Atti del seminario - Associazione Italiana Pedologi
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Atti del seminario - Associazione Italiana Pedologi
Vol. 85 (2009) STUDI TRENTINI DI SCIENZE NATURALI SUOLI DEGLI AMBIENTI ALPINI a cura di Giacomo Sartori museo tridentino di scienze naturali - trento - 2009 3 INDICE – CONTENT Michele Lanzinger Presentazione del Direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali......................................................................... 5 Christian Merkli, Giacomo Sartori, Aldo Mirabella, Markus Egli, Alessandro Mancabelli & Michael Plötze The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their relation to landscape evolution I suoli nel Gruppo dolomitico del Brenta: caratteri chimici e mineralogici e loro relazioni con l’evoluzione del paesaggio................................................................................................................................................................. 7 Michele E. D’Amico, Francesca Calabrese & Franco Previtali Suoli di alta quota ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic (Valle d’Aosta) High altitude soils and ecology of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Italy)........................................................ 23 Isabelle Aberegg, Markus Egli, Giacomo Sartori & Ross Purves Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley (Val di Sole, Trentino, Italy) Distribuzione del modello spaziale dei tipi e delle caratteristiche del suolo in un’alta valle alpina (Val di Sole, Trentino).................................................................................................................................................... 39 Andrea Borsato Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche e pedologiche Loess deposits in Trentino: morphological, textural and pedological characteristics.................................................. 51 Diana Maria Zilioli & Claudio Bini Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla distribuzione e sull’evoluzione dei suoli nella regione dolomitica Ten years of research on soils of the Alpine environment: considerations on the distribution and evolution of soils in the Dolomites region.................................................................................................................................................. 61 Adriano Garlato, Silvia Obber, Ialina Vinci, Giacomo Sartori & Giulia Manni Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto The actual stock of organic carbon in the mountain soil profiles of Veneto Region...................................................... 69 Chiara Cerli, Luisella Celi, Paola Bosio, Renzo Motta & Giacomo Grassi Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino Park (North Italy) Effetto del cambio d’uso sulle proprietà del suolo e sull’accumulo di carbonio nel Parco del Ticino (Nord Italia).... 83 Filippo Favilli, Markus Egli, Giacomo Sartori, Paolo Cherubini, Dagmar Brandova & Wilfried Haeberli Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment Applicazione di tecniche di datazioni relative e assolute in ambiente alpino............................................................... 93 Cristiano Ballabio, Giulio Curioni, Massimiliano Clemenza, Roberto Comolli & Ezio Previtali Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini Study of the spatial distribution of 137Cs in Alpine soils................................................................................................ 109 Claudio Bosco, Ezio Rusco, Luca Montanarella & Panagiotis Panagos Soil erosion in the Alpine area: risk assessment and climate change Erosione del suolo nell’area alpina: valutazione del rischio e cambiamenti climatici................................................. 119 Gianluca Filippa, Michele Freppaz & Ermanno Zanini Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto Soil and snow in Alpine environment: effects on the nitrogen dynamics....................................................................... 127 Mauro Gobbi Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera) Influence of soil characters and land use on the ground beetle (Insecta: Coleoptera) communities............................ 137 Roberto Zampedri Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane nella Provincia di Trento Soil and air temperature measures in four alpine spruce forest of the Trento Province (Italy)..................................... 141 4 Augusto Zanella, Bernard Jabiol, Jean-François Ponge, Giacomo Sartori, Rein de Waal, Bas Van Delft, Ulfert Graefe, Nathalie Cools, Klaus Katzensteiner, Herbert Hager, Michael English & Alain Brethes Toward a European humus forms reference base Verso una base di riferimento per le forme di humus europee...................................................................................... 145 Bernard Jabiol French humus forms classification: what’s new in the Référentiel pédologique 2008? La classificazione francese delle forme di humus: cosa c’è di nuovo nel Référentiel pédologique 2008?................... 153 Adriano Garlato, Silvia Obber, Ialina Vinci, Alessandro Mancabelli, Andrea Parisi & Giacomo Sartori La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del Trentino a partire dalla banca dati della carta dei suoli alla scala 1:250.000 Soil carbon stock assessment in the Trento Province (Italy) based on the soil map at 1:250,000 scale....................... 157 Marco Ciolli Le tipologie stazionali forestali nel monitoraggio dei cambiamenti ambientali: il caso della Val di Sella (Trentino) Forest types for environmental monitoring: the case of Val di Sella (Trentino, Italy)................................................... 161 Paolo F. Martalò, Igor Boni, Paolo Roberto, Mauro Piazzi & Marco Corgnati La conoscenza dei suoli alpini in Piemonte e la gestione multifunzionale delle superfici a pascolo The study of Alpine soils of Piemonte Region and the multifunctional management of Alpine pastures...................... 165 5 Presentazione del Direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali L’analisi della componente pedologica del territorio alpino costituisce un campo di studio strettamente correlato all’azione antropica. La coltura agricola, forestale o i fenomeni di inquinamento delle falde acquifere passano inevitabilmente per la componente suolo, che ne conserva traccia e memoria. Il territorio della Provincia di Trento si distingue per la mole notevole di lavori scientifici che a partire dagli anni Novanta sono stati condotti da vari gruppi di ricerca (tra i quali spicca quello che fa capo al Museo Tridentino di Scienze Naturali) sui suoli naturali, sia nei loro rapporti con il clima e la vegetazione come pure in relazione alla loro genesi e agli aspetti relativi al comparto organico e mineralogico. Questa realtà rappresenta indiscutibilmente una bella eccezione nel panorama complessivo riguardante i suoli di montagna, in genere non sistematicamente studiati. Tutto ciò in un quadro di crescente interesse per il suolo in quanto risorsa fragile e non rinnovabile, come indicato in particolare dalla Direttiva europea riguardante i suoli di prossima approvazione, e nel quadro delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Gli studi in questione possono servire, come dimostrato dai lavori presenti nel volume, per predire i cambiamenti connessi ai cambiamenti climatici (e/o all’uso del suolo), in particolare quelli che interessano il carbon stock del suolo e l’erosione, per monitorare gli inquinanti legati alle contaminazioni diffuse, per individuare i metalli pesanti presenti naturalmente nelle rocce serpentinitiche, per la gestione dei pascoli alpini e per la comprensione della genesi dei paesaggi alpini. Nel volume si dà spazio poi agli humus, che costituiscono un comparto fondamentale dei suoli di montagna, basilare per i cicli degli elementi e soggetto in tempi rapidi ai cambiamenti d’uso o climatici; in particolare la bozza di classificazione europea qui proposta rappresenta uno strumento innovativo, che va a colmare una lacuna a livello europeo. Michele Lanzinger Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their relation to landscape evolution 2 3 1 Christian Merkli1*, Giacomo Sartori , Aldo Mirabella , Markus Egli , Alessandro MANCABELLI1 4 & Michael Plötze 1 Department of Geography, University of Zurich, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38100 Trento, Italy 3 Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Piazza D’Azeglio 30, 50121 Firenze, Italy 4 ETH Zurich, Institute for Geotechnical Engineering, 8093 Zurich, Switzerland * Corresponding author e-mail: [email protected] 2 SUMMARY - The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their relation to landscape evolution - A toposequence of soils developing in an altitudinal range from 1100 to 2400 m a.s.l. in the Italian Alps (Brenta region) was investigated. This approach served as the basis for the following aims: the calculation of element mass-balances, understanding the formation of pedogenic Fe- and Al-formation, the determination of soil mineral and clay mineral reactions and transformation. Several processes and tendencies could be detected. Leaching of carbonates was the main weathering mechanisms with higher leaching rates at the lower altitudes. Si, K and to a lesser extent Al showed a trend with increasing mass losses at lower altitudes. Leaching of Si, K and Al was bound to an active dissolution of primary minerals. This fits well with the observation that the production of oxyhydroxides was greater at lower altitudes. Incongruent weathering of primary minerals produced oxides and hydroxides such as goethite and ferrihydrite (brunification), although the soils contained carbonate up to the surface. Weathering of mica and a corresponding transformation into vermiculite was the most obvious process in the clay fraction. In contrast to soils on silicatic parent material, the investigated soils on limestone and dolomite exhibited a decreasing weathering intensity with increasing altitude. RIASSUNTO - I suoli nel Gruppo dolomitico del Brenta: caratteri chimici e mineralogici e loro relazioni con l’evoluzione del paesaggio - È stata studiata una toposequenza di suoli evolutisi nel Gruppo del Brenta (Alpi italiane), in un intervallo di quota tra i 1100 e i 2400 m s.l.m. L’approccio adottato mirava alle seguenti finalità: calcolo dei bilanci di massa degli elementi, comprensione della genesi dei composti di Al e Fe, determinazione dei minerali del suolo e della trasformazione dei minerali argillosi. Il lavoro ha permesso di osservare e caratterizzare vari processi e tendenze evolutive. La principale forma di alterazione, con intensità maggiore alle quote più elevate, è il dilavamento dei carbonati. Per Si, K, e in minore misura per Al, si è osservata invece una tendenza all’aumento delle perdite per dilavamento con il diminuire della quota. Il dilavamento di Si, K e Al è legato a una intensa dissoluzione dei minerali primari. Tale processo è confermato anche dalla minore formazione di idrossidi alle altitudini più basse. L’alterazione incongruente dei minerali primari produce ossidi e idrossidi quali goethite e ferrihydrite (brunificazione), anche se nei suoli sono ancora presenti carbonati fino alla superficie. L’alterazione della mica, e la corrispondente trasformazione in vermiculite, è il processo più evidente nella frazione argillosa. Diversamente dai suoli sviluppati su materiali silicatici, i suoli studiati, evolutisi da calcari e/o dolomie, mostrano una minore intensità dell’alterazione all’aumentare della quota. Key words: soil formation, carbonate leaching, element losses, weathering, Alpine soils, clay mineralogy Parole chiave: genesi del suolo, decarbonatazione, perdita di elementi, alterazione, suoli alpini, mineralogia delle argille 1. INTRODUCTION Soil sequences may give an insight into the influence of factors determining weathering rates. The currently occurring worldwide climate changes are fuelling a growing interest in the effect that the factors climate and time are having on the landscape and consequently on soil evolution. Soils play a major role in the biogeochemical cycle including weathering and the storage of nutrients and carbon (Bain et al. 1994; Dahlgren et al. 1997). Carbon dioxide is converted to bicarbonate and nutrients are released during carbonic acid weathering of silicate minerals, thus contributing to both carbon and nutrient cycling. Climate change can have significant impacts on the global biogeochemical cycle by altering the type and rate of soil processes and the resulting soil properties (Theurillat et al. 1998; Bockheim et al. 2000). The rate of the reactions is of fundamental interest in the understanding of the soil system and its interaction with the surrounding environmental conditions. In earlier studies, common trends of the effect of climate on weathering and soil included changes in soil organic matter, clay content, acidity, and exchangeable ions (Laffan et al. 1989; Bäumler & Zech 1994; Bockheim et al. 2000). Higher temperatures should theoretically increase rates of chemical weathering (Muhs et al. 2001); this was, however, not fully supported by other findings (Hall Merkli et al. The soils in the Brenta region 2. INVESTIGATION SITES AND GEOLOGICAL SETTING A soil profile sequence along an altitude gradient ranging from 1100 up to 2400 m a.s.l. in the Brenta Natural Park (Fig. 1) was investigated (Tab. 1). The sequence is located in the south Alpine belt in northern Italy. The lithology consists of sedimentary rocks from the Mesozoic. The southern part of the Brenta region is dominated by thick dolomite sheets from the mid-Triassic. The northern part has predominantly limestone and dolomite from the Jurassic and partially from the Cretaceous. The present day climate ranges from temperate to alpine (above the timberline). Mean annual temperature and precipitation in Pinzolo (776 m a.s.l.) is 8.8 °C and Bozen po d iB ren ta l Va South Tirol (Alto Adige) Trentino Trento Grup dena Madonna di Campiglio Cles Val di Non ole S di N o di Gar d a Val Giudicarie Lag et al. 2002; Egli et al. 2003). West et al. (2005) proposed that warmer environments generally should mean higher chemical weathering rates, but some very warm environments paradoxically had extremely low weathering rates. According to von Blanckenburg (2005) neither precipitation nor temperature appear to exert any influence on silicate weathering. Calcareous minerals are very soluble and dissolve rapidly (Stumm & Morgan 1996). In calcaric soils, H2O and H2CO3, which are the sources of protons, are the main reactants at the initial stage of soil formation. The net result of the reaction is the release of cations (Ca2+, Mg2+, K+, Na+) from the soil and the production of alkalinity via HCO3-. The atmosphere provides a reservoir for CO2 and for oxidants required in the weathering process. The biota assists the weathering processes by providing organic ligands and acids and by supplying increased CO2 concentrations in the soil. In Trentino, several regions with silicatic parent material were investigated regarding chemical weathering and mineral formation and transformation mechanisms (Egli et al. 2003; Mirabella & Egli 2003; Egli et al. 2006; Mirabella & Sartori 1998). Mass balance calculations indicated that extensive mineral weathering and element denudation was greatest in subalpine forests near the timberline. Weathering rates decreased with both higher and lower altitudes. Our main hypothesis was consequently that weathering reactions should be also most intensive close to the timberline in soils developing from calcareous parent material. Val R en 8 0 10 20 30 km Data: Centro Ecologia Alpina delle Viote del Monte Bondone, Trento (Italia) Fig. 1 - The investigation area (Brenta region). Fig. 1 - L’area di studio (Gruppo di Brenta). 1097 mm yr-1, respectively (Sartori et al. 2005). Mean annual temperature and precipitation correlate with altitude (mean annual temperature at Grosté, 2505 m a.s.l., is -0.4 °C). In the eastern part of the Brenta region, annual precipitation is, however, slightly lower (Sboarina & Cescatti 2004). According to Sartori et al. (2005) the following vegetation zones (Fig. 2) can be defined in the Brenta region: a. lower montane zone (up top 800-900 m a.s.l.) with thermophilic deciduous trees such as Fraxinus ornus, Ostyria carpinifolia, Quercus pubescens and mesophilic species such as Carpinus betulus; b. upper montane zone (up to 1600 m a.s.l.) with Fagus sylvatica, Abies alba and Pinus sylvestris in the lower part and in the upper part with Picea abies; c. subalpine zone with Larix decidua and, locally, Pinus cembra until ca. 2200 m a.s.l. Shrubs are becoming Tab. 1 - Site characteristics. Tab. 1 - Caratteri ambientali dei siti. Profile Site A1 A2 Parent material Soil type (WRB; FAO 1998) 65 Limestone debris Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic) 65 Limestone debris Haplic Luvisol 200 40 Dolomite debris Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic) 100 50 Limestone/Dolomite debris Calcari-Mollic Cambisol (Skeletic) 1730 145 60 Limestone debris 1740 200 70 Limestone/Dolomite debris Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic) 2240 60 35 Dolomite debris Hyperhumi-Rendzic Leptosol 2340 215 30 Dolomite debris Hyperhumi-Rendzic Leptosol Altitude m a.s.l. Exposure °N Slope % Val di Tovel 1120 100 Val di Ceda 1200 100 B3 Val Brenta 1450 B4 Val d’Ambiez 1470 C5 Val di Tovel C6 Vallesinella D7 Le Crosette D8 Grosté Calcari-Mollic Cambisol (Episkeletic) Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 Profiles: Soil types: 9 Vegetation: Climate: Altitude: high alpine zone 3000 - 3100 m Alpine meadow C5 / C6 Calcari-Mollic Cambisol B3 / B4 Calcari-Mollic Cambisol A2 A1 Haplic Luvisol Calcari-Mollic Cambisol alpine zone Dwarf-shrubs Coniferous forest 2200 - 2300 m Precipitation Hyperhumi-Rendzic Leptosol Temperature D8 D7 subalpine zone 1500 - 1600 m upper montane zone Mixed forest 800 - 900 m lower montane zone Deciduous forest 300 - 500 m planar zone Fig. 2 - Vegetation zones and location of soil profiles along the toposequence. Fig. 2 - Fasce vegetazionali e localizzazione dei profili di suolo all’interno della toposequenza. more important in the upper part (e.g. Alnus viridis); alpine zone with shrubs and meadows. SeslerioCaricetum sempervirentis and Caricetum firmae are typical for carbonate-rich parent material. Surface ages can be estimated to be about 12,000 to 16,000 years as the whole region was covered by glaciers during the last ice age. d. 3. MATERIAL AND METHoDS 3.1. Sampling The soil profiles were selected during an inventory giving an overview of the different soil types, their characteristics and variability. The chosen soils were assumed to be representative of the altitude zones. Soil profiles ditches were dug down to the C horizon. A total of 8 sites were investigated. From 2 to 3 kg of soil material was collected per soil horizon. Soil bulk density was determined with a soil core sampler. Taking advantage of the profile pits, undisturbed soil samples were taken down to the C horizon. 3.2. Soil chemistry Element pools in the soil (Ca, Mg, k, Na, Fe, Al, Mn, Si, and Ti) were determined by a method of total dissolution. oven-dried samples were dissolved using a mixture of HF, HCl, HNo3, and H3Bo3 as in Hossner (1996) and modified as in Fitze et al. (2000) in a closed system (microwave-oven and under high pressure, 25 bar). Concentrations of Ca, Mg, k, Na, Fe, Mn, Al, Si, Ti were determined by atomic absorption spectroscopy. Additionally, the dithionite- and oxalateextractable fractions were measured for the elements Fe, Al and Si (Mckeague et al. 1971). Total C and N content were determined, respectively, by the Walkley-Black (Walkley & Black 1934) and the kjeldahl methods. Soil pH (in 0.01 M CaCl2) was determined on air-dried samples of fine earth using a soil solution ratio of 1:2.5. CaCo3 and CaMg(Co3)2 contents were obtained by combining the total elemental contents (Ca, Mg) with XRD-data. 3.3. Soil mineralogy and grain sizes The clay fraction (< 2 µm) was obtained from the soil after destruction of organic matter with dilute and Naacetate buffered H2o2 (pH 5) by dispersion with Calgon and sedimentation in water (Egli et al. 2001). oriented specimens on glass slides were analysed by X-ray diffraction using Cu-kα radiation from 2 to 15°2θ with steps of 0.02°2θ at 2 seconds per step. The following treatments were performed: Mg saturation, ethylene glycol solvation (EG) and k saturation, followed by heating for 2 hours at 335 and 550 °C. Digitised X-ray data were smoothed and corrected for Lorentz and polarisation factors (Moore & Reynolds 1997). Peak separation and profile analysis were carried out 10 Merkli et al. The soils in the Brenta region by the Origin PFMTM using the Pearson VII algorithm after smoothing the diffraction patterns by a Fourier transform function. Background values were calculated by means of a non-linear function (polynomial 2nd order function; Lanson 1997). The program reconstructs single peaks by fitting the envelope curve of overlapping peaks. This procedure also outputs the position and the integral intensity (area) of each single peak. The presence of kaolinite and imogolite was checked with IR (Bruker Optics GmbH, Tensor 27). DRIFT (Diffuse Reflectance Infrared Fourier Transformation; Bruker Optics GmbH, Tensor 27) spectra were recorded over the range of 4000 to 250cm-1 on powder mounts made with 6 mg of sample and 300 mg of KBr. After pre-treating the samples with H2O2 (3%) particle size distribution of the coarse fraction of the soils was measured by wet-sieving (2000-32 µm). The finer fraction was determined by the pipette method after dispersion and sedimentation in deionized water (Gee & Bauder 1986). 3.4. Calculation of weathering rates Long-term weathering rates of soils were derived from the calculations of enrichment/depletion factors determined using immobile element contents. Investigations in the surrounding areas have shown that weathering rates can be well expressed by the use of the immobile element Ti (Egli et al. 2003, 2004). Losses of carbonates are calculated by the comparison of soil characteristics, such as carbonate concentration and the soil bulk density, with the parent material. In contrast to methods using immobile elements such as Zr or Ti, the non-carbonate fraction of the soil can also be considered as an immobile phase (cf. Egli & Fitze 2001). The derivation Δz of mass-balance equations = w −1processes are discussed i,w pedologic and their applicationsεto Δz in detail by Brimhall & Dietrich (1987) and Chadwick et al. (1990), and revised by Egli & Fitze (2000). Volumetric changes that occur during pedogenesis were determined by adopting the classical definition of strain, εi,w (Brimhall & Dietrich 1987): (1) εi,w = Δzw −1 Δz with ∆z as the columnar height (m) of a representative elementary volume of protore p (or unweathered parent material) and ∆zw as the weathered equivalent height (m) w. Where possible, the standardised strain coefficient obtained by the carbonate weathering calculation procedure is compared to the strain using the content of the immobile element Ti. The calculation of the open-system mass transport function τj,w is defined by the following formula (Chadwick et al. 1990) (2) ⎛ρ C ⎞ τ j,w = ⎜⎜ w j,w (εi,w + 1)⎟⎟ −1 ⎝ ρ pC j, p ⎠ with Cj,p (kg/t) as the concentration of element j in protolith (e.g. unweathered parent material, bedrock), Cj,w as the concentration of element j in the weathered product (kg t-1), and with ρp and ρw being the bulk density (t m-3) of the protolith and the weathered soil, respectively. ⎛ρ C ⎞ τ j,w = ⎜⎜ w j,w (εi,w + 1)⎟⎟ −1 ⎝ ρ pC j, p ⎠ With n soil layers the calculation of changes in the mass of element j is given by the following formula (Egli & Fitze 2000) (3) n ⎛ 1 ⎞ _ m j, flux( z w ) = ∑ C j, p ρ p⎜ ⎟τ j,w Δzw ⎝ εi,w + 1⎠ a=1 where τj,w corresponds to the mass transport function, εi,w to the strain, Cj,p (kg t-1) to the concentration of element j in protolith (e.g. unweathered parent material, bedrock), ρp being the bulk density (t m-3) of the protolith and ∆z the weathered equivalent of the columnar height (m) of a representative elementary volume. Merritts et al. (1992), furthermore, suggest for chronosequences that the least weathered horizon is assumed to be the parent material. 4. RESULTS 4.1. Soil characteristics At lower altitude, the soil types could be classified as Calcari-Mollic Cambisol and Haplic Luvisol (WRB 1998). At the transition from the upper montane zone to the subalpine zone, the Calcari-Mollic Cambisols disappear in favour of Hyperhumic or Humic-Rendzic Leptosols (Tab. 1). A graphical overview of the profiles is given in figure 3. The profiles at the higher sites were generally shallow compared to those at lower altitudes. All soils had a considerable skeleton content (material > 2 mm in diameter). Grain sizes usually decreased from the parent material to the surface soil horizons where the highest clay and silt contents were found. In the surface soils, only little sand was detected. The topsoils are loamy or silty loamy. The decrease of the grain sizes (Tab. 2) is a concomitant effect of weathering due to a physical breakdown and the chemical dissolution of carbonate particles (having the diameter of sand) or due to eolian contribution (silt). Due to the presence of carbonates, most soils are either neutral or slightly alkalic. The carbonate content in the topsoil was, however, low in most soil. The C/N ratio typically varied between about 13 and 23 in the topsoils (Tab. 3). The content of Corg was in some surface soils quite high. The oxalate- and dithionite-extractable contents of Fe and Al increase from the sub- to the topsoil. This increase is due to a relative enrichment of oxyhydroxides already present in the carbonates and to initial weathering process (weathering of silicatic minerals present in the carbonate). 4.2. Total contents The total elements content (Tab. 4) between the sites shows differences especially in the Mg and Ca content, which is due to the geology. Some sites had a pure limestone parent material and others dolomite. As a consequence of the carbonate dissolution, the content of Fe, Al, Si, etc. in the fine earth strongly increases with decreasing soil depth (Tab. 4). Carbonate dissolution led to a corresponding relative enrichment of these elements in the fine earth. The influence of loess deposits can be inferred by the quantity of silt in the soil and its mineralogical composition (Ollier 1969; Bronger & Heinkele 1989). The total elements Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 11 Fig. 3 - Photographs of the selected profiles along the toposequence with indication of horizons and corresponding WRB classification (FAO 1998). Fig. 3 - Fotografie dei profili pedologici più tipici all’interno della toposequenza, con indicazione degli orizzonti e della classificazione WRB (FAO 1998). 12 Merkli et al. The soils in the Brenta region Tab. 2 - Physical properties of the investigated soils. n.d.= no data. Tab. 2 - Proprietà fisiche dei suoli studiati. n.d.= dato mancante. Profile A1 A2 B3 B4 C5 C6 D7 D8 Horizon Depth (cm) Munsell color Skeleton weight (%) Density (g cm-3) AO 5-10 7.5YR 2.5/1 75.7 Bw 10-45 7.5YR 3/3 73.5 BC 45-75 7.5YR 4/3 C 75-100+ 7.5YR 5/3 Silt (%) Clay (%) 1.00 5 78 17 1.64 30 62 8 60.0 1.90 76 16 8 69.1 1.96 69 24 7 A 6-12 10YR 3/1 56.6 1.08 8 90 2 AB 12-40 7.5YR 3/2 59.2 1.40 15 77 8 Bt 40-80/85 10YR 5/4 43.5 1.24 9 86 5 CR 80/85-110+ 7.5YR 5/4 n.d. 1.64 n.d. n.d. n.d. A 4-11/18 7.5YR 3/1 39.3 0.51 12 72 17 Bw 11/18-35/50 7.5YR 3/3 72.2 1.68 50 37 13 C 35/50-80+ 7.5YR 3/4 77.8 1.85 68 25 7 A 0-12/17 7.5YR 3/1 58.1 1.33 8 68 24 Bw 12/17-33 7.5YR 3/3 66.8 1.52 25 64 11 BC 33-55 7.5YR 4/4 83.0 1.61 46 38 16 C 55-80+ 7.5YR 5/3 83.8 1.89 50 28 22 OA 1-9 7.5YR 3/2 46.8 0.55 12 50 38 AB 9-25 7.5YR 3/3 73.4 1.09 10 60 30 Bw 25-50 7.5YR 3/4 73.3 1.37 24 62 14 BC 50-65 7.5YR 5/4 57.4 n.d. 57 32 11 C 65-80+ 7.5YR 5/3 58.5 1.96 60 29 11 AO 7-33 7.5YR 2.5/1 61.9 1.29 9 81 10 Bw 33-55 10YR 4/3 62.6 1.48 36 56 9 C 55-80+ 10YR 5/4 81.9 1.53 72 24 4 A 0.5-15 10YR 3/2 14.3 0.56 4 70 27 CA 15-24 10YR 5/4 61.3 1.55 53 45 2 C 24-40+ 10YR 8/3 82.0 1.78 68 31 2 AO 0-18 10YR 2/1 37.7 0.51 n.d. n.d. n.d. AC 18-25/40 10YR 4/3 79.8 1.43 52 37 11 C 25/40+ 10YR 5/3 80.1 1.94 60 35 5 content does not suggest that the soils have received additions of relevant eolian attributions. Although the total content of Fe, Al, Si etc. increases with decreasing soil depth, it primarily indicates only a passive enrichment due to the leaching of carbonates. 4.3. Sand (%) Element leaching Strain, mass fractions added to or subtracted from each horizon, and loss or gain of elements during pedogenesis were calculated according to equations (1) and (3). Chemical composition and bulk density of the parent material were assumed to be best described by the corresponding C horizon of the soil profile. Immobile elements are needed in order to calculate gains or losses of elements. Strongly negative strains were in most cases measured in the whole soil column (Fig. 4). A strong collapse of the material has occurred due to the dissolution and leaching of carbonates. No specific trend with altitude can be seen. The open-system mass transport function τ gave strongly negative values in the whole soil profile. This means that a large part of the carbonates was dissolved and leached during pedogenesis. The losses with respect to the standardised soil depth 0-25 cm and to the whole soil profile are shown in figure 5. No clear trend with altitude could be observed for the topsoil (i.e. 0-25 cm). If the whole soil is taken into consideration, then a trend with higher carbonate leaching at lower sites can be seen. Main differences exist in the subsoil where a significant part of the carbonates have been dissolved at lower sites and only a little at higher sites. Differences in mass losses with respect to the sum of all elements in the standardised top 25 cm are small between the two calculation procedures (Ti or non-carbonate fraction; Fig. 6). In addition, no trend of mass losses (depth 0-25 cm) with altitude was measured. The mean mass loss (element sum) for all profiles is around 152 kg m-2. Over Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 13 Tab. 3 - Chemical characteristics of the investigated sites. n.d.= no data. Tab. 3 - Caratteri chimici dei suoli studiati. n.d.= dato mancante. Profile A1 A2 B3 B4 C5 C6 D7 D8 Horizon pH (CaCl2) CaCO3 (%) Corg (%) C/N Feo (%) Alo (%) Fed (%) Ald (%) AO 6.2 2.0 16.50 0.91 18 0.23 0.25 1.83 0.43 Bw 7.1 18.4 6.60 0.43 15 0.30 0.31 1.89 0.45 BC 7.3 80.1 2.89 0.17 17 0.09 0.12 0.37 0.10 C 7.5 92.9 1.05 0.12 19 0.05 0.08 0.23 0.06 A 6.9 4.1 6.45 0.40 16 0.19 0.30 1.72 0.37 AB 7.1 9.1 4.15 0.26 16 0.18 0.30 1.56 0.36 Bt 7.3 2.8 1.12 0.09 12 0.12 0.23 1.41 0.27 A 7.3 18.9 9.01 0.49 18 0.40 0.35 1.87 0.36 Bw 7.4 82.0 1.30 0.11 12 0.15 0.14 0.65 0.12 C 7.7 97.4 0.19 0.02 11 0.05 0.04 0.29 0.04 A 6.5 1.6 13.70 0.99 14 0.68 0.56 2.25 0.40 Bw 7.1 24.8 5.02 0.45 11 0.49 0.45 1.77 0.30 BC 7.5 71.9 0.68 0.08 9 0.14 0.13 0.70 0.12 C 7.6 79.9 0.94 0.07 14 0.12 0.13 0.64 0.11 OA 5.8 0.0 14.00 0.61 23 0.32 0.32 2.00 0.45 AB 6.8 0.8 6.28 0.33 19 0.32 0.34 2.42 0.49 Bw 7.2 34.6 3.00 0.21 14 0.25 0.31 1.97 0.39 BC 7.4 70.3 1.49 0.13 11 0.13 0.19 0.79 0.17 C 7.5 87.1 0.73 0.08 10 0.07 0.10 0.37 0.07 AO 7 20.0 14.30 0.76 19 0.48 0.50 1.69 0.44 Bw 7.3 67.0 2.56 0.20 13 0.19 0.23 0.77 0.17 C 7.6 90.0 0.45 0.04 13 0.06 0.06 0.36 0.05 A 6.3 1.2 23.80 1.70 14 0.39 0.44 1.28 0.32 CA 7.6 83.4 0.60 0.07 9 0.04 0.04 0.07 0.03 C 7.6 94.1 n.d. n.d. n.d. 0.01 0.02 0.03 0.01 AO 6.8 13.0 19.71 1.55 13 0.36 0.49 1.38 0.34 AC 7.2 62.0 3.60 0.33 11 0.15 0.24 1.20 0.36 C 7.3 94.0 1.06 0.11 10 0.05 0.09 0.31 0.11 95% of this mass loss is attributed to the leaching of Ca and Mg (and therefore carbonates). The losses of Si are mostly < 10 kg m-2, and those of Al, Fe, K, Na and Mn mostly < 1 kg m-2. The losses calculated with Ti as the immobile element show less outliers than those obtained using the noncarbonate fraction. Si, K and to a lesser extent Al showed a trend with increasing mass losses at lower altitudes (Fig. 7). Such a trend was measured for the standardised soil depth 0-25 cm and the whole soil profile. (4) 4.4. N (%) Clay minerals and oxyhydroxides The clay mineral assemblage for all profiles and horizons is given in table 5. The clay fraction was characterised by mica, kaolinite, chlorite, vermiculite, HIV (hydroxy-interlayered vermiculite), mixed-layered clay minerals and partially by smectitic components. In general, mica was present more frequently in the parent material and vermiculite in the surface soil horizons. All other clay minerals did, at a first glance, not show any specific trends within the soil profile. The amounts of oxyhydroxides (Fed, Ald, Feo, Alo), formed due to weathering in the fine earth fraction, were estimated by comparing the content in the soil with that in the parent material according to (4) n W j = ∑ zw ρ w (C j,w f w − C j, p f p ) a=1 where Wj corresponds to the mass of the weathering product j, zw to the thickness of the corresponding soil horizon, ρw being the bulk density (t m-3) of the soil horizon, Cj,w and Cj,p (kg t-1) correspond to the concentration (fine earth) of compound j in the corresponding soil horizon and parent material, respectively and fw and fp to the proportion of fine earth in the soil horizon and parent material, respectively. The stocks of these different fractions in the soils decreased Merkli et al. The soils in the Brenta region ε -0.4 -0.2 0.0 -1.0 -0.6 10 20 30 40 50 60 70 80 A2 90 90 ε -0.2 0.0 -1.0 -0.8 -0.6 -0.4 -0.2 0.0 0 0 10 10 20 20 30 40 50 soil depth (cm) -0.4 30 40 50 60 B3 60 B4 70 70 ε ε -0.8 -0.6 -0.4 -0.2 -1.0 -0.8 0.0 -0.6 -0.4 -0.2 0.0 0 0 10 10 20 20 30 40 50 60 soil depth (cm) -1.0 30 40 50 60 70 70 C5 C6 80 80 ε -0.8 -0.6 ε -0.4 -0.2 -1.0 0.0 -0.4 -0.2 0.0 0 5 5 10 10 20 25 30 35 40 Ti -0.6 0 15 D7 -0.8 soil depth (cm) -1.0 soil depth (cm) ε -0.6 0.0 0 70 80 -0.8 -0.2 10 20 50 60 -1.0 -0.4 0 30 40 A1 -0.8 soil depth (cm) -0.6 soil depth (cm) -0.8 soil depth (cm) ε -1.0 15 20 25 soil depth (cm) 14 30 D8 35 40 non-carbonate fraction Fig. 4 - Comparison of calculated strains obtained by means of an immobile element (Ti) and carbonate removal within each soil profile. Negative values refer to a collapse of the elementary volume, positive values to a dilatation and a value = 0 means that weathering had occurred isovolumetrically. Fig. 4 - Confronto delle deformazioni ottenute utilizzando rispettivamente un elemento immobile (Ti) o la rimozione di carbonati in ogni profilo di suolo. I valori negativi si riferiscono a una diminuzione del volume unitario iniziale, i valori positivi a una dilatazione, e i valori = 0 a una alterazione isovolumica. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 15 a) whole soil profile altitude (m a.s.l.) 1000 0 1500 2000 2500 (kmol/m 2) -20 -40 -60 Ca+Mg (1) Ca+Mg (2) -80 -100 -120 -140 altitude (m a.s.l.) 1500 2000 1000 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 -8 -9 -10 2500 Ca+Mg (1) Ca+Mg (2) 1000 0 -25 -50 -75 -100 -125 -150 -175 -200 altitude (m a.s.l.) 1500 2000 Fig. 5 - Ca and Mg losses (given in kg m-2) as a function of the altitude. The losses are given a. for the whole soil profile and b. for a standardised soil depth (corrected according to equation (1) to the initial columnar height (25 cm) of the elementary volume. The calculations refer to the immobile element Ti (1) and to the non-carbonate fraction (2). Fig. 5 - Perdite di Ca e Mg (in kg m-2) in funzione della quota. Le perdite sono calcolate a. per l’intero profilo e b. per una profondità standard del suolo (corretta utilizzando l’equazione (1) in rapporto all’altezza iniziale (25 cm) del volume unitario. I calcoli utilizzano rispettivamente un elemento immobile (Ti) o la frazione non carbonatica. 1000 0 2500 altitude (m a.s.l.) 1500 2000 2500 -500 (kg/m 2) (kg/m 2) (kmol/m2 ) b) 0-25 cm (normalised) -1000 -1500 -2000 -2500 -3000 0-25 cm (normalised) whole profile Titan (Ti) as immobile element Non-carbonate fraction as immobile phase Fig. 6 - Total element losses (sum of Ca, Mg, K, Na, Al, Fe, Si, Mn) for the normalised soil depth 0-25 cm and the whole soil profile along the toposequence. The calculations are based on two methods (Ti and non-carbonate fraction as an immobile phase). Fig. 6 - Perdite di elementi totali (somma di Ca, Mg, K, Na, Al, Fe, Si, Mn) rispettivamente per la profondità normalizzata del suolo 0-25 cm e per l’intero profilo, all’interno della toposequenza. I calcoli sono basati sui due metodi (Ti o frazione non carbonatica come componente immobile). 