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Piero Polidoro1
Teoria dei generi e siti web
1. Introduzione
1.1. Sul concetto di genere
Affrontare il problema dell’esistenza di generi nell’ambito dei siti web significa innanzitutto porsi la questione di cosa sia un genere. Non è questa
la sede per un’analisi attenta e approfondita del concetto e della sua storia,
ma alcune osservazioni potranno essere utili per quello che diremo dopo.
Quando si parla di generi non si fa altro che riportare a un caso specifico (quello dei testi) il problema della individuazione e classificazione di
categorie e tipi. Con una certa approssimazione potremmo dire che la
questione teorica della categorizzazione è stata affrontata seguendo tre
modelli principali:2
a) Classificazione gerarchica, cioè il tipo di categorizzazione che risale ad
Aristotele e trova la sua più chiara esemplificazione nell’albero di
Porfirio.3 In questi casi, a partire da un punto iniziale (il tutto da classificare), si procede per successive disgiunzioni (preferibilmente binarie) attraverso le quali si classificano gli individui in insiemi sempre più
ristretti e definiti. A questo modello può essere ricondotta la distinzione tradizionale dei tre generi, epico, lirico e drammatico, che viene
fatta risalire (erroneamente, secondo Genette 1979) a Platone e
Aristotele.
b) Combinatoria: questo modello deriva più o meno direttamente da
quello precedente e dalla possibilità che alcune disgiunzioni possano
trovarsi nello stesso tempo sotto diversi rami dell’albero delle definizioni. Da qui l’idea di una combinatoria: la classificazione, cioè, avviene mediante due o più parametri, ognuno dei quali prevede due o più
possibilità. L’insieme di questi parametri restituisce l’insieme delle categorie, che possono essere realizzate o semplicemente potenziali. In
semantica questo tipo di approccio è stato usato da Hjelmslev (1943),
mentre Genette (1979) lo ha applicato ai generi letterari.4
1
E-mail: [email protected].
Per una storia della teoria dei generi, cfr. Bagni (1997).
3
Cfr. Eco (1984, cap. 2).
4
Genette (1979; tr. it.: 61) sottolinea che i sistemi di generi che procedono per “inclusioni univoche e gerarchizzate” sono tipici delle teorie romantiche e moderne, mentre
Aristotele, seppur implicitamente, aveva scelto un modello “basato su tabelle”. Lo stesso
Genette opta, anche se con qualche cautela, per un modello combinatorio, basato su tre diversi parametri (una tabella a tripla entrata, insomma).
2
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c) Tipologia: il terzo modello ha di recente trovato una base nelle logiche
fuzzy e nelle semantiche che usano i concetti di stereotipo, prototipo,
ecc.5 Le categorie possono essere descritte da una serie non predefinita di proprietà, il che significa che le proprietà pertinenti potrebbero
variare da categoria a categoria. Inoltre la presenza di queste proprietà
o l’appartenenza a una categoria non può essere stabilita in base a una
semplice logica binaria (sì/no), ma deve prevedere dei gradi intermedi.6 Nel nostro caso, quindi, i generi non sono più caselle rigide che coprono tutto il campo testuale e hanno valore prescrittivo, ma sono raggruppamenti di testi che manifestano costanze e similitudini e sono organizzati attorno a un nucleo più o meno definito e dal quale possono
trovarsi più o meno lontani. Per Jauss (1977; tr. it.: 223), che è stato l’anticipatore dell’applicazione di questo modello al campo dei testi letterari, i generi “sono da intendere non come genera (classi) in senso logico, ma come gruppi o famiglie storiche”. Il genere, in tal senso, diventa
un quadro di riferimento per il produttore, cioè uno schema consolidato sul quale basarsi ma le cui regole possono essere aggirate, ingannate,
violate apertamente. Dal punto di vista del fruitore, invece, il genere
rappresenta essenzialmente un “orizzonte di attese”. In altre parole il
fruitore, grazie alla competenza acquisita, può, in presenza di certe caratteristiche del testo, inferire la sua appartenenza a un genere piuttosto
che a un altro e, di conseguenza, costruire un sistema di aspettative
adatto (sistema che, ovviamente, potrà anche essere frustrato).7
1.2. Vantaggi del modello tipologico
Le più recenti teorie del genere sembrano orientate decisamente verso
il modello tipologico. Il che, fra l’altro, deriva direttamente dalla constatazione che i generi, come detto, non sono entità logiche e “naturali”, ma
realizzazioni storiche e prototipiche. L’approccio dello studioso sarà dunque non quello tradizionale, astratto e deduttivo, ma quello storico-induttivo (Corti 1976).
Le conseguenze di questo cambiamento sono notevoli. Innanzitutto i
generi non coprono più l’intero campo testuale, ma, al più, descrivono al5
Per una panoramica su questo tipo di semantiche e sui concetti principali su cui si basano, cfr. Violi (1997).
6
Allo stesso modo Zinna (2002a), partendo dalla teoria hjelmsleviana, parla di due tipi
di operazioni razionali: le operazioni logiche, basate su opposizioni esclusive, e quelle prelogiche, basate su opposizioni partecipative.
7
“Il nuovo testo evoca per il lettore (o ascoltatore) l’orizzonte che gli è familiare in base
ai testi precedenti, fatto di aspettative e di regole del gioco che in seguito potranno essere
variate, ampliate, corrette, ma anche trasformate, incrociate o solamente riprodotte.
Variazione, ampliamento e correzione determinano il margine: da un lato la rottura con la
convenzione e dall’altro la pura riproduzione individuano i confini di una struttura di genere” (Jauss 1977; tr. it.: 233).
