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COMUNICAZIONI LIBERE
dffdaf
PATHOLOGICA 2004;96:297-300
Citopatologia
Gli AgNOR in citologia esfoliativa orale
A. Marsico, L. Chiusa, A. Pich, S. Gandolfo, R. Navone
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana,
Università di Torino; UOADU Anatomia Patologica I e II e
Patologia e Oncologia Orale, ASO San Giovanni Battista,
Torino
Obiettivo
Nonostante il fatto che la bocca sia una regione anatomica facilmente esaminabile, il carcinoma squamoso del cavo orale
è diagnosticato ancora tardivamente e oltre la metà dei pazienti muore per la malattia entro 5 anni.
La citologia esfoliativa è un esame diagnostico usato in molte sedi anatomiche (vie urinarie, bronchi, cervice uterina) per
la diagnosi precoce di tumori, ed è stato proposto anche in
programmi di prevenzione del carcinoma orale.
Scopo di questo studio è verificare se la sensibilità diagnostica della citologia esfoliativa orale può essere aumentata con
l’analisi degli organizzatori nucleolari (AgNOR) di cui è nota la diversa dimensione e quantità tra tessuti normali o reattivi e lesioni maligne, in quanto il numero medio e l’area degli AgNORs aumenta dall’epitelio normale alle lesioni displastiche e neoplastiche.
Metodi
Abbiamo esaminato 73 prelievi citologici effettuati su 44 lesioni sospette per displasia o carcinoma, tutte successivamente sottoposte a biopsia, e su un gruppo di 29 casi di controllo negativi (cheratosi, iperplasie epiteliali, ecc.). L’analisi
degli AgNOR è stata condotta sugli stessi vetrini usati per la
diagnosi citologica dopo decolorazione e ricolorazione all’argento con il metodo di Ploton ed usando un sistema computerizzato di analisi di immagine.
Risultati
I casi inadeguati costituivano il 15% della casistica. In tutti i
casi adeguati abbiamo costantemente osservato che l’area
AgNOR era aumentata nei casi di carcinoma squamoso e displasia rispetto ai casi di controllo (lesioni non displastiche
né neoplastiche). Come si osserva nella Tabella I, non si è
mai verificata una sovrapposizione dei valori dell’area NOR
tra i casi negativi ed i casi positivi, e ciò ha consentito l’identificazione del 100% delle lesioni maligne e premaligne.
Conclusioni
Dai risultati ottenuti si ritiene che gli AgNOR, sebbene non
possano essere considerati nel singolo caso un parametro assoluto di malignità o benignità, possano aumentare notevolmente l’accuratezza diagnostica dell’esame citologico
Ruolo della FNAB nella diagnosi citologica dei
noduli tiroidei: analisi retrospettiva su 6760
casi
A. Disanto, A. D’Amuri, G.P. Camilli, L. Hako
Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Sezione di
Anatomia Patologica, Università di Siena
Introduzione
La FNAB attualmente rappresenta la migliore metodica diagnostica nella valutazione dei noduli tiroidei. Dai dati della
letteratura internazionale emerge che nel 10-20% dei casi l’esame non si rivela utile per l’inadeguatezza del materiale, in
altri casi invece come per le lesioni follicolari, non risulta
diagnostico.
Metodi
L’accuratezza nell’attuale citodiagnostica può essere migliorata se ripetuta sotto guida ecografica.
Scopo di questo lavoro è quello di esaminare l’accuratezza
diagnostica nella nostra casistica che si compone di 6760 casi negli anni 1990-2002 letti presso la nostra Sezione di Anatomia Patologica della stessa Università.
Risultati e conclusioni
Viene analizzata la ripartizione dei casi nelle diverse categorie diagnostiche e come questa sia variata nel tempo. L’accuratezza diagnostica viene valutata in relazione all’esame istologico nei casi inviati alla chirurgia e in base al follow-up nei
pazienti non operati. Infine si sono discussi i casi di falsi positivi e falsi negativi e alcuni quadri citologici relativi a patologia tiroidea inusuale e metastatica.
Versamento pleurico da metastasi di
carcinoma papillare della tiroide: descrizione
di un caso
G. Bogina, E. Bongiorno, P. Castelli, A. Pesci, M. Santacatterina, M.G. Zorzi, L. Furlani, E. Recaldin, G.D. Turetta, G. Zamboni
Dipartimento Oncologico, Ospedale S. Cuore-Don Calabria,
Negrar, Verona
Introduzione
Il versamento pleurico secondario a metastasi di carcinoma
papillare della tiroide è un’evenienza rara (0,6% dei casi di
carcinoma papillare) che si sviluppa generalmente anni dopo
la diagnosi di neoplasia tiroidea: a nostra conoscenza e’ descritto un solo caso di versamento pleurico come prima manifestazione di carcinoma tiroideo.
Tab. I. Area AgNOR nella casistica
Controlli (negativi)
Lesioni displastiche e carcinoma squamoso
Media ± DS
Min-Max
p
2,71 ± 0,74
8,79 ± 2,48
1,64 – 3,55
5,05 – 12,49
0,0003
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COMUNICAZIONI LIBERE
Paziente e metodi
Donna di 66 anni, con tosse persistente. L’Rx torace mostrava un versamento pleurico a destra, confermato dalla TAC,
che inoltre evidenziava, nel contesto del versamento, noduli
sospetti per lesioni ripetitive.
Risultati
All’esame citologico del versamento erano presenti aggregati papillari di cellule atipiche, prive di evidenti incisure e
pseudoinclusi nucleari, associati a rari corpi psammomatosi.
In alternativa ad una primitività polmonare era ipotizzata una
possibile origine tiroidea, solo parzialmente supportata dalle
indagini immunocitochimiche: TTF1-positività; tireoglobulina-negatività. La stadiazione oncologica evidenziava come
unico reperto la presenza di multipli noduli bilaterali della tiroide, il maggiore di cm 4. L’agoaspirato era risultato non
diagnostico. Si procedeva pertanto ad esame bioptico dei noduli pleurici, che risultava diagnostico per localizzazione di
carcinoma papillare della tiroide, con caratteristiche citologiche ed immunoistochimiche tipiche (TTF1 e tireoglobulinapositività, contrariamente a quanto osservato su versamento).
La tiroidectomia confermava la presenza di un carcinoma papillare multifocale bilaterale, con invasioni vascolari ed infiltrazione capsulare.
Conclusione
Il versamento pleurico secondario a metastasi di carcinoma
papillare è una evenienza rara ma possibile anche come prima manifestazione di malattia. La diagnosi differenziale con
un carcinoma del polmone è difficile: le indagini immunocitochimiche possono essere non dirimenti (TTF1-positività in
entrambi). La mancata dimostrazione della tireoglobulina e
l’assenza delle caratteristiche citologiche patognomoniche
nel versamento non hanno consentito una diagnosi di carcinoma papillare della tiroide. Fondamentali per la diagnosi
possono risultare il quadro clinico-strumentale e la presenza
di corpi psammomatosi.
20-22 G. La presenza del Citopatologo al momento del prelievo ha consentito una valutazione immediata sull’adeguatezza del materiale. In 41 casi è stato effettuato anche il prelievo microistologico.
Risultati
La diagnosi citologica è risultata positiva in 180 casi, sospetta in 7 e negativa in 23. Due casi “sospetti” sono stati confermati istologicamente come lesioni benigne; era presente
un “falso negativo”. In 35 casi il prelievo è risultato inadeguato. Il confronto cito-istologico ha confermato la diagnosi
di adenocarcinoma e di carcinoma squamoso nel 92%, di piccole cellule nel 100%. La sensibilità è stata del 99% e la specificità del 92%. La ripetizione del prelievo richiesta dal Citopatologo in 48 casi ha consentito un recupero di inadeguati del 73%.
Conclusioni
L’agoaspirato TC guidato si è dimostrata una procedura rapida, con un’elevata accuratezza diagnostica ed una bassa incidenza di complicanze. La diagnosi citologica di malignità ha
consentito un’anticipazione diagnostica,una resezione precoce ed una migliore programmazione terapeutica, con un’elevata predittività nella distinzione fra carcinoma a piccole e
non a piccole cellule. La sensibilità e l’efficacia diagnostica
sono state incrementate dalla presenza del Citopatologo, che
ha consentito una significativa riduzione dei prelievi non diagnostici e dalle colorazioni rapide, che hanno fornito un
orientamento diagnostico con elevata accuratezza. I limiti e
le percentuali di errore risultano per lo più imputabili a problemi di campionamento, o alla raccolta di materiale ipocellulare, necrotico o mal conservato.
Accuratezza diagnostica della citologia agoaspirativa TC guidata delle lesioni polmonari:
nostra esperienza
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze
C. Maddau*, M. Matucci*, M.P. Cariaggi*, M. Falchini**,
E. Mazza**
*
CSPO, Laboratorio di Citopatologia, Istituto Scientifico
della Regione Toscana, Firenze; ** Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Sezione di Radiodiagnostica I, Radiologia Interventistica, Azienda Universitaria Careggi, Firenze
Introduzione
La biopsia TC guidata ha come scopo principale la definizione delle lesioni polmonari, per lo più periferiche, non diagnosticabili con indagini di 1° e di 2° livello. Il prelievo tramite aspirazione con ago sottile (FNA) o con ago “tranciante” (FNAB) consente di ottenere materiale sufficiente per l’esame citologico, istologico e microbiologico. L’FNA e l’FNAB mostrano una specificità costante attorno al 100%,
mentre è riportata un’estrema variabilità per la sensibilità a
causa di reperti falsamente negativi in diretta relazione alle
dimensioni del nodulo, al numero di passaggi dell’ago ed alla presenza del Citopatologo al momento del prelievo.
Metodo
Dal giugno 2000 al giugno 2003 abbiamo esaminato 245
agoaspirati di lesioni polmonari su 237 pazienti (165 M e 72
F), di età compresa fra 20-86 anni. Il prelievo citologico TC
guidato è stato eseguito dal radiologo utilizzando aghi Chiba
La metodica FISH con sonde multiple nella
diagnosi citologica del carcinoma vescicale
A. Caldarella, M. Paglierani, A.M. Buccoliero, G.L. Taddei
Introduzione
Il carcinoma vescicale è una delle più frequenti neoplasie
maligne, caratterizzato da una alta probabilità di recidiva dopo il trattamento iniziale. La possibilità di una diagnosi precoce, sia del tumore primitivo che delle recidive, influenza
drammaticamente la prognosi del carcinoma vescicale. Le
tradizionali metodiche per il riconoscimento del tumore sono
costituite da tecniche invasive, quali la cistoscopia, e da esami di facile esecuzione quali la citologia esfoliativa urinaria
che ha dimostrato negli anni una alta specificità per il carcinoma vescicale ma una minore sensibilità, soprattutto per
quanto riguarda i tumori vescicali di basso grado 1. La ricerca di anomalie cromosomiche specifiche del carcinoma vescicale, attraverso la tecnica di ibridazione in situ con fluorescenza (FISH), nelle cellule presenti in urine di pazienti sottoposti a follow up per un pregresso tumore vescicale o in pazienti sintomatici potrebbe rappresentare un efficace ausilio
nella diagnostica dei tumori vescicali, in particolare di basso
grado 2.
Materiali e metodi
Per valutare la sensibilità e la specificità della FISH e il suo
utilizzo nella valutazione dei campioni routinariamente prelevati, sia in corso di follow up di pazienti con pregresso carcinoma vescicale, sia in soggetti a rischio o sintomatici, sono
stati sottoposti a ibridazione in situ con microscopio a fluo-
CITOPATOLOGIA
299
rescenza per la ricerca sia di aneuploidia nei cromosomi 3, 7,
17 che di delezione del locus 9p21, 90 campioni urinari allestiti in strato sottile, di cui 60 provenienti da pazienti con carcinoma vescicale documentato istologicamente nei tre mesi
successivi all’esame citologico e 30 da pazienti con successivo esame istologico negativo per neoplasia vescicale. Tra i
60 casi positivi istologicamente, 30 presentavano un carcinoma vescicale di basso grado e 30 un carcinoma vescicale di
alto grado.
Risultati
L’analisi con la metodica FISH è risultata positiva per anomalie cromosomiche in 27 casi di carcinoma di alto grado, in
23 di basso grado e in nessuno dei casi istologicamente negativi per neoplasia.
Conclusioni
I risultati ottenuti suggeriscono una applicabilità del metodo
FISH nella citodiagnostica urinaria routinaria, con una buona
sensibilità per quanto riguarda la diagnostica sia dei carcinomi ad alto grado che di quelli, più difficilmente riconoscibili
con l’esame citologico, più differenziati.
ne (49,04%), la presenza di granulociti (37,5%), una intensa
flogosi (8,65%) ed emazie (3,84%). Nel pap test TP, fattori limitanti (indicatori di qualità) come l’assenza di cellule
ghiandolari endocervicali rappresenta il 56,66%, la cattiva
conservazione il 26,66%, l’eccessiva citolisi il 13,33%. L’analisi statistica mostra, inoltre, una differenza significativa (p
<0,0001) nelle proporzione tra i casi classificati “negativi”
(87,28%), ASCUS/AGC (9,54%) e SIL (3,18%) con metodo
TP e la diagnosi iniziale di ASCUS/AGC. Sui 27 casi confermati ASCUS/AGC con TP, 15 casi sono confermati categoria-specifica nella alterazione delle cellule coinvolte. Il
Follow-up istologico dei 9 casi con SIL ha confermato una
lesione displasica in 4 su 6 casi (66,66%); in 3 casi non è stata eseguita nessuna biopsia.
Conclusioni
L’esperienza preliminare di questo studio, tuttora in corso,
sembra evidenziare che un adeguato “training” nella raccolta
del campione in fase liquida può migliorare l’adeguatezza del
campione e la accuratezza della diagnosi citologica.
Bibliografia
1
Degtyar P, Neulander E, Zirkin H, et al. FISH performed on exfoliated urothelials cells in patients with transitional cell carcinoma of the
bladder. Urology 2004;63:398-401.
2
Bubendorf L, Grilli B, Sauter G, et al. Multiprobe FISH for enhanced
detection of bladder cancer in voided urine specimens and bladder
washings. Am J Clin Pathol 2001;116:79-86.
Efficacia della citologia su strato sottile nel
paptest della menopausa: confronto con lo
striscio convenzionale
La citologia su strato sottile nel II livello di
screening del carcinoma della cervice
uterina. Risultati della nostra esperienza e
confronti con il pap test convenzionale
L. Saragoni, M. Liverani, S. Danesi, F. De Paola, R. Fedriga
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Morgagni-Pierantoni,
Forlì
Introduzione
La qualità della prestazione citologica rappresenta il cuore
della prevenzione della patologia cervicale e vari studi hanno
dimostrato che campionamenti inadeguati, errori nella metodologia organizzativa e gestionale del programma di screening associati ad interpretazioni diagnostiche errate giustificano incidenza e mortalità ancora troppo elevati.
Lo scopo di questo lavoro è di confrontare l’efficacia delle
due metodiche: pap test convenzionale ed in strato sottile
ThinPrep (TP) su un campione di 286 casi diagnosticati come “atypical squamous cells” ASCUS o “atypical glandular
cells” AGUS.
Metodi
Tutte le donne con pap test con diagnosi citologica di
ASCUS/AGUS sono state richiamate entro 3 mesi nell’ambito degli accertamenti di II livello del programma regionale di
Screening del Cervicocarcinoma per eseguire un pap test TP.
Risultati
Sulla diagnosi iniziale di ASCUS/AGUS con pap test convenzionale, 83 casi (29,02%) sono classificati adeguati mentre 203 casi (70,98%) sono classificati soddisfacenti ma con
fattori limitanti (subottimali). Nella ripetizione della citologia con TP, 225 (78,67%) sono classificati adeguati e 61 casi
(21.33%) come “subottimali” (p <0,0001).Una analisi dei casi “subottimali” ha evidenziato che i principali fattori oscuranti nel pap test convenzionale sono: la cattiva conservazio-
F. Sanguedolce, A. Cimmino, L. Micheli*, G. Loverro*
DAPEG, Dipartimento di Anatomia Patologica e di Genetica, Sezione di Anatomia Patologica; * III Clinica Ostetrica,
Università di Bari
Introduzione
La citologia cervicovaginale allestita secondo la metodologia
messa a punto da Papanicolau (PAPtest) ha rappresentato negli
ultimi 50 anni la base dello screening per la patologia pre-neoplastica cervicale. Recentemente è stata messa a punto una tecnica di allestimento dei preparati citologici “su strato sottile”
(ThinPrep) che ha riscosso largo consenso fino a sostituire, nel
1996, il Paptest tradizionale negli USA con l’imprimatur della
Food and Drug Administration. Numerosi studi hanno confrontato su ampie casistiche la reale efficacia di tali metodiche
nello screening cervicale nelle donne prevalentemente in età
fertile, mentre non esistono lavori nei quali questo confronto
venga effettuato esclusivamente sulle donne in età menopausale. Alla luce delle variazioni di sensibilità e specificità che si
hanno per via delle alterazioni anatomiche e funzionali legate
allo stato ormonale, una metodica alternativa al tradizionale
PAPtest, in grado di migliorare l’efficacia dello screening in
menopausa è altamente auspicabile.
Metodi
Sono stati valutati 125 campioni di citologia cervicovaginale
ottenuti da altrettante donne in menopausa di età compresa
tra 38 e 81 anni, spontaneamente affluite al Centro Menopausa della III Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Bari da gennaio a dicembre 2003. Per ciascuna paziente è stato immediatamente allestito un PAPtest convenzionale per striscio, quindi il materiale residuo presente sulla
spatola è stato sciacquato in una fiala di PreservCyt. I campioni sono stati allestiti in maniera indipendente presso il laboratorio di citologia dell’Istituto di Anatomia Patologica, e
i vetrini sono stati osservati da un team di patologi e refertati secondo il Sistema Bethesda.
Risultati
Il confronto sistematico di entrambi i vetrini caso per caso ha
permesso di evidenziare alcune differenze sostanziali in termini di cellularità e riconoscibilità dei vari citotipi nell’am-
300
bito di un ampio spettro di diagnosi (nulla di rilevante 56,8%,
vaginite atrofica 16,8%, infiammazione senza alterazioni cellulari 16%, alterazioni reattive associate ad infiammazione
4%, anomalie cellulari epiteliali 2,4%).
Conclusioni
Limitatamente alla fascia di età menopausale i preparati di citologia cervicovaginale allestiti con la metodica ThinPrep, a
differenza di quanto riportato in letteratura per l’età fertile,
sembrano essere di più difficile interpretazione rispetto ai PAPtest preparati con metodiche tradizionali, e di più alto costo.
La proteina L1 dei tipi ad elevato rischio del
virus del papilloma umano in campioni di
citologia cervicale su strato sottile
C. Frangella, A. Iaccarino, M. Russo, M. Marino, R. Boschi, A. Zabatta, G. Marino, G. Troncone, A. Vetrani
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduzione
I tipi ad elevato rischio del virus del papilloma umano (HPV)
esercitano la loro azione oncogenetica, integrandosi nel genoma della cellula ospite. Tale integrazione altera il genotipo
virale causando la mancata espressione di alcune proteine. In
particolare l’espressione tardiva della proteina capsidica L1
indotta dal virus allo stato episomale, e’ alterata a seguito
della integrazione virale ed alla incompleta maturazione della cellula ospite. Di conseguenza L1 rappresenta un marker
dello stato fisico virale nella cellula dell’epitelio.
Metodi
In questo lavoro, la valutazione della proteina L1 è stata effettuata su un gruppo (n = 30) di lesioni squamose intraepiteliali (SIL) di basso e di alto grado, selezionati in base alla
presenza di tipi ad elevato rischio di HPV dimostrata con metodica molecolare in chemioluminescenza (HPV DNAPAP
hybrid capture II). Campioni citologici corrispondenti su
strato sottile (Thin-prep) sono stati processati mediante metodica di immunocitochimica utilizzando anticorpi contro un
cocktail di proteine L1 dei più comuni ceppi HPV high risk
(Viroactiv® HPV High Risk Kit, Virofem Diagnostik und
Forschungs GmbH).
Risultati
Una differenza di espressione statisticamente significativa è
stata riscontrata tra i casi di SIL a basso e ad elevato rischio.
In questi ultimi oltre il 40% dei casi è risultato negativo per
L1.
Conclusioni
I nostri dati suggeriscono che nel SIL di alto grado, l’espressione di L1 è frequentemente persa. Ciò avvalora l’importanza di tale marker come indicatore dello stato fisico dei ceppi
ad levato rischio del virus HPV.
COMUNICAZIONI LIBERE
Citologia endometriale in fase liquida: una
nuova opportunità diagnostica?
A.M. Buccoliero*, A. Caldarella*, G. Bargelli°, S. Pappalardo§, M. Marchionni°, G. Scarselli°, G.L. Taddei*
Dipartimenti di *Patologia Umana ed Oncologia e °Ginecologia Perinatologia e Riproduzione Umana, Università degli
Studi di Firenze; §Libero Professionista, Firenze.
L’adenocarcinoma endometriale rappresenta nei paesi occidentali la più comune neoplasia ginecologica. Se ne riconoscono due forme diverse per patogenesi, prognosi ed età di insorgenza: il più frequente, estrogeno-dipendente e relativamente
indolente Tipo I; il più raro, estrogeno-indipendente e a prognosi peggiore Tipo II. Quest’ultimo caratteristicamente colpisce donne in età più avanzata rispetto al Tipo I. Inoltre, mentre
il Tipo I si associa comunemente all’iperplasia endometriale, il
Tipo II insorge più spesso su di un endometrio ipotrofico.
La comune sintomatologia precoce, che principalmente consiste in sanguinamenti uterini abnormi, fa sì che l’adenocarcinoma endometriale venga nella maggior parte dei casi diagnosticato e conseguentemente trattato negli stadi iniziali.
Tuttavia la più frequente causa di sanguinamenti uterini abnormi è l’atrofia endometriale.
Contrariamente al carcinoma della cervice uterina, non sono
stati mai organizzati per l’adenocarcinoma endometriale importanti programmi di screening. Le difficoltà nell’individuazione di un test comparabile alla citologia cervico-vaginale e la
precoce sintomatologia potrebbero spiegare questo disinteresse
allo screening sebbene l’elevata incidenza di questa neoplasia e
l’esistenza di precursori morfologici (iperplasia endometriale).
Le più diffuse procedure diagnostiche nelle donne sintomatiche e nelle donne asintomatiche con fattori di rischio sono
l’ecografia trans-vaginale, l’isteroscopia e la biopsia endometriale.
La larga diffusione della citologia endometriale è stata ostacolata dalle notevoli difficoltà di lettura legate alla comune
presenza di sangue e all’affollamento cellulare comuni nei
preparati citologici endometriali.
La citologia in fase liquida proprio per la sua capacità di ridurre drammaticamente la presenza di tutti quei fattori oscuranti la lettura dei preparati citologici rappresenta una interessante opportunità per la citologia endometriale.
Riportiamo la nostra esperienza triennale nell’utilizzo della
citologia in fase liquida in ambito endometriale.
In una prima fase è stata verificata l’adeguatezza dei campioni ottenuti in un gruppo di donne in post-menopausa avanzata con endometrio ecograficamente sottile (< 4mm) le quali venivano sottoposte a prelievo citologico e bioptico immediatamente prima di essere isterectomizzate per prolasso uterino; successivamente è stata valutata la concordanza citoistologica in un gruppo eterogeneo di donne sottoposte a prelievo citologico e bioptico prima dell’esame isteroscopico.
La citologia in fase liquida nel gruppo di donne con endometrio sottile ha fornito preparati diagnostici più spesso della
biopsia (82% vs 24%; p = 0.000).
La concordanza cito-istologica è risultata superiore al 98%;
tutti gli adenocarcinomi e le iperplasie endometriali venivano riconosciuti.
Su queste basi, riteniamo che la citologia in fase liquida possa offrire alla citologia endometriale interessanti prospettive
di utilizzo nel management sia delle donne sintomatiche che
asintomatiche.
PATHOLOGICA 2004;96:301-304
Dermatopatologia
Inflammatory linear verrucous epidermal
nevus-like dermatosis arosen on a skin graft
M.C. De Nisi, A.V. Lalinga, R. Occhini, A. D’Amuri
Department of Human Pathology and Oncology, Section of
Pathological Anatomy, University of Siena
Introduction
Inflammatory linear verrucous epidermal naevus (ILVEN)
has never been described on a skin graft. ILVEN is an
uncommon dermatosis presenting mainly in children,
sometimes at birth, as pruritic erythematous verrucous
plaques or papules in a linear array. Lesions usually appear
on the lower extremities and are refractary to therapy. At
histology, ILVEN combines inflammatory as well as
psoriatic findings, being characterized by psoriasiform
epidermal hyperplasia, hypergranulosis and parakeratosis
alternating with hypogranulosis and orthokeratosis,
elongation of the rete ridges, inflammatory cells in the
dermis and, at times, Monro’s abscesses. Although ILVEN
tipically occurs as an isolated finding, there are some reports
of associated abnormalities; a rare case of adult onset has
been described arosen on a scar.
Methods
We here describe clinicopathological findings of a dermatosis showing features overlapping to those of ILVEN in an
adult, who underwent repeated skin grafts after amputation
of the II, III and IV toes of the right foot, following an injury
at work. Afterwards, he developed a scar and, twenty days after the last graft, two anular itching lesions with raised borders, that were removed surgically.
Results
Clinics was quite different from classical ILVEN; lesions
were anular, and not in a linear array, although very itching.
At histology, lesions showed psoriatic and inflammatory
findings overlapping those of classical ILVEN. Lesions were
removed and hitching disappeared.
Conclusion
We hypothesize that, in adults, dermatosis similar to ILVEN
at histology, can occur, and can show macroscopical clinical
features different from classical ILVEN. They can be triggered by various acquired pathologies. In our case immunoresponse after repeated grafts may have had a role. To
our knowledge, an ILVEN-like dermatosis has not been decribed on a skin graft, to date.
Lesioni melanocitarie atipiche. Descrizione di
tre casi
L. Angeli*, P. Migliora**, E. Colombo***, G. Angeli**
*
Clinica Dermatologica, Università di Novara; ** S.O.C.
Anatomia Patologica, Ospedale di Vercelli; *** S.O.C. Dermatologia, Ospedale di Vercelli
Obiettivi
Scopo del lavoro è la presentazione di tre casi di lesioni melanocitarie atipiche, due nevi di Spitz atipici ed un nevo blu
cellulato atipico, entità clinico-patologiche di difficile interpretazione nella diagnosi differenziale con altre lesioni melanocitarie e con il melanoma.
Metodi e risultati
Caso n. 1: lesione dell’elice dell’orecchio sinistro, di cm 0,7
di diametro massimo, non pigmentata, di aspetto verrucoide,
insorta da 3 mesi in paziente maschio di 38 anni. All’esame
istologico: lesione melanocitaria verrucoide, ipercheratotica,
costituita da elementi epitelioidi monomorfi, in ampie teche
dermiche, con nucleo vescicoloso, prominente nucleolo,
scarsa penetrazione epidermica. Frequenti mitosi anche
profonde. Irregolare maturazione in profondità. Viene considerata la diagnosi di melanoma verrucoso spitzoide. Sulla base della presentazione clinica, della citologia, della crescita
espansiva e non infiltrativa, viene posta la diagnosi di nevo
di Spitz atipico.
Caso n. 2: lesione alla gamba sinistra di cm 0,9 di diametro
massimo, non pigmentata, rilevata, insorta da 3 mesi in paziente di sesso femminile di 51 anni. All’esame istologico:
lesione melanocitaria non pigmentatata, con proliferazione
verticale di elementi fusati o epitelioidi, monomorfi, formazione di alcune teche giunzionali, focale penetrazione epidermica ed irregolare maturazione profonda. Nel derma superficiale ed alla giunzione alcuni corpi di Kamino. Alcune
mitosi, anche profonde. Evidente quota reticulinica, che circoscrive singole cellule o gruppi di cellule. Si pone la diagnosi di nevo di Spitz atipico.
Caso n. 3: lesione plantare sinistra, nodulare, di cm 0,6 di
diametro massimo, insorta da tempo imprecisato in paziente
di sesso maschile di anni 17. All’esame istologico, lesione
melanocitaria non pigmentata interessante il derma a tutto
spessore ed il sottocute, fino al limite con la fascia, senza attività giunzionale. È costituita da elementi medio-grandi, epitelioidi, con nucleo vescicoloso e prominente nucleolo, isolati o in strutture alveolari, con alcune atipie citologiche e qualche mitosi, anche profonda, che esprimono vimentina, S-100,
PNL2, p16, focalmente HMB-45. È commisto discreto infiltrato linfoide. Viene posta la diagnosi di nevo blu cellulato,
con aspetti epitelioidi, atipico. Possibile diagnosi differenziale con nevo di Spitz epitelioide.
Nei tre casi la diagnosi è stata confermata con richiesta di parere di consulenza presso Centro di Riferimento.
Al follow-up, rispettivamente di 39, 7 e 4 mesi, i pazienti sono liberi da malattia.
Conclusioni
I criteri diagnostici morfologici principali del nevo di Spitz
atipico sono: monomorfismo cellulare di elementi epitelioidi
e/o fusati con le caratteristiche della cellula di Spitz; scarsa
penetrazione epidermica; incompleta maturazione profonda;
presenza di reticolo argentofilo a circoscrivere singole cellule o gruppi di cellule, con presenza significativa di mitosi
profonde. I dati clinici, sede, età e rapida crescita facilitano
la diagnosi differenziale nei confronti del melanoma. Per
quanto concerne la terza lesione, la diagnosi di atipia del nevo blu cellulato si basa in particolare sul polimorfismo cellulare e sulla presenza di mitosi profonde. Gli aspetti epitelioidi della lesione pongono differenziale con nevo blu epitelioide, spesso associato a sindrome tipo complesso di Carney,
che non è risultata presente nel caso osservato.
Data la modesta riproducibilità diagnostica dei criteri e la difficoltà di predire l’evoluzione clinica delle lesioni melanocitarie atipiche, va considerata l’opportunità di un follow-up
ravvicinato con eventuale allargamento dell’escissione, potendosi considerare tecnica del linfonodo sentinella.
302
I tumori di Spitz
C. Urso, E. Zini
COMUNICAZIONI LIBERE
Protease-activated receptor-1 and -2
expression in cutaneous melanocytic lesions
U.O. Anatomia Patologica, Sezione Dermatopatologia,
Ospedale S. M. Annunziata, Azienda Sanitaria di Firenze
S. Ketabchi, D. Massi, A. Naldini*, C. Ardinghi*, F. Carraro*, M. Paglierani, A. Franchi, F. Tarantini**, P. Geppetti**, M.D. Hollenberg***, M. Santucci
I tumori di Spitz ispirano oggi due visioni alternative della
realtà: 1) le lesioni spitzoidi si dividono, come tutte le altre lesioni melanocitiche, in benigne (nevi di Spitz) e maligne (melanomi spitzoidi); i casi con caratteri ambigui possono essere
identificati applicando correttamente i criteri disponibili ed
eventualmente mediante nuovi criteri e nuove tecniche; 2) le
lesioni spitzoidi sono una classe di lesioni a sé, che formano
uno spettro comprendente forme benigne (nevi di Spitz), forme
maligne (melanomi spitzoidi) e forme intermedie, che tendono
ad accumulare elementi istologici atipici e di conseguenza
esprimono un crescente, ma indeterminato potenziale di malignità (nevo/tumore di Spitz atipico). Il modo secondo cui ci si
pone di fronte a questi tumori influenza naturalmente l’approccio diagnostico. La prima visione, a tendenza semplificativa e di stampo positivistico, rappresenta un approccio istologicamente forte, perché parte dalla possibilità di distinguere
comunque i casi benigni dai maligni. La seconda visione, di
stampo relativistico, non negando la possibile complessità della realtà, appare tuttavia istologicamente più debole, riconoscendo realisticamente un limite ai criteri morfologici nel determinare il potenziale evolutivo delle lesioni. La questione
non nasce oggi. Quando S. Spitz enuclea dai melanomi convenzionali il melanoma giovanile, non ritiene di aver individuato una lesione benigna, ma un sottogruppo di melanomi, a
decorso solo relativamente favorevole, come dimostra uno dei
casi da lei descritti, venuto a morte con metastasi diffuse 1.
Successivamente prevale la tendenza a ritenere le lesioni descritte da Spitz invariabilmente benigne, considerando errori
diagnostici i casi ad evoluzione sfavorevole. Ma negli anni seguenti l’emergenza di lesioni inquadrabili come nevi di Spitz,
con metastasi ed evoluzione favorevole, ripropone il problema, facendo affiorare una sottoclasse di lesioni a potenziale
maligno incerto o ignoto, su cui spesso manca l’accordo diagnostico 2. L’affermarsi della tecnica della biopsia del linfonodo sentinella permette oggi una migliore valutazione di questo
insidioso gruppo di lesioni e, aprendo una nuova prospettiva di
osservazione, può suggerire nuovi scenari.
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze; * Dipartimento di Fisiologia, Università di Siena;
**
Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università di Firenze; *** Department of Pharmacology, Calgary
University, Alberta, CA, USA
Bibliografia
1
Spitz S. Melanoma of childhood. Am J Pathol 1948;24:591-609.
2
Barnhill RL, Argenyi ZB, From L, et al. Atypical Spitz nevi/tumor:
lack of consensus for diagnosis, discrimination from melanoma, and
prediction of outcome. Hum Pathol 1999;30:513-520.
Introduction
Protease-activated receptors (PARs) are members of the Gprotein-coupled receptor superfamily that are activated by
the proteolytic cleavage of their amino terminal domain.
PAR-1 activation by thrombin results in several biological effects, including vasodilation and cell growth whereas PAR-2,
activated by trypsin, has a proinflammmatory role. There are
increasing evidences that PARs may be implicated in tumor
formation and metastasis. The aim of the current study was to
investigate the in situ protein and mRNA expression of PAR1 and -2 in benign and malignant melanocytic lesions.
Methods
PAR-1 and PAR-2 expression was evaluated by immunohistochemistry in 20 melanocytic lesions (10 common
melanocytic nevi; 10 atypical or “dysplastic” melanocytic
nevi) and 50 melanomas (10 in situ melanomas; 10
melanomas T1, 10 melanomas T2, 10 melanomas T3-T4 and
10 metastatic melanomas). PAR-1 and PAR-2 protein expression was also evaluated in the human melanoma cell line
A375. The avidin-biotin-peroxidase complex (ABC) method
was used for the immunostaining with monoclonal antibody
against PAR-1 (Santa Cruz) and polyclonal antibody against
PAR-2 (MD Hollenberg). PARs immunoreactivity was semiquantitatively evaluated. The expression of PAR-1 mRNA in
paraffin embedded tissues of selected cases and controls was
investigated using a paraffin block RNA isolation procedure
and Ribonuclease Protection Assay (RPA).
Results
Overall, PAR-1 was significantly overexpressed in atypical
nevi and melanomas in comparison with common
melanocytic nevi (p < 0,001, chi-squared method). PAR-1
protein expression was also readily demonstrated in the human melanoma cell line. Similarly, PAR-1 mRNA expression
was significantly higher in atypical nevi and melanomas in
comparison with common nevi and controls. PAR-2 was
strongly and diffusely expressed by immunohistochemistry
in all melanocytic lesions and melanoma cell line, with no
statistically significant differences between nevi and
melanomas.
Conclusions
Overexpression of PAR-1 in atypical nevi and melanomas
supports a role for PAR-1 in the initial phases of melanoma
development as well as in tumor progression and metastasis.
Conversely, the significance of PAR-2 up-regulation in both
benign and malignant melanocytic lesions requires further investigation.
DERMATOPATOLOGIA
Epitelioma basocellulare giovanile
M. De Vito, M. Giuliani, A. Chiominto, G. Coletti, A.R.
Vitale, S. Di Rito, V. Ciuffetelli, P. Leocata
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università de L’Aquila
Introduzione
L’epitelioma basocellulare è un tumore cutaneo a lenta crescita e malignità locale, che evolve generalmente in assenza
di metastasi. E’ più frequente nel sesso maschile e si localizza, solitamente, in sedi fotoesposte; il picco di massima incidenza si colloca in corrispondenza del settimo decennio di vita ed è molto raro in età pediatrica 1.
Alla nostra osservazione è giunto un caso di epitelioma basocellulare della guancia in una paziente di 14 anni, che presentava una lesione nodulare, insorta su cute indenne, a bordi irregolari, ulcerata, di cm 0,7 di diametro maggiore. L’anamnesi e l’esame obbiettivo della paziente non hanno evidenziato nulla di significativo.
Metodi
La biopsia escissionale, che misurava cm 1 x 1 x 0,3, dopo
fissazione è stata inclusa in paraffina e colorata con ematossilina ed eosina.
Risultati
L’esame istologico ha evidenziato la presenza di una lesione
estesa dall’epidemide al derma profondo composta da isole o
nidi di cellule basaloidi, disposte a palizzata in periferia. Le
cellule presentano nuclei ipercromici, con citoplasma relativamente scarso. Si riconoscono alcune figure mitotiche. La
lesione è ulcerata in superficie, circondata da un infiltrato infiammatorio prevalentemente linfocitario. I margini dell’escissione esaminati non comprendono tessuto neoplastico.
Viene posta diagnosi di epitelioma basocellulare.
Conclusioni
L’epitelioma basocellulare in età pediatrica è raro e si manifesta solitamente in associazione con la sindrome del carcinoma basocellulare nevoide, preesistente nevo sebaceo o xeroderma pigmentoso.
La nostra relazione riguarda il caso di un epitelioma basocellulare in una paziente di 14 anni, insorto “de novo”, senza alcuna correlazione con la fotoesposizione o con una sindrome
trasmessa geneticamente. Il contributo di questo report è di
mettere sull’avviso il medico che è possibile che il carcinoma basocellulare insorga in età pediatrica affinché possa essere iniziato il trattamento più appropriato senza ritardi.
Bibliografia
1
LeSueur BW, et al. Basal cell carcinoma in children: report of 3 cases. Arch Dermatol 2000;136:370-372.
Chromatin assembly factor (CAF)-1 as a
useful proliferation marker and prognostic
indicator in cutaneous squamous cell
carcinoma
P. Somma, C. Mignogna, G. Mansueto, M. Mascolo, E.
Mezza, G. De Rosa, S. Staibano
Department of Biomorphological and Functional Sciences,
University Federico II of Naples
Histone synthesis and chromatin assembly are mainly associated with DNA replication and are thus intimately involved
303
in cell cycle regulation. The expression of key components
involved in these events in human cells was studied in relation to cell-proliferative status. Among several chromatin assembly factors, chromatin assembly factor (CAF)-1 stood out
as the most discriminating marker of the proliferative state. It
has been shown, using both immunofluorescence and Western blot analysis, that the expression of both CAF-1 large
subunits, p150 and p60, is massively down-regulated during
quiescence in several cell lines. Upon exit from the quiescent
state, the CAF-1 subunits are re-expressed early, before DNA
replication. The amounts of either total or chromatin-associated pools of CAF-1 proteins correlate directly with cell proliferation. We studied tissue from normal skin and malignant
tumors (squamous cell carcinomas, SCC) by immunocytohistochemistry and WB, comparing the results with the DNA
ploidy patterns evaluated by semiautomated computerized
image analysis. A strong positive correlation was found between CAF-1 p60 expression and the proliferation marker
Ki-67 (P < 0.001). We discuss the advantages of using CAF1 to assess cell proliferation. High CAF-1 p60 levels are also
shown to be associated with various prognostic factors. Our
data highlight the precise association of CAF-1 expression
with the proliferative state and some morphometric parameters concerning DNA ploidy. These results suggest the opportunity to validate the use of this factor as a useful proliferation marker and prognostic indicator in cutaneous SCC.
Identification of Muir-Torre syndrome among
patients with sebaceous tumors and
keratoacanthomas: role of clinical features,
microsatellite instability and
immunohistochemistry
L. Losi*, G. Ponti**, A. Scarselli**, L. Roncucci**, M. Pedroni**, P. Benatti**, M. Ponz de Leon**, C. Di Gregorio
*
Department of Pathology; ** Division of Internal Medicine
University of Modena and Reggio Emilia; Division of
Pathology, Carpi General Hospital, Carpi (Modena)
Introduction
The Muir-Torre syndrome (MTS) is an autosomal dominant
genodermatosis characterized by the presence of sebaceous
gland tumors, with or without keratoacanthomas, associated
with visceral malignancies. A subset of patients with MTS is
a variant of the hereditary non-polyposis colorectal cancer
syndrome (HNPCC) caused by mutations in mismatch repair
(MMR) genes. The aim of this study was to evaluate whether
a combined clinical, immunohistochemical and biomolecular
approach could be useful for the identification of Muir-Torre
syndrome among patients with a diagnosis of sebaceous tumors and keratoacanthomas.
Methods and results
Since 1986 through 2000 a total of 181 paraffin embedded
skin lesions from 120 patients were selected by the archives
of the Department of Pathology of the University of Modena.
Thirty-three were sebaceous adenomas, 11 sebaceous epitheliomas, 15 sebaceous carcinomas, 29 sebaceous hyperplasias,
and 93 keratoacanthomas. Through interviews and examination of clinical charts, we drew family trees of these patients.
Seven patients were also affected by gastrointestinal tumors,
thus meeting the clinical criteria for the diagnosis of MTS. In
the MTS families a wide phenotypic variability was evident,
both in visceral tumor spectrum and in the type of skin le-
304
sions. All sebaceous skin tumors and keratoacanthomas have
been examined for microsatellite-status and immunohistochemical expression of MLH1, MSH2 and MSH6 proteins.
The skin lesions belonging to 5 MTS probands showed microsatellite instability; moreover, in these cases a concordance with immunohistochemical analysis was found. Lack
of expression of MSH2/MSH6 proteins, or of MLH1 was evident in three and in two cases, respectively. A constitutional
mutation in exon 13 of MSH2 was found in one MTS patient
who presented multiple keratoacantomas without sebaceous
tumors .The 142 sporadic lesions were all MSI-negative and
showed normal expression of MMR proteins.
Conclusions
The clinical, biomolecular and immunohistochemical characterization of sebaceous skin lesions and keratoacanthomas
might be used in population-based screening for the identification of families at risk of MTS, a rare disease difficult to
recognize and diagnose.
Carcinoma linfoepitelioma-simile della cute
M. Lentini, D.A. Cuppari, D. Batolo
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina
Il termine carcinoma linfoepitelioma-simile indica un tumore caratterizzato da aspetti istologici sovrapponibili a quelli
del cd. linfoepitelioma della regione nasofaringea. Neoplasie
primitive istologicamente costituite da nidi di cellule epitelioidi scarsamente differenziate e denso infiltrato linfocitario
intratumorale sono state descritte nelle ghiandole salivari, nel
timo, nel polmone, nello stomaco, nella laringe, nella portio,
nella vulva e nella cute. La neoplasia a localizzazione cutanea si caratterizza per una negatività all’infezione da EpsteinBarr virus e per un decorso clinico indolente.
Caso clinico
Nel novembre del 1998 perviene alla nostra osservazione la
biopsia escissionale di neoformazione cutanea del volto di
una donna di 66 anni. La diagnosi istologica era quella di
carcinoma linfoepitelioma-simile della cute. La paziente si
ripresentava alla osservazione nel giugno 2002 per la presenza nella stessa area di una neoformazione sottocutanea.
Sottoposta ad escissione della neoformazione, veniva posta
la diagnosi istologica di recidiva di carcinoma linfoepitelioma-simile. Sei mesi dopo perveniva al laboratorio la catena
dei linfonodi laterocervicali. Tre linfonodi risultavano metastatici. La neoplasia in entrambi i prelievi era costituita da
una proliferazione di voluminose cellule rotonde con citoplasma debolmente colorato, nuclei vescicolosi, senza evidenti segni di cheratinizzazione, immerse in uno stroma
linfocitario. Le metastasi linfonodali differivano dalla lesione primitiva solo in uno dei linfonodi dove si evidenziava una marcata desmoplasia. L’esame immunoistochimico
rivelava una positività delle cellule neoplastiche per EMA;
l’infiltrato linfocitario era positivo per LCA e CD45RO.
Negativi risultavano EBV, citocheratina 20, Ber-EP4,
CD15, CD30 e CD21.
Il caso descritto rappresenta un tipico esempio di cd. carcinoma linfoepitelioma-simile della cute. La sua istogenesi è
incerta anche se un’origine annessiale è suggerita. Si tratta di
una rara ma distinta entità . A livello cutaneo peraltro questo
tumore va differenziato da altre lesioni istologicamente simi-
COMUNICAZIONI LIBERE
li, ma con decorso clinico nella maggior parte dei casi più aggressivo, quali il carcinoma neuroendocrino, il carcinoma
squamocellulare scarsamente differenziato, il linfoma anaplastico a grandi cellule CD30 positive, il tumore a cellule
follicolari dendritiche.
Emangioendotelioma epitelioide cutaneo
ulcerato
A.R. Vitale, M. De Vito, M. Giuliani, A. Chiominto, G.
Coletti, S. Di Rito, V. Ciuffetelli, P. Leocata
Dipartimento di Medicina Sperimentale Università di L’Aquila
Introduzione
L’emangioendotelioma epitelioide è un tumore vascolare poco comune, potenzialmente aggressivo, che coinvolge i tessuti molli, l’osso, il fegato, i polmoni, il cervello, la cavità
orale ed in rari casi la cute. Istologicamente e biologicamente viene considerata una neoplasia “borderline” tra un’iperplasia angiolinfoide con eosinofilia ed un angiosarcoma epitelioide, con la capacità di metastatizzare. Alla nostra osservazione è giunto un caso di emangioendotelioma epitelioide
in una paziente di 11 anni, che presentava una lesione di
aspetto polipoide, ulcerata, di colorito bluastro, localizzata
sul braccio sinistro, delle dimensioni di cm 0,3 diagnosticata
clinicamente come granuloma piogenico.
Metodi
La biopsia escissionale, che misurava cm 1,4 x 1 x 0,3, è stata inclusa in paraffina e colorata con ematossilina ed eosina.
Il campione è stato sottoposto anche a colorazioni immunoistochimiche.
Risultati
L’esame istologico ha evidenziato la presenza di una lesione
localizzata nel derma superficiale, costituita da cellule epitelioidi, eosinofile, talvolta fusate, con piccoli lumi intracellulari, che apparivano come vacuoli intracitoplasmatici. Si osservavano figure mitotiche (4-5 x 10HPF). Era presente inoltre una piccola area di sclerosi centrale ed iperplasia pseudoepiteliomatosa dell’ epidermide che circondava la lesione
stessa. L’epidermide si presentava ulcerata con depositi di fibrina e granulociti. I margini dell’escissione esaminati non
comprendevano tessuto neoplastico.
L’esame immunoistochimico ha evidenziato una positività
diffusa per CD31, CD34 e Ki 67 (5%). La lesione era negativa per CK7, EMA e 34β-E12. Veniva posta diagnosi di emangioendotelioma epitelioide.
Conclusioni
La localizzazione cutanea dell’emangioendotelioma epitelioide è molto rara. Ad oggi ne risultano descritti solo 18 casi 1; l’ unicità del nostro caso risiede nel fatto che la lesione
non è mai stata descritta prima d’ora in pazienti in età pediatrica. Anche la presentazione clinica appare singolare; infatti
è il secondo caso in letteratura che si presenta come un nodulo ulcerato. A distanza di 6 mesi dalla diagnosi la paziente
non presenta recidive.
Bibliografia
1
Quante M, et al. Epithelioid hemangioendothelioma presenting in the
skin. A clinicopathologic study of eight cases. Am J Dermatopathol
1998;20:541-45.
PATHOLOGICA 2004;96:305-309
Emolinfopatologia
Primary spindle-cell B-cell lymphoma of the
skin: report of three cases
Posttransplant primary cutaneous CD30(Ki-1)positive anaplastic large cell lymphoma
E. Bonoldi*, C. Segala*, S. Cazzavillan*, P.M. Donisi**, A.
Scapinello***, P.A. Bevilacqua*, V. Stracca Pansa**, E.S.G.
d’Amore*
A. D’Amuri, A.V. Lalinga, R. Occhini, M.C. De Nisi
U.O. Anatomia Patologica, Vicenza; ** U.O. Anatomia Patologica, Venezia; *** U.O. Anatomia Patologica, Castelfranco Veneto
Department of Human Pathology and Oncology, Section of
Pathological Anatomy, University of Siena
*
Introduction
A spindle-cell variant of cutaneous B-cell lymphomas has
been described by Cerroni 1 and Goodlad 2. We report 3 cases
of this unusual subtype. All the patients (females, aged 44 to
55) presented with a single plaque in the trunk (3 to 9 cm).
Treatment: surgical excision, followed by local radiation
therapy and chemotherapy in one recurring case. All the patients are alive and well at last follow-up (from 2 to 10 years).
Methods
The cases fulfilled the clinical criteria of primary skin lymphoma and were classified according to the WHO classification as large B-cell lymphomas. Immunostaining was performed using streptavidin-biotin peroxidase detection system. PCR molecular studies included the amplification of the
hypervariable FRIII and FRII complementary determining
regions of the IgH gene, the analysis of t(14;18) and the amplification of B.burgdorferi DNA encoding a portion of the
highly conserved flagellin gene. The amplification product
underwent sequence analysis (ABI Prism 310 P.E. Systems);
the sequences obtained were examined with the FASTA program (web site http://www.ncbi.nlm.nih.gov/blast).
Results
The main histopathological pattern was pseudonodular in 2
cases, interstitial and diffuse in 1 case with involvement of
papillary and/or reticular dermis. Thick bundles of sclerosis
separated the neoplastic cells in 2 cases. The population was
predominantly made of spindle-shaped and elongated cells in
2 cases; in one case foci of large size centroblastyc-like or
polylobated cells in one case. All the cases showed a B-cell
immunophenotype of germinal center origin (CD20+ (3/3),
bcl6+(3/3), CD10+ (1/3), bcl2 (1/3)). IgH clonality was detected in 2 cases. None had t(14;18) by PCR. B. burgdorferi
DNA was found in 1 case.
Conclusion
The spindle cell-variant of diffuse large B cell lymphoma a)
should be considered in the differential diagnostic spectrum
of spindle cell tumors of the skin; b) can be associated to
B.burgdorferi infection c) at follow up a favourable clinical
prognosis was observed in our group of patients.
References
1
Cerroni L, et al. Am J Dermatopathology 2000;24:526-7.
2
Goodlad JR. Br J Dermatol 2001;145:313-7.
Introduction
Lymphoproliferative disorders can develop in solid organ
transplant recipients. Most of them are of B-cell phenotype
and Epstein-Barr virus (EBV) sequences are usually detectable. T cell lymphomas are less frequently been described, accounting for about 14% of the postrasplant lymphomas (PTLs). To our knowledge there are only four case
reports of CD30(Ki-1)+ lymphomas after transplant, to date.
Methods
We examined a punch skin biopsy on a nodular lesion arosen
on the left cheen of a 49-yer-old man, who underwent heart
transplantation five years before.
Results
At histology a heavy lymphoid infiltrate was seen throughout
the dermis and, focally, in the subcutis. The infiltrate was
composed prevalently by large blast cells showing an
anaplastic morphology. There was no epidermotropism, although lymphoid cells infiltrated skin appendages. Immunohistochemistry revealed a strong positivity for anti-Ki-1 antibody (CD30) in more than 80% of tumor cells, that also
showed a strong positivity for the proliferative marker Ki-67
(MIB1 antibody). Staging investigations were all negative.
Reduction of immunosuppressive therapy was performed.
No further lesions appeared after 6 month-follow up.
Conclusion
The skin is an uncommon site of PTLs, and CD30+ lymphomas have rarely been reported after transplant: to our
knowledge, our case is the fifth reported in the literature. Immunosuppression has a role in the development of PTLs,
therefore therapy presents difficulties, since immunosuppressive regimen must be reducted. Radiotherapy is the conventional treatment for such tumors.
Linfomi del cavo orale
M.P. Foschini, S. Asioli, S.A. Pileri*
Dipartimento di Oncologia e Servizio di Anatomia Patologica e Citopatologia, Ospedale Bellaria, Bologna; * Anatomia
Patologica e Unità di Emolinfopatologia, Istituto di Ematologia e Oncologia Clinica L&A Seragnoli, Bologna
Introduzione
Scopo di questo lavoro è quello di studiare i linfomi della cavità orale su base morfologica secondo la World Health Organization Classification of Tumours of Haematopoietic and
Lymphoid Tissues (WHO 2001), valutarne l’incidenza in
rapporto all’età e in base alle caratteristiche fenotipiche mediante metodiche di immunoistochimica (ICH) e d’ibridazione in situ (ISH) su tissue micro-array (TMA). Su tutti i casi è
stata valutata l’incidenza dell’infezione del virus di Epstein
Barr (EBV).
Materiali e metodi
Sono stati valutati retrospettivamente 27 casi di linfomi del-
COMUNICAZIONI LIBERE
306
la cavità orale pervenuti dal 1992 al 2002 al Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale Bellaria, dell’Università di Bologna. Sono stati classificati secondo la WHO 2001, e tipizzati
mediante la tecnica del TMA, applicando gli anticorpi:
CD79a, CD20, CD2, CD3, CD4, CD5, CD7, CD8, CD10,
CD30, CD56, CD57, Bcl2, Bcl6, IRTA-1, KI67/MIB1. Tutti
i 27 casi sono stati studiati per l’infezione dell’EBV utilizzando la metodica ISH.
Risultati
Si sono osservati, esclusivamente, linfomi non-Hodgkin, con
una lieve prevalenza del sesso femminile (13 M e 14 F) ed
una età media di 66 anni. Ventiquattro casi sono risultati primitivi, mentre tre casi si sono presentati come manifestazioni secondarie. Si è osservata una prevalenza di linfomi d’origine dai linfociti B periferici (19 casi di linfoma a grandi cellule B diffuso (DLBCL), 3 linfomi della zona marginale
(MZL), 3 linfomi follicolari (LF)) e l’istotipo più frequente è
stato il DLBCL, mentre l’incidenza di linfomi d’origine dai
linfociti T periferici è stata rara. Un unico caso (DLBCL) è
risultato positivo all’ISH per il virus EBV. In analogia con
quanto osservato da Daibata M 1 nel “pyothorax-associated
lymphoma”, questo ha mostrato, inoltre, espressione aberrante della molecola CD2.
Conclusioni
Dai nostri dati ed in accordo con la letteratura, si evince che
i linfomi della cavità orale sono prevalentemente DLBCL,
colpiscono persone d’età media superiore ai 60 anni, con una
lieve prevalenza del sesso femminile. Un unico caso era
positivo alla ricerca dell’infezione del virus d’EBV.
Risultati
Microscopia ottica: la neoformazione ad alta densità cellulare è costituta da elementi con nuclei voluminosi e citoplasmi
scarsamente tingibili. Gli elementi presentano un elevato indice mitotico ed infiltrano estesamente le strutture stromali e
ghiandolari circostanti (vedi W. e L.). Microscopia elettronica a trasmissione: gli elementi neoformati mostrano nuclei
polimorfi con cromatina dispersa o marginata e grandi nucleoli. I citoplasmi contengono abbondanti poliribosomi e
quote variabili di RER. Le cellule neoformate sono delimitate da abbondante collagene denso. Esame citometrico: elementi con DNA diploide; fase S 27.0% Panel immunoistochimico per tipizzazione linfoma: la neoformazione risulta
intensamente positiva per LCA e CD20; l’immuno localizzazione per CD3 e CD45RO appare debolmente positiva in alcuni elementi cellulari.
Conclusioni
La maggioranza dei linfomi mammari primitivi sono linfomi
diffusi a grandi cellule B (BLCL WHO classification). La lesione giunta alla nostra osservazione è stata tipizzata in base
alle caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche come linfoma B. Si sottolinea l’importanza della diagnosi differenziale,in sede pre e intraoperatoria, con altre masse mammarie, in quanto considerando che il NHL è altamente sensibile alla chemioterapia, e che una chirurgia non demolitiva
non cambia la prognosi, evitare un intervento di mastectomia
radicale vuol dire preservare la qualità di vita delle pazienti.
Bibliografia
1
Wiseman C, et al. Cancer 1972;29:1705-1712.
Bibliografia
1
Daibata M, et al. Br J Haematol 2002;117:546-557.
Linfoma maligno non Hodgkin B localizzato
alla mammella. Descrizione di due casi
Linfoma mammario primitivo:
studio multiparametrico
A. Labate, E. Mazzon*, F. Albiero, R. Cicciarello, G. Costa, M.E. Gagliardi, M. Mesiti**, V. Cavallari
Dipartimento di Patologia Umana; * Dipartimento Clinico
Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Sezione di Farmacologia; ** Struttura di Oncologia Chirurgica, Policlinico
Universitario, Università di Messina
Introduzione
Il linfoma mammario primitivo rappresenta un entità rara
(0,04-0,5% di tutte le neoplasie mammarie) che insorge generalmente in età postmenopausa. Morfologicamente non è
distinguibile dalle forme secondarie, per cui vengono seguiti come criteri distintivi solo i parametri proposti da Wiseman e Liao 1. La presentazione clinica del linfoma mammario primitivo spesso non è distinguibile da quella del
carcinoma mammario (nodulo unico con linfonodi ascellari palpabili). La lesione giunge alla nostra osservazione per
esame istologico intraoperatorio con sospetto di carcinoma; l’esame ne rivela la natura non epiteliale ma mesenchimale.
Materiali e metodi
Perviene alla nostra osservazione pezzo chirurgico di nodulectomia di cm 3,5x3; al taglio si osserva una lesione nodulare a margini netti di colorito grigiastro; La lesione viene
analizzata in microscopia ottica, in microscopia elettronica a
trasmissione, in citometria a flusso, e viene fatto un pannel
immunoistochimico per tipizzazione (CD3, CD20, CD45RO,
LCA)
F. Tallarigo, M. Lestani*, N. Papaleo, F. Pontieri, M.G.
Scalia
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “San Giovanni di
Dio”, Crotone; * Università di Verona
Introduzione
Il linfoma primitivo della mammella è un evento raro. Dai
dati presenti in letteratura è stimata un’incidenza < 1% di tutte le neoplasie primitive della mammella e comprende il
2,2% di tutti i linfomi non Hodgkin extranodali e lo 0,38% di
tutti i linfomi.
Materiali e metodi
Caso n. 1, donna di 50 anni alla quale in corso di mammografia preventiva viene riscontrata una neoformazione in zona retroareolare della mammella sin. A contorni netti diagnosticata come probabile tumore filloide. Viene eseguito fna
della lesione in cui viene descritto tappeto di elementi lifoidi
in vari stadi maturativi con spiccato numero di elementi atipici, elevato indice mitotico, ed è stata fatta diagnosi compatibile con lesione linfoproliferativa. Viene eseguito esame
estemporaneo con diagnosi di neoplasia maligna da definire
dopo inclusione, a questa ha fatto seguito quadrantectomia
con asportazione dei linfonodi del cavo ascellare. La diagnosi istologica definitiva è stata di lifoma B diffuso a grandi
cellule. Tutti i linfonodi sono risultati indenni. La successiva
stadiazione non ha evidenziato ulteriori localizzazioni della
malattia.
Caso n. 2, donna di 73 anni ricoverata presso la divisione di
geriatria, dove viene apprezzato nodulo a livello del Q.I.I
mammella sin, refertato all’esame mammografico come pro-
EMOLINFOPATOLOGIA
cesso eteroplasico a carattere espansivo. Viene eseguito FNA
della lesione in cui vengono descritti numerosi linfociti di
piccole-medie dimensioni, con diagnosi di dubbia interpretazione. Viene eseguito esame estemporaneo della lesione con
diagnosi di tessuto linfoide iperplastico. Diagnosi istologica
definitiva di linfoma B follicolare G2. Anche in questo caso
la successiva stadiazione non ha evidenziato altre localizzazioni di malattia.
Discussione e conclusioni
L’incidenza del linfoma primitivo della mammella varia tra
lo 0,4% e lo 0,51% di tutti i linfomi primitivi della mammella. Esistono dei criteri suggeriti da Wiseman e Liao che devono essere soddisfatti per poter porre diagnosi di linfoma
primitivo della mammella: 1) adeguatezza del materiale; 2)
presenza di tessuto mammario nell’infiltrato lifoide; 3) assenza di un precedente linfoma extranodale; 4) il coinvolgimento di un linfonodo ascellare omolaterale può essere considerato accettabile. La maggior parte dei linfomi della mammella sono di tipo diffuso a grandi cellule, ma sono stati riportati tutti gli altri tipi di linfoma. Sia la mammografia che
l’esame ecografico non riescono a distinguere il linfoma dal
carcinoma della mammella. Allo stesso modo sia l’esame citologico agoaspirativo della lesione che l’esame intraoperatorio possono portare a diagnosi erronee di carcinoma della
mammella soprattutto quando si tratta della forma a grandi
cellule.
Morphological, cytogenetical and molecular
biological findings in extranodal lymphoma.
Report of 3 cases
P. Visca*, G. Chichierchia*, S. Buglioni*, F. Marandino, R.
Perrone Donnorso*, F. Pisani**, A. Romano**, R. Gasbarra***, A. Lattanzi*, G. Centra****, P. Giacomini****, M. Marino*
*
Dept. of Pathology, Regina Elena Cancer Institute, Rome;
Hematology, Regina Elena Cancer Institute, Rome;
***
Dept. of Pathology, C. Forlanini Hospital, Rome; **** Immunology, Regina Elena Cancer Institute, Rome
**
Introduction
In the pathological evaluation of lymphoma arising in extranodal sites, the morphological and immunohistochemical
characteristics often need to be integrated with a molecular
approach in order to establish a diagnosis in doubtful cases or
to acquire data for a better understanding of the neoplastic
process.
Methods
We report here on the morphological, immunohistochemical
and molecular biological features of 3 cases of extranodal
lymphoma.
Results
In case n. 1 a nodular lymphoid proliferation in the lung of
a 40-year-old man was found to show focal changes suggestive for an early low-grade Mucosa-associated lymphoid
tissue (MALT) lymphoma. Although the immunohistochemical findings suggested a light-chain restriction in
plasmacells, and Germinal Center’s (GC) architectural features suggested a focal neoplastic evolution in the lymphoid
hyperplasia, a molecular biological search for the IgH-chain
gene rearrangement was performed. A monoclonal B cell
rearrangement was found. A Fluorescent-In Situ-Hybridization (FISH) study for the t (11;18) translocation gave nega-
307
tive results. Case n. 2 was represented by a longstanding
eradication-therapy-resistant low-grade gastric lymphoma
of MALT type, disseminated to other sites in the gastrointestinal tract, arised since 2 years in a 66-year-old man. A
FISH analysis of a gastric biopsy showed the case belonging to the t(11;18) positive genetic subgroup of low-grade
MALT lymphoma. In case n. 3 a parotidis low-grade lymphoma of MALT type was found in a 43-year-old female.
No signs of autoimmune disease, neither Hepatitis C virus
(HCV) infection were associated. However a hepatitis B
surface Antigen (HbsAg) was found in the serum. The FISH
analysis for t(11;18) was negative. The search for the IgHchain gene rearrangement was positive.
Conclusions
The need for molecular techniques is expected to increase in
the Pathology Department in order to provide diagnostic and
prognostic informations for a proper therapeutical management.
Linfoma della zona marginale epatico
primitivo: segnalazione di un caso
M. Gallorini, G. Gambacorta, L. Presenti, F. Zolfanelli
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Nuovo S. Giovanni di
Dio, Firenze
I linfomi primitivi del fegato sono entità rare, rappresentati
nella maggior parte dei casi da linfomi B diffusi a grandi cellule; forme più rare, di recente descrizione sono i linfomi della zona marginale (maltomi), linfomi B di basso grado che
compaiono in una varietà di sedi extralinfonodali, la cui possibile, ancorchè rara, localizzazione primitiva epatica viene
riconosciuta da Isaacson, sia nel contesto di epatiti croniche
e di cirrosi biliari primitive, che in assenza di altre patologie.
Descriviamo le caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche di un linfoma del fegato comparso come lesione nodulare solitaria in una donna di 63 anni.
Macroscopicamente si presentava come una neoformazione
biancastra a margini netti del diametro di 7 cm.
Istologicamente si documentava un intenso infiltrato linfoide
con pattern di crescita nodulare, costituito da cellule di piccole e medie dimensioni, di aspetto monocitoide, in associazione a lesioni linfoepiteliali dei dotti biliari. Il parenchima
epatico a distanza risultava libero da alterazioni patologiche.
Le cellule neoplastiche esprimevano positività per il CD20,
con restrizione monoclonale delle catene leggere e erano negative per CD5, CD10, CD23, ciclina D1, positive per bcl-2.
Le pancitocheratine documentavano le lesioni linfoepiteliali
dei dotti residui.
Le procedure di staging non avevano documentato localizzazioni extraepatiche.
La lesione è stata pertanto diagnosticata come linfoma B della zona marginale primitivo del fegato.
I maltomi sono generalmente associati a condizioni predisponenti infettive o autoimmuni, diverse da organo a organo,
e tali da rappresentare un persistente stimolo antigenico necessario nel processo multistep di linfomagenesi. Nel caso di
nostra osservazione non erano presenti né una epatite da
HCV, né una cirrosi biliare primitiva.
Importante sottolineare le problematiche di diagnostica differenziale di una lesione nodulare epatica isolata e la necessità
di un corretto inquadramento classificativo nell’ambito degli
altri linfomi B a basso grado, in quanto il linfoma della zona
308
marginale si distingue per un comportamento più indolente e
per la prognosi favorevole nei casi appropriatamente trattati.
Intrasinusoidal bone marrow infiltration and
splenic marginal zone lymphoma
F. Fraire, A. Fornari, L. Davico Bonino, L. Godio,
L.Chiusa, G. Palestro, A. Pich
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology,
Section of Pathology, University of Turin
Introduction
Intra-sinusoidal infiltration (ISI) is a recently recognized pattern of bone marrow (BM) invasion, described as a frequent
and occasionally prominent pattern of invasion in splenic
marginal zone lymphoma (MZL) 1. ISI was also found in other NHL types 2, but never as a “prominent” pattern. We have
analysed 54 BM biopsies showing an ISI pattern by means of
a quantitative approach. The purpose was to verify if the ISI
pattern of BM invasion was specific of splenic MZL, and if
ISI quantity on BM biopsy could represent a diagnostic criterion.
Materials and methods
Out of the 54 NHL, there were 31 (57.4%) MZL and 23
(42.6%) non-MZL: 6 MCL, 6 SLL/CLL, 4 FL, 4 DLBL, 1
PTC, 1 LDL and 1 ALCL. Thirty-five (64.8%) were primitive
splenic (PSL) and 19 (35.2%) non-primitive splenic (nonPSL) lymphomas. Splenectomy was performed in 25 patients. Serial sections from BM biopsies, decalcified and embedded in paraffin, were stained with H.E., periodic acid
Schiff (PAS), Giemsa and reticulin staining and the monoclonal antibodies anti CD45, CD20 and CD3. In selected cases, the analysis was supplemented by CD34, CD79a, CD76
(DBA44), CD8, CD30, CD5, CD4, TIA, anti-granzyme B
and ALK immunostaining. The pattern and quantity of BM
infiltrate was assessed on CD20 (or CD3) stained sections.
The mean percentage of all neoplastic lymphocytes (ITOT)
and the mean percentage of intrasinusoidal lymphocytes (ISI)
was calculated by examining 10 areas for each case.
Results
The mean ITOT for the whole series was 26.31 (SD ±20.97;
range 1-80). It was 21.57 in PSL and 35.05 in non-PSL
(p=0.04); 22.58 in MZL and 31.34 in non-MZL (p=0.15).
The mean ISI for the whole series was 6.07 (SD ±5.29; range
0.1-21.3). It was 5.23 in PSL and 7.62 in non-PSL (p=0.1);
5.70 in MZL and 6.58 in non-MZL (p=0.56). In PSL, ISI
quantity was greater in MZL (5.83) than in non-MZL (2.83)
(p=0.1), and a direct correlation was found between the
weight of the spleen and ITOT (r=0.41, p=0.04), but not ISI
quantity (r=0.04, p=0.84).
Conclusions
The intrasinusoidal pattern of BM invasion is particularly
frequent in MZL and PSL 1, but not specific. Moreover, ISI
quantity is not indicative of splenic MZL. Therefore, the hypothesis of splenic MZL, based on the presence or quantity
of ISI on bone marrow biopsy, should be supported by a complete immunophenotyping and cytogenetic analysis of the
bone marrow infiltrate.
COMUNICAZIONI LIBERE
Bibliografia
1
Franco V, et al. Blood 2003;101:2464-2472.
2
Costes V, et al. Br J Haematol 2002;119:916-922.
Trasformazione leucemica linfoblastica in
mielofibrosi idiopatica
V. Stracca Pansa, P.M. Donisi, M. Riccardi, C. Ortolani,
L. Rau, C. Sarpellon*, E. Bonoldi**
Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Venezia; * U.O. di Ematologia, Venezia; ** U.O. Anatomia Patologica, Vicenza
La mielofibrosi idiopatica cronica può esitare, nel 5-30% dei
casi, in leucemia acuta della linea mieloide. Estremamente
rara è, invece, l’evenienza di una leucemia linfoblastica acuta, di cui riportiamo un caso.
La paziente, di 65 anni, era da 12 anni affetta da mielofibrosi e trattata con solo supporto trasfusionale. Ricoverata per
anemizzazione e piastrinopenia severa, mostrava una discreta pancitopenia e la presenza di una quata blastica pari
all’8%.
La Tac addome evidenziava splenomegalia di grado imponente e discreta epatomegalia. Dopo splenectomia, l’esame
istologico della milza mostrava una diffusa infiltrazione della polpa rossa di elementi blastici medio grandi, con nucleo a
contorni irregolari, cromatina fine dispersa e uno-due nucleoli, e fenotipo B (CD20, CD10, CD79a, TdT positivo) associata a focale metaplasia mieloide. Il midollo emopoietico
ipercellulare, con fibre reticoliniche diffusamente aumentate,
e la biopsia epatica erano interessate da diffusa infiltrazione
leucemica. In citometria a flusso su sangue periferico blasti
di dimensioni medio-grandi esprimevano il seguente fenotipo: CD10+, CD19+, CD20+, CD22+, CD34+, CD38+,
cyCD79a+. L’analisi in PCR – gene scan – mostrava la presenza di riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline,
confermando la linea B degli elementi leucemici. L’indagine
citogenetica (tecnica del bandeggio e FISH) rivelava un cariotipo complesso caratterizzato da traslocazione 9/22, delezione parziale del braccio p del cromosoma 4 e trisomia parziale dei cromosomi 1 e 8. Sottoposta a chemioterapia con
Vincristina, le condizioni cliniche dopo tre mesi dall’ intervento sono discrete.
La mielofibrosi idiopatica costituisce una vera entità patologica in cui l’alterazione della cellula staminale produce
espansioni clonali di precusori mieloidi e eritroidi, di granulociti neutrofili, di monociti, di megacariociti e di linfociti di
derivazione sia B che T cellulare. Il caso, pur nella sua unicità, costituisce un esempio di evoluzione leucemica in senso linfoide B della cellula staminale pluripotente e conferma
la necessità di una estensiva caratterizzazione immunofenotipica e genotipica delle popolazioni blastiche al fine di stabilire una adeguata condotta terapeutica.
EMOLINFOPATOLOGIA
Danno midollare da ticlopidina simulante
morfologicamente una leucemia acuta
promielocitica: descrizione di un caso e
revisione della letteratura
G. Di Marco, M. Stella, D. Turri**, T. Mannone, F. Guddo, M.R. Rizzuto, F. Raiata, V. Franco*, A.M. Florena*, A.
Rizzo
Anatomia Patologica, A. O. “V. Cervello”, Palermo; * Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica, Università di Palermo; ** Unità Operativa Ematologica T.M.O. A.O. “V. Cervello”, Palermo
Introduzione
Molti farmaci possono alterare la crasi ematica e sollevare
problemi di diagnosi differenziale con emopatologie neoplastiche.
La ticlopidina è un antiaggregante piastrinico con effetti collaterali ematologici: da neutropenia reversibile, a quadri pancitopenici fatali.
Metodi e risultati
Donna di anni 55, diabetica, ipertesa, cardiopatica, con insufficienza renale cronica che assumeva antidiabetici orali,
antiipertensivi e ticlopidina.
Nel maggio del 2003, insorgevano astenia, dispnea e pancitopenia severa: GR 3.240.000/mmc, GB 480/mmc, Plt
26.000/mmc. La biopsia osteomidollare evidenziava: midol-
309
lo osseo a trama reticolare infittita, cellularità del 60-70%,
aumento di promielociti, blocco maturativo della serie mieloide a questo stadio, isolati cumuli linfoidi a carattere reattivo. La biologia molecolare escludeva il riarrangiamento
PML/RARalfa. Si effettuava la seguente terapia: trasfusioni e
profilassi delle infezioni. Si sospendeva l’assunzione di ticlopidina. Tre settimane dopo il quadro ematologico era migliorato e la pazienta veniva dimessa.