16 Merkli et al. The soils in the Brenta region Tab. 4 - Total element contents in the fine earth (a) and soil skeleton (b). Tab. 4 - Contenuti totali di elementi nella terra fine (a) e nello scheletro (b). a) Profile A1 A2 B3 B4 C5 C6 D7 D8 Horizon Al (g kg-1) Si (g kg-1) Ca (g kg-1) Mg (g kg-1) K (g kg-1) Na (g kg-1) Fe (g kg-1) Mn (g kg-1) Ti (g kg-1) AO Bw BC C A AB Bt A Bw C A Bw BC C OA AB Bw BC C AO Bw C A CA C AO AC C 61.03 71.94 13.04 9.14 79.26 82.98 95.04 54.05 18.90 8.07 70.93 66.48 25.84 22.92 68.62 81.81 57.65 21.74 12.39 56.61 28.95 13.95 54.02 4.30 2.44 51.48 27.63 8.24 142.20 167.01 33.48 39.23 195.28 205.73 251.13 115.02 50.07 25.83 174.84 155.44 64.81 54.54 180.25 217.28 147.26 62.22 43.26 122.60 67.87 42.17 116.14 9.80 4.51 108.16 57.95 15.07 17.68 56.93 330.10 347.33 20.32 29.40 9.62 44.94 184.37 213.85 12.91 46.59 252.53 232.63 12.11 13.66 159.87 299.38 343.05 39.54 156.22 248.06 12.37 217.38 218.24 24.66 154.55 205.27 6.74 7.91 3.84 3.79 11.96 12.57 13.52 36.84 106.78 116.89 14.39 37.66 36.08 52.03 7.50 8.50 7.27 5.10 5.94 32.26 92.24 80.04 13.57 123.79 124.49 19.88 93.78 120.34 8.78 10.04 2.71 3.86 15.02 15.46 20.24 10.05 4.85 3.29 14.53 15.10 7.07 6.37 10.39 11.83 8.68 4.48 3.32 9.26 6.34 4.83 11.08 0.99 0.58 9.64 4.65 1.22 3.80 4.43 0.85 0.65 5.97 6.32 8.81 1.71 0.56 0.39 2.86 3.22 1.23 0.92 4.24 5.15 3.17 1.03 0.59 2.57 1.51 0.79 2.17 0.25 0.22 2.42 1.45 0.42 33.66 40.87 7.74 5.44 44.39 46.52 51.17 31.91 10.83 6.41 41.35 37.52 15.70 15.01 36.90 46.38 33.38 15.05 8.02 31.89 15.90 8.23 27.78 10.69 1.41 27.35 16.59 5.30 1.01 1.01 0.22 0.13 0.78 0.81 0.77 0.76 0.26 0.11 1.41 1.10 0.30 0.26 0.68 0.61 0.50 0.30 0.20 0.81 0.33 0.14 0.61 0.06 0.04 0.67 0.21 0.09 5.71 6.77 1.12 0.80 8.10 8.34 9.03 5.24 1.36 0.62 7.12 6.72 2.57 2.17 6.59 8.26 5.29 2.10 1.29 5.69 2.75 1.22 5.80 0.54 0.33 5.47 3.56 1.11 Horizon Al (g kg-1) Si (g kg-1) Ca (g kg-1) Mg (g kg-1) K (g kg-1) Na (g kg-1) Fe (g kg-1) Mn (g kg-1) Ti (g kg-1) AO Bw BC C A AB Bt A Bw C A Bw BC C OA AB Bw BC 1.26 3.02 1.30 1.64 2.22 2.05 2.97 0.80 0.92 0.77 2.01 2.16 1.88 1.93 1.29 1.46 1.30 1.04 5.07 5.49 9.40 5.60 7.33 6.62 9.51 3.11 3.87 13.47 9.52 16.34 8.28 21.10 6.09 20.18 4.54 5.04 397.52 392.14 399.73 396.26 384.75 383.23 389.65 223.23 223.92 227.75 344.19 334.22 341.55 298.23 377.52 378.94 386.32 392.67 4.08 3.71 4.19 4.14 6.07 5.17 3.87 127.47 129.18 129.33 37.74 48.88 34.16 64.59 11.20 6.35 4.09 3.64 0.34 0.73 0.74 0.62 0.74 0.50 1.32 0.34 0.37 0.90 0.65 0.62 0.65 0.73 0.47 0.53 0.52 0.46 0.14 0.21 0.14 0.11 0.21 0.17 0.30 0.19 0.20 0.23 0.17 0.21 0.17 0.20 0.13 0.13 0.11 0.10 0.80 1.86 0.89 1.08 1.28 1.25 1.73 0.50 0.61 0.42 1.63 1.37 1.22 1.35 0.79 0.92 0.89 0.82 0.03 0.07 0.04 0.05 0.05 0.05 0.06 0.01 0.03 0.03 0.06 0.05 0.04 0.06 0.04 0.05 0.06 0.04 0.07 0.03 0.03 0.05 0.38 0.33 0.52 0.17 0.27 0.15 0.05 0.04 0.03 0.02 0.24 0.20 0.10 0.06 b) Profile A1 A2 B3 B4 C5 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 17 (Tab. 4 - continued) (Tab. 4 - continua) Profile Horizon Al (g kg-1) Si (g kg-1) Ca (g kg-1) Mg (g kg-1) K (g kg-1) Na (g kg-1) Fe (g kg-1) Mn (g kg-1) Ti (g kg-1) C AO Bw C A CA C AO AC C 1.02 1.50 2.20 2.30 1.35 0.79 0.89 1.39 1.70 1.45 8.43 4.93 5.02 6.23 3.74 2.67 2.27 4.35 4.58 3.28 389.27 229.35 225.83 299.57 231.84 228.10 226.87 229.95 231.14 231.18 3.65 120.72 123.19 64.05 119.49 128.77 129.64 125.95 123.79 126.43 0.37 0.40 0.46 0.69 0.42 0.29 0.25 0.50 0.85 0.54 0.10 0.19 0.27 0.17 0.18 0.23 0.23 0.13 0.20 0.14 2.34 0.96 1.31 1.95 0.84 0.41 0.40 1.71 0.88 0.74 0.04 0.05 0.05 0.06 0.06 0.02 0.02 0.04 0.04 0.04 0.10 0.16 0.11 0.22 0.18 0.02 0.03 0.23 0.14 0.03 C6 D7 D8 Tab. 5 - Clay minerals assemblage in the investigated soils. Chl= chlorite, verm= vermiculite, smec= smectite, HIS= hydroxy-interlayered smectite, HIV= hydroxy-interlayered vermiculite, x= present in significant amounts, (x)= traces. Tab. 5 - Stima semiquantitativa del contenuto di minerali argillosi nei suoli studiati. Chl= clorite, verm= vermiculite, smec= smectite, HIS= smectite interstratificata con idrossidi, HIV= vermiculite interstratificata con idrossidi, x= presente in quantità insignificanti, (x)= tracce. Profile Horizon A1 A2 B3 B4 C5 C6 D7 D8 Mica Kaolinite Chlorite Mixed-layered Chl/Verm (HIV) Mixed-layered Mica/Verm (HIV) Mixedlayered Verm/Smec Mixedlayered Chl/HIS HIVa Vermiculite AO (x) x (x) (x) (x) x x Bw (x) x (x) (x) (x) x x BC x x (x) (x) x x x C x x (x) (x) x (x) (x) A x x x x x (x) (x) x x AB x x x x x (x) (x) x x Bt x x x (x) (x) (x) (x) x x A (x) x (x) x x x x x Bw (x) x (x) (x) x x x x C x x (x) (x) x x (x) (x) A x x (x) x x x x x Bw x x (x) x x x x x BC x x (x) (x) x x x x x C x x (x) (x) x OA (x) x (x) (x) (x) x x x x AB (x) x (x) (x) (x) x x Bw (x) x (x) (x) (x) x x BC x x (x) (x) x x x C x x (x) (x) x x x AO (x) x (x) x (x) x x (x) (x) Bw x x (x) (x) x (x) x x C x x x (x) x (x) (x) x A (x) x (x) (x) (x) x x CA x x (x) (x) (x) x x (x) (x) x x C x x x (x) x AO x x (x) (x) (x) (x) (x) AC x x (x) x (x) (x) x (x) C x x (x) x x (x) x (x) Merkli et al. Mass changes (kg/m 2) 1000 0 The soils in the Brenta region 1500 2000 2500 Ca -50 -100 -150 -200 1000 0 Mass changes (kg/m2 ) 18 -20 -40 -60 2000 2500 Al 1 0 -1 1000 5.0 Mass changes (kg/m 2) Mass changes (kg/m 2) 1500 altitude (m a.s.l.) 2 -2 2500 Si 0.0 -2.5 -5.0 -7.5 1500 altitude (m a.s.l.) 2000 1000 0.20 2500 K 0.5 0.0 -0.5 Mass changes (kg/m 2) Mass changes (kg/m 2) 2000 -10.0 1500 2000 2500 Na 0.10 0.00 -0.10 -0.20 -1.0 altitude (m a.s.l.) 1500 2000 altitude (m a.s.l.) 2500 Fe 0.3 0.0 -0.3 -0.6 1000 0.050 Mass changes (kg/m 2) Mass changes (kg/m 2) 1500 2.5 altitude (m a.s.l.) 1000 0.6 2500 Mg altitude (m a.s.l.) 1000 1.0 2000 -80 -250 1000 3 1500 1500 2000 2500 Mn 0.025 0.000 -0.025 -0.050 -0.9 altitude (m a.s.l.) altitude (m a.s.l.) Ti as immobile element non-carbonate fraction as immobile element Fig. 7 - Losses (negative values) and gains (positive values) of elements with respect to the standardised, initial columnar height of 25cm (cf. equation (1)) along the toposequence. Fig. 7 - Perdite (valori negativi) e aumenti (valori positivi) di elementi in rapporto allo spessore iniziale standardizzato di 25 cm (si veda l’equazione (1)), all’interno della toposequenza. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22 19 1.4 8 Feo Alo 1.2 (kg/m 2 ) 1.0 (kg/m 2 ) Fed Al d 7 6 0.8 0.6 0.4 5 4 3 2 1 0.2 0.0 1000 1500 2000 altitude (m a.s.l.) 2500 0 1000 1500 2000 altitude (m a.s.l.) 2500 Fig. 8 - Stocks of neo-formed oxalate- and dithionite-extractable Fe and Al in the soils as a function of altitude. Fig. 8 - Quantità delle frazioni (di neoformazione) di Fe e Al estraibili in ossalato e in ditionito, in funzione della quota. Neoformation of clays (kg/m 2) 3 An increase in altitude is accompanied by a falling temperature and a rise in precipitation. Therefore, the soil properties change in a regular manner, and definite soil zones that grade into each other can be observed. This statement is, however, primarily true for the soil types or profiles. Several master variables, such as for example the pH-value, did not show a climate dependent tendency. 2 1 0 1000 5.2. 1500 2000 altitude (m a.s.l.) 2500 Fig. 9 - Neoformation of clays in the soil profile since start of pedogenesis as a function of the altitude. Fig. 9 - Neoformazione pedogenetica di minerali argillosi nel suolo, in funzione della quota. steadily with altitude (Fig. 8). The production and accumulation of oxyhydroxides was obviously more pronounced at the lower sites. The absolute clay content in the soils does not evidence any altitude-dependent trend. If the neo-formation of clays is calculated (by comparing the clay content of the soil horizons with the parent material), a weak altitude-dependent tendency can be seen (Fig. 9). At higher altitudes, the neo-formation of clays seems to be slightly greater. 5. DISCUSSION 5.1. Soil profile development Element leaching The Ca and Mg losses are relatively high compared to other regions in the Alps (Egli & Fitze 2001). They are, however, in the same order of magnitude. Mass losses of carbonates did not show an obvious trend regarding the standardised soil depth 0-25 cm. In respect of the whole soil profile, a trend of lower carbonate losses with increasing altitudes can, however, be observed. Carbonate leaching is viewed as primarily being a function of water supply and the consequent percolation in the soil, the CO2 production, temperature and surface properties of the carbonates (Gerstenhauer & Pfeiffer 1966; Egli & Fitze 2001). With increasing altitude, temperature decreases, precipitation and soil water percolation increases. One should therefore (cm) 0 A1 B3 A2 B4 C5 C6 Bw Bt D7 D8 50 100 Designation of horizons: The profile thickness of the investigated sites clearly shows a gradient with altitude: at higher altitudes the soil profiles are shallower (Fig. 10). This tendency is typical for Alpine soils. Already early soil scientists observed that in humid temperate or warm regions rocks had weathered to much greater depths than in the cold zones (Jenny 1941). O A AB AC/CA BC C Fig. 10 - Schematic soil profile development along the toposequence. Fig. 10 - Schema dello sviluppo dei profili di suolo all’interno della toposequenza. 20 Merkli et al. expect that carbonate leaching is enhanced with increasing altitude (Stumm & Morgan 1996). The microbial activity must therefore be the driving force in carbonate leaching as higher temperatures generally lead to an increased activity and consequently CO2 production. The increased CO2 production (due to an increased biological activity) at lower sites overcompensates the lower solubility of carbonates with higher temperatures. Additionally, dolomite dissolves more slowly than calcite. The soils at the highest altitudes had pure dolomite in the parent material which could have contributed to a lower dissolution rate. This effect is, however, not very obvious as also other profiles had dolomite in the parent material (e.g. the profile at 1450 m a.s.l. with pure dolomite). Our results agree well with investigations of Borsato et al. (2007) who investigated the hydrochemistry of hypogean waters in Trentino. According to their findings, the concentrations of HCO3-, Ca2+ and Mg2+ in cave water samples gave a negative correlation with altitude (and, thus, showed a climate dependency). Additionally, the pCO2 was found to be higher at lower altitudes (due to corresponding higher CO2 production in soils at lower altitudes. Mass balance calculations indicate that weathering of primary minerals was most intense at the lower sites where increased leaching rates of Si, K and Al were measured. The losses of the other elements (except Ca and Mg) were almost zero. The leaching of Si, K and Al is bound to an active dissolution of primary minerals and probably also to the observed eluviation of clay-sized particles at site A2 (which is bound to a transfer of elements from the upper to the lower part of the soil). This fits well with the observation that also the production of oxyhydroxides was greatest at lower altitudes. Incongruent weathering of primary minerals leads to the production of oxides and hydroxides such as goethite and ferrihydrite (brunification; Sposito 1989). Weathering is, due to the relatively neutral pH-range, driven by carbonic acids (Ugolini et al. 1991). In soil horizons dominated by carbonic acid weathering noncrystalline substance such as ferrihydrite are abundant (Ugolini et al. 1991). Leaching rates of Si, K and Al are generally rather low compared to other investigations sites (on silicatic host rock; Egli et al. 2004) which is not very surprising. At the lower sites (around 1200 m a.s.l.) the leaching rates were, however, in a similar range to those obtained from other climosequences in Val Genova or Val di Fiemme (Egli et al. 2004). In general, element mass changes were either close to zero or negative. Eolian attributions (loess deposits) can therefore not be unambiguously evidenced with this method. 5.3. Clay mineralogy Several sheet silicates found in the clay fraction were not newly formed and consequently do not have a pedogenetic origin. It is very unlikely that in subalkaline to neutral pH-conditions kaolinite and smectite are actively formed in moderate to alpine climate zones (cf. Righi & Meunier 1991; Righi et al. 1999; Mirabella & Egli 2003). Kaolinite was detectable already in the soil skeleton (and also in the C horizon). According to Millot (1970) and Bausch (1980) a marine formation of kaolinite can be excluded because an acidic environment is required (which is not the case in a marine environment). Kaolinite most probably reflects relicts of former weathering processes (tertiary warm phases) The soils in the Brenta region in soils that were later eroded and deposited as sediments in a marine environment (cf. Press & Siever 1995). In some profiles, smectitic phase could be measured. Similarly to kaolinite, smectite was formed in another chemical environment and represents relicts of a former (most probably tertiary) soil formation. Smectite probably was transported from the continent (by water or wind) to the location of deposition (Grunenberg 1992). Additionally, chlorite and mica in the C-horizon most probably have a detritical origin. In all soils, a decrease of mica from the C-horizon to the topsoil and a corresponding increase of vermiculite was measurable. Mica actively has been transformed into vermiculite. The content of vermiculite in the topsoil is similar at all sites and consequently no obvious trend with altitude exists. Transformation mechanisms of silicatic minerals in the A-horizon seem to be at high altitudes at least equally intensive as at lower sites. This agrees well with the observation that the neo-formation of clays (pedogentically formed) is at higher sites similar or even slightly more intense than at lower sites. As the biological activity is reduced at the higher sites, less CO2 and more organic acids are produced during organic matter decomposition. In such an environment, mineral transformations and weathering reactions are consequently more driven by organic acids as the major proton donors (cf. Ugolini et al. 1991) than by carbonic acids. 6. CONCLUSION The main hypothesis that weathering reactions should be most intensive close to the timberline could not be verified. Weathering consisted predominantly in a removal of carbonates. Losses of Ca and Mg as well as elements like Si, Al and K were highest at the lower sites. Although the solubility of carbonates is higher with lower temperatures, the biologically driven production of CO2 at lower altitudes overcompensated this temperature effect. At the lower sites, weathering was mainly driven by carbonic acids. At the higher sites, organic acids determined to a greater extent mineral transformations and weathering reactions. This suggests that most probably two different weathering regimes (carbonic and organic acid weathering) exist along the toposequence. Regarding sheet silicates, the transformation of mica into vermiculite is the main process that can be measured in the clay fraction. Kaolinite and smectite are relicts of a former soil formation (tertiary?). The neoformation of clays showed only a weak and the vermiculite concentration did not show any altitude-dependent tendency. Weathering mechanisms regarding sheet silicates (clay fraction and fine earth) were at the sites with the highest elevation at least equally intensive to those at lower altitudes. Leaching of Si, Al and K as well as mineral transformations evidenced that silicate weathering started even before carbonates were dissolved and completely removed from the soils. ACKNOWLEDGEMENTS We are indebted to B. Kägi and D. Giaccai for their support in the laboratory. Studi Trent. Sci. 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Le proprietà pedologiche e biologiche dei suoli montani formati su questi substrati tuttavia sono stati studiati raramente. Nel presente lavoro 97 profili (associati ad altrettanti rilievi fitosociologici) sono stati aperti e analizzati sopra al limite attuale della vegetazione arborea nell’area ofiolitica del Parco Mont Avic (Valle d’Aosta), tra 2150 e 2900 m di quota. I risultati mostrano che i caratteri chimici dei suoli dipendono dal substrato, mentre i processi pedogenetici causano il rilascio di ingenti quantità di elementi in traccia. Le comunità vegetali sono ben correlate con i caratteri edafici, il più importante dei quali è il Ni biodisponibile. Nonostante questo grande impatto sulla vegetazione, l’effetto dei metalli biodisponibili è poco evidente sulle comunità di microartropodi e sulle comunità microbiche. SUMMARY - High altitude soils and ecology of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Italy) - Soils on ultramafic materials are usually rich in Mg, Fe and heavy metals, with a pH value close to neutrality and a high base status. These chemical properties could cause toxic effects on the biological communities (due to low Ca/Mg ratio and heavy metals). Pedological and biological properties of mountain soils on similar substrates have seldom been studied. 97 soil pits (associated with phytosociological surveys) have been opened and analyzed above the present-day treeline in the ophiolitic area of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Western Alps, Italy), between 2150 and 2900 m a.s.l. The results show that soil properties are related with substrate, while pedogenic processes release large quantities of potentially hazardous trace metals. The plant communities strictly depend on the edaphic properties. Available Ni is one of the most important factors. Despite the strong effect of metals on plant ecology, there are no evidences of metal toxicity on microarthropodes and microbial communities. Parole chiave: nichel, ofioliti, qualità biologica del suolo, relazioni suolo-pianta, suoli alpini Key words: nickel, ophiolites, biological soil quality, plant-soil relationship, Alpine soils 1. Introduzione I suoli su substrati ofiolitici normalmente sono descritti come ricchi in Mg, Fe, Ni, Cr, Co, Mn, con un pH prossimo alla neutralità e un alto tasso di saturazione. Inoltre, sono caratterizzati da un limitato spessore, un drenaggio eccessivamente veloce, una scarsità di Ca (associata o meno dall’eccesso di Mg) e di nutrienti disponibili (Proctor & Woodell 1975; Roberts 1980; Brooks 1987; Proctor & Nagy 1991). Questi caratteri edafici limitano la fertilità di tali suoli e possono causare effetti di ecotossicità. Per questi motivi, la copertura vegetale è spesso visibilmente inferiore, e le associazioni vegetali particolari e ricche di specie endemiche e adattate. L’importanza relativa di ciascun fattore varia nei diversi ambienti: ad esempio, nelle foreste subalpine delle Alpi centrali (Oberhuber et al. 1997), in Scozia (Spence et al. 1987) e in Scandinavia (Rune 1953) il limitato spessore e la granulometria grossolana dei suoli sviluppati su affioramenti serpentinosi favoriscono l’insorgere di condizioni di siccità anche in aree con climi umidi. In altri ambienti, la carenza di ferro biodisponibile, dovuta al pH elevato e alla competizione con il Ni, appare essere il principale fattore limitante (Kataeva et al. 2004). In alcune località della Gran Bretagna la bassa fertilità dei suoli è dovuta soprattutto dalla scarsità di nutrienti disponibili (Nagy & Proctor 1997), mentre in Toscana è riconducibile anche all’aridità (Chiarucci et al. 2001); tali condizioni possono favorire l’insorgere di fenomeni di tossicità da parte dei metalli pesanti. L’effetto dei metalli pesanti (soprattutto del nichel) è controverso, anche se è certamente il più studiato per la sua ecotossicità e il suo incremento nell’ambiente legato a cause antropiche. Secondo alcuni autori, il Ni influenza negativamente la vegetazione in quanto provoca fenomeni di tossicità sulle specie non adattate (Lee 1992; Chardot et al. 2007), ma secondo altri il suo effetto non è evidente, soprattutto se i nutrienti sono sufficientemente disponibili (Chiarucci et al. 2001). Senza dubbio, la presenza esclusiva su substrati ultramafici di specie iperaccumulatrici di metalli pesanti è un’evidenza di un loro effetto ecologico. Nelle Alpi occidentali italiane, la debole acidità edafica è considerata la causa principale che distingue le comunità vegetali presenti su rocce ultramafiche, differenti rispetto a quelle che si riscontrano su altri substrati più comuni. I 24 D’Amico et al. suoli asciutti, ricchi in basi ed “eutrofici” sulle serpentiniti non permettono lo crescita della tipica foresta subalpina di abete rosso (Picea excelsa) e pino cembro (Pinus cembra), che cresce su suoli podzolici sviluppati su rocce acide e mafiche (Verger et al. 1993). Su materiali ultramafici, la vegetazione del sottobosco e quella sopra al limite della vegetazione forestale risulta ricca di specie neutrofile o basifile; in questi casi, la presenza di specie endemiche (ad es. Carex fimbriata) dipende dalla dominanza del Mg nel complesso di scambio (Verger et al. 1993). Un effetto ecologico dei metalli pesanti è implicito negli studi compiuti da Vergnano et al. (1981, 1987) in zone d’alta quota in Val d’Ayas, dove è stato trovato un numero elevatissimo di specie in grado di accumulare o iperaccumulare il Ni. Nel Parco Naturale del Mont Avic, in Valle d’Aosta, nel 2002 è iniziata una campagna di rilevamento dei suoli in accordo tra l’ente Parco e l’Università degli Studi di Milano Bicocca. All’interno del Parco, nelle valli del Torrente Chalamy e nell’Alta Valle di Champorcher, sono stati osservati e analizzati 190 profili pedologici associati a rilievi fitosociologici, per verificare le relazioni intercorrenti tra i processi e i caratteri pedogenetici, i metalli pesanti e le comunità vegetali. Gli effetti sull’attività biologica dei suoli da parte dei diversi caratteri edafici sui diversi substrati sono anche stati testati su alcuni profili-tipo nei piani altitudinali subalpino e alpino. La situazione riscontrata è completamente diversa da quanto descritto in precedenza per le vicine valli d’Ayas, del Lys e del Valtournanche. I suoli sono di solito estremamente acidi, e sotto foresta subalpina (dominata da Pinus uncinata) il processo della podzolizzazione è addirittura dominante (D’Amico et al. 2008). Le comunità vegetali sono, di conseguenza, acidofile (D’Amico 2006a, 2006b). Solamente nel piano alpino alcune specie neutrofile o basifile talvolta coesistono con ericacee acidofile. Numerose specie endemiche crescono soprattutto dove il Ni, totale e biodisponibile, è maggiore. Un forte impatto di Ni, Co e Mn è evidente sull’attività biologica dei suoli: questi ultimi, in ambiente forestale, ospitano una ridotta biodiversità di microartropodi e determinano un forte stress per le comunità microbiche (D’Amico et al. 2009). Le indagini condotte propongono numerosi spunti di interesse, a causa delle particolari condizioni di acidità edafica, raramente riscontrate nel mondo su analoghi substrati, le quali creano un ambiente particolarmente “difficile” per le comunità viventi ivi insediate. In un ambiente così “estremo”, l’aumentata disponibilità dei metalli pesanti può causare forti impatti sugli ecosistemi. La mobilità dei metalli è elevata anche alle alte quote, dove l’acidità è inferiore ma subentrano importanti fenomeni di idromorfia stagionale. Verranno qui descritti i principali risultati riguardanti il piano altitudinale alpino. 2. L’area di studio 2.1. Clima La Valle del Chalamy e quella di Champorcher, nel Parco Naturale del Mont Avic, sono sulla destra della Val d’Aosta, nelle Alpi Graie (Fig. 1). Il clima (Mercalli 2003) Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio. Fig. 1 - The study area in the Alpine space. nella Valle del Chalamy è tipicamente continentale, di tipo endalpico: le precipitazioni medie annue sono inferiori a 1200 mm, concentrate soprattutto in autunno e primavera, con un minimo relativo estivo e un massimo invernale; normalmente non vi sono condizioni di deficit idrico. Nella Valle di Champorcher, più meridionale e più esterna all’arco alpino rispetto alla precedente, gli influssi prealpini si fanno evidenti, con precipitazioni più abbondati che raggiungono i 1600-1800 mm (valori massimi dell’intera regione). Le quote dei punti di rilevamento considerati sono comprese tra 2250 e 2950 m circa. 2.2. Geologia L’area di studio è completamente inclusa nel massiccio ultrabasico del Mont Avic (parte del complesso ofiolitico piemontese); la serpentinite è la litologia più diffusa, seguita da metagabbro, anfiboliti e cloritoscisti. Ampi affioramenti di calcescisto sono diffusi nell’Alta Valle di Champorcher, nel settore sud occidentale dell’area protetta. Il materiale parentale è morenico, composto di serpentinite e rocce mafiche in proporzioni diverse, la cui composizione chimica è mostrata in tabella 1. 2.3. Vegetazione Al di sopra del limite degli alberi attuale, localizzato tra 2250 e 2400 m, le comunità divergono in relazione a substrato e microclima. Le ericacee sono diffuse fino a 25002600 m di quota, mentre la ridotta attività di pascolo fa sì che le comunità vegetali presentino un elevato grado di naturalità. Questo ambiente include il piano subalpino superiore, dominato dagli arbusteti a ericacee, e il piano alpino, caratterizzato da praterie alpine e da vegetazione dei detriti e delle rocce. Per semplicità, e visto che i suoli qui evoluti, nell’area di studio, presentano caratteri e processi simili, d’ora in poi chiameremo questi due ambienti “piano alpino”. La variabilità spaziale dei suoli e delle forme geomorfologiche negli ambienti alpini del parco è elevatissima, come è evidente negli esempi mostrati nelle figure 2 e 3. Le differenze di substrato e morfologia sono i presupposti per un’elevata variabilità spaziale delle tipologie e dei caratteri chimici e fisici dei suoli. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 25 Tab. 1 - Composizione delle principali litologie dell’area di studio (dall’analisi XRF di alcuni campioni prelevati sul posto). Tab. 1 - Chemical composition of the most common rock types found in the study area (from XRF analysis of rock samples). Serpentinite Fe2O3 (%) Metagabbro Prasinite Anfibolite Cloritoscisti Calcescisti 5,9 (±2) 4,3 10,6 (±3) 7,8 6,5 5,4 Cr2O3 (µg g-1) 3700 (±2000) 2654 506 (±200) 860 2242 (±1500) 4,85 NiO (µg g-1) 1366 310 284 1390 2373 (±300) 27 Co (µg g-1) 30 27 42 33 30 2,5 MnO (%) 0,10 0,06 0,21 (±0,1) 0,09 0,12 0,21 SiO2 (%) 42,5 46,1 42,4 36,2 31,5 61,21 Al2O3 (%) 0,3 15,7 10,6 11,8 14,0 15,45 MgO (%) 42,0 15,6 18,2 31,0 32,1 3,41 CaO (%) 0,05 10,5 7,6 7,8 2,1 14,21 3. Materiali e metodi La scelta dei siti di scavo nei 97 profili associati a rilievi floristici di dettaglio è stata effettuata in modo da ottenere una caratterizzazione di massima delle principali combinazioni tra copertura vegetale, morfologia e substrato, seguendo un criterio esplorativo. Sono state effettuate le principali analisi chimiche e fisiche, considerando il pH (in acqua e in KCl, soluzione suolo-liquido 1:2,5), la capacità di scambio cationico (CSC: BaCl2-TEA, pH 8,2) e le basi di scambio (Ca, Mg, Na, K estratte con BaCl2), l’acidità scambiabile totale (ac) e il tasso di saturazione in basi (TSB). N e C organico totale (TOC) sono stati analizzati con analizzatore elementare CN (Thermo Scientific). La composizione chimica totale e il contenuto pseudototale in metalli pesanti sono stati osservati dopo solubilizzazione in acqua regia (HNO3:HCL=1:3) o XRF (X Ray Florimetry). È stata effettuata la speciazione chimica di Ni, Co, Cr, Mn per 15 suoli sotto vegetazione montana e foresta subalpina, e 19 sotto vegetazione alpina (riconoscimento delle loro diverse forme chimiche mediante estrazione sequenziale di frazioni definite da un punto di vista operativo). Un’aliquota fissa di campione (1 g) è stata sottoposta a estrazioni successive con reagenti aventi capacità estrat- tiva crescente (Tab. 2), intervallate da lavaggi con acqua distillata. Il Cr (VI) è stato misurato mediante il metodo del diphenil-carbazide (Bartlett & James 1996), dopo estrazione con K2H2PO4. Il Ni biodisponibile (Niav) è stato estratto in EDTAammonio acetato 0,1 M in tutti gli orizzonti superficiali. Le comunità di microartropodi sono state raccolte da tre campioni superficiali (tra 0 e 10 cm, corrispondenti agli orizzonti A, AE, AC) del peso di 500 g circa l’uno, per sei profili sotto foresta subalpina e otto profili sotto vegetazione alpina. L’osservazione e la classificazione delle forme biologiche (spesso a livelli tassonomici superiori alla specie), e l’attribuzione di valori di qualità biologica dei profili sono state effettuate secondo il metodo della qualità biologica del suolo (QBS) proposto da Parisi (2001). I parametri di attività microbiologica indagati sono stati la respirazione (Resp) e la biomassa (Cmic), analizzati rispettivamente mediante il metodo della respirazione alcalina (Farini & Gigliotti 1989) e dell’estrazione dopo fumigazione in cloroformio (Vance 1987). Per la descrizione di tali metodi si rimanda al lavoro di D’Amico et al. (2009). Durante l’estrazione del Cmic si ottiene anche il C labile (Clab). Associando i parametri di attività microbiologica tra loro e con il contenuto in nutrienti (TOC, Clab) si ottengono interessanti indicatori di stress, quali il quoziente Tab. 2 - Reagenti e metodi usati nell’estrazione sequenziale. Tab. 2 - Reagents and methods used in the sequential extraction of metals. Estraente Volume Tempo Temperatura CH3COONH4 (1M) 20 ml 15 min 25 °C NH2OH-HCl (0,1M) 20 ml 30 min 25 °C Ossalato (1M) 20 ml 4h 25 °C H2O2 (30%) CH3COONH4 (0,1M)* 20 ml 20 ml 10 h 30 min 65 °C 25 °C DCB 40 ml 14 hours 25 °C Aqua regia 10 ml 90 min forno MW Frazione estratta Scambiabile (Niex Coex, Crex, Mnex) Associata agli ossidi di Mn ed estremamente amorfi di Fe (NiMn, CoMn, CrMn, MnMn) Associata agli ossidi amorfi di Fe (Nio, Coo, Cro, Mno, Feo) Associata alla sostanza organica (Niorg, Coorg, Crorg, Mnorg Feorg) Associata con gli ossidi cristallini pedogenetici di Fe (Nid, Cod, Crd, Mnd, Fed) Residua 26 D’Amico et al. Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic Fig. 2 - L’altopiano della Gran Betassa e i suoi laghi, nel bacino del Chalamy. 1. Rocce montonate di serpentinite, intervallate da zone umide; 2. affioramenti di serpentinoscisto crioturbato; 3. materiale morenico composto da serpentinite, anfibolite, metagabbro e calcescisto; 4. coperture moreniche miste con scarsi affioramenti di serpentinite; 5. affioramenti di prasinite criofratturata; 6. rock glacier fossile, inattivo; 7. rock glacier attivo e in movimento. Fig 2 - The Gran Betassa Plateau and its lakes, in the Chalamy basin. 1. Serpentinitic “roches moutonnees” separated by wetlands; 2. cryoturbated schistose serpentinitic outcrops; 3. glacial till made of serpentinite, amphibolite, gabbros and calcschists; 4. mixed till with small serpentinitic outcrops; 5. cryofractured amphibolites; 6. fossile rock glacier; 7. active, moving rock glacier. Fig. 3 - L’alpe Raty Damon e le sue montagne, nella Valle di Champorcher. 1. Coperture moreniche composte da serpentinite prevalente (P23); 2. affioramenti di serpentinoscisto in erosione (P135, P136); 3. affioramento di calcescisto (P25); 4. antico rock glacier fossile; 5. serpentinite; 6. detrito di serpentinite poco vegetato; 7. area crioturbata, con grandi lobi di soliflusso e hummocks (P24, P139); 8. cerchie moreniche; 9. affioramenti di metagabbro; 10. falda detritica di metagabbro. Fig. 3 - The Raty Damon plateau and surrounding mountains, in the Champorcher Valley. 1. Serpentinitic till (P23); 2. eroding schistose serpentinite (P135, P136). 3. calcschist outcrop (P25); 4. ancient rock glacier; 5. serpentinite; 6. non-vegetated serpentinite debris; 7. cryoturbated area, with large solifluction lobes (P24, P139); 8. moraines; 9. meta-gabbros; 10. gabbroic debris. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 metabolico (qCO2, rapporto tra respirazione e biomassa), il TOC/Cmic e il Clab/Cmic. Questi indici evidenziano la presenza di fattori in grado di limitare la crescita delle popolazioni microbiche: nel primo caso, valori elevati di qCO2 evidenziano fattori edafici o ambientali che aumentano il metabolismo per scopi diversi dalla crescita delle popolazioni – presumibilmente, per l’attivazione di meccanismi di detossificazione –, mentre nel secondo e nel terzo caso, essi evidenziano fattori che non permettono la crescita delle popolazioni nonostante la disponibilità di nutrienti. Il dataset completo è stato suddiviso in due gruppi: suoli e ambienti forestali, e suoli e ambienti alpini. L’analisi delle correlazioni e l’analisi delle componenti principali (PCA) sono state eseguite sui risultati analitici e sulla composizione litologica del materiale parentale, per riconoscere i principali fattori in grado di spiegare la variabilità delle proprietà chimiche. Le analisi di relazione tra i caratteri edafo-ambientali e i parametri biologici (correlazione e PCA, per i profili aventi dati a disposizione) e la vegetazione sono state effettuate dopo aver selezionato le variabili con il minor grado di intercorrelazione. Le relazioni tra suolo e vegetazione sono state valutate attraverso l’analisi CCA (Canonical Coordination Analysis, Ter Braak 1986), mentre le relazioni tra particolari specie e caratteri edafo-ambientali sono state elaborate mediante il metodo CART (Vayssiéres et al. 2000). Per tutte le elaborazioni statistiche è stato usato il software R3.8.1. 4. Risultati 4.1. Caratteri chimici e morfologici dei suoli I principali processi che influenzano la pedogenesi attivi sopra il limite della vegetazione forestale sono la crioturbazione e l’erosione, mentre l’acidificazione causata dalla copertura vegetale è intensa solo in località stabili e a bassa pendenza. Analogamente a quanto osservato da Sirois & Grandtner (1991), i movimenti periglaciali, la forte erosione e deposizione tipiche dei versanti crioturbati e la (prevalentemente) bassa copertura vegetale inibiscono lo sviluppo dei suoli, che sono classificati come Regosols, Cambisols o Cryosols (Fig. 4, Tab. 3) alle quote più elevate (IUSS Working Group 2006). I suoli analizzati hanno caratteri chimici e fisici (Tab. 4) molto variabili anche su substrati analoghi (D’Amico 2006a). Ad esempio, i valori di pH sono talvolta estremamente bassi anche su materiali parentali ricchi in basi (calcescisto o serpentinite). Su tali substrati, questo parametro dipende strettamente dal grado di sviluppo pedogenetico: su serpentinite, il pH è subacido (pari a circa 6) in situazioni di estremo disturbo ed erosione (P140, su un versante detritico instabile e in erosione; P146, in un canalone interessato da debris flows e con apporto di basi da piccoli affioramenti di calcescisto), mentre scende a meno di 4 in situazioni stabili (P10, P143). Su calcescisto, dove i carbonati sono completamente dilavati anche nei livelli alterati del substrato, la variazione è ancora più intensa. Su metagabbro, dove il processo della podzolizzazione si spinge fino a 2500-2600 m di quota, i suoli sono acidi anche in condizioni di forte crioturbazione. Il rapporto tra Ca e Mg scambiabili (Ca/Mg) dipende dal substrato: nei suoli su calcescisto i valori sono superiori 27 a 30, in quelli su metagabbro sono compresi tra 3 e 10, mentre in quelli su serpentinite sono correlati alla sostanza organica (valori tra 0,2 e 16). Negli orizzonti organominerali di superficie, infatti, il Ca è concentrato a causa di fenomeni di bioaccumulo e biocycling, mentre il Mg viene facilmente dilavato (Lee et al. 2004). La scarsa acidificazione attiva nei suoli su serpentinite, in situazioni di limitato innevamento, favorisce l’evoluzione verso suoli simili a quelli “lateritici”, fortemente arrossati e composti prevalentemente da ossidi e idrossidi di ferro (P138). Suoli di questo tipo arrivano a contenere eccezionali quantitativi di elementi in traccia potenzialmente tossici. La composizione chimica dei suoli è molto variabile, con frequenti cambiamenti bruschi tra diversi orizzonti, soprattutto per Ca, Mg, Fe e Mn. In particolare, le diverse concentrazioni dei primi due elementi possono essere dovute a discontinuità litologiche legate ai processi di soliflusso: sono infatti più variabili nei suoli intensamente crioturbati. Per quanto riguarda Fe e Mn, invece, le grandi discontinuità sono dovute ai processi pedologici interni al profilo (molto evidenti su calcescisto): i valori minimi sono sempre misurati negli orizzonti sbiancati (E, AE) e dipendono probabilmente da processi di lisciviazione causati da idromorfia e da un’incipiente podzolizzazione. Su serpentinite, i suoli mostrano i tipici caratteri ultramafici, con elevate concentrazioni totali in Mg, Fe, Ni e Cr. Rispetto al materiale parentale, vi è un arricchimento in Ca e Al, forse grazie ad apporti eolici. Il forte aumento della concentrazione di alcuni elementi (in particolare, Ni e Co) misurato talvolta negli orizzonti profondi su calcescisto dipende probabilmente da apporti di sostanze disciolte nelle acque di scorrimento all’interno del profilo nei periodi di saturazione idrica al disgelo. Il materiale parentale e la composizione litologica delle pietre contenute in tali orizzonti non permetterebbero infatti la presenza di concentrazioni così elevate in metalli pesanti in questi suoli. 4.2. Speciazione dei metalli in traccia Solo alcune forme chimiche di Ni e Co sono significativamente correlate tra loro. Diversamente da quanto accade nei suoli subalpini (D’Amico et al. 2009) e da quanto è noto in letteratura (Jarvis 1984; Gasser et al. 1994), il Mn non è correlato a Ni e Co. Le sue forme presentano infatti degli andamenti molto irregolari tra gli orizzonti, probabilmente a causa della grande sensibilità ai fenomeni di riduzione chimica (frequenti durante il disgelo e favoriti dalla presenza di terreno gelato impermeabile). Il Cr, a sua volta, presenta un comportamento diverso e indipendente: è il metallo meno mobilizzato dai processi pedogenetici attivi ad alta quota. Su serpentinite (dove sono stati rilevati i valori massimi), il suo contenuto decresce con la profondità, in accordo con quanto comunemente trovato su substrati analoghi. Ciò dipende dalla scarsa alterabilità di magnetite e cromite, che includono frazioni importanti di tale metallo. L’andamento degli elementi con la profondità è indicatore della loro mobilità: si evidenzia quindi una mobilizzazione del Cr molto inferiore rispetto ai suoli subalpini (D’Amico et al. 2009). Nei suoli i valori minimi si riscontrano su calcescisto, mentre su metagabbro essi (fino a 1500 mg kg-1) sono superiori ai normali valori rilevati su 28 D’Amico et al. Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic Fig. 4 - Alcuni profili indagati e la loro classificazione WRB (IUSS 2006). Da sinistra in alto P53 (Epistagnic Cryosol), P141 (Chromic Cambisol), P142 (Dystric Cryosol). Fig. 4 - Some of the studied profiles and their WRB (IUSS 2006) classification. From the top, on the left, P53 (Epistagnic Cryosol), P141 (Chromic Cambisol), P142 (Dystric Cryosol). