II GUERRA DI INDIPENDENZA (26/4/1859
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II GUERRA DI INDIPENDENZA (26/4/1859
II GUERRA DI INDIPENDENZA (26/4/1859 - 17/3/1861) Anche in seguito agli insuccessi dei democratici (es: fallimento della spedizione di Carlo Pisacane, 1857), il progetto politico di Cavour raccoglie sempre più consensi tra i patrioti italiani. Cavour pensa che sia venuto il momento di risolvere militarmente la questione italiana, ossia di muovere guerra all'Austria. Il suo obiettivo è: creare in Italia 3 regni, al Nord, al Centro, al Sud indipendenti da sovrani stranieri e sotto la presidenza del papa. Perciò, grazie a un abile lavoro diplomatico, stringe segretamente con Napoleone III gli accordi di Plombières (20 luglio 1858). Secondo tali accordi, la Francia sarebbe intervenuta a fianco del Piemonte, se esso fosse stato attaccato. Il Piemonte avrebbe dato in cambio Nizza e la Savoia. In quella occasione, Cavour fu così abile, da riuscire anche a volgere a proprio favore un episodio che avrebbe potuto mettere in pericolo l’alleanza con la Francia: l’attentato alla vita di Napoleone III compiuto da un mazziniano nello stesso 1858. Cavour infatti convinse Napoleone che simili attentati si sarebbero moltiplicati, se non si fosse intervenuti a risolvere la questione italiana. Nei mesi successivi, i Piemontesi cercano di provocare la guerra con l’Austria in vari modi: muovendo truppe al confine con la Lombardia, aiutando le famiglie lombarde prerseguitate dagli Austriaci, ecc. Alla fine, è proprio l'Austria che interviene a risolvere una situazione incerta: invia un ultimatum al Piemonte che Cavour si affretta a respingere. Il 26 aprile 1859, l'Austria dichiara guerra al Piemonte. E' l'inizio della II guerra di indipendenza. Nella guerra, i franco-piemontesi, affiancati dal corpo di volontari dei Cacciatori delle Alpi, guidato da Giuseppe Garibaldi, hanno subito la meglio: vincono le battaglie di Magenta, Solforino (combattuta dai Francesi), San Martino (combattuta dai Piemontesi). Ma Napoleone III decide improvvisamente di ritirarsi, perché è preoccupato del giudizio negativo dell'opinione pubblica francese, visti i costi economici e in termini di vite umane della guerra, perché teme un intervento della Prussia a fianco dell'Austria e perché non vuole che i cattolici francesi pensino che egli appoggi le rivolte scoppiate nel frattempo in Italia centrale contro il dominio papale. Dunque, firma con l'Austria l'armistizio1 di Villafranca: in base ad esso, l'Austria cede la Lombardia alla Francia, che a sua volta la dona al Regno di Sardegna. Grande è la delusione dei patrioti italiani, anche perché l’Austria conserva il Veneto e pretende che sia riportato l’ordine precedente la guerra in Italia centrale. Cavour si dimette perché l’armistizio è avvenuto senza che ne fosse informato. Ma soprattutto i patrioti di parte democratica decidono di non arrendersi. Infatti, durante la prima fase della guerra, in Toscana, a Parma, a Modena e nei domini pontifici i democratici e i moderati avevano dato vita a governi provvisori, dopo aver destituito i vecchi governanti. Dopo l'armistizio di Villafranca, tali governi decidono di annettere i 1 Sospensione temporanea della guerra, non vera e propria pace. loro territori al Piemonte con un plebiscito (marzo 1860). Cavour, tornato al governo, ottiene dalla Francia la ratifica2 delle annessioni e in cambio cede Nizza e la Savoia. L'IMPRESA DEI MILLE E LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA. Nel frattempo, in Sicilia era scoppiata una rivolta separatista, perché i siciliani mal sopportavano il governo borbonico che favoriva solo la zona del napoletano. I democratici decidono allora di riprendere dal Sud la lotta per l'indipendenza nazionale. Il 5 maggio 1860, Garibaldi, che era un democratico, salpa da Quarto (Liguria) alla volta della Sicilia insieme a circa 1000 volontari (intellettuali, artigiani, operai) con l'obiettivo di liberare la regione