Conclusione
I danni collaterali da ticlopidina sono vari: gastroenterici,
epatici ed ematologici. Il meccanismo di induzione del danno midollare non è chiaro: azione tossica diretta dose-dipendente oppure azione tossica immunomediata 1-2. In letteratura, dal 2000 ad oggi, sono stati riportati 11 casi di patologia
ematologica da ticlopidina. Nel nostro Laboratorio, dal 1998
ad oggi, abbiamo osservato 4 pz con danno midollare da tiklid ed il caso presentato è interessante perché il quadro clinico-patologico di presentazione induceva il sospetto di una
leucemia acuta promielocitica. Dirimenti per la diagnosi sono stati: il mieloaspirato (promielociti sprovvisti di corpi di
Auer); la biologia molecolare (escludeva la traslocazione
t(15;17); la reversibilità del quadro dopo sospensione di ticlopidina.
Bibliografia
1
Taher A, et al. Am J Hematologyl 2000;63(2):90-93.
2
Symeonidis A, et al. Am J Hematology 2002;71(1):24-32.
PATHOLOGICA 2004;96:310-315
Neuropatologia
L’esame estemporaneo in neuropatologia:
valutazione delle procedure tecniche
A. Cimmino, G. Parisi, G. De Marzo, C. Traversi, R.
Ricco
DAPeG Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica,
Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari
Introduzione
Nella diagnostica intraoperatoria neuropatologica è estremamente vantaggioso disporre di metodiche utili a trarre il maggior numero di informazioni dal preparato. Nel nostro studio
abbiamo comparato la valutazione istologica al criostato e
quella citologica su striscio o apposizione, che permette di rilevare dettagli non osservabili su preparati istologici criostatati.
Materiali e metodi
La nostra casistica comprende 7 meningiomi, 2 carcinomi
metastatici, 1 astrocitoma anaplastico, 1 tumore a mieloplassi, 1 cordoma anaplastico. Per ognuno è stato prelevato un
frammento a fresco per l’esecuzione dell’esame intraoperatorio cito-istologico. Per l’esame citologico sono stati allestiti
8 preparati per apposizione o striscio in relazione alla lesione e al tessuto e sono state testate quattro procedure: colorazione con Giemsa, blu di toluidina,ed ematossilina-eosina
con fissazione in alcool 95° e colorazione con ematossilinaeosina previa fissazione in alcool 95° ed ac. acetico. Per l’esame istologico sono state allestite 8 sezioni al criostato. I
preparati sono stati fissati in alcool 95° o formalina al 10%,
nella metà dei casi postfissati in microonde a 400W e tutti colorati con ematossilina-eosina.
Risultati
Le 192 sezioni complessive sono state esaminate in doppio
da 2 patologi con esperienza neuropatologica. Per ogni preparato è stato espresso un giudizio di: leggibilità (scarsa, discreta, buona e ottima). Tutti i vetrini di uno stesso paziente
sono stati colorati contemporaneamente, per evitare risultati
falsati dalla variabilità della colorazione. A parità di tempi di
fissazione l’esecuzione dell’esame estemporaneo citologico
è stato eseguito in un range di 7-11’ in relazione alla colorazione e all’allestimento (striscio/apposizione) ed in un range
di 13 e i 15’ per l’esame istologico. I risultati sono riassunti
in Tabella I.
Conclusioni
Nell’esame citologico le colorazioni Giemsa e blu di toluidina consentono la migliore leggibilità dei dettagli morfologici
nucleari e citoplasmatici. Minore la leggibilità dei preparati
in ematossilina-eosina. L’aggiunta di ac acetico ha dato risultati variabili. Nella valutazione dell’esame istologico risultati più soddisfacenti sono stati ottenuti con alcool 95°. L’uso
del forno a microonde non ha determinato sensibili miglioramenti.
Bibliografia
1
Burger PC. Use of cytological preparations in the frozen section diagnosis of central nervous system neoplasia. Am J Surg Path
1985;9:344-354.
2
Dawson TP, Neal JW, Llewellyn L, Thomas C. Neuropathology techniques. Arnold, London 2003.
Ruolo dei fattori angiogenici e studio degli
indici di proliferazione nella progressione e
nella familiarità degli angiomi cavernosi
cerebrali
S. Simonetti, S. Garofalo, V. Strazzullo, G. Pettinato,
M.L. Del Basso De Caro
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli “Federico II”
Introduzione
Gli angiomi cavernosi sono malformazioni vascolari angiograficamente occulte che sono più spesso sporadiche ed in
genere stabili, anche se a volte mostrano tendenza alle localizzazioni multiple ed alla evoluzione.
È stato recentemente dimostrato che le malformazioni vascolari cerebrali esprimono diversi fattori di crescita angiogenici e che questi possono avere un ruolo nella loro origine e
formazione.
Materiali e metodi
Nel nostro studio abbiamo testato i fattori EGF-R, tenascina,
TGF-β, PDGF, Ki-67 e bcl-2 in 9 angiomi cavernosi con tendenza all’accrescimento, con localizzazioni multiple ed in
Tab. I. Risultati
Giemsa
Blu di toluidina
Fissazione in alcool, ematossilina-eosina
Fissazione in alcool+acido acetico, ematossilina-eosina
Fissazione in alcool al 95%
Fissazione in formalina al 10%
Fissazione in alcool al 95%, passaggio in forno MW
Fissazione in formalina al 10%, passaggio in forno MW
Leggibilità
scarsa
Leggibilità
discreta
0%
0%
0%
8,33%
0%
29,16%
4,16%
25%
0%
0%
25%
16,66%
25%
50%
45,83%
66,66%
Leggibilità
buona
Leggibilità
ottima
8,33%
16,66%
33,33%
12,5%
50%
12,5%
45,83%
8,33%
91,66%
83,33%
62,5%
25%
8,33%
4,16%
0%
NEUROPATOLOGIA
membri della stessa famiglia. I risultati ottenuti sono stati paragonati con quelli di un gruppo controllo di 40 angiomi cavernosi sporadici, senza progressione di crescita.
Conclusioni
I cavernomi aggressivi sono associati ad un’espressione di
bcl-2 e Ki-67, come in altre lesioni proliferative.
L’espressione di TGF-β, PDGF e Tenascina nel parenchima
perilesionale suggerisce che la vascolarizzazione delle aree
circostanti possa essere reclutata per un’ulteriore crescita del
cavernoma, aggiungendo nuove cavità vascolari alla lesione.
Bibliografia
1
Kiliç T, Pamir N, Küllü S, et al. Expression of structural proteins and
angiogenic factors in cerebrovascular anomalies. Neurosurgery
2000;46:1179-1192.
2
Viale GL, Castellani P, Doracatto A, et al. Occurence of a glioblastoma-associated tenascina-C isoform in cerebral cavernomas and neighboring vessels. Neurosurgery 2002;50:838-842.
Valore prognostico dell’espressione
immunoistochimica di fattori angiogenici,
indici di proliferazione e proteina bcl-2 nei
meningiomi
G. Leone, S. Garofano, R. De Cecio, L. Stasio, M.L. Del
Basso De Caro, G. Pettinato
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduzione
I meningiomi sono tumori generalmente a lenta crescita, con
sintomi da compressione delle strutture adiacenti.
Sebbene un comportamento biologico aggressivo potrebbe
essere anticipato dalla presenza di aspetti morfologici quali
necrosi, invasione del parenchima cerebrale, alto indice mitotico e/o essere legato ad istotipi particolari (meningioma
papillare, meningioma a cellule chiare, meningioma cordoide), è pur vero che non tutti i meningiomi che recidivano o
metastatizzano presentano una o tutte queste caratteristiche.
Materiali e metodi
Nel nostro studio, limitato a 60 casi di cui 30 meningiomi recidivanti e 30 non recidivati, abbiamo focalizzato l’attenzione su alcune variabili:
1) assetto recettoriale per estrogeni e progesterone
2) indici di proliferazione
3) immunoespressione di alcuni fattori di crescita (VEGF,
EGF-R)
4) immunoespressione della proteina apoptosica bcl-2.
Risultati
Lo studio degli indici di proliferazione è risultato di alta significatività prognostica. Per quanto riguarda l’assetto recettoriale per ER e PR, il dato emerso ha mostrato come la positività
per PR sia fortemente correlata ad una assenza di recidiva, indicando quindi il PR status come fattore progostico favorevole. Inaspettatamente l’espressione immunoistochimica dell’EGF-R ha mostrato valori più elevati nel gruppo di meningiomi non recidivati. Tale dato indicherebbe come questo fattore di crescita possa essere collegato ad una differenziazione
in senso epiteliale delle cellule meningiomatose. Resta da valutare il dato dell’associazione negativa tra Bcl-2 e PR, contrariamente a quanto accade per il carcinoma della mammella.
Conclusioni
Il nostro studio dimostra come sia possibile, soprattutto nelle
forme “benigne” di meningioma, con semplici indagini im-
311
munoistochimiche di routine, offrire al neurochirurgo ed al
clinico dei parametri aggiuntivi, che rappresentano lo strumento idoneo per un opportuno management del paziente.
Bibliografia
1
Andersson U, Guo D, Malmer B, Bergenheim AT, Brannstrom T,
Hedman H, Henriksson R. Epidermal growth factor family (EGFR,
ErbB2-4) in gliomas and meningiomas. Acta Neuropathol 2004;18.
2
Lamszus K. Meningioma pathology, genetics and biology. J Neuropathol Exp Neurol 2004;63:275-86.
The “non neoplastic glia” of secretory
meningiomas: some immunohistochemical
observations
S. Galatioto, M.P. Sciacca, M. Chimenz
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina
Recently some AA showed that micro- and macroglial cells
occur within and around brain tumors and suggested (especially for microglia) that they could play a role in the defens
against neoplasms of the CNS (Graeber et al., 2002).
As to concerns Meningiomas there are a few immunohistochemical studies about the presence of mononuclear cells and
macrophages within them.
Another question refers to the pathogenesis of peritumoral
brain edema that sometimes may be also considerable.
Secretory Menigiomas (SM) are a rare meningioma subtype
that clinically showed a unique tendency to evoke a marked
brain edema while histologically are characterized by a unusual epithelial differentiation with glandular lumina containing
secretory PAS-positive globules (Probst-Cousin et al., 1997).
As well as most subtypes of Meningiomas, SM not showed
however a different prognosis.
The aim of our study is to investigate the immunophenotypes
of the “non neoplastic glia” within these tumors as well its relationship with some markers on the extracellular matrix
(LAM, FN, CoIV).
Taken together our immunohistochemical findings showed a
good amount of CD68 and/or CR3/43 immunoreactive cells
likely expressing various functionl roles within the tumor in order to the tumor’s growth and the peritumoral cerebral edema.
Tumore Glioneuronale Papillare, una nuova
variante di neoplasia mista glioneuronale.
Osservazione di tre casi e revisione critica
della letteratura
S. Garofalo, S. Simonetti, F. Ventre, R. De Cecio, M.L.
Del Basso De Caro, G. Pettinato
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli “Federico II”
Introduzione
Il Tumore Papillare Glioneuronale (PGNT), rappresenta una
nuova entità clinico-patologica con caratteristiche architetturali, immunoistochimiche ed ultrastrutturali distinte dalle varianti di tumore glioneuronale di basso grado.
Vengono descritti gli aspetti clinico-patologici di tre casi di
PGNT.
Materiali e metodi
I casi clinici studiati sono relativi a tre giovani pazienti, uno
di 12 aa con lesione localizzata a livello del lobo temporo-oc-
312
cipitale di dx, il secondo di 13 aa con interessamento del lobo frontale ed il terzo di 22 aa con sede cerebellare. Alla risonanza magnetica tali lesioni risultavano ben delimitate, cistiche, con enhancement del mezzo di contrasto. I pazienti si
sono presentati all’osservazione clinica con segni neurologici sfumati.
Risultati
Microscopicamente la lesione si presentava moderatamente
cellulata, con un pattern bifasico (aree microcistiche ed aree
con architettura pseudopapillare). La componente cellulare
era costituita da piccole cellule rotondeggianti intorno ad un
core stromale vascolare; nelle zone microcistiche, frammiste
alle piccole cellule, si osservano elementi di piccola e media
taglia, con nucleo vescicoloso, talora nucleolato. Si osservano, inoltre, aree più intensamente fibrillate, simil-pilocitiche
e con corti segmenti capillari.
Conclusioni
PGNT risulta essere quindi un’entità clinico-patologica attualmente non inclusa nella classificazione WHO dei tumori
del Sistema Nervoso Centrale, caratterizzata da aspetti architetturali distinti dalle varianti previste di tumore glioneuronale di basso grado, con neurociti, cellule gangliari e cellule
ganglioidi e con prognosi favorevole. Come nel caso di altre
lesioni del gruppo “neuronale-glioneuronale”, rimane da stabilire se questa entità sia da ritenersi su base amartomatosa o
disembriogenetica, o se, al contrario, rappresenti una vera
neoplasia.
Bibliografia
1
Komori T, Scheithauer BW, Anthony D, Rosenblum MK, McLendon
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2
Prayson RA. Papillary Glioneuronal Tumor. Arch Pathol Lab Med
2000;124(12):1820-3.
On a case of anaplastic oligoastrocytoma
with ependymal features
E. Zunarelli, L. Reggiani Bonetti*, S. Bettelli*, L. Garagnani*, G.P. Trentini*
Dipartimento Integrato di Servizi Diagnostici e di Laboratorio e di Medicina Legale, Anatomia Patologica, Azienda
Ospedaliera-Universitaria*, Policlinico di Modena, Modena,
Italia
Introduction
The unusual morphology of a cerebral tumour with three
components, anaplastic oligoastrocytoma and ependymoma,
is presented. These three components were distinctively appreciated and intimately arised creating the tumour mass.
Materials and methods
Routine techniques, immunohistochemical methods and molecular analysis were performed.
Case study and results
An active, fit 70-year-old man collapsed suddenly, the clinical picture suggesting a stroke, after a 2-month history of
headache.
CT and MRI imaging disclosed a left frontal lobe lesion,
rather superficial in location, 20 mm in maximum dimension,
with a necrotic core in a well defined ring of contrast enhancement and peripheral oedema, most consistent with high
grade glioma.
On gross examination, fragments of red-brownish soft tissue,
4x3x1.7 cm in toto, were received. Histology showed a high
COMUNICAZIONI LIBERE
grade primitive glial tumour, hypercellular, mitotically active,
necrotic, which affected mainly cortex and white matter. The
tumour had variegated tissue pattern, with apparently distinct
components, first anaplastic oligodendroglioma/astrocytoma
(80-85%), and secondly anaplastic ependymoma (20-15%),
with perivascular pseudorosettes which bore a definite resemblance to those seen in ependymal tumours. The major oligodendroglial component expressed GFAP, to a lesser extent S100 protein; the ependymal-looking component was GFAPand S-100 negative. Synaptophysin yielded an aspecific positivity in both areas. EMA and MNF-116 were negative, as well
as melan-A. Proliferative activity (MIB-1 LI) was about 12%,
p53 was focally expressed.
FISH documented amplification of EGFR and polisomy of
chromosome 7 (aneuploid DNA). LOH for 1p 19q is currently undertaken.
Conclusions
The tumour was classified on the majority of the lesion,
which was distinctly oligoastrocytomatous in nature; the
number of mitotic figures and MIB-1 LI were sufficiently
high to allow a diagnosis of anaplastic oligoastrocytoma with
ependymal features. Mixed gliomas potentially represent the
most likely to benefit from ancillary genetic characterization,
both in morphological and prognostically meaningful terms.
Molecular genetic alterations in
oligodendroglial tumors: implications for
pathological diagnosis and clinical
management
A. Arcella, M. Salvati*, M. Gessi, F. Giangaspero
Dept. of Experimental Medicine and Pathology, and * Dept.
of Neurosurgery, University of Rome “La Sapienza”, IRCCS
Neuromed, Pozzilli, Italy
Introduction
Oligodendrogliomas and oligoastrocytomas in contrast to the
majority of anaplastic astrocytomas and glioblastomas, frequently respond favorably to chemotherapy. Oligodendroglial
tumors are often associated with longer survival than diffuse
astrocytic gliomas. These differences in response to therapy
and in prognosis have been associated with distinct genetic
aberrations, in particular, the frequent loss of heterozygosis
(LOH) of alleles on chromosome arms 1p and 19q. In addition,
other genetic changes (LOH 17p and 10q) have been reported
as indicators of poor response to therapy and short survival in
gliomas. We examined 20 brain tumors for LOH on cromosome 1p, 19q, 10q, and 17p, The LOH status was correlated
with clinical behaviour and response to treatment.
Methods
Twenty brain tumors, including 5 oligodendrogliomas (WHO
II), 7 anaplastic oligodendrogliomas (WHO III), 2 oligoastrocytomas (WHO II), 1 anaplastic oligoastrocytomas (WHO
III), 2 glioblastomas (WHO IV), 1 anaplastic astrocytomas
(WHO III), 1 pleomorphic xanthoastrocytoma (PXA) (WHO
II) and 1 ganglioglioma (WHO I). Tumor DNA was extracted from paraffin-embedded sections; constitutional DNA was
extracted from blood lymphocytes. Allelic chromosomal loss
was assessed by loss of heterozygosity assays in constitutional DNA/tumor DNA pairs using microsatellite markers
on 1p36.3, 1p32, 1p13 (D1S508; D1S2743; D1S457),
19q13.3 (D19S219, D19S412), 10q22 (D10S562), 10q26
(D10S212), 17p13 (D17S1353) and 17p12 (D17S520).
NEUROPATOLOGIA
Results
Simultaneous presence of LOH on 1p and 19q was identified
in 4 anaplastic oligodendrogliomas 1 oligoastrocytoma and 1
oligodendroglioma; LOH of 10q was identified in 2 anaplastic
oligodendroglioma, 1 anaplastic oligoastrocytoma and in 1
oligodendroglioma; LOH of 17q was found in 2 cases of
oligoastrocytoma and in one case of oligodendroglioma. The
patients with both LOH on 1p and 19q showed a good response
to chemotherapy and a stable disease (mean follow-up period:
12 months) while the patients with LOH on 10q showed poor
response to treatment and disease progression. Both glioblastomas investigated showed LOH on chromosome 10q while
ganglioglioma and PXA did not showed chromosomal imbalances.
Conclusions
Clinical decisions in the management of patients with oligodendroglial tumors should be based on the combined assessment of clinical and neuroimaging features, histological classification as well as molecular genetic features.
Espressione immunoistochimica di P14ARF e
P16INK4a nei gliomi
I. Cozzolino, F. Ventre, E. Mezza, G. Pettinato, M.L. Del
Basso De Caro
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduzione
Il locus CDKN2A sul cromosoma 9p21 contiene i geni
p14ARF e p16INK4a, ed è frequentemente alterato nelle neoplasie umane, compresi i tumori cerebrali.
P14ARF è il prodotto degli esoni 1b, 2 e 3 (CDKN2 β transcript), che agisce legandosi direttamente al gene MDM2 e
stabilizzando sia p53 che MDM2. L’arresto della crescita indotto da p14ARF risulta quindi p53-dipendente.
P16INK4a è un tumor suppressor prodotto dagli esoni 1a, 2 e
3 (CDKN2 α transcript), che induce un arresto del ciclo cellulare nella fase G1, inibendo la fosforilazione della proteina Rb.
Materiali e metodi
Nel nostro studio viene esaminata l’immunoreattività di
p14ARF e p16INK4a in 40 casi di gliomi della serie astrocitaria
(10 astrocitomi pilocitici WHO grado I, 10 astrocitomi diffusi WHO grado II, 10 astrocitomi anaplastici WHO grado III e
10 glioblastomi multiformi WHO grado IV), al fine di verificarne la eventuale modulazione di espressione e di ipotizzarne il possibile coinvolgimento nella progressione di malignità dall’astrocitoma diffuso al glioblastoma multiforme.
Vengono applicate sia tecniche di immunoistochimica che di
immunofluorescenza.
Risultati
Risultati soddisfacenti si sono avuti dalla opportuna integrazione della tecnica immunoistochimica e di quella di immunofluorescenza
Conclusioni
I dati ottenuti sembrano mostrare la tendenza ad una downregulation dell’espressione di p14ARF e p16INK4a nella progressione di malignità dall’Astrocitoma diffuso al Glioblastoma multiforme.
Bibliografia
1
Esteller M, Tortola S, Toyota M, Capella G, Peinado MA, Baylin SB,
Herman JG. Hypermethylation-associated inactivation of p14ARF is
313
2
indipendent of p16INK4a methilation and p53 mutational status.
Cancer Res 2000;60:129-133.
Ishii N, Maier D, Merlo A, Tada M, Sawamura Y, Diserens AC, Van
Meir EG. Frequent co-alterations of TP53, p16/CDKN2A, p14ARF,
PTEN tumor suppressor genes in human glioma cell lines. Brain
Pathol 1998;9:469-479.
Neuropathological and immunohistochemical
study of two cases of Gliomatosis cerebri
S. Galatioto, M. Chimenz, M.P. Sciacca, C. Inferrera
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina
Ttwo cases of Gliomatosis cerebri with different neuropathological images are reported.
Both cases were observed on young patients (22 and 29
years) and the neurological syndromes were essentially characterized of papilledema, impairment of consciousness, and
rapidly fatal worsening.
Neuropathologically, whereas the first case showed the picture
of an extremely diffuse well differentiated astrocytoma (I-II by
Kernohan’s grading) (GC type I), the second one disclosed that
of a malignant also diffusely invading glioma mainly consisting of oligodendroglia tumoral cells (GC type II).
From immunohistochemical point of view the low and/or absence of immunoreactivity of MIB-1, TN, p53, Bcl2 etc. of
both cases seem to be in accordance with the results of Hara
et al. (1991) that through a combined staining technique for
nucleolar organizer region-associated protein (AgNOR) and
GFAP-immunohichemistry, emphasized that GC has “an invasive character in the CNS and often shows a malignant tendency, but its proliferative potential is significantly lower
than that of high-grade gliomas”.
Although it remains still open a question about the “nature”
of GC (dysplasia? neoplasm? inflammatory process?), we
agree with the opinion of Artigas et al. ( 1985 ) that this rare
pathological picture may be the result (according to the two
steps theory of carcinogenesis) of the extensively invasion of
glial cells and sometimes also of its “conversion” toward maligne gliomas.
We think that the modern neuroimaging as well as the study
of stereotactic biopsies of similar cases will probably reveal
the “anaplastic timing” of this likely congenital pathological
process.
Espressione della AQP1 nei tumori dei plessi
coroidei del sistema nervoso centrale
E. Orvieto, P. Longatti, S. Chinellato, L. Basaldella, A.P.
Dei Tos
Unità Operativa Complessa di Anatomia Patologica, Divisione Clinicizzata di Neurochirurgia, ULSS 9 Treviso
Introduzione
Le Acquaporine (AQPs) sono una famiglia di proteine transmembrana deputate al trasporto delle molecole di H2O. Sono stati individuati 10 sottotipi di AQPs, che risultano espresse in particolare in epiteli deputati a funzioni di secrezione e
di riassorbimento. I sottotipi individuati nel SNC sono la
AQP1, AQP4 e AQP9. Tra queste la AQP1 risulta selettivamente espressa nei plessi coroidei, dove potrebbe essere
coinvolta nella secrezione del liquor. Obiettivo dello studio è
di valutare la espressione IHC della AQP1 in una serie di
COMUNICAZIONI LIBERE
314
plessi coroidei normali, confrontandone l’espressione con lesioni neoplastiche.
Metodi
Sono stati valutati 7 papillomi e un carcinoma dei plessi coroidei. Sono inoltre stati valutati 4 plessi coroidei normali. La
determinazione IHC è stata effettuata su sezioni a 5 m di materiale fissato in formalina ed incluso in paraffina, utilizzando l’anticorpo diretto contro l’AQP1 [ab9566 (1/22), abcam,
UK], L’espressione è stata determinata in modo semiquantitativo valutando percentuale di cellule ed intensità di immunocolorazione.
Risultati
L’AQP1 nei plessi normali come pure nei papillomi presenta
una espressione di membrana, limitata alla superficie luminale delle cellule. Assenza di espressione è stata evidenziata
nel carcinoma dei plessi. In tutti i papillomi è stata evidenziata una espressione di acquaporina di intensità moderata o
marcata. La percentuale di positività variava dal 40% al 90%
di cellule. In 5/7 papillomi più dell’80% di cellule sono risultate positive.
Sono stati rivalutati gli esami RMN al fine di determinare il
grado di idrocefalo e la sua eziopatogenesi: si è evidenziato
che nei casi di idrocefalo non ostruttivo vi e’ una correlazione diretta con l’espressione di AQP1.
Conclusioni
Dai nostri dati emerge l’evidenza che l’espressione di AQP1
viene mantenuta nelle lesioni benigne, mentre si perde nei carcinomi. Esiste inoltre una correlazione tra espressione di
AQP1 ed idrocefalo non ostruttivo. Ciò si potrebbe spiegare
con l’aumentata secrezione di liquor in pazienti con papilloma
in funzione del proporzionale aumento della popolazione cellulare neoplastica rispetto ai plessi normali. Una spiegazione
ulteriore si potrebbe trovare nell’alterato meccanismo di secrezione. Studi ulteriori sono necessari per meglio comprendere i
meccanismi coinvolti nella fisiopatologia liquorale.
Atypical teratoid/rhabdoid tumor del sistema
nervoso centrale: definizione di una entità
R. De Cecio, M. Giordano, I. Cozzolino, E. Del Prete, G.
Pettinato, M.L. Del Basso De Caro
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduzione
L’Atypical Teratoid/Rhabdoid (AT/R) Tumor è un tumore
embrionario, con alta incidenza nei primi due anni di vita, altamente aggressivo.
L’articolato range di patterns tissutali istologici ed il confondente profilo immunofenotipico espresso rendono questa lesione un capitolo aperto alla speculazione.
Materiali e metodi
Sono stati studiati 10 casi di bambini con AT/R primitivo del
sistema nervoso centrale con inquadramento clinico completo,
includente sesso ed età, sede di origine, sintomi di esordio,
estensione del tumore, tipo di trattamento e sopravvivenza.
Tutti i tumori sono stati esaminati con colorazione routinaria
e con un panello di anticorpi, usando tecniche immunoperossidasiche. Tre tumori sono stati studiati anche con tecnica
standard per l’indagine ultrastrutturale. In tutti i casi, infine,
si è tentato di evidenziare con metodica immunoistochimica
l’inattivazione del gene denominato INI 1, localizzato sul cr
22q11.2, che risulta essere inattivato in quasi tutti i tumori
rabdoidi renali ed extrarenali.
Risultati
Vengono descritti gli aspetti routinari di microscopia ottica
ed il profilo polifenotipico espresso dai casi in esame. Circa
il 50% di essi è risultato immunonegativo per INI 1
Conclusioni
L’AT/R risulta essere non semplicemente un fenotipo ma una
distinta entità per la sua specifica patogenesi molecolare. Nel
nostro studio abbiamo ipotizzato l’esistenza di una correlazione tra la perdita di espressione determinata immunoistochimicamente e l’inattivazione in omozigosi dell’INI 1.
Bibliografia
1
Biegel JA, Zhou JY, Rorke LB, et al. Germ-line and acquired mutations of INI 1 in atypical teratoid and rhabdoid tumors. Cancer Res
1999;59:74-79.
2
Bruch LA, Hill DA, Cai DX, et al. A role for fluorescene in situ hybridisation detection of chromosome 22q dosage in distinguishing
atypical teratoid/rhabdoid tumors rom medulloblastoma/central primitive neuroectodermal tumors. Hum Pathol 2001;32:156-162.
Un caso di cordoma recidivante:
caratteristiche morfologiche inattese
C. Giacometti, M. Gardiman
Istituto di Anatomia Patologica, Università di Padova
Introduzione
Il cordoma è un raro tumore osseo che origina dai residui della notocorda, rappresenta circa lo 0,2% dei tumori del sistema nervoso centrale e può insorgere in qualsiasi punto della
colonna vertebrale, specie a livello del sacro (50%) e del clivus (30%), molto raramente in regione sellare. L’incidenza è
maggiore nella 4a-5a decade e nei maschi. I cordomi sono caratterizzati da una lenta crescita, con distruzione locale dell’osso ed estensione nei tessuti adiacenti 1.
Metodi
Nel settembre del 2000, un uomo di 41 anni giungeva alla nostra attenzione per una lesione cistica della regione sellare,
che recidivava 5 mesi dopo, nel Febbraio 2001. Nel dicembre
2003 il paziente si sottoponeva ad una terza escissione tumorale per la presenza di una neoformazione solida nella regione del clivus. In tutti e tre i casi il materiale inviato veniva
fissato in formalina tamponata al 10%, incluso in paraffina e
colorato con Ematossilina-Eosina. Il panel immunoistochimico applicato comprendeva S100, EMA, MNF116, CAM
5.2, vimentina e desmina.
Risultati
Il primo reperto consisteva in frammenti di adenoipofisi che
comprendevano una ampia cavità cistica, a parete fibrosa,
priva di epitelio di rivestimento, con focolai di flogosi cronica xantomatosa e cristalli di colesterina. Il quadro morfologico appariva aspecifico ma suggestivo per una formazione cistica, tipo cisti del Rathke. Il secondo reperto era istologicamente sovrapponibile al precedente, comprendeva numerosi
istiociti emosiderofagi attorno a cristalli di colesterina e si è
deciso di collocare il quadro morfologico complessivo nell’ambito di un possibile craniofaringioma o di uno xantogranuloma della regione sellare con marcati aspetti regressivi. Il
terzo reperto, invece, mostrava il classico aspetto di un cordoma, con cellule tumorali con ampio citoplasma eosinofilo,
arrangiate in clusters o cordoni, immerse in abbondante stroma mixoide, positive per S100 e pancitocheratine.
Discussione
Il cordoma è un tumore solido, con aree condroidi, che infiltra i tessuti adiacenti e si presenta alla TAC come lesione sin-
NEUROPATOLOGIA
gola o multipla ipodensa. In letteratura non viene riportata la
sua presentazione come entità cistica e nel nostro caso la diagnosi era resa ancora più difficoltosa dalla presenza nei primi due reperti di una spiccata flogosi cronica xantomatosa
delimitante una parete fibrosa.
Bibliografia
1
Naka T, et al. Cancer 2003;98:1934-41.
Protocollo operativo diagnostico in caso di
malattia infettiva contagiosa: esperienza
genovese in casi di meningite
meningococcica in età pediatrica
G. Gaggero, M. Mora, B. Astengo*, A.C. Gianelli*, S.
Manelli**, O.E. Varnier**, E. Fulcheri
Istituto di Anatomia Patologica, Università di Genova; * Istituto di Medicina Legale, Università di Genova; ** Istituto di
Microbiologia, Università di Genova
Introduzione
Nel marzo 2004 decedono in Genova due bambini (19 e 21
mesi) che frequentavano lo stesso asilo. Identico il breve decorso della malattia: comparsa di febbre elevata, evoluzione
ingravescente con vomito, petecchie ed exitus. L’A.G. nomina un articolato gruppo di periti.
Metodi
Per il sospetto di malattia infettiva l’autopsia segue un iter innovativo che prevede la progressiva trasmissione di notizie
preliminari autorizzate all’Assessorato alla Sanità, e all’Osservatorio Epidemiologico Regionale. Vengono effettuati
tamponi nasale e orofaringeo prima del riscontro autoptico.
Seguono: 1) puntura spinale con prelievo del liquor; 2) ispe-
315
zione del cadavere; 3) dissezione anatomica con campionatura di organi e con prelievi di liquidi biologici da conservare
congelati. Le indagini microbiologiche vengono effettuate
prima e dopo il riscontro autoptico: campioni analizzati mediante esame microscopico (Gram), prove colturali in terreni
liquidi e solidi. Identificazione di Neisseria meningitidis eseguita con prove biochimiche (sistema API); sierotipizzazione
effettuata mediante agglutinazione su vetrino con siero polivalente. L’identificazione molecolare di N. meningitidis è
stata fatta sui ceppi isolati e sui campioni clinici mediante
Real Time PCR LightCycler amplificando il gene Capsular
transport ctr-A.
Risultati
Viene diagnosticata una meningite acuta da N. meningitidis
gruppo B con edema cerebrale, surrenalite emorragica bilaterale e petecchie alla cute ed alle mucose; stasi poliviscerale,
edema polmonare terminale.
Conclusioni
I due casi di meningite meningococcica a decorso fulminante presentano un’incidenza in linea con l’atteso: nei bambini
di età < ai 5 anni si segnalano ogni anno in Italia circa 65
nuovi casi, di cui 1-2 in Liguria. Peculiare invece la coincidenza di 2 casi simultanei. In Italia prevale il sierogruppo di
N. meningitidis di tipo B, per il quale non vi è vaccino per la
prevenzione primaria, mentre quella secondaria si attua con
la chemioprofilassi dei soggetti venuti a stretto contatto. Fondamentali dunque, nell’organizzazione degli interventi di
prevenzione, la tempestività e l’accuratezza dell’iter diagnostico. Il protocollo si è rivelato essenziale in un caso analogo
(bambino di 24 mesi) verificatosi 60 gg dopo con grande impatto emotivo sulla popolazione e per il quale la diagnosi, l’isolamento dell’agente e la tipizzazione (in questo caso N.
meningitidis gruppo C) sono state effettuate in 12-36 h dall’inizio delle procedure.
PATHOLOGICA 2004;96:316-332
Patologia dell’apparato digerente
Infiammazione del cardias in pazienti con
malattia da reflusso gastro-esofageo:
correlazione con l’infezione da H. pylori e i
dati pH-metrici
P. Spaggiari, L. Mastracci, F. Grillo, P. Ceppa, M. Curto,
P. Zentilin*, P. Dulbecco*, V. Savarino*, R. Fiocca
Dipartimento di Discipline Chirurgiche, Morfologiche e Metodologie Integrate; * Dipartimento di Medicina Interna,
Università di Genova
Introduzione
I dati riportati in letteratura sul ruolo della malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) ed infezione da H. pylori (Hp)
nella eziologia dell’infiammazione del cardias sono controversi. In molti studi la diagnosi di MRGE si basava unicamente sulla valutazione dei sintomi o sul rilievo endoscopico
di esofagite, senza l’utilizzo della pH-metria. Il presente studio si propone di definire il ruolo del reflusso e dell’infezione da Hp nella patogenesi dell’infiammazione del cardias in
pazienti con MRGE e in un gruppo di soggetti di controllo,
sottoposti sia ad esofago-gastro-duodenoscopia, che a pHmetria prolungata.
Metodi
Si sono effettuate biopsie a livello del corpo e antro gastrici,
giunzione squamo-colonnare e 2 e 4 cm sopra di essa in 113
pazienti consecutivi con sintomi da MRGE e in 25 controlli.
L’infiammazione del cardias è stata graduata in assente, lieve, marcata. L’infezione da Hp è stata diagnosticata in base a
concordanza del dato istologico e del test rapido per ureasi e
la MRGE sulla base di presenza di esofagite endoscopica e/o
di pH-metria patologica.
Risultati
Epitelio cardiale era presente in 71/113 pazienti con MRGE
(63%) e 20/25 controlli (75%). Si è osservata cardite in 53/71
pazienti (75%) e in 15/20 (75%) controlli. L’infezione da Hp
era presente in 20/71 pazienti (28%) ed 8/20 controlli (40%)
(p = ns). L’infiammazione nei 71 pazienti con epitelio cardiale era assente in 18, lieve in 39, marcata in 14; negli stessi la frequenza di infezione da Hp era rispettivamente del
17%, 23% e 57% (p < 0,025). Nonostante tale correlazione,
la maggioranza dei pazienti con cardite (68%) non presentava infezione da Hp. Sono state riscontrate alterazioni pH-metriche in 15/18 (83%) pazienti con cardias normale, 33/39
Tab. I. Prevalenza dell’infezione da Hp in pazienti con MRGE e
controlli con o senza cardite
Pazienti con MRGE
H. pylori +
Cardite (n. 53)
Cardias normale (n. 18)
17 (32%)
3 (17%)
H. pylori –
36 (68%)
15 (83%)
Controlli
Cardite (n. 15)
Cardias normale (n. 5)
8 (53%)
0 (0%)
7 (47%)
5 (100%)
(85%) pazienti con cardite lieve e 12/14 (86%) pazienti con
cardite marcata. In 7 casi la cardite non si associava ad infezione da Hp né a MRGE. È stata osservata metaplasia intestinale cardiale in 11 casi, 10 dei quali presentavano pH-metria anormale.
Conclusioni
L’infiammazione del cardias è un reperto molto frequente sia
in pazienti con MRGE che nei controlli. La cardite di grado
lieve, non attiva, Hp-negativa è frequente in pazienti con MRGE. La cardite marcata è solitamente associata ad infezione da
Hp e a pH-metria anormale. Riteniamo pertanto che la patogenesi della cardite possa essere multifattoriale: sia l’esposizione
prolungata all’acido che l’infezione da Hp possono giocare un
ruolo nella patogenesi dell’infiammazione cardiale.
Espressione di survivina nelle lesioni
preneoplastiche e nell’adenocarcinoma
esofageo
G. Leo, G.A. Iaderosa, A Parenti
Dipartimento di Scienze Oncologiche, Istituto di Anatomia
Patologica, Università di Padova
Introduzione
La survivina, membro della famiglia delle proteine inibenti
l’apoptosi, è espressa durante lo sviluppo fetale, in molte
neoplasie maligne ma non nei tessuti umani maturi 1. Non ancora definita la sua funzione nelle prime fasi della carcinogenesi in cui potrebbe avere un ruolo fondamentale nella progressione neoplastica. Scopo del nostro studio è indagare l’espressione immunoistochimica di survivina nell’esofago di
Barrett (EB), nella displasia di basso (LGD), di alto grado
(HGD) e nell’adenocarcinoma (AC) esofageo.
Metodi
9 EB cardiali (EBC), 40 EB intestinali (EBI), 16 LGD, 19
HGD e 36 AC esofagei sono stati selezionati da 54 campioni
operatori di esofagectomia. Sezioni rappresentative delle varie lesioni sono state colorate con E.E. per la classificazione
morfologica e sezioni consecutive sono testate per metodica
immunoistochimica con anticorpo policlonale anti-survivina.
Per ogni categoria morfologica è stata valutata l’espressione
di survivina nel compartimento maturativo e proliferativo, la
positività è stata distinta in omogenea ed eterogenea in base
alla variabilità di colorazione cellulare all’interno della stessa ghiandola e tra ghiandola e ghiandola, nel contesto della
stessa lesione 2.
Risultati
Espressione
omogenea
di Survivina
Compartimento
Proliferativo
Compartimento
Maturativo
Coespressione
EBI
LGD
HGD
pvalue
91%
37%
14%
<0.05
0%
9%
0%
63%
20%
66%
//
<0.05
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
Espressione eterogenea: 10% degli EBI, 31% dei casi di LGD
e 21% dei casi di HGD, senza nessuna differenza significativa sia tra le varie lesioni che tra i compartimenti considerati.
Dei 9 casi di EBC, 3 erano negativi e i rimanenti 6 non mostravano diversità di espressione. Il 75% degli AC mostrava
positività omogenea, il 25% positività eterogenea.
Conclusioni
Dai nostri risultati emerge il dato che la survivina gioca un
ruolo importante nelle prime fasi della carcinogenesi esofagea; infatti, l’overespressione di survivina nel compartimento proliferativo nell’EBI può essere indicativo di un mancato
controllo della morte cellulare programmata già in questa fase del processo carcinogenetico, con accumulo di mutazioni
geniche ed espansione di cloni cellulari potenzialmente neoplastici. La differenza significativa di coespressione della
proteina, nelle lesioni displastiche rispetto all’EBI può essere marker di una avvenuta espansione della popolazione neoplastica.
Bibliografia
1
Fengzhi L, et al. Nature 1998;396:580-584.
2
Gianani R, et al. Human Pathology 2001;32:119-125.
Iperplasia delle cellule G antrali in pazienti
con polipi ghiandolari fundici sporadici
P. Declich*, E. Tavani*, M. Bevilacqua***, L. Pastori*, A.
Prada**, E. Giannini*, S. Bellone*, C. Gozzini**, M. Porcellati*, A. Bortoli**, B. Omazzi**.
*
Servizio di Anatomia Patologica; ** Divisione di Gastroenterologia, Ospedale di Rho; *** Servizio di Endocrinologia e
Gastroenterologia, Ospedale L. Sacco, Milano
Introduzione
I Polipi ghiandolari fundici (PGF) sono stati descritti in forma sporadica, associati a poliposi genetiche familiari, ed alla
Sindrome di Zollinger-Ellison. L’osservazione di PGF in 4
casi consecutivi noti per ipercalciuria/ipergastrinemia da stimolo 1, ci ha indotto a valutare la popolazione delle cellule G
antrali sia in questi 4 pz, che in una serie più ampia di PGF
sporadici.
Materiali e metodi
Abbiamo studiato l’antro dei 4 pazienti con
ipercalciuria/ipergastrinemia e di 78 pazienti con PGF sporadici. Le 82 biopsie antrali e 4 controlli normali sono state
trattate con tecniche istologiche ed immunoistochimiche
convenzionali, utilizzando un antisiero policlonale anti gastrina (Dako), diluito 1:300 per 30’ a temperatura ambiente.
I risultati sono stati così valutati: normale: 1-2 cellule G per
ghiandola, con distribuzione irregolare; iperplasia semplice: più di 4-5 cellule per ghiandola; iperplasia lineare: distribuzione continua di cellule G.
Risultati
Le 4 biopsie antrali di pazienti con ipercalciuria/ipergastrinemia e le 78 biopsie antrali di pz con FGP sporadici apparivano lievemente iperemiche, senza significativa infiammazione nè colonizzazione di H pylori. Immunoistochimicamente, le 4 pz con ipercalciuria mostravano tutte iperplasia
semplice (2) o lineare (2) delle cellule G. L’antro dei 78 pz
con PGF sporadici mostrava 11 casi con popolazione di cellule G normale (14%), 32 casi mostravano una iperplasia
semplice (41%) e 35 una iperplasia lineare (44,8%). Di questi 67 pazienti con iperplasia, solo 8 avevano ricevuto una
terapia con PPI.
317
Conclusioni
Nei 4 pz con ipercalciuria/ipergastrinemia da stimolo abbiamo
dimostrato morfologicamente una iperplasia (semplice o lineare) delle cellule G. Tra i 78 pz con PGF sporadici, 59 (75,6%)
mostravano una iperplasia G apparentemente primitiva. Il presente studio fa pensare alla possibilità che tale iperplasia, possa avere un ruolo nella genesi dei PGF sporadici.
Bibliografia
1
Bevilacqua, et al. Clin Case Min on Metab 2004;1:69-72.
Indefinite for non-invasive neoplasia (InNiN)
in gastric mucosa: immunohistochemical
profile
M. Cassaro, F. Farinati, M. Franco, C. Tieppo, G. Pennelli, M. Rugge
Departments of Surgical & Oncological Sciences, and Surgical & Gastroenterological Sciences, University of Padova
Background
The pathological characterization of gastric precancer lesions
is a prerequisite for any secondary prevention of invasive cancer. Within the histological spectrum of non-invasive neoplasia (NiN), some phenotypic alterations do not allow a clear-cut
distinction of (atypical) hyperplasia versus NiN. To such lesions, the current literature applies the definition of InNiN.
Aims
To evaluate the immunohistochemistry (IHC) profile of InNIN, comparing its IHC pattern with Low Grade NIN
(LGNiN) and atrophic-metaplastic gastritis (AMG).
Material and methods
In total, 116 patients were considered, subgrouped as following: a) 28 consecutive cases of InNiN (all of the hyperproliferative intestinal metaplasia [IM] type); b) 30 consecutive cases of LGNiN; c) 54 consecutive cases of AMG. Histology: InNiN was histologically assessed according to the
Padova Classification. Inflammatory cells within the lamina
propria (i.e. lymphomonocitic/lymphoid follicles), activity,
IM and foveolar hyperplasia were semiquantitatively scored
in a 3 tiered-scale (0/+++). IHC: In all the biopsy samples,
the nuclear expression of Cdx2, Mib1 and hTERT was evaluated as present/absent. The IHC reaction was separately
scored according to its location within the gastric glands: zone 1 = glands necks; zone 2 = glands pits; zone 3 = glands
coils. In each zone, the presence of IHC+ve nuclei was scored in at least 300 cells (0=absence; +/++/+++ = 0-20%, 2160%, 61-100% +ve nuclei, respectively).
Results
Inflammatory cells within the lamina propria were significantly higher in InNiN than in LGNiN and in AMG (p < .02).
As for the score values of foveolar hyperplasia, activity and
follicles, no differences were detected among the 3 groups.
The score values of both IM and atrophy were significantly
higher in InNiN and in LGNiN than in AMG (p < .0001). IM
prevalence was no different in InNiN versus LGNiN. In zone
1 and 2, Mib1, Cdx2 and hTERT expression significantly increased from AMG to InNiN and LGNiN (p < .0001). In
LGNiN glands (zone 3), the expression of both Mib1/Cdx2
was significantly higher than in InNiN and AMG (p < .0001).
Conclusion
Present results significantly associated atrophy/metaplasia
scores with both LGNiN and InNiN. The IHC profile (Cdx2,
Mib1, hTERT) of InNiN significantly differs from that of
COMUNICAZIONI LIBERE
318
both AMG and LGNiN. Such a data suggest to consider InNiN as an autonomous category biologically located between
AMG and LGNiN.
Immunohistochemical evaluation of APC,
β-catenin, E-cadherin and mismatch repair
proteins in early onset gastric cancer
Conclusion
The high frequency of altered expression of APC/β-catenin
and E-cadherin, suggests the involvement of the Wnt
pathway in the majority of early onset gastric cancer. The microsatellite instability pathway plays a role in a minority of
cases.
C. Di Gregorio, L. Losi1, A. Scarselli, S. Beghelli2, C. Vindigni3, A. Tomezzoli4, L. Saragoni5, A. Sidoni6, A. Scarpa5
Determinazione immunoistochimica
mediante “Hepatocyte” nei carcinomi gastrici
e del grosso intestino
Gruppo Italiano di Ricerca sul Cancro Gastrico (Anatomia
Patologica degli Ospedali di Carpi1, Verona2, Forlì3 e delle
Università di Modena1, Verona2, Siena3, Perugia)
D. Villari, M. Righi, E. Vitarelli, G. Barresi
Introduction
Early onset gastric cancers (i.e. those diagnosed in patients
younger than 40 years) are rare, and little is known about
their molecular pathogenesis. We studied the involvement of
both the APC/β-catenin (Wnt) and microsatellite instability
carcinogenetic pathways by immunohistochemistry in gastric
cancer of young patients.
Methods
Forty-eight early onset gastric cancer were studied for the immunohistochemical expression of APC, β-catenin, E-cadherin
and of mismatch repair proteins (MLH1 and MSH2). Monoclonal antibodies were: APC (Abcam) at 1:500 , β-catenin
(Transduction Labs,) 1:100, E-cadherin (Dako) 1:200, MLHl
and MSH2 (Pharmingen) at 1:100 diluition. Altered expression
of APC was considered when absence of cytoplasmic staining
was seen in all the neoplastic cells. Altered expression of β-catenin was considered when the tumor showed absence of membrane immunoreactivity and/or nuclear/cytoplasmic immunoreactivity. Altered expression of E-cadherin was considered
when loss of membranous staining was noted. Lack of expression of MLH1 and MSH2 proteins was defined as complete
absence of nuclear staining in tumor cells.
Results
APC immunoreactivity was absent in 50% of cases; in the same cases ß-catenin expression was altered. E-cadherin immunoreactivity was absent in 14 cases (29%) (in 7 cases associated with alteration of APC/β-catenin and in 3 cases with
β-catenin only).The altered expression of β-catenin alone
was observed in 6 cases (12%). The absence of MLH1 protein was seen in 5 cases (10%), all showing simultaneous altered expression of APC/β-catenin.
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina
Introduzione
L’anticorpo monoclonale “Hepatocyte”, ritenuto specifico
per epitopi delle cellule epatocitarie normali e neoplastiche,
è stato recentemente proposto come marcatore immunoistochimico per l’identificazione del carcinoma epatocellulare
(HCC). Il nostro intento è stato quello di valutare la specificità di “Hepatocyte” studiando mediante determinazione immunoistochimica la presenza dell’epitopo che reagisce con
“Hepatocyte” in carcinomi gastrici ed in adenocarcinomi colorettali.
Materiali e metodi
39 carcinomi gastrici e 18 adenocarcinomi colorettali. Dopo
smascheramento antigenico mediante pretrattamento in forno
a microonde si è effettuata una incubazione con l’anticorpo
monoclonale primario “Hepatocyte” (clone OCH 1 E5,
Dako, 1:80). Sono stati eseguiti controlli negativi e positivi.
La percentuale di cellule positive è stata valutata secondo il
seguente score: 1 (0-5%), 2 (5-50%), 3 (>50%).
Risultati
I risultati sono riassunti in Tabella I.
Conclusioni
L’anticorpo “Hepatocyte” mostra una elevata sensibilità per
le neoplasie a differenziazione epatocitaria , tuttavia la positività in carcinomi gastrici e colorettali ne limita la sua utilizzazione come marcatore specifico del HCC.
Tab. I. Reattività di “Hepatocyte” in carcinomi gastrici ed in carcinomi colorettali
Staining score
1
Carcinomi gastrici
Tipo intestinale
Tipo diffuso
Tipo misto
Epatoide
Carcinomi colorettali
Ben differenziato
Mod. differenziato
Scars. differenziato
Mucinoso
66,6 % (26/39)
57,6 % (15/26)
15,3 % (4/26)
7,6 % (2/26)
19,2 % (5/26)
50 % (9/18)
22,2% (2/9)
66,6 % (6/9)
(0/9)
1,1 % (1/9)
2
3
13
7
2
1
3
4
2
1
0
1
8
6
0
1
1
5
0
5
0
0
5
2
2
0
1
0
0
0
0
0
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
319
Tissue microarray immunohistochemical
study of cell cycle and apoptosis regulator
proteins in colorectal cancer
Association of concurrent K-ras mutation
and 18q deletion with lymph node
metastases in colorectal cancer
L. Tornillo1, N. Willi1, F. Kunz1, A. Lugli1, K. Glatz-Krieger1, D. Stoios1, H.P. Spichtin2, G. Maurer3, G. Sauter1, L.
Terracciano1,4
A. Leone, A. Garofalo, M. Valle, R. Gasbarra, M.C. Macciomei, P. Graziano, D. Remotti, R. Pisa
1
Institute of Pathology, University of Basel, Switzerland; 2 Institute of Clinical Pathology, Basle, Switzerland; 3 Institute of
Pathology, Triemli Hospital, Zürich, Switzerland; 4 Department of Biomorphological Sciences, University “Federico
II”, Naples, Italy
Introduction
Disregulation of many genes has been shown in colorectal
cancer (CRC). Two independent pathways of genomic instability have been identified in the genesis of CRC. The
first one is characterized by inactivation of tumor – suppressor genes (APC, p53, etc.), the second one by inactivation of the DNA mismatch repair (MMR) genes (MLH1,
MSH2, MSH6, PMS2, MLH3, PMS1)
Compreghensive analysis of expression of molecules involved in the genesis of CRC are difficult to carry out. We
used tissue microarray (TMA) technology and immunohistochemistry to define the significance of expression of cell
cycle- and apoptosis-related molecules in patients with
CRC without disregulation of MMR.
Methods
1323 cases of resected CRC were retrieved. Samples from
all 1323 CRCs were included into a TMA. Immunohistochemistry for bcl-2, p21, p27, MLH1, MSH2, MSH6 was
performed.
Results
Interpretable cases were between 1111 and 1285. The overall positivity was as follows: p21=24.4%; p27=77.3%; bcl2=16.7%; MSH1=90.8%; MLH2=87.1%; MSH6=94.1%.
The151 cases negative for MMR proteins were excluded
from the subsequent analysis. A significant relationship was
found between loss of expression of p21 and location
(p=0.02) as well pN (p=0.003) ; loss of expression of p27
and location (p=0.015), grade (p<0.01), pT (p<0.01) and pN
(p<0.01); expression of bcl2 and pT (p<0.01) and pN
(p<0.01). Expression of p27 identified subgroups with
worse prognosis in pT3N0 (p=0.0011) and pT3N+ patients
(p=0.044). The analysis of multimolecular phenotypes
(p27/p21 and p27/p21/bcl2) showed significant relationship
with survival in pT2-pT3 groups (p<0.01). In multivariate
analysis the only indipendent prognostic factors were pT
and pN.
Conclusions
CRCs show an heterogeneous, balanced expression profile
of p21, p27, bcl2; p27 expression is associated with better
prognosis and may be seen as a marker to identify subgroups of patients with better survival at least among pT2pT3 node-negative cases.
Laboratory of Pathology and Surgical Oncology Unit, A.O.
San Camillo Forlanini, Rome, Italy
Introduction
To associate the most frequent molecular events involved in
colorectal carcinogenesis with conventional histopathological parameters.
Methods
106 sporadic colorectal carcinomas were evaluated for microsatellite instability (MSI), 18q loss of heterozygosity and
k-ras codon 12 mutation. The results were compared to conventional histopathological parameters.
Results
15 of 106 cases (14%) resulted highly unstable. LOH was
detected at the D5S346, D17S250 and D18S67/474 loci
with the respective frequencies of 41%, 37% and 45%. Kras codon 12 mutation was identified in 28% of evaluable
cases. MSI-High was associated to the absence of lymph
node metastases (MSI-H: 10 N0 vs. 5 N+; MSS: 47 N0 vs.
41 N+). A general association of LOH at any of the loci
with the lymph node status was evident. D5S346 (AI: 9 N0
vs. 29 N+; Retained 20 N0 vs. 15 N+), D17S250 (AI: 14 N0
vs. 23 N+; Retained: 26 N0 vs. 30 N+), D18S67/474 ( AI:
11 N0 vs. 19 N+; Retained: 24 N0 vs. 20 N+). K-ras mutation was weakly associated to the presence of lymph node
metastases (k-ras mutated: 9 N0 vs. 13 N+; k-ras wild type:
37 N0 vs. 35 N+). We then focused on the combination of
different molecular alterations respect to lymph node status
(N0 versus N+). Among the different subgroups examined
we identified the k-ras mutant/18q deleted subgroup of patients (10 of 101) as the most likely to present lymph node
metastases (1 N0 vs. 9 N+).
Conclusion
Consistently with the literature the MSI-High cases were
generally associated to a better prognosis while the single
deletion events or the presence of k-ras codon 12 mutations
pointed weakly toward an unfavourable trend. Interestingly,
we were able to identify a subgroup of patients (10%) presenting a concurrent k-ras codon 12 mutation and 18q deletion that were characterized by a particularly unfavourable
prognosis. Supported by a grant from CNR/MUIR.
Prevalence of isolated tumor cells (ITC) in
regional lymph nodes (LMP) of pN0 colorectal
cancer (CRC)
C. Mescoli, G. Ingravallo, S. Pucciarelli, D. Nitti, P. Bettonte, E. Speranza, V. Russo*, G. Pennelli, M. Rugge
Department of Surgical and Oncological Sciences, University of Padova; * Pathology Unit,- St. Luigi Hospital, Catania
Background
Published studies showed that pathologic assessment of
lymph nodes in CRC surgical specimens is often suboptimal
and that examining a greater numbers of nodes increases the
likelihood of a proper staging of CRC. The number of lymph
nodes may reflect surgical technique and carefulness of
COMUNICAZIONI LIBERE
320
pathologic (gross) dissection. Some studies demonstrate that
inadequate LMP dissection and assessment may be associated with unfavourable outcome of CRC.
Methods
In a prospective study, 172 consecutive patients (pTNMStage 0 = 25, Stage IA = 120; Stage IIA = 24; Stage IIA = 3)
were considered. In previously assessed N0-LMP, ITCs were
assessed by immunohistochemistry (Cytokeratin pool, clone
MNF116; Dako; dilution 1:100) in LMPs serial sections.
LMPs location was distinguished in LMPs located within 3
cm and over 3cm from the CRC.
Results
Overall, 2567 LMPs were examined (mean x case 15; range
1-107 (diameter cm 0.1-1.8). The results of the study are
summarized in the table.
Conclusions
In pN0, the prevalence of ITC accounted for the 31% of the
considered LMPs. Such a prevalence could give raison of the
divergent clinical outcome of N0-CRC, as assessed by routine histology. In CRC the prognostic relevance of ITCs as
well as its importance in the choice of the post surgical therapeutic options remains to be evaluated.
Stage (# cases)
ITC in
ITC in
Total
LMP<cm3 (%) LMP>cm3 (%) number (%)
Stage
Stage
Stage
Stage
Total
0 (25)
I (120 )
IIA (24 )
IIB (3 )
1 (4)
36 (30)
11 (46)
2 (67)
50 (29)
0
11 (9)
1 (4)
1 (33)
13 (8)
1 (4)
40 (33)
11 (46)
2 (67)
54 (31)
color development and hematoxylin was used for counterstaining. Negative control slides processed without primary
antibody were included for each staining. For the evaluation
of VEGF expression, staining for VEGF was assessed using
a semiquantitative scoring of 0 to 3+. We graded p53 and bcl2 expression on scale of 0 to 3+ according percentage of positive cells. Microvessel density (MVD) was assessed basing
on Weidner criteria.
Results
The results showed that MVD was lower in VEGF negative
than in VEGF positive tumours (P<0.0001). VEGF score 1
tumours were characterized by a lower MVD than VEGF
score 2 tumours (P: 0.011), but surprisingly no difference in
MVD was found between VEGF score 2 and 3 tumours (p:
0.715). Both MVD and VEGF expression were significantly
correlated with lymph node status (P: 0.002 and 0.012) and
the presence of liver metastases was positively correlated
with both VEGF and MVD (p:0.007 and 0.002).
MVD and VEGF in p53 negative tumours were significantly
lower than in p53 positive tumours (respectively P:0.003 and
P<0.0001). Moreover, positive correlations were recorded
between VEGF expression and MVD, and bcl-2 expression
(respectively P< 0.0001 and P:0.009).
Conclusions
Our data confirm the central role of VEGF in cancer angiogenesis and suggest direct correlations among p53, bcl-2 and
VEGF expression in colon cancer.
Bibliografia
1
Dameron KM, et al. Science 1994;265:1582-1584.
2
Biroccio A, et al. Faseb J 2000;14: 652-660.
Caratterizzazione clinica, patologica e
biomolecolare dell’ adenocarcinoma mucoide
del colon-retto
Angiogenesis and oncogenes in colon cancer
G. Perrone*, A. Verzì*, B. Vincenzi**, D. Santini**, G.
Tonini**, A. Vetrani***, C. Rabitti*
*
Surgical Pathology, Campus Bio-Medico University of
Rome; ** Medical Oncology Unit, Campus Bio-Medico University of Rome; *** Department of Anatomic Pathology and
Cytopathology, University of Naples “Federico II”
Introduction
This study was designed to elucidate the possible relationship
between tumour related genes and angiogenesis in human
colon cancer. Recently, experimental results have shown that
some tumour suppressor genes are involved in the regulation
of angiogenesis 1, and interesting data have been reported on
the genetic inactivation of p53 in cancer cells: loss of wild type
p53 function contributes to activation of the angiogenic switch
in tumours. Moreover, recent in vitro studies have demonstrated that bcl-2 overexpression induces an increased secretion of
VEGF protein, the well-characterised angiogenic factor 2.
Methods
Tissue samples of 57 archival paraffin-embedded surgical
specimens of colon cancer were analyzed by immunohistochemistry, using streptoavidin-biotin method, for VEGF
(clone A-20: Santa Cruz Biotechnology), Von Willebrand
Factor (polyclonal rabbit anti-human: Dakocytomation), p53
(clone DO7: Dakocytomation), and bcl-2 (Clone 124: Dakocytomation). 3-3’-diaminobenzidine (DAB) was used for
R. Gafà, G. Lanza, I. Maestri, L. Guerzoni, A. Santini, L.
Cavazzini
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara; Unità Operativa di Oncologia Medica, Arcispedale S. Anna, Ferrara
Introduzione
Le caratteristiche del carcinoma colorettale (CCR) di istotipo
mucoide necessitano di essere definite sulla base di analisi
multiparametriche condotte su un elevato numero di casi.
Metodi
Lo studio è stato condotto su una casistica di 1.088 CCR. I
tumori sono stati classificati in adenocarcinomi (AD) (790,
72,6%), adenocarcinomi con componente mucoide <50%
(AMUC<50%) (153, 14,1%) ed adenocarcinomi mucoidi
(AMUC) (145, 13,3%). Sono stati valutati numerosi parametri clinici, patologici (sede, stadio, grado di differenziazione,
tipo di crescita, infiltrazione linfocitaria peritumorale al margine di invasione e tipo-Crohn, invasione venosa), biologici
(ploidia, Ki-67 index, espressione di p53), e genetico-molecolari (MSI, espressione di MLH1/MSH2, LOH dei cromosomi 18q, 17p ed 8p).
Risultati
Gli AMUC e gli AMUC<50% sono risultati più frequenti nel
colon prossimale (P<0,001), mentre non sono emerse differenze significative nella distribuzione per età, sesso e stadio.
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
Gli AMUC sono risultati caratterizzati dalla costante assenza
di infiltrazione linfocitaria al margine di invasione. Per contro non sono state evidenziate differenze rilevanti per gli altri parametri istopatologici. Importanti differenze tra gli istotipi sono state dimostrate in relazione a parametri biologici e
genetici. Gli AMUC, infatti, sono risultati caratterizzati nei
confronti degli AD da elevata attività proliferativa (Ki67 index >40%: 84,4% vs. 48,7%), meno frequente aneuploidia
(44,6% vs. 84,4%) ed iperespressione di p53 (22,8% vs.
62,5%), gli AMUC<50% presentando valori intermedi
(P<0,001). Gli AMUC (30,1%) e gli AMUC<50% (25,3%)
hanno mostrato deficit del MMR (MSI-H e/o perdita di
espressione di MLH1 o MSH2) molto più spesso degli AD
(6,2%) (P<0,001). I tumori con componente mucoide hanno
infine evidenziato una minore frequenza di LOH di 18q
(P=0,022), 17p (P=0,011) e di LOH multiple (P=0,022). Il
decorso clinico dei tre istotipi è risultato simile, anche stratificando i pazienti in base allo stadio, alla sede, allo stato
MMR ed al grado di differenziazione. Gli AMUC senza deficit del MMR, comunque, hanno presentato una prognosi particolarmente sfavorevole.
Conclusioni
I CCR con componente mucoide, in particolare quelli con
componente mucoide >50%, hanno caratteristiche patologiche, biologiche e genetiche differenti dai comuni adenocarcinomi. La tipizzazione in AD, AMUC<50% e AMUC si è dimostrata, tuttavia, di scarsa rilevanza prognostica.
MMR proteins immunoexpression and
microsatellite analysis by lasermicrodissection in HNPCC-associated
adenomas
G. Giuffrè, A. Müller*, J. Rüschoff*, G. Tuccari
Department of Human Pathology, University of Messina;
*
Department of Pathology, Klinikum Kassel, Germany
Introduction
Mutations in DNA mismatch repair (MMR) genes impair
the function of MMR proteins, which are able to eliminate
mismatches and insertion/deletion loops, caused by slippage of DNA polymerase on the DNA-template strand during DNA synthesis. MMR deficiency leads to microsatellite
instability (MSI), a finding present in 90% of ereditary nonpolyposis colorectal cancer (HNPCC). In adenomas, a higher but variable MSI frequency has been documented in HNPCC associated lesions, whereas a very low frequency of
MSI has been found in sporadic ones. The aim of this study
was to determine, in comparison to MMR proteins immunoexpression, the microsatellite status in series of 18 adenomas, obtained HNPCC patients, using different microdissection procedures.
Methods
To investigate for loss of MSH2, MLH1 and MSH6 protein
expression in neoplastic tissues, the samples were subjected
to immunohistochemical analysis utilizing the following primary antibodies: MSH2 (clone FE11; Oncogene Sciences),
MLH1 (clone G168-728; PharMingen) and MSH6 (clone 44,
Becton Dickinson Transduction Laboratories). For each sample, microdissection was performed by traditionally scraping
off representative cross sections of adenomas as well as by
laser-microdissection using a Leica AS LMD system (Leica
Microsystems). Microsatellite analysis was performed utilizing six microsatellite loci (BAT25, BAT26, BAT40, D2S123,
321
D5S346, D17S250) following the recommendations by the
NCI and the ICG-HNPCC.
Results
Loss of MMR protein expression was detected in 15/18 (83.3
%) HNPCC adenomas. In particular, 8 (44.4 %) showed complete loss of MLH1 expression and normal immunoreactivity for MSH2 and MSH6, while 7 (38.9%) exhibited complete
loss of MSH2 expression; in addition, 2 adenomas of this latter group showed also a complete loss of MSH6 expression.
By traditionally scraping off representative cross sections of
adenomas, MSI was found in 61.1 % of cases (MSI-H, 50 %;
MSI-L, 11.1%), whereas 38.9 % of tumors were MSS. The
technique of laser-microdissection increased the percentage
of MSI in adenomas up to 88.9 % (MSI-H, 83.3 %; MSI-L,
5.6 %); only two tumors (11.1 %) remained MSS.
Conclusions
We suggest that laser-microdissection represents the best
way to collect cells of interest for microsatellite analysis for
the screening of HNPCC patients, taking into consideration
its higher sensitivity to detect MSI.
Correlazioni fra espressione
immunoistochimica di MLH1, MSH2, MSH6,
instabilità dei microsatelliti e mutazioni nel
carcinoma ereditario non poliposico del
colon (HNPCC)
E. David1, L. Delsedime1, M. Micheletti1,2, I. Borelli2, B.
Pasini2, A. Allavena2, M. Barberis2, C. Michielotto2, M.
Schena3, A. Arrigoni4, S. Gallone2, E. Grosso2, T. Venesio5, M. Risio5, D. Giachino6, M. De Marchi6, N. Migone2
1
SCDU Anatomia Patologica I; 2 SCDU Genetica Medica; 3
SC Oncologia Medica, ASO S. Giovanni Battista, Torino,
Università di Torino; 4 SC Gastroenterologia 2, Ospedale S.
Giovanni Antica Sede; 5 Anatomia Patologica, IRCC-Candiolo, Torino; 6 Dip. Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino
L’HNPCC è una sindrome caratterizzata da un’elevata suscettibilità familiare a tumori del colon, endometrio e altri organi per un difetto nei geni del sistema MMR (Mismatch Repair) fra cui MSH2, MLH1 e MSH6.
Metodi
Sono stati studiati con analisi immunoistochimica (iic) per
MSH2, MLH1 e MSH6, per instabilità dei microsatelliti:
BAT25, BAT26, BAT40 (su tessuto) e con screening mutazionale (DHPLC per mutazioni puntiformi e MLPA per grandi delezioni, su sangue) 142 casi selezionati nell’ambito dello screening HNPCC del progetto Regione Piemonte per la
prevenzione dei tumori ereditari. I criteri di accesso utilizzati sono: 1) rispondenza ai criteri di Amsterdam (AC) o 2) AC
meno 1 requisito, ma con carcinoma <50 anni (AC-like), o 3)
carcinomi multipli o comparsi in età giovanile (<50 aa), o
con generica “familiarità”.
Risultati
I 142 probandi (casi indice in ciascuna famiglia) erano così
distribuiti nei due gruppi: -Alto Rischio (AC e AC-like = 57
casi) e -Medio-basso Rischio (85 casi di cui:33 familiari, 44
giovanili e 8 carcinomi multipli). L’analisi iic è stata effettuata in 120 casi, l’analisi dei microsatelliti in 126 casi e lo
screening mutazionale attualmente in 58 casi. 24/120 (20%)
casi avevano perdita di espressione tessutale in uno o più geni (iic negativa), di cui 17/39 (43%) nel gruppo ad Alto Rischio e 7/81 (9%) nel gruppo a Medio-basso Rischio. Tutti i
COMUNICAZIONI LIBERE
322
casi risultati negativi all’iic (24/24) si associavano ad un alto
grado di instabilità dei Microsatelliti (MSI-H). Un alto grado
di instabilità dei Microsatelliti (MSI-H) è stato riscontrato in
28/42 casi (67%) nel gruppo ad Alto Rischio e in 13/82
(16%) dei casi a Medio Rischio. In 16/21 casi (76%) con iic
negativa è stata riscontrata una mutazione nel gene atteso. In
3 casi l’analisi mutazionale è ancora in corso, e in 5 casi con
iic negativa non è stata riscontrata mutazione.
Conclusioni
L’alta concordanza tra perdita di espressione all’iic e MSI-H
(100%) ci conforta sulla loro utilità nella fase di pre-screening e all’indirizzare all’analisi mutazionale anche pazienti a
rischio medio-basso. L’individuazione infatti di casi con mutazioni germinali anche nel gruppo a basso rischio, seppure
con minor frequenza, deve essere tenuta in conto nella fase di
programmazione dello screening per HNPCC.
Caratterizzazione biomolecolare dei tumori
gastrointestinali stromali (GIST)
A.O. Cavazzana, C. Mazzanti, M. Menicagli, A. Michelucci, G. Bertacca, P. Aretini, D. Campani, L. Pollina, C.
Di Cristofano, N. Decarli, O. Goletti*, U. Boggi**, G. Bevilacqua
Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana; * Ospedale di Pontedera, ASL 5; ** Divisione
di Chirurgia Generale e dei Trapianti, Università di Pisa ed
Azienda Ospedaliera Pisana
Introduzione
I Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST) sono caratterizzati da mutazioni attivanti a carico dei geni c-Kit e PDGFRA e
dall’espressione del recettore per lo Stem Cell Factor (STCr),
prodotto del gene c-kit. Farmaci inibenti l’attività tirosin-cinasica di c-Kit si dimostrano efficaci nel controllo della malattia. Il risultato terapeutico, però, appare significativamente influenzato dal profilo mutazionale dei suddetti geni: i tumori con mutazioni attivanti nell’esone 11 di c-kit rispondono meglio, mentre i tumori con mutazioni localizzate in altri
esoni (9,13,17) o nel gene PDGFRA ed i tumori non mutati
hanno una risposta scarsa o nulla. Inoltre, discordanti sono i
dati della letteratura circa la frequenza delle mutazioni osservate nei GIST (dal 40% al 90%) e circa l’espressione di STCr (immunoistochimica: IIC) e presenza di mutazioni.
Finalità
Contribuire alla definizione dei rapporti fra stato di STCr ed
assetto mutazionale di c-Kit e PDGFRA nei GIST.
Materiali e metodi
36 casi di GIST. STCr è stato studiato mediante analisi IIC
automatizzata con l’Ab CD117. L’analisi mutazionale è stata
eseguita mediante sequenziamento diretto degli esoni 9,11,13
e 17 di c-Kit e degli esoni 12 e 18 di PDGFRA.
Risultati
Circa l’89% dei casi (32/36) ha mutazioni (mut) a carico dell’uno o dell’altro gene.
A) STCr: 33 casi positivi (IIC+: 92%); 3 negativi (IIC-: 8%).
B) c-Kit, casi IIC-: 2 mut in esone (es) 11.
C) c-Kit, casi IIC+: 23 mut, 21 es11, 1 es9, 1 es17; delle mut
es11: in 2, frameshift con codone di stop; nelle altre, mut attivanti.
D) PDGFRA, casi IIC-: 1 mut attivante es18.
E) PDGFRA, casi IIC+: 5 mut attivante es18, 1 polimorfismo.
Inoltre, allo stato mutazionale non corrisponde nessun carattere morfologico specifico. D’altra parte, tutti i casi PDGFRA mut sono gastrici.
Conclusioni
• le mutazioni di c-kit o di PDGFRA sono molto frequenti
nei GIST (89%);
• le mutazioni di c-Kit sono prevalentemente a carico dell’esone 11;
• per la prima volta si riscontra la presenza di mutazioni
troncanti dell’esone 11 di c-kit, con possibili conseguenze
sull’esito della terapia;
• poco più del 50% dei casi c-kit- sono PDGFRA+, tutti in
sede gastrica;
• lo studio IIC non identifica l’8% dei casi c-kit o PDGFRA
mutati;
• la caratterizzazione molecolare appare di estrema utilità
nella programmazione terapeutica dei GIST.
Immunohistochemical high-throughput
analysis and molecular study of
gastrointestinal stromal tumors
L. Insabato*, D. Di Vizio*, F. Demichelis**, S. Simonetti*,
E. Carafa***, G. Ciancia*, L. Sparano*, A. Di Blasi****, G.
Duchini***, C. Tapya***, L. Tornillo***, L.M. Terracciano*,
G. Pettinato*
*
Dpt. of Anatomic Pathology, Federico II University of
Naples, Italy; ** Bioinformatics Group, Sra, Itc-Irst, Trento, Italy; *** Dpt of Pathology, University of Basel, Switzerland; **** Pathology Section, Cardarelli Hospital, Naples,
Italy
Introduction
Gastrointestinal stromal tumors (GISTs) represent the most
common mesenchymal neoplasm of the GI tract. In the last
few decades, this entity has became of incredible interest to
numerous scientists given the new insights derived from the
discovery of its derivation from the interstitial cells of Cajal,
of the invariable c-Kit immunoreaction 1 and of its sensitivity to a RTKs inhibitor drug 2, which rendered the tumor more
easily diagnosticable, and curable. However the biologic behavior of GISTs is still far to be predicted. Recent data suggest that abnormalities of the genes controlling the cell cycle
progression may be involved in the pathogenesis and progression of GISTs. Aim of this study was to investigate the
prognostic role of p27, Ki67, Skp2 and Jab1 in a large series
of this rare group of neoplasms.
Methods
The diagnosis of GIST was confirmed in cases of mesenchymal spindle cell or epithelioid cell tumor of the GI tract
showing unequivocal positivity for c-kit. Mutational analysis
of C-Kit gene has been performed on 91 cases.