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cuni agglomerati di testi che rappresentano zone di maggiore densità all’interno di un continuum. I confini dei singoli generi diventano difficili
da tracciare e ancora più difficile è creare sistemi gerarchici. Aver identificato una tipologia, inoltre, non significa aver fissato definitivamente una
serie di proprietà necessarie e sufficienti, né aver descritto tutti gli aspetti di un determinato tipo di testo. Il modello, infatti, deve essere flessibile e lasciare numerosi spazi vuoti che, riempiti in maniera differente, renderanno possibili le declinazioni individuali del tipo generale. Ma, soprattutto, aumenta considerevolmente l’importanza della dialettica norma/scarto.
Il genere può essere considerato come una norma, ma nel senso retorico
del termine. Rispetto alle norme che reggono il discorso, infatti, si possono
avere degli scarti. Questi scarti possono essere errori (se sono ingiustificati)
o licenze (se portano a un risultato finale migliore). Potremmo dire che la
Web usability si interessa del primo caso: autori come Jakob Nielsen
(2000), infatti, si preoccupano di studiare l’interazione uomo-macchina e
gli stili di navigazione, e di fissare conseguentemente regole il cui rispetto
assicuri una facile e piena fruizione dei siti. Nel fare questo, però, escludono la possibilità che lo scarto possa essere non un errore, ma una licenza.8
1.3. Livelli d’analisi
Un altro problema metodologico posto dai siti web dipende dalla loro
natura sincretica,9 che rende inadeguata un’analisi legata solamente a un
unico punto di vista, a un determinato linguaggio. Non si può, in altre parole, pensare che gli effetti di senso di un sito possano derivare esclusivamente, o comunque prevalentemente, dal suo contenuto verbale o dal suo
aspetto visivo, ecc. Come osserva anche Cosenza (2004, cap. 6), l’analisi
dovrà svolgersi contemporaneamente su diversi livelli, anche se sarà inevitabile che, di volta in volta, qualcuno sia più pertinente (o semplicemente più interessante).
Alcuni dei livelli che sembrano rivestire, nella maggior parte dei casi,
un’importanza maggiore sono:
a) il livello verbale: riguarda il testo verbale presente nel sito; può aiutarci, ad esempio, a ricostruire il tipo di utente modello10 previsto attraverso un’analisi delle strategie enunciative, della complessità del linguaggio, dei meccanismi estetici usati, ecc.;
8
Sul concetto di scarto, analizzato dal punto di vista semiotico, cfr., fra gli altri, Groupe μ
(1970).
9
Per Greimas e Courtés (1979; tr. it.: 325) i testi sincretici sono quelli che “mettono in
opera più linguaggi di manifestazione”. Così, nei siti web, incontriamo non solamente testo
verbale, ma immagini, filmati, suoni, ecc.
10
Cfr. Cosenza (2004, §2.2.6 e cap. 3) e l’articolo di Simone Diamanti in questo volume.
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b) il livello visivo: può riguardare sia l’aspetto figurativo che l’aspetto plastico del sito;11
c) il livello pragmatico: riguarda ciò che si può “fare” con il sito; un’analisi dell’aspetto pragmatico prevede, ad esempio, una classificazione
del tipo dei link presenti e delle azioni che permettono;12 a questo livello dovrebbe avvenire anche l’analisi della struttura del sito, visto che
da essa dipendono le pratiche concrete di navigazione.
Ciò non significa, ovviamente, che non possano essere rilevati altri livelli. Potremmo ad esempio incontrare un sito in cui sia presente anche
un livello sonoro (effetti legati a determinate operazioni dell’utente, musica di sottofondo, testo verbale orale, ecc.).
Non bisogna poi dimenticare che una così netta distinzione fra i diversi livelli è possibile, il più delle volte, solo teoricamente. Molto spesso, infatti, ci troviamo alle prese con oggetti in cui determinati effetti di senso
possono essere spiegati solo alla luce di una stretta interazione fra i diversi linguaggi in gioco. Pensiamo, ad esempio, all’uso dei font: l’effetto di
senso complessivo di un testo scritto non dipende sempre solo dal contenuto verbale, ma spesso anche dal particolare tipo di carattere usato, che
andrà analizzato dal punto di vista plastico.
2. I portali
2.1. Portali e rimediazione
I portali rappresentano sicuramente il genere di siti web oggi più riconoscibile e assestato; d’altra parte l’esistenza di un termine ad hoc per indicarli ne è la prova migliore.
Nati intorno al 1997, i portali avevano inizialmente la funzione di punti di accesso (gateways) alla rete: l’utente si connetteva al portale e da questo veniva rinviato, attraverso rubriche e link, al sito più adatto a soddisfare le sue esigenze. Con il passare del tempo i portali sono diventati
sempre più importanti e ricchi di informazioni e servizi e, ormai, non sono più semplici punti di accesso, ma centri che attirano e trattengono
grandi quantità di traffico, e sui quali l’utente tende a rimanere per la
maggior parte della sua navigazione.13
I portali propriamente detti sono quelli orizzontali, cioè quelli che, come la televisione generalista, affrontano diverse tematiche e si rivolgono a
11
Secondo Greimas (1984) la semiotica figurativa si interessa del riconoscimento di oggetti del mondo reale a partire da determinate configurazioni visive, mentre la semiotica plastica (disinteressandosi di ogni rappresentatività) spiega la significazione di linee, colori, ecc.
12
Cfr. Zinna (2002b).
13
Cfr. Ferraro (1999: 148 sgg.), Rozanski e Bollman (2001).
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un pubblico il più vasto possibile. Esistono però anche portali verticali (o
vortali), che sono invece dedicati a un pubblico di nicchia e si occupano di
argomenti specifici. Al di là di questa distinzione, comunque, tutti i portali tendono ad avere caratteristiche comuni, che ci aiutano a definire il genere. Calvo et al. (2001) hanno identificato una serie di elementi ricorrenti: strumenti di ricerca, canali, risorse di contenuto e di attualità informativa, servizi orientati al consumatore, strumenti di comunicazione e di utilità personale, sistemi di accesso multicanale, sistemi di personalizzazione.