dal dominio borbonico. Cavour tenta di ostacolare l'impresa preoccupato dei suoi sviluppi. Sbarcato a Marsala (Sicilia) l'11 maggio, nel giro di tre mesi riesce a liberare la Sicilia, grazie all'appoggio della popolazione locale e di volontari giunti da tutta Italia. Dopo una prima vittoria a Calatafimi, la battaglia decisiva si svolge il 20 luglio 1860 a Milazzo. Il generale assume la dittatura dell'isola in nome di Vittorio Emanuele re d'Italia e istituisce un governo provvisorio. Garibaldi aveva vinto anche grazie all’aiuto dei braccianti siciliani, che speravano in una riforma agraria, che permettesse di distribuire le terre dei latifondisti ai contadini, mettendo fine alla loro secolare miseria. La riforma agraria però non venne attuata, perché i garibaldini non potevano perdere l’appoggio dei proprietari terrieri, che desideravano la cacciata dei Borboni. Al contrario, quando a Bronte i contadini occuparono le terre dei latifondisti, Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, li fece fucilare. Liberata la Sicilia, Garibaldi prosegue e giunge a Napoli liberando tutta l'Italia meridionale (7 settembre 1860). Il re Francesco II, salito al trono delle due Sicilie l'anno precedente, fugge a Gaeta. A questo punto, si apre uno scontro politico fra Cavour e Garibaldi. Cavour temeva che Garibaldi volesse instaurare in Meridione una repubblica e che volesse proseguire l'impresa, conquistando anche Roma, come gli suggeriva Mazzini. La conquista di Roma avrebbe provocato certamente l'intervento di Napoleone III. Garibaldi dal canto suo, pur accettando l'idea di un regno d'Italia sotto la dinastia dei Savoia, voleva che l'unificazione fra Nord e Sud non avvenisse con una semplice annessione al Regno di Sardegna attraverso un plebiscito, ma con la costituzione di un'assemblea costituente. Cavour decide allora di intervenire con decisione per fermare Garibaldi. Dopo aver ottenuto l'assenso di Inghilterra e Francia, invia nello Stato pontificio un esercito regio, che in breve occupa le Marche e l'Umbria, lasciando Roma al papa. Di qui, punta su Napoli, dove Garibaldi è riuscito ormai ad avere definitivamente la meglio sulle truppe borboniche. Il 26 ottobre 1860, nello storico incontro di Teano (vicino a Caserta), Garibaldi che non vuole una guerra con i piemontesi consegna il potere a Vittorio Emanuele II. Tra ottobre e novembre, la Sicilia, il Mezzogiorno, le Marche e l'Umbria votano l'annessione al Regno di Sardegna. Il 17 marzo 1861, il parlamento nazionale acclama Vittorio Emanuele II re d'Italia. 2 Approvazione e riconoscimento ufficiale. PROBLEMI APERTI DALL’UNITA’ D’ITALIA GUERRA D’INDIPENDENZA (1866-1870) E TERZA Problemi aperti dall’Unità d’Italia Proclamato il Regno d'Italia, rimanevano da risolvere almeno 4 problemi: 1) l’unificazione legislativa, amministrativa e doganale del nuovo stato unitario; 2) la questione meridionale, ossia l’avvio dello sviluppo economico e sociale del Sud, arretrato e logorato da secoli di malgoverno borbonico; 3) la conquista dell'indipendenza dalla dominazione austriaca da parte del Veneto, del Trentino e del Friuli Venezia-Giulia. 4) la questione romana, cioè il problema della presenza dello Stato pontificio a Roma e nel Lazio; Il primo Parlamento italiano Prima di procedere alla risoluzione del primo problema, era necessario formare un nuovo Parlamento. Per eleggere i deputati si utilizzò la legge elettorale piemontese (unico stato italiano che avesse in precedenza una monarchia parlamentare). Essa prevedeva che avessero diritto di voto tutti i cittadini maschi, che avessero compiuto i 25 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse all’anno, cioè solo il 2% della popolazione italiana, una piccola percentuale di benestanti (aristocratici, borghesia industriale, ufficiali, grandi commercianti). I rappresentanti di queste categorie sociali si divisero in due correnti politiche: Destra, formata dai moderati; Sinistra, formata da democratici favorevoli alla monarchia costituzionale. 