Breve introduzione in pdf prof. Cocchiara

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Breve introduzione in pdf prof. Cocchiara
Politica, corpi e libertà femminile
Introduzione
Mai come in questo IV ciclo dei corsi “Donne, politica e istituzioni” si è associato al tema della presenza delle donne in politica quello della loro corporeità,
mai si è tanto insistito sul nesso tra corpo delle donne e libertà femminile.
Ne ha fatto cenno Antonella Cammarota nelle sue lezioni; lo ha posto in
evidenza Daniela Novarese presentando il volume Donne diritti democrazia;
in modo più esplicito e drammatico i corpi delle donne e la loro libertà sono
stati ‘protagonisti e interpreti’ del film Mooladè e del successivo dibattito come pure del seminario tenuto da Deborah Scolart su Donne e islam. L’incontro dedicato al tema Politica, corpi e libertà femminile, in cui Carmen Trimarchi ha ‘raccontato’ la storia del parto cesareo e Luisa Barbaro quella dei consultori familiari e, infine, l’incontro-dibattito su La violenza di genere, sia
quella subita dalle donne che quella connessa al diverso orientamento sessuale, hanno tentato di “chiudere il cerchio”, di porre al centro della scena un coro
di voci diverse, non necessariamente armoniose, anzi, sgraziate come tutte le
voci che urlano di dolore, ma convergenti verso l’obiettivo di rappresentare il
valore simbolico attribuito al controllo sui corpi e sulla sessualità delle donne.
Un controllo esercitato ancora oggi in varie parti del mondo e in modi differenti, ma cui è sotteso un comune disegno politico, che considera una minaccia «l’irruzione della donna nello spazio pubblico», visto che rimette in
discussione «l’ordine simbolico», visto che trasgredisce gli assetti consolidati
di una politica che teme l’autonomia delle donne comunque essa si manifesti,
perché chi ha il pieno controllo di sé, chi è libero non sopporta alcuna forma
di subordinazione, sul proprio corpo come sul proprio pensiero. È sul filo di
tali considerazioni che Giuliana Sgrena1 spiega il senso dell’obbligatorietà
del velo, infondatamente rinvenuta nei testi sacri dell’islam e, in definitiva,
funzionale a questo tipo di disegno politico.
Una delle corsiste del IV ciclo mi ha detto: «Parliamo di tante cose interessanti, ma per poco tempo: poi le lasciamo in sospeso». È vero: l’idea di base, in
corsi come questo, è di sollecitare alla riflessione offrendo spunti, provocazioni, ma anche racconti, notizie, storie poco conosciute che, senza pretesa di esaustività e poste le une accanto alle altre, diano nel loro complesso la dimensione di certi problemi e una chiave di lettura ulteriore per comprenderli. In
questa prospettiva, si è parlato dei corpi delle donne e delle scelte fatte su di es1
G. SGRENA, Il prezzo del velo. La guerra dell’islam contro le donne, Milano, Feltrinelli,
2008.
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si, in tempi e latitudini diverse; decisioni che certa politica tenta ancora di prendere a discapito dell’autonomia femminile, e ci riesce pure quando le donne
non fanno sentire la loro voce, non difendono i diritti da altre conquistati perché
magari non li conoscono nemmeno o non hanno chiara la dimensione del loro
valore. Ecco un motivo in più per parlare di questi temi.
Nel 1990 Paola Di Cori, intervenendo al Seminario “La sfera pubblica
femminile” organizzato dal gruppo di lavoro sulla “storia delle donne” del
Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna, invitava a
prestare maggiore attenzione alla «evidente connotazione fisica e corporea
che ha tradizionalmente contraddistinto la storia dei rapporti che le donne stabiliscono con l’arena politica […] sul rapporto tra corpo sessuato e potere politico»2. Una relazione antica, ripresa dai teorici dello Stato moderno ed eccezionalmente raffigurata nel frontespizio della prima edizione del Leviatano
(1651) di Thomas Hobbes, dove il corpo del sovrano, cui gli uomini, per
sfuggire alle incertezze di una società naturale contrassegnata dalla violenza e
dall’homo homini lupus, avevano contrattualmente affidato le loro libertà naturali in cambio di sicurezza e pacifica soluzione dei conflitti, è composto dai
corpi (maschili) dei suoi sudditi a dimostrazione che la sovranità di cui il re o
l’assemblea di rappresentanti è titolare è costituita da una figura corporea
unitaria che ricompatta e comprende «le parti disperse e separate del corpo
politico»3, creato dall’uomo e che incorpora anche ciò che non si vede. In
quella immagine i corpi femminili non ci sono, quasi ad esprimere l’esclusione delle donne non solo dalla rappresentanza politica ma persino dal contratto
sociale, e tuttavia esse sono implicitamente incluse nel corpo maschile, l’unico ad avere accesso sia alla rappresentazione che alla rappresentanza.