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 29 Tab. 3 - Ambiente e classificazione di alcuni suoli caratteristici per i piani subalpino superiore e alpino nel Parco Naturale del Mont Avic. Tab. 3 - Main environmental properties and classification of some typical soils in the higher subalpine and in the alpine levels in Mont Avic Natural Park. Profilo Quota P37 2480 Esp. 70° Pendenza Geomorfologia 20° Lobi di soliflusso P38 2600 0° 5° Lobi di soliflusso Curvuletum tipico P52 2705 45° 1° Salicetum herbaceae P56 2535 30° 7° Curvuletum con specie basifile Spodic Cambisol (Dystric, Chromic) P138 2417 Caricetum fimbriatae con ericacee Leptic Cambisol (Eutric, Chromic) P10 2425 180° 10° Caricetum fimbriatae con ericacee Epileptic Cambisol (Dystric, Skeletic) P11 2625 220° 15° Curvuletum tipico, con ericacee Epileptic Cambisol (Dystric, Hyperskeletic, Turbic) P12 2600 180° 25° Caricetum fimbriatae con ericacee Haplic Regosol (Skeletic, Eutric) P140 2310 260° 30° Serpentinofite Haplic Regosol (Eutric, Hyperskeletic) P4 2240° 180° 3° Dossetti crionivali Versante con rocce montonate Pianoro sommitale crioturbato Tasca su un masso di rock glacier fossile Crioturbazione intensa Crioturbazione intensa Falda detritica Dosso montonato, crioturbato WRB Haplic Cambisol (Eutric, Turbic) Gelistagnic Cambisol (Hyperdystric, Skeletic, Protospodic) Turbic Cryosol (Eutric) Caricetum fimbriatae con ericacee Cambic Leptosol (Dystric) P141 2680 90° 2° Rock stream P142 2775 90° 1° Dossetti crionivali P143 2545 270° 10° Rocce montonate Thlaspietum rotundifolii – Caricetum fimbriatae Salicetum herbaceae con Vaccinium ssp. Caricetum fimbriatae con ericacee Turbic Cryosol (Eutric, Hyperskeletic) Turbic Cryosol (Dystric, Hyperskeletic) Umbric Leptosol (Humic) P144 P145 P146 P41 2420 2420 2130 2565 0° 0° 180° 310° 5° 6° 20° 10° Versante morenico Versante morenico Falda detritica Dosso morenico Curvuletum tipico Caricetum fimbriatae con ericacee Serpentinofite Curvuletum con Vaccinium ssp. Leptic Umbrisol (Hyperskeletic) Leptic Umbrisol (Hyperskeletic) Haplic Regosol (Eutric, Hyperskeletic) Lepti-Umbric Podzol (Skeletic) 1° Vegetazione Curvuletum con specie basifile Tab. 4 - Principali caratteri chimici di alcuni profili significativi. Il pH è misurato in KCl; TOC e TSB sono espressi in %, CSC, Ca, Mg, Na, K e Ac (acidità di scambio) sono espresse in cmol kg-1. GB= prevalente metagabbro; SP= prevalente serpentinite; CS= prevalente calcescisto; TXT= classe tessiturale USDA. Tab. 4 - Main chemical properties of some typical soil profiles. pH is measured in KCl, TOC and TSB are expressed as %, CSC, Ca, Mg, Na, K and Ac (exchangeable acidity) are expressed in cmol kg-1. GB= main metagabbros; SP= main serpentinite; CS= main calcschists; TXT= USDA textural classes. Or. A1 AC1 CB1 CB8 Bw A1 AE B CB C A AC C A E Bs BC C A Bw C A Bw Profilo pH TOC Ca Mg TSB 5,7 4,2 52,23 1,05 81 5,9 1,8 26,92 0,98 77 P37 6,1 1,4 8,78 0,14 69 CS 6,1 0,5 4,54 0,10 84 6,5 1,4 6,36 0,12 62 3,4 2,7 10,22 1,10 27 3,5 1,0 1,36 0,09 18 P38 3,9 0,7 0,51 0,18 10 CS 4,5 0,6 0,90 0,04 9 4,1 0,4 0,47 0,10 12 4,9 1,3 9,10 1,54 53 P52 5,1 0,8 8,08 1,22 69 CS 4,7 0,7 3,91 0,58 75 5,6 1,9 25,43 1,22 46 5,5 0,9 10,22 0,36 43 P56 5,6 0,8 4,48 0,05 36 CS 5,1 0,6 0,75 0,03 23 4,7 0,4 0,65 0,03 33 4,8 1,8 2,39 7,99 39 P138 5,7 0,8 1,70 8,79 67 SP 5,6 0,5 0,56 8,49 73 3,80 1,62 16 P10 3,7 3,3 SP 4,0 1,5 2,26 0,99 23 Ca/Mg 49,7 27,5 62,7 45,4 53,0 9,3 15,1 2,8 22,5 4,7 5,9 6,6 6,7 20,8 28,4 89,6 25,0 21,7 0,3 0,2 0,1 2,3 2,3 TXT SF FS FS SF SF SF FS FS S FS FS FS SF SF FS S S SF FS FS FS FS FS Or. A Bw C A BC C1 C2 A Bw A AC C A CA C A A A1 A2 AC1 AC2 A AE Bhs Profilo P11 GB P12 SP P140 SP P4 GB/SP P141 SP P142 GB P143 SP P144 GB P145 GB P146 SP P41 GB pH TOC 4,3 2,1 4,5 1,6 4,4 0,6 5,2 1,4 5,5 0,7 5,5 0,6 5,8 0,5 3,9 1,2 4,3 0,8 4,7 0,5 5,2 0,4 5,3 0,1 4,3 1,7 4,6 0,4 4,7 0,5 3,7 5,2 3,3 2,2 3,6 2,3 3,5 1,5 6,5 1,2 6,8 0,9 4,0 2,0 3,9 3,1 4,4 2,8 Ca Mg TSB 1,12 0,32 5 0,95 0,26 7 0,78 0,09 12 2,48 1,73 23 1,98 1,81 38 0,58 0,84 27 0,70 1,68 53 0,28 0,19 12 0,16 0,15 8 0,61 0,78 35 0,97 1,22 45 0,33 0,62 76 3,47 1,67 55 0,95 0,76 59 1,39 0,89 61 1,63 0,87 14 5,23 2,03 22 4,42 2,16 19 2,79 1,20 13 11,71 1,17 82 5,22 0,28 80 2,68 0,82 12 2,10 0,61 11 1,91 0,75 12 Ca/Mg 3,5 3,6 8,7 1,4 1,1 0,7 0,4 1,5 1,1 0,8 0,8 0,5 2,1 1,2 1,6 1,9 2,6 2,0 2,3 10,0 18,6 3,3 3,4 3,2 TXT SF FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FS FL FS FS FS FS FS 30 D’Amico et al. queste litologie (pari a circa 200-300 mg kg-1). Le frazioni di associate a materiali pedogenetici sono sempre direttamente correlate al contenuto totale. La forma estremamente tossica del cromo (Cr VI) è, fortunatamente, labile e si riduce velocemente a Cr (III) in presenza di Fe (II) e di sostanza organica complessante (Fendorf 1995); nei suoli in esame, la soglia di tossicità (pari a circa 2 mg kg-1) viene spesso superata, talvolta anche negli orizzonti superficiali ricchi in sostanza organica e su materiali parentali diversi dalla serpentinite. Ciò probabilmente accade a causa delle frequenti condizioni di idromorfia al momento dello scioglimento della neve, che “attivano” gli ossidi di manganese (Fendorf 1995). L’elevato contenuto in CrVI nei suoli su rocce mafiche e su calcescisto può dipendere dalla sua elevata mobilità, che favorisce spostamenti in soluzione per lunghe distanze. La speciazione chimica del Ni evidenzia una situazione completamente diversa: le frazioni pedogeniche (associate a ossidi amorfi e cristallini di Fe e Mn, e alla sostanza organica) rappresentano normalmente più del 50% del totale presente nel rispettivo orizzonte. Le frazioni più labili (scambiabile e associata agli ossidi di manganese) in alcuni suoli su calcescisto costituiscono una frazione prossima alla totalità negli orizzonti profondi, a verifica degli apporti esterni in soluzione nelle acque di scorrimento sottosuperficiale. 4.3. Metalli biodisponibili Il Niav, che mostra un trend decrescente significativo da serpentinite a gabbro e calcescisto, ha una varianza estremamente elevata su serpentinite (2-950 mg kg-1), a causa della lisciviazione che ne abbassa il contenuto nei suoli più evoluti. I valori riscontrati su serpentinite nel Parco Naturale del Mont Avic sono spesso superiori a quelli evidenziati in altre località con substrati ultramafici: ad esempio, Slingsby & Brown (1977) evidenziano concentrazioni di Ni biodisponibile fino a 250 mg kg-1 circa, soprattutto in località note per la estrema tossicità edafica (Keen of Hamar, Isole Shetland, dove il Ni totale nel suolo supera i 9000 mg kg-1). Valori più bassi di un fattore 100 o 1000 rispetto a quelli trovati nel Parco Mont Avic sono stati rilevati in Spagna in ambiente alpino su substrati prevalentemente ultramafici, ma con apporto di materiali diversi (Sanchez-Marañòn et al. 1999), e in ambiente subartico a Terranova (Roberts 1980). La soglia di tossicità per molte specie vegetali (pari a circa 6 mg kg-1, Gasser et al. 1994) è largamente superata. Su serpentinite, il valore più alto di Niav è riscontrato negli orizzonti organominerali di superficie, raramente negli orizzonti B (dove rappresenta la frazione legata alla sostanza organica per chelazione o adsorbimento, insieme a quella legata agli ossidi di ferro e manganese); su altre litologie, il Niav spesso raggiunge i valori massimi negli orizzonti più profondi, in virtù dei probabili apporti esterni di forme labili in soluzione. La differenza rispetto ai suoli sviluppati sotto foresta subalpina, situati a breve distanza, è enorme: nella fascia alpina: l’alterazione chimica riesce a liberare i metalli dal reticolo cristallino dei minerali primari, ma la debole acidità e l’apporto continuo di materiale fresco ad opera dei movimenti di versante e della crioturbazione ne limitano la lisciviazione, l’asportazione e, forse, a parità di concen- Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic trazione, ne riducono la biodisponibilità. Inoltre i valori di Mnav, Coav e Crav sono inferiori, nella norma dei suoli sviluppati sulle rispettive rocce. 4.4. Le tipologie vegetazionali L’analisi dei cluster riferita ai dati dei rilievi floristici ha evidenziato l’esistenza di 10 gruppi statisticamente ed ecologicamente significativi (Fig. 5a), ben differenziati in base a substrato e microclima. Su calcescisto sono diffuse le praterie prevalentemente acidofile riconducibili al Curvuletum, (clusters 4 e 11, il secondo arricchito in specie basifile). Su gabbro, in condizioni stabili, si sviluppano associazioni acidofile simili, appartenenti al cluster 4, o, su pendenze elevate, appartenenti al cluster 9 (Oxyrietum diginae). Associazioni nivali di alta quota su serpentinite e gabbro sono riconducibili all’associazione Salicetum herbaceae (cluster 6). A quote superiori a 2800 m, anche su gabbro i suoli sono meno acidificati e presentano un pH prossimo alla neutralità, e ciò influenza la presenza di comunità vegetali ricche in specie acidofile e basifile analoghe a quelle sviluppate su calcescisto (clusters 5 e 8). Su serpentinite, la vegetazione più tipica include ericacee acidofile (Vaccinium uliginosum, Loiseleuria procumbens, Rhododendron ferrugineum) associate all’endemica e dominante Carex fimbriata (cluster 1). La copertura vegetale è piuttosto bassa, probabilmente a causa dell’eccesso di metalli biodisponibili. Sui detriti crioturbati alle alte quote, l’associazione caratteristica è il Thlaspietum rotundifolii. In alcuni siti disturbati da intensa erosione, le comunità sono arricchite in specie basifile, in accordo con il pH prossimo alla neutralità e con l’elevato contenuto in Ca. Su serpentinite, sono comuni specie endemiche quali Thlaspi sylvium, Cardamine plumieri, Carex fimbriata e altre brassicaceae come la Biscutella laevigata (Fig. 6). 4.5. I rapporti suolo-vegetazione La combinazione delle variabili edafiche e ambientali considerate spiega il 21% della varianza della distribuzione delle specie (Fig. 5b), mentre il 79% dipende dal disordine tipico dei sistemi ecologici. Le variabili meglio correlate con i 2 assi principali sono, in ordine, Niav, quota, pendenza, drenaggio ed esposizione. Le elaborazioni statistiche applicate specificamente alle specie serpentinofite Carex fimbriata, Thlaspi sylvium, Cardamine plumieri, Silene vulgaris e Biscutella laevigata evidenziano che il fattore meglio correlato con la loro presenza è il Niav. Carex curvula e Luzula spicata, specie alpine comuni rare su serpentinite, sono invece negativamente correlate con pH e Niav. Bassi valori del rapporto Ca/ Mg sembrano essere favorevoli alla crescita di Carex sempervirens e Luzula lutea, mentre il Thlaspi rotundifolium subsp. corymbosum appare in relazione con valori alti di Niav e bassi di Ca/Mg. 4.6. La qualità biologica dei suoli Confrontando i risultati riguardanti la speciazione dei metalli pesanti con le osservazioni sulle comunità di microartropodi, si osserva che, differentemente da quanto accade sotto il limite della vegetazione arborea (D’Amico Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 a. 31 b. Fig. 5 - a. Grafico della cluster analisi che evidenzia la relazione tra le diverse associazioni vegetali alpine rilevate; b. grafico della CCA che evidenzia il Niav come il parametro più influente nella distribuzione delle comunità vegetali. La lunghezza delle frecce, infatti, indica l’importanza dei determinati fattori causali (caratteri edafici ed ambientali) implicati nella spiegazione della varianza delle variabili dipendenti (le comunità vegetali). Fig. 5 - a. Clustering of plant communities; b. CCA biplot, which shows how Niav is the most important edaphic factor involved in the variability of plant communties. The length of the arrows is proportional to the importance of the causal factors (edaphic and environmental properties) involved in the variance of dependent variables (plant communities). et al. 2009), i metalli non sembrano influenzare le comunità di artropodi del suolo. Infatti, i suoli apparentemente più “fertili” (su calcescisto e gabbro) presentano una biodiversità animale assai ridotta. I valori dell’Indice QBS più bassi si sono ottenuti per il P38, il P52 e il P56 (sviluppati su calcescisto): la media delle repliche nei due casi risulta pari a 1, con un numero estremamente scarso di forme biologiche riconosciute e di individui. I suoli su serpentinite, con una maggior pietrosità, un maggior disturbo erosivo, una minore copertura vegetale, un rapporto Ca/Mg più sfavorevole alla produttività vegetale, un minor quantitativo di carbonio e di nutrienti hanno un valore di QBS più elevato. Alcuni (P12 e P139) hanno una qualità buona (QBS= 3, in una scala che varia tra 0 e 6). Confrontando l’Indice QBS dei profili P10, P11 e P12, sviluppati a breve distanza ma su substrati e con contenuti in metalli diversi, si osserva come il suolo P12, su serpentinite, disturbato ed estremamente ricco in Ni, Co e Mn biodisponibili, abbia una qualità biologica piuttosto buona. Questo risultato contrasta anche con la vegetazione, qui particolarmente ricca in specie bene adattate a elevate concentrazioni di metalli pesanti (Thlaspi sylvium, Biscutella laevigata, Carex fimbriata e Cardamine plumieri). Il P11, su metagabbro e sotto coperture vegetali continue, ha il valore minimo di QBS tra questi 3 suoli. 4.7. I parametri microbiologici I risultati analitici usati per la caratterizzazione della qualità microbiologica dei suoli sono illustrati in tabella 5. Una prima indagine ha voluto ricercare delle tendenze nella variazione verticale (intra-profilo) dei parametri microbici all’interno di profili rappresentativi (Fig. 7). Eventuali irregolarità nella distribuzione verticale del TOC dipendono da fenomeni di ricoprimento dovuti alla crioturbazione, mentre la distribuzione del Clab (la forma di C immediatamente assimilabile dai microrganismi) può dipendere da illuviazione di molecole solubili di piccole dimensioni o da una maggiore età e alterazione della sostanza organica di orizzonti sepolti dai processi di disturbo di crioturbazione o erosione-deposizione. Il parametro Cmic decresce, in generale, con la profondità. Questa tendenza prevale anche nei profili con un andamento irregolare dei nutrienti immediatamente disponibili. L’aerazione del suolo, unita alla presenza di resti di vegetazione e/o di orizzonti organici, si conferma l’elemento che più incide sulle dinamiche della sostanza organica e della attività microbiotica. Confrontando i caratteri microbici in suoli analoghi dal punto di vista ambientale ed edafico, ma su substrato diverso, si può vedere come ci siano scarsi rapporti tra substrato e stress per le comunità microbiche. I P52, P141 e P142 sono simili per processi pedogenetici attivi (sono caratterizzati da intensa idromorfia, crioturbazione e sono probabilmente interessati da permafrost), sebbene si siano sviluppati rispettivamente su calcescisto, serpentinite e metagabbro/anfibolite. I parametri di attività microbica e contenuto in nutrienti evidenziano una situazione più favorevole nel profilo su metagabbro/anfibolite, mentre il suolo su serpentinite ha 32 D’Amico et al. Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic Fig. 6 - Alcune immagini di comunità vegetali alpine osservate. Da sinistra in alto: Thlaspietum rotundiifolii su serpentinite intensamente crioturbata (P143); Curvuletum tipico su suoli acidi e lisciviati su calcescisto (P38); Caricetum fimbriatae su serpentinite (a sinistra nella foto, P138), affiancato in modo abrupto a una prateria pingue dominata da Poa alpina su gabbro (sulla destra); comunità su suoli disturbati su detrito di serpentinite, ricca in specie endemiche adattate ai metalli pesanti e, talvolta, basifile (Cardamine plumieri, Thlaspi sylvium). Fig. 6 - Some Alpine plant communities in the study area. From the top-left: Thlaspietum rotundiifolii on cryoturbated serpentinite (P143); typical Curvuletum on acid and leached soils on calcschists (P38); Caricetum fimbriatae on serpentinite (on the left in the bottom-left picture, P138), abruptly confining with a rich meadow on gabbro (dominated by Poa alpina, on the right); eroded and disturbed soils on serpentinite, covered by heavy metal-adapted, endemic species (Cardamine plumieri, Thlaspi sylvium). il contenuto in Clab minimo e il tasso di respirazione più basso. Stranamente, il valore massimo di Cmic è proprio nel profilo su serpentinite. Il bassissimo valore di respirazione, associato alla grande biomassa microbica, potrebbe dipendere dalla quiescenza dei microrganismi in questo suolo. Confrontando i profili P11 e P12, emerge una maggiore attività biologica (resp e Cmic) nel P12 (serpentinite), associata a 2 indici di stress su 3 superiori. Le differenze tra i suoli su diversi substrati non sono significative. Tra i parametri ambientali, solo la quota è correlata con un parametro di stress negli orizzonti superficiali A (Clab/Cmic). La respirazione è negativamente correlata con nichel, cromo e manganese, mentre la biomassa sembra essere inaspettatamente correlata in modo positivo al manganese. Solo il rapporto TOC/Cmic presenta valori di correlazione significativi con qualche parametro edafico (alcune forme di Mn, Co e Ni). I coefficienti di correlazione tra qCO2 e Clab/Cmic sono stranamente negativi con gran parte delle specie dei metalli. Nessun valore è statisticamente significativo (p-value= 0,05). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 33 Tab. 5 - Indici di stress microbiologici per i profili analizzati. TOC= Total Organic Carbon (carbonio organico totale); qCO2= quoziente metabolico. Tab. 5 - Microbial stress indicators for the analyzed profiles. TOC= Total Organic Carbon (carbonio organico totale); qCO2= metabolic quotient. Or. Profilo qCO2 A AC C A CA C A A BC A E P141 P142 P143 P171 P41 TOC/Cmic (µg C-CO2 d mg Cmic) *100 0,30 7,14 0,00 153,49 18,09 41,86 3,28 39,85 218,18 10,09 19,82 0,03 0,25 0,32 0,22 0,13 0,05 1,64 0,32 0,02 0,13 0,95 -1 -1 Clab/Cmic Or. Profilo qCO2 0,16 0,83 4,17 18,89 1,82 4,75 0,55 1,58 5,00 0,75 1,92 La situazione si presenta simile negli orizzonti sottosuperficiali (Tab. 5), dove l’effetto degli abbondanti nutrienti, presenti in superficie e in grado di mascherare eventuali segni di stress sulle comunità microbiche, viene meno, rendendo più visibili gli effetti di tossicità dei metalli pesanti mobili e biodisponibili. La respirazione basale appare inibita da alcune forme di Co e Ni, mentre A AC C A E Bs A B A B A BC P52 P56 P138 P11 P12 TOC/Cmic (µg C-CO2 d mg Cmic) *100 3,14 8,61 6,97 1,14 2,13 9,61 9,42 4,18 6,00 0,00 2,83 4,67 0,41 0,75 0,20 0,50 0,21 0,10 0,42 0,51 0,18 1,20 4,42 1,47 -1 -1 Clab/Cmic 0,21 0,58 0,12 0,13 0,26 1,04 0,54 1,29 0,80 0,80 0,43 0,56 la correlazione negativa tra biomassa e metalli non è mai significativa (p-value= 0,05). Di seguito vengono mostrati i grafici di dispersione per le variabili di stress microbico e alcune tra le forme dei metalli meglio correlate con esse (Figg. 8-9). Diversamente da quanto accade nei suoli delle foreste subalpine (D’Amico et al. 2009), alcune correlazioni positive tra Nimn e Comn Fig. 7 - Andamento intra-profilo dei parametri microbiologicici indagati. In ascissa, la profondità dei vari strati analizzati in cm; in ordinata i parametri di biomassa e respirazione (si vedano le unità di misura in Tab. 4). Fig. 7 - Intra-profile depth trend of microbial properties. Depth (X axis) is in cm. Units of measure for biomass and respiration parameters (Y axis) are in table 4. 34 D’Amico et al. Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic Fig. 8 - Correlazione tra i parametri Nimn (mg kg-1, in ascissa) e qCO2 (in ordinata), negli orizzonti A (a sinistra) e sottosuperficiali AC, AE, B, C, AC (a destra). Fig. 8 - Scatter plot between Nimn (mg kg-1) and qCO2 (Y axis), in A horizons (left) and below surface ones (AC, AE, B, C, AC, on the right). Fig. 9 - Correlazione tra i parametri Comn (mg kg-1, in ascissa) e qCO2, negli orizzonti A (a sinistra) e sottosuperficiali AC, AE, B, C, AC (a destra). Fig. 9 - Scatter plot between Comn (mg kg-1) and qCO2 (Y axis), in A horizons (left) and below surface ones (AC, AE, B, C, AC, on the right). (facilmente mobilizzabili) e alcuni parametri di stress sono intuibili solo negli orizzonti superficiali (Figg. 8-9), ma la significatività di questi risultati è praticamente nulla dai punti di vista ecologico e statistico. 5. Conclusioni 5.1. Caratteri chimico-fisici del suolo ed effetti sulla mobilità dei metalli in traccia I processi e i caratteri chimici dei suoli dipendono in modo netto dalla litologica del materiale parentale. Su serpentinite, i bassi valori di pH e gli alti rapporti Ca/Mg si sono dimostrati molto diversi da quanto spesso si trova in letteratura (Roberts 1980; Proctor & Nagy 1991), anche se talvolta i processi di saturazione idrica e idromorfia causano una profonda lisciviazione delle basi e la formazione di podzols (fenomeni rilevati in Canada: Sirois & Grandtner 1991). I processi pedogenetici attivi in ambiente di alta quota sono radicalmente diversi da quelli attivi sotto il limite della vegetazione arborea, dove risultava favorita una forte alterazione e lisciviazione degli elementi potenzialmente tossici. I suoli alpini su serpentinite evidenziano infatti caratteri favorevoli a un’importante accumulo di forme mobili e biodisponibili dei metalli negli orizzonti superficiali: acidificazione limitata in relazione a una copertura vegetale discontinua, importante crioturbazione, erosione e accumulo di materiale “fresco” sulla superficie del suolo, facilmente attaccabile dagli agenti atmosferici. Nonostante la quota elevata e la scarsa copertura vegetale, l’alterazione dei minerali primari è favorita dalle grandi quantità d’acqua rilasciate allo scioglimento delle nevi, con conseguenti fenomeni di riduzione chimica. Queste acque, scorrendo sulla superficie e attraverso gli orizzonti del suolo, trasportano elementi in soluzione, che si legano alla capacità di scambio dei suoli. Ciò contrasta con quanto normalmente riportato in letteratura: è infatti comunemente risaputo che in ambienti al- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37 pini o artici l’alterazione chimica è pressoché assente, inibita dalle temperature fredde e dalla scarsa attività e produttività biologica; tuttavia, secondo Hall et al. (2002) il fattore limitante l’alterazione non è la temperatura, ma l’umidità. L’accumulo delle frazioni labili dei metalli e della frazione “biodisponibile” (estraibile in EDTA) negli orizzonti superficiali è particolarmente intenso nei suoli su serpentinite sviluppati in ambienti disturbati da crioturbazione ed erosione-deposizione. L’alterazione chimica è attiva (dipende soprattutto dall’abbondanza di acque al momento del disgelo), mentre la scarsa produttività biologica e i movimenti crioscopici limitano l’apporto di acidi organici e, quindi, la lisciviazione. Conseguentemente, i contenuti di Niav sono estremamente alti, fino a 1000 volte maggiori rispetto a quelli degli ambienti alpini in Spagna (SanchezMarañòn et al. 1999), probabilmente a causa del clima più umido che favorisce un’alterazione più rapida dei minerali primari nel suolo, e si assiste spesso ad un superamento della soglia di tossicità per le forme biodisponibili di Ni e Co in gran parte degli orizzonti dei suoli sui substrati ultramafici. I valori di pH spesso inferiori a 6 evidenziano che, anche in condizioni di disturbo molto elevato e di scarsa copertura vegetale, la produzione di acidi organici è sufficiente a modificare gli orizzonti superficiali, in modo da accelerare l’alterazione del materiale e il rilascio dei metalli pesanti dai minerali primari. La morfologia del rilievo e i processi geomorfologici attivi sono, quindi, i fattori che maggiormente influenzano la pedogenesi e, di conseguenza, il contenuto e la biodisponibilità dei metalli pesanti nei suoli alpini. I due fattori che incrementano maggiormente la mobilizzazione dei metalli nei suoli alpini, infatti, dipendono dalla pendenza del versante e dall’esposizione ai venti invernali. Essi sono: - i pH bassi, che aumentano la mobilità di gran parte dei metalli, sono favoriti da coperture vegetali indisturbate, a loro volta sviluppate su superfici a bassa pendenza e con abbondante innevamento; - le condizioni di idromorfia stagionale, che favoriscono la riduzione chimica e la mobilizzazione dei metalli, dipendono a loro volta dall’accumulo di ingenti quantità di neve invernale. Posizioni esposte ai venti favoriscono la riduzione di spessore del manto nevoso. La temperatura del suolo può scendere così di parecchi gradi sotto lo zero, incrementando la crioturbazione, causa primaria di rottura della cotica erbosa, di rottura degli apparati radicali e di stress per numerose specie vegetali. 5.2. Metalli pesanti e indicatori di qualità biologica Nei suoli in cui sono state osservate la composizione e l’adattamento delle comunità di microartropodi sono state rilevate scarse correlazioni negative tra contenuto totale, biodisponibile, speciazione dei metalli pesanti e qualità biologica (QBS). Ciò contrasta con quanto accade nei suoli del piano subalpino (D’Amico et al. 2009), dove è stata verificata l’esistenza di un effetto negativo dei metalli pesanti sulle comunità di microartropodi. Ciò può essere dovuto a un adattamento delle comunità o a condizioni ambientali che inibiscono la tossicità dei metalli o alla presenza di fattori più importanti che mascherano il loro effetto negativo. I suoli con una maggiore pietrosità e un maggiore disturbo per erosione 35 e crioturbazione sono caratterizzati da comunità di microartropodi più sviluppate e un Indice QBS superiore. Ciò potrebbe avere un effetto positivo sull’aerazione di questi suoli, la cui qualità potrebbe essere influenzata in modo importante da fenomeni di anossia per lunghi periodi dell’anno a causa dell’abbondanza delle acque al momento del disgelo. I suoli con un valore di QBS inferiore sono quelli più evoluti, che forse sono più asfittici e asciutti a causa del compattamento e dell’abbondanza di sostanza organiche idrofobe negli orizzonti superficiali. Una correlazione positiva tra valore di QBS e pietrosità del suolo è già stata osservata nei suoli alpini della Val Chiavenna (Ballabio & Comolli, dati non pubblicati). Anche gli altri indicatori di qualità biologica, gli indici di attività microbiologica (respirazione basale e biomassa) e di stress (qCO2, TOC/Cmic, Clab/Cmic), non sono correlati con il contenuto e la speciazione dei metalli pesanti, né con gli altri parametri edafici e ambientali. Anche questa rappresenta una importante differenza rispetto a quanto accade nei suoli subalpini. 5.3. Rapporti suolo-vegetazione Come per i suoli, la vegetazione dei piani subalpino superiore e alpino dipende soprattutto da substrato, clima (altitudine ed esposizione) e microclima (durata media della copertura nevosa). Su calcescisto, la profonda decarbonatazione e acidificazione, insieme all’elevato contenuto in Ca, influenzano le comunità acidofile arricchite in elementi calcifili. Su metagabbro, i bassi valori di pH e i bassi contenuti in basi di scambio sono in relazione con le comunità acidofile. Su serpentinite, le comunità basofile e neutrofile descritte nelle valli vicine da Verger et al. (1993) sono state trovate raramente, solo sopra i 2600 m o in zone intensamente disturbate da erosione e crioturbazione (dove la lisciviazione di basi e metalli è inibita dal continuo apporto di materiale “fresco” a causa dei movimenti periglaciali). Alti livelli di Niav e un rapporto Ca/Mg poco inferiore alla norma sono i fattori più importanti nella distribuzione delle comunità vegetali alpine tra i diversi substrati. L’effetto di altre proprietà edafo-ambientali (umidità, drenaggio, altitudine, esposizione, rocciosità ecc.) sono probabilmente più importanti nella distribuzione delle comunità vegetali, ma non creano differenze tra i diversi substrati. L’importanza del Niav è evidenziata dall’esclusione di numerose specie (tra cui le comuni Carex curvula e Luzula spicata) dai suoli ricchi in questo metallo e dalla buona correlazione esistente tra la presenza delle specie endemiche (Thlaspi sylvium, T. rotundifolium subsp. corymbosum, Cardamine plumieri, Carex fimbriata) e tale parametro. Queste specie serpentinicole sono normalmente considerate neutrofile (Verger 1991; Richard 1985), ma nell’area di studio crescono di solito su suoli anche estremamente acidi e desaturati. Inoltre, le specie endemiche dei substrati ultramafici si sviluppano normalmente su detriti o affioramenti rocciosi, mentre qui crescono anche su suoli ben sviluppati e sotto coperture vegetali elevate. I fattori ambientali inibenti lo sviluppo dei suoli (erosione, crioturbazione, accumulo alluvionale) sono in grado di mantenere alti livelli di metalli biodisponibili. Per questo motivo, gli ambienti dove le comunità vegetali sono più ricche in endemismi sono quelle più disturbate. 36 D’Amico et al. 5.4. Considerazioni generali Riassumendo, i suoli alpini delle aree ofiolitiche delle Alpi occidentali hanno suoli con caratteri dipendenti dal materiale parentale e supportano comunità vegetali ugualmente differenziate. Uno tra i parametri più importanti per spiegare la distribuzione di numerose specie e delle comunità vegetali è il Ni, che è responsabile della minor copertura vegetale dei suoli più ricchi in questo elemento. Stranamente, invece, le comunità animali (microartopodi) e microbiche non sembrano essere influenzate dalla presenza di metalli pesanti, forse a causa della presenza di fattori limitanti più importanti. Per avere dei dati più significativi sarebbe necessario ampliare il numero di profili indagati anche dal punto di vista biologico. Bibliografia Bartlett R. & James B., 1996 - Chromium. In: D.L. Sparks, A.L. Page, P.A. Helmke, R.H. Loeppert, P.N. Soutanpour, M.A. Tabatabai, C.T. Johnston, and M.E. Sumner (Ed.). Methods of Soil Analysis. Part 3. Chemical methods. SSSA Book Series 5. SSSA and ASA, Madison, WI: pp. 683-701. Brooks R.R., 1987 - Serpentine and its Vegetation. A multidisciplinary Approach. Dioscorides Press, Portland, Oregon: 454 pp. Chardot V., Echevarria G., Gury M., Massoura S. & Morel J.L., 2007 - Nickel bioavailability in an ultramafic toposequence in the Vosges Mountains (France). Plant Soil, 293: 7-21. 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Nat., 85 (2009): 39-50 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley (Val di Sole, Trentino, Italy) Isabelle Aberegg1, Markus Egli1*, Giacomo Sartori2 & Ross Purves1 Department of Geography, University of Zurich, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy * Corresponding author e-mail: [email protected] 1 2 SUMMARY - Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley (Val di Sole, Trentino, Italy) - Detailed soil maps in Alpine areas are often not available due to the high variability of the topography, the inaccessibility of parts of the area and consequently high production costs. In the context of growing demand for high-resolution spatial information for environmental planning and modelling, fast and accurate methods are needed to provide high-quality digital soil maps. We performed a spatial analysis to model several characteristics of Alpine soils in Val di Sole, Val di Peio and Val di Rabbi (in total 374 km2). Soil modelling was performed using a non-parametric classification and decision tree analysis (CART: Classification and Regression Tree Analysis). The classification and decision tree analysis used forced splitting rules (according to expert knowledge). Soil type modelling was done using 15 end nodes. Spatial modelling of humus forms could be achieved with 9 terminal nodes. Field and chemical data (115 sites) served as a basis for modelling. In addition, conventional soil mapping was performed on three relatively small test areas. The modelling results could therefore be tested using these maps. Modelling of soils and humus forms was performed successfully with an accuracy of about 65% for soil types and higher values (up to 78%) for the humus forms. The main soil type in the investigation area is a ranker (WRB: Umbric Leptosol). The other soil groups (including Cambisols, Umbric Podzols) each covered about 11-15% of the investigation area. Around 66% of the area was dominated by the humus form moder. RIASSUNTO - Distribuzione del modello spaziale dei tipi e delle caratteristiche del suolo in un’alta valle alpina (Val di Sole, Trentino) - Per le zone alpine non sono in genere disponibili carte pedologiche a scale di dettaglio, a causa della complessità della topografia, dei problemi di accesso a certe zone e degli alti costi che comporta la loro stesura. In un contesto di crescente bisogno di informazioni ad alta risoluzione per la gestione dell’ambiente e per la messa a punto di modelli ambientali, si rendono però necessari metodi per produrre in modo speditivo ed economico carte pedologiche digitali di alta qualità. Abbiamo dunque condotto un’analisi spaziale finalizzata a modellizzare vari caratteri di suoli alpini in Val di Sole, Val di Peio e Val di Rabbi (in totale 374 km2). La modellizzazione del suolo è stata realizzata utilizzando la procedura non parametrica di classificazione e di regressione ad albero (CART: Classification and Regression Tree Analysis), in base ai dati di campagna e chimici di 115 siti. La classificazione e regressione ad albero ha impiegato criteri di split forzati (basati su conoscenze di esperto). La modellizzazione del tipo di suolo è stata eseguita mediante un albero con 15 nodi terminali, quella della forma di uso con un albero con 9 nodi terminali. I risultati dei modelli elaborati sono stati testati tramite il confronto con tre carte pedologiche tradizionali di altrettante zone campione di dimensioni relativamente ridotte. Tale confronto ha permesso di evidenziare un’alta capacità predittiva dei modelli, con un’accuratezza del 65% per il tipo di suolo e valori più alti (fino al 78%) per la forma di humus. Il principale tipo di suolo presente nell’area di studio è il ranker (WRB: Umbric Leptosol). Gli altri tipo di suolo (Cambisols, Umbric Podzols) occupano ciascuno circa l’11-15% dell’area indagata. La forma di humus moder è presente nel 66% dell’area. Key words: Alpine area, soil modelling, humus forms, Alpine soils, classification and decision tree analysis Parole chiave: area alpina, modellizzazione dei suoli, forme di humus, suoli alpini, classificazione e regressione ad albero 1. INTRODUCTION Previous investigations in Val di Sole and neighbouring areas (Sartori et al. 2005; Egli et al. 2006a) identified the main soil types for this central Alpine region. The soils have predominantly developed on siliceous parent material. Rankers, podzolic soils and cambisols are the main types. There are, however, little informations available about the precise distribution of different soil types and their characteristics and, typically, detailed soil maps are not available in Alpine areas. The production of conventional soil maps in Alpine areas is extremely laborious and therefore expensive. A major problem is the high variability of landforms with very distinct changes within short distances (steep valleys, ridges, rough or even slopes etc.). The changing topography affects also soil types and their properties. An additional problem is the inaccessibility or problematic accessibility of many sites. In the context of growing demand for high-resolution spatial information for environmental planning and modelling, fast and accurate methods are needed to provide high- 40 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley quality digital soil maps (Rahmann et al. 1997; Tognina 2004; Behrens et al. 2005). In this context, data-mining methods may provide solutions. The term “data-mining” comprises various methods and techniques from statistics, mathematics and information theory (e.g. artificial neural networks, decision trees etc.; see Scull et al. 2003; McBratney et al. 2003) aiming to automatically extract hidden predictive information from existing datasets (Behrens et al. 2005). Over the last 10 years, Digital Soil Mapping (DSM) has emerged as a credible alternative to traditional soil mapping. However, DSM should not be seen as an end in itself, but rather as a technique for providing data and information for a new framework for soil assessment (Carré et al. 2007). Basic digital data describing a landscape such as digital elevation models (DEM), geological maps, precipitation information and vegetation maps are often available. These datasets form the basis for soil modelling (see also soil forming factors as defined in Jenny (1980)). According to Scull et al. (2003), Geographic Information Systems (GIS) can be used to predict soil properties on the basis of such environmental variables, which are much easier to measure than the actual soil distribution. This idea is based on the paradigm of Jenny’s soil-forming factors according to which the soil (type) at a specific location is the result of the soil forming factors climate, organisms, relief, parent material and time. Advances in mathematical theories and statistical methods (through enhanced calculating capacity) have stimulated research activities in the field of predictive soil mapping and the solution of Jenny’s equation (Scull et al. 2003). The review papers of Scull et al. (2003) and McBratney et al. (2003) give an overview on predictive soil-modelling techniques and their utilisation. Inductive models are used to derive and quantify the relationships between soil types and environmental variables (e.g. Lagacherie & Holmes 1997; Behrens et al. 2005; Carré et al. 2007). Other models are based more on expert knowledge, where existing knowledge is encoded in clear decision rules to spatially deduce the distribution of different soil types and characteristics (e.g. Zhu et al. 2001; Wilemaker et al. 2001; Egli et al. 2005, 2006b). Soil, however, can only be measured at a finite number of sites and times with small supports, and any statement concerning the soil at other sites or times involves prediction. Spatial variation in soil characteristics is so complex that no description of it can be complete, and so prediction is inevitably uncertain. The main aim of this work is to model the distribution of soils and their properties in a rugged, Alpine topography and to test the suitability of a GIS-based inductive model that can be combined with expert knowledge. 