We analyzed clinicopathologic aspects and immunohistochemical expression of cell cycle proteins (p27, spk2 and
jab1) and proliferative index (Ki67) on a tissue microarray
(TMA) of 100 specimens of GISTs, moreover a 100 tumors
(94 primary tumors and 6 metastasis) of 94 patients met these
criteria and were included in this study.
Results
Of the morphological parameters, cellularity and mitosis correlated to overall survival (OS) and release free survival
(RFS). Skp2, and Ki67 expression was directly correlated to
grading progression, according to Lasota-Miettinen criteria,
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
whilst p27 expression inversely correlated to them. Not only
Ki67 also skp2 over-expression was associated to shorter OS
and RFS, ki67 being statistically significant.
Molecular analysis showed various types of mutations in the
exons 9, 11, and 13.
Conclusion
In our 94 cases of GIST, morphological features, such as cellularity and mitosis, associated to Ki67, Skp2 and p27 immunohistochemical status have been shown to be predictive of
the biologic behavior in our highthroughput series of GIST.
Further studies are required to better address the significance
of p27 and Skp2 expression in determining a more aggressive
subset of GIST, as well as in predicting therapeutic response.
References
1
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consensus approach. Hum Pathol 2002;33:459-465.
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growth factor receptor. J Pharmcol Exp Ther 2000;295:139-145.
323
sultato associato a casi rivelatisi finora indolenti in fase di
follow-up.
Conclusioni
Appare possibile una relazione fra livello di espressione di
HER2/neu e malignità nei GIST. L’eventuale conferma di
questi risultati può avere interessanti implicazioni prognostiche e terapeutiche.
Bibliografia
1
El-Rifai W, et al. Cancer Res 2000;60:3899-3903.
2
Cai YC, et al. Virchows Arch 1999:112-115.
Loss of p16 protein defines high-risk patients
with gastrointestinal stromal tumors (GISTs) A tissue microarray (TMA) study
L. Tornillo1, L. Terracciano1,8, C. Boltze2, J. Lasota3, B.
Peters4, C. Corless5, P. Ruemmele6, M. Pross7, L. Insabato8, D. Di Vizio8, S. Dirnhofer1, A. Hartmann6, M. Miettinen3, A. Roessner2, R. Schneider-Stock2
1
Ruolo di HER2/NEU nella progressione dei
tumori stromali gastrointestinali
R. Ricci, G. Monego*, V. Arena, F. Castri, A. Rinelli, M.
Gessi, N. Maggiano, F.O. Ranelletti, L. Lauriola
Istituti di Anatomia Patologica; * Anatomia Umana e Biologia Cellulare, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
La ridefinizione della categoria dei tumori stromali gastrointestinali (GIST) basata sull’analisi dell’espressione del CD117
ha avuto una serie di conseguenze in termini di requisiti diagnostici e, soprattutto, di implicazioni terapeutiche, con l’avvento dell’inibitore specifico STI571. Specie con il possibile
sviluppo di protocolli terapeutici adiuvanti e neoadiuvanti basati su questo farmaco, un affidabile inquadramento prognostico dei GIST è divenuta un’esigenza pressante, anche per evitare inutili sprechi di risorse e possibili induzioni di perdita di
responsività. HER2/neu è un gene della famiglia dei recettori
per l’EGF, la cui amplificazione ha un ruolo nella progressione di neoplasie epiteliali, prima fra tutti il carcinoma mammario. La rilevanza di questo fattore nelle neoplasie mesenchimali appare più contenuta. È da notare che duplicazioni a livello di 17q, ove è il locus di HER2/neu, sono state riscontrate in GIST clinicamente maligni 1. L’unico studio pubblicato su
HER2/neu nei GIST (serie di 15 casi, metodo immunoistochimico) ha tuttavia avuto esito negativo 2.
Metodi
Stiamo studiando l’espressione di HER2/neu in 44 GIST con
follow-up, con real-time reverse-transcriptase PCR (RTPCR) quantitativa. L’RNA totale, estratto da fette da tessuti
fissati ed inclusi in paraffina, è stato retrotrascritto a cDNA
ed amplificato mediante RT-PCR quantitativa associata a sistema di rilevazione con sonde fluorescenti sequenza-specifiche (Quantiprobe). E’ stato usato un software per la quantificazione relativa dell’espressione di un gene target in rapporto ad un gene house-keeping ed in relazione a 2 curve
standard del target e del reference rispettivamente.
Risultati
I risultati preliminari sono suggestivi di una distribuzione bimodale dell’espressione di HER2/neu. Il livello elevato di
espressione è stato riscontrato prevalentemente in GIST che
hanno avuto un decorso aggressivo; il livello inferiore è ri-
Institute of Pathology, University of Basel, Switzerland; 2
Department of Pathology, 4 Department of Biometrics and 7
Department of General Surgery. Otto-von-Guericke University Magdeburg, Germany, 3 Department of Soft Tissue
Pathology, Armed Forces Institute, Washington, USA, 5 Department of Pathology, Oregon Health & Science University
Cancer Institute and Portland VA Medical Center, USA, 6 Department of Pathology, University Regensburg, Germany, 8
Department of Biomorphological Sciences, University “Federico II”, Naples, Italy
Introduction
GISTs show a wide clinical spectrum that ranges from benign
to malignant. Tumours with size ≤ 5 cm and low mitotic frequency usually show a benign clinical behaviour; however,
some of them do metastasize.
There is evidence that molecular alterations may predict the
clinical outcome in GISTs. p16 inhibits cell cycling by arresting
cells in G1/S phase of the cell cycle. p16 loss has been shown
to predict poor clinical outcome in several human tumours.
Aims
To establish the prognostic significance of p16 in a large series of GISTs.
Methods
284 primary GISTs (284 patients) were collected and used to
build a TMA. 160 were men and 124 woman; mean age was
60.9; mean size was ¨8.3 cm. All cases were CD117+. According to size and MI, cases were classified in four groups.
very low risk, low risk, intermediate risk and high risk. Immunohistochemical stain for p16 was performed and all clinicopathologic parameters were related to p16 status.
Results
142 cases showed p16 loss. There was no relationship between p16 status and sex, age, histology or metastasis. p16
loss identified a group of patients with worse prognosis in the
whole series (p=0.012) and in the gastric subgroup (p =
0.037). This prognostic value was observed also in the multivariate analysis.
Conclusions
TMA is a reliable technique for the study of GISTs. Determination of p16 status may help in identifying a group of patients with worse prognosis also in the very low risk and low
risk group.Loss of p16 expression iss an indipendent factor in
determining the prognosis of GISTs.
324
GIST insorto in NF1 associato a
somatostatinoma e feocromocitoma
M. Barisella, A. Gronchi, P. Casali, M. Colecchia
Dipartimento di Patologia e Unità Operativa Melanomi e
Sarcomi, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Milano
Introduzione
In letteratura è stata descritta l’associazione di NF1 con feocromocitoma, e/o con tumori neuroendocrini della papilla a
secrezione di somatostatina, e/o con GIST duodenali. Sono
state riportate anche associazioni multiple, ma non sono ancora stati riportati casi in cui tutte le entita’ suddette fossero
presenti insieme.
Case report
Gli autori presentano il caso di una donna di razza caucasica
di 46 anni affetta da neurofibromatosi di tipo 1, con feocromocitoma surrenalico, GIST duodenale e riscontro occasionale di tumore neuroendocrino della papilla del Vater. A seguito della diagnosi di NF1, nel 1991 la paziente fu sottoposta presso il nostro istituto ad una amputazione in sede sacrococcigea per l’asportazione di neurofibromi multipli. In corso di controlli di follow-up, nel dicembre 2003 venne riscontrata la presenza di una massa in sede surrenalica a destra, rivelatasi essere un feocromocitoma. All’esame intraoperatorio
si verificò inoltre la presenza di un GIST della parete duodenale. La paziente venne quindi sottoposta nel marzo 2004 ad
asportazione della massa duodenale in blocco con ampia porzione di duodeno comprendente papilla del Vater e tratto della via biliare distale. Una piccola neoformazione è stata apprezzata a livello sottomucoso della papilla duodenale, rivelatasi essere un tumore neuroendocrino ben differenziato con
produzione di somatostatina. Inoltre per la lesione della parete duodenale è stata confermata la diagnosi di GIST a rischio intermedio di malignità secondo i criteri di Bethesda.
Conclusioni
Questa inusuale presentazione di neoplasie multiple in paziente portatrice di NF1 permette di considerare le caratteristiche dei GIST insorti in neurofibromatosi, che risultano
nella recente valutazione di Kinoshita e coll. non carrier di
mutazione a carico del gene KIT. La sostanziale somiglianza
morfologica ed immunofenotipica di questi GIST sottende
sostanziali differenze nei processi oncogenici ed istogenetici
rispetto ai GIST insorti in forma sporadica.
Bibliografia
Kinoshita K, et al. J Pathol 2004;202(1):80-5.
Burke et al. Cancer 1990; 65:1591-1595.
COMUNICAZIONI LIBERE
Methods
The pathologic and clinical findings obtained from 4 cases
retrieved from our institution were reviewed. All cases were
tested by immunohistochemistry with a large panel of antibodies including TTF-1, the most specific marker of pulmonary origin.
Results
The series consisted of 3 men and 1 woman, with a mean
age of 66 years. The patients presented with complaints of
lower abdominal pain with vomiting (3 cases) and small
bowel perforation (1 case) and initially underwent segmental resection of small bowel (3 cases) and stomach (1 case)
for a solitary mass disclosed at abdominal computed tomography. Grossly, all lesions appeared as full thickness involvement of the intestinal wall and ulceration was noted in
2 cases. Morphologically, the tumors consisted of a diffuse
sheet-like proliferation of large, undifferentiated neoplastic
cells with rhabdoid-like eosinophilic cytoplasm and round
pleomorphic nuclei with prominent nucleoli arranged in a
dischoesive growth pattern. These tumor elements did not
show clear-cut glandular or squamous differentiation. At
immunohistochemistry, the tumor cells were positive for
TTF-1 and cytokeratins (AE1/AE3), and positively stained
with cytokeratin 7 in 3 cases. All the other tested markers
were completely unstained (cytokeratin 20, CDX2, S100,
LCA, CD138). Mainly based on immunostaining for TTF1, a diagnosis of possible metastasis from primary pulmonary large cell carcinoma was posed and subsequently
confirmed at clinical work-up. Despite chemotherapy, all
patients died of disease.
Conclusions
Pathologists should be aware that lung cancer may occur
even as a solitary mass of the gastrointestinal tract, thus
representing a formidable diagnostic challenge. In these
cases, the tumor appears as a discohesive growth of undifferentiated large cells with a rhabdoid-like appearance,
mainly mimicking plasmacytoma and melanoma. TTF-1
immunostaing confirms to be a valuable marker in discriminating lung tumor origin and should be applied in difficult
cases. Finally, gastrointestinal metastasis from lung cancer
represents a parameter of very dismal outcome in these patients 1 2.
Bibliografia
1
Stenbygaard LE, et al. Lung Cancer 1999;26:95-101.
2
Galsky M, at al. J Clin Oncol 2000;18:227-228.
Ossificazione intestinale eterotopica.
Descrizione di un caso
TTF-1 immunostaining in disclosing
metastatic pulmonary carcinomas presenting
as primary gastrointestinal cancer
C. Traversi, S. Russo, L. Ciampi, G. Parisi, R. Ricco
G. Rossi, E. Tagliavini, P. Sighinolfi, R. Valli, M. Costantini, M. Lupi, L. Schirosi, L. Losi, M. Milani
Introduzione
L’ossificazione eterotopica intraaddominale è una lesione
estremamente rara, localizzata soprattutto a livello della sottosierosa del tenue o grosso intestino o del mesentere. In
molti casi riportati in letteratura si riscontra un pregresso
trauma, un intervento chirurgico laparotomico o un’associazione con una neoplasia gastrointestinale. Il caso clinico occorso alla nostra osservazione riguardava una paziente di sesso femminile di 31 anni ricoverata in seguito a un’interruzione di gravidanza spontanea alla decima settimana di gesta-
Section of Pathologic Anatomy, University of Modena and
Reggio Emilia, Modena, Italy
Introduction
Lung cancer may firstly appear as a solitary mass in the gastrointestinal tract 1 2, resulting very challenging for pathologists to recognize this occurrence. Herein, a clinicopathologic analysis of 4 cases is presented.
DAPeG Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica,
Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
zione. Durante una laparoscopia viene riscontrata accidentalmente una neoformazione mesenterica in corrispondenza dell’ileo Pertanto viene effettuato un intervento laparotomico
d’urgenza con resezione di un breve segmento ileale ed appendicectomia.
Metodi
L’esame macroscopico evidenziava un nodulo calcifico ben
demarcato del diametro massimo di cm 1,5. Il materiale bioptico è stato fissato in formalina e i prelievi inclusi in paraffina. Sono stati effettuate sezioni istologiche routinarie ed indagini immunoistochimiche.
Risultati
Istologicamente si rilevavano la mucosa e sottomucosa ileali
indenni; al limite tra la muscolare propria e la sottosierosa era
presente un’area ben demarcata di tessuto osseo lamellare
circondata da una sottile lamina di connettivo fibroso e comprendente midollo adiposo ed emopoietico.
Pertanto la diagnosi anatomopatologica finale è stata di ossificazione intestinale eterotopica.
Conclusioni
La patogenesi della formazione di osso eterotopico in sede intestinale o mesenterica è tuttora controversa. Frequentemente
si rileva l’associazione con eventi traumatici 1, infezioni o
neoplasie benigne o maligne 2. Nel caso occorso alla nostra
osservazione è particolarmente raro in quanto possiamo formulare un’ipotesi criptogenetica. Riguardava infatti una paziente di 31 anni, con anamnesi del tutto silente se si eccettua
una interruzione spontanea di gravidanza al I trimestre di gestazione undici giorni prima dell’intervento chirurgico.
Bibliografia
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Wilson JD, et al. Am J Surg Pathol 1999;23:1464-70.
2
Imai N et al. Pathol Int 2001;51:643-8.
Carcinoma anaplastico, a cellule fusate e
giganti, del colon: descrizione di un caso
F. Pontieri, F. Tallarigo, F. Musicò, N. Papaleo
U.O. di Anatomia Patologica, P. O. San Giovanni di Dio,
Crotone
Introduzione
Il carcinoma anaplastico, a cellule fusate e giganti, sarcomatoide, pleomorfo, del colon è un tumore maligno di raro riscontro nella pratica anatomo-clinica; non ha una sede elettiva di localizzazione nel grosso intestino e come la maggior
parte delle neoplasie maligne del colon colpisce prevalentemente soggetti della VI-VII decade di vita. Costituisce un tumore caratterizzato da un grado marcato di anaplasia e di
comportamento aggressivo. Le caratteristiche macroscopiche
e istologiche richiedono un corretto inquadramento per differenziarlo principalmente da altre neoplasie maligne epiteliali
e stromali del colon.
Materiale e metodi
Il caso pervenuto alla nostra osservazione è relativo a un
paziente di sesso maschile di anni 72 con clinica di sub-stenosi e rettorragia, sottoposto a resezione segmentaria del
colon sinistro. Lo studio istologico è stato condotto su 16
sezioni rappresentative della lesione, fissate in formalina
tamponata al 10%, disidratate e incluse in paraffina, e ottenute dalle stesse sezioni di 3 µm colorate con E/E, Alcian
Blu a pH 2,5 e PAS. Su sezioni in paraffina di 4 µm è stato
condotto lo studio immunoistochimico testando i seguenti
anticorpi: CK AE1-A3, CAM 5,2, CK 7, CK 20, Vimentina,
325
CD 34, CD 117, S-100, Desmina, Actina ML, CEA, EMA e
Cromogranina A.
Risultati
L’esame macroscopico rilevava nel lume intestinale voluminosa massa vegetante di cm 7,5 x 5,5 x 4, con ampie aree di
necrosi e di emorragia, localizzate prevalentemente nella
porzione superficiale della lesione; il tumore risulta essere
istologicamente composto da cellule tumorali fusate, con disposizione a fasci, scarsamente coese, con ampio citoplasma
eosinofilo, commiste a cellule giganti con nuclei bizzarri e
multinucleate, nucleoli voluminosi ed eosinofili, numerose
mitosi frequentemente atipiche, necrosi. Lo studio istochimico non ha evidenziato la presenza di muco. Le cellule neoplastiche sono risultate diffusamente positive alla Vimentina
e alla CK AE1/AE3 (1-2), negative alla CAM 5,2, CK 7, CK
20, CEA, EMA, Cromogranina A, CD 117, CD 34; Actina
ML, Desmina, S-100 e HMb-45. La neoplasia infiltrava la
sottosierosa, mentre risultavano essere liberi da metastasi N.
27 linfonodi regionali esaminati, assenza di invasione vascolare e di metastasi a distanza.
Conclusione
Il carcinoma anaplastico del colon è una neoplasia maligna
rara, rappresentando lo 0,3% di tutti i tumori maligni del colon 1. Istologicamente la neoplasia deve essere differenziata
da lesioni maligne non epiteliali (GIST, Sarcomi non-GIST,
Melanomi). La diagnosi di Carcinoma anaplastico sarcomatoide presuppone l’assenza di aree o di focolai di adenocarcinoma, di carcinoma a cellule squamose o di tipo convenzionale e di carcinoma neuroendocrino 1-2. La spiccata anaplasia
della lesione insieme all’assenza di un infiltrato infiammatorio distante dalle aree di necrosi ci permette di escludere un
pseudotumore infiammatorio. La positività per le CK ad ampio spettro conferma la natura epiteliale della lesione; invece
le CK monospecifiche non sono utili nella determinazione
della neoplasia. Il carcinoma anaplastico sarcomatoide è una
neoplasia aggressiva e nella maggioranza dei casi si presenta
al momento della diagnosi con metastasi linfonodali e e/o a
distanza. Tuttavia la scarsità dei casi documentati in letteratura non consente di valutare con certezza l’efficacia delle terapie adiuvanti, a parità di stadio, rispetto al adenocarcinoma
di tipo tradizionale.
Bibliografia
1
Reyes CV, Siddiqui MT. Ann Diagn Pathol 1997;1:19-25.
2
Serio G, Aguzzi A. Histopathology 1997;30:383-385.
Carcinoide maligno dell’appendice sincrono
con adenocarcinoma del colon: descrizione di
un caso
M. Guerriero*, M. De Ninno**, A. Capelli*, A. Carbone**
*
Istituto di Anatomia Patologica, Roma; ** Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Campobasso; Facoltà di Medicina “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore
Il tumore neuroendocrino (NE) dell’appendice è un tumore
raro e spesso trovato incidentalmente nei pazienti appendicectomizzati (circa 1 caso su 300). È quasi sempre asintomatico. I sintomi possono essere dovuti ad effetti locali del
tumore o a sindromi particolari. Metastatizza tra il 2% e lo
8% dei casi. Una donna di 62 anni si presenta con dolori addominali. Le indagini delineano un quadro di neoplasia stenosante del colon ascendente con localizzazioni epatiche
COMUNICAZIONI LIBERE
326
multiple. Il prelievo endoscopico mostra un adenocarcinoma (AC). I markers tumorali CEA e CA19.9 erano normali,
mentre l’NSE risultava significativamente aumentata. Si sospettava un AC ad importante componente NE. Fu eseguita
un’emicolectomia destra. Esame macroscopico. Lesione
anulare vegetante ed infiltrante di 5 cm. La appendice appariva ingrossata al centro (1,1 cm) e sottile distalmente
(0,3 cm). Non si reperiva lume. Esame istologico. In sede
colica AC infiltrante quasi tutta la parete muscolare senza
sconfinamento nel grasso. In sede appendicolare neoplasia
trabecolare-solida di aspetto NE infiltrante anche il grasso
periviscerale. Metastasi di tumore NE in 3 linfonodi su 9.
Emboli di neoplasia NE erano presenti nella sottomucosa
colica vicino alla neoplasia AC e all’interno della neoplasia
stessa.
Commento
Sono stati osservati due tumori distinti: AC colico e carcinoma NE appendicolare (carcinoide maligno). La morfologia
delle due neoplasie era distintiva e ha permesso di classificare i tumori sulla base del solo esame morfologico. L’indagine immunoistochimica è stata comunque eseguita per confermare la diagnosi morfologica e per verificare la peculiare diffusione del carcinoma NE all’interno della neoplasia ghiandolare. La particolarità del presente caso risiede nel fatto che
la neoplasia NE appendicolare ha presentato un grado di aggressività biologica nettamente superiore a quello dell’AC
colico. In caso di tumori sincroni AC e NE, la prognosi è influenzata dall’AC. Il numero di pazienti con tumori NE che
muoiono per altri tumori gastrointestinali, infatti, è considerevole. In letteratura è riportato che dal 13% al 33% dei casi
con tumore NE appendicolare presentano AC gastrointestinale e che l’andamento di malattia è influenzato maggiormente
dalla neoplasia AC 1 2. Nel presente caso, al contrario, la maggiore aggressività biologica è stata mostrata proprio dal tumore NE appendicolare.
Bibliografia
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Moertel CG, et al. Cancer 1968;21:270-278.
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Connor SJ, et al. Dis Colon Rectum 1998;41:75-80.
Dimostrazione immunoistochimica della
proteina capsidica L1 del papillomavirus
umano in biopsie anali di pazienti HIV positivi
L. Vago*, M. Nebuloni*, A. Ferri*, F. Pagano*, D. Luzzeri**, P. Zerbi*, R. Beretta***, M.M. Fasolo***, G. Orlando***,
C.M. Antonacci*
*
U.O. Anatomia Patologica; *** II Divisione Malattie Infettive
Ospedale L. Sacco; ** Histo-line Laboratories SrL, Milano
Introduzione
I papillomavirus sono fattori di rischio riconosciuti per le lesioni displastiche e il carcinoma anale, ad alta incidenza in
soggetti HIV positivi. Con riferimento al potenziale oncogeno,
HPV sono suddivisi in sierotipi “a basso rischio” e “ad alto rischio”; si manifestano in forma latente o attiva, con la sintesi
della proteina capsidica L1 (produzione di virioni), indice di
infettività e bersaglio della risposta immune cellulare; la mancata espressione di L1 è segno di integrazione del DNA virale
e di trasformazione cellulare. Lo scopo di questo studio preliminare è valutare la distribuzione della proteina L1 in lesioni
anali di soggetti HIV positivi, discriminando tra infezione latente ed attiva e trasmissibile e correlando la sua espressione
nei diversi sierotipi virali alla gravità delle lesioni.
Metodi
Materiali: biopsie anali (fissate in formalina, incluse in paraffina) di 8 soggetti HIV sieropositivi (2 condilomi acuminati, 2 coilocitosi, 2 AIN II e 2 carcinomi spinocellulari). Immunoistochimica: pretrattamento in forno a microonde con
tampone citrato, incubazione con anticorpi monoclonali Viroactive HPV ScreeningPur e High RiskPur (Virofen Diagnostica GmbH, Germany), sviluppo con fosfatasi alcalina.
Risultati
I risultati sono riassunti in Tabella I. Lesioni a basso grado
(condilomi acuminati e coilocitosi): l’indagine immunoistochimica ha evidenziato una distribuzione diffusa della proteina L1 (HPV basso rischio) in tutti casi; in un caso di condiloma acuminato, è stata dimostrata la co-presenza di L1 ad
alto rischio limitata ad una zona della lesione. AIN II: la proteina L1 ad alto rischio, con distribuzione focale, è stata dimostrata solo in 1 caso; non è stata mai evidenziata la proteina L1 a basso rischio. Carcinoma spinocellulare: le aree di
neoplasia infiltrante ed in situ risultano negative. Si sottolinea però in entrambi i casi una focale positività di L1 ad alto
rischio nelle aree di displasia lieve-moderata e coilocitosi
dell’epitelio di superficie.
Tabella I
DIAGNOSI
Coilocitosi
Coilocitosi
Condiloma acuminato
Condiloma acuminato
AIN II
AIN II
Carcinoma spinocellulare
Carcinoma spinocellulare
HPV L1
SCREENING
+ diffuso
+ diffuso
+ diffuso
+ diffuso
+ focale
–
–
–
HPV L1
HIGH RISK
–
–
+ focale
–
+ focale
–
–
–
Conclusioni
Questo studio preliminare conferma nelle lesioni anali la correlazione tra infezione attiva da HPV a “basso rischio” e lesioni a basso grado; in quelle ad alto grado dimostra l’assenza di L1, e quindi la verosimile integrazione di HPV nelle
aree più gravi della lesione, ma evidenzia la presenza di focolai di infezione virale “ad alto rischio” ancora produttiva in
aree con lesioni a gravità minore degli stessi soggetti.
Mesotelioma cistico benigno del peritoneo.
Descrizione di un caso
F. Tallarigo, S. Squillaci*, N. Papaleo, D. Romano**,
M.G. Scalia
Servizio di Anatomia Patologica; ** Divisione di Chirurgia,
Ospedale “San Giovanni Di Dio”, Crotone; * Servizio di
Anatomia Patologica, Ospedale di Vallecamonica, Esine
(BS)
Introduzione
Il mesotelioma cistico benigno del peritoneo è una rara neoplasia che solo di recente è stata inquadrata, grazie alla microscopia elettronica, come un’entità ben definita a deriva-
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
zione delle cellule mesoteliali. Dal punto di vista clinico, per
le sue potenzialità di recidiva locale senza avere, tralaltro, un
comportamento maligno, è considerata come una variante
border-line tra il tumore adenomatoide benigno ed il mesotelioma maligno. Viene qui riportato il caso di un paziente, maschio di 71 anni, a cui è stato scoperto, in maniera incidentale, in corso di intervento chirurgico per neoplasia del grosso
intestino, un mesotelioma cistico benigno a livello del mesocolon trasverso.
Metodi
Lo studio immunoistochimico della neoplasia è stato condotto utilizzando i seguenti anticorpi: citocheratina 8-18, CD34,
CD31, calretinina, HBME1, actina ML.
Risultati
Dal punto di vista macroscopico la neoformazione era costituita da multiple cisti, misurante complessivamente 15 cm di
diametro. Le cisti presentavano un aspetto traslucido a contenuto sieroso limpido talora gelatinoso. Dal punto di vista
microscopico gli spazi cistici erano delimitati da un epitelio
piatto a singola fila tale da simulare un linfangioma. Talora
l’epitelio era rappresentato da elementi di tipo cubico-poligonale con tendenza a formare dei clusters, ad aspetto micropapillare, aggettanti nel lume cistico, con presenza di materiale secretorio intracitoplasmatico di tipo eosinofilo. Tali
elementi hanno mostrato immunoreattività ai markers mesoteliali (calretinina, HBME1) e alla citocheratina 8-18, mentre
sono risultate essere negative a quelli endoteliali. Il tutto nel
contesto di uno stroma di tessuto connettivo con presenza di
fibroblasti stellati (reattivi all’actina ML) con focali aree, di
tipo mixoide, positive alla colorazione dell’alcian blue.
Conclusioni
Il mesotelioma cistico benigno del peritoneo è una rara neoplasia dell’età adulta con maggiore incidenza nel sesso feminile (rapporto 5:1). Approssimativamente nel 30% dei casi si
ha una recidiva locale in un intervallo di tempo compreso tra
4 mesi e 7 anni. Inoltre nel 25-30% dei pazienti c’è una storia di precedenti interventi chirurgici addominali o di malattia infiammatoria pelvica. La diagnosi differenziale va posta
con il linfangioma ed il tumore adenomatoide.
Dalla clearence dell’emosiderosi alla
reversibilità della cirrosi in pazienti
talassemici curati con trapianto di midollo
osseo (TMO)
P. Muretto, S. Tommasoni, E. Angelucci*
U.O. Anatomia e Istologia Patologica, Azienda Ospedaliera
S. Salvatore, Pesaro; * Centro Trapianti di Midollo Osseo,
Azienda Ospedaliera S. Salvatore, Pesaro
Introduzione
L’emosiderosi, la fibrosi e la cirrosi epatica sono note complicanze nei pazienti affetti da Talassemia Major come conseguenza della eritropoiesi inefficace, delle trasfusioni, delle
epatiti da HCV e HBV. La cirrosi è stata generalmente considerata irreversibile e l’emosiderosi una condizione stabile.
Metodi
50 dei 450 pazienti trattati con T.M.O. presso il Centro Trapianti di Midollo osseo di Pesaro, sono stati studiati con biopsie epatiche sequenziali effettuate prima del trapianto, a 6
mesi e ogni anno per un periodo di 4-6 anni dall’attecchimento del T.M.O. allogenico. Su ulteriori 491 talassemici curati con T.M.O., 40 (età compresa tra i 27 ed i 30 anni) svilupparono cirrosi (19 prima del trapianto e 21 durante il fol-
327
low-up). Questi furono sottoposti a salassi e a terapia antivirale (con inizio dopo i 3 anni dal trapianto) e seguiti con biopsie sequenziali per un periodo di 3-8 anni.
Risultati
Spontanea reversibilità del sovraccarico ferrico, dopo interruzione della terapia trasfusionale per l’ottima funzionalità
del midollo dopo trapianto, è stata osservata in 31 pazienti tra
1 e 12 anni di età 1. Nei pazienti con cirrosi le biopsie epatiche hanno mostrato in 7 marcata riduzione del sovraccarico
ferrico con completa clearence in 4. Livelli di transaminasi
sierica diminuiti in tutti i pazienti con normalizzazione in 5
casi; attività infiammatoria diminuita in tutti con scomparsa
in 2 casi. Regressione della cirrosi si è osservata in 7 pazienti, sebbene in 3 sia persistita fibrosi con ponti porto-portali,
grado 2-3 sec. Ishak.
Conclusioni
Nei pazienti studiati si è dimostrato che l’emosiderosi può essere spontaneamente risolvibile e che la cirrosi è reversibile
in pazienti talassemici sottoposti a T.M.O. 2-3. Relativamente
ai meccanismi ipotizzabili, appare verosimile che l’eliminazione del ferro abbia inizio con il rilascio del metallo dagli
epatociti in lisi conseguente alla terapia antiblastica della fase di induzione; in seguito vi sarebbe un passaggio del ferro
dagli epatociti alle cellule di Kupffer, agli istiociti ed alle cellule endoteliali con rilascio all’interno dei sinusoidi e delle
vene centrolobulari.
L’ipotesi è avvalorata dall’alta perdita di ferro tramite le urine dopo T.M.O. È peraltro possibile anche l’associato rilascio
tramite le vie biliari. Lo studio dimostra che la reversibilità
della cirrosi può avvenire in seguito alla rimozione dei fattori irritativi cronici stimolanti la fibrillogenesi, quali il sovraccarico ferrico e l’epatite cronica virus correlata (che nel talassemico possono avere azione sinergica).
Bibliografia
1
Muretto P, et al. Liver 1994;14:14-24.
2
Angelucci E, et al. Blood 1997;90(3):994-998.
3
Muretto P, et al. Annals of Int Med 2002;136(9):667-672.
Immunohistochemical evidence
of metallothionein in neoplasms of liver,
gallbladder and pancreas
D. Villari, G. Giuffrè, A. Simone, R. Scarfì, G. Tuccari
Department of Human Pathology, University of Messina
Introduction
Metallothionein (MT), a group of low molecular weight (6-7
kD), cysteine rich proteins, with strong affinity for heavy
metal potentially toxic ions, are considered to be involved in
various cellular processes. In human neoplastic pathology,
the presence of MT has been immunocytochemically demonstrated in both the nucleus and the cytoplasm of cells in many
carcinomas of different organs and some reports have suggested an unfavourable prognostic role for MT.
Materials and methods
In the present study, we have investigated the expression of
MT in 81 histological specimens of primary human hepatocellular, gallbladder and pancreatic carcinomas as well as liver metastases and chirrosis, taken from files of our Department; in addition peritumoral samples of liver and pancreas
and normal gallbladder tissue have been also studied. Immunohistochemistry was performed by a monoclonal mouse
anti-MT antiserum, commercially available (MT-E9, Dako,
COMUNICAZIONI LIBERE
328
w.d. 1:100), applied overnight at 4°C. The percentage of
stained cells was graded for semiquantitative purposes as follows: 0 (no staining); 1 (>0 to 5%); 2 (>5 to 25%); 3 (>25 to
50%); 4 (>50%). The possible correlations between immunohistochemical data and morphological characteristics of lesions were investigated using non-parametric methods.
Results
MT immunoexpression was found in 54/81 cases (66.6 %)
with a variable staining score. In particular 19/31 hepatocellular carcinomas, 7/21 liver metastases, 9/10 ductal and ampullar pancreatic carcinomas and 2/2 gallbladder samples
were stained. Moreover, 8/8 focal nodular hyperplastic or
dysplastic lesions and 9/9 viral-related cirrhosis showed a
constant staining score ranging from 3 to 4. No correlations
between MT expression and age, sex, tumour size and clinical stage were appreciable. The highest MT score was found
in liver control tissue; a weakly immunopositivity was encountered in acinar cells and pancreatic ducts. No immunostaining was appreciable in normal gallbladder.
Conclusions
An overexpression of MT has been documented in pancreatic and gallbladder neoplastic samples, while in primary and
secondary liver tumours the content of MT appears to be reduced in comparison to normal parenchyma. We cannot exclude that during carcinogenesis of different organs other MT
isoforms may appear, undetectable by our antibody. Moreover, the relationship between MT immunoexpression and responsiveness to chemotherapeutics is at the moment under
investigation.
Molecular Alterations in Hepatocellular
Carcinomas and Preneoplastic Hepatocellular
Lesions using Tissue Microarray Technique
L. Tornillo1, A. Lugli1, V. Carafa1, M. Roncalli2, M. Maggioni3, A. Manca4, G. Massarelli4, S. Losito5, G. Marino6,
R. Vecchione7, L. Terracciano1,7
1
Institutes of Pathology, University of Basel, Schweiz; 2 Humanitas Clinical Institute and San Paolo Hospital3, University of Milan, University of Sassari4, National Cancer Center
“Pascale”5, Naples, Hospital “Cardarelli”6, Naples, University “Federico II”7 Naples, Italy
Introduction
Liver cancerogenesis is a multistep process, but there is no
clear boundary between premalignant and malignant lesions.
At least three regulatory pathways (RB-1, p53 and Wnt/βcatenin) are involved in hepatocarcinogenesis.
Aims
Morphological and molecular features of hepatocarcinogenesis are far from being fully elucidated. We have applied the
tissue microarray (TMA) technique to investigate the role of
several genes expression in hepatocarcinogenesis.
Methods
Tissues from 280 patients (443 nodules) included 233 HCCs,
15 High grade (HG)-DN, 7 Low-grade(LG)-DN, 10 Large regenerative nodules, 8 small cell dysplasias, 11 large cell dysplasias, 8 FNHs, 2 adenomas, 13 clonal lesions 119 cirrhosis
and 17 normal livers. One sample each was placed in our
TMA. Immunohistochemical analysis included CK7, CK8,
CK18, CK19, CK20, CD34, p53, CyclinD1, Cyclin D3, p16,
p21, p27, Ki-67, E-cadherin, β-catenin. A FISH analysis for
CyclinD1 and c-myc was further performed.
Results
Immunohistochemistry: the number of evaluable punches
ranged from 267 (71%) to 317 (85%). E-cadherin and βcatenin were expressed simultaneously (p=0.0009). β-catenin
membrane expression was related to the lesion (90% in
HCCs, 53% in cirrhosis, 28% in HG-DN, p<0.0001). βcatenin directly correlated with Ki-67 expression (p=0.04).
FISH: 100 punchs were evaluable for c-myc and 234 for CyclinD1. Only 2 (both HCCs) (2%) showed amplification for
c-myc. Amplification of Cyclin D1 was observed in 25% of
HCCs, 10% of HG-DN and in 8% of cirrhosis (p<0.01)
Conclusions
A “Liver cancerogenesis” TMA was generated; it represents
a unique tool to approach hepatocarcinogenesis. Our results
show an altered β-catenin signaling as demonstrated by protein overexpression in hepatocarcinogenesis. β-catenin expression in HCC is not modulated by the down-regulation of
E-cadherin. Amplification of CyclinD1 may be related to the
development of hepatocellular carcinoma.
Cisti ciliata epatica dell’intestino anteriore
(foregut): descrizione di un caso
G. Bogina, E. Bongiorno, P. Castelli, A. Pesci, M. Santacatterina, A. Parise, E. Facci*, G. Zamboni
*
Anatomia Patologica e Chirurgia, Ospedale S. Cuore-Don
Calabria, Negrar-Verona
Introduzione
La cisti ciliata epatica del foregut (CCEF) è una lesione rara,
a verosimile origine dall’intestino anteriore embrionario (da
cui derivano: orofaringe, albero tracheobronchiale, polmoni,
esofago-duodeno, fegato, vie biliari e pancreas), che interessa prevalentemente il lobo epatico sinistro. Dalla revisione
della letteratura risultano descritti circa 60 casi: la diagnosi è
perlopiù occasionale, essendo la CCEF raramente sintomatica. Si tratta di una cisti uniloculare, caratterizzata da epitelio
colonnare ciliato pseudostratificato con cellule mucinose e da
una parete muscolare 1. Descriviamo un caso di CCEF analizzandone le caratteristiche morfologiche ed immunofenotipiche per una miglior definizione istogenetica.
Paziente e metodi
Donna di 79 anni. Riscontro occasionale, in corso di colecistectomia per calcolosi, di cisti epatica del diametro di cm 3,
in prossimità del letto colecistico.
Risultati
Macroscopicamente la cisti presentava superficie esterna ed interna liscia e contenuto simil mucoide. Istologicamente era costituita da un epitelio cilindrico ciliato pseudostratificato e da
cellule mucosecernenti tipo “goblet”, Alcian positive, da una
parete di tessuto muscolare liscio e da una capsula fibrosa. Le
indagini immunofenotipiche hanno dimostrato una diffusa positività alla CK7 e negatività alla CK20. La cromogranina mostrava la presenza di sparse cellule endocrine. L’epitelio risultava focalmente positivo per il TTF1 e negativo per il CDX2.
Conclusione
Si ritiene che la CCEF, analogamente alle cisti broncogene ed
esofagee, origini da un diverticolo della biforcazione dell’albero bronchiale del foregut che, attraverso il canale pleuroperitoneale, migra dalla cavità toracica alla cavità addominale, rimanendo intrappolato nell’abbozzo epatico 1.
La positività immunoistochimica al marcatore TTF1 e la negatività per il CDX2, a nostra conoscenza mai descritte in let-
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
329
teratura, supporterebbero l’ipotesi che la CCEF origini dall’epitelio respiratorio del foregut, senza evidente partecipazione della “componente intestinale”.
Carcinosarcoma of the gallbladder.
A case report
Bibliografia
1
Chatelain D, Chailley-Heu B. The ciliated hepatic foregut cyst, un
inusual bronchiolar foregut malformation. Hum Pathol 2000;31:2416.
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Epatite da brucella: descrizione di un caso
pediatrico
L. Reggiani Bonetti, G. Rossi, R. Valli, P. Sighinolfi, E.
Tagliavini, L. Viola*, A. Bagni, L. Losi
Sezione di Anatomia Patologica, Università di Modena e
Reggio Emilia; * Dipartimento di Pediatria, Università di
Modena e Reggio Emilia, Modena
Introduzione
La Brucellosi è una antropozoonosi causata da alcuni ceppi
di Brucella (B. melitensis, B. abortus e B. suis). La trasmissione avviene per inalazione, per ingestione di alimenti derivati da animali infetti e per via transcutanea. Riportiamo un
caso di epatite da Brucella in una bambina di otto anni residente in Puglia.
Metodo
Bambina di otto anni di origine pugliese trasferita presso il
Reparto di Pediatria del Policlinico di Modena. Da alcuni
mesi la piccola lamentava astenia, inappetenza, artralgie diffuse e febbricola.
Risultati
Gli esami di laboratorio evidenziavano: ipertransaminasemia
(AST 83 IU/L, ALT 79 IU/L), anemia (Hb 10,9 g/dL), ipergammaglobulinemia, positività per autoanticorpi non organo- specifici anti-muscolo liscio (SMA) e anti-nucleo
(ANA), negative le indagini sierologiche per HAV, HBV,
HCV e HBV. Lieve epatosplenomegalia all’ecografia senza
alterazioni all’ecostruttura. Il quadro clinico orientava per
epatite autoimmune, per conferma venne richiesta un’agobiopsia epatica. Morfologicamente il quadro era caratterizzato da un moderato infiltrato linfomonocitario con discreta
componente istiocitaria e focale aggregazione in microgranulomi a livello degli spazi portali e abbondante presenza di
elementi linfomonocitari nei sinusoidi. Il suggerimento di
un’epatite batterica da indagare (es. Brucella) portò all’esecuzione del test di Wright dal quale risultò una titolazione significativa per B. abortus e B. melitensis (1:1280). Un’accurata anamnesi accertò il consumo di formaggi freschi artigianali da parte della piccola paziente. Posta diagnosi di epatite
da Brucella si sottopose la paziente a trattamento antibiotico.
Conclusioni
L’epatite acuta può rappresentare l’unica manifestazione della brucellosi che deve essere presa in considerazione soprattutto in soggetti provenienti da aree endemiche. Sebbene la
biopsia epatica non presenti aspetti morfologici specifici può
risultare dirimente in adeguato contesto clinico. Una revisione della letteratura dimostra che anche US, CT e MRI oltre a
test sierologici positivi sebbene non specifici possono essere
utili per la conferma diagnostica 1 2.
Bibliografia
1
Sisteron O, et al. Clin Imaging 2002;26:414-17.
2
Sadia Perez D, et al. Rev Clin Esp 2001;201:322-6.
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
Introduction
The carcinosarcoma of the gallbladder is a rare malignant
tumor, composed by two components: an epithelial, adenocarcimatous one, and a mesenchymal, sarcomatous one,
with a variable expression of heterologous components,
and without epithelial markers in sarcomatous share. This
tumor arises in about 67 years old females, and it is often
connected with lithiasis. We report a case of carcinosarcoma of the gallbladder arisen in a 79 years old female. Ultrasonographic indagations, abdomen TAC with MDC, endoscopic retrograde cholangio-pancreatography (ERCP)
showed a large cholecistic mass, with hepatic involving.
The patient has been subjected to cholecystectomy, with
segmental hepatic resection, common biliary duct excision
and perivisceral lymphadenectomy. Five months after the
surgery, the patient did not show any local recurrence or
metastasis.
Materials and methods
The specimens sent were formalin 4% fixed and paraplast
plus included. Sections of 3 µm thickness have been prepared for typical stains, whereas other sections have been
set on slides, previously treated with poli-l-lysin for the
immunohistochemical stains.
Results
Macroscopically fundus and corpus of the gallbladder were taken by a vegetating neoformation, which revealed fully infiltrating gallbladder’ s parietis. Microscopically it
was composed by a mixture of well and poorly differentiated tubular adenocarcinoma, positive for CEA, CK 7 and
CK 20, and of sarcomatous tissue, represented by anaplastic splindle-shaped cells, arranged in large bundles, positive for vimentin, negative for CK 7, CK 20, EMA and
CEA. Heterologous elements have not been observed, but
a small share of sarcomatous cells showed a differentiation
toward smooth muscular cells, proved by the positivity for
α SMA and desmin.
Conclusions
The histogenesis of this carcinosarcoma is dubious. Some
Authors assume that the sarcomatous component represents a “dedifferentiated carcinoma cells”, because it could
derive by dedifferentiation of some adenocarcinomatous
areas, for accumulation of genetic errors, during the tumoral progression. Such theory was supported by advanced
stage in the moment of diagnosis, both in our case and in
every casuistics.
COMUNICAZIONI LIBERE
330
Studio mutazionale dell’oncogene K-ras
nel carcinoma duttale del pancreas
Tumori solidi pseudopapillari del pancreas:
revisione della casistica
N. Funel, I. Esposito, M. Menicagli, D. Campani, L.E.
Pollina, N. Decarli, B. Chifenti, M. Morelli, G. Bertacca,
C. Di Cristofano, A.O. Cavazzana, A. Santucci**, M. Del
Chiaro*, U. Boggi*, F. Mosca*, G. Bevilacqua
A. Brighenti*, P. Capelli*, D. Reghellin*, I.Franceschetti*,
G. Martignoni**, R. Salvia***, G. Zamboni*, F. Menestrina*
Divisione di Anatomia Patologica e Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale; * Divisione di Chirurgia Generale e dei Trapianti, Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di
Pisa, Pisa; ** Dipartimento Biologia Molecolare, Università di Siena
Introduzione
Mutazioni di K-ras sono frequenti nel carcinoma infiltrante
del pancreas e rappresentano un evento precoce nella cancerogenesi essendo presenti nelle lesioni preneoplastiche
(PanIN). Le mutazioni riscontrate nel carcinoma del pancreas riguardano principalmente i codoni 12 e 13 per i quali sono state riportate frequenze comprese fra il 70% e
l’80%. Alterazioni del codone 61 sono state identificate in
rari casi.
Materiali e metodi
Dal dicembre 2001 al giugno 2004 sono pervenuti al nostro
laboratorio 89 casi di carcinoma duttale del pancreas. Sezioni di tessuto fresco di 52 carcinomi sono state sottoposte a
microdissezione laser (Leica ASLMD), dalle quali è stato
estratto il DNA. Da 46 tumori sono state allestite colture cellulari primarie, ottenendo 1 linea cellulare (PP78) e 4 colture
primarie (PP109, PP117, PP147, PP161). L’analisi di K-ras
sui tumori primitivi e sulle relative colture cellulari nei codoni 12, 13 (esone 1) e 61 (esone 2) è stata condotta con PCR
e sequenziamento automatico.
Risultati
L’analisi dei codoni 12 e 13 ha evidenziato mutazioni in
43/52 neoplasie (82,7%). Le colture primarie presentavano
tutte mutazioni sul codone 12 (PP109 GGT→GTT, PP117
GGT→GAT, PP147 GGT→CGT, PP161 GGT→GAT). La linea PP78 risultava normale nei codoni 12 e 13 e mutata nel
codone 61 (CAA→CAC). Tre dei 9 tumori primitivi risultati
normali nei codoni 12 e 13 presentavano una mutazione del
codone 61 (2 CAA→CAC e 1 CAA→CTA) e nessuno mostrava differenze istologiche rispetto a quelli mutati nei codoni 12 e 13. L’alterazione di K-ras nella nostra casistica risultava, complessivamente, pari all’88,5%. Il profilo mutazionale delle colture cellulari era identico a quello riscontrato nel tumore primitivo di origine. Indagini preliminari di post-genomica, elettroforesi bidimensionale delle proteine e
spettrometria di massa, condotte sulle colture primarie mutate nel codone 12 (PP117) e nel codone 61 (PP78) suggeriscono l’attivazione di pathways metabolici diversi sostenuti
dalle diverse mutazioni.
Conclusioni
L’analisi del codone 61 ha determinato un incremento della
frequenza delle mutazioni di K-ras nel cancro del pancreas rispetto all’analisi condotta a carico dei codoni 12 e 13
(+5,7%). L’alterazione del codone 61 non è un evento frequente nel carcinoma del pancreas; per quanto riguarda le linee cellulari, è stata in precedenza documentata solo in un’altra linea cellulare (T3M4). Mutazioni differenti potrebbero
attivare differenti vie metaboliche.
*
Anatomia Patologica, Università di Verona e ** Università
di Sassari; *** Endocrinochirurgia, Università di Verona
Introduzione
Le neoplasie solido-pseudopapillari (SPT) del pancreas sono
estremamente rare, rappresentano infatti l’1-2% dei tumori
del pancreas esocrino. Vengono classificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra le neoplasie a comportamento biologico incerto e tra i carcinomi. Questi ultimi
sono rari e segnalati in letteratura come casi isolati.
Metodi
La nostra casistica comprende 36 casi, 25 dei quali provenienti da un’unica Istituzione Chirurgica presso la quale il
30% delle resezioni pancreatiche per neoplasia è stato effettuato per neoplasie cistiche, di cui il 9% per neoplasie solide
pseudopapillari. Di 30 casi disponiamo di dati anatomo-clinici completi con follow up medio di 5,5 anni.
Risultati
Di 36 casi giunti alla nostra osservazione 33 pazienti erano
femmine e 3 maschi, con età media di 33 anni (intervallo: 769). Nei 30 casi con sede nota, era evidente una predilezione
di sede per il corpo-coda (corpo-coda: 21 casi, testa: 9 casi).
L’aspetto macroscopico era quello di una neoformazione solida nel 42,5% dei casi, solido-cistica nel 42,5% e cistica
nel15%; il diametro medio era di 5,5 cm (intervallo: 1,8-15
cm). Uno dei 36 casi era maligno con la presenza di metastasi
epatiche sincrone e trombosi della vena splenica, mentre in tre
casi si sono riscontate caratteristiche “atipiche”, di incerto significato: due casi presentavano aggressività locale, uno con
focale infiltrazione per continuità della capsula splenica e di un
linfonodo periviscerale e l’altro con invasione vascolare ed
aspetti suggestivi di trombosi vascolare. Il terzo caso presentava marcate, seppur circoscritte, atipie citocariologiche. Questi
ultimi 3 pazienti sono vivi e liberi da malattia rispettivamente
dopo 5 mesi, 15 mesi e 11 anni dall’intervento chirurgico.
Conclusioni
Il nostro studio dimostra che: 1) il SPT è una neoplasia rara
e con una predilezione per i soggetti giovani e di sesso femminile; 2) questo tumore insorge più frequentemente nel corpo-coda piuttosto che nella testa pancreatica; 3) gli aspetti
“atipici” sono rari ed è necessario un lungo follow up per
chiarirne il significato prognostico.
Adenocarcinoma papillare intraduttale
ossifilo del pancreas
I. Franceschetti*, P. Capelli*, M. Gobbato*, C. Cannizzaro*, S. Pecori*, G. Martignoni**, G. Zamboni*, F. Menestrina*
*
Anatomia Patologica, Università di Verona e
di Sassari
**
Università
Introduzione
Le neoplasie cistiche rappresentano il 10% delle cisti pancreatiche e l’1-3% dei carcinomi e la loro maggioranza è rappresentata da neoplasie cistiche mucinose e da cistoadenomi sierosi. I tumori pancreatici composti principalmente da cellule
oncocitiche sono rari; aspetti ossifili si possono osservare in al-
PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE
cune neoplasie endocrine ed in alcuni tumori solidi pseudopapillari. Descriviamo un caso di adenocarcinoma papillare intraduttale oncocitico con estensione all’intero organo.
Materiali
Si tratta di una paziente di 71 anni con importante calo ponderale che radiologicamente presentava un pancreas completamente sostituito da multiple formazioni cistiche confluenti,
la maggiore di 18 cm, localizzata a livello del corpo, con all’interno gettoni solidi parietali. Sospettando una neoplasia
intraduttale del pancreas è stato eseguito un intervento di
splenopancreasectomia totale.
Risultati
L’esame macroscopico ha evidenziato un dotto di Wirsung
progressivamente dilatantesi dalla papilla di Vater sino al
corpo ove appariva comunicare con una voluminosa neoformazione cistica a parete sottile e con superficie interna trabecolata ricoperta da materiale mucoide. Lungo il suo intero
decorso il lume del dotto risultava occupato da multiple
proiezioni papillari. Il parenchima pancreatico circostante era
costituito da dotti ectasici d’aspetto cistico, talora a contenuto mucoide e occupati da vegetazioni papillari. Microscopicamente, il rivestimento delle strutture cistiche e le proiezioni papillari erano costituiti da cellule cilindriche a citoplasma
ossifilo, formanti un epitelio pseudostratificato. Solo un esteso campionamento ha messo in evidenza microfocolai di infiltrazione stromale, mentre non era presente diffusione extrapancreatica. La paziente è viva ed in buona salute 5 mesi
dopo l’intervento chirurgico.
Conclusioni
Le neoplasie intraduttali papillari oncocitiche sono rare, presentano caratteristiche macroscopiche sovrapponibili alle
neoplasie mucinose intraduttali ed hanno tipicamente un decorso clinico indolente. Ulteriori studi sono necessari per
mettere in evidenza l’eventuale presenza di caratteristiche
cliniche distintive.
Involvement of RASSF1A tumor suppressor
gene in distinct subtypes of digestive
endocrine tumors
S. Pizzi, C. Azzoni, L. Bottarelli, T. D’Adda, G. Rindi, C.
Bordi
Dep. Pathology & Laboratory Medicine, Pathologic Anatomy, University of Parma, Italy
Background
RASSF1A is a Ras effector homologue gene, mapping on
3p21.3 and epigenetically inactivated in a wide variety of human cancers. RASSF1A induces cell cycle arrest through the
Rb-mediated checkpoint, inhibiting accumulation of cyclinD1. Frequent hypermethylation of RASSF1A promoter is
found in pancreatic carcinomas, especially in endocrine tumors (PETs), and seems to be associated with malignancy.
Indeed, 3p LOH is considered a frequent event at least in malignant PETs and its correlation with metastatic progression
is under debate. Aims of this study were to analyze the involvement of RASSF1A as candidate tumor suppressor gene
at 3p, and to clarify its role in the whole spectrum of digestive endocrine tumors.
Methods
Sixty benign and malignant gastroenteropancreatic endocrine
tumors have been analyzed. Tissues were formalin-fixed,
paraffin-embedded. RASSF1A promoter hypermethylation
331
has been investigated by chemical modification of genomic
DNA with sodium bisulfite and methylation-specific PCR.
LOH has been determined using two 3p21.3 microsatellite
markers (D3S1100 and D3S1621).
Results
RASSF1A promoter hypermethylation was found in gastric
(37.5%) and pancreatic (100%) tumors, including both benign and malignant cases, and was virtually absent in other
digestive endocrine neoplasms. Similarly, 3p21.3 LOH was
found only in gastric (56%) and pancreatic (75%) tumors, being significantly more frequent in malignant (70%) than in
benign (33%) cases.
Conclusions
RASSF1A tumor suppressor gene plays a role in the progression of gastric and pancreatic endocrine neoplasms, but not
in other digestive endocrine tumors, supporting distinct molecular mechanisms in the development of digestive endocrine tumors with different site of origin.
Loss of heterozigosity on chromosome
segments Xq25 and Xq26 in malignant
gastroenteropancreatic endocrine
carcinomas
C. Azzoni, L. Bottarelli, S. Pizzi, T. D’Adda and C. Bordi
Department of Pathology and Laboratory Medicine, University of Parma
Introduction
The X chromosome is involved in the carcinogenesis and
malignant progression of different types of human tumors
and an increasing number of genes potentially involved has
been identified. The aims of this study were: first, to compare
X chromosome loss of heterozigosity (LOH) in low and high
grade gastroenteropancreatic (GEP) endocrine carcinomas;
second, to investigate common regions of deletion harboring
putative tumor suppressor genes potentially involved in these
types of tumors.
Methods
A comparative analysis of LOH on X chromosome was performed on 12 low grade well differentiated (WDECs) and 5
high grade poorly differentiated (PDECs) GEP endocrine
carcinomas. In attempt to identify common regions of deletion the allelotyping analysis was carried out using 24 polymorphic markers covering the whole X chromosome at regular intervals.
Results
Overall, the frequency of LOH on X chromosome in all informative loci investigated was 59%, with a significantly
higher rate in PDECs (69%) than in WDECs (52%),
(p<0.0002). The most numerous losses were observed in the
segment Xq25 with a LOH rate significantly higher in the
small region defined by DXS8059 and DXS8009 markers
(76%) than in the rest of the chromosome (p<0.01). LOH was
also frequently elevated in DXS294 (75%) and in DXS102
(69%) loci localized on region Xq26.
Conclusions
The more aggressive phenotype of PDECs is associated with
more extensive genetic alterations of X chromosome. The allelotyping analysis identified two common chromosomal regions of deletion mapping at Xq25 and Xq26, that harbor tumor suppressor genes potentially involved in tumor progression and aggressiveness. Among them are MEF (Myeloid elf-
COMUNICAZIONI LIBERE
332
1 like factor) and GPC-3 (glypican-3) genes, both located at
Xq26, whose inactivation was already found to be associated
with tumor progression and metastasis in breast, ovarian and
renal carcinomas.
the pancreas and the relationship between staining of
PNUT1l and that of other endocrine markers (chromogranina, synaptophysin) is currently being performed to assess its
potential utility in clinical practice.
PNUT1l (Septin 5): a novel marker of islet cells
and of pancreatic endocrine tumours
Tumore endocrino del pancreas a crescita
intraduttale: descrizione di due casi
G. Capurso*, T. Crnogorac-Jurcevic**, M. Milione***, F.
Panzuto*, B. Annibale*, V. Corleto*, R. Gangeswaran**, N.
Campanini***, C. Bordi***, G. Delle Fave*, N. Lemoine**
P. Capelli*, D. Reghellin*, I. Franceschetti*, R. Loss*, G.
Martignoni**, G. Zamboni*, F. Menestrina*
*
Department of Digestive and Liver Disease, II School of
Medicine, University “La Sapienza, Rome; ** Cancer Research UK, Molecular Oncology Unit, Imperial College
School of Medicine, London, UK; *** Department of Pathology, University of Parma, Parma, Italy
Introduction
PNUT1l (CDCrel1, sept 5) is a member of a family of highly conserved GTPases called septins, and has been demonstrated to coimmunoprecipitate with synaptophysin in human
brain. PNUT1l is believed to play role in exocitosis by regulating vescicle dynamics. Since PNUTl1 is also involved in
serotonin-release in platelets and expressed in secreting organs such as prostate, ovary and testis, its expression and role
in normal and neoplastic pancreatic endocrine cells seem of
interest.
Methods
IHC with an anti-PNUT1l monoclonal antibody (BD transduction laboratories) was performed on paraffin embedded
tissue sections of normal pancreas of 27 PNETs (25 primary,
3 liver metastases). rtPCR, qPCR and western blot (WB)
were performed on rna and proteins extracted from 15 samples (9 primary lesions, 6 liver metastases) from 11 individual NF PNETs patients, from normal pancreas, isolated normal human pancreatic islets, and from 3 human PNET cell
lines (QGP-1, BON, CM).
Results
Both WB and rtPCR suggested preferential expression of
PNUT1l in islets in normal pancreas. IHC demonstrated
staining of all islet cells. A weaker staining was detected in
acinar cells and none in ducts. PNUTl1 expression resulted
increased in PNETs (15/15) compared to isolated islets on
rna level (median increase at qPCR 18.5 times, range 4-100),
but this difference was not evident at a protein level on WB.
PNET cell lines express lower level of PNUT1l rna and protein compared to islets. At IHC all PNETs samples showed
strong positivity without significative difference related to
differentiation, functioning status or site (primary/metastasis).
Conclusion
PNUT1l seems a promising marker of both normal and transformed endocrine cells of the human pancreas. Evaluation of
its expression in normal and transformed endocrine cells of
Anatomia Patologica, Università di Verona e ** Università
di Sassari
Introduzione
La modalità di crescita intraduttale è tipica dei tumori esocrini del pancreas, classificati come neoplasia mucinosa papillare intraduttale (IPMT). Questa lesione viene pertanto facilmente diagnosticata con le indagini radiologiche. Uno sviluppo intraduttale non è mai stato segnalato per le neoplasie
endocrine, che usualmente si presentano come neoformazioni solide ben circoscritte all’interno del parenchima. Descriviamo due casi di tumore endocrino del pancreas con prevalente sviluppo all’interno del dotto di Wirsung.
Metodi
Sono stati rivalutati 184 pezzi operatori di tumore endocrino
del pancreas pervenuti all’Anatomia Patologica dell’Università di Verona dal 1974 fino a maggio del 2004.
Risultati
Si tratta di due pazienti maschi, di 48 e 73 anni rispettivamente, per i quali le indagini radiologiche pre-operatorie avevano suggerito la diagnosi di IPMT. Macroscopicamente, in
entrambi i casi il dotto di Wirsung appariva marcatamente dilatato ed occupato da una neoformazione polipoide solida,
omogenea e di colorito brunastro. La lesione si estendeva al
parenchima pancreatico circostante con aree nodulari. Microscopicamente, le due lesioni mostravano un’architettura
trabecolare ed erano composte da cellule uniformi, di piccole-medie dimensioni, con nuclei rotondi od ovali ed atipia
lieve-moderata. Entrambe le neoplasie presentavano microembolizzazione vascolare e nel secondo caso erano presenti metastasi linfonodali. L’analisi immunoistochimica
(cromogranina A, PGP9.5 e sinaptofisina) aveva confermato
la differenziazione endocrina delle lesioni. La diagnosi è stata in un caso di tumore endocrino ben differenziato, a comportamento biologico incerto, nell’altro di carcinoma endocrino ben differenziato (sec. WHO). Entrambi i pazienti sono
vivi ed in buona salute sette e due anni dopo l’intervento chirurgico.
Conclusioni
Il nostro studio dimostra che i tumori endocrini intraduttali
del pancreas 1) sono rari; 2) devono essere considerati nella
diagnosi differenziale delle neoplasie intraduttali del pancreas; 3) devono essere distinti clinicamente dalla neoplasia
mucinosa papillare intraduttale (IPMT) e istologicamente dal
carcinoma intraduttale.
*
PATHOLOGICA 2004;96:333-337
Patologia feto-placentare
Autopsia feto-neonatale: revisione di due
anni di attività
D. Danieli, P. Catapano*, A. Menin, A. Armani, E.S.G.
D’Amore
U.O. Anatomia Patologica; * U.O. Ostetricia e Ginecologia,
Ulss n° 6 Vicenza
Introduzione
Negli ultimi anni risulta diminuito il numero delle autopsie
negli adulti, mentre rimane costante se non aumentata la richiesta di riscontro diagnostico nei nati morti e nelle morti
perinatali. L’autopsia feto-neonatale ha un ruolo rilevante
nell’identificare le condizioni genetiche e i fattori ostetrici
che hanno determinato la morte e che possono condizionare
le gravidanze successive. Indispensabile risulta tuttavia completare il riscontro diagnostico con l’esame della placenta.
Metodi
Nel periodo 1.1.2002 – 31.12.2003 sono stati eseguiti 95 riscontri diagnostici fetali, completi di indagini macro e microscopiche, corrispondenti al 98% dei casi di MEF avvenute presso l’U.O. di Ostetricia nello stesso periodo. In particolare sono state eseguite 31 autopsie di nati morti dopo la 28a
settimana e 64 autopsie di feti compresi tra la 14a e la 27a settimana. Di tutti questi ultimi è stata inoltre esaminata anche
la placenta, mentre ne sono state esaminate 28 del primo
gruppo.
Risultati
Sono state identificate le seguenti cause di morte: 31 patologie infiammatorie (23 corionamnioniti e 8 placentiti); 16 patologie del cordone (7 giri di cordone, 5 nodi veri, 4 trombosi dei vasi); 17 distacchi di placenta; 10 placente poliinfartuali; 4 trasfusioni feto-fetali; 9 patologia malformativa fetale; 8 causa non definita.
Conclusioni
La definizione della causa di morte dopo riscontro autoptico
ed esame della placenta ha permesso di evidenziare una discrepanza con il dato clinico in circa il 20% dei casi. Sono
state fornite ulteriori informazioni in 6 su 9 casi di patologia
malformativa. L’esame della placenta ha dato un significativo contributo in circa il 40% dei casi: ha confermato la diagnosi in circa il 16% dei casi, mentre ha permesso di definire la causa di morte in circa il 24%. Degli 8 casi non risolti,
6 presentavano avanzati segni putrefattivi senza evidenti lesioni placentari, dei restanti 2 non era stata inviata la placenta per l’esame istologico. L’esiguo numero di malformazioni
repertate dipende dalla mancata esecuzione di aborti terapeutici presso il nostro centro.
Studio morfometrico su 16 resti ossei di feti
abortiti: limiti operativi e ruolo del patologo
nel definire la concordanza tra età dichiarata
ed età ossea effettiva. Implicazioni medicolegali
V. Arena*, F. De Giorgio**, S. Sioletic*, G. Monego***, D.
De Mercurio**, V.L. Pascali**, A. Capelli*
*
Istituto di Anatomia Patologica; ** Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni; *** Istituto di Anatomia Umana e
Biologia Cellulare, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Introduzione
Le difficoltà riscontrate nell’osteologia forense, accompagnate da un non paritario sviluppo delle conoscenze nell’ambito dell’osteologia fetale, suggerisce la necessità di trovare
metodi pratici per la normale routine anatomo-patologica, ma
soprattutto metodi che siano sensibili a cogliere le variazioni
morfologiche in relazione ai trascorsi patologici del feto.
Questo l’obiettivo del nostro studio, effettuato su resti ossei
di 16 feti abortiti.
Metodi
Lo studio è stato condotto sui resti ossei di 16 feti (9M-3F-4
non dichiarati) abortiti e riesumati a scopo medico-legale.
Per ogni feto è stato effettuato un radiogramma in proiezione anteroposteriore che servisse da controllo durante le operazioni necroscopiche. Dopo aver valutato macroscopicamente la eventuale presenza di malformazioni, tramite calibro millimetrico si è proceduto alla misurazione della lunghezza delle ossa lunghe degli arti e delle dimensioni (lunghezza e larghezza) delle squame frontali, occipitali e parietali.
Per valutare l’età ossea si è fatto ricorso alle Tabelle di Kazekas & Kosa. Si è infine proceduto al confronto dell’età ossea dichiarata clinicamente con l’età ricavati dalla suddetta
tabella.
Risultati
In 5/16 feti non sono state trovate malformazioni osteoscheletriche e i dati morfometrici mostravano concordanza
tra il valore da noi ottenuto e quello dichiarato dai medici
curanti. In 11/16 si sono riscontrate malformazioni osteoscheletriche primitive o secondarie a patologia (4 idrocefalie; 3 acondroplasie; 2 emimelie sx; 1 spinabifida; 1 DandyWalker Syndrome). Confontando l’età ossea con quella clinica nei feti malformati si è potuto apprezzare una discordanza notevole (dal 5% al 35-40%) specie per i casi di
acondroplasia.
Conclusioni
L’eterogenità dalla patologia ostetrica e fetale malformativa pone dei limiti considerevoli all’utilizzo delle tabelle di
Kazekas & Kosa specie nei casi in cui la patologia sottostante determina un ritardo nei processi di ossificazione
delle ossa lunghe. Tali tabelle sono infatti sempre riferite a
feti normali e non vi è mai accenno ad eventuali patologie
intercorrenti. L’assenza in letteratura di studi in merito
suggerisce la necessità di volgere l’attenzione a tale problematica al fine di dare un contributo all’osteologia fetale
e forense.
COMUNICAZIONI LIBERE
334
Sindrome del funicolo corto: descrizione
di un caso
A. Caldarella, E. Periti*, M. Doria, S. di Lollo
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; * Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Medicina della Riproduzione, Università di Firenze
Introduzione
La terza settimana di gestazione è caratterizzata dall’insorgenza a livello fetale delle incisure cefalica, laterale e caudale che determinano le suddivisioni del corpo embrionario; fra
queste anche la separazione fra l’epitelio celomatico intraembrionale, che costituirà la cavità peritoneale, e l’epitelio
celomatico extraembrionale, precursore della cavità corionica. Alterazioni in questo processo possono portare ad anomalie della parete addominale fetale che comprendono sia situazioni gravi come la sindrome del funicolo corto sia evenienze più lievi quali un onfalocele 1.
Descrizione del caso Una donna primigravida di 30 anni al primo trimestre di una gravidanza gemellare monocoriale viene
sottoposta ai comuni esami di controllo: l’ecografia suggerisce
la presenza di una patologia malformativa a carico del funicolo ombelicale e della cavità addominale, confermata dai successivi accertamenti. Viene effettuata l’interruzione terapeutica di gravidanza alla 15 settimana e i feti vengono sottoposti,
con il materiale placentare, ad esame autoptico.
L’esame macroscopico evidenzia una fusione colon-colica e la
dislocazione dei due abbozzi dell’intestino tenue all’interno di
una corta struttura similfunicolare. In uno dei due feti è documentabile dilatazione vescicale. In entrambi i feti l’ano risulta
imperforato e il sesso non definibile per assenza dei genitali interni. La placenta mostra aree limitate di ipoplasia dei villi placentari. Viene posta la diagnosi di body stalk sindrome.
Discussione
La sindrome del funicolo corto è caratterizzata da un esteso
difetto della parete addominale con protrusione dei visceri ed
assenza di una vera struttura funicolare. Sono talora associati difetti a carico del tubo neurale, atresia intestinale, malformazioni genitourinarie, anomalie della parete toracica, scoliosi e difetti craniofaciali. Questa anomalia, praticamente letale, viene generalmente diagnosticata attraverso l’esame
ecografico prenatale e presenta una incidenza pari a 0,32 su
100.000 nascite ma, secondo alcuni autori, la sua prevalenza
fra le gravidanze del primo trimestre è di 1:7500, suggerendo il suo coinvolgimento in un numero considerevole di
aborti del secondo trimestre 2.
Bibliografia
1
Daskalakis G, Pilalis A, Papadopoulos D, et al. Body stalk anomaly
diagnosed in the 2nd trimestre. Fetal Diagn Ther 2003;18:342-344.
2
Kahler C, Humbsch K, Schneider U et al. A case report of body stalk
anomaly complicating a twin pregnancy. Arch Gynecol Obstet
2003;268:245-247.
“Appendice“ feto-placentare:
gravidanza gemellare con feto papiraceo
G. Gambacorta, M. Gallorini, L. Presenti, F. Zolfanelli
Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale S. Giovanni di
Dio, Firenze
Dalla letteratura emerge che le gravidanze monozigoti monocoriali (64-85% delle gravidanze monozigoti) hanno un
più alto rischio di morte fetale prima della 24a settimana di
gestazione, un aumento della morbilità perinatale o di parto
prematuro rispetto alle gravidanze multiple bicoriali. Il rischio maggiore ha importanti implicazioni per il management ostetrico e non sembra riconducibile a fattori estranei o
materni ma strettamente correlato al processo stesso che porta alla gravidanza multipla monozigotica. Tra i meccanismi
patogenetici postulati responsabili della morte fetale si prospetta una aberrazione cromosomica od altra anomalia letale
per un feto con elevato rischio di morte per entrambi i gemelli per la peculiare condizione circolatoria feto-fetale; un
altro meccanismo ipotizzato è la tromboembolizzazione che
si determinerebbe nel feto sopravvissuto in seguito al rilascio
di proteine tromboplastiche che dal gemello morto vengono
a lui trasferite tramite anastomosi vascolari: nel gemello sopravvissuto si instaura una CID che porterà a danni ischemici prevalentemente cerebrali ma anche intestinali, renali e cutanei fino alla morte.
Le differenti tipologie di gemellarità che possono determinare morte intrauterina del feto sono riconducibili ai casi di feto nel feto, le chimere, i gemelli siamesi, la sindrome del gemello scomparso ed il feto papiraceo, patologie rare e talvolta misconosciute anche per un incompleto esame della placenta, vedi il caso di feto papiraceo compreso nel parenchima. Illustriamo un caso di gravidanza gemellare monocoriale complicata da feto papiraceo con morte intrauterina di entrambi i feti. Il termine papiraceo indica da solo le modificazioni abiotico-trasformative cui vanno incontro, mummificando, i tessuti del feto. Il caso è relativo a giovane donna di
18 anni in cui una ecografia di controllo alla 19a settimana di
gestazione rivelava morte fetale intrauterina con presenza di
“appendice” feto-placentare. All’esame autoptico si documenta feto di sesso maschile della lunghezza cranio-calcaneare di 15 cm; lungo il decorso del funicolo ombelicale, collegato all’unica placenta si dipartiva un secondo funicolo filiforme con feto papiraceo della lunghezza di 3 cm.
L’interesse del caso non sta solo nella suggestiva eziopatogenesi ma anche nella difficoltà della diagnosi ecografica in riferimento al difficile riconoscimento di parti fetali così modificate e di così raro riscontro.
Il mesenchimoma placentare
A. Caldarella, G.L. Taddei, A.M. Buccoliero, M. Biancalani*, M. Filippeschi**, D. Moncini*
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze; * U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica,
USL 11 Empoli; ** U.O. Ginecologia e Ostetricia, USL 11
Empoli
Introduzione
I tumori del mesenchima placentare sono caratterizzati dalla
presenza di proliferazione a carico sia della componente vascolare che di quella stromale. Il tipo di cellula predominante ha dato origine all’utilizzo di vari eponimi quali emangioma, angioma, corangioma, mesenchimoma o fibroma. Il tumore di gran lunga più frequente rimane comunque il corangioma, caratterizzato da una preponderanza della componente vascolare su quella stromale, mentre altri tipi quali il fibroma risultano pressoché assenti in gran parte delle casistiche 1.
Descrizione del caso Una donna primigravida di 27 anni alla 35+2 settimana di gravidanza viene sottoposta a taglio
cesareo per epatogestosi recentemente insorta. Il parto non
PATOLOGIA FETO-PLACENTARE
presenta complicazioni e nessuna anomalia è riscontrata a
carico del neonato né della madre nel periodo immediatamente successivo. La placenta, con un diametro di 13 cm e
un funicolo di 21 cm, viene esaminata macroscopicamente,
rivelando al taglio una area brunastra del diametro di 2 cm,
caratterizzata, all’esame istologico, da una diffusa proliferazione capillare nell’ambito di uno stroma fibromixoide,
talora raccolto in setti o isole connettivali. L’area, a sede
sottocoriale, è ben delimitata dal tessuto placentare circostante e comprende al suo interno vasi di medio calibro con
ispessimento della tunica media per la deposizione di materiale fibrinoide. Il circostante tessuto placentare mostra uno
sviluppo dei villi compatibile con l’età gestazionale. Nessuna alterazione risulta documentabile a livello delle membrane né del funicolo.
