatura che lo
rappresenta:
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E--------------------------------------------B--------------------------------------------G--------------------------------------------D-0232-0232-232-232-232-232-2325423----------A----------0---0---1---1---3-----------------E--------------------------------------------Anche se siamo solo agli inizi, ci basterà qualche minuto di esercizio per padroneggiare questo breve
riff: il trucco sta nell'assenza di tecniche 'speciali' (hammer-on, pull-off...), che invece richiederebbero
di essere ben padroneggiate prima di venir applicate con rapidità e disinvoltura.
Teniamo presente tuttavia che, senza l'ausilio di alcuno stratagemma tecnico, non è facile
raggiungere grandi velocità esecutive: già il nostro esempio è piuttosto veloce, se
volessimo eseguirlo ancora più rapidamente dovremmo per forza 'eliminare' qualche pennata e
sostituirla con dei tocchi più decisi della mano sinistra: insomma, dovremmo ricorrere a quelle famose
tecniche particolari che richiedono un po' di tempo per essere assimilate, ma che ci consentono di
spingerci ben più oltre.
Comunque abbiamo capito che, laddove non ci viene richiesta nessuna tecnica specifica, anche un
brano veloce può essere alla portata di tutti.
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