2. STUDY AREA The study area is located in the north-western part of the Trentino Province (Fig. 1) and comprises Val di Sole and the two adjacent lateral valleys, namely Val di Rabbi and Val di Peio. The region is characterised by a large altitudinal gradient ranging form 700 m a.s.l. at Malè to glaciated peaks at 3769 m a.s.l. (Cima Cevedale). The climate is humid and temperatures are moderate: at Peio (1580 m Fig. 1 - Study area (Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio) and distribution of soil profiles. Fig. 1 - Area di studio (Val di Sole, Val di Rabbi e Val di Peio), e localizzazione dei profili di suolo. a.s.l.) the mean annual air temperature is around 6.8 °C and precipitation around 855 mm yr-1 (Uffico Previsioni e Organizzazione, Provincia Autonoma di Trento). With higher altitudes temperature decreases and precipitation increases (to about 0 °C and 1300 mm yr-1 at 2400 m a.s.l.). The geology of the study area is dominated by siliceous metamorphic rocks belonging to the Austroalpine lithostratigraphic units (Seidlein 2000, see Fig. 2). Only a very small part of the study area can be attributed to the calcareous Dinaric Alps and the Adamello granite intrusion (southern Alps). The Austroalpine region and the southern Alps are separated by the Insubric line. The Austroalpine lithostratigraphic units between the Insubric and Peio (a minor geological fault) lines consist mainly of paragneiss and to a lesser extent of orthogneiss, whereas north of the Peio line the dominant materials for soil development are schists and phyllites. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50 41 Fig. 2 - Geological situation in the study area. Fig. 2 - Geolitologia dell’area di studio. Besides gneiss, schists and phyllites, other geological materials like amphibolite, chlorite schists or marble occur in some very small areas. The whole area was affected by glaciation and large parts of the soils have developed on morainic materials. In the humid moderate climate of the region the main soil processes on siliceous material are podsolisation and at lower altitudes brunification. The vegetation in Val di Sole is typical for the Central Alps. The subalpine belt with spruce fir starts at a lower limit compared to the average in the Alps. In addition, beech is completely missing in the lower colline and montane belt (Tab. 1, Landolt 1992). Depending on solar radiation, the suprasubalpine belt forms the timberline at an altitude of 1900 to 2100 m a.s.l. Larch and the Swiss stone pine are the dominant species of the central Alpine vegetation. At higher altitudes, dwarf-shrubs and alpine meadows follow. The zonation of the vegetation is also shown in figure 3. In some very small areas of the southern boundary of the study area, broad-leaved species dominate on calcareous areas at lower altitudes. These areas were excluded from the investigation. 3. MATERIAL AND METHODS 3.1. Soil classification system The various soil types are differentiated according to the traditional French nomenclature (Duchaufour 2006) and the WRB (FAO 1998). In the investigation area, a total of 115 soil profiles were examined during 2003-2007. Chemical and physical analyses are available for 24 profiles and physical analyses only for 8 profiles. For the remaining 83 sites, field observations and measurements were taken. The field measurements included the determination of the soil type, humus form, soil depth, soil thickness, Munsell-Color, pH, volumetric content of soil skeleton and the estimation of the texture. The sites are shown in figure 1. The classification of the humus forms is according to BGS & FAL (2002). The differentiation of humus forms is based on the sequence of horizons and their development. Three main types were distinguished for modelling: mull, moder and nor. Briefly, mull has an Ol and A horizon (Of is only weakly developed), whereas a moder has in general the sequence Ol-Of-(Oh)-A. Mor has the horizons Ol-Of-Oh and no humic A-horizon. 42 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley Tab. 1 - Altitudinal zonation of the vegetation. The belts in Val di Sole correspond mainly to the general distribution of the central Alps. Tab. 1 - Zonazione altitudinale della vegetazione. Le fasce vegetazionali in Val di Sole corrispondono in linea di massima con quelle generali delle Alpi centrali. Altitudinal zonation (Landolt 1992) Altitude (m a.s.l.) Colline belt (oak-beech-belt) Montane belt (european silver fire-beech-belt) Subalpine belt (spruce fir-belt) 600-1000 Downy oak (Quercus purbescens); only in the most southern part (depending on aspect and radiation) of the study area 1000-1600 European silver fir (Abies alba); only in the most southern part of the study area, mostly together with spruce fir (Picea excelsa) 1600-1900 Spruce fir (Picea excelsa) with scots pine (Pinus sylvestris), at higher altitudes with larch (Larix decidua) and swiss stone pine (Pinus cembra) Suprasubalpine belt (swiss stone pine-belt) 1900-2200 (timberline) Swiss stone pine (Pinus cembra) and larch (Larix decidua) on shallow mountain soils; with Alpine rose (Rhododendron ferrugineum) and juniper (Juniperus communis) as shrub Alpine belt (alpine meadow-belt) 2200-2700 Upper limit defined by coherent meadow; low grass with sedge (Carex sempervirens and carex curvula); taller habits with dwarfshrub (Rhododendron fer.) Subnival belt (cushion plant-belt) 2700-3000 Individually growing herbaceous plants or low cushion-like habitats 3.2. Soil mapping A conventional soil map with a scale of 1:10,000 was produced for 3 test areas to obtain more information about the Fig. 3 - Vegetation types in the study area. Fig. 3 - Tipi vegetazionali nell’area di studio. Description soils in the region and to increase the existing soil database. The 3 test areas are located at different expositions and in varying altitudinal zones. They served, furthermore, as a validation of the model’s output. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50 3.3. 43 Modelling approach The available digital datasets related to environmental factors are listed in table 2. Apart from the CORINE Land Cover Data (Nuñes de Lima 2005), the Provincia autonoma di Trento provided all datasets. The digital elevation model (DEM) with a resolution of 10 m and the thematic vector data (vegetation and geology) were converted to raster datasets of the same resolution and projection. These raster datasets, together with the soil profiles, were the basis for the statistical analyses to build the predictive soil map model. The DEM provides climatic and topographic information. Altitude and exposure are directly linked to factor climate. Exposure (north and south exposition) and the slope angle were directly derived from the DEM. The profile curvature of the DEM enabled the identification of several landforms. The following landform elements were defined: accumulation areas, erosion areas and regions in equilibrium. Accumulative landforms were characterised by concave, equilibrium landforms by flat and the erosive landforms by convex curvatures. The geological map provided 36 different categories. These categories had to be reclassified into 5 main pedologically relevant parent materials: 1) granite and gneiss, 2) schists and phyllites, 3) siliceous deposits, 4) amphibolites (1) and chlorite schists and 5) limestones. The vegetation map had three key vegetation types: 1) unproductive areas in the Alpine belt and summit areas, 2) Alpine meadows and 3) forests. Forests were, further(1) more, subdivided into deciduous and coniferous forests. As the available vegetation map does not have the class “Alpine shrubs” and the designation of some forest types was imprecise, CORINE Land Cover data was integrated to overcome this restriction. Figure 3 displays this combined vegetation map. Soil modelling was performed using a non-parametric classification and decision tree analysis (CART: (2) Classification and Regression Tree Analysis; see Mertens et al. 2002). According to Breiman et al. (1984), CART is a hierarchical classification which aims to group elements of a sample in relation to a dependent variable (target variable). Regarding this target variable, the generated groups should be as homogenous as possible – optimally all group members have the same value for the target variable. The grouping or classification (if the target is continuous, then a regression is used) is done by using the independent variables (environmental variables), which can be continuous or discrete. This leads to a binary decision tree with branches, splitting nodes and final leaves (terminal nodes). As CART is an automated statistical method, not all used environmental variables will appear in the dendrogram. They are not used in the resulting dendrogram if they are of no significance. The CART algorithm chooses automatically the values of input-variables which produce a subset of the highest-possible uniformity of a target variable. The so-called split based on the specificity of the input variable with which separation into branches occurred. With this procedure, a decision tree will be formed which corresponds to a classification rule. Every end-node receives a specific class j of the target variable. It may happen that the end node has not only one but several classes. In such a case the dominant class (or value) is chosen. The optimally pruned subtrees have to be chosen in that way that r(t) the =misclassification min ∑ C (i / j )p( j rate / t ) r(t) is minimised i The j for the splitting rule j(t). misclassification rate r(t) is given by r(t) = min ∑ C (i / j )p( j / t ) (1) i j where C(i/j) corresponds to the misclassification of an object with the class value j as i. The probability that an object falls into an end-note t and class j is given by p(j/t). The allocated class has to be chosen in the way that the expression C (i / j ) p( j / t ) (2) C (the i / jregion. )p( j / tProjected ) (2) Tab. 2 - Available digital information about environmental variables used to model soil properties of coordinate system: UTM (Monte Mario, Rome – Italy). *European Commission, Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability Tab. 2 - Informazioni digitali riguardanti le variabili ambientali disponibili per la modellizzazione dei caratteri dei suoli della zona di studio. Sistema di coordinate geografiche: UTM (Monte Mario, Roma). *Commissione Europea, Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability Data type Soil forming factors Digital elevation model (DEM) Vegetation CORINE Land Cover* Geology Catchment area Hydrological watersheds Soil mapping and orientation Hydrology (lakes, rivers) Glacier Settlement area Topographic maps Orthofotos i(t) = ∑ C (i / j ) p(i / t ) p( j / t ) Details j,i (3) Resolution/Scale 10x10 m 1:10,000 (3) 1:100,000 1:100,000 1:10,000 1:10,000 1:10,000 1:10,000 1:10,000 1x1 m Forest areas i(t) = ∑types, C (i / pasture, j ) p(i / t )unproductive p( j / t ) j,i 15 categories 36 categories C (i / j ) p( j / t ) (2) 44 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley is minimised. The homogeneity of the node is described by the extended gini-index of diversity with (3) i(t) = ∑ C (i / j ) p(i / t ) p( j / t ) (3) j,i CART Pro 6.0 calculates form a sequence of subtrees with varying end-node numbers the optimally pruned subtree. The decision tree structure can, furthermore, manually be influenced by introducing forced splitting rules. Thereby, export knowledge can be included into the elaboration of the decision and regression tree. Previous studies (Egli et al. 2006) showed that the north slopes exhibited higher leaching of elements and consequently a higher weathering intensity. On south-facing sites, intense podzolisation processes were measurable only above 2000 m a.s.l. Furthermore, accumulation of organic substances is greatest close to the timberline (1900-2100 m a.s.l.) regardless of exposition. These measurements agree with the observation of our soil profiles. The typical range of the most important properties for each soil type and the relative distribution of the values are given in tables 3 and 4. These attributes clearly reflect the stage of soil development. In table 5 the most frequent value range of individual soil properties is assigned to the soil types. 4. RESULTS 4.2. 4.1. Main soil types and processes Independent variables were used to define the splitcriteria of the data into the left and right branches at the nodes. The dendrogram divides the data in groups which are as homogenous as possible regarding the variable “soil type” (Fig. 5). The altitude acts as a splitting criteria at the root node. A part of the sample branches to the right and the other to the left. Subsequent splits occur by other variables such as vegetation, aspect and again altitude. This splitting procedure results in a tree with 15 terminal nodes. Because the geology is quite similar in the whole region, only five of the six variables are used in the dendrogram: altitude, aspect, slope, landform and vegetation. The constructed algorithm with the detailed split-criteria is then implemented in GIS and results in the predictive distribution of the soil types in the region. Additionally, the modelling of the spatial distribution of the humus form is done in a similar way. The resulting dendrogram for the modelling of humus forms has nine terminal nodes. The humus forms are determined using the variables vegetation, aspect, altitude and soil types. Because the soil type is considered as an important variable for humus modelling, the implementation of the algorithm in the GIS requires the previous modelling of the soil types in the study area. As modelling of soil types and corresponding characteristics is bound to a likelihood and therefore to errors (see below), the modelled soil map is called the “hypothesis map”. The hypothesis map for soil types is given in figure 6. This map shows that the class Umbric Leptosols (ranker according to Duchaufour (2006)) is found in about 29% of the whole area (Tab. 6). The Enti-Umbric Podzols (humic ochric brown soils) comprise about 19% of the whole area, whereas the other soil groups (except the class “no soil”) have a more or less similar distribution with 11-15% of the whole area. Using the 3 mapped test areas, the accuracy of the model approach for soil types could be measured. The three test sites included 2 subalpine sites (Val di Peio, Val di Rabbi) below the timberline and one close and above the timberline. One of the two subalpine sites (Val di Peio) was subjected to anthropogenic impact (grazing, erosion), while the other (Val di Rabbi) was an almost natural site. By comparing the modelled area of soil types with the mapped ones in the test areas, the accuracy of the model could be calculated. This accuracy was calculated on the base of a modelled value which matches to 100% with a measured one. Minor deviations are for this purpose not taken into The soils ranged from shallow Umbric Leptosols (Duchaufour 2006: rankers) at high altitudes to welldeveloped Skeletic Podzols (Duchaufour 2006: iron-humic podzols) and Dystri-Chromic Cambisols (Duchaufour 2006: brown podzolic soils with a clear E horizon, ochric brown soils with an E horizon). Rankers are weakly developed soils with an A-C profile which developed under grass vegetation, initial brunification or podzolisation and a humic A horizon. Enhanced soil development showed the iron-humic podzols and the brown podzolic soils, typically found under forest (coniferous) vegetation. The former have a horizons sequence of E-Bhs-Bs-C and the brown podzolic soil a sequence of AE-E-Bs-C, without any visible illuviation of organic substance into the subsoil. The cryptopodzolic soils, with an OE-Bhs(-Bs)-C horizons sequence, can be considered as a transitional development step between a ranker and a podzol (for a detailed description see also Sartori et al. 1997, 2005). Dystric Cambisols (acid brown soils) do not show any signs of illuviation. The analysis of the soil type distribution showed that Episkeletic Podzols (iron-humic podzols; Duchaufour 2006) and Dystri-Chromic Cambisols (brown podzolic soils with an E horizon) predominantly appear on north facing slopes between 1400 to 1600 m a.s.l. Enti-Umbric Podzols (humic ochric brown soils, with a typical ABhorizon) are characteristic for southern exposures at altitudes higher than 1800 m a.s.l. Enti-Umbric Podzols, Skeleti-Entic Podzols cryptopodzolic soils and brown podzolic soils) were predominantly found in the Alpine dwarf-shrub zone (such as Alpine rose and juniper), just above the timberline. Rankers dominate in the high-alpine belt. At lower altitudes, they only occur at geomorphically very active sites (e.g. erosion). Dystric Cambisols (acid brown soils) are typical for forest-free areas of the montane and subalpine belts. The Dystri-Chromic Cambisol (ochric brown soils) is the most widespread soil type in the region. It can predominantly be found in the subalpine and Alpine belts. Below the limit of 1600 m a.s.l. Dystri-Chromic Cambisols (ochric brown soils: AE(A)-Bs-C) and Dystric Cambisols (acid brown soils: A-Bw-C) coexist. The ochric brown soils are the most frequent soil type of this zone (39% of the sampled sites). In these soils, podzolisation is weak or completely missing (Sartori et al. 1997, see Fig. 4). Soil modelling Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50 45 Tab. 3 - Characteristics of the different soil types. The number of observations and the corresponding relative distribution for the characteristics soil depth, skeleton content in the topsoil and the subsoil are shown. *Soil depth relevant for plant growth: soil depth minus skeleton content **BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils with an E horizon; BOu= humic ochric brown soils; PU= iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker. Tab. 3 - Caratteri dei differenti tipi di suolo. Sono indicati il numero totale di osservazioni e la distribuzione relativa alle varie classi, per profondità del suolo, contenuto di scheletro nel topsoil e nel subsoil. *Profondità del suolo rilevante per la crescita della pianta: profondità del suolo meno contenuto di scheletro **BA= suoli bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU= podzol umoferrici; OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker. Soil types Observations Soil depth (cm)* Skeleton content topsoil Skeleton content subsoil (weight %) (weight %) number (n) < 10 10-30 30-50 50-70 n/% < 1 1-5 5-15 15-35 35-70 n/% 1-5 5-15 15-35 35-70 > 70 n/% distribution (%) WRB (FAO 1998) Duchaufour 2006 (Sartori et al. 2005)** Dystric Cambisols DystriChromic Cambisols DystriChromic Cambisols, Episkeletic Podzols Acid brown soils (BA) Ochric brown soils (BO) n % n % 0 0 0 0 4 27 9 31 10 67 14 48 1 7 6 21 15 4 100 31 29 7 100 25 5 38 8 29 2 15 7 25 2 15 5 18 0 0 1 4 13 2 100 14 28 2 100 7 2 14 2 7 7 50 6 21 2 14 18 62 1 7 1 3 14 100 29 100 Ochric brown soils with E horizon (BOe), Iron-humic podzols (PU) n % 0 0 1 9 9 82 1 9 11 3 100 27 2 18 3 27 2 18 1 9 11 100 0 0 1 9 1 9 8 73 1 9 11 100 Enti-Umbric Humic ochric brown soils Podzols (BOu) Enti-Umbric Cryptopodzolic soils (RPu) Podzols, Skeleti-Entic Brown podzolic Podzols soils (OP) n % 0 0 0 0 1 25 3 75 4 1 100 25 0 0 3 75 0 0 0 0 4 100 0 0 0 0 1 25 1 25 2 4 50 100 n % 0 0 7 70 2 20 1 10 10 1 100 10 4 40 4 40 0 0 1 10 10 1 100 10 1 10 1 10 6 60 1 10 10 100 n % 3 23 9 69 1 8 0 0 13 100 1 8 1 8 7 54 3 23 1 8 13 100 1 8 1 8 1 8 10 77 0 0 13 100 Total % 3 4 30 37 37 45 12 15 82 17 100 22 20 25 26 33 12 15 4 5 79 100 6 7 7 9 17 21 45 56 6 7 81 100 Umbric Leptosols Rankers (RA) Umbric Leptosol (ranker) Fig. 4 - Photographs of some selected soil profiles in the investigation area: Umbric Leptosol (Lavina Rossa, 2380 m a.s.l.), Distri-Chromic Cambisol (Favari, Val di Rabbi, 1180 m a.s.l.), Chromi-Episkeletic Cambisol (Fonti di Rabbi, Val di Rabbi, 1620 m a.s.l.), Episkeletic Podzol (below Malga Tremenesca, Val di Rabbi, 1910 m a.s.l.). Fig. 4 - Fotografie di alcuni profili tipici dell’area di studio: Umbric Leptosol (Lavina Rossa, 2380 m s.l.m.), Distri-Chromic Cambisol (Favari, Val di Rabbi, 1180 m s.l.m.), Chromi-Episkeletic Cambisol (Fonti di Rabbi, Val di Rabbi, 1620 m s.l.m.), Episkeletic Podzol (sotto Malga Tremenesca, Val di Rabbi, 1910 m s.l.m.). Distri-Chromic Chromi-Episkeltic Episkeletic Podzol Cambisol Cambisol (iron humic podzol) (ochric brown soils) (ochric brown soil with E) 46 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley Tab. 4 - Acidity classes (number of observations and relative proportion) of the topsoil and the subsoil as a function of the different soil types. *BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils with an E horizon; BOu= humic ochric brown soils; PU= iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker. Tab. 4 - Classi di acidità (numero totale di osservazioni e proporzione relativa di ogni classe) del topsoil e del subsoil nei differenti tipi di suolo. *BA= suoli bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU= podzol umoferrici; OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker. Soil types Duchaufour 2006 WRB (FAO 1998) (Sartori et al. 2005)* Dystric Cambisols Acid brown soils (BA) Dystri-Chromic Cambisols Dystri-Chromic Cambisols, Episkeletic Podzols Ochric brown soils (BO) Enti-Umbric Podzols Enti-Umbric Podzols, Skeleti-Entic Podzols Umbric Leptosols Observations pH (CaCl2) topsoil pH (CaCl2) subsoil number (n) distribution (%) < 3.3 3.3-4.2 ntot / % < 4.3 4.3-5.0 ntot / % n % n % n % 1 50 4 67 5 56 1 50 2 33 4 44 2 100 6 100 9 100 2 100 5 83 5 56 0 0 1 17 4 44 2 100 6 100 9 100 n % n % 0 0 1 20 4 100 4 80 4 100 5 100 0 0 3 60 4 100 2 40 4 100 5 100 n % Total n 2 33 13 4 67 19 6 100 32 6 100 21 0 0 11 6 100 32 % 41 59 100 66 34 100 Ochric brown soils with E horizon (BOe), Ironhumic podzols (PU) Humic ochric brown soils (BOu) Cryptopodzolic soils (RPu), Brown podzolic soils (OP) Rankers (RA) consideration and do not contribute to the accuracy. The accuracy for the modelled soil types varied considerably: an overall accuracy of 93.1% was obtained for the subalpine and quasi-natural area, 57.1% for the anthropogenically influenced, subalpine area and only 43.2% for the high- alpine area. Around 65% of the whole are have been, thus, modelled correctly. The soil classes BO (Dystri-Chromic Cambisols / ochric brown soils) and BOe/PU (Dystri-Chromic Cambisols, Episkeletic Podzols / ochric brown soils with E horizon, iron- Tab. 5 - Soil characteristics from sample data (Tabs 3-4) related to the soil types. The modal values (most frequent) were assigned to the specific soil types. 1Soil depth relevant for plant growth= profile depth minus skeleton content; 2weight - %; TS= Topsoil (all horizons with characteristics of an A or E); SS= Subsoil (all horizons with characteristics of a B). Tab. 5 - Caratteri dei suoli in relazione al tipo di suolo. A ciascun tipo di suolo sono attribuiti i valori modali. 1Profondità del suolo rilevante per la crescita della pianta: profondità del suolo meno contenuto di scheletro; 2peso - %; TS= Topsoil (orizzonti A o E); SS= Subsoil (orizzonti B). Soil types WRB (FAO 1998) Duchaufour 2006 Soil depth1 (cm) (Sartori et al. 2005)* Dystric Cambisols Acid brown soils (BA) Ochric brown soils (BO) Dystri-Chromic Cambisols, Ochric brown soils with E horizon Episkeletic Podzols (BOe), iron-humic podzols (PU) Dystri-Chromic Cambisols Thickness TS (cm) Skeleton TS2 Skeleton SS2 (%) (%) pH TS (CaCl2) pH SS (CaCl2) 30-50 3-6 0-5 15-35 < 3.3-4.2 < 4.3 30-50 4.5-10 0-15 35-70 < 3.3 < 4.3 30-50 8-12 0-15 35-70 < 3.3-4.2 < 4.3-5.0 Enti-Umbric Podzols Humic ochric brown soils (BOu) 50-70 7-20 5-15 > 70 3.3-4.2 4.3-5.0 Enti-Umbric Podzols, Skeleti-Entic Podzols Cryptopodzolic soils (RPu), brown podzolic soils (OP) 10-30 9.5-19 1-15 35-70 3.3-4.2 < 4.3 Umbric Leptosols Rankers (RA) 0-30 4-9 5-15 35-75 3.3-4.2 < 4.3 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50 47 Fig. 5 - Decision tree for modelling the spatial distribution of the soil types. Fig. 5 - Albero decisionale per la modellizzazione della distribuzione spaziale dei tipi di suolo. Fig. 6 - Modelled distribution of soil types (hypothesis map) for Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio using a classification tree having 15 terminal nodes. Fig. 6 - Distribuzione spaziale dei tipi di suolo in Val di Sole, Val di Rabbi e Val di Peio, ottenuta un albero decisionale con 15 nodi terminali. 48 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley Tab. 6 - Area statistics of the modelled soil types (see Fig. 6). *BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils with an E horizon; BOu= humic ochric brown soils; PU= iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker. Tab. 6 - Statistiche areali della distribuzione spaziale dei differenti tipi di suolo ottenuta dal relativo modello (si veda Fig. 6). *BA = suoli bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU= podzol umoferrici; OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker. Modelled soil type/ soil class Area in km2 WRB 1998 Area in % Dystric Cambisols Duchaufour 2006 (Sartori et al. 2005)* Acid brown soils (BA) 44 11.8 Dystri-Chromic Cambisols Ochric brown soils (BO) 49.5 13.2 Dystri-Chromic Cambisols, Episkeletic Podzols 40.3 10.8 Enti-Umbric Podzols Ochric brown soils with E horizon (BOe), Iron-humic podzols (PU) Humic ochric brown soils (BOu) 70.8 18.9 Enti-Umbric Podzols, Skeleti-Entic Podzols Cryptopodzolic soils (RPu) Brown podzolic soils (OP) 55.4 14.8 Umbric Leptosols Rankers (RA) 107.5 28.8 No soil 6.3 1.7 Total 373.8 100 Tab. 7 - Area statistics of the modelled humus types (see also Fig. 7). Tab. 7 - Statistiche areali della distribuzione spaziale delle differenti forme di humus ottenuta dal relativo modello (si veda Fig. 7). Modelled humus form Area in km2 Area in % Mull 86.6 23.2 Moder 246.2 65.8 Mor 34.9 9.3 No soil 6.3 1.7 373.8 100.0 Total humic podzols) were modelled with an accuracy of more than 70% in the high-alpine zone. The matches for the soil class BA (Dystric Cambisols) were in the high-alpine zone, however, extremely low. The model, therefore, does not reflect this soil class accurately in high-alpine zones. The high variability of landforms and the patch-wise development of soils in the high-alpine area may be causes for the less accurate modelling in this zone. The distribution of the modelled humus types show a clear dominance of the moder (Fig. 7, Tab. 7). The moder humus type is found in about two third of the investigation area. The variability of the accuracy of the modelled humus types varies between 35 and 100%. As an average, 78.5% of the soil profiles was correctly modelled. In contrast to the modelled soil types, the lowest accuracy was measured in the anthropogenically influenced area in Val di Peio. The accuracy of the humus model for high-alpine sites is better than for the soil types. Erosion processes in the Val di Peio test area obviously had a major impact on the humus form and consequently on the accuracy of the model. 5. DISCUSSION Inductive models can have different statistical methods as a basis, depending on the type of the contributing variables (nominal, ordinal, interval or ratio scale) and the sample size. Most of the methods such as linear regression, linear discriminant analysis and logistic discriminant analysis demands linearity of the relationship between soil and environmental variables and normal distribution of the data, and therefore requires transformation of variables (McBratney et al. 2003; Scull et al. 2003). Generalised linear models (GLMs), however, do not need such a transformation as they rather intend to transform the model and not the data (McBratney et al. 2003). All these methods and models have in common that already existing expert knowledge cannot be integrated (Scull et al. 2003) and sample size (number of profile sites) has to be large. Another statistically based method is the non-parametric decision tree analysis (DTA), although called classification and regression tress (CART). Unlike the GLMs and the logistic regression, the results of this approach can be more easily interpreted, a smaller data base is necessary and expert knowledge can be implemented (McBratney et al. 2003). Modelling of soil distribution is a challenging task, especially in mountain areas where rugged topography leads to soil changes within very short distances. Similar attempts include work by Kägi (2006) in the Swiss National Park where soil distribution was modelled using a fuzzylogic approach. About 60% of the profile sites (regarding soil type, pH etc) were accurately modelled. An accuracy of approximately 70% was obtained using a more heuristic-statistical method as a basis for a decision tree for soil modelling in the Upper Engadine (Egli et al. 2005). The model applied in Egli et al. (2005) had the disadvantage of not being automated. Methodologically comparable studies include those from Behrens et al. (2005) and Lagacherie & Holmes (1997). These studies, however, were not done in an Alpine environment. Within a test area in RheinlandPalatinate (Germany), covering an area of about 600 km2, a digital soil map was predicted (Behrens et al. 2005). The overall precision in the training area was 70%. In Languedoc (southern France), Lagacherie & Holmes (1997) also used the CART method for soil modelling. With eight end nodes, they were able to achieve an accuracy of 74%. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50 49 Fig. 7 - Modelled distribution of humus forms in Val di Sole, Val di Rabbi and Val Peio. Fig. 7 - Distribuzione spaziale delle forme di humus in Val di Sole, Val di Rabbi e Val Peio, ottenuta dal modello (albero decisionale) messo a punto. The obtained results for the rugged Alpine area in Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio are therefore comparable with accuracies obtained in other Alpine and non-Alpine areas. Not only soil types, but also other soil properties such as the humus forms can be modelled rather easily. The obtained hypothesis map is appropriate enough to be used also for more general, practical purposes and also for a detailed, local field-based soil mapping. One general constraint is the underestimation of minor soil types when survey lines are sparse. This constraint influences the direct use of stimulated results when survey data are too sparse and when the minor soil types are of serious importance (see also Li et al. 2004). The soils of the investigated area have developed mostly on acid siliceous materials. The linkages between Alpine soil types developed on these materials and environmental parameters (i.e., altitude, aspect, vegetation) are generally strong (Egli et al. 2005; Sartori et al. 2005). This could explain the relatively high overall accuracy in our study. of expert knowledge. Using this approach, we obtained the following main findings: - depending on the feature to be modelled, a mean accuracy of 65% (spatial distribution of soil types) or higher (humus forms) was achieved, which is in a similar range to studies in a less rugged topography; - the used approach is in large parts automated, can be applied over large area and also allows the application of forced splitting rules (according to expert knowledge); - the main soil type in the investigation area is ranker (Umbric Leptosol), which covers about 28% of the whole area; - the other classes (Umbric Podzols, Cambisols) cover each about 11-15% of the area; - the most frequent humus type is moder, which can be found in about 65% of the area; - soil modelling does not replace soil mapping in the field. The obtained map is a hypothesis map and serves as a basis for further, local investigations. 6. ACKNOWLEDGEMENTS CONCLUSIONS We used the statistically based, non-parametric decision tree analysis. This procedure enabled also the inclusion We would like to express our appreciation to the Museo Tridentino di Scienze Naturali and the Dipartimento di 50 Aberegg et al. Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley Protezione Civile e Tutela del Territorio (Ufficio Previsioni e Organizzazione, Provincia Autonoma di Trento) for providing basic GIS datasets and B. Kägi for his assistance in the laboratory. References Behrens T., Förster H., Scholten T., Steinrücken U., Spies E.-D. & Goldschmitt M., 2005 - Digital soil mapping using artificial neural networks. J. Plant Nutr. Soil Sci., 168: 21-33. BGS (Bodenkundliche Gesellschaft der Schweiz) & FAL (Eidgenössische Forschungsanstalt für Agrarökologie und Landbau), 2002 - Klassifikation der Böden der Schweiz. FAL, Zürich-Reckenholz: 94 pp. Breiman L., Friedman J.H., Ohlsen R.A. & Stone C.J., 1984 - Classification and Regression Trees. 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Nat., 85 (2009): 51-59 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche e pedologiche§ Andrea Borsato Sezione di Geologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italia E-mail: [email protected] RIASSUNTO - Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche e pedologiche - A tutt’oggi sono conosciuti in Trentino limitati affioramenti di loess, tutti di età tardoglaciale e spesso associati a insediamenti del Paleolitico superiore finale, nelle località di Terlago, Andalo, Fai della Paganella, Monte Bondone, Monte Baldo. Nel presente lavoro si descrivono due nuovi affioramenti sul versante SW della Vigolana (Trento) e sul Monte Spinale (Gruppo di Brenta), dei quali vengono analizzate le condizioni di affioramento, le caratteristiche tessiturali, la composizione in minerali pesanti e l’evoluzione pedologica. In entrambe le situazioni si sono rilevate coltri discontinue di loess con spessori da 40 a 80 cm, che ricoprono depositi glaciali di fondo (Vigolana) o il substrato calcareo carsificato (Spinale), spesso in corrispondenza di depressioni carsiche che ne hanno permesso la conservazione. I sedimenti sono evoluti in suoli bruni lisciviati (WRB: Cutanic Luvisols) con successione di orizzonti Ap-AE-Bt-2BC (Vigolana) e A-AE-2Bt1-2Bt-3R (Spinale). Il contenuto in CaCO3 è nullo nei loess, mentre arriva fino al 10% nell’orizzonte BC. Le curve granulometriche del profilo della Vigolana, con tipica forma sigmoidale dei loess ricadenti nel campo dei loess non alterati, e lo scarso scheletro rappresentato da piccoli clasti esotici alterati permettono di affermare che i loess in Vigolana si sono deposti al di sopra di un till di fondo pre-LGM, probabilmente in corrispondenza dell’Ultimo Massimo Glaciale. Le curve granulometriche dello Spinale evidenziano la presenza di due coltri sedimentarie sovrapposte: una più superficiale che ricade nel campo dei loess alterati e una seconda a diretto contatto con il substrato calcareo, con composizione molto più fine, interpretabile come “terra fusca” formatasi per apporto eolico, ma soprattutto legata a concentrazione e colluviazione del residuo insolubile proveniente dalla dissoluzione del substrato calcareo marnoso. SUMMARY - Loess deposits in Trentino: morphological, textural and pedological characteristics - Up to present-day only scattered outcrops of loess are known in Trentino (Northern Italy). They are all of Lateglacial age, and were described in the Upper Late Palaeolithic (Final Italic Epigravettian) settlements of Terlago, Andalo, Fai della Paganella, Monte Bondone and Monte Baldo. In the present paper we described the textural characteristics, heavy mineral composition and the pedological evolution of two new loess outcrops on the SW slope of Vigolana (Trento) and on Monte Spinale (Brenta Dolomites). In the Vigolana area were mapped discontinuous loess patches 0.4 to 0.8 m thick which cover ablation tills, whereas on Monte Spinale loess patches were found overlain the bare bedrock into karstic depressions. The parent material evolved in brown luvisols (WRB: Cutanic Luvisols) with horizons Ap-AE-Bt-2BC (Vigolana) and A-AE-2Bt1-2Bt3R (Spinale). The CaCO3 content is null in the loess, while can be up to 10% in the BC horizons. The particle-size curves of the Vigolana profile show the typical sigmoid shapes of the unweathered loess that, along with the scarce skeleton represented by small exotic weathered clasts, allows to infer that the loess have been deposited above a pre-Last Glacial Maximum (LGM) till, possibly in correspondence of the LGM. The particle-size curves of the Spinale profile reveal the presence of two sedimentary covers: the upper one falls into the weathered loess field, the lower one – which lies directly upon the limestone bedrock and has a much finer composition – can be interpreted as “terra fusca” formed by aeolic contriburtion but, above all, by the concentration of the insoluble residue from the dissolution of the marly limestone bedrock. Parole chiave: Loess, suoli bruni lisciviati, luvisuoli, minerali pesanti, Tardoglaciale Key words: Loess, brown lessived soils, luvisols, heavy minerals, Lateglacial 1. Introduzione I sedimenti eolici nell’area trentina si conoscono soprattutto in seguito alle campagne di scavo archeologiche promosse dal Museo Tridentino di Scienze Naturali (1977-1985) grazie alle quali si è potuto constatare come gli insediamenti del Paleolitico superiore finale (Final Italic Epigravettian) della Val d’Adige siano sempre associati a coltri loessiche tardoglaciali (Cremaschi & Lanzinger 1987). Queste sono conosciute nelle località di Andalo e Fai Ricerca svolta presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Milano durante il Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra (XVII Ciclo). § 52 Borsato Depositi loessici in Trentino La composizione mineralogica rispecchia quella delle rocce metamorfiche e cristalline dei vicini massicci dell’Adamello a ovest e del Cevedale a nord (Dal Piaz et al. 2007), nonché dei depositi glaciali presenti nell’area. La percentuale della frazione sabbiosa fine (250-63 µm) è risultata dell’1%. Fig. 1 - Carta geologica schematica del Trentino-Alto Adige. 