Marcia Funebre

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Marcia Funebre
INTERNATIONAL ASSOCIATION FOR ART AND PSYCOLOGY
ARTE E PSICOLOGIA. GRUPPO DI STUDIO INTERDISCIPLINARE
SEZIONE PIEMONTESE
DIRITTO AL CUORE
PERCORSI DI ELABORAZIONE DEL LUTTO TRA ARTE E VITA
19 APRILE 2010.
CIRCOLO ERIDANO - CIRCOLO DEGLI ARTISTI. TORINO
Morte e lutto nella Marcia Funebre di Frederic Chopin.
Da: Sonata per pianoforte in Si bemolle minore n. 2 op. 35, terzo movimento.
Relatore: Dott.ssa Franca Panzarini
Sommario. Un’interpretazione psicologica della Marcia Funebre di Frederic Chopin alla quale si riconosce una forte carica
emotiva che racconta del senso di perdita e di lutto intriso di nostalgia.
Chopin nacque in Polonia a Zalazowa Wola nel febbraio del 1810 da padre francese e da madre
polacca. Portò a termine la sua preparazione scolastica e musicale a Varsavia. Bambino prodigio, fu
molto presto portato ad amare la musica di Bach, che predilesse per tutta la vita. Si racconta che,
quando si doveva preparare ad un concerto, suonasse per ore e ore la musica del grande maestro.
All’età di vent’anni arrivò a Parigi dove resterà fino alla sua morte.
La Sonata per pianoforte in Si bemolle minore n. 2 op. 35 scritta negli anni della maturità tra il
1837 e il 1838, fu pubblicata a Parigi nel 1840 epoca della sua relazione con la scrittrice George
Sand.
Centro ispiratore di tutta la Sonata è la Marcia Funebre, pezzo già conosciuto e composto nel 1837.
La forma musicale della sonata è composta da quattro movimenti:
1. Grave. Doppio movimento
2. Scherzo
3. Marcia funebre. Lento
4. Finale. Presto
Un musicista, quando vuole esprimere elementi scuri della spiritualità dell’anima umana, di solito,
utilizza lo strumento armonico della tonalità minore. Chopin ha composto tutti e quattro i
movimenti della Sonata in tonalità minore. Tale scelta conferisce all’opera un’unità psicologica di
fondo basata sull’impressione di morte che si respira all’ascolto della Marcia Funebre e degli altri
movimenti.
Con la Sonata n. 2 abbiamo dunque un buon esempio dello stretto rapporto tra arte e psicologia, in
particolare tra musica ed emozioni. Su questo punto va ricordato che, sebbene Chopin fosse stato
educato alla musica classica dai suoi maestri, visse e compose nell’epoca del Romanticismo.
Noi ascolteremo il terzo movimento, quello della famosa Marcia Funebre che, trascritta per
orchestra da Reber, fu eseguita al funerale dello stesso Chopin nel 1849 nella chiesa della
Madeleine di Parigi e presenterò un’interpretazione sul funereo significato psicologico del brano.
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La struttura formale della Marcia Funebre è tripartita, A-B-A. Ad una prima esposizione della
Marcia, tema A , fa seguito la melodia di mezzo, tema B. Il ritorno della Marcia, tema A , conclude
il brano:
------------A-----------|-------------B--------------|------------A----------Marcia Funebre
Intermezzo
Marcia Funebre
Come guida all’ascolto del movimento, che dura poco più di 8 minuti, propongo tre stimoli.
Il primo. Nell’infinita mestizia della Marcia Funebre, c’è un elemento eroico che cerca di
travalicare la morte?
Il secondo. Il pianto disperato della melodia di mezzo include la nostalgia per l’oggetto perduto?
Il terzo. La musica suggerisce uno sbocco alla sofferenza legata alla morte e al lutto?
Ascoltiamo. L’interprete è Maurizio Pollini. Deutsche Grammophon 1985. Ho scelto questa
edizione, fra le molte autorevoli, perchè è fedele alle annotazioni di Chopin sulla partitura.
Questa Marcia Funebre ci interroga su ciò che muore e crea costernazione, in altre parole, lutto. Può
suggerire l’idea di un funerale di una persona o la sofferenza per qualcosa che se ne va come ad
esempio l’estate che muore o l’infanzia che non tornerà più.
Con Voi intendo parlare del lutto in senso stretto, quello legato alla perdita di una persona cara,
seguendo, in parallelo, la traccia della Marcia e della vita dello stesso Chopin.
Tutta la Marcia Funebre, sia nella prima esposizione sia nella ripresa, esprime la presenza di
un’infinita mestizia.
