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Conferenza del 9 luglio 2016 “L’uso del denaro nel mondo romano” Relatore: dott. Fiorenzo Catalli Il dott. Catalli ha articolato la sua conversazione in due parti. Inizialmente egli ha infatti tratteggiato la storia della moneta, quindi ha proseguito illustrando l’influenza da essa esercitata nel quotidiano del mondo romano. La moneta comparve per la prima volta all’incirca nell’ VIII° a.C nelle colonie greche dell’Asia Minore sotto forma di “gocce naturali di metallo” (elektron) caratterizzate dal peso costante e da un’impronta che ne garantiva l’esattezza. Successivamente fu standardizzata in piccoli dischi metallici ricavati per fusione e contraddistinti dall’immagine della divinità protettrice della città o di un animale simbolico come la civetta nel caso di Atene. Per facilitare il commercio tra le innumerevoli città-stato del mondo greco le monete furono battute in valori standard e contrassegnate con i simboli della città che le aveva emesse. Qualcosa di simile – ha sottolineato il Relatore – al nostro Euro, che evidenzia lo Stato che lo ha battuto. Si trattava comunque di monete di grosso taglio inadeguate per il piccolo commercio. Gli “spiccioli”, come li ha chiamati il Relatore, vennero più tardi e furono una invenzione tutta siciliana . Il contatto con le colonie greche del sud della penisola sollecitò il mondo romano - che ancora utilizzava come unità di misura il pecus , cioè il bestiame – a dotarsi di un valore più pratico e soprattutto più facile da trasportare. La scelta cadde sul bronzo grezzo (aes rude), materiale non deperibile, facilmente frazionabile e soprattutto utilizzabile anche per la costruzione di attrezzi d’uso comune. In un secondo momento – per evitare le continue pesature l’aes rude fu fuso in forma di “mattoncini” recanti ciascuno il segno distintivo di colui che lo aveva emesso. Nacque in tal modo l’Aes signatum, che pur non avendo ancora valore legale era comunque accettato per il suo valore intrinseco. La prima moneta “legale” comparve a Roma più o meno nel IV° sec.a.C.. Venne chiamata Aes (Asse) e pesava una libra romana cioè 327,27 grammi. Al centro presentava la testa di Giano bifronte, divinità tipicamente romana, e sul rovescio la prora rostrata di una nave. Dunque un simbolo di potenza che, veicolato dalla moneta, si trasformava in un mezzo di propaganda politica dell’acquisita potenza marittima iniziata nel 338 a.C. con la conquista di Antium. Un ulteriore passo avanti Roma lo fece nel 269 a.C. con l’introduzione del “denarius nummus” in argento articolato in tre sottomultipli (10 assi, 5 assi e 2 assi e mezzo). Sul dritto presentavano l’effigie della dea Roma e sul rovescio i Dioscori a cavallo protettori di Roma come in epoca cristiana – precisa poi Relatore – lo saranno Pietro e Paolo. Inoltrandosi nella seconda parte della sua conversazione il dott. Catalli ha messo a fuoco uno spaccato della società romana, evidenziandone alcuni aspetti (gestione del denaro, tributi, remunerazioni di avvocati, insegnanti e militari, prezzi per l’acquisto di merci, schiavi, alimenti). Relativamente alla gestione del denaro è sottolineata la nascita dei “cambia valute” i cui banchi -stando a Tito Livio- sostituirono in toto quelli dei macellai ubicate nel Foro. Per quanto attiene i tributi è stato precisato che essi erano vari e che per lungo tempo erano dovuti solamente dai “non cittadini” (di qui la lunga rivolta degli alleati). Tra le varie situazioni presentate particolare interesse e curiosità ha destato l’aspetto “remunerazione”. Per quanto attiene gli avvocati sembra che non disdegnassero doni per integrare i loro onorari. Ancor peggio andava, almeno in epoca regia e repubblicana, per i medici, tanto che Plauto nel suo Rudens (II° sec.a.C. ) finge ironicamente di non distinguere la differenza tra medicus e mendicus. A tal proposito Marziale ricorda di un certo medico chirurgo che per sbarcare il lunario fu costretto a trasformarsi in becchino e di un medico oculista in gladiatore. Non andava meglio – ha precisato ancora il Relatore - per i maestri che dovevano accontentarsi secondo Orazio- degli 8 assi versati mensilmente dai loro allievi, anche se poi Plinio il vecchio riferisce che i grammatici greci, sebbene schiavi, erano venduti per 700.000 sesterzi. A proposito di schiavi il Relatore ha accennato ai trenta denari “locali” di Giuda che al cambio in moneta di romana erano 470 sesterzi, cioè il prezzo medio di uno schiavo. In definitiva ad essere meglio pagati erano i militari che da Augusto a Caracalla ebbero incrementata la paga di ben 525 denari (da 225 a 750) oltre ai consueti donativi. Ma di questa categoria occorreva “comprare“ innanzi tutto la fedeltà. Per chiudere con un sorriso il dott. Catalli ha infine mostrato una iscrizione funebre dedicata ad un certo Eroticus (nome ben scelto) nella quale tra gli importi contabilizzatigli da un oste si notano queste voci: 2 assi per il fieno del mulo, 8 assi per la Puella. Un Grazie sincero al dott. Catalli per la piacevole ed interessante esposizione.