1. plutone dell’Adamello (prevalenti tonaliti a biotite e orneblenda verde); 2. Pennidico (prevalenti calcescisti e micascisti a granato); 3. carbonati triassici dell’Austroalpino; 4. successione carbonatica del Sudalpino dal Trias medio al Terziario. Nei cerchi bianchi sono raffigurati gli affioramenti di loess descritti: s= Spinale e Grostedi; a= Andalo; t= Terlago; v= Vigolana. Fig. 1 - Schematic geological map of Trentino-Alto Adige region. 1. Adamello pluton (prevailing tonalite with biotite and green hornblend); 2. Pennidic (prevailing calcareous schists and micaschists with garnet); 3. Austroalpine Triassic carbonates; 4. Southalpine carbonate sequence (middle Triassic-Tertiary). The loess outcrops are represented by open circles. s= Spinale and Grostedi; a= Andalo; t= Terlago; v= Vigolana. della Paganella (Cremaschi & Lanzinger 1983), nell’area del Lago di Terlago (Cremaschi & Lanzinger 1987), alle Viotte sul Monte Bondone (Bagolini & Guerreschi 1978; Bleich 1980; Sartori & Chersich 2007) e nei siti mesolitici del Monte Baldo (Bagolini & Nisi 1976) (Fig. 1). I depositi eolici si rinvengono talora in “buche” profonde da 0,5 metri fino oltre 1 metro (Andalo, Viotte del Bondone) situate in corrispondenza di depositi sciolti (glaciali o di conoide). La formazione delle buche è connessa a processi criogenici in condizioni di permafrost discontinuo (Cremaschi & Lanzinger 1983). Coltri discontinue di loess, con spessori di solito inferiori al metro, sono descritte in aree pianeggianti non soggette a erosione e in piccole depressioni, come nella zona sommitale della Paganella (Bini et al. 1991) e nell’area di Terlago. In questo caso il loess è spesso ricoperto da sedimenti colluviali consistenti in sedimenti eolici frammisti a piccoli clasti calcarei (Cremaschi & Lanzinger 1987). La tessitura dei loess è piuttosto omogenea, con contenuto in sabbia sempre inferiore al 10%, e tenore in argilla variabile da 22 a 35%. Del profilo pedostratigrafico di Andalo è stata studiata la composizione in minerali pesanti della frazione sabbiosa fine (Cremaschi & Lanzinger 1983), che è risultata la seguente: Zircone: 3%, Distene: 1%, Tormalina: 11%, Epidoto: 16%, Anatasio: 3%, Anfiboli: 42%, Granato: 23%, Augite: 1%. 2. I LOESS DELLA VIGOLANA 2.1. Inquadramento geologico e morfologico Il gruppo della Vigolana è situato pochi chilometri a SE di Trento, limitato a sud dagli Altopiani di Folgaria e Lavarone, a est dalla conca del Lago di Caldonazzo, a nord dalla sella di Vigolo Vattaro. Verso ovest una scarpata alta 600-800 m collega il massiccio alla sottostante Val d’Adige. La parte sommitale della Vigolana è costituita da un altopiano ampio una decina di chilometri quadrati che degrada regolarmente dalla cima del Becco di Filadonna (2150 m) verso SE fino a quote di 1400 metri. La parte a monte è caratterizzata da 3 diversi circhi separati da spalle glaciali intagliate prevalentemente nel Gruppo dei Calcari Grigi (Lias inferiore e medio). A quote più basse si rinvengono depositi glaciali di fondo e i cordoni morenici dell’ultimo massimo glaciale (LGM= Last Glacial Maximum) disposti parallelamente alla Val d’Adige tra 1500 e 1600 m s.l.m. (Fig. 2). La composizione sia del till di fondo che dei cordoni morenici LGM è dominata dai clasti locali (Calcari Grigi), mentre sono del tutto subordinati gli esotici in forma di clasti tonalitici, metamorfici e porfirici. Al di sopra delle morene LGM si rinvengono solo placche discontinue di depositi scheletrici con piccoli e rari clasti esotici, a testimonianza di livelli glaciali precedenti il LGM. Lungo la direttrice delle spalle dei circhi glaciali e scendendo fino a raggiungere le quote delle morene del massimo würmiano, si individuano delle “isole” che durante l’ultimo evento glaciale sono sempre rimaste libere dai ghiacci. Una di queste isole, situata tra le due valli glaciali di Malga Palazzo e Malga Valli, è caratterizzata nella sua parte inferiore da morfologie poco acclivi, con assenza di affioramenti rocciosi e versanti regolari. Dove l’erosione è poco intensa o nulla si osservano depositi loessici discontinui e di limitato spessore, come in località Sciopadore, dove è stato effettuato uno scavo profondo circa un metro per permettere la descrizione e la campionatura del suolo e dei sedimenti. 2.2. Analisi e interpretazione del profilo della Vigolana La descrizione del profilo è riportata in tabella 1, mentre i risultati delle analisi granulometriche e chimiche effettuate sul profilo sono riferite in tabella 2. Per la composizione percentuale dei minerali pesanti1 si veda la tabella 3. I rilievi di terreno e le analisi di laboratorio mettono in evidenza la presenza di due diverse coltri sedimentarie interessate da due successivi eventi pedogenetici. L’unità sedimentaria più bassa (orizzonte 2BC), caratterizzata da Per la metodologia di preparazione dei campioni e per protocollo seguito nelle analisi dei minerali pesanti si rimanda a Milner 1962 e a Parfenoff et al. 1970. 1 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59 53 Fig. 2 - Sezione geologica del versante meridionale della Vigolana. CG = Calcari Grigi del Lias. Fig. 2 - Geologic section of Vigolana southern slope. CG= Calcari Grigi (Grey Limestones - Lower Jurassic). Tab. 1 - Descrizione del profilo Sciopadore (Vigolana). Tab. 1 - Sciopadore pedological profile (Vigolana). Località: Sciopadore, lungo la carrareccia che da Malga Palazzo porta a Malga Valli Classificazione: Cutanic Luvisol (WRB 2006); Inceptic Hapludalf (Soil Taxonomy 2006) Quota: 1655 m Morfologia: versante Pendenza: 10% Esposizione: SW Vegetazione: pascolo magro Pietrosità: trascurabile Rocciosità: assente Erosione: debole Drenaggio: buono Materiale parentale: loess su till di fondo Bedrock: Calcari Grigi (non raggiunto) Ap 0-7 cm AE 7-25 cm Bt 25-45 cm 2BC 45-80+ cm Bruno scuro (10 YR 3/3); franco limoso; struttura grumosa fine, moderata, friabile; scheletro assente; effervescenza assente; pH 5.1; pori abbondanti, molto fini e fini; radici molto abbondanti, molto fini; limite chiaro lineare. Bruno scuro (10 YR 5/5); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, forte; resistente; scheletro scarso: clasti silicatici molto piccoli e arrotondati; effervescenza assente; pH 5,3; pori come sopra; radici comuni, molto fini e fini; pochi argillans localizzati nei canalicoli; limite diffuso lineare. Grigio brunastro chiaro - bruno giallastro chiaro (10 YR 4/4); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine e media, forte; resistente; scheletro da scarso a comune (alla base); effervescenza assente; pH 5,5; pori molto abbondanti, fini e medi; poche radici molto fini; abbondanti argillans sulle facce degli aggregati e nei canalicoli; notevole attività di lombrichi; limite chiaro ondulato. Bruno giallastro chiaro (10 YR 5/3); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, moderata; resistente; scheletro molto abbondante (45%), subangolare, calcareo, con dimensioni fino a grande (presenza subordinata di piccoli clasti silicei arrotondati e alterati); effervescenza moderata; pH 7,5; pori abbondanti, molto fini e fini, qualche radice molto fine. Orizzonti Ap AE Bt 2BC scheletro - scarso scarso molto abb. sabbia 4,7 7,4 5,8 15,5 limo 70,7 79,8 70,2 65,3 argilla 24,6 12,8 24,0 19,2 % Ø 250-63 µ 4,6 7,5 5,3 9,5 % pesanti/leggeri 6,2 7,5 6,3 9,4 0 0 0 8,8 4,9 5,1 5,9 8,0 tessitura (%) CaCO3 pH Tab. 2 - Analisi granulometriche e chimiche profilo Sciopadore (Vigolana). Tab. 2 - Textural and chemical analyses of Sciopadore pedological profile (Vigolana). 54 Borsato Depositi loessici in Trentino Tab. 3 - Minerali pesanti dei profili dello Spinale, della Vigolana e dei sedimenti della Grotta Panoramix (GrPx). (*) Weathering Index= [Zirc. + Torm. + ossidi di Ti + Staurolite + Granato] / [Epidoto + Zoisite + Sillimanite + Cianite + Anfiboli + Pirosseni]. Tab. 3 - Heavy mineral composition of the pedological profiles “Spinale”, “Vigolana” and the sediment from Panoramix cave (GrPx). (*) Weathering Index= [Zircon + Tormaline + Ti oxides + Staurolite + Garnet]/[Epidote + Zoisite + Sillimanite + Cyanite + Amphiboles + Pyroxenes]. Profilo GrPx Orizzonte % pesanti Ø 250-63 µm 4,2 Spinale Vigolana 1 A AE 2Bt1 2Bt2 Ap AE Bt 2BC 3,9 4,7 7,3 9,5 6,2 7,5 6,3 9,4 opachi 14 12 12 20 12 18 12 14 9 trasparenti 70 80 78 70 78 70 74 73 78 miche 16 8 10 10 10 12 14 13 13 Zircone - 2 2 2 + Tormalina 2 7 8 3 6 Anatasio + Brookite + 1 1 1 + Rutilo - 2 1 - - Titanite - - - + 1 Staurolite - 2 2 2 1 Granato 2 23 23 21 18 Epidoto +Zoisite 18 25 32 29 27 Sillimanite 3 - - 1 - Cianite 3 5 3 8 1 Andalusite - - - - - Anfiboli 70 27 24 25 23 Pirosseni 2 6 3 8 6 Spinelli - - 1 - - 0,02 0,59 0,59 0,41 0,45 W.I. (%) (*) Fig. 3 - Il profilo della Vigolana (Sciopadore). a. Successione pedostratigrafica e analisi di routine; S= sabbia; L= limo; A= argilla. b. Profilo pedologico della Vigolana (Sciopadore). Fig. 3 - Sciopadore profile (Vigolana). a. Pedostratigraphic sequence and routine analyses: S= sand; L= silt; A= clay. b. Sciopadore pedological profile (Vigolana). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59 Fig. 4 - Curve tessiturali cumulative del profilo della Vigolana. Fig. 4 - Cumulative particle-size curves of Vigolana profile. prevalenti clasti calcarei locali e subordinati piccoli esotici arrotondati, costituisce un deposito glaciale di fondo precedente l’ultima glaciazione (Fig. 3). Al tetto di questa unità, troviamo un suolo bruno lisciviato (IUSS Working Group WRB 2006: Cutanic Luvisols) caratterizzato da completa decarbonatazione (orizzonti Bt, AE e Ap), con eluviazione della frazione argillosa in superficie (orizzonte AE) e accumulo di argilla nell’orizzonte inferiore (Bt) con abbondanti argillans sulle facce degli aggregati e nei canalicoli. Le caratteristiche di questa seconda coltre sedimentaria sia granulometriche (assenza di scheletro, curva cumulativa unimodale con moderata selezione e 50% della distribuzione granulometrica nel campo del limo grossolano) che mineralogiche (alta percentuale di anfiboli e lamelle di mica), ne permettono l’interpretazione come sedimento eolico. In particolare si può notare che la curva tessiturale cumulativa rientra nel campo di variabilità dei loess freschi o poco alterati (Figg. 4, 8). Per quanto riguarda l’età dei sedimenti non sono disponibili al momento dati certi. Dalle analisi effettuate e dalle osservazioni di terreno sembra verosimile che la deposizione loessica si collochi tra il Pleniglaciale LGM e la prima fase Tardoglaciale (Bassetti & Borsato 2007). 3. I LOESS DELLO SPINALE E DEI GROSTEDI 3.1. Inquadramento geologico e morfologico L’Altopiano dello Spinale si sviluppa tra quote di 1800 e 2250 m al margine centro-orientale del Gruppo di Brenta. Verso ovest è delimitato dal rilievo della Pietra Grande (2936 m s.l.m.) e dal Passo del Grostè (2442 m s.l.m.), il quale mette in comunicazione lo Spinale con 55 il plateau dei Grostedi. Verso est l’altopiano è diviso dal Gruppo della Presanella dalla spianata del Passo di Campo Carlo Magno (1651 m s.l.m.), che mette in comunicazione la Val Meledrio a nord con la Val Rendena a sud. La base della successione geologica affiorante allo Spinale è costituita dalla Dolomia Principale (Norico) che affiora prevalentemente all’estremità orientale dell’altopiano. Segue il Calcare di Zu (Retico), caratterizzato dalla tipica alternanza calcari-marne, e quindi il Gruppo dei Calcari Grigi (Lias). Tutta l’area sommitale dell’altopiano è interessata da estesi affioramenti di brecce e conglomerati potenti fino oltre 30 metri, interpretati da Trevisan (1939) come depositi glaciali pre-würmiani, precedenti pertanto l’ultimo massimo glaciale (LGM). Questi conglomerati sono caratterizzati da elevata porosità legata alla loro struttura openwork o partially openwork. Tra i depositi quaternari LGM sono invece da segnalare depositi glaciali costituiti esclusivamente da clasti carbonatici di provenienza locale, rinvenibili sia in piccoli cordoni morenici stadiali connessi ai circhi della Pietra Grande, sia in limitate coltri con spessori di pochi decimetri. Durante la fase di acme LGM gran parte dello Spinale era ricoperto da una coltre glaciale, probabilmente di limitato spessore, proveniente dal Passo del Grostè all’interno del Gruppo di Brenta (Trevisan 1939). Il ghiacciaio vallivo presso Campo Carlo Magno passava invece a quote intorno ai 1900 metri, senza ricoprire l’altopiano. La morfologia della spianata sommitale è prevalentemente carsica (Nicod 1976) e, in minor misura, glaciale. La dissoluzione carsica interessa tutte le formazioni del substrato nonché la coltre conglomeratica soprastante (Borsato et al. 2000). In quest’ultima si aprono diverse doline tuttora attive, che assorbono la totalità dell’acqua meteorica e inibiscono l’accumulo di sedimento fine. Limitate coltri di loess e di “terra fusca” (vedi in seguito) suturano invece la morfologia carsica sviluppata sul Calcare di Zu. In particolare nell’area compresa tra il Rifugio Graffer (2261 m s.l.m.) e il Lago Spinale (2090 m s.l.m.) si osservano coltri loessiche di spessore decimetrico che ricoprono il substrato carbonatico costituito in prevalenza da Calcare di Zu carsificato (Fig. 5). Inoltre, depositi sabbiosi e siltosi che presentano caratteristiche mineralogiche simili a quelle dei loess si sono rinvenuti anche in alcune cavità situate sul vicino altipiano carsico dei Grostedi. 3.2. Il sedimento della Grotta Panoramix Una sottile coltre di sedimenti sabbioso fini-siltosi simili a loess è stata ritrovata in una piccola grotta (Grotta Panoramix) situata sull’altopiano carsico dei Grostedi. La cavità, con andamento orizzontale e sviluppo planimetrico di 25 metri, si apre a quota 2350 m in prossimità del sentiero che dal Passo del Grostè scende verso la Val di Santa Maria Flavona (circa 3 km a est del Rifugio Graffer). Il deposito, potente fino a 30 cm, si rinviene soltanto fino a 1015 metri dall’ingresso della cavità e ammanta regolarmente un orizzonte accidentato costituito da clasti carbonatici autoctoni spigolosi e concrezioni siltoso-arenacee in clasti arrotondati o lastre. Le concrezioni siltoso-arenacee sono caratterizzate da una grande abbondanza di lamelle micacee e sembrano avere la stessa composizione mineralogica 56 Borsato Depositi loessici in Trentino Fig. 5 - Sezione geologica della parte orientale dello Spinale. DP= Dolomia Principale (Norico); CZ= Calcare di Zu (Retico); CG= Calcari Grigi (Lias). Fig. 5 - Geologic section of the eastern part of Spinale. DP= Dolomia Principale (Main Dolomite - Upper Triassic); CZ= Calcare di Zu (Zu Limestone - Upper Triassic); CG= Calcari Grigi (Grey Limestones - Lower Jurassic). del sedimento sciolto che le ricopre. Quest’ultimo è caratterizzato da un’altissima percentuale di lamine di biotite e orneblenda verde, che al microscopio appaiono con clasti sfrangiati ma poco alterati, sia nella frazione delle sabbie fini che in quella delle sabbie medie (Tab. 1). 3.3. Analisi e interpretazione del profilo dello Spinale e dei sedimenti della Grotta Panoramix Vengono riportati di seguito i risultati delle analisi tessiturali (Tab. 4) e chimiche (Tab. 5) relative al profilo dello Spinale e del sedimento della Grotta Panoramix ai Grostedi. Per la composizione percentuale dei minerali pesanti si veda invece la tabella 3. I rilievi di terreno e le analisi di laboratorio evidenziano che il profilo dello Spinale è costituito da due diverse coltri sedimentarie (Fig. 6). L’unità stratigrafica più bassa (orizzonti 2Bt1 e 2Bt2), che appoggia direttamente sul substrato carsificato, è caratterizzata da un elevato contenuto in argilla, evidenziato anche dalla presenza di argillans sulle facce degli aggregati, curve granulometriche decisamente “piatte” – senza cioè nessuna frazione granulometrica prevalente –, una percentuale di sabbia fine inferiore allo 0,5% e un’alta percentuale di minerali pesanti nella frazione 250- Tab. 4 - Descrizione del profilo Spinale. Tab. 4 - Spinale pedological profile (Brenta Dolomites). Località: Rifugio Graffer, lungo il sentiero che scende alle cascate di Vallesinella Classificazione: Cutanic Luvisol (LVh) (WRB 2006); Inceptic Hapludalf (Soil Taxonomy 2006) Quota: 2230 m Morfologia: versante Pendenza: 20% Esposizione: S Vegetazione: erica, rododendro Pietrosità: 10% Rocciosità: 30% Erosione: modesta Drenaggio: buono Materiale parentale: loess su deposito tipo “terra fusca” Bedrock: Calcare di Zu carsificato A 0-16 cm AB 16-27 cm 2Bt1 27-33 cm 2Bt2 30-42 cm 3R 42+ cm Grigio molto scuro - bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/1), franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, forte; scheletro assente, effervescenza assente; pH 5,5; pori molto abbondanti, molto fini e fini; radici molto abbondanti, molto fini; limite ondulato chiaro. Grigio molto scuro - bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/1.5), franco argilloso limoso; aggregazione poliedrica subangolare media, moderata; scheletro assente; effervescenza assente; pH 6,0; pori comuni molto fini e fini; radici comuni, molto fini e fini; limite abrupto irregolare. Bruno giallastro scuro (8,25 YR 3/2); argilloso limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, moderata; scheletro assente; effervescenza assente; pH 7,0; pori comuni, molto fini e fini; radici scarse; argillans sulle facce degli aggregati; limite lineare graduale. Bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/2); argilloso limoso; aggregazione poliedrica angolare fine, forte; scheletro assente; effervescenza da assente a molto debole; pH 7,0; pori comuni, molto fini e fini; radici scarse; argillans sulle facce degli aggregati. Roccia calcarea. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59 57 Tab. 5 - Analisi granulometriche e chimiche del profilo Spinale e del sedimento Grotta Panoramix. Tab. 5 - Textural and chemical analyses of Spinale pedological profile and of the sediment from Panoramix cave (Brenta Dolomites). Profilo Spinale Grotta Panoramix Orizzonti A AB 2Bt1 2Bt2 scheletro - scarso scarso molto abb. tessitura (%) sabbia 1,6 2,2 0,5 0,4 44,0 limo 69,4 64,3 54,9 55,0 39,9 argilla 29,0 33,5 44,6 44,6 16,1 % Ø 250-63 µ 1,4 2,0 0,4 0,3 39,3 % pesanti/leggeri 3,9 4,7 7,3 9,5 4,2 0 0 0 0,2 16,8 5,9 6,1 5,9 6,8 n.d. CaCO3 pH 63 µm. Visto il discreto contenuto di argilla e residuo insolubile del substrato carsificato, e tenuto conto dell’elevato tasso di dissoluzione del Calcare di Zu, stimabile intorno a 8-12 cm negli ultimi 10.000 anni (Nicod 1976), si può interpretare questa unità come una “terra fusca” (Duchaufour 2001) derivata sia dalla colluviazione del residuo insolubile del calcare, sia da apporto eolico. Il contributo eolico è testimoniato dalla composizione dei minerali pesanti, del tutto analoga a quella dei loess trentini. L’unità sedimentaria superiore (orizzonti A e AB) presenta invece curve granulometriche cumulative unimodali con mediana nel campo del silt grossolano e forma “loessica” più marcata rispetto all’unità inferiore. Confrontate con il campo di variabilità dei loess proposto da Ferrari & Magaldi (1976), le due curve cumulative rientrano nel campo dei loess alterati. Considerando l’indice di alterazione non troppo elevato (Weathering Index, W.I.= 0,59) e la discreta rocciosità e petrosità del profilo, si può ipotizzare anche per questo orizzonte un contributo, seppur molto minore, in residuo insolubile proveniente dalla dissoluzione del Calcare di Zu. In quest’ottica l’unità sedimentaria superiore andrebbe interpretata come deposito loessico con moderato apporto colluviale. Come osservato anche in altre zone alpine (Küfmann 2003), l’evoluzione pedogenetica del profilo sembra essere avvenuta in due fasi distinte. La prima fase ha interessato l’unità stratigrafica inferiore, causando l’alterazione e l’incipiente rubefazione dell’orizzonte 2Bt1. La seconda fase Fig. 6 - Il profilo dello Spinale. Successione pedostratigrafica e analisi di routine. S= sabbia; L= limo; A= argilla. Fig. 6 - Spinale profile (Brenta Dolomites): pedostratigraphic sequence and routine analyses. S= sand; L= silt; A= clay. 58 Borsato Depositi loessici in Trentino pedogenetica ha interessato l’intero profilo, provocando la decarbonatazione completa, l’eluviazione delle argille dagli orizzonti più superficiali e il progressivo accumulo in profondità, portando allo sviluppo del suolo bruno lisciviato attuale. La variazione regolare del pH (da subacido in superficie a neutro in profondità) testimonia l’attuale equilibrio pedologico del profilo. Il sedimento sciolto della Grotta Panoramix ai Grostedi è interpretabile invece come deposito loessico grossolano. La presenza di numerosissime lamelle di biotite e orneblenda verde in granuli sfrangiati e per nulla arrotondati prova la natura eolica prossimale del sedimento. La curva granulometrica cumulativa (Fig. 7) ha una tipica forma “loessica” con distribuzione unimodale e mediana nel campo della sabbia fine. Confrontata con i diagrammi dei campi di variabilità delle tessiture dei loess (Figg. 8-9; Ferrari & Magaldi 1976), la curva granulometrica ricade nel campo dei loess non alterati, pur presentando un eccesso nella frazione sabbiosa fine. È perciò interpretabile come “loess grossolano” (Forno 1979), dove la granulometria meno fine è dovuta all’assenza pressoché totale di alterazione (W.I.= 0,02). Fig. 7 - Curve tessiturali cumulative del profilo dello Spinale e del sedimento della Grotta Panoramix (GrPx) ai Grostedi. Fig. 7 - Cumulative particle-size curves of Spinale profile and Panoramix cave sediment (GrPx) on the Grostedi plateau. Fig. 8 - Campo di variabilità della tessitura dei loess del settore centrale della Val Padana. 1. loess fresco o debolmente alterato; 2. loess alterato (da Cremaschi 1987). Fig. 8 - Particle-size field of variability of the loess in the cental part of the Po Plain: 1= unweathered or weakly weathered loess; 2= weathered loess (from Cremaschi 1987). 4. CONCLUSIONI L’esame dei profili pedologici della Vigolana e dello Spinale ha evidenziato la presenza di coltri discontinue Fig. 9 - Diagramma tessiturale indicante i rapporti tra i loess studiati e altri loess trentini e del margine alpino. ●= Vigolana: 1. Ap; 2. AE; 3. Bt. = Spinale: 1. A; 2. AE; 3. 2Bt1 e 2Bt2. *= Grotta Panoramix. = Terlago. = Val Sorda. += Riparo Tagliente 12a. = Andalo. Fig. 9 - Particle-size diagram indicating the relationships between the studied loess and others loess deposits from Trentino and the Southern Alpine margin. ●= Vigolana: 1= AP; 2= AE; 3= Bt. = Spinale: 1= To; 2= AE; 3= 2Bt1 and 2Bt2. *= Panoramix Cave. = Terlago. = Val Sorda. += Riparo Tagliente 12a. = Andalo. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59 di loess con spessori modesti, compresi tra i 20-30 e gli 80 cm. In entrambi i casi i depositi loessici sono evoluti, come osservato anche in altre zone alpine (Legros 1992; Havliceck & Gobat 1996; Küfmann 2003; Sartori & Chersich 2007), in suoli bruni bruni lisciviati (IUSS 2006: Cutanic Luvisols), con traslocazione dell’argilla testimoniata dai numerosi argillans sulle facce degli aggregati granulari. Le curve granulometriche cumulative della Vigolana rientrano nel campo di variabilità dei loess non alterati, mentre sullo Spinale i loess presentano una maggiore percentuale in argilla. Questa può essere dovuta all’alterazione del deposito, oppure a un apporto colluviale di residuo insolubile proveniente dalla dissoluzione del substrato calcareo subaffiorante. Il deposito della Grotta Panoramix, caratterizzato da un grado di alterazione quasi nullo, legato probabilmente al carattere conservativo dell’ambiente ipogeo, è interpretabile come “loess grossolano”. La composizione mineralogica dei loess è abbastanza costante, perfettamente confrontabile a quella dei loess di Andalo, e caratterizzata dalla presenza pressoché ubiquitaria di orneblenda verde e di biotite. L’abbondanza di questi due minerali nei campioni analizzati è inversamente proporzionale all’alterazione dei depositi (cfr. Tab. 1), ma risente in maniera determinante anche della distanza rispetto agli affioramenti dal massiccio dell’Adamello (Fig. 1, Tab. 1). Orneblenda verde e biotite sono infatti minerali comuni nella tonalite del massiccio intrusivo Adamello-Presanella che rappresenta, sia direttamente sia attraverso depositi glaciali da esso derivati, una delle aree di alimentazione dei sedimenti eolici. Ringraziamenti Ringrazio il prof. M. Cremaschi per avermi seguito durante lo svolgimento delle analisi di laboratorio e la discussione dei dati e il dott. G. Sartori per la collaborazione nella descrizione pedologica dei due affioramenti e per la revisione critica del manoscritto. BIBLIOGRAFIA Bagolini B. & Guerreschi A., 1978 - Notizie preliminari sulle ricerche 1977-78 nell’insediamento paleolitico delle Viotte di Bondone (Trento). Preistoria Alpina, 14: 40-64. Bagolini B. & Nisi D., 1976 - Monte Baldo (Verona-Trento). Preistoria Alpina, 12: 237-241. 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Nat., 85 (2009): 61-68 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla distribuzione e sull’evoluzione dei suoli nella regione dolomitica Diana Maria ZILIOLI* & Claudio BINI Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dorsoduro 3246, 30123, Venezia, Italia * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] Riassunto - Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla distribuzione e sull’evoluzione dei suoli nella regione dolomitica - In questi ultimi dieci anni il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ha condotto numerosi progetti di ricerca finalizzati ad approfondire i processi genetici e i caratteri distributivi dei suoli in ambiente dolomitico, nonché ad evidenziare il fondamentale contributo che la geopedologia può apportare ai criteri e ai metodi di conservazione della natura e di gestione ecocompatibile delle località montane. Nel corso di tali progetti sono stati censiti, analizzati e cartografati i suoli di alcune delle località economicamente e naturalisticamente più rilevanti delle Dolomiti, per un totale di alcune centinaia di profili descritti. In questo lavoro sono riportati i primi risultati derivanti dall’analisi dei caratteri pedoambientali di circa duecento di questi profili, evolutisi a partire da diversi materiali parentali, situati tra i 1300 e i 2900 m di quota in differenti condizioni di pendenza, esposizione e copertura vegetale. I suoli, riclassificati secondo i criteri della Soil Taxonomy del 2006, sono risultati appartenere a cinque ordini. Lo studio ha consentito di evidenziare il diverso grado di importanza che i fattori della pedogenesi assumono nelle regioni alpine e di elaborare un modello generale di sviluppo in chiave evolutiva dei suoli di ambiente dolomitico. Summary - Ten years of research on soils of the Alpine environment: considerations on the distribution and evolution of soils in the Dolomites region - In the past ten years the Department of Environmental Sciences of the Ca’ Foscari University of Venice has realized numerous research projects aimed at deepening the genetic processes and the distributive characters of soils in the Alpine environment (Dolomites) and at highlighting the fundamental contribution that the study of soils can give to natural resources conservation and sustainable management of the mountain ecosystems. In the course of these projects, the soils of some of the most naturalistically and economically important locations of the Dolomites have been identified, analyzed and mapped, for a total of several hundred profiles described. This work reports the first results from the analysis of pedo-environmental characters of about two hundred of these profiles, developed from different parent materials, at altitudes between 1300 m and 2900 m and in different conditions of slope, exposure and vegetation cover. The soils have been reclassified according to the criteria of 2006 edition of Soil Taxonomy and have been found to belong to five orders. The study highlighted the different levels of importance of soil forming factors in the alpine region and allowed to develop a general evolutionary model for the soils of the Dolomites environment. Parole chiave: Dolomiti, modello evolutivo del suolo, geografia dei suoli, Parco Naturale Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo, Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino Key words: Dolomites, soil evolutionary model, soils geography, Regional Natural Park of Ampezzo Dolomites, Natural Park of Paneveggio - Pale di San Martino 1. Introduzione L’ambiente alpino attira da sempre l’attenzione dell’uomo, non solo per gli aspetti naturalistici (rocce, ghiacci, flora, fauna, acque...), ma anche per quelli estetici, soprattutto per gli incomparabili scenari del paesaggio montano, ai quali contribuisce anche il suolo, con la sua diversità di morfologia, colori e orizzonti. La regione dolomitica, in particolare, si caratterizza per la grande variabilità dei paesaggi, legata alla struttura geologica abbastanza giovane, alla dinamica morfologica e alla varia litologia degli affioramenti. In particolare, la sua dinamica morfologica, determinata dal concorso di condizioni geologiche (litologia, tettonica, energia del rilievo) e climatiche (precipitazioni, ghiacci) nonché dall’attività antropica (cambiamenti di uso del suolo, movimenti di terra, impianti sciistici), rappresenta un processo in continua evoluzione che, attraverso i frequenti crolli di blocchi rocciosi e pinnacoli, i fenomeni erosivi e franosi, modifica continuamente il paesaggio montano e influenza i processi di formazione e trasformazione dei suoli. Inoltre, la notevole eterogeneità geologica della regione dolomitica, caratterizzata da rocce calcareo-dolomiti che molto resistenti all’erosione e da rocce vulcaniche e terrigene più facilmente erodibili (ARPAV 2005), associata alle condizioni climatiche che differenziano, ad esempio, le Dolomiti esterne, più piovose, da quelle interne, meno piovose (Pignatti 1994), è da considerarsi la principale causa di un paesaggio molto vario (Neri & Gianolla 2007). 62Zilioli & Bini La grande diversità morfologica che ne deriva non può che riflettersi sulla coltre pedologica, il cui sviluppo è condizionato pesantemente dal tipo e dall’intensità di azione dei fattori della pedogenesi (Egli et al. 2003; Mirabella et al. 2004), in particolare dal fattore geomorfico, il quale può determinare un’elevata variabilità spaziale nella distribuzione dei suoli e nelle loro proprietà (Previtali 2002). I suoli di ambiente alpino rivestono un ruolo fondamentale nel garantire la sopravvivenza e l’equilibrio degli ecosistemi montani: essi infatti sostengono la copertura erbacea e forestale, permettono il mantenimento delle attività agrosilvopastorali e contribuiscono alla stabilità dei versanti e alla loro protezione dall’erosione. Tuttavia, gli studi sulla distribuzione geografica dei suoli della regione dolomitica, la descrizione delle varie tipologie di suolo, l’analisi dei fattori e dei processi che ne hanno determinato lo sviluppo, nonché la riconduzione dell’elevata variabilità pedologica entro schemi interpretativi generalizzabili alla regione alpina nel suo insieme sono ancora lontani dall’essere esaustivi e, in genere, risultano circoscritti a poche aree di limitata estensione. Per molte zone mancano adeguate informazioni, sia territoriali (cartografia dei suoli) sia tassonomiche e analitiche (profili di suolo), in grado di fornire correlazioni fra condizioni ambientali e tipologie di suolo, ma anche fra le diverse categorie di suoli, che possano sviluppare modelli di genesi ed evoluzione applicabili ai suoli delle aree alpine. Alla luce di queste considerazioni, questo lavoro si propone di mettere a sistema le informazioni pedoambientali raccolte in ambiente dolomitico dal Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel corso degli ultimi dieci anni (Sburlino et al. 1999; Zilocchi 2004; Zilioli & Bini 2008). Il fine è quello di valorizzare una banca dati basata su alcune centinaia di suoli descritti, analizzati e, in alcuni casi, cartografati, che, nel loro insieme, consentono di fornire un panorama piuttosto dettagliato delle diverse tipologie di suoli riscontrabili in ambiente dolomitico. Il presente studio vuole evidenziare il diverso grado di importanza che i fattori della pedogenesi assumono in ambiente alpino ed elaborare un modello generale di sviluppo dei suoli in chiave evolutiva. 2. Area di Studio 2.1. Localizzazione geografica Le informazioni pedologiche qui utilizzate fanno principalmente riferimento a sei diverse località dolomitiche, comprese in parte nella provincia di Trento e in parte in quella di Belluno. L’area di studio è pertanto molto estesa, in quanto comprende, procedendo da ovest verso est, la Val di Fassa (TN), il Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino (TN), la Valfredda (BL), la Val di Gares (BL), il Comune di Cortina d’Ampezzo (BL) e la Val Visdende (BL). La Val di Fassa è una delle principali valli delle Dolomiti, con un’estensione di circa 200 km2 e uno sviluppo altimetrico che va dai 1175 m (Moena) ai 2810 m s.l.m. (Gruppo del Catinaccio); situata in provincia di Trento, nell’estrema porzione nord-orientale del Trentino Alto- Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino Adige, al confine con le province di Bolzano a nord e di Belluno a sud-est, è circondata da alcuni dei più importanti massicci delle Dolomiti (i Monti Pallidi, la Marmolada, il Gruppo del Sella, il Sassolungo, il Gruppo del Catinaccio, il Buffaure e i Monti Monzoni). La Val di Fassa è collegata alle altre valli dolomitiche attraverso numerosi valichi, come il Passo San Pellegrino, il Passo di Costalunga, il Passo Pordoi e il Passo Sella. Il Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino, invece, si trova nella parte orientale della provincia di Trento, al confine con la provincia di Belluno. È un’area protetta regionale istituita dalla Provincia autonoma di Trento nel 1967, che si estende per circa 197 km2, ad una quota che varia tra i 1200 ed i 2400 m s.l.m. I suoi confini settentrionali vanno dal Passo di Lusia al Passo Valles, scendono poi verso sud sino ad arrivare quasi a Caoria e a Passo Cereda. Il Parco include il lago e la foresta di Paneveggio, l’estremità orientale della Catena dei Lagorai, l’Altopiano delle Pale di San Martino, Cima Folga e Cima d’Oltro. Il territorio oggetto dell’indagine geopedologica riguarda però solamente l’estremità sud-occidentale del Parco e, più precisamente, la Valzanca e la Valsorda. La Valfredda, terza area indagata, è situata nel Comune di Falcade, sul versante meridionale delle cime più esterne del Gruppo della Marmolada (Sasso di Valfredda, Formenton, M. La Banca, Pizzo le Crene e P.ta Zigole), che la chiudono a nord. La valle presenta una superficie di circa 5 km2 e si sviluppa con andamento nord-sud a quote comprese tra 1800 m e 2400 m circa s.l.m. La Val di Gares, invece, ha uno sviluppo altimetrico compreso tra gli 890 m e i 3192 m s.l.m. e copre una superficie di circa 36,5 km2; essa è situata nel territorio comunale di Canale d’Agordo (BL), al confine tra la Provincia di Belluno e la Provincia autonoma di Trento. La valle si inserisce con andamento NNE-SSW nel versante nord del gruppo dolomitico delle Pale di San Martino e confluisce nella Val del Biois, che rappresenta il suo confine settentrionale. La quinta area oggetto di studio è il territorio comunale di Cortina d’Ampezzo, delimitato dai passi di Valparola, Falzarego, Tre Croci e Cima Banche, e collocato tra il Cadore (a sud), la Val Pusteria (a nord), la Val d’Ansiei (a est) e l’Alto Agordino (a ovest). I confini del territorio comunale di Cortina interessano otto Comuni diversi: Badia, Marebbe, Braies e Dobbiaco in provincia di Bolzano; Auronzo, San Vito di Cadore, Colle Santa Lucia e Livinallongo in provincia di Belluno. La conca di Cortina è circondata da alcuni dei massicci montuosi più importanti delle Dolomiti, tra cui le Tofane, il Cristallo, il Sorapiss e le Cinque Torri. Lo sviluppo altimetrico della Conca Ampezzana va dai 1224 m del centro di Cortina ai 3244 m s.l.m. della Tofana di Mezzo; la superficie complessiva del territorio è di circa 255 km2. L’area comprende il Parco Naturale Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo, esteso per circa 112 km2. Infine, l’ultima località indagata è la Val Visdende, una piccola valle alpina del Comelico, dalla superficie di circa 70 km2, situata tra Santo Stefano di Cadore e Sappada, all’estremo nord della provincia di Belluno, al confine con l’Austria. La vallata ha uno sviluppo altimetrico che va dai circa 1250 m della soglia di Cima Canale sino quasi ai 2700 m s.l.m. della cima del Monte Peralba. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68 2.2. Inquadramento geolitologico Le rocce presenti nelle aree in esame sono caratterizzate da un’elevata eterogeneità per quanto riguarda la loro formazione geologica: si passa dalle rocce del basamento metamorfico delle Alpi meridionali a quelle della cosiddetta “Piattaforma porfirica atesina” che affiorano esclusivamente nella porzione occidentale della Regione Dolomitica, sino alle unità cretacee che emergono solamente all’estremo nord del Comune di Cortina d’Ampezzo. Dal punto di vista geolitologico, i principali materiali parentali presenti nell’area in esame possono essere suddivisi in litotipi carbonatici, litotipi silicatici e depositi quaternari a diversa litologia. Più in particolare, ai fini di questo lavoro, il territorio può essere schematicamente suddiviso in quattro domini litologici a diversa tipologia di rocce: - aree in cui affiorano prevalentemente rocce sedimentarie carbonatiche molto resistenti all’erosione, quali i calcari del Paleozoico antico (calcari di scogliera e calcari listati), le dolomie e i calcari del Triassico (Calcari di Contrin, Dolomia del Serla, Dolomia dello Sciliar e Dolomia Principale), e i calcari del Giurassico (Calcare di Dachstein e Calcari grigi); - aree in cui affiorano rocce metamorfiche, vulcaniche e pelitico-arenitiche di natura silicatica da resistenti a moderatamente resistenti all’erosione, che appartengono alle formazioni metamorfiche del basamento cristallino ercinico e alle formazioni sedimentarie vulcaniche basiche del Triassico (Strati di La Valle, Conglomerato della Marmolada, Monzoniti, Andesiti, Porfidi, Ialoclastiti e Arenarie della Valgardena); - aree in cui affiorano rocce sedimentarie calcareomarnose, conglomeratiche e pelitico-arenitiche da moderatamente a poco resistenti all’erosione di natura prevalentemente carbonatica o mista del Permiano (Formazione a Bellerophon), del Triassico (Formazione di Werfen, Conglomerato di Richthofen, Formazione di Livinallongo, Formazione di San Cassiano, Dolomia di Dürrenstein e Formazione di Raibl), del Giurassico (Rosso ammonitico, Biancone, Scaglia Rossa) e del Cretacico (Marne del Puez e Formazione di Antruilles); - aree in cui affiorano i depositi della successione plioquaternaria, vale a dire i depositi continentali pliopleistocenici e olocenici, quali i depositi gravitativi (frane, frane su ghiaccio, detrito di versante anche a grossi blocchi), quelli di origine glaciale (ad esempio i depositi fluvioglaciali), i depositi alluvionalitorrentizi (terrazzati e non), quelli di origine mista (debris flow e mud flow, di valanga e torrentizi) e, subordinatamente, i depositi lacustri, palustri e torbosi, i depositi colluviali e gli accumuli di ambiente periglaciale quali le nivomorene. Tutti questi materiali presentano litotipi esclusivamente carbonatici, esclusivamente silicatici, oppure misti, con diversi gradi di eterogeneità (Sartori et al. 2005; Neri & Gianolla 2007). 