E’ la mestizia che prova chi ha perso una persona cara. Colui che ha vissuto un lutto di questo tipo
sa come di colpo i colori, i suoni, le luci, le sensazioni si spengono, mentre il futuro diventa un buco
nero che fa paura. Ha ben chiaro in mente come la vita si impoverisce, mentre il pianto è il primo e
il solo sostegno al dolore insopportabile che è fisico ed emotivo assieme.
La Marcia è anche grandiosa, soprattutto nei punti in cui c’è un aumento della sonorità percorso nel
registro acuto. Mi sembra di poter affermare che questi siano elementi eroici, tentativi disperati per
sconfiggere la morte, perché della morte abbiamo paura. Il ritorno graduale nel registro grave ci
parla dell’impossibilità.
Gli eroi greci sapevano di raggiungere l’immortalità con le loro gesta straordinarie, Chopin, al
contrario, a mio parere, rimanda mirabilmente l’umanità dell’uomo che si piega al dolore.
Quando la morte ci porta via una persona cara, noi che restiamo, tentiamo di ignorare sia l’una sia
l’altra e di scacciarle dal pensiero perché è insopportabile il senso di vuoto che rimane. Ecco allora
farsi strada una sorta di pietrificazione dei sensi e delle emozioni e una specie d’indebolimento del
pensiero o, al contrario, grida di protesta e persino forme di rifiuto della realtà che ci dicono della
ribellione che si mescola alla profonda tristezza. Ma invano. Quante volte è capitato di sentire dire:
“ Non è vero, lui non è morto, lei non è morta “. Poi pian piano si fa strada l’idea che è possibile
abbandonarsi alla realtà della perdita.
Mi sembra che il pendolarismo tra l’aumento della sonorità, elemento eroico sottolineato anche
armonicamente attraverso la passeggera modulazione alla tonalità maggiore relativa, e il peso
dell’elemento funebre, in tonalità minore, esprima bene la lotta psicologica tra il rifiuto della morte
e del lutto e il ripiegamento nel lutto o, detto più semplicemente, tra il bisogno di resistere alla
sofferenza e quello contrario di lasciarsi andare o, per usare un’espressione teatrale, la lotta
psicologica tra l’uomo eroe che si sente immortale e l’uomo inevitabilmente mortale.
Era nel gusto musicale dell’epoca scrivere marce funebri, eppure questa di Chopin va oltre la
composizione di genere: scuote in profondità. Chopin dà prova di conoscere a fondo l’argomento.
Senza avere l’intento di creare un nesso di causalità tra esperienze specifiche della sua vita e la sua
arte, ricordo quanti lutti importanti avessero colpito la sua vita fino al 1839. Primo fra tutti una
costituzione fisica gracile dalla nascita, poi la morte della sorella Emilia all’età di 17 anni, poi la
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rottura del fidanzamento con la nobile Maria Wodzinska, mentre l’inizio della malattia, che lo
condurrà alla morte, coincide con gli anni della stesura della Sonata.
La melodia di mezzo, tema B , rilancia l’infinita mestizia della Marcia Funebre ed è un pianto
sconsolato che solo un interprete, che è anche poeta, può suonare.
L’abbandono al dolore è totale. Non si vuole, né si cerca conforto o fuga. Al canto disperato si
mescola altro: la dolcezza. E’ la dolcezza della nostalgia di ciò che di bello univa le persone. Chi
non ha conosciuto, nel lutto, la sensazione che pezzi di sé sono portati via dalla morte della persona
cara? La gioia condivisa nel passato è uno di questi e nel ricordo si mescola al dolore addolcendolo.
Ecco, mi sembra che Chopin voglia dirci questo: la sofferenza può avere un sapore dolce.
Di nuovo, senza nessi causali, possiamo affermare che Chopin conoscesse così bene questi stati
d’animo da creare artisticamente e musicalmente degli impasti capaci di offrire emozioni percepibili
anche da chi li aveva dimenticati.
Sappiamo dai biografi quanto soffrisse di nostalgia per la sua terra così lontana da Parigi e occupata
dal nemico zarista, quanto fossero dolenti i ricordi della sua infanzia felice, quanto patisse per i
familiari rimasti a Varsavia e più in generale per il mondo aristocratico, che lui frequentava, che
veniva sempre più rimpiazzato dalla crescente cultura borghese.
Sigmund Freud affermava che la nostalgia è un potente sentimento per trattenere in vita e legato a
sé il proprio oggetto d’amore.