Discussione
I tumori placentari mesenchimali comprendono entità ben
descritte quali la corangiosi, caratterizzata da proliferazione
vascolare, prevalentemente di tipo capillare o sinusoidale, in
un contesto connettivale molto scarso 2. Più raramente lo
stroma placentare risulta rappresentato in maniera eclatante,
con la presenza di piccoli vasi dispersi in un connettivo spesso di tipo fibrillare, talora fibroso, a costituire i cosiddetti
mesenchimomi o forme di transizione fra questì ultimi e i corangiomi, che rappresentano il 2% di tutti i tumori vascolari
placentari. Le dimensioni della neoformazione e la presenza
di connessioni vascolari con la circolazione fetale determinano l’eventualità di ripercussioni sulla gravidanza e sul feto,
causando alterazioni nel flusso ematico e l’insorgenza di
trombosi.
Bibliografia
1
Shanklin D. Chorangiomas and other tumors. In: Lewis SH, Perrin E
(eds) Pathology of the placenta. Churchill Livingstone, 1999.
2
Caldarella A, Buccoliero AM, Taddei GL. Chorangiosis: report of three cases and review of the literature. Path Res Pract
2003;199(12):847-50.
Fistola coronaro-atriale destra in feto morto
in utero con emangiomatosi diffusa:
presentazione di un caso
G. Botta, M. Volante*, P. Gaglioti**, E. Chiappa***
Servizio di Anatomia Patologica; *** Divisione di Cardiologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera OIRM S. Anna, Torino;
*
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana;
**
UMF Dipartimento di Discipline Ostetrico Ginecologiche,
Università di Torino
Introduzione
Tra le malformazioni cardiache riscontrabili durante la vita
endouterina, le fistole coronariche sono una evenienza estremamente rara e di difficile diagnosi ecografica prenatale; non
vi sono in letteratura casi di fistole coronaro-atriali che abbiano causato morte endouterina fetale. Alla nostra osservazione è giunto un feto di sesso femminile morto in utero alla
29a settimana con diagnosi ecografica di fistola coronarica
destra ad alta portata.
Metodi
Il feto in oggetto è stato sottoposto ad autopsia asssociata con
esami complementari (Rx in due proiezioni e cariotipo colturale). Gli organi toraco-addominali e l’encefalo sono stati
prelevati in toto. Il cuore è stato fissato in toto in metacarn e
successivamente esaminato. Un’ampia documentazione foto-
335
grafica digitale macroscopica, microscopica e delle immagini ecografiche è stata raccolta.
Risultati
All’esame esterno è stata osservata la presenza di numerose
lesioni cutanee, non diagnosticate in utero ed istologicamente identificate come angiomi sia di tipo capillare sia cavernoso, diffuse a tutto il corpo, la maggiore delle dimensioni di 2
cm. All’esame interno si è osservata la presenza di versamenti trasudatizi pleurico, pericardico e peritoneale; si è osservata lieve cardiomegalia, particolarmente a carico delle
cavità destre. La coronaria destra ha mostrato calibro notevolmente aumentato con presenza di fistole multiple con l’atrio destro, che presentava una area di scollamento dello strato sottoendocardico in corrispondenza dello sbocco delle fistole. L’esame microscopico ha rilevato la presenza di numerose formazioni angiomatose viscerali intraparenchimali a
carico di polmone, milza e pancreas. L’encefalo e i restanti
organi non hanno mostrato alterazioni macro o microscopiche. L’anamnesi familiare ha escluso la presenza di soggetti
con angiomatosi o cardiomiopatie. Il caso è stato comunque
inviato in consulenza genetica.
Conclusioni
In base ad una revisione della letteratura, il caso qui presentato rappresenta la prima evidenza di associazione tra
emangiomatosi diffusa fetale e fistola coronaro-atriale, con
conseguente morte endouterina. Pertanto, sebbene non si
possa escludere una associazione casuale, in caso di emangiomatosi diffusa fetale con morte endouterina del feto occorre uno studio accurato del cuore per escludere la presenza di una eventuale fistola coronarica altrimenti misconosciuta.
Descrizione di due casi familiari di idrope
fetale non immune dovuti a linfangiectasia
polmonare congenita
V. Arena*, E. Tabolacci**, E. Stigliano*, C. Maggiore*, F.
Castri*, A. Capelli*
*
Istituto di Anatomia Patologica; ** Istituto di Genetica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
Nel corso degli ultimi anni la quasi completa scomparsa della malattia emolitica feto-neonatale da incompatibilità Rh ha
fatto volgere l’attenzione alle cause di idrope fetale non-immunologiche; infatti nel 15-20% l’etiologia resta ignota. Frequenti sono riscontri diagnostici di feti idropici, talora macerati, con diagnosi di idrope non immune, della cui etiologia si
è chiamati a rispondere. Segnaliamo due casi familiari di
idrope fetale non immunologica in due gravidanze avvenute
a distanza di 6 anni la cui causa è stata identificata nella linfangiectasia polmonare congenita (LPC).
Metodi
L’anamnesi ostetrica è identica per entrambe le gravidanze
(1998 e 2004); sesso maschile, parto alla XXIX settimana di
gestazione e morte poco dopo la nascita; clinicamente si segnalava chilotorace. All’esame esterno la facies appariva
asimmetrica, con impianto basso dei padiglioni auricolari,
piede torto bilaterale, ipoplasia medio-faciale e collo corto.
Veniva altresì segnalato marcato edema a mantellina con localizzazione a livello del tronco e degli arti superiori. Gli organi interni mostravano uno sviluppo conforme all’età gestazionale; in entrambi i casi si documentava l’assenza di
COMUNICAZIONI LIBERE
336
malformazioni cardiache e del ritorno linfatico. Si è proceduto con i prelievi standard dei riscontri autoptici di neonati
pretermine.
Risultati
Istologicamente si è confermata l’immaturità multiorgano. A
livello polmonare si è potuta apprezzare una ectasia dei vasi
linfatici subpleurici, perivascolari, settali (conferma immunoistochimica per strutture linfatiche ottenuta con anticorpi
anti-CD9, anti-podoplanina e anti CD34). Singolare è stato
poi il reperto, nel testicolo destro del secondo feto, di un tumore a cellule della granulosa “juvenile-type”. I rispettivi
tessuti placentari presentavano villi idropici. La diagnosi definitiva in entrambi i casi è stata di idrope fetale non immunologica da LPC, ipotizzando peraltro una possibile associazione con una Sindrome di Hennekam.
Conclusioni
La LPC costituisce una rara causa di idrope fetale. L’occorrenza familiare è molto rara essendo riportati solo due casi
negli ultimi 15 anni 1-2. Il caso da noi descritto è suggestivo
per una diagnosi di LPC e l’identità clinica e morfologica fa
porre il sospetto che ci si possa trovare di fronte ad un fenotipo particolare di Sindrome di Hennekam con presentazione
severa endouterina.
Bibliografia
1
Scott-Emuakpor AB, et al. Am J Dis Child 1981;135:532-534.
2
Njølstad PR, et al. Eur J Ped 1998;157:498-501.
Espressione genica della via p53/HGF/cmet/STAT3 nei feti con malformazioni del
sistema nervoso
M. Trovato1, M. D’Armiento2, L. Lavra3, A. Ulivieri3, N.
De Stefano3, R. Dominici4, F.S. Zeppetella Del Sesto2, M.
Grosso1, R. Vecchione2, G. Barresi1, S. Sciacchitano3-5
1
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina; 2
Dipartimento di Scienze Biomorfologica e Funzionale, Sezione di Anatomia Patologia, Università di Napoli Federico
II; 3 Centro di Ricerca, Ospedale S. Pietro Fatebenefratelli,
AFaR, Roma; 4 Istituto di Neurobiologia, Medicina Molecolare, CNR, Roma; 5 II Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Ospedale S. Andrea, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione
Il segnale HGF/c-met/STAT3 riveste un ruolo rilevante nei
processi di morfogenesi cellulare e di organogenesi. La carente espressione proteica di questi fattori, riscontrata nelle placente dei feti umani malformati rispetto a quelli normoconformati, suggerisce un loro ruolo nella genesi delle malformazioni, anche se non si conosce del tutto la loro espressione negli
organi malformati. La p53 regola diverse funzioni cellulari tra
cui la proliferazione ed il differenziamento, ma non è chiaro il
suo ruolo nell’organogenesi. Un suo effetto stimolatorio sulla
trascrizione dei geni HGF e c-met è stato dimostrato nel topo.
Obiettivo del nostro studio è quello di valutare le espressioni
di mRNA per HGF, c-met e STAT3 in placente ed organi di feti con malformazioni del SN per individuare, in ciascun organo, il pattern di espressione di questa via correlandolo con la
specifica malformazione. Inoltre, l’espressione di questi fattori viene correlata con quella di p53.
Metodi
Dall’archivio della nostra casistica di materiale congelato,
sulla base di una mappa cromosomica priva di anomalie, so-
no stati selezionati 4 feti con malformazioni del sistema nervoso (SN) ma con polmoni e reni normo-conformati, nati
morti fra la 16a e la 28a settimana di gestazione. RNA totale
è stato estratto da frammenti di placenta, SN, polmone e rene per ciascun feto e successivamente analizzato mediante
Reverse Transcriptase PCR utilizzando specifici oligonucleotidi per p53, HGF, c-met e STAT3.
Risultati
In 4/4 (100%) dei feti sono stati osservati livelli di espressione genica ridotti o totalmente assenti di p53, HGF, c-met e
STAT3 nel SN malformato con analoghi risultati nella placenta ad eccezione dell’HGF che risultava espresso in 3/4.
Nei polmoni e nei reni, privi di malformazioni, i livelli di
espressione di p53, HGF, c-met e STAT3 risultavano elevati
in tutti i casi, con l’eccezione di HGF che nei tessuti renali risultava espresso solo in 1/4.
Conclusioni
Le malformazioni del SN sono caratterizzate da bassi livelli
di espressione genica di HGF, c-met e STAT3 correlati direttamente all’assenza di espressione di p53. Tale comportamento è stato riscontrato anche a livello placentare con riduzione dei livelli di p53 nonché di HGF, c-met e STAT3. La
correlazione fra p53 e la via HGF/c-met/STAT3 può essere
valutata nella placenta al fine di trarre indicazioni su possibili malformazione del SN fetale.
Malformazione adenomatoide cistica
polmonare tipo II. Descrizione di un caso e
revisione della letteratura
A. Salerno
Servizio di Anatomia Patologica Citodiagnostica e Citogenetica, AUSL Cesena
Introduzione
La malformazione adenomatoide cistica congenita è stata interpretata come una anomalia dello sviluppo polmonare che ha
origine da una eccessiva crescita dei bronchioli respiratori terminali. L’alterazione può essere imputata a un disturbo locale
dei fattori di crescita che modulano lo sviluppo del polmone.
Nel corso dell’organogenesi si richiede un equilibrio tra apoptosi e proliferazione cellulare per il rimodellamento tissutale e
una corretta ramificazione epiteliale. In letteratura sono riportati un’aumentata proliferazione cellulare e una diminuita
apoptosi in questi casi rispetto al tessuto polmonare normale di
feti della stessa età gestazionale. Questa malformazione può
essere bilaterale e interessare tutto il tessuto polmonare oppure, più frequentemente, essere limitata a un solo polmone o a
un unico lobo. La classificazione più recente comprende 5 tipi
di malformazione adenomatoide cistica congenita (MACC).
La prognosi di queste lesioni è oggi quanto mai varia in ragione del tipo di MACC, della sua estensione, della sua evoluzione e della terapia chirurgica. Sono stati riportati anche casi che
in seguito hanno sviluppato carcinoma bronchioloalveolare (tipo I) e blastoma pleuropolmonare (tipo IV).
Metodi
È stato studiato un caso autoptico di MACC per interruzione
di gravidanza a seguito di diagnosi ecografica alla 20 + 5 settimana di amenorrea.
Risultati
L’esame autoptico ha dimostrato una malformazione adenomatoide cistica interessante quasi completamente il polmone
destro, con spostamento del mediastino.
PATOLOGIA FETO-PLACENTARE
Al microscopio ottico il tessuto polmonare, di aspetto spugnoso contiene cisti di dimensioni inferiori o pari a 1 cm di
diametro. Nell’ambito della lesione non è presente cartilagine, il rivestimento epiteliale delle cisti è cuboidale-cilindrico
con ciglia, senza cellule mucose. In base a queste osservazioni è stata posta la diagnosi di MACC di tipo II.
337
Conclusioni
L’esame autoptico di queste malformazioni, anche se già ben
documentate attraverso le indagini prenatali, è utile in quanto può permettere di classificare meglio il tipo di lesione e di
correlare i dati auxometrici e istologici con dati di riferimento normale e può fornire il modello biologico per lo studio di
alcune neoplasie polmonari.
PATHOLOGICA 2004;96:338-346
Patologia ginecologica
Expressionary data from tissue microarray
experiments: analysis and graphical
representation
D. Di Vizio1, F. Demichelis2, R. Dell’Anna2, A. Sboner2,
D. Aldovini3, P. Dalla Palma3, S. Brugnara4, A. Ferro4, E.
Galligioni4, C. Arcuri4, A. Lucenti4, B. Zeni5, G. Mazzoleni6, C. Graiff7, C. Griso8, M. Zannoni8, C. Pegoraro8, A.
Iannucci8, C. Doglioni9, M. Barbareschi3
1
Department of Medical Oncology, Dana-Farber Cancer
Institute, Harvard Medical School, Boston, USA; 2
Bioinformatics Group, SRA, ITC/irst, Trento; 3 Department
of Histopathology; 4 Medical Oncology; 5 Gynecological
Surgery, Santa Chiara Hospital, Trento; 6 Department of
Histopathology; 7 Medical Oncology, San Maurizio Hospital, Bolzano; 8 Department of Histopathology and Medical
Oncology, Borgo Trento Hospital, Verona; Department of
Histopathology; 9 Department of Histopathology, S. Raffaele Hospital, Milano
Introduction
Large scale experiments may take advantage from technological support in gathering and handling data to enhance reliable further data analysis. Data quality is definitely a crucial
issue.
To address these purposes we designed and constructed an
integrated web system (https://bioinfo.itc.it/TMA) to handle
Tissue Microarray (TMA) data experiments 1, exploiting digital pathology 2 to automate data collection. Our efforts are
now voted to data analysis. We present two TMA datasets
highlighting two different aspects related to TMA experiments approach: i. investigations on a set of about 10 markers on ovary dataset, aimed both to analyse ovarian gene profiles and intra-markers correlations and to improve the predicting power of the prognostic model; ii. analysis of automated evaluation of expression of immunohistochemical
markers in a series of breast carcinoma cases compared to
pathologist’s evaluation and survival.
Material and methods
The first dataset consists of 126 ovarian cancers (82 serous
papillary, 12 endometrioid, 13 clear cell, 13 indifferentiated,
6 mucinous) with a set of immunohistochemical markers.
Descriptive analysis of the expressionary dataset was performed using graphical heat map and hierarchical agglomerative clustering. The second dataset is made by 158 breast
cancers stained with Herceptest®, evaluated both by pathologists and by the image analysis procedure. All the data have
been collected through our web system.
Results
We identified a set of significant prognostic markers for
ovarian cancer. We qualitatively analysed sample similarities
on the basis of their gene patterns, looking at the natural
groups identified by the clustering algorithm. Automated
analysis values on breast cancers were correlated with the
pathologists’ readings and allowed to stratify patients with
different survival.
Conclusions
The integrated web system linked to the automatic acquisition environment allows efficient and reliable data collection for TMA experiments. In particular it enhances interinstitutes collaboration and automated data collection,
which speeds up experiments and minimizes errors. TMA
allows to evaluate and identify in a relatively short time
marker sets with prognostic significance. Objectivity and
continuous nature of automated evaluation of immunohistochemical markers suggest their massive usage in expressionary studies.
References
1
Barbareschi M, et al. Analytical Cellular Pathology 2002;24:181-231.
2
Demichelis F, et al. Virchow Arch 2002;441:159-164.
Aberrant hypermethylation in ovarian cancer
screening
G. Deftereos1, F. Sanguedolce1 , Q.H. Feng2, C. Drescher3, N.Urban3, G. Guanti4, G. Cormio5, L. Selvaggi5, N.
Resta4, L. Resta1, N. Kiviat2
1
DAPEG, Department of Pathology and Genetics, University
of Bari, Italy; 2 University of Washington; 3 Fred Hutchinson
Cancer Research Center Seattle WA USA; 4 Department of
Internal and Public Medicine; 5 Department of General and
Specific Surgery, University of Bari, Italy
Introduction
While most ovarian cancers are diagnosed at an advanced
stage and have poor 5 year survival, ovarian cancer is potentially curable if diagnosed when localized. Biomarkers for
early detection of ovarian cancer in the general population
are not currently available. We hypothesize that a panel of
promoter hypermethylated genes might serve as the basis of
screening in the general population for early stage ovarian
cancer.
Methods
Bisulfite modification and methylation specific PCR was
used to examine ovarian cancer (N=74), ovarian tumors of
low malignant potential (N=54) and normal ovarian tissues
(N=27) obtained from women in Seattle Washington USA.
The methylation status of CpG15G2, Eralpha, MINT31,
APC, hTR, CDH1, RASSF1, HCAD, BRCA1, HIC1,
MINT25, RAR-b, SYK, C-erbB02, P15, RIZ1, hMLH1, P73
new, Dap_k , TES, GSTP1, Survivin_new, and P16, was determined.
Results
ROC curves showed that a panel of BRCA1, RASSF1,
MINT25, MINT31, CDH1, Hcad, HIC1 and hMLH provided
a sensitivity of over 70% sensitivity and specificity for malignant ovarian cancer. The utility of this panel of genes was
next confirmed in an independent sample of normal and malignant ovarian tissues from women in Bari Italy.
Conclusions
This study supports the hypothesis that detection of aberrant
hypermethylation may have potential for ovarian cancer
screening. Further blood based studies are now indicated.
PATOLOGIA GINECOLOGICA
339
Espressione del c-kit nel carcinoma ovarico:
analisi immunoistochimica e correlazione con
la chemioresistenza
M.R. Raspollini*, F. Castiglione*, F. Garbini*, G. Amunni**, A. Villanucci**, G. Baroni*, G.L. Taddei*
*
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; ** Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Medicina della Riproduzione, Università di Firenze
Studi recenti hanno dimostrato che diversi tumori esprimono
il growth factor receptor con attività tyrosine kinasica chiamato c-KIT 1; inoltre, risultati clinici hanno dimostrato l’efficacia di un inibitore della tyrosine kinase, il STI571, nei tumori stromali gastrointestinali (GISTs) c-KIT positivi 2. Lo
scopo di questo studio è stato quello di determinare l’incidenza e la correlazione con la chemioresistenza dell’espressione del c-KIT nel carcinoma ovarico in stadio avanzato sia
nel tipo sieroso a basso grado di differenziazione, sia nel carcinoma ovarico a cellule chiare.
Abbiamo eseguito un’analisi immunoistochimica su 60 casi
di carcinoma ovarico di tipo sieroso e su 7 casi di carcinoma
a cellule chiare.
Abbiamo osservato una intensa espressione del c-KIT nel
52,2% dei casi. Inoltre, abbiamo dimostrato che la presenza
del c-KIT è correlata con la progressione di malattia durante
la chemioterapia di prima linea (P = 0,039).
Questa analisi, che riporta la over-espressione del c-KIT anche nel carcinoma ovarico, suggerisce la necessità di studi
clinici che dimostrino l’utilità di un inibitore della tyrosine
kinase, il STI571, nella terapia delle pazienti con carcinoma
ovarico in stadio avanzato con espressione del c-KIT, quando queste pazienti non mostrano nessuna risposta clinica alla
chemioterapia convenzionale.
Bibliografia
1
Rak Choi Y, et al. Cancer Res 2003;63:2188-2193.
2
Joensuu H, et al. N Engl J Med 2001;344(14):1052-1056.
secondo gruppo comprende pazienti decedute per malattia
entro 2 anni dal primo trattamento.
L’over-espressione di BCL-2 è statisticamente correlata con
la progressione della malattia durante il primo ciclo di chemioterapia (P = 0,021, secondo la regressione logistica). Lo
stato di HER-2/neu non è correlato con la progressione della
malattia durante il primo ciclo di chemioterapia. L’amplificazione genica di HER-2/neu sul cromosoma 17 è stata dimostrata in tutti i carcinomi ovarici HER-2/neu positivi (3+ score). In nessuno dei casi analizzati è stata riscontrata la presenza della traslocazione t (14;18)(q32;q21) del gene bcl-2.
Il carcinoma sieroso, il più frequente tumore ovarico maligno, è generalmente diagnosticato in stadio avanzato e il tasso di sopravvivenza è basso. Una significativa frazione di pazienti con cancro ovarico avanzato mostra periodi remissione di malattia sempre più brevi dopo ogni ulteriore ciclo di
trattamento.
La conoscenza di un fattore prognostico aggiuntivo o perfino
predittivo, come l’espressione di BCL-2, in pazienti con carcinoma ovarico avanzato, prima del trattamento chemioterapico di prima linea, può aiutare nella gestione di quei casi che
richiedono un trattamento più aggressivo. In aggiunta l’amplificazione di HER-2/neu suggerisce che HER-2 sia un potenziale target anche nel trattamento del carcinoma ovarico.
Bibliografia
1
Kupryjanczyk J, et al. Br J Cancer 2003;88:848-854.
2
Slamon DJ, et al. Science 1987;235:177-182.
3
Raspollini MR, et al. Int J Gynecol Cancer. In press
4
Di Saia PJ, et al. Gynecol Oncol 2003;S24-S32.
Densità microvascolare intratumorale (MVD)
nel carcinoma ovarico: analisi
computerizzata in pazienti con breve e lunga
sopravvivenza
M.R. Raspollini*, F. Castiglione*, F. Garbini*, G. Amunni**, A. Villanucci**, G. Baroni*, V. Boddi***, G.L. Taddei*
*
HER-2/neu e bcl-2 nel carcinoma ovarico.
Studio clinico-patologico, immunoistochimico
e molecolare in pazienti con breve e lunga
sopravvivenza
F. Castiglione , M.R. Raspollini , D. Rossi Degl’Innocenti*, F. Garbini*, G. Baroni*, M. Paglierani*, G. Amunni**,
A. Villanucci**, G.L. Taddei*
*
*
*
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; ** Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Medicina della Riproduzione, Università di Firenze
BCL-2 è una proteina di membrana coinvolta nella regolazione della morte cellulare in quanto inibisce l’apoptosi 1. Il
gene her-2, localizzato sul cromosoma 17, codifica per il recettore del “tyrosine-kinase growth factor”. Il gene her-2 è
amplificato e HER-2/neu è overespressa dal 25% al 30% dei
carcinomi mammari aumentandone l’aggressività 2.
Lo scopo di questo studio è l’analisi dell’espressione della
proteina BCL-2 e del gene bcl-2 e l’analisi dell’over-espressione e dell’amplificazione di HER-2/neu nei carcinomi ovarici sierosi G3, stadio FIGO IIIC, in 2 gruppi di pazienti. Il
primo gruppo comprende pazienti in vita che non mostrano
segni evidenti di malattia 5 anni dopo il primo trattamento. Il
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; ** Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Medicina della Riproduzione; *** Dipartimento di Sanità Pubblica, Università
di Firenze
Abbiamo precedentemente riportato che la densità microvascolare intratumorale (MVD) ha un significato prognostico
nel carcinoma ovarico 1. Lo scopo di questa analisi è stato di
confrontare la MVD con un’analisi computerizzata nel carcinoma ovarico sieroso, G3, stadio FIGO IIIC, di 23 pazienti
viventi libere da malattia cinque anni dopo il trattamento primario, con la MVD nel carcinoma ovarico di 10 pazienti,
omologhe per stadio, istologia, grado di differenziazione e
trattamento, morte per progressione di malattia entro un anno dopo l’intervento primario.
Abbiamo osservato che la MVD è correlata, secondo la regressione logistica (univariata e multivariata), con la sopravvivenza (P = 0,03 e P = 0,05, rispettivamente) e con la progressione della malattia durante la chemioterapia di prima linea (P = 0,009 e P = 0,012, rispettivamente).
Negli ultimi anni, la modulazione della chemioterapia di prima linea è questione di dibattito, dal momento che gli oncologi osservano, in pazienti con pari stadio di malattia e uguale trattamento, diversi comportamenti biologici con lunghe e
corte sopravvivenze 2. L’esame istopatologico, con l’ausilio
di indagini immunoistochimiche e molecolari, può indicare
340
ai clinici gli elementi prognostici utili nella gestione delle pazienti con carcinoma ovarico. I risultati di questo studio supportano l’ipotesi che la valutazione della MVD con una analisi computerizzata possa aiutare nella scelta di trattamenti
personalizzati al singolo caso.
Bibliografia
1
Ali S, et al. Int J Gynecol Cancer 1993;3:1-11.
2
Slamon DJ, et al. Science 1987;235:177-182.
P53 e Bax nei carcinomi sierosi ovarici
avanzati: esperienza monoistituzionale su 41
casi
C. Di Cristofano, M. Zavaglia, L. Giusti, G. Bertacca, M.
Menicagli, S. Cosio*, A. Gadducci*, G. Bevilacqua, A. Cavazzana
Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda
Ospedaliera Pisana; * Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Divisione di Ginecologia ed
Ostetricia, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana
Introduzione
Mutazioni del gene p53 e l’instabilità microsatellitare, il cui
bersaglio è il gene Bax, sono implicate nella chemioresistenza
ai regimi comprendenti composti basati sul platino nel carcinoma ovarico, mentre l’apoptosi mediata dai taxani è p53 indipendente. Recenti osservazioni suggeriscono la validità dell’approccio combinato platino-taxani nei casi p53 mutati. Queste preliminari osservazioni necessitano di ulteriori conferme.
Scopo
Verificare il significato predittivo e prognostico dello stato
del gene p53 e del gene Bax in pazienti con carcinoma ovarico sieroso avanzato.
Metodi
Abbiamo valutato retrospettivamente 41 casi consecutivi di
carcinoma ovarico di tipo sieroso in stadio FIGO III/IV, sottoposti a chirurgia citoriduttiva primaria seguita da regime di
chemioterapia comprendente taxolo 175 mg/mq (infusione 3
ore) e carboplatino AUC5-6 ogni 3 settimane per 6 cicli.
Campioni tumorali pre-trattamento sono stati analizzati sia
per la presenza di mutazioni a carico del gene p53 che per
anomalie del gene Bax. Gli esoni 4-5-6-7-8-9 del gene p53 e
la ripetizione G8 nell’esone 3 del gene Bax sono stati analizzati mediante sequenziamento diretto.
Risultati
L’età mediana delle pazienti era 55 anni (range 39-73 anni);
la malattia residua macroscopica dopo prima chirurgia era:
assente in 12 pazienti, ≤ 2 cm in 14 pazienti e > 2 cm in 15
pazienti. Il 41,5% (17/41) dei casi risultano mutati per p53 (4
mutazioni nell’esone 5, 3 nel 6, 5 nel 7 e 5 nell’8). 14 casi
(34,1%) erano polimorfici nell’esone 4 del gene p53. Nessuna anomalia fu riscontrata nel gene Bax. Una risposta alla
chemioterapia è stata documentata in 12 (70,6%) delle pazienti con mutazione p53 e in 17 (70,8%) delle pazienti con
p53 normale o polimorfico nell’esone 4. Le pazienti con mutazione del gene p53 hanno dimostrato tuttavia una tendenza
ad una peggiore sopravvivenza libera da progressione (mediana 19,6 mesi versus 38,4 mesi, p = 0,17) e ad una peggiore sopravvivenza globale (mediana 45,4 mesi versus non raggiunta, p = 0,14) rispetto a quelle con p53 normale o con polimorfismo dell’esone 4.
COMUNICAZIONI LIBERE
Conclusioni
Nei carcinomi sierosi ovarici in stadio avanzato, l’aggiunta
del taxolo al carboplatino: 1) annulla il significato predittivo
negativo della mutazione del gene p53 nei confronti della risposta alla chemioterapia di prima linea a base di platino, 2)
appare non modificare il significato prognostico negativo di
tale mutazione nei confronti dell’outcome clinico delle pazienti.
Valore predittivo prognostico dell’analisi del
cariotipo nei carcinomi ovarici
C. Riva, E. Dainese, B. Bernasconi, D. Micello, C. Facco,
S. Casnedi, M.G. Tibiletti, F. Sessa, C. Capella
Dipartimento di Morfologia Umana, Università dell’Insubria, Varese
Introduzione
Il carcinoma ovarico rappresenta una neoplasia relativamente frequente nel sesso femminile ed è caratterizzato, nella
maggior parte dei casi, da un esordio clinico in stadio avanzato. Pertanto la malattia ha una bassa percentuale di curabilità ed è gravata da una mortalità a 5 anni superiore al
70%. L’efficacia della terapia chirurgica primaria è legata all’asportazione completa della neoplasia e delle localizzazioni addomino-pelviche. È dimostrata l’efficacia della chemioterapia neoadiuvante a base di derivati del platino e taxani. Tuttavia la chemioresistenza può manifestarsi in alcuni
casi fin dall’inizio della terapia, oppure svilupparsi a distanza di tempo dopo una risposta completa. L’obiettivo dello
studio era l’identificazione di parametri predittivi prognostici e di alterazioni citogenetiche correlabili con la risposta alla chemioterapia.
Metodi
Sono stati indagati 44 carcinomi ovarici (28 sierosi, 10 indifferenziati, 2 mucinosi, 3 endometrioidi, 1 misto) sottoposti a
terapia chirurgica primaria e successiva chemioterapia. Tutti
i casi sono stati valutati per grado, stadio, malattia residua,
progressione/remissione e follow-up dopo chemioterapia.
L’analisi citogenetica è stata effettuata su preparati diretti
usando le tecniche di bandeggio QFQ.
Risultati
Un cariotipo diploide/quasi diploide era significativamente
correlato con la risposta alla chemioterapia (p = 0,007) e
con una prognosi favorevole (p < 0,05), così come l’assenza di marcatori cromosomici (p = 0,01). La risposta completa alla chemioterapia era associata a cariotipo senza perdita del cromosoma 18 (p < 0,05) e del 22 (p = 0,03); inoltre anche la perdita del cromosoma 15 appariva tendenzialmente associata a mancata risposta alla chemioterapia (67%
dei casi).
Conclusioni
I nostri risultati hanno dimostrato che oltre ai noti parametri
prognostici (stadio iniziale, basso grado, assenza di massa
neoplastica residua, basso indice proliferativo), anche un cariotipo diploide/quasi diploide e l’assenza di marcatori cromosomici nel cariotipo, possono essere considerati indicatori prognostici favorevoli nel carcinoma ovarico.
Inoltre, cariotipo diploide/quasi diploide e cariotipo senza
perdita dei cromosomi 18, 22 e 15 appaiono marcatori di risposta alla chemioterapia.
PATOLOGIA GINECOLOGICA
341
Presenza di strutture del seno urogenitale
maschile (prostata, ghiandole di Cowper,
urotelio) nei teratomi cistici maturi dell’ovaio:
report di due casi
A. Marzullo, F. Sanguedolce, D. Piscitelli, M.G. Fiore, L.
Resta
DAPEG, Dipartimento di Anatomia Patologica e di Genetica, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari
Introduzione
I teratomi cistici maturi (cisti dermoidi) dell’ovaio sono caratterizzati dalla presenza di diversi tessuti derivati dai tre foglietti embrionari in un’area solida, il “promontorio”. Il riscontro di ghiandola prostatica in una cisti dermoide è estremamente raro e di origine controversa. L’ulteriore presenza
di urotelio accanto a tale componente ha indotto diversi Autori a sviluppare suggestive ipotesi patogenetiche in merito.
Metodi
Sono riportati i casi di due pazienti di sesso femminile, gravide, rispettivamente di 40 e 30 anni di età; in entrambi i casi si
è trattato di un riscontro occasionale. I campioni operatori sono stati fissati in formalina ed inclusi in paraffina. Le sezioni
ottenute sono state sottoposte in entrambi i casi alle seguenti
colorazioni: ematossilina-eosina, PAS, tricromica di Masson,
ed alle reazioni immunoistochimiche con gli anticorpi PSA
(antigene prostatico specifico), CK 34βE12, CK 7, CK 20.
Risultati
In tutti e due i casi è stata fatta diagnosi di teratoma cistico maturo dell’ovaio. Nel primo caso è stata individuata, nella zona
del promontorio, un’area circoscritta occupata da acini prostatici isolati o organizzati in gruppi, talora contenenti corpora
amilacea e urotelio fetale; nel secondo, accanto alle ghiandole
prostatiche erano presenti ghiandole di Cowper, urotelio e
strutture vascolari simili ai corpi cavernosi. Le indagini immunoistochimiche hanno confermato la diagnosi istologica.
Discussione
Il riscontro di acini ghiandolari prostatici è di rarissimo riscontro nei teratomi ovarici; finora, i casi riportati in letteratura sono 19. Due sono le ipotesi patogenetiche in merito: 1)
“ipotesi teratomatosa”: partenogenesi da una cellula germinativa con cariotipo XX; le strutture urogenitali maschili sono presenti pur in assenza del cromosoma Y; 2) ipotesi del
“microambiente ormonale”: produzione locale di androgeni
da parte dello stroma ovarico luteinizzato.
Conclusioni
I nostri dati aggiungono ulteriori informazioni su un argomento tuttora poco esplorato e controverso, confermando le
notevoli capacità pluripotenziali dei teratomi ovarici e suggerendo la necessità di studi che ne approfondiscano gli
aspetti sia genetici che ormonali.
Primary transitional cell carcinoma of the
fallopian tube: case report and review
of literature
R. Zamparese, G. Pannone*, F. Corsi, P. Bufo
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Cattedra di Anatomia
Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Scienze
Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduction
Primary tumours of fallopian tube, both benign and malignant are rare and accounts for 0.3% of all gynaecological
cancers. The most common type of primary tumour of fallopian tube is invasive serous papillary carcinoma. Other less
common types of primary epithelial malignancies are squa-
Tab. I.
Autore
Hovadhanakul et al (1976)
Johnston et al (1983)
Uehira et al (1993)
Chinn et al (1998)
Takeuchi S. et al (1999)
Kim JW et al (1999)
Rabczynski J (1999)
Current case (2004)
Age
(years)
Stage
(FIGO)
51
42
49
41
55
63
45
63
55
69
53
68
42
63
51
61
47
60
60
70
53
Ia
III
Ia
Ib
Ia
III
IIa
IIb
III
III
IIb
IIb
Ia
Ib
Ia
Ia
Ia
Ia
Ib
Ia
Ib
Follow-up
–
Died 22 months after surgery
98 months healty
79 months healty
58 months healty
22 months healty
Died 67 months after surgery
Died 51 months after surgery
Died 43 months after surgery
Died 39 months after surgery
Died 24 months after surgery
17 months healty
48 months healty
14 months healty
Died 60 months after surgery
108 months healty
24 months healty
12 months healty
24 months healty
96 months healty
60 months healty
COMUNICAZIONI LIBERE
342
mous cell, adenosquamous, mucinous, glassy cell, endometroid, clear cell. Transitional cell carcinoma (TCC) has recently been acknowledged as a distinct histologic pattern of
the uncommon primary fallopian tube carcinoma.
We observed a patient of 53-years-old with a malignant tumour of fallopian tube showing histological features of transitional cell carcinoma.
Methods
The specimen was fixed in 10% formalin and embedded in
paraffin. Sections 4 mm thick were stained with haematoxylin and eosin.
Results
Both fallopian tubes and ovaries were examined. The tumour
was in the left fallopian tube and was covered by blue-dark,
smooth, glistening serosa. On cross sectioning, the fallopian
tube contained a solid nodule and dark bloody fluid. At microscopy the tumour filled the lumen, while the serosal surface of the fallopian tube was intact. The tumour consisted of
broad papillary proliferation with a fibrovascular core lined
by 10 or more layers of tumour cells. The histological features of the tumour are consistent with a high grade TCC.
Conclusions
Tubal cancer with more than 50% of transitional cells should
be classified as tubal cancer with transitional differentiation 1 2.
Alvarado-Cabrero et al. recently reported an incidence of
11% of TCC of the fallopian tube which is considered the organ with the highest relative incidence in the female genital
tract.
A case of transitional cell carcinoma arising from the tubal
epithelium was first reported by Hovadhenakal et al. (1976).
Only 20 cases of TCC of fallopian tube (table) have been described in the current literature.
Transitional cancer of fallopian tube, ovary and endometrium
have a better prognosis than other istological types.
Futhemore, the TCC tumour recurres later than the non-TCC
and respondes favourably to chemotherapy.
Bibliografia
1
Koshiyama M, et al. Int J Gynecol Pathol 1994;13(2):175-80.
2
Uehira K, et al. Cancer 1993;72(8):2447-56.
Paraganglioma of the broad ligament of the
uterus. A case report
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Introduction
The extra-adrenergic paraganglioma and the adrenal pheochromocytoma are tumours derived from chromaffin cells of
sympathoadrenergic system and of adrenal medulla. The extra-adrenergic paragangliomas injure subjects between 30
and 50 years old, with slight prevalence in males. Such tumours represent 10% of whole, the most of them have been
observed in intraabdominal seat; while sometime they arisen
also in unusual seats, as male and female urogenital tract,
gallbladder and hepatobiliary tree. Very rare cases have been
showed in the broad ligament of the uterus.
Clinical history
A 56 years old patient, suffering from hypertension, has been
subjected to laparopanhysterectomy with bilateral oophorosalpingectomy, because of leiomyomas uteri. A nodule, with
maximum diameter of 2.5 cm, has been showed in broad li-
gament, in left parovarian seat, and it has been whole ablated.
The familial and personal anamnesis was negative for neurofibromatosis, MEN and von Hippel Lindau disease. The postoperative examinations, as total body TC and MRI did not
show any pathological images.
Materials and methods
The specimen sent was formalin 4% fixed and paraplast plus
included. Sections of 3 µm thickness have been prepared for
H&E, PAS and Grimelius stains. Other sections have been set
on slides, previously treated with poli-l-lysin for the immunohistochemical stains.
Results
Macroscopically the neoformation, with maximum diameter
of 2,5 cm, appeared oval, with thin capsula, and at section, it
was grey-yellowish. Microscopically polygonal cells, most
of them with clear, finely vacuolated cytoplasm, because of
lipid degeneration, have been showed; there were elements
with eosinophil cytoplasm, monomorphic nuclei and rare mitosis, without atypias, arranged in alveolar pattern “zellballen”, with fibrous areas. Vascular invasions, capsular
lymphatic involving, necrotic areas and neuronal or gangliar
elements have not been observed. The cells were argentophil,
positive for chromogranin, synaptophysin, NSE, CD57, focally positive for NF, only rare elements were positive for
S100 (sustentacular cells), but all was negative for CK AE1,
calretinin, melan-A, inibin. The histopathological examination suggested the benignity of this tumour, but all the same
a careful follow-up has been recommended.
Conclusions
The paraganglioma of broad ligament is rare, while the adrenal rests are well known in this seats. In our case, it could
seems an adrenergic cortical neoplasm, because of lipid degeneration areas, but the neuroendocrine neoplastic immunophenotype induced us to diagnosis of paraganglioma, arisen by embryonal residue of chromaffin tissue, derived by
sympathic ganglia, in lack of adrenal cortical rests.
Carcinoma squamoso primitivo
dell’endometrio: studio immunoistochimico e
molecolare
G. Giordano*, L. Gnetti*, T. D’Adda*, C. Merisio**
*
Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio, Sezione Anatomia Patologica, Università di Parma; ** Dipartimento Scienze Ostetriche Ginecologiche e Neonatologia,
Università di Parma
Introduzione
Il carcinoma squamoso primitivo dell’endometrio (CSPE) è
una neoplasia che non ha componente ghiandolare, non ha alcuna connessione con l’epitelio squamoso della cervice e non
è associato a carcinoma squamoso della cervice 1.
Questo tipo di neoplasia è molto rara; in letteratura infatti sono stati descritti poco meno di 100 casi 2. L’eziopatogenesi è
ancora controversa. Secondo alcuni Autori può essere correlata ad un’infezione da papilloma virus (HPV) 3; per altri invece, non ha alcuna relazione con l’HPV 4. In questo lavoro
riportiamo un caso di CSPE, con studio immunoistochimico
e molecolare, allo scopo di valutare la presenza dell’HPV e
le caratteristiche fenotipiche di questa rara neoplasia.
Metodi
AM, anni 72, è ricoverata presso la nostra Istituzione per calo
ponderale e la presenza di una massa addomino-pelvica; agli
esami strumentali la lesione è di origine uterina. Alla laparoto-
PATOLOGIA GINECOLOGICA
mia l’utero, notevolmente aumentato di volume, mostra una
perforazione della parete. Noduli neoplastici si osservano nell’omento. L’utero, gli annessi e le lesioni omentali sono asportati e vengono processati secondo metodiche routinarie e per
l’analisi immunoistochimica, utilizzando estrogeni, progesterone e p53. Per l’estrazione del DNA, tre sezioni istologiche
del tessuto neoplastico, incluso in paraffina, sono microdissezionate manualmente. Il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR, utilizzando primers G5+/G6 per la regione altamente conservata L1 del genoma dell’HPV(genotipi: 6, 11, 13,
16,18, 30-35, 39, 40, 42, 45, 51- 53, 56, 58, 61, 66) 5.
Risultati
L’esame Anatomo-Patologico rileva leiomiomi calcifici e un
carcinoma squamoso ben differenziato localizzato nella cavità
uterina, infiltrante massivamente il miometrio, affiorante alla
superficie sierosa e con metastasi multiple omentali. La cervice
uterina, esaminata in toto, presenta solo flogosi cronica. L’immunoistochimica mostra positività per p53 e negatività per
estrogeni e progesterone. L’amplificazione mediante PCR di tre
diverse diluizioni di DNA non ha evidenziato la presenza di
DNA riferibile all’HPV, con adeguato controllo positivo.
Conclusioni
Dagli studi riportati in letteratura si evince che il CSPE potrebbe essere dovuto ad un’infezione da HPV, la quale non
causa mutazioni della p53 3; nel nostro caso, invece, l’assenza dell’HPV dimostra che la neoplasia potrebbe essere causata da altri meccanismi patogenetici, che determinano una
mutazione/ iperespressione della proteina p53.
Bibliografia
1
Fluhmann DF. Surg Gynecol Obstet 1928;46:309-316.
2
Varras M, et al. Eur J Gyneacol Oncol 2002;23:327-329.
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Im DD, et al. Gynecol Oncol 1995;56:464-469.
5
de Roda H, et al. J Gen Virol 1995;76:1057-1062.
Espressione ed amplificazione di HER-2/neu
nei carcinosarcomi uterini
M.R. Raspollini*, T. Susini**, M. Paglierani*, F. Castiglione*, F. Garbini*, G Amunni**, G.L. Taddei*
*
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; ** Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Medicina della Riproduzione, Università di Firenze
I carcinosarcomi uterini sono rare neoplasie che si osservano,
nella maggioranza dei casi, in post-menopausa 1. Il trattamento elettivo è quello chirurgico, tuttavia la scarsa efficacia della
chemioterapia e della radioterapia rappresenta un problema insidioso per le pazienti con malattia metastatica o non operabile. Nuovi approcci terapeutici sono necessari per migliorare la
sopravvivenza dei pazienti con carcinosarcoma dell’utero.
L’oncogene her-2/neu, che codifica per il recettore del “tyrosine-kinase growth factor”, è amplificato e HER-2/neu è
over-espressa nel 25-30% dei carcinomi mammari 2.
La terapia con anti-HER-2 è usata nei pazienti con carcinoma mammario che esprimono HER-2/neu e ne migliora la sopravvivenza.
Lo scopo dello studio è analizzare l’espressione di HER2/neu e l’amplificazione di her-2/neu in una serie di 28 carcinosarcomi uterini.
Abbiamo osservato l’over-espressione di HER-2/neu in 9 casi (32,1%). In aggiunta, abbiamo documentato l’amplificazione del gene her-2/neu nei casi che mostravano l’espressione di HER-2/neu con uno score 3+.
343
Di conseguenza, la dimostrazione dell’over-espressione e
dell’amplificazione di her-2/neu nei carcinosarcomi dell’utero potrebbe rappresentare il primo razionale passo per ulteriori studi. Da qui, i risultati di questa analisi potrebbero incoraggiare la scelta di un nuovo approccio terapeutico, che
potrebbe valutare il ruolo della terapia anti-HER-2 (trastuzumab) nelle pazienti con metastasi da carcinosarcoma uterino.
Bibliografia
1
Ali S, et al. Int J Gynecol Cancer 1993;3:1-11.
2
Slamon DJ, et al. Science 1987;235:177-182.
Ploidy and S-phase fraction as possible
prognostic factors in endometrial carcinoma:
a review of 52 cases
P. Balzarini*, M. Cadei*, B. Pasinetti**, E. Sartori**, L. Legrenzi*, E. Rossi*, A. Ubiali*, C. Tedoldi*, F. Alpi*, P. Grigolato*
*
Cattedra di Anatomia e Istologia Patologica, II Servizio,
Università-Spedali Civili di Brescia; ** Clinica Ostetrica e
Ginecologica, Università-Spedali Civili di Brescia
Introduction
Endometrial cancer is the most common gynaecologic malignancy among women in the US and the sixth most common
cause of death from cancer in women. Scientific interest has
recently focused on the evaluation of biological characteristics (DNA content, S-phase fraction, p53, MIB-1 and HER2/neu) of endometrial cancer that could better define high-risk groups of patients. Ploidy and/or S-phase fraction have
been identified by different studies as independently affecting prognosis, when either all stages or FIGO stage I cases
were evaluated. The aim of this study is to evaluate the impact of ploidy and S-phase fraction on the clinical outcome
of 52 patients affected by endometrial carcinoma.
Materials and methods
The following parameters were evaluated: patient age, histotype, FIGO stage, myometrial infiltration (> or < 50%),
grading, mitotic index. Clinical outcome was evaluated in
terms of recurrence rate, status at the latest follow up, disease-free survival and overall survival. DNA content was
performed on formalin fixed paraffin embedded tissue in according to the Hedley method. Cell cycle analysis was
performed using Multi-Cycle software.
Results
29/52 patients showed a diploid profile and 33/52 patients
presented a S-phase fraction ≤ 10%. Recurrence rate and both
disease free and overall survival were analysed in relation to
biological parameters (ploidy and S-phase) and surgicalpathological state (FIGO stage, grade, myometrial invasion).
The analysis of different sub-groups of patients on the basis
of stage, grade and myometrial invasion showed a consistently higher percentage of recurrences among aneuploid and high S-phase fraction (>10%) rather than diploid and low-Sphase (≤ 10%) tumors, even if statistical significance was not
achieved. Aneuploid and high S-phase cases showed a consistent trend of poorer prognosis compared to their counterpart,
in terms of disease-free interval, overall survival and status
of patients at the latest follow-up (DOD vs. NED). The most
interesting results were obtained when S-phase was analysed
in terms of both overall survival and patients’ status, showing
a better prognosis in the low S-phase group (p=0.01 and
p<0.05 respectively).
COMUNICAZIONI LIBERE
344
Conclusions
Among all parameters evaluated, S-phase fraction is an independent prognostic factor for patients with low risk of recurrence, while ploidy is an independent prognostic factor for
patients with unfavourable outcome.
Adenocarcinoma dell’endometrio insorto su
polipo endometriale
A. Galassi, D. Tormen, L. Bozzola, A. Armani, A. Visonà,
E.S.G. D’Amore
UOA di Anatomia Patologica, ULSS 6 Vicenza e ULSS 4 “Alto Vicentino”
Introduzione
In letteratura poca attenzione è stata deputata all’evento di un
adenocarcinoma che insorge su un polipo endometriale.
Metodi
Sono stati estratti complessivamente 65 casi tra il 1987 e il
2003 dai files di archivio e sono stati revisionati i vetrini.
Risultati
I casi sono stati suddivisi dopo revisione in tre situazioni
anatomo-cliniche: adenocarcinoma polipoide (15 casi); polipo endometriale infiltrato da adenocarcinoma insorto su
mucosa esterna al polipo (6 casi); adenocarcinoma insorto
su polipo endometriale (44 casi). I casi di adenocarcinoma
polipoide e di adenocarcinoma infiltrante un polipo endometriale dall’esterno variavano come T da T1a a T2b, mentre i casi di adenocarcinoma insorto su polipo erano tutti
T1a. L’istotipo dell’adenocarcinoma insorto su polipo era
endometrioide G1 FIGO in 39 casi e non endometrioide in
5 casi. Gli adenocarcinomi polipoidi erano tutti endometrioidi e variavano come grado e stadio, mentre gli adenocarcinomi infiltranti un polipo endometriale dall’esterno
erano 5 endometrioidi e 1 adenocarcinoma sieroso. Il follow-up medio è stato di 7 anni e si è registrata solo una metastasi in un caso di adenocarcinoma a cellule chiare insorto su polipo dopo due anni dalla diagnosi.
Conclusioni
Gli autori hanno identificato tre situazioni anatomo-cliniche
distinte: il classico adenocarcinoma polipoide; un adenocarcinoma che infiltrava, generalmente tramite il peduncolo, un
polipo endometriale concomitante, un adenocarcinoma realmente insorto su polipo endometriale e in cui l’adenocarcinoma era assente al di fuori del polipo. Tutti questi ultimi casi erano in stadio T1a. Solo un caso di adenocarcinoma a cellule chiare ha dato metastasi peritoneali ad un anno dalla diagnosi, confermando che nei carcinomi non endometriodi anche in stadio precoce la malattia può facilmente progredire.
Quanto riportato in letteratura che il carcinoma insorto su polipo endometriale ha una prognosi migliore appare più legato al fatto che tutti i casi, almeno nella nostra esperienza, erano in stadio precoce.
Utilizzo della valutazione di p16 nella
caratterizzazione e nel monitoraggio delle
displasie della cervice uterina
A. Bernardi*, G. Alfonso*, G. Dujany*, G. Gensabella*,
M. Gussio*, F. Lesca**, P. Lovadina*, P. Luparia*, E. Berardengo*
*
S.C. Anatomia Patologica; ** Servizio di Colposcopia, Polo
Oncologico Torino Est, Ospedale S. Giovanni A.S.
Introduzione
Nella carcinogenesi della cervice uterina la oncoproteina E7
del papillomavirus umano (HPV) ad alto rischio legandosi alla proteina oncosoppressore Rb determina: diminuzione di
Rb attivo, progressione nel ciclo proliferativo, livelli aumentati della proteina p16 fin dai primi stadi di malattia 1. La valutazione immunoistochimica (IHC) di p16 può servire a caratterizzare e monitorare le patologie cervicali 2 raramente alterate per Rb e P16.
Metodi
Su 42 pazienti si eseguiva: PAP test su striscio vaginale,
esame istologico su biopsia mirata della cervice, test di ibridazione (Digene Hybrid Capture di II generazione: 2 pool
di sonde contro il DNA di HPV a basso e medio-alto rischio) e su sezioni incluse in paraffina IHC per la valutazione di p16 con anticorpo monoclonale di topo (clone
E6H4, Dako p16 INK4a kit con validazione europea IVD).
L’immunoreattività di intensità 1-3+ era: sporadica (1-5%
di cellule con positività nucleare e citoplasmatica), focale
(5-8%), diffusa (>80%).
Risultati
Distribuzione dei casi: Gruppo 1 = 14 Negativi, tutti trattati con transfactor: all’istologico 2 negativi per displasia, 11
displasie lievi CIN I, 1 condiloma. Gruppo 2 = 9 con Positività Sporadica: istologicamente 7 CIN I e 1 displasia moderata CIN II trattate con transfactor, 1 carcinoma squamoso trattato chirurgicamente. Gruppo 3 = 7 con Positività Focale+12 con Positività Diffusa, 18 positivi per HPV medioalto rischio, 1 per basso rischio trattati con transfactor: istologicamente 1 carcinoma in situ trattato chirurgicamente, 1
condiloma, 9 CIN I, 8 displasie moderate-gravi CIN II-III.
Follow up a 4 anni: i gruppi 1-2 al PAP test e all’ibridazione si negativizzavano, compreso il CIN II, 4 casi si perdevano. Nel gruppo 3: per progressione della patologia 1 esigeva laser terapia, 8 venivano conizzati, 4 mantenevano
inalterati grado di displasia e positività all’ibridazione, 1
positivo per HPV a basso rischio si negativizzava, 4 si perdevano. La positività IHC per p16 correlava con diagnosi di
CIN II-III (P = 0,015), con positività per HPV medio-alto
rischio (P=0.001); la positività Focale/Diffusa correlava col
perdurare o progredire della patologia (P = 0,0002).
Conclusioni
La valutazione di p16 si conferma un ottimo marcatore di caratterizzazione e monitoraggio nelle lesioni cervicali conseguenti ad infezioni da HPV ad alto rischio.
Bibliografia
1
Takaaki S. Am J Path 1998;153:1741-48.
2
Doeberitz M. Eur J Cancer 2002;38:2229-42.
PATOLOGIA GINECOLOGICA
Overexpression of p16INK4A in cervical
intraepithelial neoplasias as possible marker
of HPV infection
F. Marandino*, A. Vocaturo*, M. Benevolo*, G. Piperno*,
P. Canalini*, M. Mottolese*, G. Vocaturo**, R. Sindico**,
G. Ciancaglini***, R. Perrone Donnorso*
*
SC Anatomia Patologica e Citodiagnostica; ** SC Ginecologia Oncologica, Istituto Regina Elena, Roma; *** Centro Prevenzione S. Andrea, Latina
Introduction
Immunohistochemical (IHC) studies demonstrated that p16, a
cyclin-dependent kinase inhibitor, is overexpressed in preneoplastic and neoplastic lesions of the uterine cervix and this overexpression is induced, in the majority of cases, by human papillomavirus (HPV) oncogenes. In order to verify whether p16
expression may be a biomarker useful in identifying dysplastic
lesions at higher risk of progression, in this study we investigated, in cervical samples, the potential association between p16
expression and infection with different HPV types.
Methods
77 formalin fixed cervical biopsies were considered in the
study: 13 normal tissues and 64 neoplasias (48 CIN1, 10
CIN2 and 5 CIN3, and 1 invasive squamous cancer). 5m-sections were IHC evaluated by the means of p16 kit (DakoCytomation, Milan, Italy). The presence of HPV DNA was detected by the polymerase chain reaction (PCR) using HPV
Star Blot kit (DiaTech, Iesi, Italy) that enables amplification
and detection of HPV DNA by reverse dot blot hybridization
with sequence-specific oligonucleotide probes.
Results
All the 13 normal cervical tissues were p16 negative whereas
9 out of 10 CIN2 (90%) and both all the CIN3 lesions and the
invasive cancer displayed p16 expression. In the 48 CIN1 lesions we found p16 immunostaining in 15 cases (31%). High
risk HPV genotypes were found in all high grade lesions and
in squamous cancer. Of interest, 14 out of the 15 p16 positive CIN1 lesions (93%) showed high risk HPV genotypes.
Conclusions
These data suggest that there is a significant potential association between p16 overexpression, infection with high risk
HPV and the presence of HPV-induced dysplastic or neoplastic lesions. Therefore p16 appears to be an usefull biomarker
for identifying cervical intraepithelial lesions which could
progress because harboring high risk HPV.
Importanza diagnostica della ricerca
del papilloma virus nel carcinoma della
cervice uterina: correlazione fra diagnosi
citologica ed istologia
L. Bianchi*, P. Apicella*, C. Venturi*, A. Papucci*, A.M.
Buccoliero**, G.L. Taddei**
*
U.O. Anatomia Patologica Azienda USL 3 Pistoia; ** Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di
Firenze
Il carcinoma squamoso della cervice e le lesioni che lo precedono sono inequivocabilmente correlate all’infezione da
HPV. Infatti il carcinoma della cervice uterina è stato associato in più del 95% dei casi alla presenza di HPV ad alto rischio oncogeno 1.
345
Obiettivi
Con questo studio abbiamo valutato: 1) l’incidenza dell’infezione da HPV in pazienti che presentavano lesioni intraepiteliali al Pap-test; 2) la correlazione esistente fra ceppi ad alto
rischio oncogeno e gravità delle lesioni intraepiteliali rilevate al Pap-test e all’esame istologico della cervice.
Metodi
Sono state analizzate 583 donne di età compresa tra i 15 e gli
81 anni (febbraio 2001-ottobre 2003) con lesioni intraepiteliali di basso o alto grado (LSIL o HSIL) o anomalie squamose di
incerto significato (ASCUS) al Pap-test. Su prelievo endocervicale è stata effettuata ricerca e genotipizzazione dell’HPV
utilizzando la PCR (reazione a catena della polimerasi) con
primers specifici della regione L1 e digestione enzimatica con
gli enzimi di restrizione Tru91 e Rsa1 (Ditta Diatech).
Risultati
L’infezione da HPV è stata riscontrata nel 22% (35/160) di
ASCUS, nell’82% di LSIL (116/141) e nel 94% di HSIL
(16/17). Gli HPV ad alto rischio rappresentavano il 68,6%
(24/35) di ASCUS HPV-positivi, il 65,5% (76/116) di LSIL
HPV-positivi ed il 94% (15/16) di HSIL HPV-positivi. Al
controllo istologico dei 17 HSIL, 1 presentava un carcinoma
in situ, 7 una displasia grave, 5 una displasia moderata, 3 una
displasia lieve e 1 una leucoparacheratosi.
Conclusioni
L’incidenza di HPV ad alto rischio oncogeno del 94% nelle
lesioni HSIL di alto grado indica la necessità di monitorare
nel follow-up le pazienti che presentano lesioni di alto grado
ma anche quelle che hanno lesioni intraepiteliali di basso grado al Pap-test in quanto soggette a sviluppare lesioni pre-cancerose più gravi. Inoltre, in accordo con la recente letteratura
internazionale, i dati ottenuti suggeriscono l’utilità della ricerca dell’HPV anche per aumentare l’efficacia dello screening primario.
Bibliografia
1
Ferenczy A, Franco E. Persistent human papillomavirus infection and
cervical neoplasia. Lancet Oncol 2002;3:11-6.
Markers biomolecolari di progressione nella
tumorigenesi HPV-correlata della cervice
uterina
S. Rossi, D. Beccati, I.Nenci
Dipartimento di Patologia e Oncologia, Azienda O.U. di
Ferrara
Introduzione
Scopo dello studio è la valutazione di markers biologici intermedi predittivi della progressione in lesioni HPV-correlate, displasia e carcinoma squamoso in situ.
Metodi
Abbiamo selezionato, dalla casistica 2001, 94 casi di displasia squamosa, carcinoma squamoso in situ e microinfiltrante.
I casi includono gradi diversi di displasia squamosa. Con riferimento al grado maggiore di displasia, abbiamo valutato 3
condilomi, 32 displasie moderate, 38 gravi e 19 carcinomi in
situ. Abbiamo incluso inoltre 2 casi di carcinoma microinfiltrante. Su sezioni di 3-4 micron, da materiale di archivio, sono state eseguite ibridazione in situ per HPV-HR ed immunoistochimica per p53 e p16.
Risultati
HPV-HR: 36 campioni sono negativi e 58 positivi. p53: 51%
delle lesioni appartengono alla classe 1 di positività (<5%),
346
29% alla classe 2 (6-25%) e le rimanenti 19% presentano
>25% di nuclei positivi. La displasia moderata appartiene preferibilmente alle classi 1 e 2, la displasia grave e carcinoma in
situ alla classe 1. L’intensità di positività e la distribuzione dei
nuclei positivi sono alta e basale nei condilomi, variabile e a
differenti livelli nell’epitelio nelle displasie alto grado. Non si
riscontra correlazione tra positività per HPV-HR e p53. p16:
iperespressione, generalmente diffusa (>25%), nelle displasie
alto grado, nei 2/3 inferiori dell’epitelio nelle displasie moderate e maggiore / a tutto spessore nelle displasie gravi/carcinoma in situ. Condilomi adiacenti a displasie alto grado sono negativi o con positività sporadica (<5%) o focale (<25%).
Conclusioni
La bassa espressione di p53 in displasie alto grado potrebbe
COMUNICAZIONI LIBERE
essere indicativa della attenuazione/degradazione della proteina da parte di E6 di HPV-HR. La maggior percentuale di
positività in classe 2 della displasia moderata rispetto alla
grave/carcinoma in situ potrebbe essere spiegata con la diversa probabilità di progressione della displasia moderata.
p16 sembra rappresentare un marker biopatologico di displasia squamosa alto grado. Potrebbe inoltre essere indicata nei
casi dubbi e di discordanza inter-osservatore.
Progetto “ECCSN”, Grant agr.SPC.2002475 (2002-2003).
Bibliografia
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Rak Choi Y et al. Cancer Res 2003;63:2188-2193.
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PATHOLOGICA 2004;96:347-360
Patologia della mammella
Il linfonodo sentinella a Trieste: rivisitazione
della casistica a due anni dall’inizio della fase
sperimentale
Sentinel lymph nodes in breast carcinoma:
the experience of Istituto Nazionale per la
Ricerca sul Cancro (IST) - Genova
F. Zanconati, E. Gerardi, R. Spinelli, M. Bortul*, G. Pellis**,
A. Dell’Antonio***, F. Dore****, D. Bonifacio, D. Rizzo, L. Di
Bonito
U.C.O. Anatomia Patologica, Istopatologia e Citodiagnostica; * U.C.O. Clinica Chirurgica; ** U.C.O Chirurgia Generale; **** Servizio di Medicina Nucleare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”; ** Casa di Cura
“Sanatorio Triestino”, Trieste
F. Carli, B. Spina, G. Tanara, E. Margallo, G. Pasciucco,
B. Dozin*, B. Gatteschi
La valutazione dei linfonodi ascellari rappresenta il più importante fattore prognostico nelle pazienti con carcinoma
mammario. L’identificazione del linfonodo di primo drenaggio, noto come linfonodo sentinella (LS), si sta affermando
come tecnica conservativa alternativa alla dissezione ascellare nei casi con neoplasia di piccole dimensioni, non plurifocale. La ridotta morbilità post-operatoria ci ha indotto ad avviare anche a Trieste una fase di sperimentazione dal maggio
2002.
I periodo (5/02-7/03). L’analisi istopatologica prevedeva di
eseguire sul LS sezioni seriate ogni 100 µ per H&E ed indagine immunoistochimica (IHC) mediante Mab anti-CK
(AE1/AE3) in un numero limitato di sezioni. La valutazione
dei linfonodi non sentinella (LnS) in tutti i casi con dissezione ascellare è stata validata dall’uso dell’IHC su tutti i linfonodi inviati. La tecnica del LS è stata utilizzata in 102 pazienti, di cui 57 (55,9%) con asportazione del LS e contestuale linfoadenectomia ascellare (LA), mentre in 45 pazienti (44,1%) è stato prelevato il solo LS. In 29 (50,9%) dei casi sottoposti a LA, sia il LS sia i LnS erano risultati negativi,
in 10 (17,5%) le metastasi erano reperibili esclusivamente nel
LS, in 14 (24,6%) le metastasi erano presenti nel LS ed in almeno uno dei LnS; 4 casi (7%) sono risultati FN. Delle pazienti sottoposte alla sola escissione del LS, in 34 (75,6%) il
LS era negativo; tra le rimanenti 11 con LS positivo, 4 non
sono state radicalizzate, mentre in 3 delle 7 radicalizzate erano presenti ulteriori metastasi.
II periodo (8/03-4/04). Il protocollo del LS è stato modificato, riducendo a 50 µ l’intervallo delle sezioni seriate con uso
dell’IHC per ogni livello; è stato mantenuto lo studio IHC sui
linfonodi della LA. Sono state studiate 65 pazienti, di cui 28
(43,1%) hanno eseguito contestualmente la LA, mentre in 37
(56,9%) è stato prelevato il solo LS. Delle pazienti con LA
associata, 18 (64,3%) erano N0, in 8 (28,6%) il solo LS risultava metastatico; negli ultimi 2 casi le metastasi erano documentabili nel LS ed in almeno uno dei LnS. Delle pazienti
sottoposte alla sola escissione del LS, 10 erano positive
(27%) e di queste 4 non sono state radicalizzate, mentre in 4
delle 6 sottoposte a LA, erano presenti ulteriori metastasi nei
LnS.
Dal confronto tra i due periodi si osserva come l’esperienza
acquisita abbia consentito di ottenere un’adeguata affidabilità
della metodica, con assenza di FN ed incremento dei casi con
metastasi al solo LS.
S.C. Anatomia e Citoistologia Patologica; * S.C. Epidemiologia Clinica, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro,
Genova
Introduction
The sentinel lymph node (SLN) procedure provides a widely
adapted method for assessing the axillary lymph nodes in patients with breast cancer. The pathological examinations of
SLN typically involves the evaluation of multiple tissue levels and/or keratin in immunohistology: however there is little standardisation in the histopathologic management of the
specimens and significant pitfalls have been reported 1-2.
Methods
We presented our protocol and our experience of the past 6
years (January 1998-December 2003) at the Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST) of Genova.
Results
There were 849 patients with a mean of 1.2 SLN per case for
a total of 1500 lymph nodes. The positive case were 218 and
the micrometastases (>0.2 ≤ 2 mm) were 64 (29.3%). The
NSLN were positive in 56 cases (25.7%). The false negative
cases in the frozen sections were 53 (6%). The sensitivity
was 76% and the specificity was 100%, with a negative predictive value of 92%. The median size of the primary neoplasia associated to micrometastases was 1.7 cm.
Conclusions
On the basis of our experience we focused the great importance of the histopathological management of the SLN. Besides
that we discuss the possibility to find pathological and clinical
determinant of the NSLN status in patient with SLN+.
References
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sentinella: sensibilità e specificità
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Giordano, G. Lengua, F. Monardo, E. Silvestri, M. Amini
S.C. Anatomia Patologica, A.O. “San Giovanni Addolorata
Calvary Hospital”, Roma; * Chirurgia Generale ed Oncologica, Ospedale “M.G. Vannini”, Roma
Introduzione
L’esame intraoperatorio del linfonodo sentinella 1 in pazienti
affette da carcinoma mammario consente l’asportazione dei
linfonodi del cavo ascellare contestualmente all’intervento
sulla mammella. Tale procedura è tuttavia ancora materia di
discussione.
Metodi
Il linfonodo sentinella è stato esaminato in sede intraoperatoria in 236 di 402 casi consecutivi di carcinoma mammario. Di
COMUNICAZIONI LIBERE
348
questi, 68 casi sono stati esaminati con sezioni congelate,
mentre 168 sono stati esaminati per apposizione citologica.
Risultati
L’esame intraoperatorio ha dimostrato un’accuratezza
dell’89% (209/236), ma ha permesso di identificare soltanto
52 dei 77 casi che sono poi risultati positivi all’esame definitivo (sensibilità = 68%). Ci sono stati 25 falsi negativi
(13,7%), 7 dei quali rappresentati da macrometastasi e 18 costituiti da micrometastasi (p < 0,001). L’esame citologico per
apposizione non ha permesso di identificare 6 macrometastasi, mentre 1 non è stata evidenziata alla sezione al criostato
(p = 0,9). I falsi positivi registrati sono stati 2 (3,7%). Inoltre, l’esame definitivo del linfonodo sentinella, comprensivo
di immunoistoichimica, ha evidenziato la presenza di Cellule Tumorali Isolate (ITC) in 14/236 casi (6%), 12 dei quali
erano risultati negativi in sede intraoperatoria. La linfoadenectomia sincrona all’intervento sulla mammella, dopo identificazione intraoperatoria della metastasi linfonodale, è stata
eseguita su 48/236 pazienti (20%). Tale procedura è stata
adottata nel 10% delle pazienti con neoplasia di diametro <
cm 1, nel 20% delle pazienti con neoplasia compresa fra cm
1 e 2 e nel 34% delle pazienti il cui tumore era > cm 2 (p =
0,05). La spesa sanitaria risparmiata al SSN, per questo gruppo di pazienti, è stata di 390.593.
Conclusioni
L’esame intraoperatorio appare quindi sufficientemente sensibile per l’identificazione delle macrometastasi, ma non è
totalmente accettabile per la diagnosi delle micrometastasi e,
soprattutto, delle Cellule Tumorali Isolate (ITC). Entrambe le
metodiche, citologica per apposizione ed istologica per sezione congelata, appaiono equivalenti. L’esame intraoperatorio consente di stabilire l’approccio chirurgico più idoneo ed
è di particolare utilità nelle pazienti con neoplasia T2. Tale
procedura si può inoltre tradurre in un consistente risparmio
economico per il SSN. Rimane, tuttavia, da standardizzare
una metodica accurata e facilmente riproducibile per l’esame
intraoperatorio del linfonodo sentinella.
Bibliografia
1
Saitou N, et al. Mol Bio Evol 1987;4:406-425.
2
Kumar S, et al. Bioinformatics 2001;17:1244-5.
Espressione della dentin matrix protein (DMP1) nel carcinoma mammario: possibile ruolo
prognostico
Bibliografia
1
Motomura K, et al. Br J Surg 2002;89:1032-34.
Carcinoma lobulare in situ e invasivo: studio
di clonalità con mtDNA
G. Marucci, L. Morandi, M.G. Cattani , C. Riva , V. Eusebi
**
Metodi
Sono stati arruolati 10 casi di CLIS con associato CLI. In tutti i casi è stata eseguita indagine immunoistochimica con anticorpo anti caderina-E ed è stato microdissecato il seguente
materiale: CLI; CLIS; Epitelio mammario morfologicamente
normale; Linfociti. Dai campioni ottenuti è stato estratto il
DNA ed è stato effettuato il sequenziamento della regione
ipervariabile D-loop del DNA mitocondriale (mtDNA) per
realizzare un’analisi di clonalità.
Al fine di evidenziare in termini di distanze genetiche le varie
mutazioni trovate, è stato utilizzato il metodo del Neighbor joining (NJ) 1 che al termine di un’elaborazione computer-assistita permette la raffigurazione di un albero “randomizzato” e attraverso un algoritmo, come descritto da Kumar 2, produce un
valore numerico che è direttamente proporzionale alla distanza genetica rilevata.
Risultati
L’esame dell’mtDNA ha messo in evidenza in 7 casi una distanza genetica minima o ridotta fra le lesioni in situ ed invasive, in 2 casi intermedia e in 1 caso elevata. Tra i casi che
mostrano una distanza ridotta vi sono sia carcinomi lobulari
classici che pleomorfi .
Conclusioni
I dati ottenuti mostrano nel 70% dei casi una distanza genetica ridotta tra il CLIS e il CLI, pertanto appaiono favorire
l’ipotesi che il CLIS possa essere in molti casi un vero precursore del CLI. Sarebbe opportuno che questo profilo genetico emerso dall’analisi del mtDNA potesse essere supportato da altre tecniche, come la CGH-array, al fine di identificare eventuali comuni delezioni o amplificazioni di materiale
genetico anche di dimensioni molto piccole.
*
Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia,
Università di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna; ** U.O.
di Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore; * Istituto di
Anatomia Patologica, Università dell’Insubria
Introduzione
Il rapporto tra il carcinoma lobulare in situ (CLIS) ed il carcinoma lobulare infiltrante (CLI) è ancora oggetto di molteplici e non univoche interpretazioni. All’inizio il CLIS era
considerato un precursore obbligato del CLI, pertanto tale
diagnosi su biopsia poteva giustificare una mastectomia. Oggi esso viene considerato allo stesso tempo un indicatore di
rischio e un precursore non obbligato del CLI: questa interpretazione ha portato ad un comportamento clinico più attendistico ma non ha risolto la confusione esistente.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di indagare se il
CLIS rappresenti un fattore di rischio oppure un precursore
dello sviluppo successivo di CLI.
E. Bucciarelli, V. Castronovo*, A. Bellahcène*, G. Bellezza, G. Brachelente, A. Cavaliere, M. Scheibel, A. Sidoni
Istituto di Anatomia Patologica, Divisione di Ricerche sul
Cancro, Università degli Studi di Perugia; * Center for Experimental Cancer Research, Metastasis Research Laboratory University of Liége, Belgium
Introduzione
Le cellule del carcinoma della mammella posso produrre glicoproteine proprie della matrice ossea che conferirebbero
proprietà osteomimetiche alle cellule stesse rendendo possibile il loro impianto nelle ossa. Tra le glicoproteine più studiate vanno ricordate la Bone Sialoprotein (BSP), l’Osteonectina, l’Osteopontina e l’Osteocalcina mentre per la Dentin
Matrix Protein (DMP-1) sono disponibili pochi dati in letteratura.
Metodi
Sono stati esaminati 150 casi di carcinoma della mammella
con un follow-up medio di 67 mesi (range 5-121). Cinquanta delle pazienti erano libere da malattia, 50 presentavano
metastasi viscerali e 50 avevano metastasi viscerali ed ossee.
Sono state rivalutate le caratteristiche anatomopatologiche
delle neoplasie ed è stata ricercata l’espressione immunoistochimica della BSP e della DMP-1 valutando la percentuale di
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
cellule positive e l’intensità dell’immunomarcatura combinando questi dati in un sistema di “scoring”.