Analisi come quella di Calvo et al. (2001) (per altro molto utili) tendono però a concentrarsi sui contenuti o su quello che abbiamo chiamato livello pragmatico, trascurando altri aspetti altrettanto interessanti.
L’interfaccia, ad esempio, contribuisce profondamente alla strategia comunicativa dei siti. Il modello dei portali, in particolar modo, si è diffuso
anche al di là dei confini originari del genere, includendo oggi siti che, pur
mancando a volte di alcune delle caratteristiche sopra elencate, dei portali condividono la struttura e, quindi, le strategie e gli effetti di senso.
Una delle caratteristiche più interessanti delle interfacce dei portali è la
loro frequente analogia (visiva e funzionale) con le prime pagine dei quotidiani.14 A livello topologico, ad esempio, incontriamo molto spesso la
stessa struttura, tipicamente rettilinea (cioè organizzata su opposizioni
del tipo alto/basso e destra/sinistra), e organizzata in tre fasce orizzontali, con quella centrale ulteriormente divisa in tre colonne verticali.15
Questa analogia visiva fa parte del processo che Bolter e Grusin (1999)
chiamano rimediazione. Si ha rimediazione quando un nuovo medium
“rimedia”, cioè recupera e riutilizza, alcuni aspetti di altri media. In questo senso, ad esempio, si può dire che la televisione degli anni ’50 ha rimediato soprattutto il teatro e la radio, prima di sviluppare pienamente,
e consapevolmente, un linguaggio proprio. Spesso la rimediazione favorisce la metabolizzazione di un medium, cioè la sua diffusione presso un
pubblico che, trovando elementi di somiglianza con ciò che è già familiare, accetta più facilmente la novità.
La questione della rimediazione è centrale per la comprensione delle
dinamiche mediali, soprattutto per quanto riguarda il Web. Non è però
l’oggetto centrale di questo lavoro. Per quanto ci riguarda possiamo solamente sottolineare come sarebbe interessante studiare i siti web anche in
base al loro grado di rimediazione. In questo senso si andrebbe da un
estremo, rappresentato dalla semplice riproposizione on-line di materiale sviluppato per altri media, a siti che invece usano più propriamente le
peculiarità di Internet.
14
Cfr. Polidoro (2002).
La semiotica plastica usa le categorie cromatiche (tono, saturazione, luminosità) per l’analisi del colore, le categorie eidetiche (continuo/discontinuo, dritto/curvo, ecc.) per l’analisi delle linee e delle forme, e le categorie topologiche per l’analisi della disposizione spaziale. Queste ultime possono essere rettilinee (ad esempio, alto/basso, destra/sinistra) o curvilinee (es. inglobante/inglobato, centrale/periferico). Cfr. Thürlemann (1982).
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2.2. Ipermediazione e opacità
Oltre alla rimediazione, Bolter e Grusin (1999) citano un altro tipo di
fenomeno mediale, quello dell’ipermediazione che, per quanto riguarda i
computer, viene esemplificato dal cosiddetto “stile a finestre”.
L’ipermediazione è uno stile che favorisce la frammentazione, l’eterogeneità e mette in evidenza il processo o la performance comunicativa; in altre parole consiste nel mettere in evidenza il carattere “mediato” di un determinato testo. In termini semiotici potremmo dire che quello che Bolter
e Grusin chiamano rimediazione è un fenomeno legato alla presenza di
tracce dell’enunciazione all’interno del testo. Fenomeno che può andare
dalla presenza ineliminabile di queste tracce (dovuta al fatto che il testo è
comunque il risultato di una enunciazione) allo loro volontaria moltiplicazione (lo “stile a finestre”, appunto).
Il concetto di ipermediazione è molto simile a quello di opacità usato
da Louis Marin (1994) nell’ambito della semiotica visiva (e non a caso
anche Bolter e Grusin parlano di trasparenza e di opacità). Secondo
Marin in un’immagine dobbiamo riconoscere due aspetti: la transitività
o trasparenza, per cui l’immagine rappresenta qualcosa, e la riflessività
o opacità, per cui l’immagine si presenta come rappresentante qualcosa.
Il che significa che un’immagine (ma qualunque segno in generale) non
solo rappresenta qualcosa (e quindi in un certo senso rinvia la nostra attenzione su quel qualcosa), ma “dice” anche di essere un’immagine, sottolinea la sua natura segnica, artificiale (in quanto segno prodotto dall’uomo). Allo stesso modo Eco (1997), estendendo il discorso a ogni tipo di testo, oppone due principali modalità percettive, chiamandole
Alfa e Beta.
È per modalità Alfa che si percepisce un quadro (o una foto, o un’immagine filmica, si veda la reazione dei primi spettatori dei Lumières alla proiezione dell’arrivo di un treno in stazione) come se fosse la “scena” stessa. Solo a una seconda
riflessione si stabilisce di trovarsi di fronte a una funzione segnica [...]. Definiamo
come modalità Alfa quella per cui, prima ancora di decidere che ci si trova davanti
all’espressione di una funzione segnica, si percepisce per stimoli surrogati quell’oggetto o quella scena che poi eleggeremo a piano dell’espressione di una funzione segnica. Definiamo come modalità Beta quella per cui, onde percepire il
piano dell’espressione di funzioni segniche, occorre innanzitutto ipotizzare che di
espressione si tratti, e l’ipotesi che esse siano tali ne orienta la percezione. (Eco
1997: 336-337)
I portali sono caratterizzati da una forte presenza di elementi che mettono in evidenza la loro opacità: i sistemi di cornici, che chiudono i singoli testi integrandoli nel macrotesto e rappresentano la prima chiara
traccia dell’enunciazione avvenuta; lo sfondo bianco, “residuo” dell’enunciazione; l’uso prevalente del linguaggio verbale (il più convenzionale e “artificiale” dei linguaggi), ecc. Questo fatto determina conseguenze
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molto importanti per il tipo di strategia comunicativa sviluppato da questi siti.