In effetti, quando un legame è intimo e profondo, di solito, fatalmente, l’altro, l’oggetto amato,
diventa, per certi versi, per chi rimane in vita, un prolungamento di se stessi così che diventa
doloroso separarsi. Non a caso chi vive un lutto sente di morire un po’ assieme alla persona cara e,
sperimentando il dramma di sentirsi un po’ viva e un po’ morta, trova nella nostalgia un aiuto per
attutire la sofferenza del distacco fisico e per posporre il tempo del distacco definitivo.
Anche in Chopin, la nostalgia è una forza che unisce. La musica diventa, per l’ascoltatore, una forza
delicata che lega a lei in un rapporto di fiducia, come in un dolce e desolato abbraccio. Non c’è
timore né compiacimento nell’incontro con la morte e anche noi, sostenuti dalla sobria dolcezza
della musica e dall’equilibrio armonico e timbrico dell’interpretazione di M. Pollini, possiamo stare
in compagnia della morte dell’altro ( e anche della nostra futura o di parti di noi colpite
mortalmente da un trauma avvenuto in un qualunque momento dalla vita fetale in poi ), senza avere
il timore di esserne inglobati o avere la pretesa di annullarla.
Si racconta che Chopin abbia suonato la Marcia Funebre con uno scheletro in braccio. Sarà vero?
Certamente, a quell’epoca, la malattia aveva già annunciato a Chopin la sua morte.
Dopo la triste dolcezza della melodia di mezzo fa ritorno la Marcia che, all’ascolto, si presenta
ancora più funerea. E’ il crescendo musicale che non compare nella prima esposizione a provocare
uno stato emotivo così cupo? In ogni caso, la musica sembra voglia suggerire a chi è in vita, che
non ci si può sottrarre alla sofferenza legata alla morte e al lutto.
Il brano della Marcia Funebre di Chopin ci racconta cosa succede dopo l’incontro con la morte da
parte di chi è in vita, ma non dice nulla su una possibile uscita dalla sofferenza.
Dal punto di vista psicologico il brano analizzato non affronta il passaggio dal lutto alla sua
elaborazione.
Sigmund Freud già un secolo fa parlando di nevrosi, e quindi di conflitto, aveva indicato la lotta tra
esigenze interne contrastanti, da diversi punti di vista. A noi, riferendoci al lutto, interessa
l’inconciliabilità tra la vita e la morte con la resistenza ad elaborare la situazione di lutto in chi è
stato privato di un importante “oggetto affettivo”. Il fatto che Chopin non dica nulla sulla capacità
dell’animo umano di staccarsi dalla “situazione morte” e di instradarsi, di nuovo, verso aspetti
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vitali, lasciando andare l’identificazione con la situazione di morte che si può accettare solo per un
giusto tempo, non è importante né musicalmente né psicologicamente.
Freud afferma che si può far ri-circolare la porzione di libido ritirata dall’oggetto affettivo perduto,
investendola in altri oggetti, più semplicemente, possiamo dire oggi, in nuove situazioni affettive.
Chopin, su questo stesso punto, tace. La Marcia Funebre è, e rimane fino all’ultimo in tutta la
sonata, un messaggio sulla morte e il suo inesorabile mistero unito all’umana sofferenza. Il
movimento finale, che dura poco più di un minuto (da ascoltare) e che è riassuntivo in un modo più
che mai enigmatico dell’intera sonata, ne è, a mio parere, la conferma.
Chopin ci vuole liberi nel nostro cammino spirituale, mentre, a mio parere, la potenza della sua
musica conduce ciascuno di noi di fronte al dilemma di cercare, o di non cercare, la strada per
sciogliere l’enigma dell’umano conflitto tra la vita e la morte, tra ciò che è terreno e ciò che non lo
è.
La filosofia e la teologia, e non solo, possono aiutare a trovare significati e soluzioni.
La psicologia certamente può offrire un contributo per ridare senso alla vita a chi l’ha perso.
Più in generale, l’uomo è in grado di rimettere in piedi il senso di se stesso, messo duramente alla
prova dall’incontro con la morte.
Qui anche noi dobbiamo fermarci per rispetto dei confini che la suggestione musicale impone.
---------------------------------------------Bibliografia
Gastone Belotti. Chopin. E.D.T. 1984.
Sigmund Freud. Opere. Vol. 8. Ed. B. Boringhieri. Considerazioni attuali sulla guerra e la morte.
Sigmund Freud. Opere. Vol. 8. Ed. B. Boringhieri. Lutto e malinconia.
Heinz Kohut. La ricerca del sè. Ed. B. Boringhieri, 1978.
Discografia
Maurizio Pollini. Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35. Deutsche Grammophon 1985.
Per confronto, segnalo le interpretazioni storiche di Rubinstein, Ashkenazy, Horowitz, Argerich.
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