2.3. Clima e pedoclima Dal punto di vista bioclimatico, la regione dolomitica si può suddividere in due diverse aree che sono note come 63 Dolomiti esterne e Dolomiti interne (Pignatti 1994). La prima si colloca a sud del limite che corre lungo lo spartiacque dei Lagorai, raggiunge il versante nord del complesso del Civetta e passa poi lungo le vette cortinesi della Croda da Lago e del Sorapiss, fino a raggiungere Misurina, la seconda a nord di tale confine. Tale distinzione è dovuta al fatto che le correnti umide dell’Adriatico, investendo il versante meridionale delle Alpi sudorientali, inducono la formazione di nebbie e portano abbondanti precipitazioni, Queste hanno effetti massimi sui primi rilievi delle Prealpi, diminuiscono progressivamente nelle Dolomiti esterne, mentre quasi non coinvolgono quelle interne, che presentano pertanto un clima più arido. La quasi totalità dell’area indagata, collocandosi al di sopra dello spartiacque citato precedentemente, si trova compresa all’interno del territorio delle Dolomiti interne, il quale è caratterizzato da un clima di tipo continentale, con scarse precipitazioni (circa 1000-1250 mm annui), concentrate soprattutto in primavera e autunno, e prolungati periodi privi di precipitazioni piovose o nevose, sia in estate che in inverno. Fanno eccezione la Valzanca, la Valsorda, la Val Visdende e l’estremo lembo sudorientale del territorio comunale di Cortina d’Ampezzo, che situandosi più a sud presentano invece i caratteri peculiari delle catene dolomitiche esterne, con un clima di tipo alpino a carattere suboceanico e abbondanti precipitazioni durante la stagione estiva. Sulla base della suddivisione del territorio bellunese in cinque distretti bioclimatici proposta da Del Favero (2001), i territori indagati rientrano per la maggior parte nel distretto endalpico, caratteristico di una fascia relativamente ristretta della parte alta della provincia, che comprende la Conca Ampezzana e l’Alta Valle del Piave e del Cordevole, i cui tratti climatici possono essere estesi anche alla Val di Fassa. Tale distretto, infatti, è contraddistinto da precipitazioni attorno ai 1000 mm annui, che tendono a distribuirsi secondo un regime di tipo continentale, tendenzialmente con un massimo in luglio. Le temperature medie di questa fascia sono significativamente inferiori, come anche le precipitazioni, a quelle dei distretti climatici adiacenti, presentando marcate escursioni termiche e un valore medio annuo di 4-5 °C. Di nuovo, fanno eccezione la Val Visdende e l’estremo lembo sudorientale del territorio di Cortina d’Ampezzo, le quali rientrano invece nel distretto mesalpico, i cui tratti climatici possono essere estesi anche alla Valzanca e alla Valsorda (TN). Quest’ultimo distretto, appartenente alla fascia medio-alta della provincia di Belluno, è caratterizzato, a differenza del precedente, da elevate precipitazioni annue (circa 1400 mm) distribuite in modo uniforme nei mesi da aprile a novembre e da temperature medie annue attorno ai 7-8 °C. Benché quanto appena descritto sia valido a livello generale, occorre precisare che, a causa della grande estensione areale del territorio e dell’energia del rilievo, caratterizzato da valli primarie e secondarie diversamente orientate e articolate, il clima può mostrare notevoli variazioni da una stazione all’altra. Per il calcolo del bilancio idrico del suolo sono stati utilizzati i dati termometrici e pluviometrici forniti dalle principali stazioni meteorologiche localizzate nelle diverse aree indagate, ponendo particolare attenzione all’elevato gradiente altimetrico e, quindi, alla diversa distribuzione delle temperature e delle precipitazioni dai fondovalle alla sommità dei passi più elevati. Per tutte le stazioni è stato 64Zilioli & Bini osservato che non si verifica mai una situazione di deficit idrico, in quanto l’evapotraspirazione potenziale (PE) si mantiene simile a quella effettiva (AE) nel corso di tutto l’anno e il surplus idrico a disposizione per lo scorrimento superficiale è sempre molto elevato, soprattutto a causa della generale scarsa profondità dei suoli in relazione alle abbondanti precipitazioni. Dal punto di vista pedoclimatico, sulla base del bilancio idrico, il regime di umidità del suolo è risultato da udico a perudico in gran parte del territorio. In alcune aree di limitata estensione sono stati individuati anche suoli con regime di umidità aquico, cioè caratterizzati da saturazione idrica per almeno alcuni giorni consecutivi l’anno e, di conseguenza, da evidenti segnali di condizioni ridotte all’interno del profilo (colore grigiastro, screziature ecc.). Per quanto riguarda il regime di temperatura, la temperatura media annua al suolo si è rivelata leggermente superiore agli 8 °C solamente nelle stazioni della Val di Fassa localizzate al di sotto dei 1500 m circa di altitudine (regime di temperatura mesico). Nelle altre aree è risultata compresa tra 0 e 8 °C, con differenze tra la temperatura media estiva e quella invernale maggiori di 6 °C in tutte le zone collocate nelle Dolomiti esterne e nelle Dolomiti interne a quote inferiori ai 2000 m (regime di temperatura frigido), e inferiori a 6 °C nelle Dolomiti interne a quote superiori ai 2000 m (regime di temperatura cryico). 2.4. Aspetti vegetazionali Le Dolomiti esterne e quelle interne mostrano notevoli differenze anche dal punto di vista del paesaggio vegetale. Tra gli aspetti più evidenti che aiutano a differenziare queste due tipologie paesaggistiche vi sono il limite superiore della vegetazione boschiva (attorno ai 1950 m di quota nelle Dolomiti esterne e attorno ai 2200-2400 m in quelle interne) e la presenza del pino cembro (Pinus cembra L.), specie artico-alpina che cresce solo nelle catene interne sia per motivi bioclimatici sia per motivi legati al glacialismo quaternario (Pignatti 1994). Sebbene siano principalmente le differenze climatiche tra Dolomiti interne ed esterne a definire i principali caratteri dei diversi paesaggi vegetali, anche le condizioni microclimatiche locali e la copertura pedologica hanno una notevole influenza sulla vegetazione. Le associazioni vegetali più diffuse nell’area in esame, pertanto, cambiano alle diverse quote, sui diversi substrati e in diverse condizioni di pendenza ed esposizione. Una differenza fondamentale tra le catene interne e quelle esterne è rappresentata dai boschi: nelle Dolomiti interne sono presenti soprattutto conifere, mentre in quelle esterne latifoglie a foglia caduca. Nel complesso, nel territorio oggetto di questa indagine, che comprende per lo più ambienti dolomitici interni e solo alcune delle aree più settentrionali delle catene esterne, i boschi sono rappresentati in prevalenza da comunità forestali a Pinus cembra L., dalle peccete e dai boschi misti ad abete bianco, peccio e faggio. In generale, è senza dubbio l’abete rosso o peccio (Picea excelsa (Lam.) Link) la specie arborea più diffusa, in buona parte a causa all’intervento antropico. L’uomo, infatti, ha agito in maniera estesa su tutti i boschi del settore orientale delle Alpi, accentuandone la naturale povertà floristica (dovuta in parte a fattori edafici e in parte a fattori paleoclimatici) attraverso l’eliminazione del faggio e dell’abete bianco a favore, appunto, dell’abete rosso. Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino Quest’ultimo, essendo una specie arborea dalla spiccata attitudine pioniera, ha portato alla formazione di peccete secondarie a scapito di altre tipologie forestali, o di peccete di nuova generazione su ampie superfici di pascoli abbandonati (Poldini & Bressan 2007). Secondo le più recenti classificazioni sintassonomiche le associazioni vegetali maggiormente diffuse nelle Alpi orientali sono rappresentate, sui substrati silicatici, da Luzulo Nemorosae-Piceetum Br.-Bl. et Siss. 1939, pecceta della fascia montana che si estende dai 750 m ai 1600 m di quota, e da Cardamino Pentaphylli-Abietetum Mayer 1974 em. Gafta 1994, abieteto caratteristico della fascia montana che si colloca su substrati analoghi prevalentemente nei fondovalle freschi e umidi o in ampie conche vallive tra gli 800 m e i 1500 m circa di altitudine (Poldini & Bressan 2007). Sui substrati carbonatici, invece, le associazioni principali sono Anemono Trifoliae-Abietetum Exner in Poldini & Bressan 2007 ass. nova, abieteto della fascia montana meso-endalpica che si estende da quote minime di 800-850 m a quote massime di 1550 m su suoli a reazione neutra, e Laburno Alpini-Piceetum Zupancic 1999, pecceta montana condizionata da situazioni climatiche a influenza subcontinentale con distribuzione altitudinale che va dai 650 m ai 1400 m di altitudine. Alle quote più alte, invece, i boschi a conifere delle Alpi orientali sono caratterizzati da altre quattro associazioni tipiche fortemente influenzate dai fattori edafici. Sui substrati a reazione acida le associazioni principali sono Homogyno alpinae-Piceetum Zukrigl 1973, pecceta del piano subalpino che si estende da quote minime di 1500 m a quote massime di 1800 m (talora 1900 m), prediligendo substrati non carbonatici di tipo arenaceo (Poldini & Bressan 2007), e Larici-Pinetum cembrae (Pallmann et Haffter 1933) Ellenberg 1963, cembreta dei substrati acidi presente su versanti freschi, prevalentemente esposti a N e a NW, con pendenze variabili (5-50°) ma comprese soprattutto tra 20° e 30° (Sburlino et al. 2006). Sui substrati carbonatici, invece, si possono trovare Homogyno sylvestris-Piceetum Exner in Poldini & Bressan 2007 ass. nova, pecceta subalpina la cui fascia altitudinale si estende dai 1400 ai 1700 m di altitudine, e Pinetum cembrae Bojko 1931, cembreta che si estende anche fino ai 2200 m di quota e che si differenzia a sua volta in due subassociazioni, a seconda che prediliga pendii di pendenza lieve e tendenzialmente esposti a N o pendii più ripidi con esposizione prevalentemente meridionale (Sburlino et al. 2006). In tutto il territorio, i boschi si alternano a prati stabili montani, in parte falciati e in parte sottoposti a intensa urbanizzazione. Come in tutte le Alpi, i prati da sfalcio costituiscono nel territorio indagato ambienti in rapida sparizione. Questo vale in particolar modo per i triseteti, i quali, essendo situati in aree montane remote, ormai non vengono quasi più falciati e, pertanto, si incespugliano e tendono a ridiventare bosco (Poldini & Oriolo 1995). Nel territorio in esame, i prati stabili più diffusi sono attribuibili, alle quote inferiori e in stazioni pianeggianti o subpianeggianti, a Centaureo carniolicae-Arrhenatheretum elatioris Oberdorfer 1964 corr. Poldini et Oriolo 1995, un arrenatereto che comprende prati da sfalcio sia di pianura che submontani fino attorno ai 1100-1200 m di quota, concimati e con reazione da neutra a subacida (Poldini & Oriolo 1995). Ampiamente diffusa alle altitudini maggiori e sui versanti più acclivi, invece, è l’as- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68 sociazione Centaureo transalpinae-Trisetetum flavescentis (Marschall 1947) Poldini et Oriolo 1995, un triseteto in genere presente da 1000 m a circa 1900 m di quota su moderate inclinazioni e su substrati basici o debolmente acidi. Anche i paesaggi legati al pascolo sono molto diffusi nel territorio, benché in questi ultimi decenni siano anch’essi, come i prati da sfalcio, per la gran parte in via di abbandono e di incespugliamento. Le associazioni legate al pascolo presenti nell’area in esame sono dei nardeti attribuibili a Homogyno alpinae-Nardetum Mráz 1956, SieversioNardetum strictae Lüdi 1948 e Knautio-Trifolietum nivalis E. Pignatti et Pignatti 1988 (Poldini & Oriolo 1997). La prima rappresenta la principale tipologia di pascolo degli affioramenti acidi in corrispondenza delle casere, mentre la seconda costituisce una tipologia di pascolo dei substrati siltitici e arenacei che si estende dalla fascia altimontana a quella subalpina. Knautio-Trifolietum nivalis, infine, è una prateria d’alta quota e di pendio che si differenzia in distinte subassociazioni prevalentemente in funzione dei diversi substrati (Buffa et al. 2002). Molto estese nel territorio sono le superfici collocate al di sopra dei consorzi arborati, tra i 2000 e i 2500 m circa di altitudine. In quelle aree la vegetazione è caratterizzata da arbusteti con dominanza di pino mugo (Pinus mugo Turra) e di ericacee, e da pascoli alpini che si differenziano a seconda dei substrati. Con riferimento alla recente bibliografia esistente sulle praterie naturali e semi-naturali del settore italiano delle Alpi orientali, le associazioni probabilmente più diffuse nel territorio esaminato sono Ranunculo hybridi-Caricetum sempervirentis Poldini et Feoli Chiapella in Feoli Chiapella et Poldini 1994 sui substrati carbonatici, e Loiseleurio-Caricetum curvulae (Giacomini et Pignatti 1955) Pitschmann et al. 1980 sui substrati a reazione acida. La prima si sviluppa a quote generalmente comprese tra i 2000 e i 2200 m su versanti freschi e relativamente acclivi (30-40°) (Sburlino et al. 1999), mentre la seconda si sviluppa prevalentemente su substrati siltitici della fascia subalpina (Poldini & Oriolo 1997). Infine, numerose sul territorio, seppur di limitata estensione, sono le aree paludose con vegetazione tipica delle torbiere basse (cariceti); diffuse in misura ancora maggiore sono le fitte comunità pioniere a pino mugo che si sostituiscono alle foreste, indipendentemente dalla quota, laddove si trovano pendici rocciose e detritiche non stabilizzate o soggette a periodici fenomeni franosi e valanghivi. 3. Metodi I dati presentati in questo lavoro fanno riferimento a 225 profili scavati e descritti tra il 1997 e il 2007 in accordo con le linee guida di Sanesi (1977); tutti gli orizzonti campionati sono stati analizzati con le medesime metodologie ufficiali di analisi chimica del suolo (MIRAAF 1994), al fine di rendere il più possibile comparabili tra loro le informazioni raccolte. Per quanto riguarda le informazioni climatiche, i dati termo-pluviometrici mensili relativi alle diverse aree sono stati elaborati con il modello di Thornthwaite & Mather (1957) al fine di ottenere il bilancio idrico dei suoli. Per tale elaborazione è stato utilizzato, negli ultimi anni, un software sviluppato con Excel®2000 che consente di ricavare automaticamente il diagramma del bilancio idrico inserendo 65 in un foglio elettronico i dati stazionali, climatici ed edafici di ciascuna località (Armiraglio et al. 2003). Sulla base del bilancio idrico, per tutte le aree campionate prima del 2006 sono stati ridefiniti i regimi di umidità e temperatura del suolo secondo i criteri previsti dalla più recente edizione del sistema americano di classificazione dei suoli (Soil Survey Staff 2006). Infine, tutti i suoli oggetto di questo lavoro sono stati rivisti e, quando necessario, nuovamente classificati sulla base delle descrizioni di campagna, dei dati chimici e fisici relativi a ciascun profilo e dei nuovi regimi di temperatura e umidità identificati. 4. Risultati E DISCUSSIONE I dati raccolti mettono in evidenza l’elevata eterogeneità ambientale presente nell’intero territorio indagato. Tale eterogeneità (soprattutto geologica, climatica e morfologica) comporta, come già segnalato per altre regioni alpine (Sartori et al. 1997; Previtali 2002), una notevole variabilità nell’intensità di azione e nell’interazione tra i diversi fattori della pedogenesi, determinando la formazione di un’ampia gamma di tipologie pedologiche. Nei siti oggetto d’indagine sono stati individuati diversi ambienti pedogenetici in base alla litologia, alla quota, e alle differenti condizioni climatiche e pedoclimatiche. In particolar modo, sono state distinte le aree interessate dalle porzioni sommitali dei principali gruppi montuosi, collocate a quote superiori ai 2000 m, da quelle collocate a quote inferiori. Le prime, che si estendono sino ad oltre i 3000 m di quota, sono costituite da territori con morfologia molto varia, che comprendono sia versanti molto pendenti su dolomie e calcari duri in gran parte privi di suolo, sia, in minor misura, forme più dolci tipiche di litologie meno resistenti all’erosione, di natura carbonatica o silicatica. In queste aree i suoli hanno regime di temperatura cryico e regime di umidità perudico (Soil Survey Staff 2006). Trattandosi di aree situate, per la maggior parte, al di sopra del limite del bosco, in esse la vegetazione è costituita in prevalenza da pascoli d’alta quota e da praterie alpine e, solo in minor misura, alle quote più basse, da mughete o alnete, rodoreti e boschi radi di conifere. Le aree collocate a quote inferiori, tra i 600 m e i 2000 m circa di altitudine, sono invece caratterizzate da versanti con pendenze medie, modellati durante il corso delle glaciazioni del Quaternario e caratterizzati dalla presenza di estese coltri detritiche di origine glaciale o di versante stabilizzate dalla vegetazione. In queste aree i suoli hanno regime di temperatura mesico o frigido e regime di umidità da udico a perudico (Soil Survey Staff 2006). La vegetazione è costituita prevalentemente da peccete, cembrete e abieteti; questi boschi sono sostituiti da pascoli, dove le pendenze sono più lievi, e da mughete, dove la pendenza è maggiore ed i versanti sono più instabili. A partire dalle differenze climatiche e pedoclimatiche alle diverse quote, sono state distinte poi diverse sequenze evolutive sulla base della litologia. Sia alle quote superiori che a quelle inferiori ai 2000 m affiorano litotipi carbonatici (dolomie, calcari litoidi e detriti di natura calcareo-dolomitica, argilliti, marne e altre rocce di origine sedimentaria) e litotipi silicatici (arenarie, rocce metamorfiche, monzoniti e porfiriti, materiali sciolti di natura esclusivamente 66Zilioli & Bini Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino Fig. 1 - Modello evolutivo dei suoli in ambiente dolomitico su differenti substrati e a quote superiori e inferiori ai 2000 m s.l.m. A sinistra suoli su materiali carbonatici, al centro suoli su substrati misti carbonatico-silicatici o rinvenibili su entrambi i substrati, e a destra suoli su materiali silicatici. In basso sequenza di suoli in aree umide e depresse. Fig. 1 - Flow diagram showing soil evolution in Dolomites region from different parent materials at altitudes higher and lower than 2000 m a.s.l. Left soils on calcareous parent materials, center soils on mixed calcareous-siliceous parent materials or found on both substrates, right soils on siliceous parent materials. o prevalentemente silicatica), sui quali si impostano suoli molto diversi tra loro, rispettivamente da calcarei a privi di carbonati, da subalcalini a decisamente acidi. Particolare rilevanza hanno i materiali detritici a litologia mista silicatico-carbonatica, che creano una sorta di linea di continuità tra i due domini litologici sopra descritti. Sui litotipi carbonatici sono molto diffusi i suoli scarsamente evoluti, sottili, ricchi in scheletro e con scarsa differenziazione del profilo, con reazione da subalcalina ad alcalina (Udorthents o Cryorthents saturi), da litici a tipici al variare della pendenza o della natura del substrato (litoide o sciolto). Si tratta in tutti i casi di suoli caratterizzanti le situazioni di maggiore erodibilità per instabilità o elevata pendenza dei versanti. L’evoluzione del suolo su questi substrati procede poi attraverso i suoli umo-calcarei (Cryrendolls e Haplocryolls o Haprendolls a seconda della quota) ed i suoli brunificati (Eutrudepts o Eutrocryepts saturi). Per lo sviluppo dei primi, distinti in diversi sottogruppi in funzione di pendenza, profondità e grado di differenziazione del profilo (Lithic/Typic Cryrendolls e Lithic/Typic/Inceptic Haprendolls), particolarmente incisi- vo è il ruolo della sostanza organica che, in questi ambienti, determina la formazione di complessi organico-minerali molto stabili, con la conseguente formazione di suoli con orizzonte superficiale molto scuro e ricco in basi (epipedon mollico). Si tratta, in ogni caso, di suoli da poco a moderatamente profondi, sempre molto ricchi in scheletro, con reazione da subalcalina ad alcalina. I suoli iso-umici rappresentano solo una modesta percentuale dei suoli campionati, in quanto, in condizioni di precipitazioni abbondanti, drenaggio rapido e materiale detritico con presenza di elementi silicatici, essi sono sottoposti nel tempo ad una lisciviazione piuttosto spinta che comporta una parziale desaturazione del profilo, con passaggio da un epipedon di tipo mollico ad uno di tipo umbrico. In seguito a questo processo si formano i suoli bruni più o meno calcarei che, soprattutto alle quote più basse, rappresentano i suoli maggiormente diffusi in ambiente carbonatico. Essi sono moderatamente profondi, hanno reazione da subalcalina a neutra e presentano un profilo maggiormente differenziato, con orizzonte cambico. In alcuni casi, la desaturazione può essere così spinta da portare a suoli bruni decarbonatati, Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68 privi di carbonati in tutto il profilo. Il diverso grado di desaturazione e/o approfondimento di questi suoli trova espressione nei numerosi sottogruppi in cui essi si articolano (Typic Haplocryepts e Humicryepts o Lithic/Typic/ Rendollic/Dystric Eutrudepts). Anche negli ambienti silicatici sono molto diffusi i suoli scarsamente evoluti. Essi si possono riscontrare nelle stazioni a maggiore pendenza e in situazioni di elevata instabilità dei versanti. Si tratta di suoli sottili, ricchi in scheletro e con scarsa differenziazione del profilo, con reazione da subacida ad acida (Udorthents e Cryorthents acidi). I sottogruppi in cui si differenziano variano soprattutto in funzione della pendenza, della profondità del profilo e del tipo di substrato (Lithic/Typic Udorthents e Cryorthents). L’evoluzione sui substrati silicatici segue poi la tipica sequenza dei suoli desaturati, che vede lo sviluppo ulteriore in suoli bruni parzialmente desaturati da neutri a subacidi (Humicryepts e Haplocryepts o Eutrudepts) su materiali detritici a litologia mista silicatico-carbonatica, e in suoli bruni acidi (Dystrocryepts e Dystrudepts) su materiali di natura esclusivamente silicatica. In tutti i casi si tratta di suoli moderatamente profondi, con maggiore differenziazione del profilo rispetto ai precedenti e orizzonte cambico; soprattutto alle quote più basse, sono i maggiormente diffusi in ambiente silicatico. Solo una piccola parte dei suoli indagati mostra un livello di evoluzione ulteriore, con grado ancora maggiore di differenziazione del profilo. Si tratta in questo caso di suoli podzolici per la maggior parte moderatamente profondi in cui si sono verificati processi di traslocazione in profondità di sesquiossidi di ferro e alluminio e/o di sostanza organica che hanno portato alla formazione di orizzonti spodici; tali processi possono essere stati a volte deboli (Spodic Dystrudepts), a volte piuttosto intensi (Haplocryods e Placocryods o Haplorthods e Haplohumods). Nel caso di un deciso processo di podzolizzazione, tipico delle superfici a maggiore stabilità, il diverso grado di sviluppo del profilo sulla base dei caratteri stazionali più o meno favorevoli ai processi di traslocazione trova espressione nei numerosi sottogruppi in cui questi suoli si articolano (Entic/Typic Haplocryods e Placocryods o Lithic/Entic Lithic/Typic Haplorthods e Haplohumods). Un cenno particolare meritano i suoli con evidenti fenomeni di idromorfia, in genere non strettamente correlati alla litologia del substrato su cui si sviluppano ma piuttosto alla localizzazione in aree depresse oppure su materiali con abbondante matrice fine, quali i depositi palustri o i materiali derivanti dall’alterazione in situ di siltiti o argilliti (Aquic Udorthents e Aquic Cryorthents o Aquic Eutrudepts). Nelle aree umide e depresse, indipendentemente da quota e substrato, è l’oscillazione della falda a influenzare le tipologie di suolo, indirizzandone l’evoluzione da tipi ad alto contenuto di sostanza organica poco decomposta, prevalentemente saturi in acqua (Hydric Haplofibrists, Hydric/ Fluvaquentic Haplohemists e Typic Haplosaprists), verso tipi più minerali, con spessore via via maggiore e con periodi di saturazione idrica sempre più brevi man mano che ci si allontana dal centro della depressione (Typic Endoaquents, Aquic Udorthents e Aquic/Aquic Dystric Eutrudepts). Tutte le osservazioni qui riportate possono essere riassunte nel diagramma in figura 1, che mostra gli scenari evolutivi del suolo sui diversi substrati alle altitudini elevate e a quelle medio-basse. 67 5. CONCLUSIONI Il modello di evoluzione del suolo in ambiente alpino qui descritto è stato verificato su 56 suoli della Val di Fassa (Zilocchi 2004) attraverso l’applicazione sperimentale dell’indice di sviluppo del profilo, secondo il metodo del Profile Development Index (PDI) (Harden 1983) adattato all’ambiente montano. I valori di quest’ultimo hanno consentito di confermare i trend evolutivi ipotizzati per l’ambiente dolomitico e di costruire, per l’area indagata, un modello di pedogenesi che non fosse solo qualitativo, ma semi-quantitativo. Per quanto riguarda il grado di importanza che i diversi fattori della pedogenesi assumono in ambiente alpino, nel corso di questo lavoro è stato possibile osservare i caratteri stazionali maggiormente determinanti nel definire la pedodiversità del territorio studiato: in primo luogo il fattore climatico e il substrato litologico, in secondo luogo il fattore geomorfico. Un cenno a parte merita la vegetazione, poiché le diverse situazioni indagate mostrano differenti livelli di concordanza fra associazioni vegetali e classificazione genetica del suolo, a seconda delle diverse condizioni ambientali: in alcuni casi tale corrispondenza è biunivoca, in altri piuttosto labile (Sburlino et al. 1999; Bini et al. 2002). In futuro ci si propone di sottoporre tutti i dati stazionali ed i caratteri intrinseci dei suoli indagati a trattamento statistico, per meglio definire il ruolo di copertura vegetale, quota, pendenza ed esposizione sulla pedogenesi dei suoli alpini. In questo modo si potrà anche elaborare un modello semi-quantitativo dei suoli in ambiente alpino a maggior livello di dettaglio, che tenga conto, all’interno dei diversi domini litologici e delle diverse fasce altitudinali, del ruolo di questi fattori nell’indirizzare la pedogenesi in una direzione piuttosto che in un’altra. Ringraziamenti Ringraziamo Elisa D’Onofrio, Giulia Fruscalzo, Sandro Giavatto, Daniele Mion, Fabiola Schena, Silvia Trivellato e Lucia Zilocchi per aver attivamente contribuito nel corso di questi anni al rilevamento, alla cartografia e all’analisi dei suoli oggetto di questa indagine. Bibliografia Armiraglio S., Cerabolini B., Gandellini F., Gandini P. & Andreis C., 2003 - Calcolo informatizzato del bilancio idrico del suolo. Natura Bresciana, Ann. Mus. Civ. Sc. Nat. Brescia, 33: 209-216. ARPAV, 2005 - Carta dei suoli del Veneto, Note illustrative. Servizio Osservatorio Suoli e Rifiuti, Dipartimento della Provincia di Treviso (a cura di). 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Nat., 85 (2009): 69-81 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto Adriano GARLATO1*, Silvia OBBER1, Ialina VINCI1, Giacomo SARTORI2 & Giulia MANNI1 ARPA Veneto, Unità Operativa Suolo, Via Baciocchi 9, 31033 Castelfranco V.to (TV), Italia Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italia * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] 1 2 RIASSUNTO - Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto - Il carbonio organico nel suolo (SOC) è stato identificato come la principale riserva terrestre di carbonio organico. I dati provenienti da 543 profili di suolo, rappresentativi di tutti i diversi pedoambienti dell’area montana e prealpina del Veneto, studiati nel periodo 1996-2006, sono stati utilizzati per determinare lo stock di carbonio. Il carbonio stoccato nell’humus, determinato su 317 profili che avevano la descrizione degli orizzonti organici, è risultato pari a 31,7 t ha-1 (mediana), mentre nei primi 30 cm di suolo minerale pari a 57,5 t ha-1, che diventano 69,4 t ha-1 includendo gli orizzonti organici. Nel primo metro i quantitativi aumentano fino a 88,5 e 102,6 t ha-1 rispettivamente. Il contributo del C contenuto nell’humus varia tra 17%, nel caso del SOC dei primi 30 cm, a 14% nel caso del SOC calcolato sul primo metro. Dall’esame delle relazioni tra SOC e diversi parametri quali quota, forme di humus, uso del suolo e tipologie di suolo, sono emerse alcune differenze statisticamente significative. Sono stati infine valutati possibili scenari futuri nell’ottica dei cambiamenti climatici che potranno investire le zone montane nel prossimo futuro. SUMMARY - The actual stock of organic carbon in the mountain soil profiles of Veneto Region - Soil organic carbon (SOC) has been identified as the main global-terrestrial carbon reservoir. To assess organic carbon stocks within soil mineral and organic (humus) horizons, data collected in the period 1996-2006 from 543 mountain soil profiles (representative of Veneto mountain and prealpine area in terms of climate, geology, topography and forest type distribution) were used. Organic carbon stocked within organic horizons, determined by means of 317 soil profiles where organic horizons had been fully described, resulted equal to 31.7 t ha-1 (median), whereas within 0-30 cm of mineral soil equal to 57.5 t ha-1, that becomes 69.4 t ha-1 including organic horizons; within 0-100 cm soil stocks increase up to 88.5 and 102.6 t ha-1 respectively. Organic horizon contribution to total SOC goes from 17%, for 0-30 cm of soil, to 14% for 0-100 cm. Examining relationships between SOC and different parameters, like altitude, humus form, land use, soil type, some statistically significant differences emerged. Eventually some scenarios have been evaluated from the viewpoint of global climatic change that will involve mountain areas in the near future. Parole chiave: suoli montani, Regione Veneto, carbonio organico, stock di carbonio, forme di humus Key words: mountain soils, Veneto Region, organic carbon, carbon stock, humus forms 1. INTRODUZIONE Il suolo costituisce un’importante riserva di carbonio organico e gioca un ruolo fondamentale nel ciclo globale del carbonio stesso. Secondo Batjes (1996), a livello planetario i suoli minerali e organici stoccano circa 1505 Pg C, superando il pool complessivo di carbonio della vegetazione (610 Pg C) e dell’atmosfera (750 Pg C). Poiché l’emissione annuale di CO2 che si libera nell’atmosfera dalla decomposizione della sostanza organica prodotta dagli ecosistemi terrestri ammonta a circa 5060 Pg C (McGuire et al. 1995), quantità che corrisponde a circa un ordine di grandezza in più rispetto alle emissione antropiche, è evidente che cambiamenti anche piccoli che li riguardano possono influenzare fortemente il ciclo globale del carbonio. È noto che i suoli di montagna sono molto ricchi in sostanza organica (almeno in termini di contenuto percentuale di C), ma i quantitativi in essi presenti dipendono da diversi fattori sia esterni al suolo (clima, topografia, uso del suolo) che interni (drenaggio, tessitura, contenuto in carbonati, ecc.). La stima si rivela quindi particolarmente difficoltosa, proprio perché negli ambienti montani questi fattori variano spazialmente in modo molto rapido (Prichards et al. 2000). La disponibilità di dati misurati relativi ai contenuti in carbonio organico dei diversi orizzonti del suolo e alla densità apparente degli stessi consente di formulare delle stime affidabili e l’affidabilità aumenta notevolmente quando sono disponibili dati anche sugli orizzonti organici di superficie (humus). L’obiettivo di questo lavoro è quello di quantificare il contenuto in carbonio organico dei suoli della montagna veneta sia negli orizzonti minerali che nell’humus. Particolare attenzione verrà posta all’andamento del carbonio in rapporto alla profondità e, per poter prevedere eventuali dinamiche, alle variazioni che esso subisce in base al mutare delle caratteristiche ambientali. 70 Garlato et al. 2. MATERIALI E METODI 2.1. Area di studio In Veneto l’area montana occupa una superficie di 6830 km2, poco meno del 40% della superficie totale regionale (ARPAV 2005). La quota varia dai circa 100 metri dei fondovalle prealpini agli oltre 3000 metri delle principali cime dolomitiche. Gran parte del territorio è ricoperta da vegetazione naturale, boschi e secondariamente pascoli, mentre le aree coltivate sono meno del 5% (EEA 2000). Dal punto di vista geologico, il settore alpino del Veneto presenta una notevole variabilità, passando dalle rocce metamorfiche del basamento cristallino alla Dolomia Principale dei gruppi montuosi più importanti della regione, attraverso le litologie della successione stratigrafica calcarea e terrigena dolomitica. Alle diverse litologie corrispondono forme molto differenziate: aspre e ad alta energia nei rilievi dove prevale la dolomia, arrotondate e meno pendenti in corrispondenza di rocce vulcaniche e terrigene. Nell’area prealpina i litotipi più diffusi sono calcarei, distinguibili in una porzione più o meno pura e in una che presenta una certa percentuale di componente terrigena (calcari marnosi). Nella Lessinia orientale sono presenti basalti del vulcanesimo terziario, mentre nella zona di Recoaro e delle Piccole Dolomiti, a causa di particolari condizioni tettoniche, emerge una successione stratigrafica più antica, permo-triassica, la cui evoluzione è analoga a quella dei rilievi alpini dolomitici (ARPAV 2005). Dal punto di vista climatico, la montagna veneta presenta temperature che aumentano procedendo da nord verso sud, dalle Alpi verso le Prealpi. Le temperature medie annue variano dagli 0 °C delle quote più alte ai 7 °C della zona prealpina: occorre comunque tenere conto che oltre all’altitudine anche l’esposizione ha una notevole influenza su questo parametro. Le precipitazioni sono più intense in corrispondenza dei rilievi prealpini e diminuiscono nella fascia alpina che ha un clima più continentale. Le zone più piovose raggiungono i 2000 mm anno-1 nel recoarese, mentre nell’ampezzano tale quantitativo si dimezza. Nell’area prealpina prevalgono le latifoglie, con ornoostrieti a bassa quota e faggete e abieteti a quote superiori. In area alpina prevalgono le conifere (peccete), anche se il faggio è ancora presente almeno nella fascia montana; in alta quota esse vengono sostituite da lariceti e laricicembreti, e quindi dalle praterie e dai pascoli. 2.2. Banca dati sui suoli Tutte le osservazioni pedologiche relative al Veneto sono state inserite in una banca dati regionale dalla struttura alquanto complessa, contenente informazioni sia sulla stazione (quota, vegetazione, ecc. ) sia sui singoli orizzonti descritti (spessori, tessitura, ecc.). Per questo lavoro, dalla banca dati è stato estratto un sottoinsieme di 543 profili descritti in zona montana e prealpina aventi il requisito minimo di possedere dati analitici relativi al carbonio organico almeno fino a 30 cm di profondità. La quota media dei profili presi in considerazione è di poco inferiore ai 1100 metri s.l.m., con valori minimi a 165 metri nei fondovalle prealpini e massimi a 2370 metri nell’Alta Val Comelico. La maggior parte dei suoli ricade nella fascia fitoclimatica montana e submontana, mentre Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto meno del 10% dei suoli indagati si trova nelle fasce subalpina e alpina. Le tessiture superficiali prevalenti sono franco-limose e franche, anche se non mancano termini più fini, francoargillosi e franco-limoso-argillosi, e più grossolani, prevalentemente franco-sabbiosi. In profondità le tessiture sono mediamente più grossolane, con prevalenza delle classi franche e franco-sabbiose. Il contenuto in scheletro è abbastanza elevato (mediamente circa il 25% nei primi 50 cm) e aumenta ulteriormente con la profondità (oltre il 40%, mediamente, tra 50 e 100 cm). L’uso prevalente del suolo è quello a bosco, con una dominanza delle conifere e dei cedui; seguono i pratipascoli e i pascoli, mentre in aree coltivate sono meno del 10% dei profili, gran parte dei quali in Valbelluna o lungo i fondovalle alpini. Le tipologie di suolo più diffuse (ARPAV 2005), secondo la classificazione ecologica di Duchaufour (2001), sono i rendzina (Leptosols e Phaeozems secondo la versione del 2006 del World Reference Base; FAO 2006) e i suoli bruni calcarei (Cambisols calcarei) sui substrati carbonatici duri, i suoli bruni lisciviati (Luvisols) a quote inferiori e prevalentemente sui substrati marnosi, mentre sui substrati silicatici prevalgono i suoli bruni ocrici (Cambisols districi); i veri e propri podzols umo-ferrici sono quasi completamente assenti, anche per la mancanza di substrati fortemente acidi. Per l’ambiente di montagna, oltre alla stima del carbonio organico stoccato nei suoli, è fondamentale considerare anche l’apporto del carbonio inglobato negli orizzonti organici di superficie (humus) che, secondo recenti studi (Galbraith et al. 2003; Schulp et al. 2008), può costituire tra il 10 e il 30% del carbonio totale. La disponibilità di dati, per 317 profili, sulla tipologia degli orizzonti olorganici e sul loro spessore, ha permesso di stimare i contenuti di carbonio organico anche per gli humus, mentre è stato escluso dal calcolo il carbonio stoccato dalla lettiera. Le tipologie di humus più diffuse (Sartori et al. 2009) sono rappresentate dagli Amphimull e dai Dysmull, secondo il Référentiel Pédologique (AFES 1995), i quali sono presenti prevalentemente sui suoli a reazione neutra o alcalina; sui suoli acidi, meno diffusi, sono invece comuni i moder (il 10% degli humus indagati). Forme di humus più attive, Eumull, Mesomull e Oligomull sono relativamente meno diffuse, e si presentano in circa il 20% del data-set. L’arco temporale del rilevamento distribuito in circa una decina d’anni (1996-2006) crea un problema di disomogeneità nella banca dati. Dalla bibliografia emerge però che variazioni cospicue nel contenuto di sostanza organica nel suolo si realizzano in intervalli di tempo dell’ordine di dieci anni solo quando contemporaneamente vengono modificati profondamente gli input. Perruchoud et al. (1999) a questo proposito affermano che un incremento del 10% nel SOC nel topsoil richiede almeno dieci anni di tempo se contemporaneamente gli input della lettiera vengono aumentati di un terzo. Variazioni di tale entità possono essere comunque escluse in Veneto, vista la relativa stabilità nella gestione degli ambiti forestali. 