Eric Landowski (1989) ha messo in evidenza l’esistenza di due esigenze diverse da parte dei quotidiani: da una parte quella di raccontare i fatti che avvengono nel mondo, dall’altra quella di creare un discorso riconoscibile, che permetta di costruire un’identità della testata e di fidelizzare i lettori. Landowski parla, nel primo caso, di racconto, mentre per il secondo usa il termine discorso. Successivamente confronta i due giornali
francesi “Le Monde” e “Libération”, caratterizzati, rispettivamente, da
uno stile oggettivante (riferimento ai fatti, posizione di distacco del lettore, ecc.) e da uno stile soggettivante (focalizzazione sull’intimo, discorso
passionale, ecc.).
Landowski sembra dire che le due opposizioni (racconto/discorso e
oggettivante/soggettivante) si sovrappongono o, addirittura, coincidono.
In realtà, però, si tratta di due fenomeni abbastanza diversi. Nel primo caso, infatti, è in gioco (per quanto riguarda il discorso) la costruzione di
un’identità della testata, di un soggetto dell’enunciazione che vuole rendersi visibile e riconoscibile (pena il fallimento di qualunque tentativo di
fidelizzazione). Una scelta che, per i quotidiani (che hanno cadenza periodica), appare obbligata. Nel secondo caso (oggettivante/soggettivante)
abbiamo invece a che fare con due diversi tipi di stili comunicativi, che
vanno a caratterizzare in maniera differente il soggetto dell’enunciazione.
Se ora torniamo ai portali sembra evidente che la loro opacità, mettendone in evidenza il carattere mediato, artificiale, è funzionale all’emergere di un soggetto dell’enunciazione (la testata) che si pone come diaframma e intermediario fra noi e il mondo esterno. Vedremo successivamente
come questa scelta, contrariamente a quanto avviene per i quotidiani, non
è affatto obbligata per i siti web.
È importante inoltre sottolineare come questi effetti di senso non dipendano tanto da singoli meccanismi enunciativi, ma da una differenza di
modalità percettive (Alfa/Beta) e si collochino quindi, in un certo senso,
a monte di una teoria dell’enunciazione. Tanto che all’interno di un testo
opaco saranno possibili diverse scelte enunciative, che potranno puntare
su uno stile oggettivante o soggettivante (per esempio, scegliendo débrayages enunciativi piuttosto che enunciazionali). Il che non toglie, d’altra parte, che certe associazioni stabili possano realizzarsi e, per esempio,
i portali di informazione tendano a scegliere costantemente strategie oggettivanti.
2.3. Ipermediazione e “posizione di controllo”
C’è un altro aspetto dell’ipermediazione che può essere utile per comprendere la natura dei portali. Secondo Bolter e Grusin l’ipermediazione
conduce, per quanto possa sembrare paradossale, a una sorta di effetto
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realistico. Non, ovviamente, nello stesso senso in cui un effetto di realtà
viene garantito dalla dimensione di trasparenza di un’immagine. Ma nel
senso in cui la “logica dell’ipermediazione moltiplica i segni della mediazione e in questo modo cerca di riprodurre la ricchezza sensoriale dell’esperienza umana” (Bolter e Grusin 1999, tr.it.: 59). Più chiaramente
Bolter e Grusin tornano sull’argomento parlando dei telegiornali:
Dal momento che i telegiornali vogliono proporre il maggior numero di notizie
nel minor tempo possibile, essi tendono a riempire lo schermo, evidenziando il
potere della televisione di cogliere gli eventi. Questo atteggiamento porta a quello che può essere chiamato “look CNN”, nel quale l’immagine televisiva del conduttore è coordinata con la grafica e con una molteplicità di sottotitoli che integrano il flusso informativo, così che l’emittente broadcast somiglia sempre di più
a un sito web o a un’applicazione multimediale. (Bolter e Grusin 1999, tr.it.: 222)
La questione è però più complessa di quanto prospettato da Bolter e
Grusin. L’effetto, infatti, non sembra tanto quello del realismo, inteso come sensazione di partecipare direttamente alle cose (senza mediazione,
appunto). Né si esaurisce nell’esaltazione metalinguistica del potere della
televisione. Si potrebbe piuttosto parlare di un effetto di “centralità” dell’utente.
È inutile sottolineare quanto la performanza16 sia importante nella nostra esistenza e quanto, presa in sé, sia legata a una valorizzazione euforica. Sia che ciò dipenda da una naturale disposizione dell’uomo, sia che dipenda dal sistema di valori della nostra cultura, viviamo innegabilmente
il fascino dell’azione e degli eventi, ed essere coinvolti in essi produce inevitabilmente un piacere.
Le società contemporanee hanno però conosciuto una notevole rivoluzione tecnologica, che ha aumentato incredibilmente le possibilità di comunicazione e di reperimento dell’informazione. Se prima, nella maggior
parte dei casi, la nostra conoscenza si estendeva raramente al di là del nostro raggio d’azione, oggi possiamo controllare in tempo reale, almeno
potenzialmente, ciò che accade in tutto il mondo. Disponiamo, insomma,
di potenti protesi cognitive (che aumentano le nostre possibilità di conoscenza), ma non di protesi pragmatiche.