1)L’unificazione legislativa, amministrativa e doganale del nuovo stato unitario 1861-1876: governo della Destra storica (così chiamata, dopo la separazione dalla Destra reazionaria che rifiutò di entrare nel Parlamento). La politica di questi moderati eredi di Cavour si ispirava a 4 principi fondamentali 1 Costituzionalismo Statuto albertino per tutta l’Italia 2 Laicismo tolleranza religiosa e indipendenza dello Stato dalla Chiesa 3 Liberismo Abolizione delle dogane interne e apertura a prodotti stranieri 4 Accentramento amministrativo Leggi e regolamenti uguali in tutta Italia Destra Storica (1861 - 1876) L’applicazione del liberismo in Italia ebbe conseguenze positive sulla circolazione delle merci sul territorio italiano, ma ebbe effetti negativi nei rapporti con il commercio estero. Imponendo tasse basse sui prodotti importati dall’estero, infatti, lo Stato italiano indeboliva la propria economia, che era ancora troppo debole per reggere la concorrenza dei prodotti inglesi o francesi che costavano meno ed erano di buona qualità. Anche l’accentramento amministrativo (l’estensione di leggi e regolamenti uguali a tutte le regioni italiane) non ebbe sempre effetti positivi, perché le regioni italiane avevano realtà economiche e sociali spesso assai diverse. Riforme economiche e sociali e pressione fiscale Nonostante le difficoltà, lo Stato italiano riuscì a realizzare alcune importanti riforme sociali: istruzione elementare gratuita e obbligatoria (fino alla seconda elementare); servizio militare per tutti i cittadini maschi in età di leva; e si impegnò in importanti lavori pubblici, costruendo ferrovie, che migliorarono notevolmente il sistema dei trasporti, influenzando la crescita dell’agricoltura anche al Sud, grazie alla maggiore facilità di trasporto delle merci. Tuttavia, per realizzare tutto questo lo Stato italiano dovette imporre tasse molto alte che colpirono soprattutto i lavoratori. Esse potevano essere imposte dirette (tolte ai redditi dei cittadini) o indirette (tassazione di 2)La “questione meridionale” e il brigantaggio Il secondo problema che lo Stato italiano doveva risolvere era la questione meridionale = ritardo nello sviluppo socio-economico del Sud Italia. Il problema era urgente perché subito dopo l’unificazione lo Stato italiano dovette affrontare una vera e propria guerra al brigantaggio. Che cosa fu il brigantaggio? Fu un fenomeno che si verificò in Calabria, Puglia, Basilicata, Campania dal 1861 al 1863, quando bande armate di briganti commisero una serie di crimini (uccisioni, rapine, devastazioni dei campi) contro i nuovi proprietari terrieri. Cause brigantaggio Mancata riforma agraria durante Impresa dei Mille delusione dei contadini a cui non furono date le terre Estensione a tutta Italia di leggi piemontesi poco adatte a realtà del Sud (es: servizio di leva poco gradito perché toglieva per lunghi periodi manodopera a famiglie contadine) Vendita di terre dello Stato e della Chiesa a nuova borghesia rurale, ancora più tirannica dei vecchi padroni i contadini furono sfruttati ancor più di prima e pensavano che lo Stato italiano fosse ateo Da chi furono protetti i briganti? Essi furono protetti dai contadini, ma anche dal clero, da funzionari che rimpiangevano il dominio dei Borboni e dai vecchi proprietari terrieri che speravano così di rientrare in possesso delle terre. Come si concluse la guerra al brigantaggio? Contro i briganti lo Stato italiano inviò la metà dell’esercito che con una dura repressione riuscì nel 1865 a mettere fine ai disordini. La violenza con cui fu represso il brigantaggio aggravò l’odio verso i Piemontesi, ossia verso i rappresentanti dello Stato unitario fra le popolazioni del Sud. Chi erano i briganti? Soprattutto braccianti (contadini salariati) Ex-garibaldini Ex-soldati borbonici Commercianti, professionisti Obiettivi dei briganti Riforma agraria Evitare servizio militare Ritorno dei Borboni 3) La questione dell’indipendenza del Veneto: la III guerra d’indipendenza Il terzo problema viene in parte risolto, approfittando di una favorevole situazione internazionale. 