Risultati
La DMP-1 ha mostrato maggior espressione nei tumori di
diametro inferiore (T1) e nelle forme ben differenziate (G1)
ed è risultata positiva nel 48% dei casi liberi da metastasi, nel
32% di quelli con sole metastasi viscerali e nel 19% dei casi
con metastasi ossee e viscerali mostrando, pertanto, una correlazione inversa con il rischio di metastasi ossee. Le curve
di sopravvivenza mostrano profili più favorevoli per i casi
che esprimono alti livelli di DMP-1 e di BSP o alti livelli di
DMP-1 e bassi livelli di BSP.
Conclusioni
I risultati suggeriscono che la DMP-1 può essere considerata
come un fattore prognostico protettivo rispetto alla comparsa
di metastasi ossee in apparente antagonismo con la BSP.
Quest’ultimo aspetto è avvalorato dalla possibilità di ottenere differenti categorie di rischio e di sopravvivenza combinando le espressioni della DMP-1 con quelle della BSP. Se
confermati su casistiche più ampie questi dati potrebbero
portare a possibili sviluppi terapeutici volti a interferire con
le proprietà osteomimetiche delle cellule neoplastiche.
HMGA1 protein expression in human breast
carcinomas: correlation with C-ERB2
expression
G. Chiappetta*, M. Monaco*, R. Pasquinelli*, G. D’Aiuto*,
G. Botti*, M. Di Bonito*, E. Vuttariello*, V. Giancotti***, A.
Fusco**
*
Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli, Fondazione Senatore Pascale, Napoli; ** Department of Biologia e Patologia
Cellulare e Molecolare Facoltà di Medicina e Chirurgia di
Napoli, Università di Napoli Federico II; *** Department of
Biochimica, Biofisica e Chimica delle Macromolecole, Università di Trieste
Introduction
Breast neoplastic diseases comprise a broad spectrum of diseases ranging from benign fibroadenoma to the very aggressive undifferentiated carcinoma that it is lethal in a few
months. Even though the knowledge of the molecular event
underlying the generation of human breast carcinomas has made enormous progress, other information are required. At the
moment some prognostic indicator are commonly evaluated.
Among them c-Erb-B 2 overexpression and loss of estrogen
receptors correlates with a poor prognosis. Moreover, information about genetic alterations occurring in breast carcinomas may suggest other therapeutic approaches. The HMGA family is represented by three members: HMGA1a, HMGA1b
and HMGA2, being the first two proteins encoded by the same
gene, i.e. HMG1a, through alternative splicing while HMGA2
is coded for by a distinct gene 1. Our group has previously
shown that HMGA protein detection has a prognostic factor in
colon carcinogenesis 2, and that it can allow discrimination
between adenomas and thyroid carcinomas. We have also demonstrated an abundant HMGA expression in several carcinoma cell lines, and that the block of their synthesis through the
infection with an adenovirus carrying HMGA1 antisense sequences suppressed their growth.
Material and methods
50 breast carcinomas (including 35 ductal carcinomas, 5 lobular carcinomas, 10 in situ carcinomas) and 38 benign breast diseases (including 13 thypical hyperplasia, 15 athypical
349
hyperplasia and 10 fibroadenomas) were collected at the
“Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli”, Naples, Italy. The
criteria for inclusion in the study were the availability of routinely processed paraffin blocks for immunohistochemistry
and adequate clinical information. The immunohistochemical analysis was performed using antibodies raised versus the
N-terminal region of the HMGA1 proteins.
Conclusions
Here we analyzed the HMGA1 expression in benign and malignant neoplastic diseases of the breast. No HMGA1 significant expression was observed in normal breast tissue, whereas
a strong positive staining was observed in breast carcinomas
and in some benign breast diseases. Interestingly, the HMGA1
expression is not present in 19 of the 45 ductal carcinomas
analyzed and at odds with data published in the human malignant neoplasias, the level of the HMGA1 expression in the
positive breast samples do not correlate with the tumor grading, whereas a positive correlation was found between HMGA1 expression levels and c-erb-B2 amplification.
References
1
Johnson KR, et al. Mol Cell Biol 1989;9:2114-2123.
2
Chiappetta G, et al. Int J of Cancer 2001;2:147-151.
Mammaglobin expression in breast cancer
tissues: correlation with prognostic factors
S. Roncella*, P. Ferro*, B. Bacigalupo*, D. Gianquinto**,
F. Pensa***, E. Falco**, V. Ansaldo**, P. Dessanti*, M. Moroni*, P. Pronzato***, F. Fais****, F. Fedeli*
*
U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica, di Oncologia***,
di Chirurgia**, Ospedale S. Andrea, La Spezia, Sez. di Anatomia Umana, Di.Me.S., Università di Genova****
Introduction
Human Mammaglobin (hMAM) has recently been recognized as a breast associated glycoprotein. Several studies have
proposed hMAM as a marker for molecular detection of
breast cancer (BC) cells in blood, lymph nodes, bone morrow
and malignant effusions.
Although the biological role of hMAM is unknown, it has
been previously reported that hMAM gene expression is a
marker of low biological and clinical aggressiveness of BC.
In this study expression of hMAM mRNA in BC tissues has
been correlated with clinically pathological features in order
to evaluate the possible prognostic value of this marker.
Methods
148 cases of BC tissues were investigated for hMAM mRNA
expression by mean of reverse transcriptase polymerase
chain reaction (RT-PCR).
HMAM was correlated with age of patients, type and size of
tumour, nodal stage, histologic grade (G), c-erbB-2 over expression, Ki-67 labelling index, ER and PGR status.
Fisher’s exact test was used to examine the association
between different parameters and hMAM.
Results
hMAM was expressed in 138/148 (93%) of BC tissues studied.
Among the 10 hMAM-ve cases, 8 were invasive ductal carcinoma (G3 grade) and 2 infiltrating lobular carcinomas.
Lack of hMAM mRNA correlated significantly with the G3
histologic grade (P=0.01, Fisher’s exact test). In contrast, no
relation was observed with age, tumour size, histologic type,
nodal invasion or ER, PGR, c-erbB-2 and Mib-1 expression.
COMUNICAZIONI LIBERE
350
Conclusions
Although larger studies are need to confirm our result, the
present study supports the hypothesis that detection of
hMAM mRNA is significantly correlated with low histologic
grade. Further studies are also needed to clarify the biological basis of this association.
AP-PCR e cluster analysis nello studio del
rischio di progressione di pazienti con
patologia mammaria benigna
M. Pedriali, P. Querzoli, M. Matteuzzi, E. Magri, I. Nenci
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia, Istologica, Citologia Patologica, Università di Ferrara
Introduzione
L’Arbitrary Primer PCR (AP-PCR) è un metodo basato su PCR
che permette di costruire un’impronta molecolare dell’intero
genoma usando un primer a sequenza arbitraria. Gli amplificati ottenuti, analizzati in modo integrato possono contribuire ad
identificare gruppi di pazienti con lesioni mammarie benigne a
differente rischio di incidenza di carcinoma invasivo.
Metodi
Abbiamo studiato 19 biopsie di pazienti con lesioni mammarie benigne di cui 8 casi ( lesione tipo 1: 7 casi con mastopatia fibrocistica ed 1 fibroadenoma) hanno successivamente
(follow up medio: 5,6 anni, mediana: 6,8 anni, dev.st. 3,7 anni) sviluppato carcinoma invasivo (7 di istotipo duttale ed 1
tubulare) e 11 casi (lesione tipo 2: 7 casi con mastopatia fibrocistica, 1 fibroadenoma, 1 mastopatia fibroadenomatoide,
1 adenosi ed 1 papilloma intraduttale), che a tutt’oggi non
hanno presentato carcinoma invasivo (follow up medio 14
anni, mediana: 14,1 anni, dev.st. 0,17 anni). Per l’AP-PCR
sono stati usati i primers AR3 ed MCG1, gli amplificati sono
stati analizzati con DNA Sequencer ABI PRISM 377; la cluster analyis con metodo di Ward sui picchi ottenuti è stata effettuata con il software SPSS 11.0.
Risultati
Sui 1500 picchi ottenuti dall’AP-PCR con primer AR3 abbiamo identificato due clusters [cl] (cl 1 composto da 755
picchi e cl 2 composto da 745 picchi) che stratificavano in
modo netto e significativo distinguendo i due tipi di lesioni in
studio. Il cl 1 era composto da 301 picchi appartenenti a lesioni di tipo 1 e 454 picchi appartenenti a lesioni di tipo 2. Il
cl 2 era composto da 542 picchi appartenenti a lesioni di tipo
1 e 203 picchi appartenenti a lesioni di tipo 2. Questa distribuzione (Tab. I) discrimina nettamente i picchi appartenenti
a lesioni benigne di tipo 1 da picchi appartenenti a lesioni benigne di tipo 2 (p < = 0,0001). Lo stesso risultato è stato ottenuto usando come primer di AP-PCR MCG1. Abbiamo infatti ottenuto due cl, cl 1 di 592 e cl2 di 504 picchi che si di-
stribuivano in modo netto e significativamente differente tra
i due tipi di lesioni benigne.
Conclusioni
È possibile, utilizzando i pesi molecolari dei segmenti di
DNA amplificato con AP-PCR e cluster analysis costruire un
modello in grado di inferire sulla appartenenza degli amplificati ottenuti ai due diversi gruppi di lesioni benigne, individuando con elevata significatività statistica possibili utili
informazioni sulla tendenza dei casi a sviluppare successivamente un carcinoma invasivo. Questo studio di fattibilità
vuole essere preliminare ad un più ampio impiego delle metodiche qui descritte al fine di meglio definire il rischio di
cancerogenesi mammaria.
Studio finanziato da “Progetto Strategico Oncologia MIURCNR”.
Valutazione dell’espressione di 4-1BBL in
carcinoma mammario mediante RT-PCR in
situ
S. Cazzavillan*, S. Dante*, C. Segala*, E. Bonoldi*, E.S.G.
d’Amore*, V. Fosser**, P. Morandi**
*
U.O. Anatomia Patologica;
AULSS 6 Vicenza
**
U.O. Oncologia Medica,
Introduzione
4-1BB ed il suo ligando 4-1BBL sono molecole che appartengono alla superfamiglia dei Tumor Necrosis Factors
(TNF) e sono implicate nella modulazione del sistema immunitario. Il 4-1BB è costitutivamente espresso nei linfociti
T attivati (CD4-CD8), mentre il 4-1BBL nelle Antigen Presenting Cells (APC) (monociti, macrofagi, cellule del sistema
reticolare dendritico). L’espressione di 4-1BBL è inoltre stata descritta in linee cellulari di diverse neoplasie umane mediante RT-PCR 1. Obiettivi del lavoro sono: a) ricercare l’mRNA di 4-1BBL in situ in campioni tissutali di carcinoma
mammario; b) correlare tale espressione con l’istotipo ed il
grading delle neoplasie esaminate. A tale scopo sono stati
studiati 21 casi di carcinoma mammario (7 duttali G2, 5 duttali G3, 5 lobulari G2 e 4 midollari G3 - grading secondo Elston-Ellis).
Metodi
È stata utilizzata la tecnica di RT PCR in situ 2 modificata;
i primers per l’amplificazione sono indicati da Salih et al. 1.
La positività – citoplasmatica, golgiana o nucleolare – è stata valutata mediante la conta di 8 campi a 40X (cell/1 mm2).
Come controlli di amplificazione sono stati usati i linfociti
T attivati e le cellule APC presenti nel tessuto stesso.
Risultati
a) il 100% delle neoplasie esaminate esprime 4-1BBL in numero variabile da 30 a 900 cell/mm2; b) il pattern di espressione è eterogeneo e prevalentemente golgiano con possibile
Tab. I.
Lesione tipo 1
Lesione tipo 2
Cluster 1
AR3
Cluster 2
AR3
Cluster 1
MCG1
Cluster 2
MCG1
301 (39,9%)
454 (60,1%)
p < = 0,0001
542 (72,8%)
203 (27,2%)
381 (64,4%)
211 (95,5%)
p < = 0,0001
38 (7,5%)
466 (92,5%)
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
351
coesistenza di diversi pattern nella stessa cellula; c) la positività, espressa in cell/mm2, è maggiore nei carcinomi duttali
seguiti dai midollari e dai lobulari; d) l’espressione è maggiore nelle neoplasie ad alto grado (G3) rispetto ai G2.
Conclusioni
mediante RT-PCR in situ è stato possibile dimostrare
l’espressione di 4-1BBL su sezioni di neoplasia mammaria
umana evidenziando la molecola in strutture cellulari
specifiche. Tale espressione, pur essendo eterogenea, pare
correlare, nella casistica da noi esaminata, con l’istotipo ed il
grading della neoplasia. Il significato biologico e prognostico
di tale espressione è ancora incerto e necessita dell’esame di
più ampie casistiche e di correlazione clinico patologica.
gnificativa prevalenza nell’istotipo lobulare rispetto a quello duttale. Inoltre i carcinomi mammari AR positivi hanno
generalmente una concordante espressione di ER e PR, sono caratterizzati da un basso indice proliferativo ed hanno
basso grado istologico. Infine la determinazione di AR potrebbe essere di un certo interesse in ambito clinico-prognostico fornendo indicazioni utili per una terapia anti-androgena.
Bibliografia
1
Salih, et al. J Immunol 2000;156:2903-10.
2
Nuovo GJ. Frontiers in Bioscience 1 1996; c4-15.
Servizio Anatomia Patologica Ospedale Oncologico “A. Businco”, Cagliari
Espressione del recettore degli androgeni nel
carcinoma mammario
C. Riva*, G. Caprara**, E. Dainese*, P. Cossu Rocca***, G.
Massarelli***, C. Capella*, V. Eusebi**
*
Dipartimento di Morfologia Umana, Università dell’Insubria, Varese; ** Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia, Università di Bologna, Ospedale Bellaria,
Bologna; *** Istituto di Anatomia Patologica, Università di
Sassari
Introduzione
È ampiamente dimostrato che gli androgeni e il recettore degli androgeni (AR) sono implicati nella patogenesi del carcinoma mammario. Allo stato attuale è noto il significato dei
recettori degli estrogeni (ER) e del progesterone (PR) come
marcatori di risposta alla terapia ormonale e di decorso della
malattia, mentre il ruolo biologico ed il significato prognostico di AR nel carcinoma mammario sono assai meno conosciuti.
Metodi
Nel nostro studio è stata indagata con metodica immunoistochimica l’espressione di AR in 250 carcinomi mammari consecutivi, comprendenti 222 carcinomi duttali infiltranti (CD)
e 38 carcinomi lobulari infiltranti (CL). Sono stati utilizzati i
seguenti anticorpi: AR (clone AR 27, Novocastra), ER (clone
6F11, Ventana), PR (clone 16, Ventana) e Ki-67 (clone MIB1, Dako), con procedura automatica standardizzata (Ventana)
e tecnica Envision (Dako). I recettori ormonali sono stati valutati positivi quando almeno il 10% dei nuclei erano immunoreattivi; elevato indice proliferativo era stimato una marcatura nucleare per MIB-1 ≥ 30%. La significatività statistica è stata valutata con test di Fisher e del χ-quadro.
Risultati
La positività per AR era presente in 151 casi (60,4%) e risultava maggiormente espressa nei CL (86,8%) rispetto ai CD
(53%) (differenza statisticamente significativa: χ2 = 11,82).
AR-positività era associata nel 93% dei casi ad ER-positività
(statisticamente significativo: χ2 = 14,33) e nel 72% dei casi
a PR-immunoreattività (statisticamente significativo: χ2 =
7,36); 80% dei casi AR positivi erano caratterizzati da basso
indice proliferativo e nel 66% dei casi mostravano basso grado istologico (G1-G2).
Conclusioni
I nostri risultati ci consentono di concludere che AR è frequentemente espresso nel carcinoma mammario, con una si-
Espressione del gene HER2 nel carcinoma
della mammella. Valutazione casistica
S. Orrù, A. Murgia, M. Rais
Introduzione
La valutazione dello status di HER2 nel carcinoma mammario ha valore prognostico e predittivo. In questo studio abbiamo inteso effettuare una caratterizzazione dei tumori
HER2+ e valutare se, nella nostra casistica, HER2 possa rappresentare un marcatore prognostico indipendente.
Metodi
144 tumori mammari con amplificazione genica di
HER2/neu valutata mediante metodica FISH (Inform HER2 - Ventana) e overespressione della proteina recettoriale,
sono stati confrontati con 523 casi-controllo rappresentati
da carcinomi mammari consecutivi, saggiati con sola metodica immunoistochimica per la valutazione della proteina
recettoriale c-erbB-2 (policlonale Dako) e refertati con punteggio 0-1-2.
Risultati
I parametri prognostici di comparazione utilizzati nel nostro
studio, sono quelli correntemente accettati 1. Le pazienti con
amplificazione del gene HER2, rispetto al gruppo di controllo risultano appartenere ad una più giovane fascia di età (età
media 51 vs 58, mediana 50 vs 59); l’istotipo maggiormente
rappresentato è il duttale (90% vs 70%), il grado di differenziazione più frequentemente riscontrato è il G3 (60% vs
20%), vi è una preponderanza di T2 e T4 (rispettivamente
58% vs 40% per il T2 e 11% vs 5% per il T4, mentre i T3 sono sostanzialmente sovrapponibili); mostrano più frequentemente un coinvolgimento linfonodale (il 65% dei casi vs il
40%); hanno comprensibilmente un maggior indice di proliferazione cellulare (Ki-67 = o > al 25% nel 79% dei casi, vs
il 18% del gruppo di controllo). Il Recettore Estrogeno è assente nel 53% dei casi vs il 17%, mentre il Recettore Progestinico è assente nel 71% dei casi, rispetto al 25% del gruppo
controllo.
Conclusioni
Dall’analisi comparativa tra neoplasie mammarie con dimostrata amplificazione del gene HER2/neu e tumori mammari
consecutivi con proteina recettoriale assente o non intensamente espressa, saggiata mediante immunoistochimica, è
emerso che lo status di amplificazione del gene HER2 sottende neoplasie caratterizzate dalla presenza di marcatori di
cattiva prognosi. Inoltre tale status difficilmente può essere
considerato fattore prognostico indipendente giacché strettamente correlato agli altri parametri prognostici attualmente
riconosciuti.
Bibliografia
1
Goldhirsch A, et al. JCO 2003;21(17):1-9.
COMUNICAZIONI LIBERE
352
Il contributo della Real-Time PCR nella
definizione dell’HER2/neu status dei casi
classificati 2+ dopo valutazione
immunoistochimica
La qualità nella procedura “analisi molecolare
dell’amplificazione HER-2/neu” nei carcinomi
della mammella con metodica FISH: dalla
richiesta all’erogazione della prestazione
G. Monego1, V. Arena2, N. Maggiano2, L. Costarelli3, A.
Crescenzi4, G. Zelano1, M. Amini3, A. Carbone2,5
E. Piazzola*, G. Ciancio**, M. Mina*, S. Pecori*, E. Manfrin*, M. Brunelli*, F. Bonetti*, F. Menestrina*
1
*
Istituto di Anatomia Umana Normale e Biologia Cellulare;
Istituto di Anatomia Patologica (Roma); 5 Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche (Campobasso), Facoltà di Medicina “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore; 3 Unità Operativa di Anatomia Patologica Ospedale “S. Giovanni”, Roma; 4 Unità
Operativa di Anatomia Patologica Ospedale “Regina Apostolorum”, Albano
2
Introduzione
La determinazione del livello di espressione di HER-2 nel
carcinoma della mammella è importante per stabilire il grado
di sensibilità o resistenza a trattamenti chemioterapici. La disponibilità di anticorpo monoclonale anti-HER-2
(Herceptin®), inoltre, offre un nuovo strumento terapeutico in
caso di malattia avanzata e/o insensibile a terapia ormonale o
ai normali chemioterapici. L’indicazione al trattamento con
anti-HER-2 si basa sull’evidenziazione dell’iperespressione/amplificazione del gene HER-2. Attualmente, l’algoritmo
diagnostico prevede una prima valutazione immunoistochimica (IIC) seguita da analisi FISH (fluorescence in situ hybridization) dei casi risultati borderline per espressione di
HER-2 (punteggio di 2+ in una scala da 0 a 3+).
Nel presente studio abbiamo confrontato i risultati delle determinazioni di HER-2 ottenuti con la FISH con quelli ottenuti con la real-time polymerase chain reaction (RTPCR), nei
casi risultati dubbi per iper-espressione di HER-2 all’esame
IIC.
Metodi
Sono stati analizzati 57 campioni di carcinoma della mammella risultati 2+ all’esame IIC. Gli stessi blocchetti di paraffina sono stati utilizzati per allestire le sezioni destinate alle differenti metodiche molecolari (FISH e RTPCR).
Risultati
L’amplificazione del gene HER2 è stata rilevata nel 23% dei
casi con la FISH e nel 47% con la RTPCR.
Conclusioni
I dati ottenuti indicano che la RTPCR ha una sensibilità superiore della FISH nell’individuare i casi con amplificazione
di HER-2. Tali risultati incoraggiano la possibilità di inserire
la RTPCR nell’algoritmo diagnostico per diagnosi di amplificazione di HER-2 al posto della FISH nei casi valutati borderline (2+) all’IIC, soprattutto se considerata come test positivo altamente predittivo. L’analisi mediante FISH verrebbe riservata ai soli casi risultati negativi alla RTPCR, come
controllo, data la possibilità della FISH di identificare cellule con amplificazione genica pur se disperse in un tessuto
prevalentemente costituito da elementi euploidi. La sensibilità del metodo RTPCR potrebbe essere ulteriormente aumentata riducendo la contaminazione dovuta alla componente stromale e/o non neoplastica, ricorrendo alla delimitazione
delle aree da analizzare mediante microdissezione laser o
scraping manuale.
Anatomia Patologica, Università di Verona; ** Consulente
Formatore
Introduzione
La sezione di Anatomia Patologica dell’Università di Verona,
condivide il documento di Descrizione del Sistema Qualità,
nell’ambito della certificazione dell’Azienda Ospedaliera di
Verona. Abbiamo voluto applicare il metodo del lavoro impostato per analizzare i processi diagnostici dell’Unità Operativa al nuovo processo, recentemente introdotto e sempre
piu’ richiesto, di analisi molecolare dell’amplificazione del
gene Her-2/neu nei carcinomi della mammella tramite metodica di ibridazione in situ fluorescente (FISH/Her-2).
Metodi
Abbiamo analizzato il processo a partire dalla richiesta della
prestazione FISH/Her-2 in 25 casi di carcinoma della mammella consecutivi, giunti presso la nostra Unità Operativa dal
gennaio a maggio 2004.
Risultati
Abbiamo identificato le seguenti fasi del processo: il test FISH/Her-2 viene richiesto dal patologo su un foglio di lavoro e
viene indicato l’incluso in paraffina appropiato per l’analisi (1°
giorno); il personale tecnico di istologia fornisce le sezioni di
tessuto in bianco al personale tecnico competente per la metodica FISH; viene registrato il caso in sequenza numerica con la
sigla FLA (analisi in fluorescenza) in un file Excel (2° giorno);
viene eseguita l’analisi molecolare (3° e 4° giorno) e la valutazione del preparato viene fatta in doppio cieco in sequenza
da un tecnico addetto alla metodica FISH e da un medico (5°
giorno); la diagnosi (prodotto) viene siglata su un foglio A4 indicando il materiale su cui è stata eseguita l’analisi molecolare, il numero istologico relativo, la sigla numerata FLA e la risposta indicata come “Her-2 amplificato”, “Her-2 non amplificato”; vengono poi stampate e firmate tre copie della diagnosi
(6° giorno), una per archivio cartaceo interno all’Unità Operativa, una per il medico richiedente (customer) ed una in allegato alla diagnosi istologica.
Conclusioni
L’analisi del processo inerente la “diagnosi molecolare FISH/Her-2” nei carcinomi della mammella, permette il controllo delle varie fasi del lavoro ed il monitoraggio continuo
della qualità del servizio.
HER-2/neu in breast cancer: a comparative
study between histology,
immunohistochemistry and molecular
technique (FISH)
E. Rossi, A. Ubiali, P. Balzarini, M. Cadei, F. Alpi, C. Tedoldi, P. Grigolato
Cattedra di Anatomia e Istologia Patologica II Servizio Università-Spedali Civili di Brescia
Introduction
HER-2/neu is a protooncogene frequently overexpressed in
breast cancer. Fluorescence In Situ Hybridization (FISH) is a
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
technique targeting the gene amplification, while Immunohistochemistry detects the protein expression. Usually both
are applied to paraffin embedded tissue. We studied HER-2
by FISH and Immunohistochemistry in 86 breast carcinomas,
subdivided by histological criteria.
Methods
Both FISH and immunohistochemistry were performed on
formalin-fixed, paraffin-embedded samples. FISH was applied using the PathVysion Vysis kit labelling HER-2/neu
gene and chromosome 17 centromere. The immunostaining
technique was DAKO HercepTest (HT) targeting HER-2 protein.
Results
The results showed a good overall concordance between
FISH and HT. In all cases with HercepTest score 0 and 1+ the
non-amplification of gene was observed. The gene amplification was found in 17.85% of cases with 2+ score and in
72.41% of 3+ cases. Furthermore, we investigated the twovariables correlation between chromosome 17 copy number,
protein overexpression, gene amplification and presence of
metastatic lymph nodes.
Conclusions
Data described in literature for 3+ carcinomas show a 3-10%
discrepancy between protein expression and gene amplification, while in this study this difference is up to 20%. As a
consequence, even if usually it is considered important to
analyse by FISH only 2+ cases, 3+ cases may represent a new
interesting subset. The reason why some tumors are FISH
positive and HT negative is still not clear. Other interesting
results were the correlation between HT and chromosome 17
aneusomy (aneusomy raises progressively from 0 to 3+
score) and between gene amplification and lymph node status (weak inverse correlation, lymph node negatives more
amplified than positives). In conclusion, the FISH technique
can represent an important and useful diagnostic tool to integrate the result of HT and to select patients for the immunotherapy.
353
tellite centromerico del cromosoma 17 (Cen17) marcate rispettivamente con Texas Red e Fitc. Da campi differenti in 60
nuclei tumorali 1 di ogni caso sono stati contati i segnali fluorescenti rossi e verdi al microscopio a fluorescenza con messa a fuoco manuale, obiettivo 100x in immersione e poi analizzati con software DakoCytomation her2-fish che permette:
analisi di immagine multifocale, incremento della risoluzione del segnale, mantenimento della specificità e sensibilità,
definizione manuale dei nuclei, conteggio dei segnali e assemblaggio dei risultati in una tabella riassuntiva dei nuclei
analizzati, numero dei segnali Cen 17, numero dei segnali
Her2, rapporto Cen17/Her2, ratio finale.
Risultati
25/33 carcinomi risultavano her2 amplificati con correlazione statisticamente significativa (P = 0,03) con alta proliferazione. Un terzo dei casi Fish negativi avevano marcata polisomia.
Conclusioni
Nel sottogruppo di carcinomi mammari infiltranti con overespressione di Her2 l’applicazione di metodica Fish con kit
standardizzato, supportato da software di analisi d’immagine
avanzato: aiuta la corretta valutazione dello stato di her2, discrimina dai negativi i tumori positivi per amplificazione
eleggibili a terapia con Herceptin ed evidenzia quei casi non
amplificati in cui il fenomeno di polisomia determina overespressione proteica.
Bibliografia
1
Persons DL. Ann Clin Lab Science 2000;30:41-48.
2
Rhodes A. Am J Clin Path 2001;115:44-58.
ER negative, p53 positive, breast cancers
frequently express basal and myoepithelial
cell markers
S. Casnedi, E. Dainese, C. Riva, C. Capella, F. Sessa
Department of Pathology, University of Insubria, Varese
Utilizzo di metodologie standardizzate nella
valutazione del gene HER2: risultati su
casistica di 33 carcinomi duttali infiltranti
della mammella
A. Bernardi*, G. Canavese*, G. Candelaresi*, R. Giani**,
P. Lovadina*, E. Margaria*, E. Berardengo*
*
S.C. Anatomia Patologica; ** S.S.C. Chirurgia Senologica,
Polo Oncologico Torino Est, Ospedale S. Giovanni A.S.
Introduzione
Nei tumori solidi la prima applicazione di “target terapia” si
è ottenuta nel carcinoma mammario con Herceptin, terapia
anti HER2 approvata per il trattamento del sottogruppo di
carcinomi mammari metastatici con overespressione di
HER2. Se un marcatore assume valore prognostico predittivo
di risposta a terapia la sua valutazione esige standardizzazione di metodologie operative, di metodica, di lettura dei preparati e valutazione dei dati ottenuti 2.
Metodi
13 carcinomi duttali infiltranti della mammella positivi 3+ e
20 positivi 2+ al Dako Herceptest sono stati indagati con test di ibridazione in situ in fluorescenza (Fish) usando Dako
HER2 Fish pharmDxTM Kit (con validazione FDA e IVD
europea) che utilizza un mix di sonde DNA cosmidico contro
il gene her2 e, con tecnologia PNA, contro il DNA alfa-sa-
Introduction
Luminal, basal and myoepithelial cell differentiation have
been reported in ductal breast cancer (BC), using several
markers, including cytokeratins (CK) 5, CK14, CK8, CK18,
actin, S100, CD10 and vimentin. Luminal type BC are frequently associated with ER and PgR positivity and good prognosis. No relationship has been documented about p53 positivity, tumour grade and the expression of basal and myoepithelial markers. The aim of our study was to investigate the
expression of CK5 and CK14 in high-grade p53+, ER-BCs,
and to correlate it with the expression of myoepithelial
markers (actin, vimentin and S100).
Material and methods
Formalin-fixed, paraffin-embedded sections from 30 selected
BC, p53+, ER-, PgR-, c-erb-B2-negative BCs were immunostained for CK14 (clone LL002, 1:20, Novocastra), CK5 (clone XM26, 1:200, Novocastra), CD10 (clone 56C6, 1:25, Novocastra), S100 (rabbit policlonal antibody, 1:1000, Dako), vimentin (clone V9, 1:30, Dako). A tumour was considered positive when 10% or more of tumoral cells were positively stained.
Results
All cases were G3, ER-, PgR-, c-erb-B2-negative, p53-positive BCs. The mean age was 64 years ranging from 37 to 90.
Fifteen out thirty cases (50%) had lymph node metastases (11
N1 and 4 N2). Morphologically these tumours were characterized by the presence of large sheets of cells sometimes
COMUNICAZIONI LIBERE
354
with spindle appearance, festoon-like pattern, and occasional
central necrosis. The proliferative index was high in all cases
(mean Ki-67 61%). The mean nuclear positivity of neoplastic
cells for p53 was 74%, ranging from 10% to 100%. Twentysix out thirty (87%) of BC were positive for S100, 13/30
(43%) for vimentin, 7/30 (23%) for CD10, 13/30 (43%) for
CK14, and 19/30 (63%) for CK5. Twenty-four out thirty BC
(80%) were positive for 2 markers under study and 19/30 BC
(63%) for 3 or more of them. Only 3/30 (10%) were negative
for all the antibodies tested.
Conclusions
Our study suggests that among high grade BCs there is a subset of p53 positive tumours, negative for ER, PgR and c-erbB2, that expresses frequently basal and myoepithelial
markers. This particular phenotype could be the result of a
different pathway in the breast tumoral carcinogenesis and
can have important clinical relevance because of its high rate of lymph node metastasis. The results suggest that p53+,
ER-, BC should be investigated for the expression of basal
and myoepithelial markers.
Valutazione clinica e biopatologica
multiparametrica di 702 carcinomi mammari
infiltranti con tecnica del tissue microarray
(TMA)
P. Querzoli, M. Pedriali, S. Ghisellini, R. Rinaldi, S. Ferretti, C. Frasson, C. Zanella, E. Canova, F. Modesti, I.
Nenci
Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica. Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara
Introduzione
I TMAs consentono al patologo di analizzare l’espressione
proteica in centinaia di carcinomi mammari, di identificare e
validare quali profili biopatologici possono essere utilizzati per
definire classi di rischio e categorie diagnostico-predittive.
Metodi
Sono stati studiati 702 casi di carcinoma mammario infiltrante (1989-1993), su 31 TMAs, con follow-up clinico > 8
anni (ormonoterapia 204 pazienti, chemioterapia 98; recidive
locali 9,8%, sistemiche 23% e decessi per cancro 17,5%). È
stata effettuata una caratterizzazione clinico-patologica (età,
stato menopausale, istotipo, pT, grado, pN e Nottingham Prognostic Index) e biologica (ERα, PR, MIB1, HER2, E-CAD,
p53 e Cox2; 217 TMAs vs 5616 sez. convenzionali), con ICA
(immunocoloratore automatico Nexes/Ventana) e valutazione
quantitativa computerizzata (Eureka/Menarini). I dati raccolti in una banca dati relazionale sono stati analizzati con statistica univariata, multivariata e dei clusters.
Risultati
Il 75,1% era di istotipo duttale, 15,5% lobulare, 9,4% speciali;
il 64,1% era pT1, il 48,8% pN0(i-), 3,6% pN0(i+), 3% pN1mi,
44,6% pN1/pN2/pN3. Dal confronto tra i parametri biopatologici sono emerse correlazioni indirette tra: grado ed ER, PR ed
E-CAD; pT ed ER; correlazioni dirette tra grado e Mib1,
HER2, p53 e Cox2; overespressione di HER2 ed istotipo duttale e perdita dell’E-CAD nel lobulare. L’iperespressione di
PR è associata ad una migliore sopravvivenza globale (OS) ed
un maggiore intervallo libero da malattia (RFI). Il NPI ha identificato 3 gruppi di pazienti (basso rischio 41%, rischio intermedio 44%, alto rischio 15%) ad andamento clinico diverso. Si
sono dimostrati parametri con ricaduta clinica: pT sull’RFI
nelle pazienti pN0(i-) e pN1a-pN3; grado nel gruppo pN1apN3, ER nel gruppo pN0(i+)-pN1mi e sull’RFI nella categoria
pN1a-pN3; PR sull’RFI nel gruppo pN0(i+)-pN1mi e Cox2
nelle pazienti pN1a-pN3 sottoposte a chemioterapia.
Conclusioni
Questo studio si inserisce in un progetto di ricerca multicentrico* il cui obbiettivo è di identificare nuovi markers prognostici e predittivi. L’ampia casistica su TMAs, integrata
con altri markers già studiati sulla medesima casistica sarà
valutata con complesse analisi statistiche per consentire la
predizione individuale delle probabilità degli eventi. In questo ambito il patologo potrà contribuire non solo nella diagnostica tumorale ma anche nella validazione dei risultati e
nella impostazione terapeutica.
*
Università di Chieti: Prof. S. Iacobelli, Prof. A. Marchetti,
Prof. M. Piantelli; Università di Milano: Prof. E. Marubini;
Università di Modena: Prof. A. Maiorana; Università di Pisa:
Prof. G. Bevilacqua.
COX-2 expression in intraductal breast
carcinoma
G. Perrone*, M. Zagami*, D. Santini**, B. Vincenzi**, A.
Bianchi*, A. La Cesa**, V. Altomare***, A. Primavera***, C.
Battista***, A. Vetrani****, G. Tonini**, C. Rabitti*
*
Surgical Pathology, Campus Bio-Medico University, Rome;
Medical Oncology, Campus Bio-Medico University, Rome;
***
Breast Surgical Unit, Campus Bio-Medico University, Rome; **** Department of Anatomic Pathology and Cytopathology, University of Naples “Federico II”
**
Introduction
There is considerable evidence that links COX-2 to the development of cancer. Epidemiological studies suggest that
regular intake of NSAIDs may protect against breast cancer 1. Ristimaki et al. analyzed the expression of COX-2
protein in 1155 invasive ductal carcinomas using immunohistochemical methods and found that 39.9% of these lesions were COX-2 positive 2. The aim of our study was to
assess, by immunohistochemical method, COX-2 expression in ductal carcinoma in situ (DCIS) and its possible
correlation with HER2/neu, VEGF expression and other
common immunohistochemical parameters (p53, ER, PGR,
Ki-67).
Methods
Tissue samples of 49 archival DCIS without any invasive
component were analyzed by immunohistochemistry using
streptoavidin-biotin method for COX-2 (clone M-19: Santa
Cruz Biotechnology), Her-2/neu (HercepTestTM: Dakocytomation), VEGF (clone A-20: Santa Cruz Biotechnology),
estrogen (clone 1D5: Dakocytomation) and progesterone
(clone 1A6: Dakocytomation) receptors , Ki-67 (clone MIB1: Dakocytomation) and p53 (clone DO7: Dakocytomation).
3-3’-diaminobenzidine (DAB) was used for color development and hematoxylin was used for counterstaining. Negative control slides processed without primary antibody were
included for each staining.
Results
COX-2 expression was detected in 43 (87.8%) tissue samples
of which 24.5% were graded as weak, 44.9% as moderate
and 8.4% as high expression. Only 6 (12.2%) lesions resulted
negative for COX-2 expression. VEGF expression was detected in 93.8% of sample. 66.7% of lesions were found po-
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
sitive to HER2/neu expression. Furthermore we found that in
DCIS over-expression of COX-2 is positively correlated to
high tissue levels of VEGF (P=0.003). A significant positive
correlation was also detected between high levels of COX-2
and HER2/neu expression (P<0.0001).
Conclusions
These data support the carcinogenic role of COX-2 in intraductal breast cancer and highlight its correlation with VEGF
and Her-2/neu expression. An early prophylactic inhibition
of COX-2 expression may decrease tumor progression in patients with preinvasive neoplasm and may block breast carcinogenesis reducing the incidence of breast carcinoma in patients at high risk.
References
1
Sharpe CR, et al. Br J Cancer 2000;83:112-120.
2
Ristimaki A, et al. Cancer Res 2002;62:632-635.
Nuovo TNM: correlazioni biopatologiche
in 436 carcinomi mammari infiltranti
P. Querzoli, M. Pedriali, R. Rinaldi, C. Frasson, S. Ghisellini, C. Zanella, I. Nenci
Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara
Introduzione
La valutazione prognostico/predittiva nelle pazienti con carcinoma mammario infiltrante non può prescindere da una accurata stadiazione linfonodale. Il TNM2002 ha introdotto
nuove categorie pN: cellule tumorali isolate, pN0(i+), definite come depositi non superiori a 0,2 mm; micrometastasi,
pN1mi, del diametro compreso tra 0,2 e 2 mm. Inoltre la stadiazione pN si basa sul numero dei linfonodi e sulla procedura del linfonodo sentinella (LNS).
Metodi
Dal gennaio 2003 ad aprile 2004 nella nostra sezione di Anatomia Patologica sono state diagnosticati 436 carcinoma
mammari infiltranti.
Il 63% delle pazienti sono state sottoposte a quadrantectomia/escissione segmentaria ed il 55,9% ha eseguito la procedura LNS.
Per la valutazione del LNS e dei linfonodi del cavo (ALN)
sono state introdotte procedure che prevedono: per LNS il taglio lungo l’asse maggiore in frammenti paralleli (spessore
mm 3 con apposito strumento multilame) ed il sezionamento
ad intervalli di 200 mm sino ad esaurimento del campione;
per ALN, tutti i linfonodi dopo sezionamento sull’asse maggiore vengono completamente inclusi. Per entrambi si procede a colorazione con EE ed anticorpi anti PCK.
Risultati
Il 74,8% dei carcinomi infiltranti erano duttali, il 15,1% lobulari, ed il 10,1% di istotipo speciale. Il 65,6% era pT1. Il
22,7% era G1, il 51,9% G2, il 25,4% G3. Il 51,9% era pN0(i), il 3,9% pN0i+, l’8,1% pN1mi, il 18,9% pN1, l’8,6% pN2
ed l’8,6% era pN3. Alla caratterizzazione biologica l’84,9%
dei casi era ER+, il 69,7% PR+, il 66,7% ad alta attività proliferativa (PI), il 64,2% era Her2+ (score 2+/3+), ed il 69,4%
p53+.
Le dimensioni (pT) ed il G sono correlate con il pN (60,4%
pT1/pN0(i-) vs 27,1% pT2-3/pN0(i-), p < = 0,001), [77,8%
G1/pN0(i-) vs 45% G2/pN0(i-) vs 42,2% G3/pN0(i-), p < =
0,001]. L’istotipo lobulare più frequentemente si associa a
355
pN0(i+) [5,5% Duttali/pN0(i+) vs 14,7% Lobulari/pN0(i+)
vs 3,4% Speciali/pN0(i+), p = 0,032].
Dal confronto tra caratteristiche biopatologiche del tumore
nei gruppi pN0(i-) e pN0(i+) Her2+ ed ER- sono risultati essere i 2 parametri che si associano al fenotipo pN0(i+) : [
pN0(i+)HER2+: 92,9% vs pN0(i-)HER2+: 53,3%p=0,004 ;
93,2% dei ER+/pN0(i-) vs 6,7% ER+/pN0(i+), p=0,013].
Inoltre nella nostra casistica basso PI si associa a pN0(i-)
[70,5%PI-/pN0(i-) vs 41,3% PI+/pN0(i-), p < = 0,001].
Conclusioni
Al patologo è oggi riconosciuto un ruolo chiave nella definizione delle categorie prognostico/predittive. Il nuovo TNM e
la caratterizzazione biologica multiparametrica del tumore
sono strumenti imprescindibili per la gestione della paziente
senologica.
Valutazione dell’incidenza di metastasi a
distanza in 377 pazienti affette da carcinoma
mammario infiltrante pN0(i-), pN0(i+) e pN1mi
P. Querzoli, M. Pedriali, C. Frasson, R. Rinaldi, S. Ferretti, A.R. Lombardi, P. Boracchi*, E. Biganzoli**, C. Zanella, S. Ghisellini, E. Marubini*, I. Nenci
Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara; * Istituto di Statistica Medica e Biometria,
Università di Milano; ** Unità di Statistica Medica e Biometria, Istituto Nazionale Tumori, Milano
Introduzione
L’introduzione delle tecniche morfologico/molecolari di stadiazione linfonodale, suggerite dal TNM2002, consentono al
patologo di stratificare le pazienti pN0 in due sottogruppi,
pN0(i-) e pN0(i+), e di definire le pazienti con micrometastasi (pN1mi). Scopo del nostro studio è valutare il significato clinico della presenza di cellule tumorali isolate/piccoli
clusters < 0,2 mm e di micrometastasi (0,2-2 mm) nei linfonodi ascellari di pazienti affette da carcinoma mammario infiltrante.
Metodi
Abbiamo condotto, previa reinclusione e rianalisi, effettuata
su tre paia di sezioni consecutive, utilizzate per EE/ICA con
anticorpi anti-pancitocheratine (Immunocoloratore automatico NEXES Ventana), una ristadiazione linfonodale di 377 casi (6676 linfonodi totali) di carcinoma mammario infiltrante,
diagnosticati pN0 presso il nostro Dipartimento negli anni
1989-93. Su tutta la casistica è stata effettuata una caratterizzazione clinico-patologica (età, stato menopausale, istotipo,
dimensioni del tumore, grado istologico) e biologica (ERα e
PR, Mib1, HER2/Neu, E-caderina, p53, Cox2), utilizzando la
tecnica del Tissue Microarray. Il follow-up mediano è di 115
mesi.
Risultati
Dopo ristadiazione linfonodale, 328 (87%) pazienti sono risultate pN0(i-); in 49 casi si è proceduto alla misurazione dei
clusters di cellule tumorali pancitocheratine-positive, tramite
sistema di morfometria computerizzato (EUREKA MENARINI): 24 (6,4%) casi sono stati classificati pN0(i+) e 25 casi (6,6%) pN1mi. Considerando 8 anni di follow-up, sono
state registrate 34 metastasi a distanza (25 nel gruppo pN0(i), 6 nelle pN0(i+) e 3 nelle pN1mi), 24 recidive locali, 7 tumori controlaterali. All’analisi, condotta con un modello di
regressione specifico per confrontare le incidenze in presenza di rischi competitivi, si è evidenziato che le pazienti
COMUNICAZIONI LIBERE
356
pN0(i+) hanno presentato un rischio specifico di sviluppare
metastasi a distanza circa 3,5 volte superiore rispetto alle
pN0(i-), mentre nessuna differenza è stata riscontrata tra le
pN0(i+) vs le pN1mi.
Conclusioni
Il valore prognostico della dimensione del deposito metastatico (ITC o maggiore estensione nelle micrometastasi) non è
ancora chiaramente definito. Nel nostro studio la presenza di
cellule tumorali isolate/piccoli aggregati e micrometastasi a
livello linfonodale comporta una maggiore incidenza di metastasi a distanza nelle pazienti pN0(i+) e pN1mi rispetto alle pN0(i-).
Valutazione macroscopica intraoperatoria
dei margini di resezione nella chirurgia
conservativa della mammella
D. Corti, P. Mercurio, P. Tebaldi, E. Pezzica
Struttura Complessa di Anatomia Istologia Patologica e Citodiagnostica, Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio,
Ospedale di Treviglio
Introduzione
Allo scopo di evitare un secondo intervento di reescissione
nella chirurgia conservativa della mammella, abbiamo introdotto sistematicamente lo studio macroscopico intraoperatorio dei margini di resezione in collaborazione con la II Divisione chirurgica del nostro ospedale.
Metodi
Sono stati esaminati 37 quadrantectomie conservative per
carcinoma duttale infiltrante precedentemente diagnosticato
mediante core-biopsy. In tutti i casi è stato eseguito esame
macroscopico intraoperatorio sui margini contrassegnati dal
chirurgo con reperi. Per il margine più vicino alla neoplasia
veniva considerata la distanza in mm. Per distanze minori di
10 mm il margine veniva considerato compromesso. Il chirurgo procedeva a reescissione immediata quando possibile.
All’esame istologico definitivo del pezzo operatorio un margine veniva considerato compromesso se separato da meno di
5 mm dalla neoplasia in situ o invasiva.
Risultati
In 14 casi (37,84%) un margine è stato considerato positivo
all’esame macroscopico e il chirurgo ha potuto procedere
alla reescissione immedita del margine interessato in 11 casi, mentre in 3 l’intervento è stato trasformato in mastectomia. L’esame microscopico ha successivamente evidenziato, in 4 casi, una ulteriore compromissione del margine da
reescissione per cui è stata necessaria una successiva seconda operazione. In 23 casi (62,16%) i margini sono risultati esenti da neoplasia all’esame macroscopico. L’esame
istologico completo definitivo successivo del pezzo operatorio ha evidenziato 2 casi con interessamento microscopico dei margini. In totale sono state necessarie 6 nuove operazioni (16,21%).
Conclusioni
L’esame macroscopico intraoperatorio dei margini di resezione nella chirurgia conservativa della mammella, nella nostra esperienza, ha permesso di limitare la necessità di un secondo intervento dopo l’esame completo microscopico definitivo del pezzo operatorio. La procedura è facilmente applicabile a basso costo in tutte le realtà, permette al patologo di
“guidare le mani del chirurgo” per modulare l’intervento,
inoltre può migliorare la intesa tra patologo e chirurgo per il
raggiungimento del miglior risultato clinico.
Biopsia mammaria percutanea sotto guida
stereotassica. Analisi di 200 casi
M.G. Galasso, V. Russo, P. Greco, M.F. Rizzo*
U.O. Anatomia Patologica; * U.O. Radiodiagnostica Senologica, Azienda Ospedaliera “Garibaldi”, Catania
La biopsia percutanea sotto guida stereotassica è utilizzata
nella diagnosi delle lesioni non palpabili della mammella, in
alternativa alla biopsia chirurgica. L’impiego di sonde da
11/14G consente di ottenere il maggior numero di prelievi
bioptici, con un unico inserimento, sul bersaglio radiologico. Scopo del nostro studio è l’analisi delle microcalcificazioni e quello di stabilirne i caratteri morfologici di benignità e malignità. Da gennaio 2003 a marzo 2004 sono state
effettuate 200 biopsie, che giungono in provette, fissate in
formalina al 10%, accompagnate da una scheda con i dati e
le notizie cliniche e/o quesiti diagnostici. I tessuti bioptici
sono campionati in toto, allestite 2 sezioni per ognuna delle
inclusioni in paraffina e colorate in E.E. e sezioni aggiuntive per eventuali immunocolorazioni. I 200 casi sono stati
differenziati in benigni e maligni. Lesioni benigne 83: 16
atrofia; 5 fibrosi-metaplasia apocrina cistica; 62 proliferazioni epiteliali benigne. Lesioni proliferative: 30 casi: 1
iperplasia duttale usuale; 1 neoplasia intraepiteliale duttale
grado 1B; 28 carcinomi duttali in situ. Neoplasia papillare
intraduttale: 11 casi. Neoplasia lobulare: 3 carcinomi lobulari in situ. Carcinoma microinvasivo: 2 casi; Carcinoma
duttale infiltrante: 55 casi. Le correlazioni tra biopsia vacuum–assisted e istologia dopo intervento chirurgico sono
così riassunte: dei 28 carcinomi duttali in situ: 20 riconfermati, 6 non concordanti e con componente di carcinoma infiltrante di tipo duttale, 2 operati presso altri centri. I 3 carcinomi lobulari in situ: 2 in follow up, 1 riconfermato. I 2
carcinomi microinvasivi non presentavano associazione con
carcinoma infiltrante. Neoplasia papillare intraduttale (11
casi): 4 presentavano associazione con carcinoma papillare
intracistico. Nei 55 casi di carcinoma duttale infiltrante, 50
erano concordanti, 3 venivano operate in altri centri, 2 presentavano associazione con carcinoma duttale in situ. I nostri dati ci consentono di confermare l’accuratezza della biopsia mammaria percutanea sotto guida radiologica nella diagnosi delle lesioni non palpabili della mammella.
Lesioni ad incerto potenziale di malignità (B3)
nella diagnosi istologica preoperatoria
della mammella e conseguenti indicazioni
terapeutiche
M.G. Cattani
U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale
Maggiore, Azienda USL Città di Bologna
Introduzione
La diagnosi istologica preoperatoria mediante agobiopsia percutanea (tru-cut; CB) ed agobiopsia vacuum-assisted (mammotome; SMB) consente di stabilire la natura della lesione e la
conseguente programmazione di adeguati provvedimenti terapeutici. L’UK National Health Service Breast Screening 1 propone per alcune lesioni definite ad incerto potenziale di malignità la categoria diagnostica B3 che comporta la scelta tra
l’allargamento chirurgico e il follow-up 2. Scopo del presente
studio è di valutare la frequenza delle diagnosi di B3 e di correlarle con l’intervento chirurgico definitivo.
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
Metodi
Nel periodo gennaio 2000-marzo 2004 sono state esaminate
1765 agobiopsie: 863 CB e 902 SMB.
Risultati
La diagnosi di B3 è stata formulata in 159 lesioni (9%) così
suddivise: 62 iperplasia duttale atipica (IDA), 38 radial scar,
24 lesioni papillari, 21 LIN (neoplasia lobulare intraepiteliale),
8 lesioni fibroepiteliali, 6 mucocele. 113/159 casi hanno effettuato l’allargamento chirurgico e all’istologia definitiva il 28%
si è rivelato maligno. Su 36 IDA operate, 14 provenivano da
CB e 22 da SMB. 9/14 hanno presentato focolai neoplastici: 4
carcinomi duttali infiltranti (CDI) e 5 carcinomi duttali in situ
(CDIS) mentre 4/22 hanno presentato focolai di CDIS a basso
grado e 1/22 aveva un CDI in un altro quadrante. Il 44% delle
LIN (8/18) ha presentato lesioni maligne: 1 CDIS, 3 CLIS, 2
CDI e 2 CLI. Tra le 20 lesioni papillari, 1 si è rivelata un carcinoma papillare infiltrante, 2 mostravano focolai di CDIS. Tra
i 6 mucocele, 2 erano carcinomi mucinosi e 2 CDIS.
Conclusioni
La categoria diagnostica B3 comprende un gruppo eterogeneo di lesioni ed ha un valore predittivo positivo di malignità
complessivo del 28%. Per alcune lesioni come la LIN e il
mucocele, è sempre indicato il successivo intervento chirurgico. Per altre come l’IDA, l’approccio terapeutico può dipendere dall’entità della lesione e dal quadro mammografico.
Fondamentale per la scelta del trattamento più adeguato è la
stretta integrazione del team multidisciplinare diagnosticoterapeutico.
Bibliografia
1
Sheffield. NHS Cancer Screening Programmes, 2001.
2
Jacobs TW, et al. Am J Surg Pathol 2002;26(9):1095-1110.
Recidive cutanee dei carcinomi
della mammella: caratteristiche clinicopatologiche e significato biologico
A. Sidoni, R. Del Sordo, A. Cavaliere, G. Bellezza, E.
Bucciarelli
Istituto di Anatomia Patologica, Divisione di Ricerche sul
Cancro, Università di Perugia
Introduzione
Circa un terzo delle pazienti operate per carcinoma della
mammella svilupperanno una recidiva locoregionale (nella
cicatrice, nel parenchima residuo, nel muscolo, nella parete
toracica, nell’ascella o nella cute). Le riprese di malattia a livello cutaneo sono relativamente rare e, secondo alcuni autori, associate a un decorso sfavorevole. Gli studi su questo argomento sono scarsi e prevalentemente concentrati su casi
trattati con chirurgia conservativa.
Metodi
Allo scopo di esaminare le correlazioni clinico-patologiche
ed i fattori predittivi delle recidive cutanee abbiamo studiato
una casistica di 41 pazienti per le quali è stata possibile, previa ricerca nell’archivio del nostro Istituto, sia l’analisi della
neoplasia originale (marzo 1986-maggio 2002) che quella
della recidiva cutanea (ottobre 1988-maggio 2004).
Risultati
Trentasei pazienti (92%) erano state trattate con mastectomia, 5 (8%) con quadrantectomia. La recidiva si è verificata
mediamente dopo 44 mesi (range 4-174) e più precocemente
nelle pazienti con più di 51 anni (29 mesi) rispetto a quelle
più giovani (71mesi). Il diametro medio della neoplasia era
357
di 30 mm (range 11-90). In 11 casi era presente multifocalità
o multicentricità o bilateralità con una estesa componente in
situ nel 39% dei casi. Il 45% dei casi erano G3. In 4 casi di
mastectomia era positivo il margine di resezione profondo. Il
77% delle pazienti aveva metastasi linfonodali e in questi casi le recidive sono comparse più precocemente (35 mesi per
i casi N+, 67 mesi per gli N-). In 12 casi (29%) sono comparse metastasi sistemiche (4 antecedenti e 8 sincrone o metacrone). I dati preliminari non mostrano significative variazioni del profilo biopatologico (ER, PR, Mib-1, p53 e cerbB-2) tra tumore primitivo e recidiva cutanea.
Conclusioni
I risultati del nostro studio indicano che la maggior parte delle recidive cutanee hanno riguardato casi trattati radicalmente, pertanto esse vanno considerate come vere metastasi, con
un particolare tropismo per la cute della regione mammaria,
che in molti casi sono predittive di malattia disseminata. Tumori primitivi multipli, con una estesa componente in situ e
con linfonodi positivi presentano alto rischio di ripresa di
malattia a livello cutaneo e pertanto andrebbero trattati in
maniera più aggressiva.
La modalità di crescita è un fattore
prognostico significativo nel carcinoma
infiammmatorio della mammella. Valutazione
di 30 casi
E. Manfrin, A. Remo, D. Reghellin, A. Parisi, D. Dalfior,
F. Bonetti
Dipartimento di Patologia, Sezione di Anatomia Patologica,
Università di Verona
Introduzione
Lo scopo del nostro lavoro è stato valutare la modalità di crescita neoplastica del carcinoma infiammatorio della mammella come fattore prognostico.
Metodi
Abbiamo rivalutato 30 casi di carcinoma infiammatorio della mammella giunti all’osservazione presso il servizio di
Anatomia Patologica del Policlinico “G.B. Rossi” di Verona
tra il 1988 e il 2001. Criterio per l’inclusione in questo studio
è stata l’evidenza clinica e/o istologica di carcinoma infiammatorio. Abbiamo analizzato la modalità di crescita della lesione per valutarne il significato prognostico.
Risultati
Sono state rilevate due diverse modalità di crescita: nodulare e
diffusa. 9/30 carcinomi (30%) mostravano una crescita diffusa, mentre in 21/30 (70%) era presente una massa nodulare.
L’età media delle pazienti era rispettivamente di 55,66 e 60,76
anni, con un’età media totale di 58,96 ± 15,78 anni. L’esame
mammografico mostrava una massa distinta in 9 su 21 carcinomi infiammatori nodulari (42%) e in 1 su 9 carcinomi infiammatori diffusi (11%). Al momento della diagnosi il 33%
delle neoplasie aveva evidenza di metastasi (stadio IV), mentre il coinvolgimento linfonodale era presente nell’82% dei casi. La sopravvivenza mediana è stata di 27 mesi per le forme a
crescita diffusa e di 56 mesi per quelle a crescita nodulare (P =
0,033). Le lesioni diffuse hanno mostrato un comportamento
biologico più aggressivo delle forme nodulari.
Conclusioni
Il carcinoma infiammatorio è una malattia molto aggressiva 1.
Le pazienti che si presentano all’esordio della malattia con
una massa nodulare hanno una prognosi significativamente
migliore rispetto a quelle con una crescita diffusa della mam-
COMUNICAZIONI LIBERE
358
mella. I risultati del nostro studio documentano che la modalità di crescita è un fattore prognostico significativo nel carcinoma infiammatorio della mammella.
Adenoma a cellule apocrine della mammella,
in paziente con neurofibromatosi e pregressi
mixomi cardiaci
Bibliografia
1
Rosen’s Breast Pathology. P.P. Rosen. Lippincott Williams & Wilkins
Publishers; 2nd edition (April 2001).
G. Parisi*, C. Traversi*, G. Cassandro**, F. Pascazio***, A.
Napoli*, C. Giardina*
Metastasi gastrointestinali di carcinoma della
mammella: descrizione di 12 casi
D. Reghellin*, P. Capelli*, M. Barbareschi**, E. Manfrin*,
A. Remo*, P. Castelli***, M.G. Zorzi*, M. Zatelli*, G. Martignoni*, F. Menestrina*, F. Bonetti*
*
Anatomia Patologica, Università di Verona e di Sassari,
Ospedali S.Chiara-Trento e *** Sacro Cuore-Negrar
**
Introduzione
Le metastasi gastro-intestinali di carcinoma della mammella
sono rare e originano più frequentemente dall’istotipo lobulare. Il quadro endoscopico può mimare una neoplasia primitiva gastro-intestinale 1.
Metodi
Sono stati rivalutati 12 casi di carcinoma mammario con metastasi gastro-enteriche osservati presso l’Anatomia Patologica del Policlinico di Verona, dell’Ospedale “Sacro Cuore” di
Negrar e dell’Ospedale S. Chiara di Trento.
Risultati
L’età media era di 69 anni. In 8 casi il carcinoma primitivo
era di tipo lobulare ed in 4 casi di tipo duttale. In 8 casi la metastasi era localizzata allo stomaco, in uno all’esofago, in due
al piccolo intestino ed in uno al colon. La localizzazione gastro-intestinale della neoplasia era stata diagnosticata dopo
un intervallo variabile dai 2 ai 25 anni dalla diagnosi di carcinoma primitivo (media 9 anni). La sintomatologia era aspecifica in tutti i casi e talora lo era anche il quadro endoscopico, soprattutto a livello gastrico (4/8 casi). Nella maggior
parte dei casi il quadro endoscopico era sospetto per neoplasia primitiva: stenosi del grosso intestino (1/1), dell’esofago
(1/1), della regione pilorica (1/8) e ulcere gastriche (2/8).
Nell’unico caso di stenosi del piccolo intestino il sospetto clinico era di Morbo di Crohn. Istologicamente, talora si era posto il problema di una diagnosi differenziale con un carcinoma a cellule disperse dello stomaco e per una diagnosi precisa si è dovuti ricorrere al confronto con la neoplasia primitiva e ad indagini immunoistochimiche.
Conclusioni
In questo studio le metastasi di carcinoma mammario: 1) sono più frequentemente di istotipo lobulare; 2) si localizzano
più spesso allo stomaco dove possono simulare il carcinoma
a cellule disperse; 3) la sintomatologia ed il quadro endoscopico possono essere aspecifici. Nella valutazione di biopsie
gastrointestinali di pazienti con storia di carcinoma mammario il patologo deve quindi porre attenzione alla diagnosi differenziale con un carcinoma primitivo.
Bibliografia
1
Taals BG, Deterse H, Boot H. Clinical presentation, endoscopic features, and treatment of gastric metastases from breast carcinoma.
Cancer 2000;2214-21.
*
DAPeG Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica,
Sezione di Anatomia patologica, Università di Bari; ** SARIS,
Servizio Autonomo Radiologico ad Indirizzo Senologico, Bari, Policlinico; *** U.O. Chirurgia Ospedaliera II “R. Redi”,
Bari, Policlinico
Introduzione
L’adenoma a cellule apocrine in sede mammaria è raro. I pochi casi descritti in letteratura sono noduli di piccole dimensioni osservati in giovani donne (14-35 anni), la metà dei
quali insorti in gravidanza, e diagnosticati clinicamente come
fibroadenomi. Il caso qui presentato ha indubbiamente delle
peculiarità per l’associazione con la neurofibromatosi (NF)
di tipo I, con pregresso mixoma cardiaco recidivato e per la
comparsa di recidiva anche dell’adenoma mammario a due
anni dal primo intervento.
Caso clinico
Paziente di 37 anni, affetta da NF, con neurofibromi cutanei
più volte asportati chirurgicamente. A 20 anni operata per
mixoma cardiaco, recidivato dopo 7 anni. Nel 1999 dopo una
gravidanza a termine riferisce la comparsa di nodulo mammario il cui esame citologico risulta negativo. Il controllo ad
un anno evidenzia incremento volumetrico del nodulo, ecograficamente di aspetto cistico. Alla mammografia la cisti appare compresa entro un nodulo più grande. Si sottopone ad
intervento chirurgico nel novembre 2001. Dopo l’asportazione la neoplasia appare capsulata, di cm 6,8 x 4 x 4 e in sezione presenta ampia cavità cistica occupata da sangue. Sulla parete della escavazione si apprezza nodulo biancastro,
friabile. Istologicamente la lesione ha una architettura tubulare ed è costituita da cellule con ampio citoplasma acidofilo
di tipo apocrino. Sono inoltre osservabili fenomeni emorragici con minuti frammenti di tessuto necrotico. Numerosi i
focolai di metaplasia apocrina nella ghiandola circostante.
Indagini immunoistochimiche negative per estrogeni e progesterone; fortemente positive per anticorpo antimitocondrio,
Ki-67 1%. Due anni dopo, l’ecografia di controllo evidenziava in sede di pregresso intervento nodulo del diametro di 12
mm citologicamente sospetto (C4). Dopo l’intervento chirurgico perveniva un frammento mammario del diametro di cm
6 comprendente 3 noduli del diametro di cm 1, 0,7 e 0,5, con
caratteristiche istologiche analoghe al precedente.
Conclusioni
In letteratura sono riportate associazioni della NF sia con patologia mammaria (carcinomi e ginecomastia) sia con tumori cardiaci o di altre sedi (colon), questo risulta il primo caso
in cui si osserva nello stesso paziente un adenoma apocrino
della mammella ed un mixoma cardiaco entrambi recidivati.
Bibliografia
1
Eusebi V, et al. Apocrine differentiation in breast epithelium Adv in
Anat Path 1997;43:139-155.
2
Baddoura F, et al. Apocrine adenoma of the breast: report of a case
with investigation of lectin binding patterns in apocrine breast lesions. Mod Path 1990;3:373-76.
PATOLOGIA DELLA MAMMELLA
359
Mastite linfocitaria o mastopatia diabetica?
Report di 3 casi di una lesione inusuale in
grado di simulare una neoplasia maligna
F. Sanguedolce, G. Ingravallo, A.M. Guerrieri , G, D’Eredità**, A. Marzullo, G. Serio, C. Giardina
*
DAPEG, Dipartimento di Anatomia Patologica e di Genetica, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari; * SARIS, Servizio Autonomo Radiologico ad Indirizzo Senologico, Policlinico, Bari; ** Dipartimento di Chirurgia Generale
e Specialistica “G. Marinaccio”, Policlinico, Bari
Introduzione
La mastite linfocitaria è una lesione mammaria poco comune
che insorge solitamente in soggetti affetti da diabete di I tipo
da lungo tempo, da cui il sinonimo “mastopatia diabetica”. Data l’associazione con tale patologia, o comunque con una malattia autoimmunitaria, è stata ipotizzata una patogenesi immunomediata. Clinicamente si presenta sotto forma di masse
palpabili mono o bilaterali che hanno caratteristiche mammografiche e morfologiche suggestive di carcinoma, prevalentemente in soggetti di sesso femminile. Microscopicamente è caratterizzata da abbondante infiltrato linfocitario intra e perilobulare e perivascolare, atrofia lobulare e sclerosi dello stroma;
la presenza di cellule epitelioidi in sede stromale può porre la
diagnosi differenziale, oltre che con un linfoma, con un carcinoma infiltrante o con un tumore a cellule granulose 1 2.
Metodi
Riportiamo i casi di 3 pazienti, 2 di sesso femminile (29 e 68
anni) e 1 di sesso maschile (63 anni), nessuno dei quali presentava anamnesi positiva per diabete. Tutti sono stati sottoposti ad indagini mammografiche per la presenza di masse
palpabili di consistenza dura, monolaterali, di dimensioni
non inferiori ai 3 cm. La mammografia in tutti i casi era fortemente sospetta per carcinoma, pertanto le lesioni sono state sottoposte ad escissione chirurgica; in un caso è stato eseguito l’esame estemporaneo, in un altro si è proceduto ad
asportazione contestuale del linfonodo sentinella.
Risultati
Il reperto istologico era sovrapponibile nei 3 casi: i frammenti
mammari esaminati presentavano multipli focolai con accentuato infiltrato linfocitario a sede intra e perilobulare e perivasale nel contesto di una diffusa fibrosi e scleroialinosi stromale. Alla lesione erano associati in un caso una lieve ectasia dei
dotti e in un altro (donna di 68 anni) focolai di iperplasia epiteliale con aspetti secretivi. In tutti i casi l’analisi immunoistochimica rilevava un infiltrato linfocitario polimorfo costituito in
egual misura da elementi B (CD20+) e T (CD3+), in cui non
erano mai presenti cellule epitelioidi o di tipo istiocitario.
Conclusioni
L’assenza di elementi che suggeriscano una patogenesi immunitaria o una correlazione con la malattia diabetica nei casi presentati sottolinea la necessità di ulteriori e più approfonditi studi sulla mastite linfocitaria, una patologia benigna in grado di simulare clinicamente e all’esame strumentale una neoplasia, ed inoltre suggerisce di riservare a questa
lesione la denominazione di mastite linfocitaria o di lobulite,
meno impegnative da un punto di vista patogenetico.
Bibliografia
1
Valdez R, et al. Mod Pathol 2003;16:223-228.
2
Ely KA, et al. Am J Clin Pathol 2000;113:541-545.
Adenoma pleomorfo della mammella:
descrizione di un caso
E. De Dominicis*, G. Perrone*, E. Cristi*, A. Verzì*, A.
Bianchi*, V. Altomare**, A. Primavera**, C. Rabitti*
*
Anatomia Patologica, Università Campus Bio-Medico, Roma; ** Unità di Senologia, Università Campus Bio-Medico,
Roma
Introduzione
L’adenoma pleomorfo rappresenta dal 45 al 74% di tutti i tumori delle ghiandole salivari maggiori e minori, ma è stato riscontrato meno comunemente in altre sedi. L’adenoma pleomorfo della mammella è un tumore raro, ma questo non dovrebbe sorprendere dato che la mammella viene considerata
una ghiandola sudoripara modificata che mostra un origine
embriologica in comune con le ghiandole salivari. Questa lesione è più frequentemente osservata nelle donne in menopausa. Clinicamente la lesione può presentarsi come una
massa dura, di consistenza stridente all’agoaspirato, caratteristiche che ricordano quelle di un carcinoma.
Metodi
Il caso clinico pervenuto alla nostra osservazione riguarda
una donna di 59 anni con nodulo di cm 2 retroareolare della
mammella sinistra ecograficamente e mammograficamente
sospetto. Veniva eseguito un agoaspirato ecoguidato del nodulo mammario e i preparati ottenuti venivano colorati con
Papanicolau. Successivamente è stata eseguita la rimozione
chirurgica dell’intera lesione. Sono state effettuate sezioni
per la colorazione di routine con EE a partire dal tessuto fissato in formalina e incluso in paraffina. Gli studi immunoistochimici sono stati eseguiti mediante anticorpi contro S100,
citocheratine, vimentina, actina ed EMA.
Risultati
L’agoaspirato si caratterizzava per la presenza di elementi fusati, prevalentemente in aggregati laminari, con nucleo allungato lievemente polimorfo; erano presenti frammenti di tessuto mixoide. La diagnosi citologica fu di lesione benigna
eventualmente compatibile con tumore misto.
Il pezzo operatorio comprendeva parenchima mammario di cm
6 x 5 x 3 sede di una neoplasia ben circoscritta, biancastra di 2
cm e circondata da tessuto adiposo mammario. Istologicamente, la neoplasia era caratterizzata da una coesistenza di cellule
epiteliali e mioepiteliali, stellate e fusate, immerse in un abbondante stroma mixomatoso. La componente epiteliale si presentava in tubuli e cordoni di cellule cuboidali con citoplasma rosa e piccoli nuclei ovali. Le indagini immunoistochimiche eseguite dimostravano positività per S100, citocheratine, vimentina, mentre solo focalmente per actina e negatività per l’EMA.
Conclusioni
L’adenoma pleomorfo della mammella è un raro tumore benigno. In letteratura sono state osservate recidive locali, ma
non sono state riportate metastasi. A causa della sua rarità,
molti clinici non hanno familiarità con gli aspetti clinici di
questo tumore e possono per questo motivo fare una diagnosi di malignità.
360
Carcinoma squamoso cistico della mammella:
descrizione di un caso
M. Zagami*, G. Perrone*, A. Bianchi*, A. Verzì*, R. Carino**, M. Montesano**, A. Zanca**, C. Rabitti*
*
Anatomia Patologica, Università Campus Bio-Medico, Roma; ** Unità di Senologia, Università Campus Bio-Medico,
Roma
Introduzione
Il carcinoma squamoso primario della mammella è una rara
entità clinica. È a tutt’oggi sconosciuta l’esatta istogenesi di
questa neoplasia: è stata suggerita un’origine dalla metaplasia completa dell’epitelio dei dotti 1. Per porre questa diagnosi è necessario escludere la presenza di un carcinoma squamoso delle strutture cutanee locali o di una metastasi da un
sito primario extramammario.
Descrizione del caso
Si descrive il caso di una paziente di 57 anni con nodulo di
cm 1,2 situato a cavaliere dei quadranti interni della mammella sinistra, mammograficamente sospetto per la presenza
di microcalcificazioni. La paziente viene sottoposta a quadrantectomia e linfoscintigrafia per individuazione e asportazione del linfonodo sentinella.
Macroscopicamente il materiale inviato consiste di un frammento di parenchima mammario di cm 4,5 x 3,5 x 2,5, sede
di una neoplasia di cm 1,2, biancastra, in parte cistica, multiloculata, con presenza di materiale poltaceo.
All’esame microscopico, la neoplasia è caratterizzata da formazioni cistiche a rivestimento pavimentoso stratificato talora
atipico, circondate da piccoli dotti estremamente irregolari costantemente metaplasici con aspetti francamente neoplastici,
caratterizzati da evidenti caratteri infiltrativi con marcata reazione desmoplastica stromale, polimorfismo cellulare con voluminosi nuclei talora nucleolati, citoplasma poco abbondante
ed eosinofilo, formazione di perle cornee e mitosi atipiche. Si
pone diagnosi di carcinoma squamoso cistico ben differenziato. Il linfonodo sentinella risulta indenne da infiltrazione neoplastica. A completamento del quadro diagnostico, sono state
effettuate alcune indagini immunoistochimiche, che hanno dimostrato completa negatività per la determinazione dei recettori per estrogeni e per progesterone, di c-erb 2 e p53; la frazione proliferante (ki 67) è risultata pari al 7%.
Conclusioni
Data la rarità di questa lesione il comportamento clinico e il
potenziale maligno di questo tumore sono sconosciuti. Attualmente non c’è consenso riguardo la terapia adiuvante.
L’età, le dimensioni del tumore e la presenza di metastasi
linfonodali sembrano essere importanti fattori prognostici.
La prognosi del carcinoma squamoso è un argomento controverso: alcuni studi indicano una significativa propensione alla recidiva e aggressività locale. È essenziale uno stretto follow-up di questi pazienti, soprattutto nei primi 5 anni.
Bibliografia
1
Cardoso F, et al. The Breast 2000;9:315-319.
COMUNICAZIONI LIBERE
Incidenza degli istotipi speciali del carcinoma
infiltrante della mammella e delle forme
miste: esperienza dell’Azienda Ospedaliera
Villa Scassi, Genova-Sampierdarena
M. Gualco, L. Anselmi, S. Chiaro, T. Ragusa, M. Truini,
A. Sapino*
A.O. Villa Scassi, U.O. Anatomia Patologica, Genova; * Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino
I cosiddetti “tipi speciali” del carcinoma infiltrante della
mammella (WHO 2004) sono numerosi (20-35%); tra questi
i più frequenti sono il carcinoma apocrino (4%), il neuroendocrino (2-5%), il mucinoso (2%), il tubulare (< 2%), il micropapillare (< 2%) e il midollare (1-7%). Istotipi più rari sono, ad esempio, il carcinoma adenoide-cistico (0,1%), il secretorio (0,15%), il carcinoma a cellule aciniche (7 casi in
letteratura) e il carcinoma mioepiteliale.