Particolare del frontespizio della prima edizione del Leviatano
di Thomas Hobbes (1651)
2
P. DI CORI, Rappresentare il corpo e la sessualità. Un problema teorico nella storia e nella
politica delle donne, in La sfera pubblica femminile, cit., pp. 25-40.
3
Ibidem, p. 26.
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Del resto è proprio sulle differenze corporee tra uomini e donne che si costruisce, fino alle enfatizzazioni positivistiche di primo Novecento, l’ideologia che fornisce argomenti, ammantati di presunta scientificità e spacciati per
verità inconfutabili, ai sostenitori dell’inferiorità morale, giuridica e politica
delle donne.
Di recente, la sociologa del diritto Tamar Pitch4, affrontando il rapporto
tra politica e libertà femminile, ha posto nuovamente l’attenzione sulla relazione tra corporeità e potere. Muovendo da una nota definizione di politica
che distingue tra una sua dimensione orizzontale, partecipativa, e una dimensione verticale, associata all’idea del potere e del comando, la Pitch ha evidenziato come, affinché la presenza femminile determini cambiamenti significativi nella politica e nelle istituzioni, più dei numeri, conti la possibilità/capacità delle donne che assumono cariche politico-istituzionali di non farsi omologare ai modelli maschili, di contaminare la dimensione verticale della politica con quella orizzontale, di entrare nella sfera pubblica da cui per secoli sono state escluse mantenendo la loro identità, la specificità femminile.
Pertanto: libertà di fare e libertà di essere, di entrare in politica e dare il proprio contributo in quanto donne, in quanto «soggetti sessuati, portatrici di una
soggettività che non prescinde dal corpo e dalle relazioni».
«La politica – aggiunge la Pitch – nasce al maschile e nasce precisamente
lasciando fuori della porta il corpo», passando per neutra, astratta, universalistica. Il soggetto della politica, che invade, occupa la sfera pubblica, lascia
apparentemente la sua corporeità alle cure di chi è delegata alla sfera privata.
Secondo il pensiero liberale, il soggetto del diritto e dei diritti – maschioadulto-e-proprietario – che fonda il paradigma della politica moderna è neutro, astratto, autonomo, libero a prescindere dal suo corpo, in quanto soggetto
razionale, capace di scegliere in base a un calcolo utilitaristico tra costi e benefici. Ma la scomparsa dei corpi sembra essere l’ennesima mistificazione,
perché proprio sui corpi delle donne la “nuova politica” nata dalla Rivoluzione dell’89 effettua scelte a volte anche drammatiche.
Molto diversa sarà, invece, la concezione della libertà espressa non solo
dal pensiero, ma dalle lotte delle donne quando finalmente invadono la sfera
pubblica. Prova ne sono i movimenti femministi degli anni Settanta, che hanno posto al centro della riflessione e della pratica politica l’idea che la libertà
delle donne passasse dall’abolizione dei limiti all’autonomia femminile: autonomia come capacità di autoprogettarsi, di esercitare sul proprio corpo
quella sovranità che è pacificamente riconosciuta agli uomini.
Secondo la Pitch, l’ingresso di più donne nelle istituzioni da battaglia per
la parità e l’emancipazione diventerà strumento per affermare la libertà femminile solo ridefinendo lo spazio pubblico, inteso come luogo di comunicazione tra sfera pubblica e sfera privata, in cui si producono relazioni e si presta cura ai beni comuni, dove le donne entrano in campo come singolarità
4
T. PITCH, Libertà femminile e politica, in Donne diritti democrazia, cit., pp. 31-42.
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sessualmente connotate. L’ingresso di più donne in politica gioverà così non
solo a stabilire quella parità e compiutezza di cittadinanza e democrazia ancora non raggiunte, ma anche ad alimentare autonomia e libertà: autentica libertà femminile, ovvero piena signoria e piena responsabilità in ordine al
proprio corpo.