Contemporaneamente, è cresciuto e si è affiancato al fascino dell’azione il fascino della “posizione di controllo”. In termini narrativi potremmo dire che oggi l’eroe non è necessariamente chi compie l’azione, ma
può essere (ed è sempre di più) chi detiene un sapere, compie la manipo16
La performanza rappresenta, nello schema narrativo canonico (cioè la struttura di base di qualsiasi narrazione, secondo Greimas), la fase dell’azione, del superamento della prova. Essa è preceduta dalla manipolazione (in cui un Destinante convince o obbliga l’eroe a
compiere la sua impresa) e dalla competenza (in cui l’eroe deve acquisire le conoscenze e i
mezzi necessari per superare la prova). L’ultima fase è quella della sanzione, in cui l’operato
dell’eroe viene riconosciuto (e premiato) oppure no.
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lazione e opera secondo il far-fare. Pensiamo ai film di guerra. Una volta
erano prevalentemente dedicati alla pura performanza: lo scontro, individuale o collettivo. Oggi, sempre di più, lo scontro non è più l’elemento
centrale: alcune volte è marginale o addirittura assente. E viene sostituito
dall’immagine ricorrente della postazione di controllo, tecnologicamente
avanzata, dalla quale si conduce la battaglia (una battaglia molto più modellata sull’idea del calcolo strategico che non su quella del puro scontro
di forze).
La moltiplicazione delle finestre o dei riquadri che contengono i continui lanci di agenzia o le numerose notizie provenienti da diverse parti
del mondo non danno (non potrebbero farlo) un effetto di realtà legato
all’illusione di assistere direttamente agli eventi. Danno, però, un effetto di centralità, l’illusione di trovarsi in quella postazione di controllo
che oggi ha su di noi un fascino maggiore di quello del campo di battaglia.
3. I siti “trasparenti”
Se, come abbiamo visto, i portali si distinguono per la loro opacità,
molti siti seguono strategie visive opposte, caratterizzandosi per la loro
trasparenza (per la loro immediatezza, direbbero Bolter e Grusin). Ciò significa che, mentre nei portali si procedeva alla moltiplicazione delle tracce dell’enunciazione, in questi siti, che potremmo definire “trasparenti”,
si assiste alla loro rimozione, al loro occultamento.
Se, ad esempio, lo sfondo bianco rappresentava il tipico “residuo” dell’enunciazione (ciò che rimane del supporto dopo che l’enunciazione è
avvenuta, smascherandola), i siti trasparenti sono caratterizzati da meccanismi figurativi e plastici come chiaroscuri, scorci prospettici, livelli semi-trasparenti sovrapposti, ecc., che contribuiscono a creare effetti di
profondità. I colori diventano irregolari, compaiono le sfumature, le linee
non sono più rettilinee e perfettamente definite. Lo spazio non è più di tipo cartesiano (artificiale), basato su opposizioni alto/basso e destra/sinistra, ma diventa uno spazio curvilineo, cioè costruito su opposizioni come inglobante/inglobato, centrale/periferico: uno spazio molto
più naturale e vicino al modo in cui organizziamo l’ambiente che ci circonda.
Con la rimozione delle tracce del suo operare, scompare (o comunque
diventa meno evidente) anche il soggetto dell’enunciazione: viene così eliminato un diaframma che si poneva esplicitamente fra l’utente e l’oggetto della comunicazione. L’effetto che ne deriva è quello di una maggiore
immediatezza del rapporto, della costruzione di una comunicazione paritetica, o almeno della creazione di uno spazio che la favorisca e la suggerisca.
Non a caso, queste caratteristiche si trovano spesso nei siti di rockstar,
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showgirl o attori: siti dedicati ai fan che, più che informazioni, cercano un
contatto (anche se illusorio) con i loro divi.17 È naturale quindi che i siti
trasparenti siano quasi sempre caratterizzati da strategie soggettivanti,
che rafforzano con diversi meccanismi (per esempio i débrayages enunciazionali) l’effetto di coinvolgimento e di simmetria del rapporto comunicativo.
È possibile riassumere in una tabella le caratteristiche principali che
oppongono i portali ai siti trasparenti:18
Portali
riflessività
(opacità, modalità Beta)
strategia
oggettivante
categorie topologiche rettilinee
categorie eidetiche
dritto
categorie cromatiche radicali,
saturazione piena
sfondo
bianco
dimensione
testo
scritto; débrayage
enunciativo
Siti “trasparenti”
transitività
(trasparenza, modalità Alfa)
soggettivante
curvilinee
curvo
colori complessi,
diverse saturazioni
livelli trasparenti e
sovrapposti, effetti prospettici
audio; débrayage enunciazionale
Dal punto di vista teorico è importante sottolineare come l’opposizione
fra portali e siti trasparenti non sia riconducibile esclusivamente, per usare
i termini peirciani, all’opposizione fra la dimensione simbolica e quella iconica (cioè, ad esempio, alla differenza fra una pagina scritta e la fotografia
di uno spazio). Questo è il motivo per cui la strategia dell’interazione può
fare a meno dei siti 3D, che non esauriscono affatto il campo dei siti trasparenti. I fattori coinvolti sono numerosi e possono anche non essere presenti contemporaneamente. Come abbiamo visto, alcuni meccanismi
(chiaroscuri, effetti prospettici, ecc.), anche se svincolati dalla pura rappresentazione di oggetti del mondo reale, attivano comunque meccanismi
tipici del riconoscimento e appartengono quindi alla semiotica figurativa.
Ma la cosa interessante è che anche il livello plastico svolge un ruolo
importante. L’effetto soggettivante, la costruzione di uno spazio dell’interazione, dipende anche da fattori (organizzazione topologica, valori eidetici, ecc.) che appartengono alla sfera della semiotica plastica. Questo
collegamento potrebbe dipendere da analogie o comunanze fra alcuni
17
È evidente che in questo caso la scomparsa del soggetto dell’enunciazione non crea
problemi dal punto di vista della fidelizzazione. I siti trasparenti sono siti o progettati per
singole fruizioni oppure in cui la fidelizzazione è assicurata da altri meccanismi (il desiderio
di contatto con il divo, che diventa spesso il soggetto di un’enunciazione rappresentata all’interno del sito).