1866- guerra tra Prussia e Austria, nemica della Prussia perché impediva l’unificazione della Confederazione germanica intorno a quello Statoguida. L'Italia si allea con la Prussia, con la promessa che, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il Veneto. E' l'inizio di quella che è poi stata chiamata III guerra di indipendenza. Battaglie decisive per l’Italia= a Custoza e a Lissa (battaglia navale): l’Italia le perde entrambe perché il suo esercito è impreparato. Ma la Prussia vince in breve tempo a Sadowa e ottiene una pace vantaggiosa: l'Austria è costretta a cedere il Veneto all’Italia e a Guglielmo I, re di Prussia la presidenza della Confederazione germanica. Tuttavia, rimangono austriaci il Trentino A.A. e il Friuli V.G., lasciando una ferita che verrà risanata solo con la Prima guerra mondiale. 5) La questione romana Le idee di Cavour e papa PioIX La questione romana si era presentata già dal 27 marzo 1861, quando il parlamento nazionale aveva proclamato Roma capitale d'Italia, anche se la città era ancora sotto il dominio papale. Cavour, che muore pochi mesi dopo (giugno 1861), voleva risolvere il problema senza ricorrere alle armi, tentando di trovare un accordo diplomatico con il papa. D’altra parte, papa Pio IX non voleva che Roma diventasse capitale d’Italia, perché riteneva che perdendo il potere politico su Roma e sul Lazio, il papato non avrebbe potuto svolgere il suo compito liberamente. Ma a questo Cavour rispondeva con la formula "libera Chiesa in libero Stato": essa significava che uno stato libero avrebbe garantito ancor meglio la libertà della Chiesa e che i 2 poteri (politico e religioso) dovevano essere indipendenti fra loro. Tentativi falliti di liberare Roma Dopo la morte di Cavour, ispirandosi alle sue idee, il governo italiano cerca di risolvere la questione romana, cercando un accordo con il papa, ma questi tentativi falliscono. 1862- il nuovo presidente del Consiglio Urbano Rattazzi appoggia segretamente il progetto di Garibaldi di attaccare Roma, risalendo dal Sud. Napoleone III, ormai protettore del papa minaccia di intervenire e il re d’Italia Vittorio Emanuele II protesta con il suo primo ministro, temendo un’insurrezione repubblicana. Rattazzi fa intervenire l’esercito contro i garibaldini sull’Aspromonte (Calabria). Garibaldi viene ferito e catturato. La conquista di Roma Nel settembre 1870, un reggimento di bersaglieri finalmente entra in Roma, dopo che le mura della città erano state abbattute a cannonate accanto a Porta Pia. Ciò fu possibile perché le truppe francesi avevano abbandonato le città, in quanto la Francia era impegnata in quell’anno in una guerra contro la Prussia. La guerra fra Francia e Prussia era scoppiata perché Napoleone III non voleva l’unificazione della Germania per non avere uno stato troppo forte ai propri confini. Il primo ministro prussiano Otto von Bismarck aveva quindi provocato la Francia, che aveva dichiarato guerra alla Prussia nel 1870. La Francia subisce una durissima sconfitta a Sedan e l’imperatore viene catturato. La capitale d'Italia è spostata dunque a Roma, ma rimane l'opposizione del papa alle rivendicazioni del governo italiano. Il governo approva una serie di norme, la cosiddetta Legge delle Guarentigie, che garantisce al papa la libertà di compiere le funzioni del suo magistero e che regola i rapporti fra Stato e Chiesa: il papa ottiene gli onori che spettano a un sovrano, l'inviolabilità dei palazzi del Vaticano e del Laterano e una ricca rendita annua. Ma Pio IX respinge queste norme, dichiarandosi prigioniero dello stato italiano e vietando ai cattolici qualsiasi partecipazione alla vita politica. Ciò apre una grave frattura fra i laici e i cattolici italiani (destinata a durare più di trent'anni), perché da quel momento la maggior parte dei cattolici si rifiuta di andare a votare.