L’Azienda Ospedaliera Villa Scassi di Genova-Sampierdarena raccoglie un bacino di utenza ampio (circa 220.000 pazienti/anno), rappresentativo di una parte del ponente della
città, in cui affluiscono pazienti non selezionate stante l’assenza di Unità di Senologia o di screening organizzati. I casi
pervenuti in un periodo di osservazione monitorato strettamente sotto il profilo del percorso diagnostico e della successiva verifica delle diagnosi, possono rappresentare un indicatore sulla tipologia e sulle caratteristiche della espressione della malattia in un contesto circoscritto. Nel presente lavoro viene valutata l’incidenza degli istotipi speciali e delle
forme più rare.
Nel periodo compreso tra l’aprile 2002 e l’aprile 2004, sono
stati diagnosticati 130 carcinomi della mammella. Di questi
95 duttali NAS (73%), 12 lobulari (9%), 9 carcinomi infiltranti con istotipi misti (7%) e 14 istotipi speciali (11%).
Gli istotipi speciali erano così suddivisi: 1 tubulare, 2 mucinosi, 1 cribriforme, 1 metaplastico, 2 midollari, 3 papillari, 1 carcinoma apocrino, 2 neuroendocrini, 1 mioepitelioma maligno. I carcinomi a differenziazione apocrina e neuroendocrina sono stati confermati dalla espressione diffusa
rispettivamente di GCDFP-15, Cromogranina A e Sinaptofisina. Il mioepitelioma maligno esprimeva actina, calponina, proteina S-100 e, focalmente, EMA. Di questi 14 carcinomi 13 non avevano metastasi linfonodali, indipendentemente dal diametro della lesione; solo il caso di carcinoma
apocrino presentava localizzazioni linfonodali (pN2). Non
sono state riscontrate significative correlazioni con l’età
delle pazienti, la parità e la sede (lateralità) della lesione.
L’identificazione di istotipi speciali può avere invece una
ripercussione sulla prognosi; inoltre il diverso assetto dei
recettori ormonali (e.g. positività per il recettore degli androgeni nel carcinoma apocrino o del recettore beta degli
estrogeni nel mioepitelioma maligno) può indirizzare verso
approcci terapeutici alternativi.
PATHOLOGICA 2004;96:361-369
Patologia respiratoria
Determinazione dell’epidermal Growth Factor
Receptor nei carcinomi non a piccole cellule
del polmone
G. Bellezza, A. Sidoni, A. Cavaliere, M. Scheibel, V. Ludovini*, L. Pistola*, V. Gregorc***, S. Darwish*, Z. Myhailova*, F.R. Tofanetti*, M. Ferraldeschi*, M. Ragusa**, L.
Di Carlo**, G. Daddi**, M. Tonato*, E. Bucciarelli
Bibliografia
1
Carbone DP. Epidermal Growth Factor Receptor Overexpression: the
importance of contex. J Clin Oncol 2003;23:4268-4269.
Epidermal growth factor receptor (EGFr)
mRNA quantitative evaluation in non small
cell lung cancer (NSCLC)
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Divisione Ricerche sul Cancro, Università di Perugia; * Oncologia Medica,
Azienda Ospedaliera di Perugia; ** Dipartimento di Chirurgia Toracica, Università di Perugia; *** Divisione di Oncologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano
M. Falleni, S. Romagnoli, C. Pellegrini, V. Vaira, S. Manara, L. Moneghini, G. Coggi, S. Bosari
Introduzione
L’Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR) è un elemento
chiave nella regolazione della proliferazione e differenziazione cellulare e nei processi di metastatizzazione; è inoltre
considerato, soprattutto nei carcinomi del polmone non a piccole cellule (NSCLC), il bersaglio di nuove terapie basate
sull’impiego di farmaci suoi inibitori 1. La corretta determinazione dell’EGFR e l’individuazione dei pazienti sensibili a
questi farmaci sono quindi elementi essenziali da considerare nelle scelte terapeutiche. Scopo del nostro studio è stato
quello di valutare l’espressione nel siero e nel tessuto dell’EGFR e di confrontarla con i principali parametri anatomoclinici in un gruppo di pazienti affetti da NSCLC.
Materiali e metodi
Abbiamo considerato in maniera prospettica 93 pazienti con
NSCLC in stadi differenti (I-IV). Di questi, sono stati valutati parametri clinici (età, sesso, abitudine al fumo) e patologici (tipo istologico, pT, stato linfonodale e grado istologico).
L’espressione dell’EGFR è stata determinata nel siero con
metodica ELISA e nel tessuto con anticorpo monoclonale. In
questo ultimo caso è stata considerata la percentuale di cellule positive e l’intensità dell’immunomarcatura.
Risultati
L’età media dei pazienti studiati è stata di 68 anni (range 4180), 76 maschi e 17 femmine. 34 pazienti erano in stadio I, 8
in stadio II, 18 in stadio III e 32 in stadio IV; di questi 52
(45%) sono stati trattati con chemioterapia mentre i rimanenti con chirurgia. Per quanto riguarda il tipo istologico, 52 erano carcinomi squamosi, 23 adenocarcinomi, 7 carcinomi a
grandi cellule, 7 carcinomi indifferenziati e 4 carcinomi
bronchioloalveolari. 36 casi (39%) sono risultati positivi all’immunomarcatura tissutale con EGFR, che si è rivelata
maggiormente espressa nei carcinomi squamosi (p = 0,0005).
Non si è evidenziata alcuna correlazione tra espressione sierica e tissutale di EGFR né con i vari parametri anatomo-clinici considerati.
Conclusioni
I risultati preliminari di questo studio indicano come l’espressione tissutale dell’EGFR risulta maggiormente espressa nei carcinomi squamosi spiegando almeno in parte la differente suscettibilità, descritta in letteratura, dei vari istotipi
ai farmaci inibitori dell’EGFR. Il ricorso a tecniche di analisi molecolare potrebbe essere necessario in futuro per individuare i pazienti suscettibili alle nuove terapie basate sull’impiego di farmaci inibitori dell’EGFR al pari di quanto già avvenuto per la determinazione dello stato di Her2/neu nei carcinomi della mammella.
Introduction
Epidermal growth factor receptor (EGFr) is a member of
the erbB family of tyrosine kinase receptor proteins and it
plays a major role in tumor cell proliferation. EGFr is overexpressed in many tumors, in lung carcinomas and precancerous lesions such as bronchial dysplasia and metaplasia.
EGFr inhibitors have been tested in clinical trials with variable results.
Our study aims to determine the levels of EGFr expression in
a substantial series of NSCLC by means of quantitative realtime RT-PCR, in order to establish a predictive assay that
may be useful to select patients for inhibitory therapies.
Materials and methods
Real time RT-PCR was used to quantify mRNA levels in 60
NSCLC (40 adenocarcinomas, 11 squamous cell carcinomas, SCC, 9 other histotypes). Fresh tumor samples and 45
paired macroscopically normal lung specimens were recovered immediately after resection, snap-frozen in liquid
nitrogen within 10 minutes from excision and stored at
–80°C. EGFr mRNA levels were expressed as n-folds of
EGFr mRNA normalized to an endogenous reference (βactin) and relative to an arbitrary selected NSCLC chosen
as calibrator, or 1x sample. Statistical analysis was performed using t-test.
Results
EGFr mRNA levels were detected both in normal and in neoplastic lung samples (normal lung mean value: 13.7, NSCLC
mean value: 14.6) and the difference was not statistically significant. Among 45 cases investigated both for tumoral and
normal samples, 11 cases (24%) showed an overexpression
(2-fold increase) of EGFr mRNA level of tumoral sample
compared to normal tissue.
EGFr mRNA was significantly associated with SCC compared to normal counterpart (p = 0.00228) and compared to
adenocarcinomas (p = 0.00099). No significant correlation
was established with stage of disease.
Conclusions
EGFr disregulation is more frequently associated with squamous cell histotype in NSCLC. The EGFr quantitative evaluation by real time RT-PCR provides data that may be important to assess selective novel therapies.
II Cattedra di Anatomia Patologica, Università di Milano,
A.O. San Paolo and IRCCS Ospedale Maggiore, Milano
COMUNICAZIONI LIBERE
362
Osteopontin expression and prognostic
significance in non-small cell lung cancer
V. Donati*, M. Dell’Omodarme****, M.C. Prati****, T. Camacci*, M. Lucchi***, F. Basolo**, R. Pingitore*, G. Fontanini**
*
Department of Surgery; ** Department of Oncology, Transplants and New Technologies in Medicine; *** Department of
Cardio-Thoracic Surgery, University of Pisa, Italy; **** Scuola Normale Superiore, Pisa, Italy
Introduction
Despite advances in detection and treatments, the clinical behavior of non-small cell lung cancer (NSCLC), unfortunately, remains bad. The currently available most accurate predictor of outcome, that is TNM classification, seems to have
become insufficient, underlining the need to identify biomarkers able to add further prognostic information and set
new therapeutic strategies. In the present study, we investigated the expression of osteopontin (OPN), a multifunctional protein, which has recently shown to be linked to cancer
development, progression and metastasis in different malignancies, in a series of 207 patients with stage I-IIIA NSCLC
(122 squamous cell carcinomas, 65 adenocarcinomas, 7
bronchioloalveolar carcinomas and 13 undifferentiated large
call carcinomas), in order to evaluate if OPN might play a
role in these tumors’ biology and define its usefulness as
prognostic marker.
Methods
OPN expression was detected by immunohistochemistry using an antibody anti-OPN (anti-mouse OPN; AF808; R&D
Systems; dilution 1:40) on formalin-fixed, paraffin-embedded tissue sections obtained from 207 patients with NSCLC
(188 male, 19 female; median age: 65 years; median followup: 49 months, range 2-137 months). OPN expression was
evaluated as a percentage of positive cells in a total of at least
100 tumor cells in 10 HPF. The median value of this series
(20% of positive cells) was used as cut-off value to distinguish tumors with low (<20%) from tumors with high expression (≥ 20%).
Results
Statistical analysis showed that in the whole series of patients
(207 cases) OPN expression was not associated neither with
overall (P = 0.14) and disease-free (DFI) (P = 0.074) survival
nor with other clinicopathological parameters, such as histological subtype, tumor grade, size and stage and nodal metastasis at diagnosis. However, among patients with at least 6
years of follow-up (163 cases), 6-year overall and DFI survival were significantly reduced if OPN expression was high
(overall survival: P = 0.0085, DFI: P = 0.0021). Moreover, a
significant association between high levels of OPN and
shorter overall/DFI survival was observed in patients with
stage I tumor (136 cases) (overall survival: P = 0.034;
DFI: P = 0.011).
Conclusions
These results support the hypothesis that high OPN expression is a significantly unfavorable prognostic factor for the
survival of patients with NSCLC, especially those with stage
I disease, and that osteopontin could be a candidate target for
cancer therapy.
Espressione di endotelina-1 e dei suoi
recettori nel tumore polmonare non-a
piccole cellule (NSCLC)
L. Boldrini*, S. Gisfredi**, S. Ursino**, S. Tomei**, P. Faviana*, T. Camacci**, K. De Ieso**, M. Lucchi***, A. Mussi***, F. Basolo**, R. Pingitore*, G. Fontanini**
*
Dip. Chir.; ** Dip. Onc., Trap. e N. Tecn. in Med.;
Card.-Tor., Università di Pisa
***
Dip.
Introduzione
Lo sviluppo di nuovi vasi a partire da pre-esistenti è un requisito essenziale per la crescita, la progressione e la metastatizzazione di molti tumori, compreso NSCLC. Il ruolo di
fattori endotelio-derivati, così come il loro meccanismo di
azione rimane ancora da chiarire. La proposta di questo studio è di analizzare il ruolo di ET-1 in NSCLC, allo scopo di
determinare se rappresenta un fattore autocrino e/o paracrino
e se possiede un’attività angiogenetica, legata al Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF).
Metodi
La nostra casistica comprende 199 pazienti, 177 maschi e 22
femmine, età media 63,4 anni. Per tutti i pazienti sono disponibili dati clinici, con un follow-up mediano di 124,5 mesi. Mediante tecnica di RT-PCR, abbiamo valutato nei suddetti tumori ed in 128 tessuti normali adiacenti, l’espressione di PPET-1
(precursore di ET-1), dei due recettori di ET-1 (ETA ed ETB), e
dell’enzima che genera la forma attiva di ET-1 (ECE-1). I livelli
di VEGF mRNA sono stati stimati tramite PCR-competitiva in
40 casi, mentre l’analisi immunoistochimica dell’espressione
del peptide endotelina è stata effettuata su 78 campioni.
Risultati
PPET-1, ETA ed ECE-1 sono più espressi nei tumori (rispettivamente nel 45,4%, 42,3% e 37,9% dei casi) in confronto ai
normali (32,8%, 28,2% e 16,4%), al contrario di ETB (positivo nel 52,6% dei NSCLC contro il 58,8% dei parenchimi
normali). I dati ottenuti circa l’immunoreattività della proteina ET-1 hanno confermato i risultati molecolari (χ2 test; p =
0,02). È stata inoltre riscontrata una correlazione significativa tra alta espressione di ET-1 ed elevato numero di molecole di VEGF mRNA (p = 0,01). Elevati livelli di ET-1 sono risultati associati a peggior prognosi dei pazienti NSCLC, sia
in termini di sopravvivenza totale che di intervallo libero da
malattia (Cox’s F test; p = 0,03 e 0,04).
Conclusioni
ET-1 sembra svolgere un ruolo funzionale autocrino ed agire
quale fattore angiogenetico, modulando l’induzione di
VEGF, in NSCLC; ulteriori studi saranno necessari per confermare l’impatto prognostico sfavorevole di ET-1 in questo
tipo di neoplasia.
Cytoplasmic expression of Survivin
is associated to shorter overall survival
in non small cell lung carcinomas
P. Visca*, M.G. Diodoro*, F. Novelli*, V. Zerbini*, R. Pasquali Lasagni**, R. Perrone Donnorso*, C. Botti**, M.
Mottolese*
*
S.C. Anatomia Patologica e Citopatologia; ** Dipartimento
di Chirurgia, Istituto Tumori Regina Elena, Roma
Introduction
Lung neoplasia is one of the most common causes of cancerrelated death in many industrialized countries with an in-
PATOLOGIA RESPIRATORIA
creasing incidence and poor prognosis related on tumor stage
at presentation. Nevertheless, even among resectable stage I
non small cell lung carcinoma (NSCLC), the majority of patients still die from recurrence of their disease. Survivin is a
recently identified protein, member of the inhibitor of apoptosis (IAP) gene family which inhibits apoptosis through
pathways different from that involving the bcl-2 family.
Largely undetectable in normal adult tissues, survivin is
deregulated in most human cancers including NSCLC and
may represent a tumor marker with prognostic and therapeutic implications. Aim of our study was to determine, by
means of immunohistochemistry (IHC), the clinical significance of survivin as apoptosis-related biomarker in a series
of 118 stage I-IIa-IIb NSCLC.
Methods
Our retrospective series of NSCLC were retrieved from the
files of the Authors’ Institutions between 1983 and 1995. Survivin was detected using the polyclonal antibody (PAb)
ab469 (Abcam, Cambridge, UK), a streptavidin-biotin immunoperoxidase detection system (LSAB2 kit, DakoCytomation, Milan, Italy) and 3 amino 9 ethyl carbazole (DakoCytomation) as chromogenic substrate. Survivin displayed
two kinds of immunoreactivity: a diffuse cytoplasmic staining and a distinct nuclear staining.
Results
Univariate and multivariate analyses (Cox model) identified
tumor size, nodal status (pN0-N1 vs pN2) and cytoplasmic,
but not nuclear, expression of survivin as significant independent predictors of OS. On the basis of these results we also estimated the actuarial 5-year survival rate according to pT, pN status and survivin cytoplasmic staining by using the K
sample log-rank exact test demonstrating that significantly
shorter OS was observed in pT1-T2 (p = 0.03) and pN0-N1
(p = 0.007) NSCLC patients expressing survivin in the cytoplasm.
Conclusions
Data presented herein demonstrated that prognosis in early
stage of NSCLC strongly depends on the cellular pattern of
distribution of survivin. In contrast this antiapoptotic protein
did not influence the outcome of patients bearing more advanced NSCLC.
BCL-2 mRNA quantitative evaluation in non
small cell lung cancer (NSCLC)
M. Falleni, V. Vaira, S. Romagnoli, C. Pellegrini, L. Moneghini, G. Coggi, S. Bosari
II Anatomia Patologica, Università di Milano, A.O. San Paolo e IRCCS Ospedale Maggiore, Milano
Introduction
Defective apoptosis can play a crucial role in cancerogenesis, in cancer resistence to conventional therapy and in patients’ survival. Bcl-2 is an antiapoptotic protein of the Bcl2 family involved in the mitochondria-mediated apoptosis
pathway. Bcl-2 overexpression is observed in many human
malignancies and may contribute to the unresponsiveness to
therapy by inhibiting cytocrome C release from mitochondria to cytoplasm. Successful clinical reversal of drug-resistent neoplastic phenotype with antisense oligonucleotides and antibodies against Bcl-2 has been reported.
Bcl-2 alterations in NSCLC were investigated mainly by
immunohistochemistry. Bcl-2 protein overexpression was
documented in up to 60% NSCLC, but its clinicopathologi-
363
cal and prognostic significance is still under debate. To our
knowledge no data exist about Bcl-2 mRNA quantitative
evaluation in NSCLC.
Materials and methods
Real time RT-PCR was used to quantify mRNA levels in 59
stage I-IV NSCLC, collected from 11/2000, with known follow
up (range 6-42 months). Fresh tumor samples and 46 paired
macroscopically normal lung specimens were recovered immediately after resection, snap-frozen in liquid nitrogen within 10
minutes from excision and stored at –80°C. Bcl-2 mRNA levels were expressed as n-folds of Bcl-2 mRNA normalized to an
endogenous reference (β-actin) and relative to an arbitrary selected NSCLC chosen as calibrator, or 1X sample. Statistical
analysis was performed using t-test and Wilcoxon test.
Results
Bcl-2 mRNA levels were detected both in normal and in neoplastic lung samples; the difference was not statistically different (normal lung: mean value: 18.3n, range: 7.9-44.8n;
NSCLC: mean value: 21.7n, range: 1-171.3n). Bcl-2 mRNA
overexpression was significantly associated with SCC
(p=0.028), tumor size (T1-2>T3-4: t-test p = 0.014) and absence of recurrences (Wilcoxon test; p = 0.04; t-test: p = 0.01).
Conclusions
This study shows that Bcl-2 disregulation is a frequent histotype-specific and stage (T)-dependent event in NSCLC. Bcl2 quantitative evaluation by real time RT-PCR may recognize
NSCLC patients with better outcome and lower risk of recurrences, who could benefit from selective novel antisense
therapies.
Stato di metilazione ed espressione del gene
Int6 nei tumori polmonari non a piccole
cellule in stadio precoce
F. Buttitta, C. Martella, F. Barassi, L. Felicioni, S. Salvatore, A. Chella*, A. Mezzetti, F. Cuccurullo, R. Callahan**,
A. Marchetti
Centro di Ricerche Cliniche, Università-Fondazione di Chieti; * Dipartimento di Chirurgia, Università di Pisa; ** Oncogenetic Section, Laboratory of Tumor Immunology, National
Cancer Institute, N.I.H., Bethesda , Maryland, USA
Il gene Int-6 è stato originalmente identificato come sito di
frequente inserzione del virus MMTV nei tumori mammari
murini. È stato dimostrato che forme chimeriche di Int6 hanno la proprietà di trasformare cellule in coltura e indurre tumori in topi nudi. Recenti indagini indicano che int6 si comporta come una proteina poliedrica in quanto coinvolta nel
processo di traslazione e di degradazione proteica mediante
legami con tre complessi cellulari: eIF3, proteosoma e COP9
signalosoma. In questo studio abbiamo esaminato lo stato del
gene Int6 in una serie di 101 tumori polmonari, tutti al I stadio, e nei corrispondenti tessuti polmonari normali. Di tutti i
pazienti esaminati erano noti i dati di follow-up, inclusi quelli relativi alla sopravvivenza libera da malattia e alla sopravvivenza globale. È stato esaminato sia lo stato di metilazione
del gene, mediante trattamento del DNA con bisolfito e successiva PCR con primers che discriminano la sequenza metilata da quella non metilata, sia i livelli di espressione genica,
mediante analisi quantitativa in Real-Time RT-PCR. Mettendo a confronto i livelli di espressione del gene Int6 presenti
nel tumore con quelli presenti nel corrispondente tessuto normale, è stata documentata una iperespressione nel 73% dei
tumori polmonari esaminati, mentre nei rimanenti casi era
364
presente una ridotta espressione genica. Nell’85% dei tumori con ridotta espressione genica abbiamo osservato una ipermetilazione di int6. Era presente una significativa correlazione fra stato di metilazione ed ipoespressione genica
(p < 0,000001). Inoltre, è stata osservata una relazione statisticamente significativa fra i i livelli di espressione di int6 e
il comportamento biologico della neoplasia, in quanto bassi
livelli di espressione venivano riscontrati in pazienti con più
breve sopravvivenza libera da malattia (p = 0,0004) e più
breve sopravvivenza globale (p = 0,0020). Tale relazione è
stata confermata da un’analisi statistica multivariata. I risultati ottenuti indicano che in un quarto delle neoplasie polmonari al I stadio si realizza una metilazione di regioni regolatorie del gene Int6, con conseguente ipoespressione del gene
e che a tali processi corrisponde una particolare aggressività
del tumore.
Citogenetica dei carcinomi polmonari
non a piccole cellule in fumatori
A. Pession, A. Farnedi, E. Magrini, S. Damiani
Sezione di Anatomia Patologica “M. Malpighi”, Università
di Bologna, Ospedale Bellaria
Introduzione
Le alterazioni genetiche più frequenti nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (CNPC) sono rappresentate da perdite del 3p, sede del gene FHIT, e varie alterazioni numeriche
a carico dei cromosomi 9, 17, 21 e 22. Tuttavia la maggior
parte delle casistiche presenti in letteratura sono state studiate mediante FISH o ricerca della perdita di eterozigosi. Pochi
sono i dati attuali sulla determinazione del cariotipo completo, con citogenetica classica in metafase su ampie casistiche.
Metodi
Il cariotipo di 38 CNPC del polmone è stato studiato attraverso la tecnica delle colture a breve termine e l’analisi su
piastre metafasiche.
Risultati
La casistica è rappresentata da 19 carcinomi squamocellulari
(SC), 18 adenocarcinomi (AC) e 1 carcinoma a grandi cellule (CGC).
Nei CS le alterazioni più frequenti osservate erano alterazioni numeriche, in particolare, a carico del cromosoma 21 (in6
casi) e l’acquisizione di un cromosoma 3 (in 9 casi: clonale
in 2 e come singola metafase in 7). L’acquisizione del cromosoma 3 (trisomia 3) è stata riscontrata, sia associata alla
perdita del 21, sia come unica alterazione.
Conclusioni
Mentre la monosomia 21 è un fenomeno ben conosciuto nelle cellule tumorali squamose, più sorprendente appare nella
nostra casistica il riscontro di trisomia 3. Infatti, nel braccio
corto del cromosoma 3 risiede il gene FHIT la cui perdita è
descritta come evento precoce nella carcinogenesi polmonare. Al fine di confermare i risultati ottenuti, i casi sono stati
testati mediante immunoistochimica con anticorpo anti-FHIT
e casi selezionati sono stati sottoposti anche a FISH con sonda centromerica per il cromosoma 3.
COMUNICAZIONI LIBERE
Interdigitating reticulum cell sarcoma,
primarily arising in the lung
U. Gruber, F. Gollowitsch, M. Smolle-Juettner Freijy, H.
Popper
Institutes of Pathology, General Hospital Feldkirch, and Medical University of Graz, Austria
A 72-year-old female patient was admitted to the thoracic
surgery department because of incidentally diagnosed lung
tumor. A PET-CT scan showed a solitary tumor in the left upper lobe, without any tumor elsewhere. Resection of the upper left lobe was performed.
Macroscopically the tumor measured 2.2 cm. Lymph nodes
within the hilum were unremarkable. Histologically the tumor consisted of solid areas with epitheloid as well as with
spindle tumor cells showing hyperchromatic and polymorphic nuclei, prominent nucleoli, and many mitoses. The epitheloid cells form solid nests, sometimes simulating proliferating Langerhans cells in histiocytosisX. In other areas predominantly spindle cells were growing within pulmonary
blood vessels, simulating a haemangioendothelioma, however, never forming capillary structures. Small areas of tumor
necrosis were present throughout. Immunohistochemical reactions were negative for cytokeratins, smooth muscle actin,
CD1a, HMB45, MelanA, Pgp9.5, CD31/34, factor8AG,
desmin ruling out epithelial neoplasms, vascular and smooth
muscle tumors, as well as Langerhans cell proliferations including malignant eosinophilic granuloma and metastasis of
malignant melanoma. A strong positivity for S100 protein
and lysozyme was seen in all tumor cells, and a focal positive
reaction in a small portion of tumor cells was seen for vimentin, CD 68, and 57 antibodies. The diagnosis of a sarcoma of interdigitating reticulum cells was made.
A further evaluation of the patient showed no other primary
tumor. So a primary sarcoma of interdigitating reticulum
cells, arising in the lung was established. Sarcomas of the interdigitating reticulum cells are exceedingly rare, and have
never been described in the lung. So we present the first case
arising within the lung.
Sarcomatoid carcinoma of the lung
simulating pulmonary infarct.
A clinicopathologic
and immunohistochemical study of 3 cases
G. Rossi, A. Marchioni, R. Valli, F. Maselli, C. Curatola,
L. Reggiani-Bonetti, L. Losi
Section of Pathology and Pneumology, University of Modena
and Reggio Emilia, Modena
Introduction
Pulmonary infarction is a rare condition with which surgical
pathologists dealt in routine practice, mainly related to
thromboemboli due to cardiovascular diseases or pulmonary
venous obstruction. Here, we describe 3 cases of primary sarcomatoid carcinoma of the lung preoperatively diagnosed as
pulmonary infarcts on radiologic findings.
Methods
We collected 3 cases of surgically-resected pulmonary sarcomatoid carcinoma presenting as peripheral lesions and preoperatively thought as infarcts on chest X-rays and CT-scans.
Clinical data were obtained in each case. Immunohistochem-
PATOLOGIA RESPIRATORIA
istry was performed using an automated immunostainer
(Benchmark, Ventana, Tucson, AZ) and the following antibodies were tested: pan-cytokeratins (AE1/AE3), TTF-1,
EMA, cytokeratin 7.
Results
The patients (2 men, 1 woman) had a mean age of 63.6 years.
The lesions had a yellowish cut surface, a mean diameter of
4.5 cm across and occurred at the right and left upper lobes
and the right lower lobe. Morphologically, the nodules consisted of large, bland ischemic necrotic areas and foci of
“dirty” necrosis associated with hemorrhage and surrounded
by a rim of myofibroblasts. In two cases, the tumor showed
an interstitial growth of atypical spindle cells with prominent
nucleoli, while the third case was characterized by a large
cell carcinoma with a spindle cell component at the periphery. In all cases, the tumor cells surrounded and penetrated
the vessel wall. The tumor elements were strongly positive
for pan-cytokeratins (AE1/AE3), but did not stain for TTF-1,
cytokeratin 7 and EMA. All patients died of disease at a mean
follow-up of 6 months (range, 2-10 months).
Conclusion
When resected, pulmonary infarct shows a bland necrosis
that may be surrounded by reactive squamous metaplasia and
atypical alveolar cells, representing a potential pitfall for
pathologists. The cases herein displayed large areas of necrosis and hemorrhage, while tumor elements mainly consisted
of an insidious spindle cell proliferation involving the interstitial alveolar wall and prominently involving the vascular
structures. This latter feature together with an appropriate
pan-cytokeratin marker and extensive tumor sampling have a
key role in the correct approach to prevent misdiagnosis in
infarct-like lung cancer, a rare occurrence commonly related
to a very dismal outcome.
Phenotypic and genotypic analysis of a lung
carcinoma with multiple differentiation
G. Sartori, N. Bigiani, L. Schirosi, A. Marchioni, F.
Maselli, L. Losi, R. Valli, G. Rossi
Section of Pathologic Anatomy, University of Modena and
Reggio Emilia, Modena
Introduction
Lung cancer with a mixture of small cell carcinoma (SCLC)
and non-small cell carcinoma (NSCLC) is a rare but wellknown occurrence. We describe the immunophenotype and
the genotypic features of a lung cancer showing six differentiation at morphology.
Methods
A case of combined SCLC and NSCLC with multiple differentiation was retrieved from the archival file of our institution. The specimen consisted of the pulmonary right upper
lobe showing a gray-yellowish nodule of 4 cm across. Several four-micron thick sections obtained from a representative
tumor block were employed for immunostaining and clonality analysis. Immunohistochemistry was performed using an
automated immunostainer (Benchmark, Ventana, Tucson,
AZ) and the following markers: TTF-1, cytokeratin 7, EGFR,
CD117, p53, 34betaE12, chromogranin and CD56/NCAM.
Genomic DNA extraction of the different components was
performed using a laser-capture microdissection system
(Olympus IX70, Laser Scissors Pro-300, Olympus, Milan).
Lymphocytes from the same slide were separately microdissected as sources of constitutional DNA. The amplified PCR
365
products were then processed using an automatic sequencer
(ABI-Prism 310 Applied Biosystem). 19 primer sequences
(MWG-Biotech, Florence, Italy) flanking 19 microsatellite
repeat polymorphisms located at 18 chromosomal regions of
9 different chromosomes were investigated.
Results
The tumor consisted of 6 different components closely intermingled, namely SCLC, large-cell neuroendocrine carcinoma (LCNEC), adenocarcinoma (ADC), squamous cell carcinoma (SqC), undifferentiated large cell carcinoma (LCC) and
a sarcomatoid component (SC). Neuroendocrine markers
(chromogranin and CD56/NCAM) and CD117 strongly
stained the SCLC and LCNEC only, while 34betaE12 expression was restricted in the SqC. Membrane cell EGFR expression was noted in ADC, SqC and LCC components,
while cytokeratin 7 stained the ADC and LCC. No staining
was found with TTF-1, but all tumor components displayed
p53 expression. At clonality analysis, the same allelotyping
setup was noted in 11/19 microsatellite markers, comprising
LOH at three different loci, and only minor discrepancies
were found at the other tested loci.
Conclusions
Lung cancer may rarely appear as a protean tumor with divergent differentiations. Even in presence of heterogeneous
morphologic and proteic expression profile, a clonal relationship was revealed between the different components by
clonality genotypic analysis.
Linfangite carcinomatosa: caso autoptico
A. Napoli, E. Maiorano, G. Parisi, F. Sanguedolce, R.
Ricco R.
DAPeG Dipartimento di Anatomia patologica e genetica, Sezione di Anatomia patologica, Policlinico Universitario,
Università di Bari
Introduzione
Uomo di 39 anni, in buone condizioni di nutrizione, con storia di grave insufficienza respiratoria da circa 3 mesi, indagato e curato per interstiziopatia polmonare di ndd. Parziale
remissione di sintomi con terapia cortisonica. Improvviso aggravamento della sintomatologia e decesso in Rianimazione
per edema polmonare acuto.
Metodi
All’esame autoptico la cavità pleurica mostrava pochi cc di
liquido citrino limpido. Polmoni del peso di gr 1430, di colorito variegato rosso scuro, con aree biancastre di consistenza aumentata. Al taglio il disegno interstiziale appariva
notevolmente ispessito bilateralmente. In corrispondenza
del lobo superiore destro si repertava inoltre, area di addensamento parenchimale, similcicatriziale. Si riscontravano
numerosi linfonodi aumentati di volume in sede: polmonare, ilare e intraparenchimale, tiroidea e cardiaca. Il cavo pericardico conteneva circa 100 cc di liquido rossastro, il pericardio ispessito e il suo foglietto viscerale estesamente ricoperto da induito fibrinoso rosso brunastro. Il cuore del
peso di gr 470 era di forma e volume regolare di consistenza diminuita e aspetto flaccido. Restanti organi con normali alterazioni postmortali.
Risultati
È stata posta diagnosi di adenocarcinoma a cellule a castone,
moderatamente differenziato, del polmone con diffusa linfangite carcinomatosa, estesa a tutti i lobi polmonari ed al pericardio viscerale. Metastasi massive ai linfonodi intraparen-
366
chimali ed ilari polmonari, pericardiaci e peritiroidei. Patosi
pluriviscerale.
Conclusioni
L’assenza di un nodulo polmonare “coin lesion” ben visibile
agli esami strumentali con un consensuale rinforzo della trama interstiziale polmonare può determinare un errore diagnostico nell’individuazione di un adenocarcinoma polmonare con diffusione linfangitica.
Bibliografia
1
Harold JT. Lymphangitis carcinomatosa of the lung. Q J Med
1952;21:353-360.
2
Yasutoshi Koutaki, et al. Carcinomatous Lymphangitis Mimicking
Pulmonary Thromboembolism. Jpn Circ J 2001;65:683-684.
Mesotelioma deciduoide della pleura: analisi
molecolare con CGH (comparative genomic
hybridization) in 6 casi
G. Serio, A. Pennella*, M. Gentile**, A. Marzullo, A.L.
Buonadonna**, M. Musti***, L. Pollice, A. Scattone
Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica, Università
di Bari; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Servizio di
Anatomia Patologica, Università di Foggia; ** Servizio di
Genetica Medica, Ospedale “De Bellis”, IRCCS, Castellana
Grotte (Ba); *** Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica, Medicina Industriale, Università di Bari
Introduzione
Il mesotelioma maligno deciduoide è una variante istologica
rara del mesotelioma epitelioide descritta nel 1994 da Nascimento et al.1 in sede peritoneale e in donne giovani. Successivamente altri casi sono stati osservati in pazienti di entrambi i sessi, di età avanzata, anche in sede pleurica e pericardica e con storia di esposizione all’asbesto. La neoplasia sembrerebbe essere caratterizzata da un decorso clinico particolarmente aggressivo (sopravvivenza media circa 7 mesi). Su
casistiche limitate di mesotelioma studi genetici, condotti
con metodiche molecolari differenti (analisi del cariotipo e
CGH), hanno consentito di individuare frequenti perdite a livello delle regioni cromosomiali 1p, 3p, 6q, 9p, 13q, 15q e
22q. Le delezioni costituiscono l’aberrazione genetica più
frequentemente riscontrata e l’eterogeneità delle alterazioni
descritte sarebbe indicativa della morfologia polimorfa tipica
di questo tumore 2. Scopo del nostro lavoro è la identificazione di alterazioni genetiche specifiche nel mesotelioma deciduoide in pazienti con più lunga sopravvivenza.
Metodi
Sei casi di mesotelioma maligno della pleura sono stati sottoposti ad analisi CGH sec. Kallioniemi et al. (1994). La casistica comprende tre femmine (età: range 23-52 anni, media
35,6) e tre maschi (età: range 70-74 anni, media 72,3). L’esposizione all’asbesto era documentata in tutti i casi e riportata nel Registro Nazionale Mesotelioma, Centro Operativo
Regione Puglia (ReNaM). Essa era di tipo ambientale nelle
donne e professionale nei maschi. Il tempo di sopravvivenza
variava da 12 a 39 mesi (media 27). Tre pazienti sono viventi (ultimo follow-up 30 maggio 2004) in discrete condizioni
e con trattamento farmacologico di supporto. Due dei pazienti deceduti sono sorelle giovani con storia familiare di
mesotelioma. In tutti i casi la diagnosi istologica di mesotelioma deciduoide è stata posta su campioni di biopsie toracoscopiche sulla base dell’aspetto morfologico e del profilo immunofenotipico della neoplasia.
COMUNICAZIONI LIBERE
Risultati
In tutti i casi sono state osservate alterazioni genetiche che
sono riportate in Tabella 1.
Conclusioni
I risultati del nostro studio confermano la presenza di alterazioni cromosomiche specifiche per il mesotelioma in generale. Il numero delle delezioni sembrerebbe condizionare il
tempo di sopravvivenza e pertanto costituire un importante
indicatore prognostico.
Bibliografia
1
Nascimento AG, et al. Deciduoid peritoneal mesothelioma: an unusual phenotype affecting young females. Am J Surg Pathol
1994;18:439-445
2
Carbone M, et al. The patogenesis of mesothelioma. Sem Oncol
2002;29:2-17.
Comorbidità di mesotelioma maligno e di
adenocarcinoma del polmone. Descrizione
di un caso in un paziente affetto da silicosi:
problematiche di diagnostica differenzale.
V. Arena1, V.G. Vellone1, F. Castri1, E. Stigliano1, F. De
Giorgio2, V.L. Pascali2, A. Capelli1
1
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma; 2 Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
Per mesotelioma maligno pleurico (MMP) si intende quel
gruppo di neoplasie derivanti da cellule multipotenti mesoteliali a differenti pattern istologici che possono mimare numerosi stati reattivi della pleura e neoplasie (con problematiche
diagnostiche differenziali con l’adenocarcinoma polmonare).
Segnaliamo di seguito un caso autoptico di comorbidità di
MMP ed adenocarcinoma polmonare in un paziente con storia di esposizione professionale alla polvere di silice. La concomitante evidenza di metastasi linfonodali addominali ha
rappresentato una problematica di diagnostica differenziale e
di stadiazione patologica.
Metodi
Soggetto di 79 anni, con storia di silicosi e fumo di sigaretta (circa 100 pacchetti/annui per 40 anni) deceduto a
causa di un infarto del miocardio. L’esame macroscopico
del polmone destro ha documentato fibrotorace totale in
organo diffusamente fibroso con esiti tubercolari apicali ed
aree di addensamento parenchimale bianco-giallastre senza
evidenza di masse. Si segnalavano altresì linfoadenomegalie addominali (interaorto-cavali). Oltre ai prelievi standard si è proceduto ad un ampio campionamento del polmone destro.
Risultati
Istologicamente nel contesto della reazione pachipleuritica
si segnalavano depositi di silice cristallina compatibili con
l’anamnesi professionale e si sono evidenziati multipli focolai di MMP. A livello intraparenchimale, le aree di addensamento esaminate in sede autoptica sono risultate focolai di adenocarcinoma polmonare (positive per citocheratina 7 e CEA; negative per Calretinina, Trombomodulina
e TTF-1). Gli elementi metastatici linfonodali hanno mostrato lo stesso pattern immunofenotipico del MMP (positivi per Calretinina, Citocheratine 5/6, Trombomodulina ed
AE1/AE3; negativi per WT1, MOC 31, TTF1, CEA, BerEP4 e leu-M1).
PATOLOGIA RESPIRATORIA
367
Conclusioni
Il caso descritto è degno di nota per vari motivi. Innanzitutto
rappresenta la quarta 1-3 segnalazione di MMP silice-indotto,
inoltre la comorbidità di due neoplasie, oltre a rappresentare
un quesito di diagnostica differenziale, è stata lo spunto per
un approfondito studio immunofenotipico con particolare attenzione volta alle metastasi linfonodali addominali ai fini di
una corretta stadiazione patologica della malattia.
Bibliografia
1
Barz H et al. Z Erkr Atmungsorgane 1983;160(2):167-72
2
Thzolov C et al. Acta Tuberc Pneumol Belg 1970;61(3):354-62
3
Rothig W. Dtsch Gesundheitsw 1968;14;23(46):2183-7
Expression of human mammaglobin gene
in pleural effusion of patients with malignant
mesothelioma
S. Roncella*, P. Ferro*, A. Giannico*, A.M. Carletti**, L.
Praticò**, V. Gagliardi*, L. Cortese*, B. Bacigalupo*, N.
Gorji*, P.A. Canessa**, F Fedeli*
*
U.O Anatomia ed Istologia Patologica, Osp. S. Andrea, La
Spezia; ** U.O. Pneumologia, Osp. S. Bartolomeo Sarzana
Introduction
Human Mammaglobin (hMAM) is a glycoprotein expressed
by breast epithelial cells. Recently, some studies have
demonstrated that hMAM expression is not restricted to
breast cancer body fluid but can also be found in neoplastic
effusions from gynecological malignancies as well as from
lung and kidney carcinomas.
Given the above and the higher incidence of malignant
mesothelioma (MM) in La Spezia compared to the other
provinces in Italy, the goals of this study were to analyze the
expression of hMAM mRNA in the pleural effusions of patients with histological diagnosis of malignant mesothelioma
(MM) and to investigate the potential application of RT-PCR
for hMAM in assessment of MM cells in body fluid. This
method was compared with traditional cytological evaluation.
Methods
The study was performed on pleural effusions from 16 patients (2 female and 14 male) with MM (10 epithelioid, 4
desmoplastic, 1 biphasic, 1 sarcomatoid) diagnosed by histological examination of a pleural biopsy taken during thoracoscopy.
Controls consisted of 19 samples of body fluid from breast
carcinoma (positive) and 41 specimens without known carcinoma (negative).
Cytological examination was performed in a parallel study
with RT-PCR assay. Each specimen was analysed by staining
with EE and Papanicolau technique.
Results
mRNA hMAM expression was found in 5/16 (31%) of the
malignant effusions from MM. All specimens that were positive in the RT-PCR assay were of the epithelioid type, and
both females studied were positive as well. 16/19 (84%) of
samples from breast carcinoma and 1/41 (2%) of non-neoplastic origin were positive.
According to cytological examination, MM cells were present in 7/16 (44 %) cases, of which 4 (57%) were also RTPCR positive. 1 case (female) was negative according to the
cytological assay yet positive according to the RT-PCR assay.
Conclusions
These results demonstrate the presence of hMAM mRNA in
the effusions of epithelioid type MM patients (31% of cases).
Further studies are needed to evaluated whether RT-PCR for
hMAM could be used as an additional test in the evaluation
of MM effusions.
Utilità diagnostica dell’espressione
immunocitochimica di TTF-1, SP-A
e calretinina nei versamenti pleurici
neoplastici
E. Dessy, A. Berenzi, A. Tironi*, M. Bonardi*, L.
Fontana*, A. Benetti
Anatomia Patologica, Università di Brescia;
Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia
*
2° Serv. di
Introduzione
La presenza di cellule neoplastiche nei versamenti pleurici
pone spesso difficili problemi di interpretazione sulla loro origine. Negli ultimi anni sono state proposte associazioni di diversi anticorpi nella diagnosi differenziale tra il mesotelioma
pleurico e l’adenocarcinoma polmonare o a provenienza da
altri distretti. Scopo del nostro studio è quello di valutare l’utilità diagnostica di alcuni anticorpi (calretinina, TTF-1, proteina A del surfactant [SP-A], CEA) in versamenti pleurici
neoplastici al fine di poter risalire all’origine della neoplasia.
Metodi
Di tutti i versamenti pleurici neoplastici capitati alla nostra
osservazione nell’ultimo anno, abbiamo selezionato quelli
relativi a pazienti in cui era anche presente un riscontro istologico sul tumore primitivo e/o sulla metastasi pleurica, per
un totale di 30 casi (12 adenoca. del polmone, 4 mesoteliomi,
14 metastasi di carcinomi di altri distretti di cui 7 mammari,
4 dell’ovaio, 1 pancreatico, 1 renale, 1 ca. uroteliale della vescica). Sono state effettuate indagini immunocitochimiche
utilizzando anticorpi anti-TTF-1, SP-A, calretinina e CEA.
Risultati
Il TTF-1 è risultato altamente specifico nei versamenti da
adenocarcinoma primitivo del polmone, mentre l’espressione
della SP-A (osservata a livello di membrana anche in 3 casi
di metastasi da carcinoma mammario), è risultata più sensibile (0,67 vs 0,5). L’uso combinato dei due anticorpi ha con-
Tab. I.
Mesoteliomi (4)
Adenoca. polmonari (12)
Ca. non polmonari (14)
*
TTF-1
SP-A
CEA
Calret.
0 (0%)
6 (50,0%)
0 (0%)
0 (0%)
8 (66,7%)
3* (21,4%)
0 (0%)
12 (100%)
7 (50,0)
4 (100%)
0 (0%)
1** (7,1%)
Positività di membrana in 3 casi di carcinoma della mammella; ** positività in 1 caso di carcinoma della mammella.
COMUNICAZIONI LIBERE
368
sentito di riconoscere la provenienza delle cellule neoplastiche da adenoca. polmonare in 10 casi su 12. La calretinina è
stata dirimente per la diagnosi di mesotelioma, anche se è risultata positiva in 1 caso di metastasi da carcinoma mammario. I risultati complessivi sono riassunti nella Tabella I.
Conclusioni
L’uso combinato degli anticorpi anti SP-A e TTF-1, unitamente al CEA e alla calretinina, ci consente di risalire in un
elevato numero di casi all’origine delle cellule neoplastiche
presenti nei versamenti pleurici.
disposte in nidi reminiscenti strutture ghiandolari. L’aspetto
morfologico ed immunoistochimico e la storia clinica della
paziente orientavano per la diagnosi di metastasi di carcinoma gastrico in tumore fibroso solitario della pleura.
Conclusioni
L’evenienza che una neoplasia metastatizzi in un altro tumore (tumor to tumor metastasis) è un evento raro, ma ancor più
raro è che una neoplasia così infrequente, come il SFT, faccia da “ricevente”, anche se è verosimile che la metastasi sia
stata favorita dalla ricca vascolarizzazione che caratterizza il
SFT. Ad oggi sono stati descritti soltanto altri due casi 1 2.
Metastasi di carcinoma in un tumore fibroso
solitario della pleura
Bibliografia
1
Petraki C et al. Int J Surg Pathol 2003;11(2):127-135.
2
Chen HW et al. Skeletal Radiol 2004;33:226-229.
F.R. Piro, C.G.S. Huscher*, P. Aicardi*, M. Amini
S.C. Anatomia Patologica, * U.O.D. 1° Chirurgia, A.O. “San
Giovanni Addolorata Calvary Hospital”, Roma
Introduzione
La presenza di due o più tumori nello stesso paziente è un
evento comunemente descritto, mentre è piuttosto raro il riscontro di una neoplasia metastatica in un’altra. Il tumore che
solitamente fa da ricevente è il carcinoma a cellule renali,
mentre il donatore più frequente è il carcinoma del polmone.
Il primo caso descritto risale al 1968 1, ma ad oggi sono stati
registrati più di 150 casi che comprendono anche il meningioma o il feocromocitoma, quali tumori riceventi, ed il carcinoma mammario o prostatico quali donatori.
Materiali
Donna di 60 anni con esiti di gastrectomia totale eseguita 3 mesi prima per adenocarcinoma gastrico di tipo diffuso sec. Lauren, scarsamente differenziato. La TC total-body evidenziava la
presenza di una neoformazione tondeggiante, a margini definiti, del diametro di cm 7, localizzata alla base del polmone di sinistra. La neoformazione mostrava uno sviluppo posteriore ed
incrementava di densità dopo iniezione di mdc. Veniva eseguita una toracotomia antero-laterale al VI spazio intercostale, con
asportazione della massa mediante suturatrice meccanica.
Risultati
All’esame macroscopico, la neoformazione appariva ben circoscritta, di aspetto fascicolato in superficie di sezione e di
colorito grigiastro. L’esame istologico, evidenziava una neoplasia costituita da fasci di cellule fusate variamente orientate, con deposizione di sostanza ialina intercellulare, ricca vascolarizzazione e caratteristico profilo immunoistochimico
(CD34+, Vimentina+, ActinaSM-, Desmina-, CKMNF-116-).
I reperti deponevano per tumore fibroso solitario della pleura. Veniva osservata, tuttavia, la presenza di una seconda linea cellulare, composta da elementi di tipo epiteliale, CD34
negativi e CKMNF-116 positivi. Tali cellule erano presenti,
con focolai multipli, nel contesto della neoplasia “ospite” e
Utilizzo di escreato, broncoaspirato e BAL per
l’indagine mineralogica nella diagnostica
delle pneumoconiosi
D. Bellis1, E. Belluso2 3, S. Capella2, E. Fornero2, S. Coverlizza1, G. Ferraris2 3
1
Servizio di Anatomia e Istologia Patologica e di Citodiagnostica, Ospedale Emergenza Torino Nord S.G. Bosco,
ASL4, Torino; 2 Dip. di Scienze Mineralogiche e Petrologiche, Università di Torino; 3 CNR-IGG, sezione di Torino
Introduzione
L’indagine mineralogica qualitativa e quantitativa del carico
polmonare di particelle minerali è importante per la definizione dell’esposizione individuale a polveri, per gli studi epidemiologici e per quesiti medico-legali.
Metodi
46 campioni di escreati, broncoaspirati e BAL (freschi o inclusi in paraffina) sono stati digeriti in ipoclorito di sodio, filtrati su membrana di nitrato di cellulosa e osservati mediante microscopia ottica (MO). Di questi, 9 sono stati esaminati
in microscopia elettronica in scansione (SEM) con microanalizzatore chimico (EDS). I dati mineralogici ottenuti sono
stati quindi confrontati con i dati clinici e anamnestici.
Risultati
Osservazione in MO (Tab. I).
Indagine in SEM/EDS: sono stati osservati 9 campioni (6
broncoaspirati e 3 BAL) e solo in 1 BAL sono state trovate
fibre di asbesto (tremolite).
Si è constatato che l’indagine mineralogica è effettuabile con
una buona sensibilità oltre che su materiale fresco anche su
campioni inclusi in paraffina.
Conclusioni
Per la diagnosi di pneumoconiosi e per la risposta ai quesiti
medico-legali su malattie associate alla respirazione delle
Tab. I. Numero di campioni in cui sono stati rilevati corpi ferruginosi (totale campioni in parentesi) in rapporto al tipo di patologia.
Carcinoma polmonare
Controllo
Asbestosi e interstiziopatie in esposti
Interstiziopatie non da asbesto
Carcinoma laringe
Escreato
Bronco aspirato
BAL
/
18,7% (16)
0% (1)
0% (1)
/
31,6% (19)
/
100% (1)
0% (1)
0% (2)
0% (1)
/
100% (4)
/
/
PATOLOGIA RESPIRATORIA
polveri, è sempre più importante l’utilizzo di campioni biologici prelevati mediante modalità il meno possibile invasive.
Inoltre, in casi di carcinomi polmonari inoperabili, la diagnosi è fatta soltanto su escreato, broncoaspirato e/o BAL. Benché la casistica presentata sia limitata, dimostra l’utilità dell’indagine mineralogica via MO e ME sia nei casi in cui il carico mineralogico è molto basso (come nei fluidi provenienti
dall’apparato respiratorio), sia per una migliore diagnosi delle interstiziopatie quando il tipo di esposizione non sia noto.
Granulomatous pneumonia
H.H. Popper
Laboratories for Molecular Cytogenetics, Pulmonary and
Environmental Pathology, Institute of Pathology, Medical
University of Graz, Austria
Granulomatous pneumonia comprise a large group diseases
with either infectious or non-infectious aetiology. Epitheloid
and histiocytic granulomatosis can be discerned. Within the
infectious group well known organisms, such as Mycobacteria, but also rare organisms like Treponema and different fungi can induce an epitheloid cell transformation of
macrophages. Non-infectious diseases within the epitheloid
cell granulomatoses are sarcoidosis, allergic metal disease,
but also affection of the lung in collagen vascular diseases.
Histiocytic granulomatosis again can be induced by infectious organisms – well known in mycobacteriosis, but also by
non-infectious substances, the best known is quartz. When
making the diagnosis other concomitant inflammatory cells
should always be mentioned, because they usually give a primary clue for the causing organism/substance. Other features
are vasculitis, eosinophilia, and others.
Acute lung injury/acute respiratory distress
syndrome (ALI/ARDS). Il ruolo dinamico
dell’Anatomopatologo in Medicina Critica
F. Zolfanelli, G. Gambacorta, M. Gallorini, L. Presenti
Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale S. Giovanni di
Dio, Firenze
Introduzione
L’ARDS è una sindrome ad eziologia multifattoriale clinicamente caratterizzata da insufficienza respiratoria acuta con
alta mortalità (50-90%). La sindrome, di recente individuazione, appare di più frequente insorgenza in pazienti provenienti dall’ Area Critica, la patogenesi è estremamente complessa e poco delineate ad oggi le correlazioni anatomo-cliniche; questa sindrome è strettamente correlata alla MOF
(Multiple Organ Failure). A livello polmonare, il danno epiteliale è determinato dall’azione di alcune citochine (IL-1beta, IL6 ed IL-6RA) con l’intervento di alcuni mediatori cellulari (NF-Kb e sFasL) attraverso un complesso che include
l’apoptosi; i reperti istologici dell’ARDS variano a seconda
della fase evolutiva della malattia dimostrando come l’infiammazione sia un processo multistep caratterizzato da interazioni multifattoriali.
Metodi
Sono stati eseguiti 100 riscontri diagnostici su pazienti provenienti dai reparti di Terapia Intensiva. Sono stati prelevati
frammenti polmonari macroscopicamente riferibili ad ARDS
e successivamente esaminati istologicamente.
369
Risultati
Le alterazioni patologiche sono maggiormente documentate
a livello del parenchima polmonare ed evidenziano ARDS in
varia fase evolutiva, ma anche VAP (Ventilator Associated
Pneumonia) o VALI (Ventilator Associated Lung Injury), patologia iatrogena di recentissima individuazione e di grande
importanza per il clinico.
Conclusioni
L’indagine autoptica rappresenta ancora oggi il metodo più attuale per l’individuazione di nuove patologie, fornisce la certezza della diagnosi a fronte della minore accuratezza dell’indagine diagnostica strumentale, rappresenta inoltre il mezzo più
idoneo per il controllo di qualità per un corretto management
della ventilazione polmonare. Di nuovo l’Anatomia Patologica
con lo studio morfologico offre un importante supporto ai clinici impegnati nella valutazione dinamica dei pazienti critici.
Valutazione dell’espressione di MMP-9 ed
MMP-2 nelle vie aeree di soggetti
enfisematosi con pneumotorace
F.P. D’Armiento, A.M. Anniciello, A. Iacono, P. Maietta*,
M. D’Armiento
Dipartimento di Scienze Biomofologiche Funzionali, sez.
Anatomia Patologica e Citopatologia; * Chirurgia Toracica,
Università Federico II Napoli
Introduzione
Il presente studio rappresenta un confronto tra l’espressione
di MMP-9 e MMP-2 nella matrice extracellulare di pazienti
enfisematosi nei confronti di pazienti con enfisema complicato in pneumotorace recidivante.
Materiali e metodi
L’analisi immonoistochimica è stata eseguita con la tecnica
PAP (perossidasi-antiperossidasi) in 52 soggetti enfisematosi
operati per pneumotorace recidivante (F=7; M=45, età tra 17 e
71 anni) confrontati con 20 soggetti enfisematosi non complicati di pertinenza autoptica. Sezioni di 4µm sono state incubate con anticorpo primario MMP-9 e MMP-2 (Dako Ltd, Milano, Italy). La valutazione dell’immunoreattività è stata espressa come percentuale di area positiva rispetto alla superficie totale mediante metodica di analisi di immagine computer-assistita. Il confronto tra gruppi è stato effettuato mediante il
Mann-Whitney one-way test, analisi della varianza e range (r).
Valori di P<0,05 sono stati ritenuti significativi.
Risultati
Lo score immunoistochimico per MMP-9 ha mostrato: nei
soggetti con pneumotorace (r=22,889) vs enfisema non complicato (r=10,39): P<0,003; in soggetti con pneumotorace fumatori (r=18,44) vs soggetti con pneumotorace non fumatori
(r=12,79): P<0,05; in soggetti con pneumotorace rispetto al
numero di recidive: <3 (r=14,24) o ≥ 3 (r= 20,80) P<0,05.
Lo score immunoistochimico per MMP-2 è stato significativamente correlato tra i soggetti con pneumotorace non fumatori
rispetto ai fumatori (P<0,05; r=6,80 e r=9,30 rispettivamente).
Conclusioni
Il presente studio dimostra che l’espressione di MMP-9 nell’enfisema non complicato aumenta progressivamente, in
modo significativo, in soggetti con pneumotorace ed in soggetti fumatori con pneumotorace recidivante.
Bibliografia
1
Woessner JF Jr. Methods Mol Biol 2001;151:1-23.
2
Imai K, D’Armiento J, et al. Am J Respir Crit Care Med 2001;163(3
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PATHOLOGICA 2004;96:370-373
Patologia dei tessuti molli e dell’osso
Tumore fibroso solitario dei tessuti molli
superficiali: presentazione di sei casi
L. Angeli*, P. Migliora**, A. Ottinetti***, G. Angeli**
*
Clinica Dermatologica, Università di Novara; *** S.O.S.
Anatomia Patologica, Ospedale S.S. Pietro e Paolo, Borgosesia; ** S.O.C. Anatomia Patologica, Ospedale S. Andrea,
Vercelli
Introduzione
Il tumore fibroso solitario è una neoplasia infrequente, con
range di età tra la IV e la VII decade, descritta dapprima in
sede pleurica e peritoneale, successivamente in varie sedi,
quali fegato, orbita, cavità nasali, meningi, vie respiratorie,
tiroide, mediastino, cute e tessuti molli.
Metodi
Vengono presentati sei casi di tumore fibroso solitario dei
tessuti molli superficiali. In ogni caso la lesione è stata completamente esaminata in ematossilina-eosina ed è stato utilizzato un panel immunoistochimico standard, consistente in citocheratine PAN, actine MS ed SM, vimentina, S-100, CD34,
bcl-2, CD99, CD68 e Ki67. In un caso è stata effettuata microscopia elettronica.
Risultati
Si tratta di quattro pazienti di sesso maschile e due di sesso
femminile, di età tra i 35 ed i 78 anni, con neoformazione di
dimensioni comprese tra cm 1 e cm 3,8 di diametro massimo.
Il periodo di insorgenza varia, ove indicato, da 1 mese a 2 anni. Due lesioni sono situate alle dita del piede, due alla parete addominale (una sovrapubica), una all’ascella ed una in sede nucale; tutte sono superficiali (cute/sottocute), con la parziale eccezione della lesione nucale, descritta a partenza dal
piano osteomuscolare. All’esame istologico si osserva in tutti i casi proliferazione a media cellularità, più accentuata solo in un caso, di elementi fusati (fusati e/o tondeggianti nel
caso a maggiore cellularità) disposti in fasci variamente
orientati, talora vorticoidi, alternati a bande di sclerosi e a
ricca componente vascolare spesso di aspetto emangiopericitoide. Un solo caso presenta sfondo discretamente mixoide
alcianofilo. Non si osservano atipie citologiche. L’indice mitotico è compreso tra 0 e 4 mitosi per 10 HPF. L’indice proliferativo (Ki67) è sempre inferiore al 5%. Tutti i casi mostrano espressione intensa diffusa di vimentina e CD34, variabile di actine MS ed SM, bcl-2, CD99. Costante negatività per
S-100 e citocheratine. L’esame ultrastrutturale dimostra elementi ovalari o fusati talora con incisure nucleari a citoplasma contenente irregolari fasci di fibrille ad orientamento parallelo all’asse longitudinale delle cellule; sostanza intercellulare debolmente elettrondensa comprendente sporadici fasci collageni. Il trattamento di scelta è stato l’escissione chirurgica con verifica dei margini; solo nel caso a sede nucale,
prossimo ai margini, è stato praticato allargamento. Tutti i
pazienti sono liberi da malattia, per un periodo di tempo variabile dai 5 anni ai 2 mesi.
Conclusioni
Il tumore fibroso solitario, che presenta caratteristiche
morfologiche di overlap nei confronti dell’emangiopericitoma, è di osservazione non comune nei tessuti molli e nei tessuti cutanei/sottocutanei, ove richiede diagnosi differenziale
nei confronti di varie lesioni neoplastiche e reattive. Non
agevole la diagnosi clinica pre-operatoria, che interessa sia il
Dermatologo che il Chirurgo. Si pone anche problema di
condotta terapeutica, in considerazione della possibilità di recidive locali.
Tumore fibroso solitario dei tessuti molli: un
raro caso di localizzazione retto-sacrale
E. Cristi*, G. Perrone*, S. Caiozzi*, C. Battista**, P.
Benedetti-Panici**, C. Rabitti*
*
Anatomia Patologica, Università Campus Bio-Medico, Roma; ** Dipartimento di Ginecologia, Università Campus BioMedico, Roma
Introduzione
Il tumore fibroso solitario (TFS) è una rara entità che manifesta con la stessa frequenza nei due sessi con una predominanza tra la quarta e settima decade. La pleura rappresenta la sede tipica d’insorgenza, ma in rari casi può avere
localizzazione extra-pleurica. Si riconoscono due varianti,
maligna e benigna: quest’ultima è 3-4 volte più frequente
dell’altra.
Caso clinico
Riportiamo il caso di una giovane donna di 28 anni. L’esame
ecografico evidenzia massa retroperitoneale. L’esame TAC
addome e pelvi segnala voluminosa neoformazione occupante spazio delle dimensioni di cm 9 x 8 x 5 parzialmente cistica con pareti ispessite e grossolane sedimentazioni. Detta
formazione appare comprimere e dislocare anteriormente la
strutture pelviche, in particolare retto ed utero. Si ipotizza cistoadenoma sieroso.
La paziente viene sottoposta a intervento chirurgico. L’esame
citologico eseguito su lavaggio peritoneale è risultato negativo per la ricerca di cellule tumorali maligne.
Macroscopicamente il materiale inviato si presenta come
neoformazione nodulare di cm 7,5 x 6 x 4, di colorito giallo
grigiastro, con cavitazioni concamerate ripiene di materiale
simil mucoide.
Istologicamente si osserva una neoplasia mesenchimale riccamente cellulata e vascolarizzata con pattern pericitomatoso. Gli elementi cellulari per lo più fusati mostrano un nucleo ovale o rotondo, regolare, a cromatina dispersa, con
piccolo nucleolo. Fra questi elementi sono presenti sottili
fibre collagene che solo in alcuni campi si fanno più abbondanti assumendo l’aspetto di corpi amiantoidi. Si reperiscono anche discreti stravasi di emazie e le pareti cistiche
si presentano costituite da tessuto fibroso, prive di rivestimento epiteliale, con depositi emosiderinici. Le mitosi sono
molto rare.
All’indagine immunoistochimica le cellule presentano positività per CD34, bcl2, vimentina, focalmente per desmina e
actina muscolo liscio, mentre negativi sono i marcatori miosina muscolo liscio, citocheratine, EMA, S-100, e CD31.
Ki-67 (clone MIB-1) è positivo in meno del 2% degli elementi.
Conclusioni
Il referto morfologico e le indagini immunoistochimiche depongono per un TFS benigno con localizzazione retto-sacrale. Il decorso clinico è imprevedibile e non sono ancora state
stabilite linee guida definitive per la prognosi. Si consiglia
pertanto una completa eradicazione.
PATOLOGIA DEI TESSUTI MOLLI E DELL’OSSO
371
Leiomiosarcoma scrotale: report di 1 caso
A. Napoli, E. Maiorano, G. Parisi, G. Salerno , R. Ricco
*
DAPeG Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica,
Sezione di Anatomia Patologica, Policlinico Universitario,
Università di Bari; * Unità Operativa Urologia I ospedaliera, Policlinico Bari
Introduzione
I leiomiosarcomi scrotali sono molto rari e la loro etiologia è
sconosciuta. Sono più frequenti tra la quinta e la ottava decade di vita e la loro incidenza è simile a quella dei liposarcomi e degli istiocitomi fibrosi maligni. Essi appaiono come
una massa a sede cutanea o sottocutanea, in genere di piccole dimensioni, a rapida crescita e con scarsa sintomatologia.
Il tumore può prendere origine dai fasci superficiali o profondi del dartos. I leiomiosarcomi a basso grado di malignità
hanno una buona prognosi, mentre quelli ad alto grado di malignità sviluppano metastasi a distanza ed hanno una mortalità elevata.
Storia clinica
Paziente di 53 anni, giunto con storia di neoformazione della
parete emiscrotale sinistra da circa un anno. Alla nostra osservazione venivano inviati neoformazione di cm 2,5 a contorni policiclici, che mostrava al taglio aspetto fascicolato e
colorito biancastro e frammento nastriforme (6 cm) di tonaca
vaginale adiacente alla neoformazione. In un secondo momento veniva inviato, alla nostra osservazione, borsa scrotale adiacente alla neoformazione, didimo, epididimo e funicolo spermatico sinistro.
Risultati
Alla osservazione microscopica, la neoplasia appariva costituita da una proliferazione di cellule fusate, con citoplasma
acidofilo e nuclei allungati con estremità smusse, organizzate in fasci intrecciati, separati a volte da una matrice fibrosa.
Le mitosi, anche atipiche, presenti erano 15/10 HPF. L’immunoistiochimica risultava fortemente positiva per actina
muscolo liscio, l’indice di proliferazione Ki-67 L.I. 19%; S100 negativo. In base all’aspetto morfologico ed ai dati IIC è
stata posta diagnosi di leiomiosarcoma a basso grado di malignità dello scroto. La cute scrotale adiacente, la tonaca vaginale, il didimo, l’epididimo e il funicolo spermatico sono
risultati esenti da neoplasia.
Conclusioni
Il leiomiosarcoma dello scroto costituisce una entità rara, da
tenere sempre in considerazione per la DD con il liposarcoma e l’istiocitoma fibroso maligno.
In accordo con i dati di letteratura, il leiomiosarcoma a basso grado mostra una ridotta invasività locale con scarsa tendenza alla metastatizzazione.
Bibliografia
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Giovanni di Dio, Crotone
Introduzione
L’emangiopericitoma (HPC), rara neoplasia derivante dai periciti, è più frequente nei tessuti molli profondi. Il suo corretto inquadramento diagnostico è ostacolato da due fattori: le
sue somiglianze con altre neoplasie epiteliali e mesenchimali che condividono la prominente architettura vascolare ed il
comportamento biologico imprevedibile. L’aspecificità degli
aspetti istologici e le notevoli difficoltà a confermare l’origine pericitica delle lesioni hanno indotto a dubitare dell’HPC
come entità clinicopatologica. Segnaliamo un caso insolito di
tumore simile all’HPC e con differenziazione mioide.
Ad un uomo di 68 anni si asporta tumefazione del dorso del
piede destro, relativamente ben delimitata, da alcuni mesi dolente, con diagnosi clinica di sospetto neuroma.
Metodi
Il tessuto viene fissato in formalina tamponata, incluso in paraffina e sezioni vengono colorate con Ematossilina-Eosina,
PAS, Gomori e con i seguenti anticorpi: citocheratine, vimentina, S-100, actina muscolo liscio, desmina, CD34,
CD31, collagene IV e laminina.
Risultati
Istologicamente la neoformazione di cm 1,4x0,7x1,2 plurinodulare, di colorito grigio-brunastro e consistenza
lievemente ridotta, risulta a tratti fornita di pseudocapsula
fibrosa, con al di sotto strutture vascolari dilatate talora con
forma a corna d’alce. Nella parte centrale prevalgono
strutture vascolari con lume ristretto rivestite da cuffie di
elementi a disposizione vorticoide con nucleo ovale o fusato
e citoplasma ampio e a limiti indistinti. All’esterno di queste
proliferazioni concentriche gli elementi assumono
disposizione variabile e morfologia simil-pericitomatosa.
Lievi atipie citologiche e indice mitotico di 0-1 mitosi/10
HPF. Profilo immunoistochimico: espressione diffusa di
vimentina, actina muscolo liscio e desmina, focale di S-100.
Le cellule tumorali sono contornate da una matrice simil
membrana basale positiva a laminina e collagene IV.
Negativi gli altri marcatori. Si pone diagnosi di mioma
perivascolare di tipo miopericitoma. Non vi è recidiva a
distanza di sei mesi.
Conclusioni
Il miopericitoma 1, entità benigna, di riscontro molto raro, pone problemi di diagnosi differenziale nei confronti di altre lesioni neoplastiche, quali l’angioleiomioma, il tumore glomico, il tumore fibroso solitario, l’emangioma cavernoso, l’istiocitoma fibroso, il neurofibroma e lo schwannoma. Si pone anche problema di condotta terapeutica, in considerazione
della possibilità di recidive locali.
Bibliografia
1
Granter SR, et al. Am J Surg Pathol 1998;22:513-525.
372
Desmoplastic fibroblastoma. A case report
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Introduction
The desmoplastic fibroblastoma, “collagenous fibroma”, is a
rare benign tumor of soft tissues, that typically appears as an
asymptomatic mass, involving the subcutis. Histologically it is
characterized by a paucicellular proliferation of splindle-shaped
or starry fibroblasts, dipped in a collagenous background. Such
tumor injures males in 75% of cases, the 70% of which between
50 and 70 year old; after surgical exeresis it does not relapse and
does not metastasize. The more frequent localizations are the
subcutis of peripheral seats as arm, shoulder, ante brachium,
dorsum, hand and foot. We report a case of desmoplastic fibroblastoma, arising in the subcutis of right ante brachium,
proximal tract, of a 58 year old female. This tumor appeared as
a mass with slow growth, without pain. Ultrasound showed a
well-limited, hyperecogenous mass. The patient has been subjected to surgical exeresis of this neoformation. One year after
the surgery, she did not show signs of recurrence.
Materials and methods
The specimens sent were formalin 4% fixed and paraplast plus
included. Sections of 3 µm thickness have been prepared for
H&E stain, whereas other sections have been set on slides, previously treated with poli-l-lysin for the immunohistochemical
stains.
Results
Macroscopically the tumor appeared oval, well-limited, firm,
homogeneous grey-pinkish, with maximum diameter of 5.5 cm.
Microscopically, with small power, the neoplasm appeared
well-limited. The paucicellular neoplastic population was composed by splindle-shaped or starry fibroblasts, without nuclear
atypias, with rare mitosis and proliferation index < 1% (Ki-67/
MIB-1), dipped in an abundant collagenous and myxocollagenous matrix. Such elements were strongly positive for vimentin,
someone had a myofibroblastic immunophenotype, showed by
positivity for α SMA. The neoplastic elements were negative
for desmin, EMA, S100, CD 34.
Conclusion
The desmoplastic fibroblastoma is a benign fibroblastic- myofibroblastic neoplasm, with clinico-pathological distinctive features. The treatment chosen for this tumor is conservative excision. The differential diagnosis includes various reactive and
neoplastic fibroblastic lesions, such as fibromatosis and lowgrade fibromyxoid sarcoma.
Tumore a cellule giganti della guaina
tendinea a sede anomala
G. Parisi, A. Cimmino, C. Traversi, R. Ricco
DAPeG Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica,
Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari
Introduzione
Il tumore a cellule giganti della guaina tendinea (TGCGT)
comprende lesioni originanti dalla sinovia delle articolazioni
delle borse e della guaina tendinea; generalmente suddivise
per sede (intra o extaarticolare) e per pattern di crescita (localizzato o diffuso).
Descritto in origine da Jaffe nel 1941, è caratterizzato da cellule simil-istiocitarie, cellule giganti multinucleate, cellule
COMUNICAZIONI LIBERE
schiumose con uno stroma fibroso.
Sebbene nel passato il TGCGT e la tenosinovite nodulare siano
state considerate la stessa entità, esse mostrano caratteristiche
diverse. La prima insorge nella guaina tendinea delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi, mentre la seconda è più frequente nell’articolazione dell’anca, del ginocchio, del polso e
del gomito. Localizzazioni sottocutanee in regione sovrapubica
costituiscono una condizione eccezionale.
Storia clinica
Paziente maschio di 31 anni, riferisce la comparsa della
neoformazione nel sottocute della regione paramediana sovrapubica sinistra da circa due anni.
Alla nostra osservazione perviene una neoformazione capsulata di 3,5 cm, giallo grigiastra, duro-elastica. Microscopicamente la neoformazione appare costituita da aree più cellulate frammiste a zone ipocellulari a maggiore componente collagene costituite da cellule fusate. Cellule giganti si apprezzano in tutta la lesione, più numerose in alcune aree. Si apprezzano inoltre cellule xantomatose con fini granuli emosiderinici e rare mitosi. Indagini Immunoistochimiche positive
per CD68 (KP1 e PGM1).
Risultati
La diagnosi di tumore a cellule giganti non presenta particolare difficoltà da un punto di vista morfologico ma per la sede
anomala della lesione sono necessarie alcune considerazioni di
diagnostica differenziale con: lesioni granulomatose che tendono però ad essere meno localizzate e presentano una maggiore componente infiammatoria; granuloma necrobiotico caratterizzato da un area centrale di collagene degenerato circondato da istiociti e con una zona di proliferazione capillare. Il fibroma della guaina tendinea può essere escluso per la ridotta
ialinizzazione osservata. Tra le altre ipotesi vanno considerate
il sarcoma epitelioide e il sarcoma sinoviale bifasico.
Conclusioni
Il TGCGT è un tumore ben conosciuto. In letteratura sono
descritti soli 11 casi in sede extraarticolare. La segnalazione
dello stesso nel sottocute della regione paramediana sovrapubica costituisce un evento eccezionale e rappresenta il secondo caso in letteratura.
Bibliografia
1
de St Aubain Somerhausen N, Dal Cin P. In WHO Classification of
Tumors - Tumors of soft tissue and bone IARC Press Lyon, 2002.
2
Bradley Arthaud. Pigmented nodular synovitis: report of 11 lesions in
non articular locations. Am J Clin Path 1972;58:511- 517.