18
Per un approfondimento, cfr. Polidoro (2002).
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valori plastici e l’esperienza che abbiamo del mondo. In altre parole,
questo nesso potrebbe essere una testimonianza del rapporto (al di là
della giusta separazione metodologica) fra semiotica plastica e semiotica
figurativa.
4. Siti da navigare e siti da esplorare
4.1. Meccanismi metalinguistici
Possiamo infine identificare un altro gruppo di siti, caratterizzati dalla volontà di mettere alla prova e a volte di violare le norme che reggono
la comunicazione sul Web, dimostrandone la convenzionalità. Sono in
altre parole siti che fanno un discorso metalinguistico, mettendo in evidenza, e corrodendo, le regole principali (spesso inconsapevoli) dei linguaggi di Internet. A caratterizzare questi siti, quindi, non sono proprietà particolari, quanto piuttosto un atteggiamento generale. E, soprattutto, questi siti si distinguono per il loro target. I loro utenti fanno
spesso parte di un pubblico di nicchia, perché devono essere abbastanza competenti da poter comprendere e apprezzare i meccanismi che i siti propongono.19
Ovviamente anche in questo caso sono possibili diversi gradi. Ad
esempio, a un livello più semplice, abbiamo la ricontestualizzazione di
particolari elementi: è quello che accade ogni volta che in un sito i caratteri alfabetici sono usati non come grafemi, ma per comporre immagini di
vario tipo. Interessante è anche il caso dei meccanismi basati su metafore
più o meno catacresizzate. In molti siti le metafore relative al sito inteso
come luogo20 e, di conseguenza, all’“entrare nel sito” vengono rappresentate da home page in cui è raffigurata una porta, un’apertura in una superficie, un passaggio che consente di accedere “all’interno” del sito.21 Un
altro esempio di uso letterale di una metafora è quello che riguarda i font:
gli esperti di desktop publishing e di grafica ragionano spesso in termini di
“peso” dei testi scritti. Nel sito www.typeorganism.com si trova una divertente applicazione che permette di confrontare, con una vera e propria
19
Questi siti potrebbero essere paragonati, per certi aspetti, alla pubblicità obliqua di cui
parla Floch (1990), che è rivolta, non a caso, a un soggetto cognitivamente attivo e disposto
a fare inferenze. Cfr. anche la tipologia di utenti proposta da Ferraro nel suo contributo a
questo volume, e Cosenza (2004, §3.4.5).
20
Cfr. Volli (2003).
21
Cfr. ad esempio www.19760203.com, in cui vari personaggi, alternativamente, “sbirciano” nel sito guardando da un buco, o www.pepepue.com, sito organizzato come se fosse
una casa in cui si entra da un’apertura nel soffitto.
22
Typeorganism.com è ricco di esempi di questo tipo. D’altronde nella presentazione si
legge che è “a series of communication experiments exploring computation interactive design and interactive kinetic typography, based on the metaphorical notion of typography,
‘Type is a lifeform’ [...] Type is an organism”.
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bilancia, i “pesi” di due caratteri realizzati con font diversi.22
Altre volte, a essere messa in cortocircuito è l’opposizione trasparenza/opacità. Nel sito www.visualdrug.com, per esempio, accanto ad alcuni
elementi della pagina compaiono scritte che sembrano fatte a mano e servono a spiegare, come fossero appunti a margine, la loro funzione.23
In tutti questi casi abbiamo operazioni metalinguistiche locali, che mirano a risemantizzare elementi che altrimenti sono poco percepiti (come
i caratteri alfabetici), a mettere in crisi metafore catacresizzate (e quindi
considerate “naturali”), a evidenziare l’opposizione di diverse modalità
percettive. L’effetto è di straniamento e ci induce a riflettere su alcune
convenzioni che vigono sul Web.
Un caso esemplare in tal senso è Yugop.com, il sito di Monocrafts, una
delle più importanti società di grafica per il Web. Daniele Barbieri (2002)
lo ha analizzato approfonditamente, mettendo in evidenza i meccanismi
di risemantizzazione attivati dalle animazioni di Yugop.com, in cui, ad
esempio, tipici elementi informatici astratti (stringhe alfanumeriche, liste
strutturate, organigrammi, ecc.) sono manipolati come fossero oggetti naturali, dotati di peso, inerzia, ecc. Ma l’aspetto più interessante di
Yugop.com è probabilmente il suo violare costantemente e volutamente
le regole fondamentali della Web usability. Laddove di solito si cerca di
rendere più rapidi i tempi di navigazione, ad esempio, Yugop.com costringe l’utente ad aspettare, lanciandogli una sorta di sfida e scommettendo sulla propria capacità di appassionarlo.
4.2. Notwist.com
Alcuni di questi meccanismi si trovano anche in un altro sito molto interessante, quello del gruppo musicale tedesco dei Notwist
(www.notwist.com). Anche qui incontriamo risemantizzazioni e giochi
metalinguistici, che prendono di mira sia elementi generali (come nell’uso grafico dei caratteri alfabetici sullo sfondo), sia convenzioni e oggetti
tipici di quel sotto-genere web costituito dai siti dei gruppi musicali.
Così, ad esempio, in quasi tutti i siti di questo genere si trova un mixer
23
Parlo di cortocircuito fra trasparenza e opacità anche se la home page di
Visualdrug.com è una tradizionale pagina “opaca”, perché l’aggiunta delle scritte sembra
suggerire la possibilità di un intervento diretto sulla pagina stessa, cosa che, rispetto alla logica generale del Web (che in questo è vicina a quella della televisione e diversa da quella del
libro), rappresenta comunque un aumento di trasparenza. È lo stesso meccanismo (cfr.
