Illustr.mo Signor Presidente della Repubblica Italiana

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Illustr.mo Signor Presidente della Repubblica Italiana
esente da
affrancatura
Illustr.mo Signor Presidente
della Repubblica Italiana
Piazza del Quirinale
Roma
Signor Presidente
Mi chiamo Alice Stoll, sono nata il 17/4/1913 a Berlino. Rimasta orfana di entrambi i genitori all’età di 13 anni venni
accolta per un atto di carità nella casa della signora Else Horn e lì conobbi suo nipote Erich Priebke. Aveva 13 anni, da
pochi mesi lavorava come aiuto cameriere in un Hotel, 6 anni addietro a causa della 1° guerra mondiale aveva anche lui
perso il padre e l’unico fratello maggiore Bruno, mentre la madre si era spenta poco dopo per uno sfortunato intervento
chirurgico.
In questo clima di terribile sconforto fu grande, per noi appena adolescenti, il calore umano nato dal conoscerci e dallo
stare vicini.
Dopo l’affetto, crescendo, sbocciò tra noi l’amore e quando ad Erich, grazie all’aiuto del cugino paterno più grande, Willi
Scheffler, si presentò la possibilità di essere assunto come interprete civile nella polizia di Stato, vedemmo la nostra
grande occasione che avrebbe permesso di sposarci.
Per sessanta anni nulla ci ha più diviso se non la prigionia.
Nel febbraio ‘41 ci trasferimmo a Roma dove mio marito, oramai effettivo nella polizia, fu distaccato presso l’Ambasciata
Tedesca. Successivamente all’8 settembre ‘43 allorquando fu formato il comando della polizia germanica in Roma agli
ordini del Ten. Colonnello Kappler, egli, ancora Tenente ebbe l’incarico presso il IV reparto comandato dal Capitano Karl
Schütz, la sua funzione era di ufficiale di collegamento con la polizia italiana.
Anche in quei giorni terribili sono stata sempre al suo fianco condividendo come moglie i suoi ruoli che seppur modesti,
essendo egli arrivato come massimo grado a capitano, furono, a causa del contesto catastrofico della guerra, molto difficili
e gravosi. Faccio presente questo, Signor Presidente, non certo per deresponsabilizzarci ma al contrario per porre questi
eventi drammatici nella loro dimensione reale al fine di rappresentarLe i fatti nei loro termini più veritieri, così come noi
in prima persona li vivemmo.
All’inizio della primavera del ‘44 gli alleati erano già ad Anzio. In quel periodo fummo colpiti ancora da un immenso
dolore per mio fratello Herbert ed il carissimo figlio di un fratello della madre di Erich, il cugino Gerhard Glanzer: la
guerra portò via entrambi per sempre.
Erich avendo trascorso i giorni di quel conflitto lontano dal fronte si riteneva fortunato per non aver dovuto conoscere la
spietatezza della guerra fino in fondo, non sapeva cosa significasse uccidere. La tragedia delle Ardeatine ci travolse
entrambi.
Dio mi è testimone, Signor Presidente, se dico che in noi non ci fu mai volontà di fare del male a nessuno. Eravamo stati
educati sin da bambini in un clima sociale alla luce del quale l’idea di poter mettere anche semplicemente in discussione
l’obbedienza ai doveri che ci venivano proposti come legittimi, dalle più alte gerarchie politiche, giuridiche e militari, era
di fatto impensabile. E questo è tanto più vero per la possibilità di rifiutare in concreto la esecuzione di un ordine in
periodo di guerra, per quanto orrenda questa esecuzione potesse apparirci effettivamente.
Il nostro figlio più grande Jorge aveva 4 anni il più piccolo Ingo era nato a Roma nell’ottobre ‘42, aveva solo 2 anni.
Anche a voler prescindere da quella che allora era la realtà della nostra possibilità di valutazione e i confini del nostro
arbitrio non ci potevano essere dubbi su quale sarebbe stata la sorte della nostra piccola famiglia in conseguenza alla
disubbidienza ad un ordine del Supremo Comando.
Alla fine della guerra non avevamo più nulla, Berlino era distrutta, l’ultimo nostro parente, il cugino Will Scheffler, che
aveva favorito l’ingresso di Erich nella polizia, era morto suicida a Potsdam insieme alla moglie, a causa delle violenze
portate dall’invasione russa.
Emigrammo in Argentina con la sincera speranza di ricostruirci una vita.
Arrivati in Sud America abbiamo dovuto lottare duramente per sopravvivere. Erich trovò un lavoro come lavapiatti, poi
come cameriere di birreria fino a diventare Maitre di Hotel. Nel dicembre 1959 aprimmo un negozio di alimentari e
prodotti gastronomici. All’età di 74 anni quando i nostri figli erano oramai sposati, dopo 61 anni di vita lavorativa,
abbiamo cessato l’attività dedicandoci a tempo pieno al nostro impegno sociale. Erich è stato rappresentante della
comunità tedesca, di fronte alle autorità argentine, come presidente dell’Associazione Culturale Germania-Argentina,
negli ultimi 8 anni prima di essere estradato in Italia. È stato insignito di onorificenza ad honorem dell’Associazione per la
sua continua attività di quasi 40 anni in favore della nostra scuola Tedesca-Argentina, Istituto Primo Capraro di Bariloche.
Questo impegno umano è stato uno dei punti di riferimento della nostra rinascita interiore nel dopoguerra. Adoperandoci
per migliorare le condizioni dei giovani, cercando di dare loro un futuro diverso da quello che la guerra aveva portato a
noi, ci è sembrato di ritrovare, in tutti questi anni, insieme a tante generazioni di studenti quella famiglia che da orfani era
mancata alla nostra infanzia.
Signor Presidente sia io che il mio amato Erich abbiamo ben poco da sperare oramai, dunque ciò che posso chiederLe è in
fondo solo un gesto di umanità in una vicenda che nata tra gli orrori della guerra non ha fino ad oggi visto, forse da parte
di nessuno, uno sforzo vero verso un sentimento di pace.
Oggi dopo 55 anni da quegli eventi drammatici che certo non furono da noi decisi e che anche le nostre vite hanno per
sempre tristemente segnato, dopo essere stata sposa, madre, nonna sono vicina a diventare io come Erich, bisnonna. Come
credenti conosciamo il dovere di accettare il nostro destino ma io non posso certo nascondermi quanto sia disumana una
pena che non lasciando di per se nessuno spiraglio di speranza, perché perpetua, viene inflitta in condizioni così impietose
alla fragile esistenza di uomo di 86 anni.
Le chiedo Signor Presidente di accogliere con benevolenza queste parole, che sono l’estrema aspirazione di un’anima che
volge al termine della esistenza umana. Che mio marito Erich possa ricongiungersi a me e che noi assieme si possa
apprestarci a rendere conto a Dio, nell’estremo giorno della vita, uniti così come uniti abbiamo vissuto.
Le chiedo, Signor Presidente, di concedere a mio marito Erich Priebke la grazia.
Con fede
2/3/99
Alicia Stoll Priebke
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