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«PANDORA»
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Della stessa autrice
(anche in ebook)
La trilogia delle stanze
Stanza nr 1. Trovami
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emma mars
scoprimi
stanza nr 2
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Traduzione di Marco Zonetti/Grandi & Associati
Hotelles - Chambre deux
Copyright © Emma Mars
© 2013 Sperling & Kupfer Editori S.p.A.
ISBN 978-88-200-5527-1
86-I-13
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il
prodotto dell’immaginazione dell’autrice o usati in chiave fittizia. Ogni rassomiglianza
con persone realmente esistenti o esistite, fatti o località è puramente casuale.
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Sapete, uno va da uno psichiatra e gli dice: «Dottore, mio fratello
è pazzo: crede di essere una gallina». E il dottore gli dice: «Perché
non lo interna?» E quello risponde: «E poi a me le uova chi me le
fa?» Be’ credo che corrisponda molto a quello che penso io dei
rapporti uomo/donna e cioè che sono assolutamente irrazionali,
e pazzi, e assurdi… Ma credo che continuino perché la maggior
parte di noi ha bisogno di uova.
Dal film Io e Annie di Woody Allen, 1977
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Parigi, primi di maggio 2010. Una camera d’albergo
a metà pomeriggio
Il nostro rifugio. La nostra casa.
Questo è diventata la stanza numero uno, la Joséphine,
dall’istante in cui mi ci sono rifugiata con addosso il mio abito
da sposa a brandelli. Quando Louis mi ha aperto le sue braccia.
Può aver perduto un po’ del suo smalto da quando siamo venuti
ad abitarci, sepolta sotto i vassoi di cibo e i vestiti spiegazzati,
ma emana anche un fascino più sottile, quello dei sospiri con cui
pervadiamo giorno dopo giorno lo spazio tra le mura, quello dei
gemiti che stillano a terra e popolano il parquet, armata effimera
e invisibile che siamo i soli a cogliere. In ogni caso, non autorizziamo nessuno a entrare.
Fuori, la primavera è al suo culmine. L’estate, poi l’autunno
e infine l’inverno si sono susseguiti come un sogno. Chiudere gli
occhi, riaprirli e... puf! Già finito. È passato quasi un intero anno
prima che osassimo andare a casa nostra, in rue de la Tour des
Dames. L’hôtel Mars sarà presto pronto, restaurato in maniera da
ridargli la sua aria romantica. Sono dieci anni che Louis attende
questo momento. È sempre in agitazione, scalpita e digrigna i
denti d’impazienza a ogni parola, a ogni gesto. Le mie carezze
fanno di tutto per raddolcirlo e placare la sua fretta. Preferisco
esacerbare i suoi sensi che irritare i suoi nervi.
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Da qui al giorno del trasloco ci godiamo le giornate di sole
attraverso le tende e le lenzuola, dove i raggi luminosi vengono a
snidarci. In tutti questi mesi ci siamo abituati l’uno all’altra come
due animali, come due bestie selvatiche, rannicchiati costantemente fianco a fianco. Ci siamo esplorati minuziosamente, avidi
di scoprire tutti i segreti disegni, le sensibilità e le delicatezze
di un corpo, di un sesso, di un’anima. Andiamo in giro nudi per
la stanza, e non siamo quasi mai usciti dall’albergo, se non per
la sepoltura di mia madre Maude e poco altro. È già tanto se a
volte apriamo l’unica finestra. Preferiamo godere dei nostri odori
mescolati, inebriarci della loro unione perfetta.
Eppure, non ho mai dimenticato David e le sue menzogne. Non
ho cancellato la mamma dalla memoria, né la sua intollerabile
agonia. Non mi sono svuotata dei ricordi, mi sono riempita di
Louis. Ha saturato ogni minimo spazio dentro di me. Ha conquistato tutto. Assoluta ebbrezza, assoluta dolcezza, assoluta voglia
di assoluto e di abbandono.
Oggi non saprei dire quanti ne abbiamo. E ancor meno in quale
dimensione vivano gli altri, giù di sotto, per la strada, coloro da
cui sono rimasta tagliata fuori per tutto questo tempo.
Nella nostra dimensione ogni cosa è dolce, carezzevole, smaltata d’amore, disturbata soltanto dai prosaici intermezzi delle
pietanze servite da Ysiam, malizioso complice della nostra gioia
ancora tanto giovane. Ogni raggio di luce chiede a gran voce di
rischiararci per l’eternità. E noi ci lasciamo cullare da quella
naturale benevolenza, indolenti, affamati della reciproca nudità.
Avvolta dal chiarore, mezzo addormentata, sento la mano di
Louis scivolarmi fra le cosce, serpe di desiderio pronta a mordermi,
e risalire verso l’origine della sua tentazione. La sfiora appena, e
io mi sento palpitare fra le gambe, che si divaricano lentamente
per un riflesso che lui accoglie con un sorriso soddisfatto. Tre
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dita solcano la mia fessura fino a raccoglierne la prima rugiada.