Polidoro 2002) per cui, nel sito 3D www.gorillaz.com, quando si deve tornare al linguaggio
verbale per raccontare la storia del gruppo musicale, lo si fa aprendo non una pagina tradizionale quasi completamente testuale, ma l’immagine di un libricino. L’effetto di senso in
termini di opacità/trasparenza cambia radicalmente: non ho un medium opaco che mi presenta un testo verbale, ma visualizzo (in maniera trasparente) un oggetto del mondo reale.
Che poi questo oggetto sia un testo scritto è un altro discorso.
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che presenta diverse tracce audio (strumentali o vocali) provenienti da
pezzi dell’autore o del gruppo. Noi possiamo scegliere quali tracce usare
e controllare il volume, in modo da creare (a partire dai materiali già dati) un nostro motivo. Molto spesso si finisce per formare pezzi dissonanti
e traballanti (volontariamente o no).
Il sito dei Notwist non può non possedere uno strumento del genere.
Solo che in questo sito non si tratta di un mixer vero e proprio: è un “confuser”. Anche qui abbiamo campionature, ma molte sono poco riconoscibili o corrispondono a “rumori”, più che a melodie o armonie. Inoltre,
l’interfaccia del confuser è tutt’altro che tradizionale. Non ci sono più le
manopole da spingere avanti o indietro, i pulsanti da premere, ecc. C’è solo uno sfondo confuso, e per attivare le campionature bisogna cliccare in
punti diversi della finestra (non sappiamo quali, ovviamente), mentre il livello del volume dipende dal punto in cui si trova il mouse.
Il confuser è uno strumento di una complessità (anche d’analisi) notevole. Il risultato però è molto interessante: la dissonanza non è più un effetto indesiderato (e quasi sempre scontato) del mixer, ma diventa una
condizione ineliminabile. Anzi, lo scopo del confuser è proprio quello di
trovare belle dissonanze (ossimoro non più scandaloso). Magari per accorgersi che ciò che ne deriva non è solo un suono, ma un testo sincretico fatto di grafica (lo sfondo), suoni e movimenti della nostra mano. Il linguaggio visivo e quello gestuale cessano di essere puri strumenti finalizzati alla creazione di un testo sonoro, ma diventano parte integrante di
una composizione, di un tentativo di opera d’arte totale.
Il confuser è basato su una doppia riflessione metalinguistica. Una,
quella che emerge da quanto abbiamo appena detto, riguarda più direttamente la musica. L’altra riguarda invece il Web. Uno strumento tipico
dei siti di gruppi musicali viene ripreso e i suoi difetti sono portati alle
estreme conseguenze, e trasformati in punti di forza, in nuove occasioni
per riconsiderare le funzionalità di un sito o ripensare l’idea che abbiamo
della musica.
Come Yugop.com, però, Notwist.com non si ferma a questo, ma attacca direttamente alcune regole di base della progettazione e navigazione
dei siti. Se, infatti, la massima fondamentale della Web usability è quella
della chiarezza, cioè della necessità di creare un’interfaccia intuitiva, in
cui la funzione dei singoli elementi sia facilmente riconoscibile e in cui sia
sempre chiaro dove ci si trova e dove conducono i link, qui accade esattamente il contrario. Solo dopo un po’ si comprende che il menu non è
(come sembrava) assente, ma è stato trasformato in quel rizoma di caselline che galleggia sullo sfondo. Quando si passa su uno dei link lo schermo si copre di scritte scomposte ed enigmatiche.
Servono diversi tentativi per capire che il menu non si limita a infrangere le tradizionali regole della chiarezza, ma ne fonda delle altre.
Andando sulle singole voci, infatti, otteniamo sempre due indicazioni aggiuntive: la prima indica il tipo di file che troveremo (“img” per le imma-
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gini, “txt” per i testi, “mov” per i filmati, ecc.), la seconda ci suggerisce
cosa troveremo, anche se simula un “rumore” che disturba e deteriora il
testo verbale (quasi come alcune sonorità utilizzate dai Notwist disturbano le loro canzoni). Così, ad esempio, “discogrXXXXX” ci porta alla discografia, mentre “lirxxxxxx” è la trascrizione di “lirics”.
Ma Notwist.com va oltre. Clicchiamo, ad esempio, su “000**!1.not”.
Si apre una finestra con il tipico gioco “unisci i puntini”. Semplice intrattenimento? Vediamo. Se completiamo l’immagine, compare sullo sfondo
la foto di uno dei componenti del gruppo e parte un loop sonoro. Ma, soprattutto, si apre una nuova finestra, con un nuovo “unisci i puntini”.
Stessa storia: se finiamo appare un altro componente del gruppo, inizia
un secondo loop che si sovrappone al primo e si apre una terza finestra. A
questo punto il gioco è chiaro: la terza finestra introduce la voce del cantante e la quarta chiude la serie con la batteria.
Il meccanismo ci sorprende continuamente. Scopriamo, dietro a quello che pensavamo un semplice gioco enigmistico, una serie che ci permette di conoscere tutti i membri del gruppo. Non solo, a ogni foto corrisponde un suono. I Notwist continuano a giocare con le sonorità, a fare discorsi metalinguistici.
Ma il nostro “unisci i puntini” non si ferma qui. Quando abbiamo finito il percorso e tutte le sonorità sono state attivate, ecco che si apre una
nuova finestra, più grande. È una finestra in cui compare la cronologia del
gruppo. La cronologia è una sezione sempre presente nei siti musicali e
spesso è la prima cosa che si nota. Nell’alternativo sito dei Notwist sembrava inesistente. Ma bisognava (come nel caso delle voci del menu) solamente cercare. Ed è interessante notare come il meccanismo usato non
sia molto diverso da quello di un videogioco adventure: abbiamo esplorato il sito, abbiamo dovuto superare alcune prove (unire i puntini) e alla fine abbiamo ottenuto la nostra ricompensa.