2.3. Analisi chimiche Sono stati utilizzati due metodi per determinare il carbonio organico degli orizzonti analizzati (1406 minera- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81 71 li e 55 organici di superficie): il metodo dell’analizzatore elementare e il metodo Walkley-Black. Il secondo metodo è stato quello più utilizzato, ma a causa della nota tendenza a sottostimare il valore di carbonio organico, soprattutto se in elevate concentrazioni, per campioni con alti contenuti di sostanza organica e in assenza di carbonati si è preferito il primo metodo. L’esistenza di numerosi campioni analizzati con entrambe le metodiche ha permesso di creare delle rette di regressione, impiegate per convertire i valori ottenuti con l’analizzatore elementare nel metodo Walkley-Black, che hanno consentito un confronto dei dati. misure di densità apparente in campagna sono soggette a una notevole incertezza a causa del metodo di misura che, già suscettibile di errori negli orizzonti minerali, diventa ancor meno affidabile negli olorganici. Nel caso del Veneto, la densità degli orizzonti olorganici è stata misurata attraverso il metodo dello scavo. Una conferma dell’elevato errore di questa misura è data dal fatto che i valori medi di densità negli orizzonti OH risultano più bassi rispetto ai valori misurati negli orizzonti OF. La probabile sovrastima dei dati impiegati (stimati) rispetto ai dati misurati si ripercuote tal quale sulla determinazione dello stock di carbonio. 2.4. 2.5.2. Orizzonti minerali Calcolo dello stock di carbonio Lo stock di carbonio (SOC) di ogni singolo suolo analizzato si ottiene dal prodotto, effettuato per ogni orizzonte, tra il quantitativo ponderale di carbonio e la densità apparente dell’orizzonte, sottraendo il volume occupato dai frammenti grossolani: dove: SOCtot= stock di carbonio organico nel suolo (C.O. t/ ha); SOC= concentrazione di carbonio organico del singolo orizzonte (C.O. g kg-1 di suolo); Bulk Density= densità apparente dell’orizzonte (t di suolo m-3); Depth= profondità dell’orizzonte (m); Frag= percentuale in volume dei frammenti grossolani nell’orizzonte. 2.5. Determinazione della densità apparente 2.5.1. Orizzonti organici (humus) In bibliografia non sono molti i lavori dove è stato calcolato lo stock di carbonio per gli orizzonti organici partendo da valori di densità misurati in campagna e non attraverso pedofunzioni (Vejre et al. 2003; Hedde et al. 2007; Schulp et al. 2008). In Veneto erano disponibili solo 18 orizzonti organici con dati misurati sia di carbonio che di densità. Per questo motivo, a differenza di quanto è stato fatto per gli orizzonti minerali, dove la mole di dati di densità ha permesso la taratura di pedofunzioni ad hoc, per gli humus si è preferito utilizzare la pedofunzione di Hollis definita per gli orizzonti organici (Hollis & Woods 1989; BD= -0,00745*C%+0,593). Il confronto tra dati misurati e valori stimati (Tab. 1) evidenzia una probabile sovrastima da parte di questi ultimi. Vale però la pena ricordare che le Per gli orizzonti minerali la disponibilità di dati misurati (144 orizzonti) ha permesso di creare delle pedofunzioni ad hoc per la stima della densità a partire dai dati tessiturali e dal contenuto in sostanza organica. In particolare sono state derivate due pedofunzioni (Ungaro 2009), una valida per gli orizzonti organo-minerali di superficie (A, AE, AB, ecc.) ed una per gli orizzonti profondi (B, C, BC, ecc.). Il confronto tra queste pedofunzioni e quelle disponibili in bibliografia ha sempre, in termini di accuratezza e precisione, favorito le prime (Ungaro 2009). 3. RISULTATI E DISCUSSIONE 3.1. Stock di carbonio nell’humus In bibliografia viene stimato che il carbonio stoccato nell’humus può variare tra un minimo di 8 e un massimo del 30% del totale stoccato nel suolo (Schulp et al. 2008, Galbraith et al. 2003; Vejre et al. 2003; Prichard et al. 2000; Huntington et al. 1988). Per gli orizzonti organici per cui si disponeva solo del dato di carbonio organico, senza la misura della densità apparente in campagna (N= 55), è stata stimata la densità e si sono ottenuti dei valori medi di carbonio (t ha-1) per centimetro di spessore (Tab. 2). Dalla lettura della tabella è evidente che le differenze in stock di carbonio tra gli orizzonti OF, OH e gli orizzonti designati genericamente come O (quindi OF e/o OH) sono molto ridotte: mediamente lo stock si aggira su valori di 9 t ha-1 per centimetro di spessore. Ad un maggior contenuto di carbonio degli orizzonti OF, corrisponde infatti una densità leggermente più bassa rispetto a quella stimata per gli orizzonti OH. A questo punto a tutti gli orizzonti organici per i quali non si disponeva di dati misurati (N= 365) ma solo della Tab. 1 - Statistiche descrittive della densità apparente (BD= bulk density) misurata e stimata per gli orizzonti organici. Tab. 1 - Descriptive statistics of measured and estimated bulk density (BD) of organic horizons. BD misurata Mediana Media BD stimata CV (%) Mediana Media CV (%) N Orizzonti OF 0,13 0,18 56 0,28 0,30 13 8 Orizzonti OH 0,13 0,12 42 0,29 0,33 24 3 Orizzonti O (generici) 0,20 0,20 45 0,38 0,27 22 8 72 Garlato et al. Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto Tab. 2 - Statistiche descrittive dello stock di carbonio organico (t/ha) per centimetro di spessore ottenuto da tutti gli orizzonti organici per i quali erano disponibili dati analitici sul carbonio organico. Tab. 2 - Descriptive statistics of organic carbon stock (t/ha) for cm depth, obtained by means of available analysis of organic horizons. Mediana Media CV (%) N Orizzonti OF 9,0 8,7 3 27 Orizzonti OH 8,8 8,4 21 12 Orizzonti O (generici) 9,0 7,7 9 16 descrizione morfologica di campagna, sono stati attribuiti valori medi di carbonio in base alla tipologia di orizzonte organico e al suo spessore. Occorre qui ribadire che la scelta di utilizzare per l’intero dataset i valori di densità apparente stimata determina dei contenuti mediamente più alti di quanto si otterrebbe usando dati misurati, e questa possibile sovrastima deve essere tenuta in considerazione leggendo tutte le valutazioni che seguiranno. È comunque importante notare che, sia utilizzando il dato stimato che quello misurato, pochi centimetri di humus sono sufficienti ad aumentare il contenuto di carbonio del suolo di 10-20 t ha-1. Ciò deve far riflettere, visto che in letteratura nella maggior parte degli studi sulle stime dello stock di carbonio organico del suolo l’humus non viene tenuto in considerazione. Il valore medio del carbonio stoccato negli orizzonti organici dei 317 profili che avevano la descrizione degli orizzonti organici è pari a 41,7 t ha-1 (mediana 31,2) con valori minimi pari a 0, dove è presente solo l’orizzonte OL e mancano gli orizzonti OF e OH, e valore massimo di oltre 200 t ha-1, per un suolo con orizzonti organici di oltre 20 cm di spessore (Tab. 3). L’analisi della varianza per tipologie di humus suddivise in base alla proposta di Jabiol et al. (2004) ha permesso di determinare la significatività per ciascuna forma di humus rispetto allo stock di carbonio utilizzando un test di significativà delle medie (p <0,05) corretto per la diversa consistenza numerica dei gruppi (Tukey-Kramer unequal N HSD test). I Mull hanno un contenuto medio negli orizzonti organici di 15,4 t ha-1, gli Amphi 52,3 t ha-1 e i Moder 68,0, con differenze statisticamente significative tra Mull e Amphi, e tra Mull e Moder; la stessa gerarchia, seppure con differenze minori, e non significative, si mantiene anche per il rispettivo suolo minerale di ciascuna tipologia di humus, sia nei primi 10 cm che nei 30 cm (Fig. 1). Andando a vedere la distribuzione del carbonio nel suolo minerale, si trova che nei suoli con humus di tipo Mull gran parte del carbonio del profilo è stoccato negli orizzonti minerali, con valori del 78% del carbonio nel suolo minerale, rispetto al Fig. 1 - Box & whisker plots dello stock di carbonio (t ha-1) nell’humus, nei primi 10 cm e nei primi 30 cm di suolo minerale, per le diverse tipologie di humus (Jabiol et al. 2004). Fig. 1 - Box & whisker plots of carbon stock t ha-1 in the organic horizons, in 0-10 cm layer and 0-30 cm layer of mineral soil for different humus forms (Jabiol et al. 2004). Tab. 3 - Statistiche descrittive del contenuto di carbonio (%) e dello stock di carbonio (t ha-1) per gli humus del Veneto. Tab. 3 - Descriptive statistics of organic carbon content (%) and stock (t ha-1) for organic horizons in the Veneto region. Mediana Media CV (%) Minimo Massimo N Corg humus (%) 26,1 25,4 13 12,5 33,4 284 C stock humus (t/ha) 31,2 41,7 93 0 208 317 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81 73 Differenze nello stock di carbonio dell’humus esistono anche tra le diverse classi tassonomiche del Référentiel Pédologique (AFES 1995). Ai valori molto bassi delle forme più attive (Eumull, Mésomull, Oligomull) corrispondono valori maggiori per i Dysmull e gli Amphimull (Fig. 2) e anche nei moder si osserva un trend crescente dalle forme più attive (Hémimoder e Eumoder) a quelle meno attive (Dysmoder). Esistono differenze statisticamente significative (p<0,05) tra diverse coppie (Oligomull-Dysmull, Oligomull-Amphimull, Oligomull-Dysmoder, Oligomull-Eumoder, MesomullDysmoder, Dysmull-Amphimull, Dysmull-Dysmoder). 3.2. Stock di carbonio nei suoli Di seguito vengono presentate le elaborazioni statistiche sui contenuti in carbonio organico nei primi 30 cm di suolo, nei primi 100 cm, con e senza humus, espressi in % (Tab. 4, Fig. 3) e in t ha-1 (Tab. 5, Fig. 3). Da tutte le elaborazioni statistiche sono stati esclusi i suoli organici (Histosols secondo il WRB) tipici delle aree di torbiera che, oltre ad essere poco numerosi (in relazione alla scarsa diffusione) nella popolazione studiata, hanno dei valori medi molto elevati. La media infatti dei 5 profili analizzati, includendo gli orizzonti organici è di 247 t ha-1 con un contenuto medio di carbonio del 18%, nei primi 30 cm di suolo, che diventano 625 t ha-1 prendendo in considerazione il primo metro (carbonio organico medio: 11,6%). Fig. 2 - Stock di carbonio (t ha-1) negli orizzonti organici delle diverse classi tassonomiche di humus (AFES 1995). Fig. 2 - Organic carbon stock (t ha-1) in organic horizons for different humus taxonomy classes (AFES 1995). 49% degli Amphi e al 52% dei Moder; le quantità totali di carbonio organico nel suolo (orizzonti minerali + humus) restano comunque inferiori a quelle dei suoli con humus Moder o Amphi e di conseguenza i corrispettivi suoli risultano relativamente “poveri” in carbonio. Tab. 4 - Statistiche descrittive del contenuto in carbonio organico (%) nei primi 30 e 100 cm di profondità per il suolo minerale e, per le stesse profondità, includendo anche gli orizzonti organici. Tab. 4 - Descriptive statistics of organic carbon content (%), in 0-30 cm mineral soil and 0-100 cm mineral soil, with and without organic horizons contribution. Suolo minerale (0-30 cm) Mediana Media CV (%) Minimo Massimo N 2,9 3,6 63 0,7 15,6 471 Suolo compreso humus (0-30 cm) 3,7 4,9 71 0,6 22,2 471 Suolo minerale (0-100 cm) 1,3 1,6 62 0,2 7,9 468 Suolo compreso humus (0-100 cm) 1,5 2,0 66 0,2 7,7 468 180 300 Suolo compreso humus Suolo Humus 160 140 250 200 N. di profili N. di profili 120 Humus Suolo compreso humus Suolo 100 80 60 150 100 40 50 20 0 0-25 25-50 50-75 75-100 100-125 125-150 150-175 200-225 carbonio organico (t/ha) 225-250 250-275 275-300 0 0-1 1-2 2-3 3-5 5-10 carbonio organico (%) 10-20 20-30 30-40 Fig. 3 - Istogramma di frequenza del contenuto medio in carbonio organico (%) e dello stock (t ha-1) nell’humus, nei primi 30 cm di profondità di suolo minerale (min) e in entrambi (humus + min). Fig. 3 - Frequency histogram showing average organic carbon content (%) and stock (t ha-1) in the organic horizons, in 0-30 cm layer of mineral soil and in both organic and 0-30 cm mineral soil. 74 Garlato et al. Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto Tab. 5- Statistiche descrittive dello stock di carbonio organico (t ha-1) nei primi 30 e 100 cm di profondità per il suolo minerale e includendo anche gli orizzonti organici, e rapporto tra lo stock di carbonio nei primi 30 cm e quello nello strato sottostante (30-100 cm). Tab. 5 - Descriptive statistics of organic carbon stock (t ha-1), in 0-30 cm soil and 0-100 cm soil, with and without organic horizons contribution, and ratio between SOC of 0-30 cm soil and SOC of 30-100 cm, with and without organic horizons contribution. Suolo minerale (0-30 cm) Mediana Media CV (%) Minimo Massimo N 57,5 63,4 50 8,8 194,3 471 Suolo compreso humus (0-30 cm) 69,4 77,6 53 9,6 267,1 471 Suolo minerale (0-100 cm) 88,5 96,9 51 10,2 399,1 468 Suolo compreso humus (0-100 cm) 102,6 109,6 49 10,2 399,1 468 Rapporto 0-30/30-100 cm 1,9 3,6 ND 0,4 69,1 422 Rapporto 0-30/30-100 cm (con humus) 2,5 4,4 ND 0,4 88,7 424 La mediana del carbonio stoccato nei suoli della montagna veneta (Tab. 5) è pari a 57,5 t ha-1 nei primi 30 cm (media: 63,4 t ha-1), che diventano 69,4 t ha-1 includendo gli orizzonti organici; nel primo metro i quantitativi aumentano fino a 88,5 e 102,6 t ha-1 rispettivamente. L’entità della sottostima in ambito forestale nel momento in cui il contributo dell’humus non venga conteggiato, va dal 17%, nel caso del SOC dei primi 30 cm, al 14% nel caso del SOC calcolato sul primo metro. I valori del Veneto sembrano essere notevolmente inferiori rispetto a quelli medi riportati da Solaro e Brenna (2005) per i suoli della montagna lombarda, dove sono stati calcolati valori medi di 87,1 t ha-1 (0-30 cm) e di 154,7 (0100 cm), che si abbassano a 80,1 e 127,3 t ha-1 in ambiente prealpino. Valori simili si osservano anche per la regione Piemonte (Petrella & Piazzi 2005), dove, in area montana, è stato calcolato uno stock di 91 t ha-1, con contenuti medi di carbonio organico di 3,10% (da confrontare con i valori percentuali del Veneto riportati nella Tab. 4) per i primi 30 cm di suolo, che scendono a 79,3 t ha-1 per i soli suoli forestali. Il confronto con il dato medio di carbonio dei suoli piemontesi ci permette di affermare che le differenze riscontrate nello stock di carbonio (91 t ha-1 del Piemonte contro 63,4 t ha-1 (media) del Veneto nei primi 30 cm) sono dovute solo marginalmente a percentuali più basse del carbonio nel suolo (3,1% in Piemonte contro 2,9% del Veneto), e sono quindi molto probabilmente da imputarsi ai valori più elevati di densità apparente impiegati nella stima. Questo ribadisce la criticità rappresentata dalla misura o stima della densità apparente, come già accennato in precedenza, parametro raramente determinato in campagna e più spesso definito attraverso l’utilizzo di pedo-funzioni, nel migliore dei casi tarate su un data-set locale, altrimenti da dati bibliografici riferiti ad ambienti diversi da quello preso in considerazione. Per le foreste trentine Tonolli & Salvagni (2007) stimano il carbonio nei primi 30 cm di suolo pari a 92,4 t ha-1, valore che escludendo l’humus si abbassa a 76 t ha-1. Per i suoli forestali della Svizzera (Perruchoud et al. 2000) è stato stimato un SOC di 62 t ha-1 nei primi 20 cm di suolo, dato superiore a quello calcolato per la stessa sezione sui suoli del Veneto che è pari a 43 t ha-1. Più difficile il confronto con il dato stimato per tutto il suolo minerale che ammonta a 98 t ha-1 per uno spessore medio di 61 cm per la Svizzera, valore che non è stato valutato per il Veneto, ma che non dovrebbe discostarsi molto dal dato del primo metro (88,5 t ha-1), in quanto sono poco diffusi i suoli con profondità superiori ai 60 cm ( e comunque il contenuto di carbonio a tali profondità è molto basso). I valori mediamente più alti trovati in Svizzera possono essere imputati almeno in parte a una sovrastima dovuta al fatto di non aver considerato la presenza dello scheletro; sovrastima a nostro avviso non trascurabile poiché, almeno per i suoli del Veneto, il volume occupato dallo scheletro ammonta in media a circa il 25% del volume totale per i primi 50 cm di profondità. Il valore medio stimato per i suoli montani del Veneto appare generalmente inferiore a quello trovato in altre aree dell’arco alpino. Se in alcuni casi questa differenza sembra dovuta a differenze nel metodo di conteggio (es. Piemonte e Svizzera), più in generale essa potrebbe essere imputabile alle peculiari caratteristiche delle coperture pedologiche della montagna veneta, caratterizzate (si veda il paragrafo relativo alle tipologie di suolo) da una grande diffusione dei suoli neutri o subacidi con una attiva dinamica della sostanza organica, dalla relativa scarsità si suoli acidi e molto acidi (legata a una scarsa diffusione dei substrati silicatici acidi), e dalla relativa modesta presenza dei suoli di alta quota, in relazione alle tipiche morfologie dolomitiche. Interessante è anche il rapporto tra SOC nei primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm, parametro spesso usato in contesti agricoli per valutare eccessivi impoverimenti in carbonio, evidenziati da rapporti inferiori all’unità. I valori riscontrati sono nettamente superiori all’unità (mediana 1,9 e 2,5, rispettivamente escludendo e comprendendo l’humus), come ci si aspettava in ambiente forestale. Un rapporto pari a circa 2 significa quindi che i primi 30 cm di suolo stoccano circa il doppio di quanto sia contenuto nei successivi 70 cm. Un altro aspetto interessante, evidente nella figura 4, è la diminuzione dello stock all’aumentare della profondità: se nei primi 10 cm sono presenti mediamente 25 e 34 t ha-1, rispettivamente nel suolo minerale e includendo l’humus, lo stock scende a 18 e 19 t ha-1 nei successivi 10 cm e quindi a 12 t ha-1 tra 20 e 30 cm. 3.2.1. Relazione con la quota La correlazione tra contenuto di carbonio e quota è legata alla diminuzione delle temperature all’aumentare della quota, che in Veneto corrisponde a circa 0,6 °C ogni 100 metri di quota. Temperature inferiori riducono sia l’attività Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81 75 40 suolo suolo con humus 34 35 31 30 25 t/ha 25 20 18 19 15 15 12 15 12 12 11 10 5 0 humus 0-10 cm 10-20 cm 20-30 cm 30-50 cm 50-100 cm Profondità Fig. 4 - Andamento con la profondità dello stock di carbonio (mediane), includendo o meno gli orizzonti organici. Fig. 4 - Organic carbon trend with depth (median), with and without organic horizons contribution. biologica del suolo che la velocità delle reazioni chimiche, portando ad un rallentamento del processo di mineralizzazione del carbonio (Duchaufour 2001; Rodeghiero & Cescatti 2005) con conseguente maggior accumulo nel suolo e negli strati organici di superficie. Gli incrementi in base alla quota (Fig. 5), sebbene i coefficienti di correlazione siano alquanto bassi (R2 da 0,03 a 0,20), variano tra 0,16 e 0,29% ogni 100 metri di incremento in altitudine per la percentuale di C organico (con valori di R2 relativamente più alti), e da 1,1 a 2,8 t ha-1 per la SOC, in linea con quanto trovato da Leifeld et al. (2005) per le praterie svizzere, dove si osserva un incremento medio di 0,21% del contenuto in carbonio organico ogni 100 metri di quota. Per quanto riguarda gli humus, non si osserva una relazione tra quota e carbonio espresso in contenuto percentuale. Esiste però una correlazione tra quota e stock di carbonio (t ha-1). Negli humus, infatti, non è tanto il contenuto di carbonio ad aumentare con la quota ma gli spessori medi dei vari orizzonti di materiali organici sovrapposti al suolo minerale. 3.2.2. Relazione con l’uso del suolo Lal (2005) riportando dati di bibliografia afferma che nelle foreste temperate a livello globale il carbonio stoccato dalla vegetazione è pari a 59 t ha-1, mentre il suolo (intero profilo) ne raccoglie 100 t ha-1. Nel suolo si trova quindi oltre il 60% del carbonio totale, dato che conferma l’importanza del SOC anche in ambiente forestale. In Veneto, per quanto riguarda l’humus, dal confronto tra il contenuto di carbonio organico in diverse formazioni 25,0 25,0 y = 0,0029x + 1,9101 R2 = 0,2026 y = 0,0016x + 1,927 R2 = 0,1473 20,0 15,0 15,0 %C %C 20,0 10,0 10,0 5,0 5,0 0,0 0,0 0 500 1000 Quota 1500 300,0 2500 0 500 1000 Quota 1500 300,0 y = 0,0106x + 52,268 R2 = 0,0343 250,0 200,0 200,0 150,0 150,0 100,0 100,0 50,0 50,0 2000 2500 y = 0,0269x + 49,22 R2 = 0,1339 250,0 t/ha t/ha 2000 0,0 0,0 0 500 1000 Quota 1500 2000 2500 0 500 1000 Quota 1500 2000 2500 Fig. 5 - Relazione tra quota e carbonio organico (%) nei primi 30 cm di suolo (in alto a sinistra) e includendo gli orizzonti organici (in alto a destra), e relazione tra quota e SOC (t/ha) nei primi 30 cm di suolo minerale (in basso a sinistra) e includendo gli orizzonti organici (in basso a destra). Fig. 5 – Relationship between altitude and organic carbon content (%) in 0-30 cm mineral soil (top left) and in the same layer including organic horizons (top right), and relationship between altitude and SOC (t/ha) in 0-30 cm layer of mineral soil (bottom left) and including organic horizons (bottom right). 76 Garlato et al. Fig. 6 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nell’humus nelle diverse formazioni forestali del Veneto. Fig. 6 - Organic carbon stock (t ha-1) in organic horizons for different forest types of the Veneto region. Fig. 7 - Stock di carbonio organico (t ha-1)nei primi 30 cm di suolo minerale (in alto) o includendo gli orizzonti organici (in basso) in base al diverso uso del suolo. Fig. 7 - Soil organic carbon stock (t ha-1) in 0-30 cm layer of mineral soil with (bottom) and without organic horizons (top) for different land uses. Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto forestali suddivise in base alla prevalenza di conifere e latifoglie (Fig. 6) si osserva che i contenuti medi di carbonio sono leggermente inferiori a 30 t ha-1 nelle latifoglie (sia fustaie che cedui) rispetto che nei boschi di conifere e misti (oltre 40 t ha-1), fino ad arrivare ad oltre 70 t ha-1 nelle mughete (generalmente ad alta quota su suoli sottili). Tra cedui e conifere, e tra cedui e mughete le differenze sono statisticamente significative in base al test di Tuckey. Se si confrontano i contenuti in carbonio nel suolo minerale dei diversi usi del suolo (Fig. 7), si osservano i valori più alti sui suoli coltivati (71,8 t ha-1), seguiti dai prati-pascoli con 68,7 t ha-1, e i valori più bassi nelle mughete (43,5 t ha-1) e nei cedui (50,9 t ha-1). Prendendo in considerazione anche l’humus, questa gerarchia viene però notevolmente modificata, e si può osservare come diversi suoli forestali presentino contenuti maggiori rispetto ai coltivi (mughete, conifere, boschi misti e latifoglie), poiché gran parte del carbonio è stoccato negli orizzonti organici. Solo i cedui presentano valori inferiori, mentre i prati-pascoli hanno contenuti simili a quelli dei coltivi. L’alto contenuto di carbonio nei suoli coltivati molto probabilmente è da attribuirsi ai sistemi colturali adottati nelle aree montane venete, mai di tipo intensivo (come confermato dal rapporto tra SOC nei primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm pari a 2), e agli elevati apporti di ammendanti organici (soprattutto letame), in relazione all’esigua disponibilità di superfici idonee al loro utilizzo in tali aree. Da notare i bassi contenuti nei cedui, legati verosimilmente all’intenso sfruttamento (presente, ma soprattutto passato). Dal punto di vista del C, potrebbero essere quasi considerati dei suoli coltivati adibiti ad arboricoltura. Il notevole sfruttamento è confermato anche dal rapporto tra SOC nei primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm, il quale è inferiore a 4 (unico caso tra i diversi usi forestali). Questo dato contrasta nettamente con quanto trovato per il Trentino (Tonolli & Salvagni 2007), dove il contenuto di carbonio nei primi 30 cm di suolo (inclusa la lettiera) risulta superiore nei cedui rispetto alle fustaie, con valori doppi (118,3 t ha-1) se confrontati a quelli del Veneto (60,8 t ha-1). Per il Veneto è possibile fare un confronto tra il carbonio stoccato nel suolo e quello epigeo nelle diverse formazioni forestali (Tab. 6, Fig. 8), grazie al lavoro di Anfodillo et al. (2006). Il valore medio del carbonio epigeo nelle fustaie assestate è di 57,7 t ha-1, con valori massimi negli abieteti (78,3 t ha-1) e minimi nelle mughete (7 t ha-1). Tali valori sono però probabilmente sottostimati per l’esclusione di tutti gli alberi con diametro inferiore a 17,5 cm (errore particolarmente evidente nelle mughete). Nei cedui dove lo stock è riferibile all’intera biomassa, i valori sono mediamente più alti passando dalle 57,7 t ha-1 degli orno-ostrieti alle 81,5 t ha-1 dei cedui a faggio, con valori medi di 66,1 t ha-1. Dal confronto con il carbonio stoccato nei primi 30 cm del suolo, che è quello più suscettibile di cambiamenti a causa di modifiche di input e/o ambientali, emerge che nelle fustaie, con la sola eccezione degli abieteti, la maggior parte del carbonio è presente nel suolo. Le differenze sono ancora maggiori se si prende in considerazione anche l’humus. Nei cedui invece il carbonio epigeo equivale grossomodo a quello contenuto nei primi cm di suolo. In termini percentuali nelle fustaie il carbonio stoccato nel suolo va dal 38% del carbonio totale per gli abieteti Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81 77 Tab. 6 - Stock di carbonio organico t ha-1 nella porzione epigea, nei primi 30 e 100 cm di suolo minerale e includendo gli orizzonti organici (valori medi) nelle diverse tipologie forestali del Veneto (per lo stock di carbonio epigeo, fonte: Anfodillo et al. 2006). Tab. 6 - Forest stand organic carbon stock t ha-1, 0-30 cm mineral soil and 0-100 mineral layer SOC stocks (mean values, t ha-1), with and without organic layers, for different forest types of the Veneto region (forest stand organic carbon from Anfodillo et al. 2006). 50,7 66,1 Cedui Or-ost 57,7 64,5 77,8 45,6 49,9 49,2 62,7 63,4 98,6 106,7 77,3 79,3 75,9 96,6 96,9 Abieteti Faggete Lariceti Mughete Peccete Piceo-Fg Cedui Stock di carbonio epigeo 78,3 49,3 31,0 7,0 67,5 Suolo (30 cm) 48,4 66,5 68,3 43,5 Suolo (100 cm) 72,2 91,4 94,6 53,7 Cedui Carp 59,2 Cedui Faggio 81,5 Totale 57,7 Suolo compreso humus (30 cm) 78,2 86,0 105,5 105,9 94,0 107,6 54,1 61,2 53,0 81,0 77,6 Suolo compreso humus (100 cm) 102,9 113,0 132,1 132,1 128,4 138,2 81,7 89,6 77,1 114,6 109,6 Stock epigeo 120 Stock suolo (30 cm) 100 Stock suolo compreso humus (30 cm) t/ha 80 60 40 20 gi o ed u iF ag ar p iC C ed u C C ed u iO r-o st i ed u C -F g Pi ce o e ce t Pe c et e ug h M La ric et i ge te Fa g Ab ie t et i 0 Fig. 8 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nella porzione epigea, nei primi 30 cm di suolo minerale e nei primi 30 cm includendo gli orizzonti organici (t ha-1) nelle diverse tipologie forestali del Veneto (stock di carbonio epigeo da Anfodillo et al. 2006. Fig. 8 - Forest stand organic carbon stock (t ha-1) and 0-30 cm mineral layer SOC stocks (t ha-1), with and without organic horizons, for different forest types of the Veneto region (forest stand organic carbon from Anfodillo et al. 2006). all’80% delle mughete, frazioni che diventano 50% e 94% rispettivamente se si considera anche l’humus. Per i cedui si passa da circa il 45% stoccato nel suolo al 50% considerando anche l’humus. Dati non molto diversi, seppure leggermente più bassi, sono stati trovati per le foreste svizzere (Perruchoud et al. 2000), dove il 44% del C (con l’esclusione della vegetazione erbacea, lettiera e orizzonti organici) è stoccato nel suolo minerale, seppure senza differenze statisticamente significative tra le diverse tipologie forestali. Dati simili esistono anche per la Regione Piemonte (Petrella & Piazzi 2005), con valori di carbonio per la porzione epigea di 54,8 t ha-1, rispetto alle 79,3 tonnellate presenti nel suolo (59% del carbonio stoccato nel suolo). Per le foreste lombarde esiste solo un valore medio nei primi 200 cm di suolo, pari a 146 t ha-1 di C, a fronte di solo 36 t ha-1 nel soprasuolo; tale differenza porta a contributi percentuali del carbonio nel suolo ancora più alti rispetto a quanto trovato in Piemonte. In Provincia di Trento è stato valutato (Tonolli & Salvagni 2007) che il carbonio accumulato nel suolo (orizzonti organici inclusi) rappresenta mediamente il 44% di quello complessivamente presente nell’ecosistema (conteggiando anche la lettiera, la vegetazione erbacea e gli arbusti), mentre mediamente in Veneto questo rapporto, che tiene però in considerazione solo la vegetazione arborea, sale al 57%. 3.2.3. Relazione con il tipo di suolo Un altro aspetto preso in considerazione è la relazione tra diverse tipologie di suolo e stock di carbonio. Nella montagna veneta sono state descritte oltre cento diverse tipologie di suolo, un numero troppo elevato per avere a disposizione dei dati sufficienti per impostare un’analisi statistica. Per questo motivo le diverse unità tipologiche sono state suddivise in sei gruppi di tipologie contraddistinte da un simile arrangiamento degli orizzonti e da simili caratteristiche chimico-fisiche, secondo un approccio già speri- 78 Garlato et al. mentato nell’elaborazione dei dati sul contenuto in metalli dei suoli della montagna veneta (Garlato et al., 2009): - R: suoli poco evoluti, calcarei, con sequenza di orizzonti A-C o A-R, su materiali parentali carbonatici (Leptosols o Phaeozems, secondo il WRB (FAO 2006)); - BC: suoli con orizzonte cambico, calcarei, con sequenza di orizzonti A-Bw-C, su materiali parentali carbonatici (Cambisols calcarei); - BCc: suoli coltivati con orizzonte cambico, calcarei, con sequenza di orizzonti Ap-Bw-C, su materiali parentali carbonatici (Cambisols calcarei); - B: suoli con orizzonte cambico, privi di carbonati, neutri o subacidi, con sequenza di orizzonti A-Bw-C, su materiali parentali silicatici (Cambisols); - L: suoli privi di carbonati con orizzonte argico e sequenza di orizzonti A-Bt-C (Luvisols); - AP: suoli podzolici o con incipienti processi di podzolizzazione, con sequenza degli orizzonti A-E-BhsBs-C (Podzols) o AE-Bs-C (Cambisols con caratteri spodici) o A-Bw-C con pH in superficie inferiore a 5 (Cambisols acidi). Dalla figura 9 è evidente che diverse tipologie di suolo presentano contenuti diversi in carbonio sia nell’humus che nel suolo. Rispetto a quanto Perruchoud et al. (2000) trovano per i suoli forestali svizzeri, dove sono presenti differenze tra i diversi gruppi pedologici di riferimento della FAO, ma non statisticamente significative, in Veneto si osservano differenze statisticamente significative (p<0,05) tra AP e L per l’humus, tra BCc e, rispettivamente, BC, L e B per il suolo minerale, mentre prendendo in considerazione i primi 30 cm, humus incluso, si osservano differenze significative tra AP e, rispettivamente, BCc, BC, L e B e tra R e sia BC che L. Nei primi 30 cm di suolo, humus incluso, i valori più alti si osservano nei suoli dei gruppi R (90,6 t ha-1) e AP (100,0 t ha-1), in quest’ultimo caso con valori elevati sia nel suolo minerale che nell’humus (49,1 e 51,5 t ha-1 rispettivamente). I valori più bassi si osservano nei suoli dei gruppi L (59,1 t ha-1) e B (57,8 t ha-1), con valori molto bassi anche nell’humus (24,6 e 13,6 t ha-1 rispettivamente). Valori intermedi si riscontrano nei suoli del gruppo BC, che stoccano 70,7 t ha-1 nel suolo e 38,2 t ha-1 nell’humus. Le tipologie di suolo prive di calcari, ma non acide (da neutre a subacide), e con tessiture medie (L e B), hanno tempi di mineralizzazione più rapidi, con un trasferimento più veloce del carbonio ad altri comparti (vegetazione, aria), e di conseguenza risultano più “povere” di carbonio. Le tipologie di suolo acide o molto acide (AP) e quelle calcaree (BCc, BC e R) invece sono caratterizzate da condizioni meno favorevoli ai processi di mineralizzazione e di conseguenza accumulano una quantità maggiore di carbonio. Nel caso dei suoli acidi, la meno efficiente degradazione della materia organica è legata in parte all’assenza di lombrichi anecici e alla relativa scarsità di fauna del suolo (Ponge 2003), che svolge un’importante influenza anche sull’attività della microflora (Huhta 2006). La presenza di carbonati nel suolo si conferma un fattore che rallenta la mineralizzazione (Duchaufour, 2001), probabilmente in relazione alla protezione fisica della sostanza organica (nei confronti della mineralizzazione) nei suoli con una buona aggregazione (Denef et al. 2001; Pulleman & Marinissen 2004); i suoli calcarei (rendziniformi o bruni) sono infatti Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto caratterizzati, in relazione a una notevole attività di lombrichi, da una buona biomacro e biomicrostrutturazione. Considerando il primo metro di suolo minerale, è interessante osservare che i valori più alti si riscontrano nei Fig. 9 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nell’humus, nei primi 30 cm di suolo e nei primi 30 cm di suolo includendo l’humus, per i diversi tipi di suolo montani del Veneto. Fig. 9 - Organic carbon stocks (t ha-1) in the organic horizons, 0-30 cm mineral soil and both 0-30 cm soil including organic horizons, for different soil types of the Veneto mountain area. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81 79 Fig. 10 - Rapporto tra lo stock di carbonio organico nei primi 30 cm e quello presente tra 30 e 100 cm, nel suolo minerale (sinistra) e includendo l’humus (destra) per i diversi tipi di suolo montani del Veneto. Fig. 10 - Ratio between SOC of 0-30 cm mineral soil and SOC of 30-100 cm, with (right) and without (left) organic horizons, for different soil types of the Veneto mountain area. suoli coltivati BCc (124,8 t ha-1), seguiti dalle tipologie AP (104,5 t ha-1) e B (99,4 t ha-1). I valori più bassi si osservano nel gruppo R (79,1 t ha-1), costituito da suoli poco profondi nei quali tutto il carbonio si concentra in superficie. Se si tiene in considerazione l’humus la situazione non cambia ovviamente per i suoli coltivati, che ne sono privi, mentre il gruppo AP risulta essere quello maggiormente dotato (137,1 t ha-1), seguito dai rendzina (R: 103,0 t ha-1), in relazione alla buona dotazione di carbonio stoccata nell’humus. I valori alti dei suoli coltivati, che contraddicono in parte le idee preconcette riguardo alla povertà di C delle zone agrarie, sono legati al fatto che i suoli agrari dell’area montana veneta, oltre che abbondantemente concimati con concimi organici, come già ribadito sopra, sono in genere più profondi rispetto ai suoli con vegetazione naturale e sono caratterizzati da contenuti di scheletro relativamente bassi. Le percentuali relativamente basse di C organico sono in altre parole più che compensate dalla profondità del suolo e dalla scarsezza di elementi grossolani. Le differenze tra lo stock nei primi 30 cm e quelle nel primo metro sono ben espresse dal rapporto tra SOC nei primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm (Fig. 10): il gruppo R si differenzia notevolmente, anche statisticamente, da tutti gli altri tipi di suolo con un rapporto intorno a 10, seguono i BC con valori superiori a 4, mentre gli altri suoli hanno valori compresi tra 2 e 4. Solo i suoli coltivati presentano valori inferiori a 2. 3.3. Potenziali cambiamenti futuri dello stock di carbonio dei suoli I cambiamenti dello stock di carbonio del suolo a seguito di un eventuale aumento delle temperature è di difficile valutazione, sebbene la relazione tra stock e quota, e quindi indirettamente con la temperatura, già messa in evidenza da altri autori (Leifeld 2005), sia confermata dal presente studio. In generale si può ipotizzare che all’aumentare delle temperature corrisponda, soprattutto alle quote più alte e sui versanti esposti a nord (Egli et al. 2009), una più veloce decomposizione legata a una maggiore attività biologica, e quindi in definitiva una diminuzione degli stock. Indubbiamente il notevole peso che hanno gli orizzonti organici del suolo sullo stock totale obbliga a indagare come i processi che regolano la funzionalità delle diverse forme di humus si adegueranno alle mutate condizioni climatiche. In generale si dovrebbe osservare, come risultato dell’accresciuta attività biologica, il passaggio da forme meno attive verso forme più attive, con una conseguente diminuzione degli stock. Allo stesso tempo però all’aumento della temperatura potrebbero accompagnarsi più marcati fenomeni di siccità estiva che, soprattutto alle basse quote e sui materiali calcarei, potrebbero favorire il passaggio da forme di humus Mull verso forme Amphi (Sartori et al., 2009), le quali stoccano notevoli quantità di carbonio. Altri fattori suscettibili di variazione che potrebbero influenzare le dinamiche future degli humus e i cicli biochimici del suolo sono il tempo di permanenza e la distribuzione della neve al suolo, la distribuzione delle precipitazioni e le interrelazioni che si realizzano con la vegetazione. Un effetto del cambiamento climatico potrebbe essere plausibilmente l’innalzamento del limite del bosco e delle formazioni arbustive di alta quota (Ozenda & Borel 1991). I prati-pascoli sembrano stoccare maggiori quantità di carbonio nel suolo minerale, ma i quantitativi totali, tenendo in considerazione anche l’humus, sono maggiori nei boschi di conifere e nelle formazioni arbustive, tipi vegetazionali che andrebbero molto probabilmente a sostituire il pascolo. Tale differenza confermerebbe l’aumento della quantità totale di C nel suolo in seguito alla forestazione, osservato da vari autori (Paul et al. 2002; Vesterdal et al. 2002), come conseguenza del prevalere degli apporti sulle perdite per mineralizzazione. Va però notato che nell’ambiente dolomitico veneto il limite del bosco è determinato non solo da fattori climatici, ma anche topografici. Tutte queste considerazioni mettono in evidenza la difficoltà di simulare l’andamento futuro del carbonio nel suolo nell’ottica dei cambiamenti globali in ambienti particolarmente complessi come quelli montani. 