Attenderebbe, se non fossi pronta, ma io mi sento costantemente
disposta ad accoglierlo. Lui lo sa. Ne abusa, e io non smetto di
goderne e di chiamarlo dentro di me.
Gemo quel tanto che basta a farglielo capire. Mi sdraio sulla
schiena come una gatta per offrirgli una vista completa, scenografica, originale. Sono decisamente cambiata. Non temo più il
suo sguardo e mi ci abbandono senza un briciolo di ritegno. Non
importa la posizione, la luce o l’angolazione. Poco importano le
mie forme, cui i sonnellini e l’ozio hanno restituito le loro abbondanti rotondità. Non apro gli occhi. Poiché lui mi vuole adesso,
strappata al sonno, mi prenderà con indolenza, senz’altra vivacità
che quel molle abbandono. Le sue mani si posano dove il sole
mi ha già riscaldato la pelle, ornandola d’uno splendore setoso.
Quando sento la sua lingua posarsi sulla mia clitoride, è troppo
tardi per respingerlo. Ne ho solo voglia?
Non si applica come suo solito sul perimetro del mio organo
rosato. Preme la clitoride con la lingua di piatto, come per testare
l’elasticità di quella caramella bagnata d’umori zuccherati. Mi
piace questa novità. Amo che faccia dei tentativi, che riscriva le
nostre regole, che vi trasgredisca, che mi ami in maniera imprevedibile. Il confetto di carne si gonfia e freme. È avido. Ne vuole
di più. E anch’io. Gli imbratto le labbra dei miei succhi.
Alla cieca gli prendo il dito medio e me lo infilo dentro con
urgenza. Lui sembra sorpreso, dopodiché sta al gioco, descrivendo
grandi cerchi contro le mie pareti, che si contraggono, attraversate da spasmi, irradiate di piacere a venire. Quando spinge in
profondità l’ultima falange, la mia fica sboccia attorno al suo
pugno per accettarlo.
«Continua… dai, come…»
Non ho tempo di dire un’altra parola.
Il suo sesso ha occupato il posto a sua volta. Strizzo le palpebre in segno di riconoscenza. Attraverso le ciglia, immagino
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il suo torso alzarsi e scendere su di me. Mi sembra meno magro
del solito. Più muscoloso. Ma senza dubbio è un effetto dei miei
sensi intorpiditi, di quell’orgasmo che ribolle da qualche parte
nel profondo di me e mi avverte della sua carica definitiva, imminente. Il suo pene è meno preciso del suo dito, ma la maniera
in cui mi riempie soddisfa i miei desideri. Lo sento gonfiarsi a
una stoccata più violenta, che aspetta di tornare a ciascuna ritirata. I nostri corpi indolenti, caldi come pagnotte appena uscite
dal forno, si urtano al rallentatore. Non è una delle nostre grandi
cavalcate. È un amore denso e corroborante, in cui assaporiamo
coscientemente il nostro piacere a ogni boccone. Sesso vitale,
primordiale, nutritivo. Niente è troppo intenso per noi. E perciò
da noi s’irradia la dolcezza.
«Sto per venire…» dice sottolineando i suoi primi soprassalti.
«E allora vieni!»
Non appena si appresta a inondarmi, spalanco gli occhi. Voglio
contemplarlo nella sua integrità. Lasciare entrare in me il suo
sguardo, facendomi frugare dentro. Voglio accordare l’immagine e i suoni, e gli odori, e il contatto della sua pelle rovente che
imprime il suo desiderio su di me a ogni incontro con la mia.
Più che altro voglio leggere i pieni e i rilievi dei suoi muscoli
lunghi, sui quali si dipanano i suoi ultimi tatuaggi. La litania
del suo alfabeto vivente, di cui amo tanto veder ondeggiare gli
arabeschi tutt’attorno a me.
Ma non ne vedo… La sua spalla sinistra è intatta. Così come
l’interno delle sue braccia. Per poco non lo respingo, quando
infine mi appare il suo viso, solcato dal suo sorriso smagliante,
trionfante come sa di essere.
«David?»
Devo aver gridato in sordina, strappata al mio sogno.
Era decisamente la prima volta da mesi che sognavo David.
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Quell’improvvisa intrusione del fratello non stupì Louis. E non
ne parve contrariato. Mi prese fra le braccia e mi cullò per dissipare ciò che restava dell’incubo che riusciva a leggere nei miei
occhi increduli. Gli spettri del passato potevano anche aggirarsi
tutt’attorno a noi, la forza dei suoi baci non aveva più rivali. Aveva
trionfato senza dubbio e senza pari. Ero completamente sua. Chi
avrebbe potuto dubitarne?
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