4.3. Navigazione vs. esplorazione e logica dell’adventure
A questo punto possiamo chiederci: cosa sta facendo Notwist.com, a che
gioco ci sta facendo giocare? Il contratto su cui si regge la comunicazione fra
enunciatore ed enunciatario non è quello di un normale sito Internet. Ed è
chiaro fin dall’inizio: l’aspetto del sito (tricromia, sfondo, ecc.) ne evidenzia
immediatamente l’atipicità. Ma in cosa consiste questa atipicità?
Normalmente il termine che viene usato per indicare la fruizione del
Web è navigazione. Ma, almeno in una delle sue accezioni, la navigazione
è l’insieme “dei metodi e dei procedimenti di calcolo che l’equipaggio a
bordo di un natante o di un aereo deve attuare sulla base di informazioni
24
Le definizioni sono tratte dal Grande dizionario della lingua italiana Utet.
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e riferimenti esterni per raggiungere il punto prestabilito seguendo vie
non tracciate in un mezzo fluido o nell’aria”.24 La navigazione, in questo
senso, richiede una mappa, che ci faccia sempre sapere dove ci troviamo
e dove arriveremo seguendo un certo percorso. In un sito abbiamo solitamente una serie di informazioni di questo tipo e, soprattutto, un menu.
Ma Notwist.com, chiaramente, non ragiona secondo questa logica. Il termine adatto per questo tipo di attività è esplorazione: “viaggio, spedizione collettiva, per terra o per mare, verso territori sconosciuti o selvaggi,
lontani da quelli in cui l’uomo ha scelto la sua sede, per conoscerli, studiarli e descriverli (ed eventualmente farne oggetto di conquista politica
o economica o di espansione demografica)”.
L’utente che si trova di fronte a Notwist.com, quindi, deve esplorare il
sito. Inizialmente è smarrito, non ha punti di riferimento. Deve procedere a tentoni, cercando di dare un senso a ciò che apparentemente non ne
ha. Tutte le convenzioni della Web usability (e non solo quelle) sono chiaramente infrante. Ma questo non significa che non ne vengano poste altre: la regola che ci permette di inferire a cosa portano le voci del menu,
il meccanismo per cui solo finendo determinati giochi riesco a ottenere ulteriori informazioni, ecc., sono le nuove regole che Notwist.com ci invita
a scoprire.
A ben guardare è l’intera struttura del sito a essere molto simile a quella di un adventure. In termini di schema narrativo abbiamo una iniziale fase di manipolazione (quella reale fra produttore del gioco, che promette
divertimento, e giocatore, e spesso quella rappresentata nella introduzione audiovisiva del sito), la competenza, la performanza e, infine, la sanzione (il raggiungimento del premio finale e il divertimento del giocatore). Solo che, rispetto a una normale narrazione, spesso negli adventures
la fase della competenza si dilata a dismisura. Soprattutto nei cosiddetti
puzzle games il fulcro del gioco è la soluzione di complicati enigmi, in cui
la performanza (manipolazione di macchinari, composizione di oggetti,
realizzazione di marchingegni, ecc.) è solo la parte finale di un lungo processo cognitivo. Il giocatore deve esplorare, osservare e, soprattutto, riflettere per poter raggiungere un saper fare.
È la stessa cosa che accade con l’“unisci i puntini” o con il “memory”
di Notwist.com. Ma, a livello più generale, è la stessa struttura che regge l’intero sito. Dopo la fase di manipolazione (quella in cui è instaurato il contratto-sfida fra enunciatore ed enunciatario), l’attenzione dell’utente di fronte all’apparente caos del sito è rivolta a comprendere
quali siano le regole che lo reggono e che gli permetteranno una piena
fruizione.
5. Conclusioni
Internet è relativamente giovane e non ha ancora avuto il tempo di ac-
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quisire un assetto stabile e definito. Ciò nonostante, alcune tipologie di siti cominciano a essere riconoscibili, sia perché i modelli più efficaci vengono imitati, sia perché alcune scelte sono quasi obbligate.25 Oggi il portale è sicuramente il caso di maggior successo e ha assorbito progressivamente altri tipi di siti. Mostra caratteristiche strutturali e tematiche abbastanza stabili, tanto da poter essere considerato un vero e proprio genere.
In altri casi, invece, non si può parlare di generi, ma piuttosto di meccanismi che sviluppano effetti di senso più o meno stabili. Così la trasparenza è più una dimensione generale, che può essere impiegata in diverse
situazioni. I siti dei gruppi musicali, ad esempio, costituiscono un piccolo genere trasversale, caratterizzato da certe costanze (soprattutto tematiche) e potrebbero essere realizzati usando strategie visive basate sulla trasparenza (favorendo l’interazione) o sull’opacità (ricadendo quindi, come
specie, all’interno del genere portale). D’altronde la teoria letteraria ci ha
insegnato, come abbiamo visto, che i generi sono solo tipologie, più o meno assestate, che possono ricombinarsi, mischiarsi, scomparire.
Tutto ciò suggerisce una pratica d’analisi molto flessibile, che tenda ad
affrontare l’oggetto da diversi punti di vista, applicando localmente strumenti d’indagine eterogenei e ricostruendo, di volta in volta, il senso che
emerge dai diversi meccanismi di significazione presenti.26
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25
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26
Approfondimenti su questi temi e materiali d’analisi sono disponibili all’indirizzo: digilander.liberol.it/pieropolidoro.
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