Espressione della ciclina D3 nei tumori dei
tessuti molli
F. Castri, R. Ricci, A. Rinelli, N. Maggiano, L.M. Larocca, F.M. Vecchio
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
Allo scopo di contribuire alla caratterizzazione degli eventi
intracellulari regolanti la proliferazione nei vari istotipi di
tumori dei tessuti molli, e di trarre eventuali dati utili nella
diagnostica differenziale di questo gruppo di neoplasie,
abbiamo studiato l’espressione della ciclina D3 (CiD3) in
una casistica di 146 tumori di questo tipo. La serie esaminata
comprendeva 44 tumori stromali gastrointestinali (GIST), 15
fibromatosi, 13 tumori maligni delle guaine nervose
periferiche (MPNST), 7 tumori fibrosi solitari (TFS), 11
angiomiomi, 16 schwannomi, 17 neurofibromi, 5
PATOLOGIA DEI TESSUTI MOLLI E DELL’OSSO
dermatofibrosarcoma protuberans (DFSP), 6 fibrosarcomi, 2
tumori miofibroblastici infiammatori (TMFI), 5 sarcomi
sinoviali (SS), 5 leiomiosarcomi extrauterini.
Metodi
Sezioni ricavate da inclusioni rappresentative contenute
nell’archivio del Servizio di Istopatologia dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore sono state sottoposte ad esame
immunoistochimico usando l’anticorpo monoclonale antiCiD3
(diluizione
1:20.
Ylem).
La
reazione
immunoistochimica è risultata a localizzazione nucleare. I
preparati risultanti sono stati valutati indipendentemente in
termini di percentuale di cellule positive da due patologi,
neoplasie con immunoreattività per CiD3 in più del 5% delle
cellule sono state considerate “positive” per questo fattore.
Nei casi discordanti, una valutazione concorde è stata
raggiunta dopo una revisione congiunta dei preparati.
Risultati
I GIST, gli Schwannomi ed i MPNST hanno mostrato positività
per CiD3 nella maggior parte dei casi esaminati (80% dei GIST,
76% dei MPNST, 94% degli Schwannomi). Al contrario, le
fibromatosi, i TFS, gli angiomiomi, i neurofibromi, i DFSP, i
fibrosarcomi, i TMFI, i SS ed i leiomiosarcomi extrauterini
sono risultati sostanzialmente negativi.
Conclusioni
L’analisi immunoistochimica dell’espressione della Ciclina
D3 aggiunge un elemento utile nella diagnostica differenziale
dei tumori dei tessuti molli; in particolare, interessanti
sviluppi possono emergere dallo studio dell’espressione di
questo fattore nei GIST e nei MPNST non reattivi,
rispettivamente, per CD117 e S-100.
Possibile regolazione dell’apoptosi nelle miopatie mitocondriali mediata dall’endotelina-1
S. Pistolesi*, A. Patricelli**, G. Alì*, M. Falorni***, B. Solito****, G. Siciliano***, G. Fontanini**
Dipartimenti di Chirurgia*, di Oncologia, dei Trapianti e
Nuove Tecnologie in Medicina**, di Neuroscienze***, Unità
Operativa di Chirurgia****
Introduzione
L’endotelina-1 (ET-1) è un peptide di 21 aminoacidi, capace
di indurre molteplici effetti (vasocostrizione, promozione
della crescita), interagendo con 2 differenti recettori
accoppiati a proteine G (ETA e ETB). Inoltre, in alcuni tipi
cellulari (cardiomiociti, cellule muscolari lisce, fibroblasti)
sembrerebbe agire come fattore di sopravvivenza, regolando
l’apoptosi, probabilmente attraverso l’induzione di molecole
anti-apoptotiche quali Bcl-2. Tale effetto sembrerebbe essere
in risposta ad alterazioni metabolico-funzionali dei
mitocondri. Anche nelle miopatie mitocondriali esiste una
alterazione della membrana mitocondriale potenzialmente
capace di indurre la cascata apoptotica, tuttavia l’apoptosi è
spesso assente. Scopo del nostro studio è stato valutare se un
meccanismo regolatore dell’apoptosi mediato da ET-1 possa
essere riscontrato anche nelle miopatie mitocondriali.
Metodi
5 sindromi mitocondriali primitive (4 oftalmoplegie croniche
progressive e 1 epilessia mioclonica con “ragged red fibers”)
e 16 alterazioni mitocondriali aspecifiche sono state valutate.
Biopsie muscolari, ottenute dal quadricipite femorale o dal
deltoide, sono state processate per la diagnosi istologica.
L’analisi immunoistochimica con anticorpi specifici diretti
verso ET-1 e Bcl-2 è stata eseguita secondo metodica
373
standard (Ventana Medical System). L’indice apoptotico è
stato determinato con metodica di immunofluorescenza
diretta (FragEL), secondo le istruzioni del data sheet.
Risultati
È stata osservata una specifica espressione citoplasmatica di
ET-1 in 3/5 delle sindromi mitocondriali studiate, con
maggiore espressione nella MERRF. Gli stessi casi
presentavano anche iperespressione di Bcl-2. Al contrario,
nessuno dei casi con alterazioni mitocondriali aspecifiche
presentava espressione di Bcl-2 o ET-1. In quest’ultimi 16 casi
l’indice apoptotico variava da 22 a 53% (media 32), mentre nei
casi con positività per ET-1 e Bcl-2 era inferiore al 20%.
Conclusioni
Tali dati suggeriscono la presenza di una possibile
regolazione dell’apoptosi mediata da ET-1 attraverso Bcl-2
in alcuni casi di sindromi mitocondriali.
L’utilizzo di BMP-7 potenzia l’attività
osteogenetica delle cellule staminali nel ratto
M. Peresi*, E. Fulcheri*, G. Burastero**, G. Grappiolo**,
M. Podestà***, F. Frassoni***, S. Castello***, N. Sessarego***, G. Bovio****, L. Spotorno**
**
Chirurgia Protesica, Ospedale Santa Corona, Pietra Ligure;
Unità Terapie Cellulari, Ospedale San Martino, Genova; *
Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale San Martino, Genova; **** Istituto di Radiologia, Ospedale San Martino, Genova
***
Introduzione
La letteratura recente ha evidenziato che le cellule stromali
midollari (MSC) rappresentano la componente cellulare
coinvolta nella neoformazione ossea.
In un articolato progetto di ricerca viene valutata la differente capacità osteogenetica del midollo osseo (hMNC), delle
cellule stromali espanse (hexp-MSC), e hexp-MSC associate
a BMP-7 nel trattamento di un deficit massivo di osso femorale nel ratto.
Materiali e metodi
Sono stati impiegati ratti Sprague-Dawley (SD) e ratti atimici (NU) per escludere reazioni di incompatibilità con le cellule umane.
Una serie dei ratti (SD) è stata utilizzata per definire la tecnica chirurgica.
La serie dei ratti NU (12) veniva suddivisa in quattro gruppi
a seconda degli specifici protocolli di trattamento: Gruppo 1
-osso autoclavato e hMNC, Gruppo 2 -osso autoclavato e
hexp-MSC, Gruppo 3 - osso autoclavato e sola BMP-7, G4 osso autoclavato e hexp-MSC unite a BMP-7.
Dopo aver posizionato una placca con quattro cerchiaggi
metallici sul femore, è stata effettuata una resezione ossea di
6 mm. Il deficit osseo è stato riempito con i differenti
trapianti e valutato radiograficamente (COOK-2000) e
istologicamente a intervalli regolari.
Risultati
A 8 settimane nel gruppo 1 non si è riscontrata neoformazione ossea; nel gruppo 2 era presente nuovo osso disorganizzato, nel gruppo 3 neoformazione ossea che univa le estremità
femorali, nel gruppo 4 neoformazione ossea significativa con
rimodellamento. Tali risultati furono confermati dall’analisi
istologica.
Conclusione
Le analisi radiografiche e istologiche sembrano dimostrare
che l’uso combinato di hexp-MSC e BMP-7 determina una
notevole amplificazione della attività osteogenetica.
PATHOLOGICA 2004;96:374-382
Patologia della testa e del collo
Adenocarcinoma tubulo-papillare di tipo
salivare del tratto naso-sinusale
A. Palomba, M. Biancalani, D. Massi*, M. Santucci*, A.
Franchi*
U.O.C. di Anatomia Patologica, Ospedale “S. Giuseppe”,
Empoli; * Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia,
Università di Firenze
Introduzione
Gli adenocarcinomi naso-sinusali ben differenziati sono neoplasie di rara osservazione ed ancora non completamente caratterizzate. Lo scopo dello studio è quello di presentare le
caratteristiche clinico-patologiche ed immunoistochimiche di
due adenocarcinomi naso-sinusali di tipo tubulo-papillare e
di discutere il loro inquadramento classificativo e la diagnosi differenziale.
Metodi
Una lesione era insorta in un uomo di 54 anni, di professione
impiegato, ed era localizzata a livello del meato inferiore della fossa nasale di sinistra. A seguito di asportazione parziale,
la neoplasia era recidivata dopo 5 mesi. Il paziente è vivo
senza segni di malattia 30 mesi dopo il primo intervento. La
seconda neoplasia era insorta in un uomo di 64 anni, di professione cuoco, ed era localizzata a livello della fossa nasale
e del seno mascellare di destra. Il paziente è vivo senza segni
di malattia 26 mesi dopo trattamento chirurgico. Dalle inclusioni in paraffina si sono ottenute sezioni che sono state colorate con ematossilina-eosina, PAS diastasi, o utilizzate per
le indagini immunoistochimiche.
Risultati
Ambedue le lesioni erano caratterizzate da una architettura
tubulo-papillare, con aspetti di infiltrazione del corion mucoso. Gli elementi neoplastici erano prevalentemente cilindrici, con nucleo ovale e citoplasma eosinofilo e finemente
granulare. Cellule caliciformi erano intercalate tra le cellule neoplastiche principali. L’atipia era moderata o assente e
non si evidenziava attività mitotica. Aree di necrosi erano
presenti nella neoplasia del seno mascellare. Le indagini
immunoistochimiche hanno dimostrato positività per la citocheratina 7, mentre sono risultate negative le colorazioni
per citocheratina 20 e CDX-2. Elementi mioepiteliali positivi per calponina e p63 sono stati identificati sia nelle aree
papillari che tubulari.
Conclusioni
Il nostro studio dimostra che una parte degli adenocarcinomi
ben differenziati naso-sinusali possono essere di natura salivare, anche se non esattamente inquadrabili in nessuno degli
istotipi descritti nelle correnti classificazioni. È importante
distinguere queste neoplasie dall’adenocarcinoma di tipo intestinale, che è caratterizzato da un decorso clinico più aggressivo.
Epression of p53, p16, pRB, p21, p27, cyclin D1,
Ki-67 and HPV presence in endophytic
schneiderian papillomas
T. Salviato*, G. Busatto*, G. Marioni**, F. Marino***, G.
Altavilla*
*
UOA Anatomia Patologica Ulss 15 PD, Cittadella (PD);
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Sezione
ORL, Università di Padova; *** Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Sezione Anatomia Patologica, Università di Padova
**
Introduction
Schneiderian papillomas are uncommon lesions making up
0.5% to 4% of all primary nasal tumors. The etiology of
paranasal sinus tumors remain poorly understood. Human
papillomavirus (HPV) infection is suspected to be a risk factor for head and neck carcinogenesis. Cyclin D1 is involved
in Rb pathway and has a role in cell cycle progression and in
overcoming late G1 restriction point, so an amplification of
cyclin D1 gene may be important in inducing a loss of control of cell proliferation and transformation. E6 and E7 oncoproteins can also act at the level of START checkpoint, altering the function of factors involved in the passage from G1
to S phase (pRb, p21, p27). This study was performed to investigate the role of HPV infection and the alterations of cellcycle-related proteins including p21, p27, p16 and pRb in endophytic Schneiderian papillomas.
Material and methods
Twenty-three cases of endophytic schneiderian papillomas of
the sinonasal epithelium, surgically resected were collected
from the files of our departments. All cases had been
routinely processed for light microscope.
Immunoistochemical studies were performed using the
antibodies against cell cycle proteins,comprising p16, p53,
p21, p27, pRb, cyclin D1 and against the proliferation marker
Ki67, by a standard three step biotin-streptavidin-peroxidase
method and a heat-induced epitope retrieval buffer. The
degree of immunohistochemical expression was classified as
follow: diffusely positive ( more than 50% of nuclear
positivity), focally positive (10 to 50% of nuclear positivity),
or negative (less than 10% of nuclear positivity). The
presence of HPV was investigated by nested PCR and the
positive cases typed by restriction digestion (RFLP).
Results
p21 staining was negative in non papillomatous nasal
mucosa, but enhanced expression rate for p21 were seen in
transitional and squamous epithelium, compared with
columnar epithelium in all the cases. p27 immunoreactivity
was identified throughout the epithelium other than the basal,
some parabasal and superficial cells in 74% of cases (17
cases). Ki-67 immunopositive cells were restricted to
parabasal and basal epithelial cell layers in all the cases, but
in two cases with dysplasia the superficial layers were
positive too. Cyclin D1 and pRb immunopositive cells were
restricted to basal and parabasal cell layers in all the cases
and only in three cases (13%) pRb was positive in all the
layers and in one case was positive in intermedie layers. p53
expression was observed only in basal and parabasal cells in
9 cases (39%). HPV-DNA type 6 and 11 was identified in 9
cases (40.9%).
PATOLOGIA DELLA TESTA E DEL COLLO
Conclusions
The incidence of HPV infection observed suggested that
HPV may be important in the etiology of theese tumors and
mutations of cell cycle regulator proteins may have important
role in their progression.
Bibliografia
1
Yang A, et al. Mol Cell 1998;2:305-316.
2
Benard J, et al. Hum Mutat 2003;21:182-191.
Ameloblastoma periferico ricco in cellule di
Merkel
Determinazione immunoistochimica della p63
nelle precancerosi e nel carcinoma squamoso
del cavo orale
S. Lanzafame, R. Caltabiano, R. Leonardi*
Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Università di Catania; * Dipartimento Specialità Medico-Chirurgiche, Università di Catania
Introduzione
La proteina p63, omologa della p53, è codificata da un gene
localizzato sul cromosoma 3q27. Tale gene esprime sei differenti isoforme della p63. Tre isoforme, avendo la capacità di
attivare il gene p53, inducono apoptosi; le altre tre, mancando del dominio N-terminale necessario per attivare la p53,
potrebbero suggerire un ruolo oncogeno della p63. Tale proteina ha, inoltre, un ruolo nello sviluppo ectodermico, nel
mantenimento della popolazione di cellule basali presenti negli epiteli pluristratificati e, nella differenziazione dei medesimi 1-2. L’obiettivo della ricerca consiste nel valutare l’espressione della p63 nelle precancerosi e nel carcinoma squamoso invasivo del cavo orale al fine di considerarne la validità come fattore prognostico.
Metodi
21 casi di displasia di basso ed alto grado del cavo orale, 94
casi di carcinoma squamoso invasivo del cavo orale e 10
campioni di mucosa normale del cavo orale sono stati esaminati mediante tecnica immunoistochimica utilizzando un anticorpo monoclonale anti-p63. Si è quindi proceduto alla valutazione semiquantitativa dell’immunoreazione: score 0 (010% di cellule positive), score + (10-30%), score ++ (3050%) e score +++ (> 50%).
Risultati
La proteina p63 è espressa negli strati basale e parabasale
dell’epitelio normale. L’espressione aumenta progressivamente nei gradi crescenti di displasia dell’epitelio squamoso
orale, ed è percentualmente maggiore nei carcinomi invasivi
scarsamente differenziati rispetto a quelli ben differenziati.
Dei 94 carcinomi invasivi inseriti nello studio, 5 (5,3%) hanno evidenziato score 0, 33 (35,1%) score +, 36 (38,3%) score ++, e 20 (21,3%) score +++. I risultati della nostra ricerca
suggerirebbero un ruolo della proteina p63 nelle fasi precoci
della carcinogenesi, e nei successivi processi di differenziazione e di invasività dei carcinomi squamosi del cavo orale.
La positività immunoistochimica per la p63 è apparsa più intensa nei tumori in cui era presente infiltrazione perineurale.
Infine i carcinomi con la percentuale di positività più alta per
la p63 (score +++) hanno presentato una prognosi peggiore
rispetto agli altri.
Conclusioni
I dati hanno mostrato, in linea con studi precedenti, come la
colorazione immunoistochimica per la p63, insieme con l’esame istologico, può essere un valido ausilio per valutare il
grado di differenziazione e l’aggressività locale dei carcinomi squamosi orali. Inoltre il livello di espressione della p63
può essere considerato un fattore prognostico, anche se non
indipendente.
G. Marucci*, C.M. Betts**, M.P. Foschini*
*
Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia, Università di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna; **
Dipartimento di Patologia Sperimentale, Università di Bologna
Introduzione
L’ameloblastoma periferico (AP) è un tumore esofitico dei
tessuti molli sovrastanti la cresta alveolare della mascella e
della mandibola, con le stesse caratteristiche dell’ameloblastoma intraosseo (AI).
Le cellule di Merkel (CM) sono state osservate in una percentuale variabile (fino al 75%) nelle biopsie della mucosa
del cavo orale 1.
Le CM nella mucosa del cavo orale hanno aspetto polimorfo:
cellule con la forma tipica, tonda od ovale sono frammiste a
cellule di aspetto dendritico 2.
Nel presente lavoro viene riportato un caso di AP con numerose CM nel contesto dell’epitelio neoplastico e della mucosa perilesionale.
Materiali
Un maschio di 48 anni si è presentato con una lesione gengivale polipoide ulcerata a livello della cresta alveolare mascellare sinistra. La lesione è stata escissa ed esaminata routinariamente.
Sono stati inoltre reclutati 10 casi, selezionati dall’archivio
dell’Anatomia Patologica dell’Ospedale Bellaria, così suddivisi: 5 casi di AI, inclusi per confrontare la presenza di CM;
5 casi di neoplasie, benigne e maligne, del cavo orale con l’epitelio neoplastico in continuità con la sovrastante mucosa
per verificare l’eventuale colonizzazione da parte delle CM.
In tutti i casi è stata eseguita indagine immunoistochimica
con anticorpo anti-citocheratina 20 (CK20) (DAKO, clone
KS 20,8).
Risultati
All’esame microscopico il tumore era costituito da bande di
epitelio neoplastico in continuità con l’epitelio squamoso
della mucosa gengivale. La neoplasia mostrava un pattern
basaloide con aree di palizzata periferica. La CK 20 ha evidenziato numerose CM nel contesto della neoplasia e della
mucosa gengivale.
In nessuno dei 10 casi di confronto si osservavano cellule CK
20 positive nell’epitelio neoplastico, mentre erano presenti
nella mucosa perilesionale.
Discussione
L’AP ricco in CM riportato nel presente lavoro appare peculiare perché negli AI e nelle neoplasie che raggiungevano la
mucosa da noi studiati non sono state osservate cellule CK20
positive. Tali osservazioni suggeriscono che, almeno in certi
casi, l’AP originerebbe dalle cellule basali della mucosa del
cavo orale, producendo una neoplasia di aspetto basaloide
che analogamente alla mucosa circostante è ricco in CM.
Non si può tuttavia escludere che in certi casi ci sia una colonizzazione del tumore da parte delle CM (come i melanociti nei carcinomi basocellulari) probabilmente richiamate da
citochine prodotte dall’epitelio neoplastico.
COMUNICAZIONI LIBERE
376
Bibliografia
1
Barrett AW, et al. Arch Oral Biol 2000;45:879-87.
2
Tachibana T, et al. Arch Histol Cytol 1998;61:115-24.
Carcinoma sarcomatoide di origine
odontogenica
A. Menin, S. Dante, D. Danieli, P. Bevilacqua, P. Celli, R.
Squaquara, E.S.G. d’Amore
Carcinoma odontogenico a cellule chiare
L. Costarelli, F.R. Piro, G. Di Lella , M. Giordano, G.
Lengua, F. Monardo, E. Silvestri, M. Amini
*
S.C. Anatomia Patologica; * U.O.D. Chirurgia Maxillo-Facciale, A.O. “San Giovanni Addolorata Calvary Hospital”,
Roma
Introduzione
Il carcinoma odontogenico a cellule chiare (COCC), descritto per la prima volta circa 20 anni fa come “tumore odontogenico a cellule chiare potenzialmente aggressivo” 1 è stato
successivamente incluso nella classificazione WHO 1992 come “clear cell odontogenic carcinoma”, essendone stata dimostrata la malignità. Non è ancora del tutto chiaro se il
COCC e l’ameloblastoma rappresentino la stessa entità clinico-patologica, il primo quale variante più aggressiva e metastatizzante del secondo, o se siano due entità distinte. La
maggior parte dei 37 casi descritti finora presenta una predominanza nel sesso femminile (M:F = 1:2) e nell’età adulta
(VI-VII decade) e la localizzazione più frequente è la regione anteriore della mandibola. Nel 30% dei casi sono state descritte metastasi ai linfonodi locoregionali, ma può metastatizzare anche alle ossa e ai polmoni.
Metodi
Uomo di 63 anni con tumefazione nella regione mentoniera. La TAC dimostrava un’estesa area osteolitica, modicamente captante il mdc, localizzata all’emimandibola sinistra, con erosione della corticale ed invasione dei tessuti
molli adiacenti. Ulteriori indagini strumentali non evidenziavano localizzazioni in altri organi. Dopo biopsia incisionale, che ha stabilito la malignità della lesione, è stata eseguita un resezione mandibolare, con linfoadenectomia “en
bloc”.
Risultati
L’esame istologico mostrava una neoplasia a cellule epiteliali, con ampio citoplasma chiaro, otticamente vuoto, e
nuclei polimorfi, disposte prevalentemente in nidi, con reperto di frequenti mitosi. Caratteristica era la presenza di
palizzate periferiche, con polarizzazione “inversa” dei nuclei (aspetti di tipo ameloblastico). In alcune aree sono state osservate cellule con scarso citoplasma basofilo. La neoplasia aveva metastastizzato ad uno dei linfonodi laterocervicali asportati. Le cellule neoplastiche mostravano il
seguente immunofenotipo: EMA+, pancitocheratine
AE1/AE3+, 34βE12+, CK19+ e, CK7+ (focale, 5% delle
cellule), CK20-, Vimentina-, pS100-, HMB45-, actinaSMe CD10-.
Conclusioni
L’aspetto morfologico e clinico della lesione, unitamente al
profilo immunoistochimico, consentono la diagnosi di carcinoma odontogenico a cellule chiare (COCC), escludendo tutte le altre neoplasie a cellule chiare primitive o metastatiche.
Il riconoscimento di questa inusuale entità e la diagnosi differenziale con altri tumori simili è fondamentale per programmare un adeguato approccio terapeutico.
Bibliografia
1
Hansen, et al. Head Neck Surg 1985;8(2):115-123.
U.O. Anatomia Patologica, Laboratorio di Genetica Medica,
Ospedale S. Bortolo, Vicenza
Introduzione
I carcinomi sarcomatoidi a sede endo-orale sono tumori
estremamente rari. Si riporta la descrizione di un tumore, ad
origine intraossea mandibolare, di possibile origine odontogenetica.
Metodi
Paziente di 43 anni, maschio, con pregressa cisti radicolare
complicata dalla comparsa di tumefazione mandibolare sinistra, rapidamente ingravescente, ulcerante la mucosa sovrastante. La lesione e’ stata studiata radiologicamente, con metodica immunoistochimica (sistema Envision della Dakocytomation) e citogenetica.
Risultati
L’esame radiografico ha rivelato la presenza di un’ampia lesione intraossea a livello del I e II molare a carattere osteolitico. A seguito dell’escissione chirurgica radicale, perviene a fresco, mandibola sinistra comprendente nodulo biancastro di cm 5 con frattura patologica dell’osso ed infiltrazione macroscopica dei tessuti molli. La neoplasia risulta
caratterizzata dalla proliferazione di cellule disposte in fasci intrecciati, a prevalente fisionomia fusata, con nucleo
centrale, rotondeggiante o fusato. Si riconoscono inoltre rarissini aggregati di cellule neoplastiche a fisionomia epiteliode, disposte in piccoli nidi. L’esame immunoistochimico
ha evidenziato, nella componente a cellule fusate, il seguente profilo immunoistochimico: positività diffusa per :
AE1-3 e vimentina; positivita’ focale per : citocheratina
CAM 5.2, AE1, citocheratina 7, S-100; negativita’ per: citocheratina 20, citocheratina 5/6, CD 99, desmina, caldesmone, CD 45. Elevato indice proliferativo (Ki-67). All’esame
citogenetico si reperta la presenza di un clone cellulare ipotetraploide con riarrangiamenti strutturali a carico dei cromosomi 1, 3, 9, 17.
Conclusioni
Le neoplasie del cavo orale con differenziazione a cellule fusate ed epiteliomorfe comprendono un gruppo eterogeneo e
rarissimo di lesioni che includono: Sarcoma Sinoviale, Mioepitelioma maligno, Carcinosarcoma di origine odontogenica
ed il Carcinosarcoma Ameloblastico. Si descrive una lesione
che, per sede di origine e profilo immunofenotipico, potrebbe corrispondere ad un Carcinoma Sarcomatoide di origine
odontogenetica. È necessario lo studio di ulteriori casi per la
conferma che le alterazioni citogenetiche rilevate siano specifiche di questa neoplasia.
PATOLOGIA DELLA TESTA E DEL COLLO
Expression and amplification of HER-2/neu in
non invasive carcinoma ex pleomorphic
adenoma of salivary glands.
Immunohistochemistry and FISH analysis of 6
cases
S. Di Palma*, A. Skálová**
*
Dept of Cellular Pathology, The Royal Surrey County Hospital, Guildford,UK; ** Department of Pathology, Medical
Faculty, Charles University, Plze∑n, Czech Republic
Introduction
Non-invasive carcinoma ex pleomorphic adenoma (intracapsular, in situ, or focal carcinoma) is an epithelial malignancy
confined within the boundaries of a pleomorphic adenoma
(PA), and which fails to invade beyond the capsule of the
host PA. Its true nature remains controversial, and it is not
clear whether it represents early, but genuine, carcinomatous
change or simply benign, cytologically bizarre, metaplastic
changes in a PA. Strong over-expression and amplification of
HER-2/neu protein has been demonstrated in invasive carcinoma ex-PA. In addition, data from breast cancer studies suggest that amplication of HER-2/neu and over-expression of
its gene product is mainly involved in initiation of oncogenesis.
Aims: We sought to establish if this method could help to
demonstrate whether non-invasive carcinoma ex-PA is really
an early phase of a true carcinoma.
Methods
Six cases of non-invasive carcinoma ex-PA were investigated for HER-2/neu status using immunohistochemistry and
fluorescent in situ hybridisation (FISH).
Results
The cells of non-invasive carcinoma ex-PA were strongly
positive for HER-2/neu protein, in contrast to the always
negative cells of the host PA. In four of six tumours studied
by FISH, amplification of HER-2/neu gene signals was detected in the tumour cells of the non invasive carcinoma.
Conclusion
This data suggests that non invasive carcinoma ex PA is genuinely malignant and that immunohistochemical overexpression of HER-2/neu may be a useful marker to detect malignant transformation in PA.
Carcinoma parotideo EBV-correlato, con
aspetti misti di carcinoma linfoepiteliale e
carcinoma epi-mioepiteliale. Descrizione del
primo caso
S. Asioli*, S. Piana**, S. Damiani*, S. Asioli**, E. Magrini*,
W. Barbieri***, A. Cavazza**
*
Servizio di Anatomia Patologica “M. Malpigli”, Università
di Bologna, Ospedale Bellaria; ** Dipartimento di Anatomia
Patologica, Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia;
***
Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Arcispedale Santa
Maria Nuova, Reggio Emilia
I tumori delle ghiandole salivari con aspetti morfologici misti tra due istotipi differenti sono rari.
Nel caso che descriviamo, la paziente, una donna di 53 anni
si presenta con una massa di 4 cm nella regione parotidea destra. Viene eseguito a una parotidectomia totale e all’esame
istologico la neoplasia appare costituita da due differenti
377
componenti: una è rappresentata da una proliferazione bifasica in cui si riconoscono nidi e strutture ghiandolari bordate
da epitelio secernente e circondate esternamente da uno strato mioepiteliale, l’altra da un tumore scarsamente differenziato con caratteristiche citologiche di un carcinoma linfoepiteliale. In entrambe le componenti, si osserva un marcato
infiltrato linfoplasmacellulare con formazione di centri germinativi.
Le cellule neoplastiche d’entrambe le componenti del tumore sono risultate diffusamente positive alla ricerca dell’ mRNA per il virus di Epstein Barr (EBV) mediante la metodica
dell’ ibridazione in situ. Questo caso è unico in letteratura,
dato che nè l’associazione tra questi due istotipi, nè una correlazione tra EBV e i tumori mioepiteliali è stata mai descritta prima.
Localization of “natural” sentinel node
in laryngeal and hypopharyngeal carcinoma
A. Altavilla, F. Sanguedolce, A. Marzullo, L. Resta
Department of Pathological Anatomy and Genetics, Policlinic University of Bari
Introduction
Sentinel lymph node technique locates by functional mapping of the lymphatic system that node which primarily
drains anatomic neoplastic territory. Lately this procedure
has been applied to patients with head and neck squamous
cell carcinoma. Our experience in more than 800 functional
neck dissections for larynx and hypopharynx cancer let us to
assert that from an anatomical point of view sentinel lymph
node naturally exists in these organs since their lymphatic
drainage involved first typical lymph nodes.
Methods
In our study, we examined a series of 170 patients with
metastasized functional neck dissections using a surgical procedure according to classic topographic anatomy.
Results
In 84 cases in which there was only a nodal metastasis, the
nodes involved were subdigastric in 37 cases, supraomohyoid in 33, pre-laryngeal in five, representing evidence in vivo of sentinel lymph node, in that, constantly interested by
neoplasia. In cases with more than three metastasized lymph
nodes Kuttner and supraomohyoid were always primarily interested. The only exceptions regard supraclavicular, submandibular, jugular and recurrent nodes. Therefore, in patients with metastases isolated in submandibular it might be
supposed the occurrence of an unsteady lymphatic drainage
of superior laryngeal peduncle described by Farabeuf: in fact,
in some people a part of lymphatics coming from larynx, instead of turning towards Kuttner node comes near facial
artery and drives lymph to submandibular node. In the other
patients the metastases isolated in supraclavicular, recurrent
and jugular might be justified with a fore laryngeal drainage
after skipping pre-laryngeal node owing to changes of the
lymphatic flow for phlogosis, neoplastic obstructive emboli
or previous operations.
Conclusions
Our twenty-year studies about larynx and hypopharynx cancer suggest considering subdigastric, supraomohyoid and
pre-laryngeal as sentinel lymph nodes by nature of these
neoplasms, attending to evaluate in a restricted number of
cases rare exceptions. Therefore, intraoperative histopathological examination, without radiolocalization, of these
378
lymph nodes allows surgeons to control locoregional diffusion of neoplasia and to reduce total neck dissection. The
acting of above-mentioned lymph nodes is only predictable
on the classic topographic anatomy ground that is not considered in the division of cervical lymph nodes by levels
currently used.
Tumore a cellule granulose paratracheale con
pattern infiltrativo associato a carcinoma
papillare della tiroide
R. Colella, A. Sidoni, G. Bellezza, M. Scheibel, A. Cavaliere
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Divisione di Ricerche sul Cancro, Università di Perugia
Introduzione
Il tumore a cellule granulose (TCG) è una neoplasia relativamente rara 1. Dall’esame della letteratura risultano descritti
solo otto casi localizzati nel tessuto connettivo paratracheale.
La rarità del TCG in questa sede ci ha indotto a segnalarne un
caso con pattern infiltrativo associato a carcinoma papillare
della tiroide.
Osservazione personale
Un uomo di 58 anni si ricovera per la presenza di un nodulo
tiroideo risultato positivo per carcinoma papillare all’agoaspirato. Durante l’intervento chirurgico la tiroide appare adesa alla trachea per cui, nel sospetto di un’infiltrazione neoplastica, vengono asportati due anelli tracheali. L’esame macroscopico mette in evidenza, nel lobo destro della tiroide, un
nodulo del diametro di 12 mm; tra questo e la parete tracheale è presente una piccola neoformazione (mm 11x3) di colorito grigio-giallastro. L’esame istologico conferma l’esistenza del carcinoma papillare nella tiroide. La neoformazione
adesa alla trachea è costituita da cellule rotondeggianti o poligonali con citoplasma eosinofilo, granuloso e PAS positivo;
i nuclei sono solitamente piccoli, abbastanza uniformi e mostrano, solo localmente, un lieve pleomorfismo. Assenti le
mitosi. Le cellule neoplastiche, infine, infiltrano focalmente
la tiroide. L’indagine immunoistochimica evidenzia positività per S100, vimentina, NSEs e galectina-3. Viene formulata la diagnosi di TCG con pattern infiltrativo e focale infiltrazione della tiroide.
Conclusioni
La presente osservazione rappresenta il nono caso di TCG localizzato nel tessuto connettivo paratracheale. A differenza di
quanto in genere riportato in letteratura in questo caso il TCG
è stato un reperto incidentale in corso di tiroidectomia per
carcinoma papillare ed interpretato al tavolo operatorio come
infiltrazione locale della neoplasia tiroidea. Di rilievo la focale infiltrazione della tiroide già segnalata da Burton 2, pur
in presenza di una neoplasia con caratteri morfologici di benignità. A 6 mesi dall’intervento il paziente gode apparente
buona salute.
Bibliografia
1
Ipakchi R, et al. Laryngoscope 2004;114:143-147.
2
Burton DM, et al. Laryngoscope 1992;102:807-812.
COMUNICAZIONI LIBERE
Morphologic and ultrastructural features of
soft palate and pharyngeal muscles in
children with cleft palate
D. Cecchetti, P. Lucchesi*, A.G. Naccarato, L.E. Pollina,
N. Funel, S. Sansevero**, A. Massei**, G. Bevilacqua, P.
Viacava
Division of Surgical, Molecular and Ultrastructural Pathology, Department of Oncology, University of Pisa; * Department of Human Morphology and Applied Biology, University
of Pisa; ** Department of Plastic Surgery, Hospital of Pisa
Introduction
Palate and lip muscle alterations in patients with cleft are
poorly known. In particular very rare data are reported on the
pathology of soft palate muscles. We decided to analyze the
histologic features of the superior pharyngeal constrictor
muscle and right and left palatopharyngeal muscles in a series of 11 patients affected by isolated cleft palate and 9 patients affected by unilateral or bilateral cleft lip and palate. In
4 cases ultrastructural analysis was also performed.
Methods
A muscle biopsy was done during palatoplasty. Muscle sections were stained with hematoxylin-easin, modified Gomori
trichrome, PAS and NADH-TR. The analyzed parameters
were: organization and type of muscle fibers, presence of
ragged red fibers, characteristics of nuclei, degree of fibrosis,
presence of adipose tissue and inflammatory infiltrate.
Results
Our results showed the presence in both type of muscle of
dystrophic-like alterations such as variability of fiber size, increase of connective tissue and presence of adipose tissue.
No ragged red fiber, inflammatory infiltrate or neurogenic atrophy was observed. Electron microscopy evidenced focal
areas of disruption of myofibrils containing amorphous materials.
Conclusions
The marked alterations of palate muscles in children with
cleft suggest that muscle damage could represent a significant pathogenetic factor in this type of malformation. The degree of muscle alterations may be responsible for a persistent
postsurgical velopharyngeal insufficiency despite successful
surgical repair. Muscular biopsy during palatoplasty could
offer useful functional prognostic information in patients
with cleft lip and palate.
Espressione immunoistochimica della
survivina nei tumori della tiroide
R. Zamparese*, G. Pannone**, S. Staibano**, G. De Rosa**, P. Bufo*
*
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Cattedra di Anatomia
Patologica, Università di Foggia; ** Dipartimento di Scienza
Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli Federico II
Introduzione
La Survivina, è una proteina implicata nel processo di apoptosi, che esplica la sua attività antiapoptotica dopo fosforilazione in corrispondenza della Thr 34. La sua forma attiva, la
Survivina fosforilata, agisce sulla cascata delle caspasi.
L’elevata espressione della survivina nei tessuti neoplastici si
accompagna ad una aumentata vitalità cellulare e ad una acquisita capacità di sopravvivere alle azioni citotossiche degli
agenti chemioterapici.
PATOLOGIA DELLA TESTA E DEL COLLO
In letteratura è presente un solo lavoro in cui è stata valutata
l’espressione immunoistochimica della Survivina nel carcinoma della tiroide 1, mentre non sono stati condotti studi sull’espressione della Survivina fosforilata. Per questo motivo
abbiamo ritenuto interessante studiare l’espressione della
Survivina e della sua forma fosforilata in un campione di
neoplasie della tiroide.
Materiali e metodi
La nostra ricerca è stata condotta su un campione di tumori
della tiroide costituito da 7 casi di carcinomi ben differenziati della tiroide varietà follicolare del papillare, di cui 2 incidentali, da 10 casi di carcinoma papillare classico, da 1 caso
di tumore a cellule di Hürthle, da 2 casi di metastasi linfonodali di carcinoma papillare classico e 2 casi di adenoma follicolare. Ogni caso è stato stadiato applicando il sistema
TNM.
Due sezioni istologiche di ogni campione sono state saggiate
con anticorpi policlonali per la survivina umana ricombinante (ab469, Abcam, Cambridge) e per la survivina fosforilata
di origine umana (sc-16320-R, Santa Cruz Biotechnology,
Inc.).
Risultati
L’espressione della survivina è risultata elevata nei tumori in
stadio avanzato e, a parità di stadio, è maggiore nei pazienti
di età più avanzata ed è ancora più espressa in carcinomi con
aspetti oncocitari e con marcate atipie nucleari.
La survivina è poco espressa nelle forme incidentali ed è negativa negli adenomi.
Conclusioni
I risultati suggeriscono che l’espressione immunoistochimica
della survivina è correlata con l’aggressività dei tumori della
tiroide e incoraggiano all’uso della stessa quale ulteriore
mezzo per la valutazione della prognosi dei tumori della tiroide.
Bibliografia
1
Ito Y, et al. Oncol Rep 2003;10(5):1337-40.
Il microcarcinoma papillare della tiroide:
aspetti clinico-patologici e molecolari
F. Grillo, R. Ricca, L. Mastracci, M. Curto, S. Pigozzi, E.
Varaldo*, P. Ceppa
Dipartimento di Discipline Chirurgiche, Morfologiche e Metodologie Integrate, Sezione di Anatomia Patologica; * U.O.
Chirurgia Generale ad indirizzo Endocrino, Università di
Genova
Introduzione
Il microcarcinoma papillare (PMC) della tiroide, variante del
carcinoma papillare (PTC) presenta di regola un decorso indolente, tuttavia raramente si osservano recidive loco-regionali e metastasi a distanza. Non sono attualmente noti marcatori morfologici o molecolari in grado di predire il comportamento biologico della singola neoplasia. Lo studio è finalizzato ad individuare criteri differentemente espressi in tumori a comportamento aggressivo (gruppo A) rispetto a quelli a comportamento indolente (gruppo B).
Metodi
Da una casistica di 174 PTC sono stati selezionati 52 PMC.
Di tutti i casi erano noti i seguenti parametri: sopravvivenza,
stato linfonodale all’intervento e nel follow-up, recidive locali o metastasi a distanza. La presenza di recidive o metastasi a distanza hanno definito un gruppo di neoplasie “ag-
379
gressive” (5/52). Sono stati valutati i seguenti parametri
morfologici: focalità, dimensione, capsularità, estensione extratiroidea, varianti istologiche, gradi di differenziazione, infiltrato linfocitario intra- e peri-tumorale. Sono stati inoltre
valutati l’indice di proliferazione (Ki 67), l’espressione di ciclina D1 e di p27.
Risultati
Di tutti i parametri morfologici considerati nessuno ha dimostrato una diversa distribuzione nel gruppo A rispetto al gruppo B; solo l’estensione extratiroidea della neoplasia ha mostrato un trend verso una più frequente espressione nel gruppo A. Tra i marcatori molecolari il solo indice di proliferazione si è dimostrato significativamente diverso (gruppo A =
11% vs gruppo B = 4%; p < 0,01). L’espressione della ciclina D1 non ha evidenziato significative differenze; tuttavia gli
unici due casi con espressione intensa e diffusa appartenevano al gruppo A. Entrambi i gruppi hanno presentato analoga
perdita di espressione di p27.
Conclusioni
L’invasione extratiroidea, un più elevato indice di proliferazione e di espressione di ciclina D1 caratterizzano un sottogruppo di PMC a comportamento biologico aggressivo.
Bibliografia
Khoo M, et al. Overexpression of cyclin D1 and underexpression of p27
predict lymph node metastases in papillary thyroid carcinoma. J Clin
Endocrinol Metab 2002;87:1814-1818.
Tallini G, et al. Downregulation of p27Kip1 and Ki-67/Mib1 labeling index support the classification of thyroid carcinoma into prognostically
relevant categories. Am J Surg Pathol 1999; 23(6):678-685.
Papillary thiroid carcinoma, tall cell variant,
in children. Report of three cases
P. Collini, M. Massimino*, S. Fagundes Leite, F. Mattavelli**, E. Seregni***, F. Fossati-Bellani*, J. Rosai
* From the Units of Anatomic Pathology, Paediatrics; **
Maxillo-facial Surgery; *** Nuclear Medicine, Istituto Nazionale Tumori, Milan
Introduction
Papillary carcinomas (PCs) represent about 90% of thyroid
carcinomas occurring in children up to 18 years of age, near
all being well-differentiated forms. The occurrence of poorly
differentiated forms, such as the tall cell variant, is exceptional. Poorly differentiated PCs represent about 20% of PCs in
adults, being correlated with age above 40 years and extrathyroid tumour extension respect to well-differentiated
forms 1. They feature high-risk carcinomas, with a 5-fold risk
of relapse and a 20-fold relapse-related risk of death respect
to well-differentiated PCs 1. We report three cases of PCs of
the tall cell variant occurred in children.
Methods
Out of 42 consecutive cases of PCs in patients up to 18 years
of age cured at our institution from 1975 up to 2002, and with
representative histological material, we found three cases of
PCs of the tall cell variant. Complete clinical data at onset
and during follow-up were available in all cases. Follow-up
was carried on up to May 2004.
Results
See Table I.
Conclusions
PCs of the tall cell variant confirmed to be very rare in children, representing only the 7% of cases of PCs. They occurred only in females and never in the earliest ages. They were
COMUNICAZIONI LIBERE
380
Tab. I.
Case Sex
Age
1
2
3
13
15
15
F
F
F
Site
Right lobe
Isthmus
Left lobe
Surgery
Size
(cm)
ht
tt
ht
2
3.5
2.8
Extrathyroid Nodal
Distant
Events Survival
extension metastases metastases
during (months)
at onset
follow-up
at onset
locally invasive tumours, showing extrathyroid extension,
but without nodal or distant metastases at onset. At variance
with adult cases, their outcome was unremarkable after a median follow-up of about 19 years. Notably, 2 out of 3 cases
were treated conservatively, without performing a total thyroidectomy. These facts once more confirm the assumption
of B. Cady that paediatric thyroid carcinomas are different
tumours and not merely the same tumours of adults occurring
at a different age 2.
Reference
1
Pilotti S, et al. Poorly differentiated forms in papillary thyroid carcinoma: distinctive entities or morphological patterns. Sem Diagn
Pathol 1995;12:249-255.
2
Cady B. Staging in thyroid carcinoma. Cancer 1998;83:844-847.
Espressione di MKP-1 nei noduli iperplastici,
adenomi e carcinomi papillari della tiroide
A. Cavaliere, E. Puxeddu*, A. Sidoni, G. Bellezza, I. Ferri, M. Scheibel, R. Colella, G. Brachelente, R. Vitali**, S.
Moretti*, F. Santeusanio*, E. Bucciarelli
*
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Divisione di Ricerche sul Cancro, Dipartimento di Medicina Interna; ** Dipartimento di Igiene, Università di Perugia
Introduzione
Diversi oncogeni coinvolti nella cancerogenesi tiroidea attivano la via di traduzione del segnale delle MAP chinasi che
inducono nel nucleo segnali di tipo proliferativo via ERK, e
di tipo apoptotico via p38MAP chinasi e JNK. La fosfatasi a
doppia specificità MKP-1 è indotta da diversi oncogeni e
sembra inibire tutte e 3 le vie MAP chinasiche sopradette. Il
suo ruolo nella regolazione della proliferazione cellulare e
dell’apoptosi è ancora controverso. Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare l’espressione di MKP-1 nei carcinomi papillari (CP), negli adenomi (A) e nei noduli iperplastici (NI) al fine di porre le basi per comprenderne un
eventuale ruolo patogenetico.
Materiali e metodi
Sono stati studiati 13 NI, 11 A e 11 CP con l’anticorpo policlonale di coniglio anti MKP-1. I preparati sono stati valutati con un doppio sistema tenendo conto della sola intensità
della immunocolorazione oppure tenendo conto della intensità e del numero di cellule positive. L’analisi statistica è stata effettuata con il test esatto di Fisher.
Risultati
I dati ottenuti evidenziano un aumento della espressione di
MKP-1 passando dai NI, all’A, al CP. I risultati sono statisticamente significativi tra NI e CP quando si tiene conto della
+
–
+
–
–
–
–
–
–
–
–
–
227
167
271
State
A&W
A&W
A&W
intensità e del numero di cellule positive, tra NI e CP e tra A
e CP quando si tiene conto della sola intensità.
Conclusioni
Questi dati indicano per la prima volta che l’espressione di
MKP-1 aumenta progressivamente passando dai NI, agli A, ai
CP. Dati preliminari da noi ottenuti mediante RT-PCR documentano una riduzione dell’espressione dell’RNAm di MKP1 suggerendo che l’aumento dell’espressione di MKP-1 nel CP
non sia determinato da un incremento della trascrizione genica, ma da meccanismi post trascrizionali quali, ad esempio,
una riduzione della degradazione attraverso la via della ubiquitinazione. È possibile ipotizzare che MKP-1 contribuisca
ad inibire i segnali delle vie MAP chinasiche dello stress che,
convergendo su p38MAPK e JNK, stimolano l’apoptosi. Per
verificare la possibilità che MKP-1 rappresenti un intermediario del processo di trasformazione neoplastica verrà valutato lo
stato di fosforilazione dei suoi target molecolari.
Multidrug resistance protein 2 (MRP2) nei
carcinomi midollari della tiroide
M. Trovato1, S. Sciacchitano2-3, G. Barresi1, F. Trimarchi4, S. Benvenga4, R.M. Ruggeri4
1
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina;
2
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ospedale S. Andrea,
Università di Roma “La Sapienza”; 3 Centro di Ricerca
Ospedale S. Pietro Fatebenefratelli, AfaR, Roma; 4 Sezione di
Endocrinologia, Dipartimento Clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina
Introduzione
Le multidrug-resistance proteins (MRPs) sono una famiglia
di proteine di membrana, costituita da sette membri, che agiscono da pompa ATP-dipendente, in grado di trasportare all’esterno della cellula molecole farmacologicamente attive. A
seconda dell’organo dove insorge la neoplasia, l’espressione
di uno o più MRPs induce resistenza alla terapia antiblastica
riducendo o impedendo l’azione degli agenti chemioterapici.
Nelle neoplasie tiroidee è stata valutata solo l’espressione di
MRP-1 che è stata individuata nei carcinomi anaplastici (CA)
e midollari (CM), le due forme neoplastiche maligne tiroidee
che mostrano limitata o nessuna risposta agli agenti chemioterapici. Volendo estendere la nostra conoscenza sulle MRPs
nell’ambito dei tumori tiroidei chemioresistenti, abbiamo valutato l’espressione di MRP-2.
Metodi
Sono stati esaminati, con metodiche di immunoistochimica,
12 CM di cui 2 con corrispettive metastasi linfonodali, 4 CA,
10 noduli di gozzo colloideo e 6 tiroidi normali prelevati in
PATOLOGIA DELLA TESTA E DEL COLLO
corso di autopsia. Dei 26 noduli è stato studiato anche il tessuto adiacente non-nodulare (normale).
Risultati
9/12 (75%) dei CM erano reattivi all’MRP-2. L’immunocolorazione era localizzata sulla membrana citoplasmatica, in
sede apicale, e mostrava un’intensità compresa tra moderata
e forte. Entrambe le metastasi erano reattive all’MRP-2 e con
un’intensità dell’immunocolorazione compresa tra moderata
e forte simile ai corrispondenti CM primitivi. Nei CM la proporzione di cellule immunocolorate per MRP-2 era compresa tra il 10% ed il 40% (media 25%) mentre nelle metastasi
questa era compresa tra il 30% ed il 65% (media 47%). Non
è stata riscontrata alcuna reattività per MRP2 in tutti i casi di
CA, noduli di gozzo colloideo e tiroide normale.
Conclusioni
L’espressione di MRP-2 nei CM contribuisce a spiegare il
basso indice di risposta chemioterapia di questa forma carcinomatosa indicando che la farmaco-resistenza correlata all’espressione di MRP-2 non è associata alle forme di CA.
Carcinoma mucoepidermoide sclerosante
con eosinofilia e “nidi cellulari solidi” della
tiroide. Studio immunoistochimico
S. Damiani*, M. Moroni**, A. Giannico**, A. Cavazza***,
S. Tozzini**, F. Fedeli**
*
Sezione di Anatomia Patologica “M. Malpighi”, Università di Bologna, Ospedale Bellaria; ** Servizio di Anatomia
Patologica AUSL n. 5 “Spezzino”, La Spezia; *** Servizio di
Anatomia Patologica, Ospedale S. Maria Nuova, Reggio
Emilia
Il carcinoma mucoepidermoide sclerosante con eosinofilia
(CMSE) della tiroide è una neoplasia rara, la cui origine è
tuttora dibattuta. La presenza di una differenziazione squamosa in questo tumore, ha fatto avanzare l’ipotesi di un’origine dai cosiddetti “nidi cellulari solidi” (NCS), piccoli
aggregati cellulari con aspetti squamoidi e, talora cistici,
che sono ritenuti essere residui del corpo ultimobrachiale.
Allo scopo di acquisire nuove informazioni sul CMSE e
sulla sua eventuale correlazione con i NCS, abbiamo studiato 2 casi di CMSE e ne abbiamo confrontato morfologia
e immunofenotipo con una serie di 14 NCS tiroidei. Tra
questi, 8 presentavano aspetti cistici più o meno marcati con
evidenza di mucosecrezione, prevalentemente di tipo neutro
(PAS positiva). Tutti i casi sono stati testati con anticorpi
anti TTF1, anti-p63, anti citocheratina 19 e anti-MUC 2,
5,6. Inoltre con gli stessi anticorpi sono stati testati anche 2
CMSE.
Nella nostra serie, i due casi di CMSE hanno mostrato un immunofenotipo simile, anche se non identico, ai NCS. Infatti
entrambi i CMSE e tutti i NCS sono risultati positivi con p63
e citocheratina 19. Il TTF1 è risultato focalmente positivo
nella componente ghiandolare dei CMSE e negativo in quella squamoide, mentre nei NCS lo stesso anticorpo ha decorato in 3 casi rare cellule della componente cistica-ghiandolare. Anche con gli anticorpi anti-MUC i risultati sono stati simili: il secreto della componente cistica e rare cellule in 6 casi di NCS sono risultati positivi con anti-MUC 6, così come
nei due casi di CME, mentre MUC 2 e 5 sono risultati negativi in tutti i casi. Anche se sarà necessario confermare i dati
con lo studio di un numero maggiore di CMSE, i nostri risultati sembrano supportare l’ipotesi di un’origine comune per
questo tumore e i NCS tiroidei.
381
The dark side of Hashimoto’s thyroiditis:
presence of thyroid cancer precursor lesions
in a specific subset of chronic autoimmune
thyroid conditions
A. Gasbarri1, S. Sciacchitano3, A. Marasco1, M. Papotti4,
A. Di Napoli1, A. Marzullo1, P. Yushkov5, L. Ruco1, A.
Bartolazzi1 2
1
Department of Pathology St. Andrea Hospital and University La Sapienza, Rome, Italy; 2 Department of OncologyPathology, Cellular and Molecular Tumor Pathology Karolinska Hospital, Stockholm, Sweden; 3 Department of Endocrinology, University La Sapienza and St. Peter Hospital
(AfaR), Rome, Italy; 4 Department of Biomedical Sciences
and Human Oncology, University of Turin and St. Luigi Hospital, Turin, Italy; 5 Department of Pathomorphology, Head
Research Center for Endocrinology, Moscow, Russia
Introduction
Hashimoto’s thyroiditis (HT) represents the most common
cause of hypothyroidism and nonendemic goiter. Since 1912
many clinical and experimental studies aimed to clarify the
pathophysiology of HT have been done, but there is not consensus about the origin of this disease, yet. The clinical and
pathological heterogeneity of HT opens the question if it
should be more properly considered as a spectrum of different
thyroid conditions rather than as a single nosological entity.
Methods
In this study we analyzed 133 cases of HTs for the expression
of galectin-3, a well known lectin molecule involved in thyrocyte transformation, by using an immunophenotypical assay.
Loss of heterozygosity (LOH) in a specific chromosomal region, previously reported to be involved in thyroid cancer, has
been also analyzed by using laser capture microdissection.
Results
An unexpected expression of galectin-3 was detected in a
subset of HTs, together with the expression of other molecules (HBME-1, c-met and cyclin-D1) also involved in malignant transformation and cell cycle control. Furthermore, a
loss of allelic heterozygosity (LOH) in a specific chromosomal region related to thyroid cancer has been demonstrated in
a fraction of galectin-3 positive HTs suggesting the presence
of thyroid cancer precursors.
Conclusions
Our findings, together with the clinical and pathophysiological heterogeneity of HT, provide a well-substantiated demonstration that this disease includes a spectrum of different thyroid conditions ranging from chronic autoimmune thyroiditis
to thyroiditis triggered by specific immune-response to cancer-related antigens.
Supported by Compagnia di San Paolo, Torino and A.I.R.C.
Detection of Foetal Microchimerism in
Thyroid Disease
B. Bernasconi, S. Uccella, L. Bartalena, F.M. Procopio,
R. Accolla, C. Capella, F. Sessa
Departments of Pathology, Endocrinology and Immunology,
University of Insubria, Varese
Background
The migration of foetal cells into maternal blood during
pregnancy is a well documented fact, and their long term
COMUNICAZIONI LIBERE
382
persistence for decades has also been demonstrated. Women
are disproportionately affected by autoimmune diseases,
both systemic – e.g., multiple sclerosis, systemic lupus erythematosus, rheumatoid arthritis – and of single organs,
such as liver and thyroid. Foetal cells have been found in
the skin lesions of systemic sclerosis patients and also polymorphic eruption of pregnancy has been reported to be associated with foetal microchimerism. Autoimmune diseases
of the thyroid occur in 8-10% of women in the postpartum
period and may be transient or become chronic. The role of
foetal microchimerism in the pathogenesis of Hashimoto’s
thyroiditis and Graves disease has been investigated in a
small number of reports.
Aim
This study was aimed to assess the presence of foetal microchimerism in thyroid tissue affected by autoimmune diseases by performing fluorescence in situ hybridisation
(FISH) analysis on paraffin-embedded tissue sections. This
technique is an efficient method to detect the presence of
male nuclei in female tissue.
Materials and methods
The files of the Department of Pathology of the University
of Insubria were scanned to find all cases of Graves’ disease
(GD) and Hashimoto’s autoimmune thyroiditis (HAT). We
selected 15 cases of GD and 4 cases of HAT. Medical
records including pregnancy histories, information about
abortions and blood transfusions were reviewed for each
patient. Negative controls were obtained from female under
5 years who underwent tonsillectomy. All cases were previously scanned with a nested PCR for SRY gene. FISH
analysis was performed with alpha-satellite probes specific
for X and Y chromosomes. Interphasic FISH was done according to the protocol reported by Chin et al. (2003) with
modifications to improve the efficiency and the quality of
signals in order to restrict artefacts of interphasic FISH on
paraffin-embebbed tissues (Chin et al., 2003). Two or three
slides for each patient were scanned to detect the presence
of male cells (XY) among maternal cells (XX).
Results
Twelve of the 19 cases resulted positive at nested PCR,
whereas all controls were negative. FISH analysis detected
cells with both an X and a Y chromosome signals in all cases positive with nested PCR. Microscopically, these cells
were seen as individual XY elements scattered among XX
cells of thyroid tissue (1-14 per slide). Male cells were randomly distributed within the thyroid follicles, and were not
concentrated within areas of lymphocytic infiltrates, suggesting that they are fully differentiated male thyroid cells.
Conclusions
The thyroid of parous women affected by autoimmune disease
contains male foetal cells, which are located in the thyroid follicles. FISH analysis is a useful tool to study microchimeric
cells. This approach allows to observe the topographic relation
between maternal and foetal cells within the specimen and to
quantify the number of the latter. Further investigation are required to better characterize these male cells.
Two rare histological entities in the same
thyroid gland: case report
G. Pennelli*, C. Mian**, N. Pennelli*, N. Pavan***, M.R.
Pelizzo***, F. Mantero**, M.E. Girelli**, M. Rugge*
*
Department of Oncology and Surgical Sciences, University
of Padova; ** Endocrinology Unit, Department of Medical
and Surgical Sciences, University of Padova; *** 3rd Department of Surgery, University of Padova Medical School
A 63-year-old woman was admitted to the hospital for a large
soft swelling mass in the inferior part of the neck, associated
with mild dyspnea. Physical examination revealed an enlarged right thyroid lobe. Laboratory findings disclosed suppressed thyrotropin levels with triiodothyronine and thyroxine
within normal ranges. Ultrasonography showed multiple, partially confluent nodes within the right lobe, coexisting with
isthmic hypoechoic node (10 mm). An additional lesion, 70
mm in diameter, was detected apart of the thyroid gland, featuring a sonographic pattern of lipoma. A subtotal thyroidectomy were performed together with the excision of the “lipomatous” nodule. The last one measured 70x55x35 mm and
consisted of a yellowish tissue demarcated by fibrous capsule.
Histologically, it consisted of mature fat cells coexisting with
sparse thyroid follicular structures. The thyroid origin of epithelial cells was established by TTF1 and Tg immunostaining. A diagnosis of adenolipoma was performed. The isthmic
node (9 mm in diameter) was encapsulated and displayed a
diffuse macrofollicular growth pattern. The follicles were
lined by large, cuboidal cells with clear nuclei with grooves
and pseudo-inclusions. Neoplastic cells showed positive immunoreactions for TTF1, cytocheratin 19 and galectin-3; no
immunostaining for p53 was detected. The final diagnosis
was of papillary carcinoma, macrofollicular variant.
Both, macrofollicular variant of papillary carcinoma and adenolipoma are extremely rare neoplasms. To our knowledge,
this is the first report that describes the simultaneous presence of these two rare entities in the same thyroid gland.
PATHOLOGICA 2004;96:383-392
Patologia uro-genitale
L’S100A1 distingue l’oncocitoma dal
carcinoma cromofobo del rene
M. Brunelli*, P. Cossu Rocca**, M. Pea*, M. Chilosi*, A.
Eccher*, E. Bragantini*, F. Menestrina*, F. Bonetti*, G.
Martignoni**
* Anatomia Patologica, Università di Verona; ** Università di
Sassari
Introduzione
L’S100A1 è una proteina legante il calcio di 11 kD che è stata recentemente rilevata con metodica RT-PCR nei carcinomi
renali, ma non nel parenchima renale normale. Pochi dati sono noti riguardo l’immunoespressione di questa proteina nelle neoplasie a cellule renali.
Metodi
Abbiamo studiato 112 neoplasie epiteliali del rene comprendenti 35 oncocitomi, 38 carcinomi cromofobi, 10 carcinomi
papillari e 30 carcinomi a cellule chiare e il parenchima renale adiacente ad esse per valutare l’utilità di questo marcatore nella diagnosi differenziale di queste neoplasie.
Risultati
Tutti gli oncocitomi fuorché due sono risultati positivi per
S100A1 (94%), mentre tutti i carcinomi cromofobi sono risultati negativi. S100A1 era espressa anche in 17 dei 30 carcinomi a cellule chiare (57%) e in 6 dei 10 carcinomi papillari valutati (60%). La proteina S100A1 era presente nei tubuli del parenchima renale circostante alla neoplasia in tutti i
casi.
Conclusioni
1) La proteina S100A1 è utile nella diagnosi differenziale tra
oncocitoma e carcinoma cromofobo del rene; 2) S100A1 è
presente nei tubuli renali normali; 3) l’espressione di S100A1
nei carcinomi a cellule chiare e papillari amplia le informazioni riguardo all’immunofenotipo delle neoplasie a cellule
renali.
Rigetto acuto di rene in soggetto con
sindrome di Nail-Patella
G. Coletti**, A. Famulari*, M. De Vito, G. Iaria*, F. Pisani*, G. Calvisi**, F. Papola**, P. Leocata
Dipartimento di Medicina Sperimentale; * Dipartimento di
Discipline Chirurgiche, Università de L’Aquila; ** ASL L’Aquila
Introduzione
La sindrome di Nail-Patella, a trasmissione autosomica dominante a penetranza variabile, localizzata sul gene LMX1B
del cromosoma 9, è caratterizzata da distrofia ungueale, ipoplasia o assenza della rotula, dislocazione della testa del radio e protuberanze ossee dell’ileo 1.
Frequentemente si associa ad insufficienza renale che solo
raramente evolve in insufficienza renale cronica; in questi casi, solitamente, il trapianto renale si mostra risolutivo.
Metodi
Alla nostra osservazione è giunta una paziente di 26 anni con
sindrome di Nail-Patella, in dialisi per insufficienza renale
cronica dal 2002 a seguito di glomerulosclerosi segmentale,
sottoposta a trapianto di rene da donatore cadavere con ottima compatibilità (3 mis-match), cross-match negativo. La
paziente è sottoposta a terapia immunosoppressiva con anticorpi monoclonali chimerizzati anti CD-25 e metilprednisolone somministrati per via endovenosa dal giorno zero. Il decorso postoperatorio è regolare, con diuresi abbondante; l’eco-colordoppler del rene trapiantato mostra un indice di perfusione pari a 0,7. In prima giornata, la paziente inizia terapia antirigetto con tacrolimus 1,5mgx2/die ed MMF 2g/die.
In seconda giornata si assiste ad una contrazione della diuresi, con ecocolordoppler normale, e si inizia una terapia antirigetto acuto con steroidi. In sesta giornata si procede all’espianto dell’organo trapiantato, per rottura dello stesso. All’esame macroscopico il rene misura cm 11x8x6,5; è di
aspetto emorragico con ampio ematoma sottocapsulare. È
presente trombosi della vena renale. Il campione viene incluso in paraffina e colorato con ematossilina-eosina.
Risultati
L’esame istologico evidenzia la presenza di necrosi ischemiche emorragiche confluenti multifocali della zona esterna
della corticale e rigetto acuto immunomediato di tipo IIB secondo la Banff classification.
Conclusioni
Nel caso in esame il rigetto acuto si è verificato, nonostante
un’ottima compatibilità tra ricevente e donatore ed un’efficace terapia immunosoppressiva, insolitamente già in seconda
giornata; la drammaticità e velocità del rigetto sono concomitantemente legate alla massiva trombosi venosa intraparenchimale.
Bibliografia
1
Beth CPT, et al. Nail-patella syndrome. J Am Acad Dermatol
2003;49:1086-1087.
Neoplasie a cellule renali ossifile del rene:
profilo immunoistochimico
P. Cossu Rocca*, F. Riccio*, V. Marras*, M. Brunelli**, L.
Bosincu*, G. Martignoni*
*
Anatomia Patologica, Università di Sassari; ** Università
di Verona
Introduzione
La distinzione tra oncocitoma e carcinoma cromofobo del rene è una delle più difficoltose diagnosi differenziali tra le diverse neoplasie a cellule renali. Per tale motivo numerosi
marcatori istochimici ed immunoistochimici sono stati proposti come validi mezzi da utilizzare in questo ambito.
Metodi
Abbiamo analizzato 14 neoplasie con citoplasma ossifilo e
granulare morfologicamente, con la colorazione istochimica
Ferro colloidale e con metodica immunoistochimica utilizzando un pannello di anticorpi comprendente parvalbumina
(Pv), CD10, citokeratina 7 (CK7), vimentina ed S100A1.
Risultati
Sul piano morfologico, avvalendoci della colorazione Ferro
colloidale, ne abbiamo classificato 6 come carcinomi cromofobi, 6 come oncocitomi e 2 come inclassificabili. L’analisi immunoistochimica dei primi ha evidenziato che 6/6
esprimevano Pv e CK7 (100%), 4/6 CD10 (67%) e 1/6
COMUNICAZIONI LIBERE
384
S100A1 (17%). Gli oncocitomi sono risultati positivi per Pv
nel 33% dei casi (2/6), CD10 nell’80% dei casi (80%),
S100A1 in tutti i casi e CK7 in nessuno. Le neoplasie ossifile inclassificabili sono risultate l’una positiva a tutti i marcatori, l’altra solo a CD10 ed S100A1. Tutti i tumori erano negativi per vimentina.
Conclusioni
1) Il pannello immunoistochimico Pv, CD10, CK7, vimentina ed S100A1 è utile nella diagnosi differenziale delle neoplasie renali a citoplasma ossifilo e granulare; esso è risultato confermare le diagnosi morfologiche, con l’ausilio del
Ferro colloidale in 13 casi su 14. 2) il carcinoma cromofobo
esprime un pattern PV+, CD10±, CK7+, vimentina -,
S100A1- mentre l’oncocitoma risulta PV±, CD10±, CK7 -,vimentina - S100A1+; 3) i tumori inclassificabili su base
morfologica e istochimica sono rimasti tali anche dopo esame immunoistochimico suggerendo l’esistenza di altre categorie tra le neoplasie ossifile del rene.
li appare invece assimilabile a quella dei reni fetali nelle fasi
più precoci di sviluppo ed in particolare per l’espressione di
un gruppo di geni lombosacrali sul locus HOX D. La distribuzione dei geni HOX su tessuto riflette quella molecolare
evidenziando una maggiore concentrazione nel compartimento epiteliale tubulare. Sembrerebbe, pertanto, che nel
corso della trasformazione neoplastica a carico del rene si
realizzi una dedifferenziazione delle cellule renali con ripristino di programmi genici associati all’embriogenesi dell’organo.
Classificazione TNM 2002 del carcinoma
renale: valore prognostico del contenuto di
DNA, della fase S e dell’espressione di Ki-67
(MIB-1 score) nei tumori renali convenzionali
a cellule chiare intracapsulari (pT1a-pT1b-pT2)
C. Di Cristofano, A. Minervini*, A. Cavazzana, P. Collecchi, R. Minervini*, C. Selli*, G. Bevilacqua
Espressione del circuito dei geni HOX
nell’organogenesi e nella trasformazione
neoplastica renali
M. D’Armiento*, M. Cantile**, F.S. Zeppetella del Sesto*,
G. Schiavo**, L. Cindolo**, A. Iacono*, L. Nugnes*, R.
Vecchione*, C. Cillo**
* Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Anatomia Patologica; ** Dipartimento di Medicina e
Clinica Sperimentale, Università di Napoli “Federico II”
Introduzione
I complessi programmi di sviluppo del rene sono legati all’espressione di combinazioni di geni che codificano per fattori
di trascrizione, fattori di crescita e loro recettori, e molecole
morforegolatrici, la cui disregolazione è associata alle patologie renali. Tra i fattori di trascrizione ruolo fondamentale e
speciale è svolto dalla famiglia dei geni comprendenti omeobox (HOX).Durante la nefrogenesi i geni HOX sono implicati in più fasi dello sviluppo renale, dagli eventi precoci nel
mesoderma intermedio alla differenziazione terminale dell’epitelio glomerulare e tubulare in quanto regolatori dell’espressione di morfogeni renali. Recentemente è stato dimostrato che il topo triplo knock-out per i geni HOX lombo-sacrali (gruppo paralogo11:HOX A11,C11 e D11) presenta agenesia renale bilaterale. Tali osservazioni riguardano esclusivamente le fasi precoci di sviluppo e differenziazione del rene, nulla è descritto circa le fasi più avanzate di sviluppo.
Poiché i geni i geni HOX svolgono un ruolo importante nel
controllo dell’identità fenotipica cellulare, l’obiettivo di questo studio è: 1) analizzare l’espressione dell’intero circuito
(39 geni) HOX in campioni di a) tessuto renale fetale a diverse settimane di sviluppo (da 15 a 40) e dell’adulto per stabilire un collegamento tra l’espressione di questi geni, la crescita dell’organo e la sua acquisizione di funzione b) neoplasie renali per comprendere il ruolo svolto da questi geni nella trasformazione neoplastica renale 2) studiare l’espressione
immunofenotipica dei geni HOX nelle varie strutture renali
negli stessi campioni usati per l’analisi molecolare.
Risultati
I patterns di espressione dei geni del circuito HOX nei reni
fetali sembrano sovrapponibili fino alla 22a settimana di sviluppo, nelle successive settimane alcuni geni modificano la
loro espressione assumendo il pattern di espressione del rene
adulto. L’espressione del circuito HOX nelle neoplasie rena-
*
Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda
Ospedaliera Pisana; * Divisione di Urologia, Università di
Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana
Introduzione
Il carcinoma renale convenzionale a cellule chiare (RCC)
nella sua presentazione intracapsulare (pT1-pT2) rappresenta la varietà più comune di carcinoma renale (CR). Sebbene
tale forma presenti una prognosi più favorevole rispetto alle
forme più avanzate, le categorie T1 e T2 della classificazione TNM 1997 non consentivano un’efficace stratificazione
prognostica. La nuova classificazione TNM 2002 ha suddiviso la categoria pT1 (≤ 7 cm) in due sottogruppi pT1a (fino a
4 cm) e pT1b (da 4 a 7 cm) lasciando inalterata la categoria
pT2. Dati a validazione del nuovo schema classificativo sono tuttora insufficienti.
Scopo
Valutare l’impatto prognostico della nuova classificazione
delle forme localizzate di RCC in rapporto ai seguenti parametri: grading istologico secondo Fuhrman (GI), contenuto
in DNA (DI), frazione proliferante di fase S (SPF) e indice
proliferativo (IP) (Mib-1).
Materiale e metodi
136 casi di RCC intracapsulare, con follow-up medio di 74
mesi, sono stati riclassificati e sottoposti ad analisi citofluorimetrica a flusso ed immunoistochimica con l’Ab Mib-1.
Risultati
La sopravvivenza tumore-specifica (STS) dell’intero gruppo
di RCC risultò di 83,8% e 79,9% a 5 and 8 anni rispettivamente. 1) TNM 2002: 57 pazienti furono ristadiati pT1a, 61
pT1b e 18 pT2. La STS fu di 92%, 81,1% e 40,1% rispettivamente per le suddette categorie (p < 0,05). 2) GI: G1-2 (80
casi); G3 (45 casi); G4 (11 casi). La STS risultò per G1-2
88,3%, per G3 75,6% e per G4 33,2% (p < 0,05). 3) DI: la
STS per i casi diploidi e quelli aneuploidi risultò dell’87% e
49,1%, rispettivamente (p = 0,0001); in particolare a) la STS
per pT1a: 95,2% e 68,6% diploidi vs aneuploidi (p <0,0088),
b) pT1b: 90% e 49.2% (p < 0,0001), c) pT2: 49,2% e 25% (p
= ns). Inoltre la DI si dimostrò una variabile indipendente di
prognosi rispetto al GI e al pT. 4) La SPF e IP non si associarono significativamente con la STS.
Conclusioni
I risultati ottenuti appaiono validare la suddivisione in pT1a,
pT1b e pT2 delle forme di RCC intracapsulare proposta dal
PATOLOGIA URO-GENITALE
TNM 2002. Inoltre all’interno delle categorie pT1a e pT1b la
determinazione del DI permette una ulteriore stratificazione
dei pazienti a rischio di progressione di malattia.
Tumore misto epiteliale e stromale del rene:
descrizione di un caso
L.R. Girardi, F. Garbini, M.R. Raspollini, A. Valeri*, G.
Nesi, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze; * Divisione di Chirurgia Generale, Policlinico di
Careggi, Firenze
Il tumore misto epiteliale e stromale (MEST) del rene è una
neoplasia benigna caratterizzata istologicamente dalla commistione di una componente epiteliale e stromale. Per la
morfologia mista e l’aspetto solido-cistico, in letteratura sono stati proposti nomi addizionali quali amartoma cistico della pelvi renale e nefroma mesoblastico di tipo adulto.
Caso clinico
Descriviamo il caso di una donna di 62 anni, sottoposta a nefrectomia radicale sinistra per neoplasia parailare, ben circoscritta, in parte cistica, del diametro di cm 3,5. Il tumore non
infiltrava l’uretere, i vasi renali e gli stromi perirenali e non
coinvolgeva i linfonodi locoregionali. All’esame istologico la
neoplasia si presentava bifasica con una componente epiteliale, composta da dotti cisticamente dilatati e da duttuli, e
una componente mesenchimale, costituita da cellule fusate
con disposizione storiforme, inframezzate a complessi ghiandolari o singole ghiandole, nel contesto di uno stroma cellulato simil-ovarico. Sulla base dei reperti clinici, istologici e
immunoistochimici (positività per citocheratine, actine, desmina, vimentina e recettori estro-progestinici, negatività per
HMB45, CD34 e proteina S-100) è stata posta diagnosi di tumore misto epiteliale e stromale del rene.
