Il figlio del camorrista

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Il figlio del camorrista
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Qualche anno fa conobbi, in Inghilterra un ragazzo napoletano il cui cognome mi richiamò un noto camorrista
dei quartieri spagnoli. Lui alle mie domande tergiversò un poco, ma poi si aprì e mi raccontò il fatto che segue:
Il figlio del camorrista
“Pascà, core ‘e mamma,che guaio ch’he passato!”
“Mammà, il guaio più grande è di papà che potrebbe rimanere offeso alle gambe”.
“Pascà, figliu mio: Ch’he penzato ‘e fa?”
“Mammà, Più tardi vado a trovare papà in ospedale”.
“Ma allora nun he capito niente?A tuo padre l’hanno sparato, tu adesso lo devi vendicare”.
“Io? Ma se non ho mai preso un’arma in mano,e poi, non si è trovato nel mezzo di un conflitto a fuoco?”
“Ma quale nel mezzo! Tuo padre è il capo clan di tutta la sezione che va dai “Guantai ai Banchi nuovi” ”.
“Mio padre è un delinquente?”
“Eh! Che parola grossa. È un uomo di rispetto e qualcuno,questa volta,non lo ha voluto rispettare,ma non ha
fatto i conti con il figlio”.
“Perché mammà, io ho un fratello?”
“Pascà nun pazzià, tu lo vendicherai”.
“Mammà, ma papà è un camorrista, un estorsore, un uomo da galera!”
“Tuo padre è un uomo vero! Queste domande non te le sei mai fatte quando andavi in giro per il mondo? Le
migliori scuole, i viaggi, i vestiti d’alta moda: addò te credive ca venevano ‘e solde?”
“Mammà, non t’arrabbiare, adesso ho capito. Ma io che ci posso fare? Ho vissuto in un altro modo, non amo la
violenza”.
“Ccà non putimme fa figure ‘e merda! Tu sei figlio unico. Tiene, chesta è ‘a pistola di tuo padre. Truove a
Luciano “merda ‘e cane”e sparalo diritto ô core, per farti fuggire, poi, ci penseranno gli uomini d’‘o boss, di tuo
padre “.
“E non possono fare tutto loro?”
“Tu,devi essere tu!Ma che uomo sei?”
“Uomo?”
“Ma perché non sei uomo? Pure chesta mò!”
“No, volevo dire che per essere uomini non bisogna per forza essere violenti”.
“Per essere uomo bisogna avere le palle.Se non spari è finito tutto, l’altro clan prende il sopravvento e tu hai
finito di andare all’università, a Parigi,a Nuova York”.
Fu così che Pasquale Esposito, figlio di Salvatore “‘O boss” capo clan di una delle cosche più feroci della
camorra si trovò coinvolto suo malgrado, nel conflitto tra suo padre e il gruppo dei cosiddetti “emergenti”
guidati da Luciano Marra, detto“ merda ‘e cane”. A Luciano non stava più bene essere al soldo di Salvatore
Esposito. Voleva anche lui la sua zona da sfruttare. La diatriba durava gia da un po’, all’ennesimo diniego da
parte del suo capo decise di fare da solo e rendersi autonomo. I commercianti della zona dei Guantai nuovi
furono costretti più di una volta a pagare un doppio pizzo agli uomini di Salvatore e a quelli di Luciano.
Una delegazione dei poveri tartassati decise allora di andare a casa di Salvatore Esposito per protestare. L’ uomo
“d’onore”accolse le rimostranze e le fece sue:
“Non succederà più!”
La zona interessata fu sorvegliata e controllata dagli uomini del clan del boss.
A questo punto Luciano decise di intervenire in prima persona,avrebbe dato una dura lezione al suo ex capo. Lo
attese alla base delle scale che da via Medina portano alla rua Catalana, percorso usuale del boss. Con fredda
determinazione gli puntò l’arma e sparò tre colpi di pistola verso le gambe del nemico che crollò per terra.
Prima di andare via il killer minacciò che quello era stato solo un avvertimento:
“La prossima volta puntò più in alto, te squarto ‘o core!”
Il giorno prestabilito Pasquale si appostò con la Beretta 7,65 che gli aveva dato la madre, dietro ad un portone di
un palazzo del vico Storto, di lì a poco sarebbe passata la sua vittima predestinata. Le gambe gli tremavano e il
sudore, copioso sgorgava dalla fronte. La tensione raggiunse le stelle quando vide venire verso di lui Luciano
“merda ‘e cane”,spavaldo come al solito.La vista gli si annebbiò e le mani non riuscivano a stare ferme. Quando
il bersaglio giunse a tiro dovette tenera ferma la canna dell’arma con la mano sinistra, poi con la destra premette
il grilletto e uno sparo riecheggiò nell’aria.
Il volto di Luciano fu subito una maschera di sangue. L’uomo si portò le mani al viso, poi si accasciò su se
stesso e rimase per terra immobile.
“Gli hai spappolato il cervello, sei stato grande”,disse un guardaspalle del figlio del boss uscendo dal suo
nascondiglio.
“Che dolore!”
“Ma quale dolore,come fai a dispiacerti pe’‘stu figlio‘e zoccola”.
“Che dolore, non ce la faccio più!”
“Ti ho detto che non ti devi dispiacere, hai fatto il tuo dovere, hai vendicato a tuo padre”.
“Vincè, io mi sono sparato nel dito, il sangue in faccia a Luciano è mio, quello si è solo cagato sotto dalla
paura”.
“Allora scappiamo, fai presto, prima che si ripiglia. Ti porto io da un nostro dottore”.
Nonostante il mancato omicidio Pasquale fu costretto ad emigrare, a ritornare all’estero, questa volta per causa
di forza maggiore. Luciano,dallo spavento entrò in depressione e finì fuori dal giro, cosi che lo scopo fu
raggiunto ugualmente. Il fatto del dito non fu divulgato e il figlio del boss entrò di diritto nella categoria dei
camorristi più efferati, quelli che sparano.
A Londra Pasquale lesse su un tabloid che era tra i più ricercati criminali italiani, commentò con un amico di
vecchia data:
“Adesso faccio parte anch’io della falange, ma non di quella armata, di quella mancante”. Rise di gusto, ma il
resto del dito gli faceva ancora un male cane.