Conclusioni
La quasi esclusiva incidenza nel sesso femminile, in età perimenopausale, e gli aspetti morfologici quali uno stroma simil
ovarico, lo ascrivono ad una categoria classificativa distinta.
Il riconoscimento del MEST può evitare potenziali errori diagnostici con il carcinoma a cellule renali variante cistica e
con neoplasie a cellule fusate del rene.
Bibliografia
1
Adsay NV, Eble JN, Srigley JR, Jones EC, Grignon DJ. Mixed epithelial and stromal tumor of the kidney. Am J Surg Pathol 2000;24:958970.
2
Beiko DT, Nickel JC, Boag AH, Srigley JR. Benign mixed epithelial
stromal tumor of the kidney of possible mullerian origin. J Urol
2001;166:1381-1382.
Espressione di CD10 nel carcinoma
cromofobo del rene
G. Martignoni*, M. Pea**, M. Brunelli** , M. Chilosi**, A.
Zamò**, P. Cossu Rocca*, F. Menestrina**, F. Bonetti**
* Anatomia Patologica, Università di Sassari; ** Università
di Verona
Introduzione
La colorazione immunoistochimica per CD10 viene utilizzata nella diagnosi differenziale dei carcinomi a cellule renali,
dal momento che gli istotipi a cellule chiare e papillare sono
considerati positivi al contrario del carcinoma cromofobo che
385
è invece costantemente positivo per parvalbumina (Pv), marcatore assente nei primi due.
Metodi
Abbiamo studiato l’espressione immunoistochimica di CD10
e Pv in 75 carcinomi a cellule chiare (8 metastatici), 51 carcinomi papillari (2 metastatici), 42 carcinomi cromofobi, (7
dei quali di tipo “aggressivo”, definito come stadio locale
avanzato, pT3a e pT3b, presenza di metastasi o trasformazione sarcomatoide) e le principali caratteristiche clinicopatologiche di questi ultimi 42 tumori (sesso, età, intervento
chirurgico, follow up, diametro, lateralità, coinvolgimento
del tessuto adiposo perirenale, grado di Fuhrman, attività mitotica, necrosi, invasione della vena renale, metastasi).
Risultati
CD10 era espresso nel 100% dei carcinomi a cellule chiare, nel
63% di quelli papillari e in tutte le metastasi; inoltre 11 dei 42
(26%) carcinomi cromofobi sono risultati positivi per CD10, 5
dei quali di tipo “aggressivo” (5/7, 71%). La positività al CD10
è risultata statisticamente correlata con i casi “aggressivi” di
carcinoma cromofobo (p = 0,003) e con le mitosi (p = 0,04).
Pv era espressa fortemente in tutti i carcinomi cromofobi sia
primitivi che metastatici. Abbiamo infine verificato la presenza delle proteine CD10 e Pv con metodica Western-blot.
Conclusioni
I nostri dati dimostrano che 1) un quarto dei carcinomi cromofobi esprime CD10 e quindi un pannello immunoistochimico che includa CD10 e Pv è utile nella diagnosi differenziale dei carcinoma a cellule renali; 2) l’espressione di CD10
nei carcinomi cromofobi è correlata con la presenza di caratteri clinicopatologici di aggressività.
Carcinoma a cellule renali dei dotti collettori
del Bellini. Presentazione di tre casi
L. Reggiani Bonetti, R. Valli, P. Sighinolfi, E. Tagliavini, G.
De Aloisio, A.M. Cesinaro, M. Costantini, M. Lupi, L. Losi
Sezione di Anatomia Patologica, Università di Modena e
Reggio Emilia, Modena
Introduzione
Il carcinoma renale dei dotti del Bellini è una variante istologica inusuale del carcinoma a cellule renali del rene caratterizzato da peculiari aspetti istologici. Riportiamo 3 casi di
questa inusuale variante di tumore renale sottolineandone l’aspetto immunoistochimico.
Metodi
Da una revisione di 850 casi di carcinoma renale analizzati
presso il Servizio di Anatomia Patologica di Modena tra il
1991 ed il 2004, sono stati identificati tre casi di carcinoma a
cellule renali dei dotti del Bellini. Da un blocchetto rappresentativo del tumore sono state ottenute sezioni in paraffina
per l’analisi immunoistochimica (Benchmark, Ventana, Tucson, AZ) utilizzando i seguenti marker: CAM5.2, EMA,
CD10 e CK903.
Risultati
I pazienti (2 donne ed 1 uomo) presentavano un’età media di
62 anni. Macroscopicamente i noduli si presentavano di colore grigio-giallastro, a margini espansivi ed in sede centrale peri-ilare, mediamente di 4 cm di diametro. Istologicamente, i tumori mostravano una architettura tubulo-papillare riccamente
cellulata, con elementi talora fusati. In un caso si sono osservate ampie aree di necrosi. Due neoplasie erano di grado 2 ed
una di grado 4 secondo Fuhrman 1. All’indagine immunoistochimica tutti i tumori erano fortemente positivi per le citoche-
COMUNICAZIONI LIBERE
386
ratine a basso peso molecolare (CAM5.2) e per l’antigene epiteliale di membrana (EMA), mentre sia il CD10 che le citocheratine ad alto peso molecolare sono risultate negative.
Conclusioni
Il carcinoma a cellule renali è generalmente associato ad una
prognosi infausta legata alla possibilità di recidive sistemiche
anche molto tardive. Tra le diverse varianti, è poi importante
riconoscere l’istotipo a cellule dei dotti del Bellini per il fatto che questa neoplasia si associa ad una cattiva prognosi già
all’esordio. A differenza delle varianti più classiche che
esprimono il CD10, le citocheratine a basso peso molecolare
rappresentano un buon marker per confermare la diagnosi
morfologica di questa neoplasia piuttosto rara.
Bibliografia
1
Fuhrman SA, et. al. Am J Surg Pathol 1982;6:655-663.
Translationally controlled tumor protein
(TCTP) in the human prostate and prostate
cancer cells: expression, characterization and
effect of hormonal manipulation
M.T. del Vecchio, M. Cintorino, S. Papa, A. Carducci, R.
Romagnoli, E. Angelini, S. Liberatori, M.G. Riparbelli, P.
Tosi, F. Arcuri
Department of Human Pathology and Oncology, Section of
Pathological Anatomy, University of Siena
Introduction
The translationally controlled tumor protein (TCTP) is an
abundantly expressed protein found in a wide range of organisms from both the animal and plant kingdom. Initially described as a growth-related protein, knowledge of the biological actions of TCTP has been recently extended to include calcium binding, regulation of apoptosis, and microtubules stabilization. This report describes expression, distribution, characterization and hormonal regulation of human prostatic TCTP.
Methods
Samples were analyzed by Western blot, RT-PCR, immunohistochemistry, and confocal microscopy. Calcium binding
activity of the recombinant human prostatic protein was evaluated on a calcium overlay assay. A public SAGE database
was analyzed to determine TCTP expression levels in normal
and cancer tissues. Hormonal regulation of TCTP expression
was evaluated in vitro, using the androgen-responsive
prostate cancer cell line LNCaP.
Results
TCTP protein and mRNA were detected in all the specimens
and cell lines analyzed. The protein was mainly expressed by
the secretory luminal epithelial and basal layer cells. A significant amount of protein was present in the prostatic fluids.
Subcellular distribution studies in prostate epithelial cells detected the protein in the cytoplasm in interphase and colocalized with tubulin during mitosis. The calcium binding capacity of prostatic TCTP was shown in vitro. SAGE data indicated TCTP as the calcium binding protein with the highest
expression levels among those examined. Treatment of
LNCaP cells with the synthetic androgen R1881 resulted in a
time-dependent induction of the protein, rising up to 2.5 fold
at 96 hrs. In cells exposed to R1881 plus RU486, the antiandrogen counteracted all R1881-induced TCTP expression,
exerting no agonistic activity on its own, suggesting that the
R1881 induction of the protein is exerted specifically via androgen receptor.
Conclusions
The results of the present study demonstrate for the first time
the expression and hormonal regulation of TCTP in the human prostate and in prostate cancer cells, and indicate an involvement of the protein in several key-phases of the gland
physiopathology.
Espressione della proteina NMP22 nell’urina
di pazienti con carcinoma uroteliale
E. Dessy, A. Benetti, A. Berenzi, A. Cornacchiari, M.
Gambarotti, M. Gattamelata, A. Teppa*, D. Zani*
Anatomia Patologica;
Brescia
*
Clinica Urologica, Università di
Introduzione
La diagnosi del carcinoma della vescica con metodiche non
invasive si basa principalmente sull’utilizzo dell’esame citologico dell’ urina che, sebbene presenti un’alta specificità,
riesce a mettere in evidenza una modesta percentuale di neoplasie vescicali, con scarsi risultati nelle forme più differenziate e/o non infiltranti. Recentemente sono stati identificati
alcuni markers presenti nelle urine, specifici per il carcinoma
uroteliale. Tra questi, una proteina della matrice nucleare dell’apparato mitotico (NMP22) rilasciata dalle cellule neoplastiche uroteliali e rilevabile nell’urina.
Metodi
Abbiamo preso in considerazione 19 pazienti (13 maschi e 6
femmine) portatori di carcinomi uroteliali (18 vescicali e 1
del bacinetto renale) e 8 casi senza alcuna patologia delle vie
urinarie (controlli negativi). In tutti i casi è stato eseguito l’esame citologico dell’urina su tre campioni e la contemporanea ricerca urinaria della proteina NMP22 mediante specifico test immunocromatografico (NMP22 Bladdercheck test,
Matritech Inc, MA, USA). In tutti i pazienti portatori di carcinoma uroteliale, successivamente trattati mediante TUR, la
neoplasia è stata confermata istologicamente.
Risultati
La sensibilità globale della NMP22 è stata del 57,9% contro il
47,4% del solo esame citologico, mentre combinando i due
test, è risultata pari al 63,2%. Nelle neoplasie infiltranti (pT1pT4), la sensibilità della NMP22 è risultata sovrapponibile a
quella della citologia (70,0%). Nelle neoplasie non infiltranti
(pTa), viceversa, era del 42,9% e 14,3% rispettivamente. Nelle neoplasie a basso-medio grado la sensibilità è risultata del
28,6% e del 14,3% rispettivamente, contro l’80,0% e il 70% rispettivamente nei tumori ad alto grado (G3). Tutti i controlli
sono risultati negativi sia all’esame citologico sia alla ricerca
della NMP22 (specificità = 100% per entrambi i test).
Conclusioni
La proteina NMP22 è risultata essere un marker utile nella
diagnosi del carcinoma uroteliale, soprattutto nelle forme infiltranti e/o scarsamente differenziate e in combinazione con
il tradizionale esame citologico dell’urina su tre campioni.
PATOLOGIA URO-GENITALE
P16INK4A nel carcinoma vescicale a cellule
transizionali
L.R. Girardi, M.R. Raspollini, G. Nesi, G. Baroni, G.L.
Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze
Il danno genetico più comune nel carcinoma a cellule transizionali (CCT) è la delezione di una porzione del cromosoma
9p. Il locus 9p21 dove è stato identificato il gene oncosoppressore CDKN2A(p16INK4a)/ARF(p14ARF) è uno dei
maggiori siti di delezione 1. Il prodotto del gene, la proteina
p16INK4a, è un regolatore negativo del ciclo cellulare nel
pathway G1(p16, ciclina D, cdk, pRb) 2. In qualità di cdkI, legandosi specificatamente alla cdk4-6 inibisce l’attività fosforilante sulla pRb e impedisce il passaggio della cellula nella
fase S.
Scopo dello studio è la valutazione immunoistochimica dell’espressione di p16 nel CCT per valutare la correlazione di
questo marker con lo stadio della malattia.
Abbiamo studiato il materiale ottenuto da resezione endoscopica di 17 casi di CCT vescicale, di tipo papillare, non invasivo e di 22 casi di CCT vescicale invasivo.
Abbiamo osservato una elevata espressione di p16 in 11 casi
(28,2%). La over-espressione di p16 è correlata con lo stadio
della malattia (P = 0,026, test chi-quadrato).
L’individuazione di fattori prognostici nel CCT può consentire di individuare i pazienti con una maggiore possibilità di
progressione di malattia e di personalizzare il trattamento terapeutico al singolo paziente. La significativa associazione
della immunoreattività di p16 con lo stadio della malattia fa
ipotizzare il suo impiego per identificare i pazienti che necessitano di uno stretto follow-up o di maggiori terapie.
Bibliografia
1
Cairns P et al. Cancer Res 1994;54:1422-1424.
2
Gonzalgo ML et al. Cancer res 1998;58:1245-1252
Endosalpingiosi vescicale: descrizione di un
caso
F. Giusti*, L. Reggiani Bonetti*, C. Curatola*, C. Sighinolfi**, F. Rivasi*
*
Dipartimento Integrato Servizi Diagnostici e di Laboratorio, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Modena e
Reggio Emilia; ** Cattedra di Urologia, Università di Modena e Reggio Emilia
Le mullerianosi sono lesioni benigne originate dalla proliferazione dell’epitelio ghiandolare mulleriano e comprendono:
endometriosi, endocervicosi e endosalpingiosi. Le tre varianti di mullerianosi, spesso tra loro associate, sono state riscontrate in donne in età pre-post menopausale e sono state
raramente documentate nella vescica e nell’uretra.
Noi riportiamo un raro caso di endosalpingiosi della vescica
in una giovane donna.
Caso clinico
Donna di 30 anni che riferiva da circa un anno stranguria, disuria e dismenorrea in periodo mestruale. L’esame endoscopico vescicale evidenziava in regione posterolaterale sinistra
della vescica, un’area rilevata di cm 2,5 di diametro massimo
che coinvolgeva l’ostio ureterale di sinistra provocando idronefrosi. È stata eseguita una resezione transureterale. All’e-
387
same istologico del materiale bioptico si osservavano numerose strutture tubulari ramificate frammiste ad aree cistiche
di forma rotondeggiante o ovalare contenenti materiale eosinofilo. Tali strutture erano circondate da stroma fibroso e rivestite da epitelio mulleriano costituito da tre tipi cellulari tipici dell’epitelio tubarico: cellule ciliate, cellule intercalari e
cellule mucipare. È stata formulata la diagnosi di endosalpingiosi vescicale.
Conclusioni
Le mullerianosi vescicali sono state raramente descritte in
letteratura e si presentano generalmente come masse localizzate nello spessore della parete vescicale. La sintomatologia
è spesso assente o aspecifica (ematuria, dolore pelvico).
Alla diagnostica per immagini, la lesione ha l’aspetto di
un’area rilevata di dimensioni variabili talora accompagnata
da edema ed iperemia della mucosa vescicale.
Le varianti di mullerianosi sono spesso associate tra loro e
l’endometriosi costituisce spesso il reperto più frequente e
predominante.
La diagnosi differenziale tra le varianti di mullerianosi si basa principalmente sulle caratteristiche citologiche dell’epitelio di rivestimento delle strutture ghiandolari, sulla forma e
sull’organizzazione dei tubuli e sulle caratteristiche dello
stroma 1 2.
Le mullerianosi si pongono inoltre in diagnosi differenziale
con l’adenocarcinoma primitivo o metastatico della vescica,
con il carcinoma transizionale e nei confronti di numerose lesioni proliferative benigne della vescica come cistite ghiandolare, cistite cistica, adenoma nefrogenico 2.
Bibliografia
Borda A, et al. Ann Pathol 2004;24:18-30.
Young RH, et al. Mod Pathol 1996;9(7):731-737.
L’efficacia diagnostica del test uCYT+ nella
diagnosi e nel follow-up del carcinoma in situ
della vescica
C. Mian, M. Lodde*, E. Comploj*, S. Palermo*, M. Mian*,
K. Maier, G. Negri, E. Egarter-Vigl, E. Longhi*, A. Pycha*
Reparti di Anatomia Patologica; * Urologia, Ospedale Centrale di Bolzano
Introduzione
I test per la diagnosi precoce del carcinoma della vescica
(UC) basati sulla ricerca di markers tumorali nell’urina, non
sembrano equiparare la validità della tradizionale citologia
urinaria per quanto riguarda la diagnosi del carcinoma in situ (CIS) essendo la loro sensibilità, nel caso di un CIS, bassa. A differenza di questi, uCyt+TM sembra essere promettente anche se il numero complessivo di studi fino ad ora pubblicati comprendano un numero limitato di CIS. Fine di questo studio era di analizzare il valore del test uCyt+ nella prima diagnosi e nel follow-up del CIS della vescica.
Metodi
Trenta pazienti affetti da CIS vescicale confermato istologicamente sono stati inclusi nello studio. Al momento della prima
diagnosi ogni paziente è stato sottoposto ad esame citologico
delle urine, cistoscopia, uCyt+ (Diagnocure, Quebec, Canada)
e a biopsia della vescica. Tutti i pazienti sono stati trattati con
instillazioni intravescicali con BCG (Medac, Amburgo, Germania). I pazienti sono stati seguiti con citologia, uCyt+, cistoscopia e biopsia della vescica dopo ogni termine di un ciclo
di instillazioni con BCG ed in seguito dopo ogni 3 mesi.
COMUNICAZIONI LIBERE
388
Risultati
La sensibilità della citologia e di uCyt+ alla prima diagnosi è
stata del 100% mentre la cistoscopia ha evidenziato solo il
46,6% dei casi. Al primo controllo dopo il primo ciclo di instillazioni la citologia ha diagnosticato il 75% delle recidive
e uCyt+ l’87,5%. Al secondo controllo entrambi i test hanno
diagnosticato rispettivamente il 50% delle recidive. Combinando entrambi i test si è ottenuto ad ogni controllo una sensibilità del 100%. Per quanto riguarda la specificità della citologia dopo la terapia questa è migliorata dall’88,2% del primo controllo fino al 100% del terzo controllo. La specificità
di uCyt+ dopo BCG è diminuita inizialmente dal 70,6% al
55,5% per poi incrementare fino all’88,9%.
Conclusioni
uCyt+TM è un test con una sensibilità comparabile alla citologia per la prima diagnosi di un CIS. Nel follow-up, sebbene
la sensibilità di uCyt+ in generale diminuisca questa rimane
superiore a quella della citologia. Combinando i 2 test si raggiunge una sensibilità nel follow-up del 100%. La sensibilità
tende a diminuire nei primi tempi dopo la terapia rimanendo
comunque a valori accettabili, per poi riaumentare durante la
terapia di mantenimento. uCyt+ inoltre sembra possa assumere un ruolo nel monitoraggio della risposta alla terapia dei
pazienti affetti da CIS trattati con BCG modificandone eventualmente la schedula di somministrazione.
Carcinoma vescicale polipoide a piccole
cellule: presentazione di 4 casi
A. Salvadori*, E. Zini*, F. Zolfanelli**, L. Presenti**
*
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale S.M. Annunziata; **
U.O. Anatomia Patologica, Nuovo Ospedale S. Giovanni di
Dio, Azienda Sanitaria di Firenze
Introduzione
Il carcinoma vescicale polipoide a piccole cellule è una neoplasia rara 1, molto aggressiva, con un alto rischio di metastatizzazione a distanza, morfologicamente simile al carcinoma a piccole cellule del polmone e di altri organi.
Metodi
Da una revisione dei casi di neoplasia vescicale dal 1998 al
2004 (n = 1785) sono individuati 4 casi di carcinoma vescicale polipoide a piccole cellule.
Risultati
I pazienti sono 2 femmine e 2 maschi di età compresa tra 60
e 73 anni (età media 68).
Le lesioni apparivano macroscopicamente come neoformazioni polipoidi e istologicamente risultavano composte da
cellule piccole monomorfe, a nucleo ipercromatico e scarso
citoplasma, aggregate in isole solide. Immunoistochimicamente le cellule neoplastiche apparivano positive per NSE e
cromogranina A, negative per citocheratina AE1/AE3 2.
Conclusioni
Nella diagnosi differenziale del carcinoma vescicale a piccole cellule rivestono importanza le notizie cliniche per escludere una metastasi da un carcinoma a piccole cellule del polmone o di altri organi; esami immunoistochimici sono utili
inoltre per escludere il carcinoma anaplastico a cellule transizionali o un linfoma.
Bibliografia
1
Dalpiaz O, al Rabi N, Galfano A, et al. Small cell carcinoma of the
bladder: a case report and a literature review. Arch Esp Urol
2003;56:197-202.
2
Iczkowski KA, Shanks JH, Allsbrook WC, et al. Small cell carcinoma of urinary bladder is differentiated from urothelial carcinoma by
chromogranin expression, absence of CD44 variant 6, a unique pattern of the citokeratin expression, and more intense gamma-enolase
expression. Histopathology 1999;35:150-156.
Caratteristiche molecolari del carcinoma
giovanile dell’urotelio
G. Sartori, N. Bigiani, S. Nerbano, S. Bettelli, L. Garagnani, G. Rossi, M. Migaldi, G.P. Trentini
Dipartimento integrato servizi diagnostici e di laboratorio e
di medicina legale, sezione di anatomia patologica, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena
Introduzione
Le caratteristiche molecolari dei carcinomi uroteliali insorti in
pazienti giovani sono poco conosciute, essendo questa neoplasia tipica dell’età adulta. È stato pertanto condotto uno studio
per valutare la presenza di alterazioni microsatellitari (MA) su
una casistica di 34 carcinomi giovanili dell’urotelio insorti in
pazienti di età inferiore ai 45 anni, con un’età media al momento della prima diagnosi di 38 anni (range 21-45 anni); in 21
di questi è stata valutata con FISH anche la presenza di aberrazioni numeriche dei cromosomi 3, 7, 17 e del locus 9p21.
Metodi
Dalle sezioni istologiche sono stati prelevati, mediante microdissezione, linfociti e cellule tumorali per l’analisi di 19
marcatori microsatellitari, amplificati per PCR e valutati con
il sequenziatore ABI Prism 310. Per lo studio di FISH è stato
utilizzato il test UroVysion, che permette la visualizzazione
contemporanea su sezioni di tessuto delle regioni centromeriche dei cromosomi 3, 7 e 17 e del locus specifico 9p21.
Risultati
Tutti i casi analizzati hanno presentato MA in uno o più loci fra
i quali è maggiormente alterato il microsatellite D9S171
(59%), informativo per il locus 9p21, che ha mostrato anche
una diversa frequenza di alterazione in base allo stadio tumorale: è risultato infatti alterato in 17 su 21 (81%) pTa e in 3 su
13 (23%) pT1 e questa differenza è significativa (p = 0,0014).
Dallo studio con FISH una delle alterazioni più frequenti è risultata essere la perdita di entrambi gli alleli del locus 9p21,
riscontrata in 12 dei 21 casi analizzati (57%), mentre la polisomia dei cromosomi 3, 7 e 17 è risultata del 71%, 43% e
38% rispettivamente.
Conclusioni
In accordo con il precedente lavoro di Christensen 1, l’unico
ad aver esaminato vari microsatelliti in carcinomi giovanili
della vescica, i risultati ottenuti confermano la marcata presenza di MA in queste forme tumorali, più accentuata rispetto alle corrispondenti forme adulte. L’analisi condotta con
FISH ha evidenziato la presenza di una percentuale di alterazioni più alta rispetto a quella riscontrata dal lavoro analogo
di Krüger 2, eseguito su una casistica di pazienti di età media
di 67 anni.
Entrambe le indagini hanno inoltre evidenziato il ruolo significativo delle alterazioni a carico del locus 9p21 anche nelle
forme giovanili del carcinoma della vescica, alterazioni che
svolgono probabilmente un ruolo importante nelle fasi iniziali della carcinogenesi.
Bibliografia
1
Christensen M, et al. Int J Cancer 1998;79:396-401.
2
Krüger S, et al. Int J Oncol 2003;23:41-48.
PATOLOGIA URO-GENITALE
Valutazione dell’espressione
immunoistochimica della citocheratina 5/6
βE12 nelle ghiandole
e della citocheratina 34β
prostatiche benigne
F. Tallarigo, A.V. Filardo*, F. Musico**, S. Mirone
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “San Giovanni di
Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale
“Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
Introduzione
La citocheratina 34βE12 è una citocheratina ad alto peso molecolare, descritta per la prima volta nel 1984, il cui uso nella pratica routinaria è prevalentemente utilizzato nella diagnosi differenziale tra ghiandole benigne e maligne in corso
di agobiopsia prostatica. Nonostante si tratti di un anticorpo
presente da molti anni, la sua immunoreattività, in base all’esperienza di molti autori, è soggetta a molte considerazioni
eterogenee. Recentemente è entrato in commercio l’anticorpo citocheratina 5/6, provato come marker dell’epitelio semplice, incluso quello mesoteliale, che ha mostrato immunoreattività verso le cellule basali delle ghiandole prostatiche
benigne. Scopo di questo lavoro è stato quello di confrontare
la sensibilità di questi due anticorpi verso le cellule basali
delle ghiandole benigne della prostata.
Materiali e metodi
Sono stati selezionati 40 casi relativi ad altrettante agobiopsie prostatiche. Di questi, 30 sono risultati essere adenocarcinomi (Gleason score: 6, 7, 8), mentre i rimanenti 10 sono risultati essere negativi per carcinoma. I 30 casi positivi
sono stati selezionati in modo tale che i frustoli di tessuto
prostatico contenessero, oltre alla componente maligna,
un’altrettanta componente ghiandolare benigna. Di ogni caso sono stati allestiti n. 2 vetrini per l’indagine immonoistochimica che è stata eseguita con il sistema streptavidinabiotina con sviluppo in DAB. Tutte le fette, prima della reazione, sono state sottoposte, per entrambi gli anticorpi, a recupero antigenico ad alta temperatura. In ciascun caso la
percentuale di ghiandole benigne colorate è stata valutata in
maniera semiquantitativa utilizzando la seguente scala: <
50%; 50-75%; > 75%, in riferimento alla componente
ghiandolare benigna.
Risultati
I risultati da noi ottenuti sono stati del tutto sovrapponibili,
nei confronti dei due anticorpi, sia per quanto riguarda la percentuale di ghiandole benigne positive che la disposizione
della colorazione. 25 casi hanno mostrato una positività compresa tra il 50-75%, mentre nei rimanenti 15 si è avuto una
positività > al 75% delle ghiandole benigne. In questi 15 erano compresi i 10 casi negativi per adenocarcinoma.
Discussione e conclusioni
Da alcuni lavori presenti in letteratura si evince che la
CK34βE12 esprime una positività diversa rispetto alla
CK5/6, soprattutto nei tessuti fissati in formalina, con una colorazione di tipo discontinuo a livello delle ghiandole. Questo porta a considerare la CK34βE12 come un anticorpo meno sensibile, in cui c’è una difficoltà a riconoscere l’epitopo
mascherato dalla fissazione. Per cui la sua immunoreattività
dipenderebbe molto dalla fissazione del materiale e dal tipo
di recupero antigenico che viene effettuato. Il nostro studio,
utilizzando materiale fissato in formalina e applicando lo
stesso tipo di recupero antigenico per entrambi gli anticorpi,
non ha mostrato nessuna di differenza tra i due. Pertanto possiamo concludere che la CK34βE12, relativamente alla nostra limitata casistica, rimane l’anticorpo di elezione nella
389
diagnosi differenziale tra ghiandole benigne e maligne in corso di diagnostica routinaria di agobiopsia prostatica.
Adenocarcinoma acinare della prostata:
concordanza tra Gleason bioptico e Gleason
definitivo in 53 pazienti sottoposti a
prostatectomia radicale retropubica
D. Dalfior, G. Martignoni, M. Pea, A. Parisi, V. Ficarra,
A. Galfano, G. Novella, F. Menestrina
Anatomia Patologica, Università di Verona e Sassari; Clinica Urologica, Università di Verona
Introduzione
L’obiettivo dello studio è stato di verificare il grado di concordanza tra il Gleason ( primario, secondario e corrispondente score), assegnato su biopsie prostatiche transperineali e
su pezzo operatorio da prostatectomia radicale retropubica.
Metodi
Abbiamo studiato in maniera prospettica 53 pazienti con età
mediana di 66 anni (range 54-74) sottoposti a prostatectomia
radicale retropubica nel 2003. In tutti i casi la diagnosi di
adenocarcinoma è stata formulata su biopsie transperineali
(14 prelievi: doppio set di “sestanti” e due prelievi in zona di
transizione). Tutti i pezzi operatori sono stati campionati in
accordo con il protocollo di Stanford. Per la valutazione statistica della concordanza tra Gleason bioptico e definitivo abbiamo applicato il test k (Kappa). Il grado di concordanza è
stato definito “scarso” per valori di k compresi tra 0,00 e
0,20; “moderato” tra 0,21 e 0,45; “sostanziale” tra 0,46-0,75
e “quasi perfetto” tra 0,76 e 0,99.
Risultati
Per quanto riguarda il Gleason primario, la corrispondenza tra
biopsie e pezzo operatorio è risultata pari al 92,3% per il grado 3, all’87,5% per il grado 4 ed al 100% per il grado 5. Il valore di k è risultato pari a 0,77. Per quanto riguarda il Gleason
secondario, la corrispondenza è risultata pari al 66,7% per il
grado 3, al 75% per il grado 4 ed al 100% per il grado 5. Il valore di k è risultato pari a 0,42. Per quanto riguarda il Gleason
score, la concordanza è risultata pari al 66,7% per lo score di
6; al 77,8% per lo score di 7; al 40% per lo score di 8 ed al
100% per lo score di 9 e 10. Il valore di k è risultato pari a 0,47.
Conclusioni
La concordanza tra il Gleason score assegnato sulle biopsie e
quello del pezzo operatorio è risultata “sostanziale”. Questo
risultato è condizionato favorevolmente da una concordanza
“quasi perfetta” tra i pattern primari ma negativamente dalla
concordanza “moderata” tra i pattern secondari.
Tumore stromale prostatico: descrizione
di un caso
G. Di Marco, M. Stella, F. Aragona*, G. Vaccarella**, G.
Contino**, T. Mannone, F. Guddo, M.R. Rizzuto, F. Raiata, A.G. Rizzo
Laboratorio di Anatomia Patologica A.O. “V. Cervello”, Palermo; * Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica, Università di Palermo; ** U.O. di Urologia A.O. “V. Cervello”,
Palermo
Introduzione
Le neoplasie dello stroma specializzato prostatico sono molto rare e comprendono tumori benigni, tumori ad incerto po-
COMUNICAZIONI LIBERE
390
tenziale di malignità (STUMP) e tumori maligni.
Descriviamo un caso di neoplasia stromale prostatica, a prevalente differenziazione muscolare, che morfologicamente
inquadriamo nell’ ambito degli STUMP.
Materiali e metodi
Paziente di 75 anni che da 7 anni presentava pollachiuria,
mitto ipovalido e stranguria. Ecografia: prostata aumentata di
volume con calcolo vescicale. PSA: 0,22 ng/ml. All’intervento chirurgico viene asportato un nodulo prostatico (diametro cm 5), ben delimitato, liscio, grigiastro, fascicolato e
duro-elastico. La neoformazione, pseudocapsulata, è costituita da fasci di cellule fusate, variamente aggregate e con focale aspetto storiforme. Le cellule hanno citoplasma eosinofilo
a limiti indistinti e nucleo ovale o “a sigaro” con cromatina
finemente granulare. Rare e modeste le atipie cellulari. Rarissime le mitosi; necrosi assente. La neoplasia presenta vasi
di diverso calibro e pochi linfociti talora aggregati in pseudofollicoli. Le ghiandole prostatiche, rare e normotipiche, sono stipate alla periferia della lesione. L’immunofenotipo tumorale è il seguente: CD34+,vimentina+, desmina+, actina+,
MNF116+ (focale), recettore progesterone+, S100-, Ki67<5%.
Conclusione
I tumori dello stroma specializzato prostatico sono molto rari 1
e a diverso comportamento biologico. I criteri di malignità sono: velocità di crescita tumorale, grado di cellularità, presenza
di necrosi e numero di mitosi. Tuttavia, esistono alcune forme
per le quali il comportamento biologico non è istologicamente
prevedibile (STUMP). In questo gruppo abbiamo inquadrato il
nostro caso: neoformazione di 5 cm, con discreta cellularità, rarissime cellule con modeste atipie nucleari, mitosi scarsissime
(1x50 HPF) ed assenza di necrosi. In riferimento all’ immunoistochimica, i tumori stromali prostatici sono CD34+ (come lo
stroma del tessuto prostatico normale) e spesso coesprimono
desmina, actina e recettori per il progesterone. Nel nostro caso,
le cellule tumorali sono caratterizzate da questo stesso pattern
immunofenotipico, con l’aggiunta di positività per la MNF 116,
che abbiamo ritenuto, in qualche misura, espressione di differenziazione in senso muscolare. Poiché una certa percentuale di
STUMP possono recidivare o addirittura trasformarsi in sarcomi è necessario effettuare accurato follow-up.
Bibliografia
1
Epstein JI, et al. Prostate Biopsy Interpretation, third edition, Lippincott Williams & Wilkins 2003.
Percentuale di adenocarcinoma della
prostata individuato dopo l’esecuzione di 14
biopsie prostatiche con accesso
transperineale: analisi prospettica su 325
pazienti consecutivi
A. Parisi*, G.Martignoni**, M. Pea*, D. Dalfior*, V. Ficarra***, G. Novara***, G. Novella***, F. Menestrina*
*
Anatomia Patologica, Università di Verona e
Clinica Urologia, Università di Verona
Età
≤ 70 anni
> 70 anni
Reperto rettale
negativo
positivo
PSA totale (ng/ml)
<4
4-10
> 10
Volume prostatico (cc)
≤ 40
> 40
PSA density (ng/ml/cc)
≤ 0,15
> 0,15
Density/TZ (ng/ml/cc)
≤ 0,35
> 0,35
Sassari,
Introduzione
L’obiettivo dello studio è stato di valutare e stratificare, sulla
base delle caratteristiche cliniche iniziali, la percentuale di riscontro di adenocarcinoma della prostata in un gruppo di pazienti sottoposti ad un primo set di biopsie prostatiche con
uno schema a 14 prelievi per via transperineale.
Metodi
384 pazienti sono stati sottoposti a multiple biopsie prostatiche per sospetta neoplasia della prostata tra l’ottobre 2002 e
il dicembre 2003. Sono stati esclusi dall’analisi i 59 pazienti
che erano già stati sottoposti a precedente biopsia prostatica.
Tutti i 325 pazienti valutati hanno eseguito 14 biopsie: doppio set di “sestanti” in zona periferica e 2 biopsie in zona di
transizione. Per la comparazione delle variabili categoriche e
continue sono stati utilizzati il chi-quadrato di Pearson ed il
t-test di Student rispettivamente.
Tab. I.
Variabile
**
***
Casi (%)
Biopsie positive (%)
p Value
243 (74,7%)
82 (25,3%)
89 (36,6%)
44 (53,7%)
0,007
204 (62,8%)
121 (37,2%)
65 (31,9%)
68 (56,2%)
< 0,0001
22 (6,8%)
220 (67,7%)
83 (25,5%)
8 (36,4%)
83 (37,7%)
42 (50,6%)
0,11
189 (58,2%)
136 (41,8%)
96 (50,8%)
37 (27,2%)
< 0,0001
122 (37,5%)
203 (62,5%)
28 (23%)
105 (51,7%)
< 0,0001
142 (46,1%)
166 (53,9%)
29 (20,4%)
92 (54,4%)
< 0,0001
PATOLOGIA URO-GENITALE
391
Risultati
È stata fatta diagnosi di adenocarcinoma della prostata in 134
casi (41,2%), di ASAP in 19 casi (5,8%) e di PIN di alto grado in 6 casi (1,8%). Il Gleason score (GS) è risultato pari a 5
in un caso (0,7%), a 6 in 65 casi (48,5%), a 7 in 21 casi
(15,6%), a 8 in 17 casi (12,6%), a 9 in 9 casi (6,7 %) e a 10
in 4 casi (2,9%). In 17 casi (12,6%) il Gleason score non è
stato assegnato a causa dell’esiguità dei microfocolai di adenocarcinoma osservati. In 166 casi l’esame istologico è risultato negativo.
La Tabella I stratifica la detection rate per le differenti variabili cliniche valutate.
Conclusioni
L’esecuzione di 14 biopsie prostatiche per via transperineale
consente di diagnosticare un’elevata percentuale di neoplasie
della prostata. Il volume della ghiandola prostatica, il reperto rettale e l’età dei pazienti influenzano in maniera significativa la percentuale di positività registrate.
Conclusions
The data presented here demonstrate that Aurora B expression occurs in spermatogonial division. Furthermore, our results indicate that the expression of Aurora B is a consistent
feature of human seminomas. This observation is of clinical
interest since Aurora B might be a target for cancer treatment
and may serve as a prognostic marker.
Aurora B expression in normal testis
and seminomas
Introduction
Varicocele testes display exceeding endotubular fluid (ETF)
and extracellular matrix (ECM), with subsequent oligoasthenozoospermia 1. Aquaporins (AQPs) are integral membrane
proteins, modulating water transport across the cell membrane and reabsorptive exchanges. Previous experimental evidence was provided that some AQPs are expressed in rat testis, as transmembrane water channels 2. AQP-1, a major fluid
transporter, regulates tissue water flow and hydration. It has
been focally found in endothelial cells of human testes, but
has not been reported in endotubular cells. The present study
was aimed at immunolocalizing AQP-1 in human varicocele
testes.
Methods
Open testicular biopsies on 20 varicocele testes were compared to 4 autoptical controls. Formalin-fixed, paraffin-embedded sections were processed for histology. Immunohistochemistry was performed using an AQP-1 monoclonal antibody,
subsequent streptavidin-biotin/LSAB method and diaminobenzidine development. Positive immunoreactions were scored as weak, moderate or strong.
Results
Histologically,disarranged tubular compartments, germ cell
sloughing, ETF- and ECM-expancion were found. Cytoplasmic vacuoles in Sertoli cells, spermatogonia and spermatocytes also occurred, with retained cytoplasmic droplets in
the spermatozoa, if present.
AQP-1 immunostaining strongly depicted microvessel endothelial cells, as well as Sertoli and germ cells containing
cytoplasmic vacuoles or retained droplets. Differently, 2 of 4
control testes showed AQP-1 reactive endothelial cells only.
Conclusions
These results substantiate the common features of varicocele
testes, relating to oxidative membrane damages and defective ETF- ECM-reabsorption.
The immunostain patterns denote an AQP-1 overexpression
in endothelial cells, together with unexpectedly positive reactions of Sertoli and germ cells. Such findings,that are lacking
in the controls, suggesting a critical AQP-1 expression in varicocele testes, to start a rapid pathway for water reabsorption, in both tubular and extratubular compartments.
A. Caleo, G. Troncone, I. Migliaccio, A. Iaccarino, C.
Frangella, M. Russo, F. Esposito, G. Portella*, P. Chieffi*
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli ‘Federico II’; * Dipartimento di Medicina
Sperimentale, II Università di Napoli
Introduction
Mitosis is a highly coordinated process that ensures the fidelity of chromosome segregation and is characterised by
dramatic morphological changes which occur in a strictly
sequential order. Serine/threonine protein kinase of the Aurora family (Aurora A/STK-15, Aurora B/AIM-1, Aurora
C/AIK-3) are known to be required for the progression
through the M phase. Aurora B encodes a protein that associates with condensing chromatin, concentrates at centromeres, and then relocates onto the central spindle at
anaphase. High levels of Aurora kinases are characteristic
of rapidly dividing cells and tumours. In particular, Aurora
B has been found overexpressed in human cancer cells of
different origin and in cell lines derived from colorectal tumours. Spermatogenesis is a hormonally regulated and
unique developmental process whereby diploid stem cells
differentiate through an ordered sequence of steps and represents an ideal model for studying the control of cellular
growth and differentiation.
In this study the expression and the localisation of Aurora B
throughout germinal epithelial progression in normal testis
and its neoplastic counterpart were analysed.
Methods and results
Immunocytochemistry and RT-PCR analysis of mouse germinal epithelium cells showed the presence of Aurora B in
spermatogonia and occasionally in spermatocytes. Western
blot analysis revealed the typical Aurora B isoform (41 kDa)
in the same cellular types. A similar distribution was observed in human testis by immunohistochemistry. Moreover,
the distribution and the expression of Aurora B were investigated in neoplasms derived from germ cells. Surgical samples of seminomas were analysed, and a high percentage of
Aurora B positive cells (51%) was detected; the expression
of Aurora B was significantly related to the MIB-1 proliferation marker (R = 0.816).
References
Chieffi P, et al. J Endocrinol 2004;181(2):263-270.
Aquaporin-1 in human varicocele testes, as a
critical reabsorption factor
P.A. Nicòtina*, G. Speciale*, S. Arena, C. Romeo, B. Zuccarello, F. Arena
*
Dipartimento di Patologia Umana; Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche,Università di Messina
References
1
Zini A, et al. Fertil Steril 2000; 74: 461-464.
2
Badran HH, et al. J Androl 2002; 23: 358-373.
392
Aromatase expression in human testicular
seminoma
F. Romeo*, V. Rago**, G. Capocasale*, S. Andò***, A. Carpino**
*
Pathologic Anatomy Unit, Annunziata Hospital, Cosenza; **
Cell Biology and Pharmaco-Biology Departments; *** Faculty of Pharmacy, University of Calabria
Introduction
Cytocrome P450arom is a terminal enzyme catalysing the
conversion of androgens into estrogens. Its expression has
been reported in different human tissues, including testes. In
addition, aromatase has been investigated in human neoplastic tissues for the estrogen ability to regulate the cell growth.
In fact, P450arom overexpression has been detected in some
breast, endometrial and ovarian malignancies. Conversely,
the enzyme expression in testicular tumors is scarcely
known. This study has been addressed to immunolocalize
aromatase in human testicular seminoma.
Materials and methods
The tumour-bearing testes were obtained, after informed consent, from 7 patients (aged from 30 to 50) with classic seminoma, undergoing to therapeutic orchidectomy. Paraffin-embedded testes were processed for immunohistochemistry using a rabbit polyclonal antibody generated against human
placental cytochrome P450arom. Then, biotinylated goatanti-rabbit IgG was applied followed by avidin-biotin-peroxidase complex. The peroxidase reaction was developed with
diaminobenzidine. Furthermore, hematoxylin-eosin staining
was used for morphological analysis.
COMUNICAZIONI LIBERE
Results
P450arom immunoreactivity in the cells was detected as cytoplasmic staining. All the samples showed similar immunostaining patterns: i) In tumoral region, the cords of neoplastic cells showed a strong immunoreactivity, while the
surrounding abundant lymphocytes and connective cells
were immunonegative ii) In the region near the tumor margin, Leydig cells were strongly immunoreactive and an intense staining was also observed in the big neoplastic cells of
the modified tubules, identified as intratubular seminoma iii)
In the region far from the tumor, Leydig cells were immunopositive and no staining was observed in the tubules
with seminiferous epithelium showing all the spermatogenetic stages. Conversely, those tubules with spermatogenetic arrest, showed a clear immunostaining in the basal cells.
Conclusions
The present study has demonstrated, for the first time, aromatase expression in neoplastic cells of human seminoma. In
fact, still now, aromatase presence in human testis tumors has
been reported only in stromal cells of non-seminoma tumors
and in sex cord tumor of young patients with the PeutzJeghers syndrome. Furthermore, testicular parenchyma, adjacent to the tumor, showed a differential aromatase expression
according to the tubular dysmorphy. This suggests a possible
relationship between tumor progression and intratubular localization of the enzyme. In fact, estrogens deriving from the
“in situ” aromatization could act as autocrin mytogen factors
promoting neoplastic process.
Bibliografia
1
Cairns P et al. Cancer Res 1994;54:1422-1424.
2
Gonzalgo ML et al. Cancer Res 1998;58:1245-1252.
PATHOLOGICA 2004;96:393-397
Miscellanea
Confronto tra diagnosi clinica e riscontro
diagnostico nell’identificazione delle cause di
morte
V. Arena*, B. Federico**, V.G. Vellone*, F. De Giorgio***,
G. Capelli**, A. Capelli*
*
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma; ** Cattedra di Igiene, Università di Cassino; *** Istituto di Medicina Legale, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma
Introduzione
L’accuratezza della certificazione di morte, base informativa
per l’elaborazione delle statistiche di mortalità e per l’attribuzione dei DRG, è talora problematica in quanto la frequenza delle patologie cardio-respiratorie è sovrastimata,
mentre altre condizioni morbose sono spesso misconosciute.
Il riscontro diagnostico (RD) rappresenta il “gold standard”
attraverso cui giudicare la validità della presunzione clinica
del decesso. Il presente studio si è posto l’obiettivo di misurare la sensibilità delle fasi di identificazione della causa del
decesso, la presunzione clinica (PC) e l’esame autoptico macroscopico (EM), considerando quale gold standard l’esame
istologico (EI).
Metodi
Il campione è costituito da 66 RD eseguiti nell’Istituto di
Anatomia Patologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del
Policlinico A. Gemelli (Roma) nel periodo gennaio-giugno
2004. Per ogni soggetto, sono state determinate la causa iniziale, quella intermedia e quella terminale del decesso, insieme ad altri stati morbosi rilevanti sulla base della sola PC,
dell’EM, e dell’EI. La sensibilità della diagnosi è stata ottenuta calcolando la proporzione delle cause iniziali di morte
che concordavano con la diagnosi della causa iniziale riportata dopo l’EI. Per la classificazione delle cause di morte è
stata utilizzata la 10a revisione della Classificazione Internazionale delle malattie e dei problemi collegati alla salute
(ICD-10), verificando la concordanza sia del settore nosologico che del codice.
Risultati
La sensibilità della diagnosi di causa iniziale di morte è stata
pari al 15% per la PC e pari al 67% per l’EM. Considerando
il settore nosologico, tali valori sono risultati 59% e 85% rispettivamente. L’EM mostra una sensibilità superiore a quella della PC, particolarmente per riscontri di neonati e bambini (15% vs. 85%) e per le morti cardiache (0% vs. 80%). La
sensibilità dell’EM è risultata inferiore per le morti da altre
patologie (neoplastiche, infettive ed ematologiche) rispetto
alle morti cardiache.
Conclusioni
In contrasto con il declino del RD negli ultimi decenni questi risultati rafforzano la sua validità nella determinazione
della causa di morte. Se per le morti cardiache ed in età pediatrica l’EM modifica sensibilmente i dati della PC, l’EI resta comunque imprescindibile per l’affinamento diagnostico,
particolarmente nei decessi per neoplasie, malattie infettive
ed ematologiche.
Descrizione di un caso di morte improvvisa
da vasculite coronarica
V. Arena*, A. Angelone**, E. Stigliano*, F. De Giorgio***,
J. Pizzicannella**, A. Capelli*
*
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma; ** U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale Civile dello Spirito Santo, Pescara; *** Istituto di Medicina Legale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
Per morte improvvisa (MI) si intende un decesso per cause
naturali che si verifica entro breve tempo dalla comparsa dei
sintomi, in un soggetto apparentemente sano o il cui stato di
malattia non faceva presagire un esito così repentino. L’evento può manifestarsi in soggetti in apparente stato di benessere, senza storia clinica di patologie a rischio oppure, ed
è la stragrande maggioranza dei casi, in pazienti affetti da patologie a rischio, ma al momento ben compensati. La MI consegue ad un arresto cardio-circolatorio che può essere secondario a causa cerebrale o respiratoria oppure dipendere primariamente dall’apparato cardio-circolatorio.
Materiali
Si tratta di un uomo di 31 anni giunto cadavere in pronto soccorso. Dall’anamnesi raccolta si apprende che negli ultimi
giorni prima del decesso, a seguito di un intervento di implantologia dentaria aveva avuto una febbricola. All’esame
del cuore si apprezzava una cardiodilatazione totale in organo complessivamente aumentato di volume e di peso (gr
410). Il miocardio al taglio mostrava un colorito pallido. Le
coronarie apparivano macroscopicamente indenni, si evidenziava solo una particolare salienza rispetto al grasso subepicardico. Non veniva segnalato nulla di rilevante a carico degli altri organi.
Risultati
Lo studio istologico ha documentato elementi patologici solo a livello del tessuto miocardico dove si è potuto apprezzare un ricco infiltrato linfomonocitario disposto attorno e nello spessore delle coronarie nel loro decorso subepicardico ed
intramiocardico. I miocardiociti presentavano fenomeni di rigonfiamento idropico, scomparsa delle striature e focalmente aspetti ondulati prospettando l’ipotesi di sofferenze ischemiche plurifocali.
Conclusioni
L’età del paziente, l’assenza di manifestazioni aterosclerotiche a livello delle coronarie e degli altri organi, l’assenza di
fattori di rischio per aterosclerosi, quali diabete, ipertensione,
ecc. e la presenza di infiltrazione infiammatoria a carattere
prevalentemente linfomonocitario a livello delle coronarie
sia a livello subepicardico che intramiocardico, associato ai
segni di sofferenza ischemica plurifocale ma corrispondente
alle aree con patologia vascolare, indica la coronarite quale
causa di morte del paziente. Il coinvolgimento coronarico in
corso di vasculiti sistemiche è ben descritto sia in corso di
poliarterite nodosa che in altre forme come l’arterite di
Takayasu. Più rare sono invece le segnalazioni di casi isolati
non inseriti in una patologia sistemica come nel nostro caso.
COMUNICAZIONI LIBERE
394
Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: criteri
anatomopatologici in assenza di analisi
genica. Descrizione di un caso
D. De Mercurio , F. De Giorgio , M. Masullo , J. Pizzicannella**, E. Stigliano***, V. Arena***, A. Capelli***
*
*
*
*
Istituto di Medicina Legale, Università Cattolica del Sacro
Cuore, Roma; *** Istituto di Anatomia Patologica? Università
Cattolica del Sacro Cuore, Roma; ** U.O. Anatomia Patologica? Ospedale Civile dello Spirito Santo, Pescara
Introduzione
La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva (CMIO) è, in molti
casi una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante (1/1500) ad espressione variabile. Nel 50% dei casi
però ha insorgenza sporadica sottintendendo una trasmissione autosomica recessiva con ridotta penetranza o l’insorgenza di mutazioni de novo. L’eterogeneità dei difetti genetici
sottostanti fa sì che le caratteristiche clinico-morfologiche
varino da paziente a paziente. Spesso al patologo capita di rispondere sulla causa del decesso in casi di morte improvvisa
e di esaminare cuori che morfologicamente richiamano la
CMIO pur non potendo affinare la diagnosi con analisi genetiche. Descriviamo di seguito un caso di morte improvvisa in
cui la diagnosi posta, basata solo su criteri macro e microscopici è stata di CMIO.
Metodi
Si tratta di un uomo nigeriano di 40 anni trovato morto in casa in cui la tanatocronodiagnosi ha fatto risalire l’ora del decesso a non più di 6 ore. All’esame macroscopico il reperto
cardiaco mostrava una massiva ipertrofia miocardica (spessore parete >30 mm) senza dilatazione. L’ipertrofia interessava in particolar modo il setto interventricolare con ispessimento nella regione subaortica; l’endocardio parietale era
diffusamente ispessito specie a livello del cono di efflusso
ventricolare sinistro e il lembo anteriore della valvola mitrale appariva aumentato di spessore e deformato a causa della
salienza del setto; l’apparato tendineo appariva anch’esso
ispessito. Indenni gli altri organi.
Risultati
L’esame tossicologico è risultato negativo sui campioni di
urina, bile e sangue. L’esame istologico del cuore ha mostrato una diffusa ipertrofia con vacuolizzazione miocardiocitaria, focale disarrangiamento strutturale e fibrosi interstiziale.
I vasi intramiocardici presentavano un modico ispessimento
della parete a livello arterioso e dilatazione delle venule.
L’endocardio era diffusamente fibrotico.
Conclusioni
La mortalità per CMIO è inferiore all’1% annuo, ma alcuni
sottogruppi di pazienti sono a rischio di morte improvvisa
primariamente dovuta ad aritmie ventricolari. Nel caso da noi
presentato l’accurato esame macroscopico, corredato dal rilievo istologico anche in assenza di analisi genetica, ha consentito di individuare nella CMIO la verosimile causa di morte con l’evidenza di vari fattori di rischio 1 per la morte improvvisa (parete ventricolare maggiore di 30 mm, setto interventricolare ispessito a livello subaortico, e alterazioni del
lembo anteriore della mitrale).
Bibliografia
1
Nishimura RA, et al. N Engl J Med 2004;350:1320-1327.
Multipotent Adult Progenitor Cells Reside in
Atria and Ventricle of Human Hearts
A.P. Beltrami*, D. Cesselli*, D. Damiani**, F. D’Aurizio*,
L. Mariuzzi*, *N. Finato*, U. Baccarani***, M. Bottecchia*, U. Livi****, R. Fanin**, C.A. Beltrami*
*
Department of Medical and Morphological Research, Institute of Pathology, University of Udine, Italy; ** Department
of Medical and Morphological Research, Division of Hematology, University of Udine, Italy; *** Department of Surgery
and Transplantation Unit, University of Udine, Italy; **** Department of Cardiosurgery, Azienda Ospedaliera S. Maria
della Misericordia, Udine, Italy
Introduction
Cardiac physiology, pathology and therapy are going to be
radically changed once it will be demonstrated that human
heart is a self renewing organ. Although a cardiac resident
multipotent progenitor cell population have already been
shown in murine models, such evidence is up to now missing
in human hearts.
Aims
a. To identify whether adult human heart contains a resident
non blood borne multipotent cardiac progenitor cell population;
b. to further characterize the in vitro behaviour of cardiac
progenitor cells;
c. to compare them with similar populations obtained from
other organs.
Methods and results
Small cells (<30µm) were isolated from 15 ventricle, 7 atria, 13
livers, 10 bone marrows (BM) and 6 peripheral blood (PB) and
grown in a medium selective for multipotent adult cells.
Cell lines were obtained from every adult human heart, liver
and BM, while PB-isolated cells failed to grow.
The cell surface immunophenotype, as evaluated by flow-cytometry (n = 12), was shown to be CD45-/CD34-/CD38/ C D 11 7 - / C D 1 3 3 - / H L A - D R - / C D 2 9 l o / K D R l o / C D 9 0 h i /
CD13hi/CD49bhi. Some cells highly expressed MDR-1
(0.4 ± 0.5%) and ABCG2 (1.6±0.7%).
In vitro symmetric and asymmetric cell divisions (assessed
by Numb and Notch-1) were documented by immunofluorescence and confocal microscopy (n = 8).
Tissue specific transcription factor expression (GATA-2,-4,
Nkx2.5, HNF-3β, HNF-4α, Scl-TAL-1) was evaluated by
flow-cytometry and confirmed by RT-PCR (n = 12). Less
than 10% of the cells expressed these markers.
Both ABCG-2 expression and Hoechst 33342 extrusion
(n = 12) identified a side population within the cultured cells.
Interestingly, cardiac cell lines (n = 4) exhibited a wide
multipotency, being able to differentiate towards a mesodermic, endodermic and ectodermic fate (i.e. adipogenic, vasculogenic, myogenic, osteogenic and epithelial) when exposed
to differentiation inducers. This property was shared by liver- and BM-derived cell lines (n = 8).
Conclusions
– Multipotent adult progenitor cells can be isolated and
grown from human hearts, as well as from liver and BM;
the inability to grow cells from PB strongly suggests that
these cells represent a resident population. This result scientifically validates stem cell-based therapies with regenerative purpose.
– Multipotent progenitor cells, regardless of tissue of origin,
exhibit a wide in vitro multipotentiality suggesting that hu-
MISCELLANEA
395
man tissues, other than the heart, could become a more accessible stem cell source to employ in cardiac regenerative
medicine.
L’espressione immunoistochimica di UbcH10
in tessuti normali e neoplastici
I. Migliaccio , A. Caleo , A. Iaccarino , M. Russo , C.
Frangella*, L. Sanchez-Verde***, M. Barbareschi****, P.
Pallante**, M.T. Berlingieri**, A. Fusco**, L. Palombini*,
G. Troncone*
*
*
*
*
*
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali,
Università di Napoli “Federico II”; ** Dipartimento di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare c/o Istituto di Endocrinologia ed Oncologia Sperimentale del CNR, Università di Napoli “Federico II”; *** Programa de Patologia Molecular, Centro Nacional de Investigaciones Oncologicas,
Madrid, Spain; **** Dipartimento di Anatomia Patologica,
Ospedale di Santa Chiara, Trento
Introduzione
La proliferazione cellulare è regolata dalla sintesi e dalla rapida degradazione delle cicline mitotiche. Il sistema di degradazione ubiquitino-dipendente è un meccanismo complesso che consente alla cellula di degradare con elevata specificità numerose proteine, tra cui le cicline. A tal fine, sono necessarie tre distinte attività enzimatiche: E1 (attivante), E2
(coniugante) ed E3 (ligasi). La specificità del sistema è assicurata dall’esistenza di svariate molecole E2 ed E3, che interagendo riconoscono specifici substrati. UbcH10 è l’attività
enzimatica E2, che in coppia con APC-E3 innesca la degradazione della ciclina mitotica B. Tale degradazione consente alla cellula di completare la mitosi, di intraprendere una nuova
divisione e di incrementare il ritmo della proliferazione tessutale 1. UbcH10 è espresso intensamente da numerose linee
cellulari neoplastiche, ma la sua distribuzione in vivo nei tessuti normali e neoplastici è stata studiata solo in pochi casi 2.
Metodi
L’espressione immunoistochimica di UbcH10 è stata valutata
in tissue-micro-arrays (TMA) di tessuti normali e di tumori
tiroidei, ovarici, mammari e linfomi.
Risultati
Nei tessuti normali UbcH10 è risultato essere espresso solo
dai compartimenti con attiva proliferazione (strato parabasale squamoso, centri germinativi). Nei tessuti neoplastici UbcH10 è preferenzialmente espresso dai carcinomi meno differenziati e maggiormente proliferanti e dai linfomi di alto grado. Il segnale è particolarmente intenso nelle cellule mitotiche, mentre le cellule stromali, endoteliali ed infiammatorie
non esprimono UbcH10. Vi è una correlazione positiva e significativa tra la colorazione per UbcH10 e l’espressione di
MIB-1 (p < 0,001).
Conclusioni
Il pattern immunoistochimico di UbcH10 riflette la stretta associazione tra l’espressione di questa proteina e la proliferazione cellulare. Esperimenti attualmente in corso, volti a definire il rapporto tra l’espressione di UbcH10 e la sua molecola target, la Ciclina B, potranno meglio chiarire il ruolo di
questa proteina nella trasformazione neoplastica.
Bibliografia
1
Ciechanover A, et al. Annu Rev Biochem 1998;67:425-79.
2
Okamoto Y, et al. Cancer Res 2003; 63(14):4167-73.
Analisi immunofenotipica dello stroma
peritumorale: comparazione dell’espressione
dei fibrociti CD34+ e miofibroblasti AML+
L. Baron, M. Postiglione, E. Celotto, A. Cesarano, P. Beltotti, F. Quarto
U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia,
P.O. “S. Leonardo”, ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA)
Introduzione
Lo stroma non svolge solo un ruolo passivo nello sviluppo e
diffusione tumorale, ma interviene attivamente nella cancerogenesi, fino all’invasione e alle metastasi. I fibroblasti non
solo partecipano alla degradazione della matrice extracellulare, con l’attivazione di sistemi proteolitici (collagenasi I e IV,
stromalisina 1 e 3, uPA, ecc.), ma interagiscono con le cellule neoplastiche nei meccanismi di migrazione e proliferazione cellulare. Un momento trasformativo importante è rappresentato dalla riduzione dello stroma fibroblastico, CD34+
(cell. interstiziali dendritiche), a favore di uno miofibroblastico, con capacità di sintesi di actina muscolo liscio specifica (AML); differenziazione dovuta all’esposizione dei fibrociti CD34+ al TGF-β, citochina prodotta dalle cellule tumorali.
Scopi
Per valutare se tale trasformazione sia tessuto dipendente abbiamo testato l’espressione IHC del CD34 (+ nei fibrociti) e
AML (+ nei miofibroblasti).
Metodi
Abbiamo esaminato il comportamento dello stroma perilesionale in neoformazioni benigne, borderline e carcinomi (K)
di diverse sedi: 40 mammarie (20 benigne, 6 K in situ, 14 K
infiltranti), 20 della cervice uterina (8 benigne, 6 CIS, 6 K infiltranti), 16 della vescica (4 benigne, 2 K piatti in situ, 10 K
infiltranti), 20 lesioni cutanee (10 benigne, 6 K epidermoidi,
4 melanomi) e 22 del colon (12 adenomi, 10 K).
Risultati
Il comportamento dello stroma è risultato differente a seconda del tipo di tessuto e dello stadio della neoplasia. Nelle lesioni benigne della mammella e della cervice lo stroma presentava fibrociti CD34+ nella zona subepiteliale ed in corrispondenza dei vasi, mentre non erano presenti miofibroblasti
AML+. Nelle lesioni in situ il comportamento dello stroma
era analogo sebbene il numero di fibrociti CD34+ tendeva a
ridursi (nella mammella e nella portio). Le lesioni invasive
mostravano una progressiva perdita di espressione di CD34
in prossimità del fronte di invasione tumorale con aumento
della presenza di miofibroblasti AML+. Tale comportamento
non era lineare nelle lesioni cutanee, del colon e della vescica.
Conclusioni
Poiché i fibrociti CD34+ possono mediare specifiche reazioni immunologiche, presentazione dell’antigene e attivazione
dei linfociti T, la loro riduzione o scomparsa rende capaci le
cellule tumorali di sfuggire all’immunosorveglianza dell’ospite. Quindi la loro perdita a favore dei fibroblasti AML+
può essere un valido marker dei cambiamenti stromali associati a taluni tumori invasivi.
396
Analysis of genomic low copy number DNA
from cells harvested by laser-microdissection
COMUNICAZIONI LIBERE
G. Giuffrè, L. Saravo*, D. Di Martino*, N. Staiti*, A. Simone, P. Todaro, G. Tuccari
Valutazione dei recettori dei
mineralcorticoidi in spermatozoi umani
mediante citofluorimetria e
radioreceptorassay
Department of Human Pathology, University of Messina; *
Laboratory of Molecular Biology, Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, Messina
C. Fiore*, D. Sticchi, S. Masiero*, G.P. Rossi**, I. Karbowiak, G. Bonanni, D. Armanini, S. Forzan***, A. Fassina***
Introduction
Tissue microdissection techniques, allowing a correlation between the topologic organization of the cells and the molecular analysis of nucleic acid extracted, represent a key technique in molecular pathology. In fact, the presence of a wide
spectrum of cell types in tissue samples may complicate the
analysis of a particular cellular population. Laser-assisted
microdissection is an advanced procedure to cut small tissue
fragments as well as single cells by an ultraviolet laser beam
in order to select a specific cell population of interest from a
heterogeneous sample, under direct microscopic visualization. In the present report we evaluate the sensitivity of this
method in order to perform genomic analysis from low copy
number DNA.
Methods
Laser-microdissection was performed using a Leica AS
LMD system (Leica Microsystems, Germany) on smears of
aploid (spermatozoa) and diploid (cervical) cells, on sections of tissues routinely formalin-fixed and paraffin-embedded, on cryostatic sections obtained at surgery and postfixed with cold acetone or methanol. The samples were
stained with specific procedures (Haematoxilin-Eosin,
Methylene blue, Papanicolau, Picroindigocarmine-Nuclear
fast red). For each sample, an increasing number of cells
from 1 to 100 was harvested in different PCR tubes. DNA
extraction was performed by Chelex™ 100 (Biorad), QIAmp DNA Micro Kit (Qiagen) and DNA IQ™ System
(Promega Corp.). The DNA extracted from each sample
was amplified to identify a specific genetic profile by the
most common microsatellite loci (BAT25, BAT26, BAT40,
D2S123, D5S346, D17S250) as well as multiple Short Tandem Repeat (STR) typing (AmpFLSTR Identifiler, PE
Biosystems) of forensic interest. PCR products were separated by capillary electrophoresis with 3100 AB Prism Genetic Analyzer; and analyzed by the Genescan and Genotyper Softwares v 3.7.
Results
We have obtained sufficient DNA for amplification and STR
typing starting from 10 aploid cells while amplification for
microsatellite loci was achieved with 5 diploid cells obtained
from routinely processed tissue samples. Moreover, not do
all the staining procedures seem to be equally respectful towards integrity of the extracted DNA.
Conclusions
The documented possibility to perform a genomic analysis of
low copy number DNA from few cells harvested by laser microdissection represent a valid aid in order to solve diagnostic and forensic problems in medical practice.
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Endocrinologia; * Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Clinica Medica 4; *** Dipartimento di Scienze Oncologiche e
Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di
Padova; ** Laboratorio di Analisi, Ospedale Piove di Sacco,
Padova
Introduzione
L’aldosterone (A) è stato considerato recentemente uno dei
principali promotori dello stress ossidativo. L’A agisce legandosi al suo recettore localizzato non solo a livello dei tessuti
bersaglio, ma anche in altri sedi non considerate target di A.
Lo stress ossidativo sugli spermatozoi sembra agire a vari livelli con compromissione di motilità e fertilità, anche se non
è stata ancora evidenziata una possibile correlazione con A.
Scopo dello studio è evidenziare la presenza di recettori dei
mineralcorticoidi (MR) in spermatozoi umani e valutare la
possibile azione di A in tali cellule.
Metodi
Abbiamo analizzato campioni di liquido seminale provenienti da sei soggetti volontari, sani (25-35 anni). Gli spermatozoi sono stati isolati mediante centrifugazione su gradiente
discontinuo di Percoll. Per l’analisi citofluorimetrica di MR
abbiamo utilizzato un anticorpo specifico policlonale anti-recettore A (MINREC4). Una parte degli spermatozi è stata
pre-trattata con metanolo, per permeabilizzarne la membrana.
Per gli esperimenti di radioreceptor assay abbiamo isolato
gli spermatozoi e li abbiamo incubati con A marcato a dosi
decrescenti, da solo o con aggiunta di un eccesso di A freddo. In tutti i campioni è stato aggiunto un glucocorticoide puro per escludere il legame di A al recettore dei glucocorticoidi. I risultati sono stati espressi mediante analisi Scatchard.
Un’aliquota di sperma è stata fissata con formalina 10% per
l’immunoistochimica (ICC).
Risultati
In citofluorimetria abbiamo rilevato che gli spermatozoi non
trattati con metanolo mostravano solo una debole fluorescenza (27%), mentre gli spermatozoi pre-trattati con metanolo
davano una fluorescenza di alta intensità nel 98% degli spermatozoi incubati con anticorpo primario e secondario. I risultati dimostrano, dunque, che lo spermatozoo possiede i recettori dei mineralcorticoidi e che essi sono intracellulari.
Dagli esperimenti di radioreceptorassay risulta che il valore
medio di MR per singolo spermatozoo è di 250+105 recettori per cellula e l’affinità 2,1 ± 0,4 nmol/L. L’analisi ICC ha
confermato la presenza di recettori MR.
Conclusioni
MR sono presenti negli spermatozoi umani normali e la loro
determinazione risulta agevole e ripetibile con le tecniche di
analisi radiorecettoriale, citofluorimetrica e ICC. Nei prossimi studi valuteremo l’effetto dell’aldosterone in vitro sulla
espressione proteica di geni coinvolti nello stress ossidativo,
in particolare il p22phox ed il PAI-1 e la confronteremo con le
varie situazioni patologiche che possono interessare il testicolo.
MISCELLANEA
397
Melanocitoma necrotico della coroide in
età infantile
Tumore cistico mucinoso retroperitoneale:
descrizione di un caso
L. Ventura* , M.A. Blasi**, A.C. Tiberti**, V. Silvagni**, T.
Ventura* , E. Balestrazzi**
M. Guerriero*, M. De Ninno**, A. Capelli*, A. Carbone**
*
U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL L’Aquila;
nica Oculistica, Università de L’Aquila
**
Cli-
Introduzione
Il melanocitoma (nevo magnocellulare) è un raro tumore benigno che predilige il disco ottico ma può manifestarsi in
qualunque regione uveale 1 2. Tipicamente diagnosticato nella
quarta decade di vita, è estremamente raro in età infantile 1.
Presentiamo un caso di melanocitoma della coroide con necrosi subtotale, in una bambina di 4 anni.
Caso clinico
La paziente, di carnagione ed occhi chiari, lamentava la comparsa di esotropia e cecità sinistre in assenza di dolore da circa tre mesi. L’acuità visiva era 20/30 a destra, con assenza di
percezione a sinistra. L’occhio sinistro mostrava rubeosi iridea, appiattimento della camera anteriore ed opacità subcapsulari posteriori del cristallino. Un’ampia lesione pigmentata occupava la camera posteriore, giungendo a contatto del
cristallino ed impedendo l’esame del fondo oculare. La pressione intraoculare era di 12 mmHg a destra e 48 a sinistra. Le
tecniche di imaging (ecografia, RMN) evidenziavano neoformazione cilio-coroidea di mm 17,2 x 18,4 x 15,7 in assenza
di estensione extraoculare. L’improvvisa insorgenza di dolore, marcata proptosi e chiusura totale dell’angolo imponeva
l’enucleazione.
Il globo oculare, fissato in formalina tamponata neutra al
10%, misurava mm 21 x 22 x 21. In sezione era presente
neoformazione nerastra del versante coroideo temporale, di
mm 14 x 13 x 12, che all’esame istologico risultava intensamente pigmentata. Dopo decolorazione con permanganatoossalato la neoplasia appariva estesamente necrotica, con vasi stromali prominenti e numerosi melanofagi. In periferia
della lesione erano presenti rare cellule epitelioidi con nucleo
centrale, senza nucleoli e mitosi. Tali reperti e l’assenza di
coinvolgimento dei canali sclerali e del nervo ottico autorizzavano la diagnosi di melanocitoma. Erano inoltre presenti
emovitreo e fibroma intrasclerale. Un anno dopo l’intervento
la paziente è in buona salute, senza evidenza di malattia locale o sistemica.
Conclusioni
La diagnosi clinica di melanocitoma è possibile per lesioni
del disco ottico, ma risulta difficile in caso di localizzazioni
diverse 1. Nel caso in esame la crescita massiva ed i caratteri
strumentali della lesione deponevano per la malignità, esclusa soltanto dall’esame istologico. I meccanismi patogenetici
della necrosi nei melanocitomi restano oscuri, sebbene sia
stato ipotizzato che l’elevata richiesta metabolica per la produzione di melanina possa causare alterazioni circolatorie e
condurre alla necrosi 2.
Bibliografia
1
Lehman LJ, et al. J Pediatr Ophthalmol Strabismus 1997;34:40-43.
2
Teichmann KD, et al. Surv Ophthalmol 1995;40:136-144.
*
Istituto di Anatomia Patologica, Roma; ** Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Campobasso, Facoltà di Medicina “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore
Le cisti mucinose retroperitoneali primitive sono estremamente rare. La loro istogenesi rimane oscura. Riportiamo il
caso di una donna di 53 anni con lesione cistica retroperitoneale adesa alla vena renale sinistra.
Macroscopica
Cisti uniloculare di 11 cm a parete biancastra, sottile e liscia,
contenuto mucinoso denso, giallo-marroncino; sul versante
interno presenti numerose calcificazioni brunastre “a guscio
d’uovo”.
Microscopica
La parete della cisti appariva bordata da cellule ad ampio citoplasma eosinofilo pluristratificate positive per vimentina e
calretinina. Ampie porzioni erano rivestite da epitelio cuboidale o cilindrico muciparo positivo per citocheratina 7 e negativo per citocheratina 20. La parete dalla cisti appariva
strutturata con presenza di stroma denso e fasci muscolari lisci actina positivi (HHF35), ER negativi e PR positivi. Erano
presenti piccoli aggregati linfocitari parietali. Non erano presenti atipie cellulari.
Dal 1971 ad oggi, sporadici casi di cistoadenocarcinoma mucinoso retroperitoneale primitivo e solo 10 casi di cistoadenoma mucinoso primitivo retroperitoneale sono stati descritti, tutti nel sesso femminile. Alcuni hanno proposto che le cisti retroperitoneali siano espressione di residui mulleriani extra genitali o di lesione peritoneale mesoteliale cistica con
metaplasia mucinosa. Altri hanno ipotizzato un’origine da
tessuto ovarico sovrannumerario o eterotopico, o da un teratoma (neoplasia germinale retroperiotoneale) in cui l’epitelio
mucinoso di rivestimento sia l’unico superstite rispetto a tutte le altre componenti cellulari (vedere la revisione della letteratura nei riferimenti citati). Nel nostro caso, le cellule della cisti erano in parte di tipo mesoteliale (calretinina+) e in
parte producenti mucina con immunofenotipo di tipo ovarico
(CK7+). La parete, inoltre, presentava caratteri in parte simili a quelli dello stroma ovarico (PR+) o caratteri che potrebbero essere interpretati anche come metaplasia muscolare liscia dello strato sottomesoteliale, con parziale ormonodipendenza del tessuto muscolare metaplastico. L’ipotesi diagnostica più verosimile è quella di cisti retroperitoneale mesoteliale con metaplasia mucinosa mulleriana e metaplasia muscolare liscia sub mesoteliale di accompagnamento, con
aspetto complessivo di cistoadenoma mucinoso.
Bibliografia
1
Smith VC, et al. Arch Path Lab Med 2000;124:766-769.
2
Isse K, et al. Pathology International 2004;54:132-138.
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