80 Garlato et al. 4. CONCLUSIONI La quantificazione delle riserve di carbonio nei suoli montani rimane un importante tassello nella decifrazione del ciclo globale del carbonio. Le interazioni tra i vari fattori ambientali che determinano il divenire del C nel suolo sono particolarmente complesse: i diversi fattori presi singolarmente (quota, uso del suolo, tipologia di suolo, ecc.) mostrano delle influenze significative, ma è solo la comprensione delle loro interazioni e degli effetti complessivi sulla microflora e sulla fauna del suolo che permetterà di spiegare le differenze nel contenuto in carbonio e le probabili evoluzioni al cambiare delle condizioni. L’humus, rappresentando la zona di transizione tra il suolo e la vegetazione, è un sistema alquanto complesso e poco studiato, sia da chi si occupa di suoli sia da chi studia la vegetazione. Volendo però determinare lo stock di carbonio negli ecosistemi terrestri, non è assolutamente possibile trascurare il contributo degli orizzonti organici, che rappresenta nel caso della montagna veneta mediamente il 17% del carbonio presente nei primi 30 cm di suolo. La quantità di C contenuta complessivamente nel suolo (humus + suolo minerale) nella montagna veneta rappresenta ben oltre il 50% del carbonio presente negli ecosistemi forestali. Ne consegue che le informazioni sui suoli e sui diversi meccanismi di degradazione della sostanza organica tipici dei vari pedoambienti, attualmente molto scarse, sono di primaria importanza per definire correttamente il ciclo globale del C. Indubbiamente le variazioni del C nel suolo si realizzano in intervalli temporali più lunghi rispetto ad altri comparti, come ad esempio la vegetazione, e proprio per questo motivo sono necessari maggiori informazioni e modelli affidabili per ipotizzare realistici scenari futuri nell’ottica dei cambiamenti climatici globali. BIBLIOGRAFIA AFES, 1995 - Référentiel Pédologique. INRA, Paris. ARPAV - Osservatorio Regionale Suolo, 2005 - Carta dei suoli del Veneto in scala 1:250.000. Grafiche Vianello, Treviso. Batjes N.H., 1996 - Total carbon and nitrogen in the soils of the world. Europ. J. Soil Sci., 47: 151-163. Bolin B. & Sukumar R., 2000 - Global perspective. In: Watson R.T., Noble I.R., Bolin B., Ravindranath N.H., Verardo D.J. & Dokken D.J., (eds), Land-use, Land-use Change, and Forestry. A Special Report of the IPCC. Cambridge University Press: 23-51. 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Nat., 85 (2009): 83-92 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino Park (North Italy) Chiara CERLI1*, Luisella CELI1, Paola BOSIO1, Renzo MOTTA2 & Giacomo GRASSI3 Department of Valorisation and Protection of Agroforestry Resources, University of Turin, Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Torino, Italy 2 Departement of Agronomy, Forest and Land Management, University of Turin, Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Torino, Italy 3 European Commission - DG Joint Research Centre, via Fermi 2749 TP 050 - 21020 Ispra (VA), Italy * Corresponding author e-mail: [email protected] 1 SUMMARY - Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino Park (North Italy) - Changes in land use and management practices can easily affect the processes which govern soil organic matter (OM) accumulation and stabilisation and turn the soil from a sink into a source of CO2, while loosing most of its functions. This work is aimed at evaluating the modifications on OM dynamics and soil properties caused by conversion of a natural mesohygrophilous forest to poplar plantation in the Ticino Park (North Italy). Soil horizons down to 60 cm were considered and analysed for their main chemical and physical characteristics. Organic matter was separated by density in free particulate OM (FPOM), occluded particulate OM (OPOM), and mineral-associated OM (MOM). The different land use and forest management in the two sites affected the amount and distribution of OM, with a significant decrease of carbon in the topsoil of the poplar stand compared to the natural forest. Consequently, the C stock in the topsoil of the poplar stand was considerably lower than in the forest, but, surprisingly, comparable amounts were found considering the whole profiles. In the deciduous forest OM was distributed among the three fractions, guarantying the pursuance of different biological and physical functions, whereas in the poplar stand the most part of OM was bound to mineral components, with a consequent loss of soil functionality. RIASSUNTO - Effetto del cambio d’uso sulle proprietà del suolo e sull’accumulo di carbonio nel Parco del Ticino (Nord Italia) I cambiamenti d’uso e delle pratiche di gestione del suolo possono facilmente influenzare i processi che governano l’accumulo e la stabilizzazione della sostanza organica (SO) nel suolo trasformandolo in sink o source di CO2 e causando contemporaneamente la perdita di molte sue funzioni. Lo scopo di questo lavoro è la valutazione dei cambiamenti delle dinamiche della SO e delle proprietà del suolo causati dalla conversione di una foresta mesoigrofila naturale in un pioppeto situati all’interno del Parco del Ticino (Nord Italia). Gli orizzonti pedologici fino a 60 cm di profondità sono stati campionati e analizzati per le loro principali caratteristiche chimiche e fisiche. La SO è stata separata utilizzando un metodo densimetrico in SO particolata libera (FPOM), occlusa negli aggregati (OPOM) e associata alla frazione minerale (MOM). Il diverso uso del suolo e il diverso tipo di gestione nei due siti hanno influenzato il quantitativo e la distribuzione di SO nel suolo, con una significativa diminuzione di C negli orizzonti più superficiali del pioppeto rispetto alla foresta naturale. Di conseguenza, lo stock di C in tali orizzonti si presentava nel pioppeto molto inferiore rispetto alla foresta naturale, ma sorprendentemente i valori erano invece molto simili quando venivano presi in considerazione gli interi profili fino a 60 cm di profondità. Nella foresta decidua la SO era ben distribuita tra le diverse frazioni, assicurando così tutte le funzioni biologiche e fisiche del suolo, mentre nel pioppeto la maggior parte della SO era associata alla frazione minerale, con la conseguente perdita di molte funzioni del suolo. Key words: carbon, density fractionation, stabilisation, primary plain forest, poplar plantation Parole chiave: carbonio, frazionamento densimetrico, stabilizzazione, foresta planiziale primaria, pioppeto 1. INTRODUCTION Soil organic matter (OM) plays a key role in ensuring agroecosystem productivity and the long-term conservation of soil resources. Adequate levels of OM are essential to maintain or improve chemical fertility, soil porosity, infiltration capacity, moisture retention, and resistance to water and wind erosion. On a global scale, OM represents the largest terrestrial repository of C (~1500 Pg C) and, thus, it is a key component of the C cycle. In this perspective, the capability of soil to accumulate and preserve organic matter has drawn much attention, in order to develop strategies to manage soils so as to increase their C storage and reduce the atmospheric CO2. The United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) has introduced the Land Use, Land Use Change and Forestry (LULUCF) approach, which aims at C sequestration through afforestation, reforestation, re-vegetation and forest-, crop-, and grassland management as a form of GHG-offset activities (Izaurralde et al. 2001; McCarl & Schneider 2001). On 84 Cerli et al. Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion the other hand, changes in land use and management can have profound effects on quantity and dynamics of SOM and, in turn, on the soil ecosystem functions. On global scale, inaccurate managements have a large impact on the atmospheric CO2 concentration (IPCC 2001; Allmaras et al. 2000). In particular, it is well established that converting natural forests or grasslands into agricultural fields generally leads to a decline in OM (Ellert & Gregorich 1996). Similarly, cultivation generally decreases the total OM, but there are contrasting results in the literature on the impact of fast-growing plantation forests and their management. There is a growing interest in planting fast-growing hardwood species (such as hybrid poplars) to sustainably supply the fibre needed by the pulp and paper industries and meanwhile to meet a significant portion of the Kyoto commitments, especially in regions such as Europe and North America, with vast and fast-growing plantation forests (FAO 2004). Short-rotation plantations of Populus can rapidly fix atmospheric CO2 in the tree components such as stems, branches and coarse roots but also increase the cycling of C and nutrients in soil through more labile litter pools consisting of leaves twigs and fine roots (Grigal & Berguson 1998; Berthelot et al. 2000; Sartori et al. 2006; Meiresonne et al. 2007). Furthermore, because of the high intensity of cultivation during initial years of plantation establishment, the dynamics and storage of OM and the connected soil properties need to be better understood. Various patterns of change in soil C in fact have been associated with short-rotation tree plantations, including transient losses (Hansen 1993), subsequent gains (Hansen 1993; Makeschin 1994) and no change (Ulzen-Appiah et al. 2000), even if often detection of short or even medium term land-use and/or management induced changes in total OM is difficult, due to high natural soil variability (Smith 2004). Man-induced alterations affect not only the total C content of soils, but also its distribution among the various pools (Cambardella & Elliott 1994; Golchin et al. 1994), causing changes in the size distribution and stability of aggregates, as well as in OM properties (Six et al. 2000a, 2000b; John et al. 2005). However, the overall response of those pools to management practices remains poorly understood (Six et al. 2000a), especially in the context of hybrid poplar plantations. Density fractionation is one method utilized to separate OM fractions with different biogeochemical functions and characteristics (Cambardella & Elliott 1993, 1994; Golchin et al. 1994; Swanston et al. 2002; Dubeux et al. 2006). It is a method which alters less the original composition of OM and the obtained fractions seem to be more sensitive indicators of environmental changes than total C (Cambardella & Elliott 1994; Six et al. 2000b) and to relate closely to OM mineralization and aggregate formation (Janzen et al. 1992; Christensen 2001). In this work we aim at better understanding of the effect of short-rotation forestry on OM storage and dynamics and the relative ecosystem functionality by comparing a poplar plantation with the previous land use, i.e. a natural pristine forest. 2. STUDY AREA The studied area is located within the Ticino’s Regional Park, a UNESCO Man and Biosphere area since 2002, being one of the most important remains of the original ecosystem of the Po Valley. The area encompasses a mosaic of typical fluvial ecosystems, with large river habitats, wetlands, riparian woods and patches of the primary plain forest that covered the entire valley during Roman colonization. In particular such forests are nowadays extremely rare because of the heavy human impact on the whole plain, especially after the Second World War. The sampling sites were a relict of pristine forest (Bosco Siro Negri) and a poplar plantation located within a former hunting forest reserve. Both sites are about 10 km NW of the city of Pavia, on the west bank of the Ticino River, and are characterised by the same temperate climate, with mean annual temperature of 12.3 °C and average precipitation of 802 mm per year (long term meteorological station of Pavia). The geological substrate is a relatively young alluvial deposit of sand and loamy materials covering gravels of various dimensions. The Bosco Siro Negri, a 11 ha fully protected nature reserve since 1970, represents the natural forest. Being unmanaged for the last 70 years and documented as unmanaged hunting reserve for 200 years (Tomaselli & Gentile 1971), it is an extremely well preserved remains of the original alluvial forest along the Ticino River. The structure of the vegetation is that of a typical closed forest (mean height about 20 m) dominated by Quercus robur ssp. robur, Acer campestris, Robinia pseudoacacia, Ulmus minor and Populus nigra var. europaea, with different lower tree layers made up by younger individuals of the same species and Corylus avellana, Prunus padus and rich shrub and herbaceous layers. The poplar plantation is located less than 1 km south of Bosco Siro Negri and it comprises 46 ha of a singular even-aged poplar clone with uniform management since the 1970s when the original forest was removed. The cultivation cycle is 14 years, with trees 25-30 m high and a diameter at breast height of 25-30 cm. It is a low intensity management, with no irrigation and with clearing of ground vegetation by harrowing 1-2 times per year. The major tillage is done during the first year of the cultivation cycle: after logging in October, the soil is prepared by drilling of the old stumps, deep (50-60 cm) ploughing and levelling; in spring, the new plantation is establish by inserting 4-5 m long shoots into soil down to 150-200 cm, followed by clearing of weeds for at least three times in the year. The actual plantation was established in spring 2005, with Populus x euroamericana I-214 clone, in a 6 x 6 scheme. Being located on a river bank, the vegetation and soil morphology are governed by the river dynamics and particularly by water table fluctuations (varying by 2-3 m within normal years) and occasional flooding. The tree rooting system is shallow and concentrated in topsoils and the soil surface, if not levelled, is rather irregular, with more elevated areas and depression where water can remain longer, even if the general drainage is good. The last flooding in November 2002 caused the transects and all the sampling points in the poplar plantation to be submerged for up to 80 cm, while only the most northern point in the natural forest was flooded. According to records of the Parco Ticino in the last 20 years, similar flooding events occurred in 1993, 1994, and 2000 (Furlanetto 2003). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92 3. METHODS 3.1. Soil sampling Soils were sampled in summer 2006, when popular trees were 2 years old. To account for the heterogeneity, soils were sampled along transects at both sites (Ferré et al. 2005). In the natural forest, one single N-S transect was sampled at four points (NF19, NF16, NF22 and NF24), with decreasing elevation northward. In the poplar plantation two transects, with 2 sampling points each, were located approximately N-S (PP5 and PP1 from north to south) and E-W (PP6 and PP10 from east to west), to account for the growing gradient of the poplars, which were bigger when growing S and E. Furthermore, the sampling points PP5 and PP6 were located along the poplar rows, while the other 2 points (PP5 and PP10) were located between rows. Soil pits were dug down to 60 cm and bulk and volumetric samples were taken by horizon. In the pristine forest, the forest floor was sampled, using a wooden frame (25x25 cm), while in the poplar plantation no litter layer was present. 3.2. Soil characterisation Soil samples were oven dried at 40 °C to constant weight. The material from the organic layers was ground and sieved to <0.75 mm, while the mineral soil was sieved to <2 mm and then, partly, to <0.5 mm. Bulk density was determined gravimetrically by drying a known volume of sample at 105°C and corrected for stone content (determined by sieving). The pH was determined potentiometrically on soil:water suspensions (soil:water ratio 1:2 for mineral and 1:20 for organic samples). The cation exchange capacity (CEC) was determined with 0.1 M BaCl2 at pH 8.1 and the exchangeable Na, Ca, Mg and K in extracts were determined by atomic absorption spectrometry (AAS). Soil texture was analyzed by a combined sieving and sedimentation method after dispersion in Na hexametaphosphate. Total C and N were determined on an elemental analyzer (LECO CNS-1000). Carbonate C was not present in the samples. All the analyses were performed in two replicates. 3.3. Density fractionation Density fractionation of mineral soils was carried out on the <2 mm. Samples of C horizons were not included because of their extreme low C content. The procedure was adapted from Golchin et al. (1994) and Sohi et al. (2001) and was carried out using Na polytungstate (NaPT; Sometu, Berlin, Germany) solution of a density of 1.6 g cm-3, based on the assumption that the density of organic matter is typically <1.5 g cm–3. The procedure included ultrasonic dispersion to break down the aggregates and to release occluded POM (OPOM). The aim of the fractionation scheme was to separate OPOM with little or no interaction with mineral phases and so the intensity of the sonication was adapted to the type of soil (Cerli et al. 2007). Three of the samples were therefore fractionated (see below) using different amount of ultrasound (100, 200, 300 J ml-1; output of ultrasonic energy calibrated calorimetrically according to Schmidt et al. 1999) and the C and N content of the ob- 85 tained fractions was used to assess the energy input (here 200 J ml-1) necessary to achieve complete release of OPOM without mineral “contamination”. Thereafter, all samples were fractionated using the following procedure: 125 ml of the NaPT solution were added to 25 g soil, gently shaken and allowed to stand for one hour. Then, after centrifugation at 6800 g for 20 min, the free particulate organic matter (FPOM) was separated by careful removal of the floating material and filtration on a glass fibre filter (GF/F, Whatman GmbH, Dassel, Germany). The settled soil was ultrasonically dispersed in NaPT solution (density 1.6 g cm-3, soil-to-solution ratio 1:5) by applying 200 J ml-1, then allowed to stand for one hour, centrifuged at 6800 g for 20 min and, similar as for the FPOM, the occluded particulate organic matter (OPOM) was finally separated by removal and filtration (GF/F filter) of the floating material. FPOM and OPOM fractions were washed with deionized water until the electrical conductivity was <20 µS cm-1, then oven dried at 40 ºC to constant weight. The remaining soil material with a density >1.6 g cm-3 (heavy fraction), containing the mineralassociated organic matter (MOM), was also washed with deionized water until the electrical conductivity was <20 µS cm-1, then freeze dried. Density fractionation was done twice per sample, and all fractions were analysed for their C and N content. The mean of two replicates and the standard error were calculated (Webster 2001). The propagation error technique (Skoog & West 1987) was used to calculate the standard errors of values obtained by subtraction. 4. RESULTS AND DISCUSSION 4.1. General soil characteristics The four soil profiles along the transect in the natural forest were similar and all classified as Fluvisols (IUSS Working Group 2006). They comprised A1 and A2 mineral horizons over an AC (only in NF19 and NF24) and the C horizon, typically of a coarser substrate, indicating a different material. The 2-5 cm organic layers were classified as Mésomull (AFES 2005), except for NF19, where the more depressed morphology resulted in an Eumull (AFES 2005). The content of fine material in almost all the soil horizons decreased along the transect from north to south, resulting in a change in texture from sandy loam to loamy sand (Tab. 1). The pH was similar for the profiles, except for NF19, which was more acidic, probably due to the site morphology (Tab. 1). The cation exchange capacity reflected well the small differences among the profiles but showed no trend along the transect (Tab. 1). Fine material and cation exchange capacity decreased with soil depth while bulk density and pH increased (Tab. 1). The profiles under the poplar plantation were all classified as well as Fluvisols (IUSS Working Group 2006). They had no organic layers but a sequence of two or three Ap horizons followed by the C horizon. Analyses confirmed the general homogeneity of soils, most likely resulting from 30 years of cultivation (Tab. 2). The only exception was PP5, which had a coarser texture and lower cation exchange capacity, most likely as a result of a slight differently textured alluvial deposit (Tab. 2). 86 Cerli et al. Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion Tab. 1 - Soil horizons depth, bulk density, pH, particle size distribution, exchangeable cations, and CEC values of the four profiles in the natural forest. Tab. 1 - Profondità degli orizzonti, densità apparente, pH, granulometria, cationi scambiabili e capacità di scambio dei quattro profili di suolo nella foresta naturale. code NF24 horizons horizon bulk depth density cm g cm-3 pH sand % silt % clay % Na cmol(+) kg-1 K cmol(+) kg-1 Ca cmol(+) kg-1 Mg cmol(+) kg-1 CEC cmol(+) kg-1 A1 6 0.5 4.6 74 24 2 0.27 0.30 5.82 0.53 20.2 A2 2.5 1.0 4.6 75 22 3 0.25 0.20 2.00 0.19 10.9 CA 13.5 1.2 4.7 86 12 2 0.20 0.17 0.51 0.06 4.23 C 38 n.d. 5.1 96 3 1 0.21 0.13 0.37 0.06 2.95 NF22 A1 5 1.0 5.4 74 24 2. 0.30 0.31 10.8 1.1 17.5 A2 20 1.1 5.0 74 24 2 0.23 0.12 2.18 0.25 6.09 C 35 1.2 6.0 94 5 1 0.22 0.10 1.10 0.16 0.79 NF16 A1 10 0.9 5.1 65 32 3 0.29 0.27 10.3 1.1 21.0 A2 20 1.0 5.1 62 35 3 0.30 0.17 3.81 0.43 10.0 C 30 1.2 5.7 86 13 1 0.20 0.15 1.87 0.21 2.73 NF19 A1 8 0.8 5.6 62 36 3 0.28 0.37 8.97 1.1 16.3 A2 12 1.0 5.2 63 34 3 0.24 0.16 5.02 0.50 9.47 CA 15 1.1 5.3 68 29 3 0.26 0.13 3.18 0.30 5.72 C 25 1.2 6.1 83 16 1 0.19 0.11 1.91 0.21 3.30 Tab. 2 - Soil horizons depth, bulk density, pH, particle size distribution, exchangeable cations, and CEC values of the four profiles in the poplar plantation. Tab. 2 - Profondità degli orizzonti, densità apparente, pH, granulometria, cationi scambiabili e capacità di scambio dei quattro profili di suolo nel pioppeto. code PP1 PP6 PP5 PP10 horizons horizon bulk depth density cm g cm-3 pH sand % silt % clay % Na K Ca Mg CEC cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 1.0 6.0 48 46 6 0.29 0.21 5.55 0.85 8.39 Ap1 12 Ap2 18 1.3 5.9 46 49 5 0.26 0.15 5.24 0.71 8.32 C 30 n.d. 5.9 47 47 6 0.49 0.13 5.31 0.72 8.06 arrowed 10 n.d. 5.8 64 32 4 0.35 0.17 4.84 0.53 7.47 Ap1 12 0.9 5.6 52 43 5 0.36 0.20 4.96 0.71 9.67 Ap2 28 1.3 5.9 55 41 4 0.41 0.21 5.25 0.81 7.53 Ap3 15 n.d. 5.6 48 46 6 0.36 0.22 5.49 0.57 7.57 C 10 n.d. 5.6 38 55 7 0.50 0.17 5.25 1.0 12.5 Ap1 20 1.0 6.0 89 9 2 0.22 0.21 1.58 0.23 1.30 Ap2 12 1.3 6.1 86 11 3 0.24 0.15 1.39 0.21 1.58 C 28 n.d. 6.0 84 12 4 0.20 0.11 1.66 0.27 1.36 Ap1 12 1.4 5.6 57 37 6 0.25 0.22 3.77 0.50 9.38 Ap2 33 1.4 5.7 51 45 4 0.32 0.20 4.72 0.55 9.20 C 15 n.d. 5.9 82 15 3 0.53 0.10 1.56 0.27 2.00 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92 4.2. 87 Carbon and nitrogen The litter layer in the natural forest was thin and weakly developed, having on average 143 g C kg-1 and 8.3 g N kg-1. The C content in the mineral soil strongly decreased with soil depth from 27.5-39.2 g C kg-1 in topsoils down 2.0 g C kg-1 and less in the C horizons (Tab. 3). The N content paralleled that of C, with largest values in the top mineral horizons and dropping with depth. The resulting C/N ratios are representative of a broadleaf forest soil in NF22 and NF24 while in NF19 and NF16 they were slightly lower suggesting a higher mineralization rate in top horizons and in the litter layer (17.2). The C stocks of the first 30 cm ranged between 2.6 and 5.8 kg C m-2 and from 0.30 to 1.0 kg C m-2 between 30 and 60 cm. The soil profile NF24 had a lower C and N content in all horizons. Except for NF24, the other profiles had average C stocks of 6.0±0.47 kg m-2 1 down to 60Figure cm, which increases to 6.8±0.47 kg m-2 when including the litter layer. Figure 1 NF24 NF22 A1 A20 Density fractionation Density fractionation of soil under natural forest and poplar plantation revealed the MOM to be the dominant fraction, representing up to 92% weight, while FPOM and OPOM constituted minor proportion, being slightly more prominent under the natural forest than under poplar plantation (Tabs 5-6). Under natural forest, the free light material was more prominent in the surface horizons of NF22 and NF24 (up to 4% weight) and decreased down the soil profile (Fig. 1). There was more occluded than free light material in the top 10 cm of the NF19 (3% weight) and NF16 soils (5% 5 5 g C kg-1 soil 10 15 20 25 30 35 40 45 FPOM 10 15 20 25 30 35 40 45 OPOM MOM FPOM A2 A1 CA A2 OPOM NF22 NF16 A1 A1 A2 A2 NF16 NF19 A1 A1 A2 A2 0 g C kg-1 soil CA A1 PP1 PP1 PP6 MOM PP6 PP5 PP5 PP10 CA A1 NF19 4.3. g C kg-1 soil 0 NF24 In the poplar plantation the lacking organic layer and the cultivation practices resulted in a generally low C and N concentration (Tab. 4). In contrast to the NF, the different horizons had rather similar contents of C and N, with slightly higher values in the Ap2 horizons. A2 PP10 CA Ap1 Ap20 5 5 10 15 20 25 30 35 40 45 g C kg-1 soil FPOM 10 15 20 25 30 35 40 45 OPOM Ap1 arr Ap2 Ap1 MOM FPOM Ap2 arr Ap3 Ap1 MOM OPOM Ap2 Ap1 Ap3 Ap2 Ap1 Ap1 Ap2 Ap2 Ap1 Ap2 Fig. 1 - Distribution of C in the three density fractions separated from the four profiles in the natural forest and the poplar plantation. Fig. 1 - Distribuzione Figure 2 del C nelle tre frazioni ottenute dai quattro profili di suolo nella foresta naturale e nel pioppeto. 0.0 NF24 NF24 NF22 g N kg-1 soil g N kg-1 soil Figure 2 A1 0.0 A2 0.5 0.5 1.0 1.5 2.0 g N kg-1 soil 1.0 1.5 2.0 2.5 FPOM 2.5OPOM 3.0 CA A1 A1 A2 MOM FPOM A2 CA MOM NF22 NF16 A1 A1 A2 A2 NF16 NF19 A1 A1 A2 A2 CA A1 OPOM 0.0 3.0 PP1 PP1 PP6 PP6 PP5 PP10 PP5 Ap1 0.0 Ap2 arr Ap1 Ap1 Ap2 Ap2 arr Ap3 Ap1 Ap1 Ap2 0.5 0.5 1.0 1.5 2.0 g N kg-1 soil 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 FPOM 2.5OPOM3.0 MOM FPOM OPOM MOM Ap2 Ap3 Ap1 Ap1 Ap2 Ap2 NF19 A2 Ap1 PP10 CA Ap2 in the natural forest and the poplar plantation. Fig. 2 - Distribution of N in the three density fractions separated from the four profiles Fig. 2 - Distribuzione dell’N nelle tre frazioni ottenute dai quattro profili di suolo nella foresta naturale e nel pioppeto. 88 Cerli et al. Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion weight). The FPOM contained 9 to 30% (NF22 and NF24) of the soil N. The OPOM was richer in N, holding up to 23% of the soil N; the MOM contained the largest portion of the soil N. Under poplar plantation the FPOM and OPOM content was never more than 10% of total C in all horizons, except the Ap2 horizon of PP5. The most part of C was concentrated in the MOM fraction. Parallel to total C all Tab. 3 - Soil C content, C/N ratio and C stocks along the four profiles in the natural forest. Tab. 3 - Contenuto in C, rapporto C/N e stock di C lungo i quattro profili di suolo nella foresta naturale. code horizons horizon depth cm C g kg-1 soil N g kg-1 soil C/N C kg m-2 N kg m-2 NF24 A1 6 27.5 1.86 14.8 0.83 0.06 NF22 NF16 NF19 A2 2.5 29.2 1.63 17.9 0.73 0.04 CA 13.5 5.66 0.46 12.4 0.92 0.07 C 38 1.06 0.10 10.8 0.25 0.02 A1 5 34.9 2.30 15.2 1.69 0.11 A2 20 17.4 0.95 18.4 3.82 0.21 C 35 0.83 0.08 10.6 0.36 0.03 A1 10 39.2 3.18 12.3 3.49 0.28 A2 20 10.9 1.10 9.9 2.27 0.23 C 30 2.25 0.23 9.7 0.80 0.08 A1 8 30.1 2.38 12.6 2.02 0.16 A2 12 15.2 1.45 10.5 1.82 0.17 CA 15 7.04 0.77 9.2 1.19 0.13 C 25 2.05 0.19 10.6 0.63 0.06 Tab. 4 - Soil C content, C/N ratio and C stocks along the four profiles in the poplar plantation. Tab. 4 - Contenuto in C, rapporto C/N e stock di C lungo i quattro profili di suolo nel pioppeto. code horizons horizon depth cm C g kg-1 soil N g kg-1 soil C/N PP1 Ap1 12 8.36 0.78 10.7 PP6 PP5 PP10 C N kg m-2 kg m-2 1.00 0.09 Ap2 18 9.02 0.82 11.0 2.11 0.19 C 30 8.91 0.79 11.3 3.47 0.31 harrowed 10 7.98 0.72 11.1 0.00 0.00 Ap1 12 7.38 0.62 12.0 0.80 0.07 Ap2 28 10.3 0.85 12.2 3.74 0.31 Ap3 15 8.99 0.75 11.9 1.75 0.15 C 10 5.54 0.50 11.1 0.72 0.06 Ap1 20 2.26 0.27 8.4 0.45 0.05 Ap2 12 2.64 0.26 10.2 0.41 0.04 C 28 2.22 0.31 7.3 0.23 0.03 Ap1 12 9.44 0.93 10.1 1.59 0.16 Ap2 33 9.76 0.80 12.2 4.51 0.37 C 15 2.00 0.19 10.6 0.28 0.03 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92 89 Tab. 5 - Soil recovery after density fractionation of the mineral horizons and C and N content of density fractions of the four profiles in the natural forest. Tab. 5 - Distribuzione in peso del suolo tra le frazioni e loro contenuto in C e N lungo i quattro profili di suolo nella foresta naturale. code horizons horizon depth cm F POM g kg-1 soil O POM g kg-1 soil MOM g kg-1 soil C F POM % tot C C O POM % tot C C MOM % tot C N F POM % tot N N O POM % tot N N MOM % tot N NF24 A1 A2 CA C 6 2.5 13.5 38 41.4 4.76 1.44 4.61 2.33 1.11 954 993 997 46.9 4.47 6.40 6.85 3.29 4.99 46.2 92.2 88.6 41.2 5.27 4.55 6.26 3.54 3.61 52.6 91.2 91.8 NF22 A1 A2 C 5 20 35 41.6 2.63 37.2 1.63 921 996 37.3 4.27 26.8 3.02 35.9 92.7 26.7 4.32 25.3 3.85 48.0 91.8 NF16 A1 A2 C 10 20 30 18.3 3.27 50.2 1.41 932 995 13.2 8.67 22.5 4.97 64.3 86.4 8.56 4.42 16.2 2.95 75.3 92.6 NF19 A1 A2 CA 8 12 15 17.7 6.79 1.16 29.2 3.94 0.48 953 989 998 18.6 11.6 3.43 29.0 10.8 1.80 52.4 77.6 94.8 10.4 5.23 1.58 22.3 6.51 0.87 67.3 88.3 97.6 Tab. 6 - Soil weight distribution after density fractionation and C and N content of density fractions of the four profiles in the poplar plantation. Tab. 6 - Distribuzione in peso del suolo tra le frazioni e loro contenuto in C e N lungo i quattro profili di suolo nel pioppeto. code PP1 PP6 PP5 PP10 horizons horizon depth cm F POM g kg-1 soil O POM g kg-1 soil MOM g kg-1 soil C F POM % tot C C O POM % tot C C MOM % tot C N F POM % tot N N O POM % tot N N MOM % tot N Ap1 12 2.63 0.58 997 6.15 2.77 91.1 3.59 2.56 93.8 Ap2 18 3.24 0.79 996 8.27 2.96 88.8 5.62 2.05 92.3 C 30 arrowed 10 3.22 1.26 996 9.88 6.50 83.6 5.67 4.19 90.1 Ap1 12 2.15 0.89 997 7.99 5.02 87.0 4.95 3.62 91.4 Ap2 28 3.07 0.93 996 7.76 3.78 88.5 5.05 2.68 92.3 Ap3 15 3.20 1.04 996 9.58 4.12 86.3 5.23 4.23 90.5 C 10 Ap1 20 1.00 0.61 998 10.2 7.43 82.4 5.08 3.94 91.0 Ap2 12 4.13 0.78 995 19.7 2.04 78.2 12.2 1.60 86.2 C 28 Ap1 12 2.14 0.51 997 6.07 1.58 92.4 3.22 0.98 95.8 Ap2 33 1.34 0.27 998 3.16 0.78 96.1 1.92 0.66 97.4 these fractions were homogeneous along the profile. The FPOM contained 1 to 12% of the soil N, while the OPOM was poorer (0.7 to 5.7 % of soil N) and the MOM fraction richer than the corresponding fraction in the natural forest. 5. DISCUSSION The natural forest and poplar plantation are located on the same type of soil, which has been influenced by 90 Cerli et al. Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion periodical flooding events and erosion by the Ticino River and anthropogenic disturbances (land use change and cultivation), resulting in modification of vegetation, fauna activity and site conditions. In particular the replacement of the natural forest by the poplar plantation strongly affected the soil system, even if the management practices used are not intensive. The short harvesting cycle and soil tillage resulted in a strong redistribution of C along the profile and a general reduction of OM in the uppermost soils. In the natural forest, the continuous input of fresh organic material resulted in surface organic layers and organicrich A horizons (Batjes 1996). Martens et al. (2003) reported for similar forests much higher values of about 76 g C kg-1 in the first 4 cm of soil. The role of old-growth forests as C sinks is normally considered to be negligible (Jarvis 1989; Melillo et al. 1996), because of the equilibrium between photosynthesis and respiration. However, some authors have demonstrated the importance of including mature forests in the models for terrestrial C dynamics to correctly evaluate the global C balance (Carey et al. 2001; Zhou et al. 2006). The distribution of C among the different density fractions reveals that a relevant part of the organic matter was unprotected, representing fresh debris material easily biodegradable. A relevant part of organic matter was occluded into aggregates, favouring soil structure, especially where the texture was less sandy. It could be therefore inferred that, in spite of the long-term equilibrium, the presence of free OM favours the biological activity and the recycling of nutrients, as deduced by the N content, but the increased soil respiration results in a consistent loss of C as CO2 (Alvarez & Alvarez 2000). Ferré et al. (2005) reported for the study site slightly higher CO2 emissions compared with poplar plantations, however the differences were not statistically significant. It has to be considered that although being an unmanaged forest, this site has suffered different natural disturbances over time such erosions and sedimentation by the Ticino river, periodical flooding, presence of cormorants, insect attack, summer drought and pollution, resulting in a gradual decline (Rossini et al. 2006). The result is an average accumulation of 4.64 kg C m-2 in the first 30 cm and of 5.27 kg C m-2 if considering the whole profile down to 60 cm, which are lower values compared with broadleaf forests of temperate regions (Sanesi 2000). However, the most part of organic matter in the soils was intimately associated with the mineral phase. This may be the result of high biotic activity, leading to an oxidative transformation of organic compounds and, thus, to an enrichment of the carboxyl groups capable to form strong bonds to the mineral phase. The resulting organic-mineral associations may stabilize OM against microbial degradation and prolong carbon residence time in soil (von Lützov et al. 2006). The differences among the sampling points reflect the complex and variable site morphology, creating a patchwork of microclimates and vegetation types. The transect approach tries to include these differences, thus accounting for the different dynamics. In the poplar plantation, the lower C content in the upper mineral layers can be attributed to the reduced input of organic material and to the increased decomposition induced by the cultivation practices (Guo & Gifford 2002; Vesterdal et al. 2002). The lower C/N ratio and the little free organic material supports the hypothesis of a rapid degradation resulting in fast disappearance of the more labile material. Organic matter input derived from concurrent herbaceous species, which were periodically removed by harrowing or by ploughing at the beginning of the new cultivation cycle. In 2005, the change from an open but mature stand to almost uncovered soil changed the input of organic material (Jug et al. 1999) as well as the microclimatic conditions. The higher nutrient demands of the new plantation could have also induced accelerated decomposition (Vesterdal et al. 2002; Cerli et al. 2006). The high decomposition rate and the lignin-rich debris, in particular from the stumps, could be responsible for the low fertility of the soil, as indicated by the low CEC and N content. The quantity of occluded organic material was low in all profiles at all depth. The ploughing, causing breakdown of aggregates and the speeding up of their turnover, could further increase the degradation processes by exposing organic material to biodegradation and oxidative agents (Six et al. 1998, 1999, 2000a). The land use change determined also a different distribution of C along the profile, with values in the C horizons of PP1 and PP6 (along the plantation rows) being even higher then in the respective horizons of the natural forest. This has been reported for many agricultural soils and attributed to the intensity of cultivation and depth of ploughing (Del Galdo et al. 2003). The C increase in Ap2 horizons could be due to the incorporation of stump residues from the precedent cycle and to a minor extent also to the developing root system of the new poplars. In term of C storage at profile scale, the poplar plantation showed only slightly lower values than the natural forest, in spite of 40 years of different soil use and management. This surprising and unexpected result seems in sharp contrast with the latest considerations regarding the effect of soil cultivation on soil C (Lal 2004). It has to be considered that the periodic flooding of the Ticino river, which affected more intensively the poplar plantation than the natural forest, may have caused a texture richer in silt and clay (Tab. 2). This could favour organic matter protection from microbial utilisation due to adsorption of organic compounds at clay surfaces (Tisdall & Oades 1982; Gleixner et al. 2002) and to occlusion of organic material into micropores inaccessible for microorganisms (Elliott & Coleman 1988; Gleixner at al. 2002; Guggemberger & Kaiser 2003). The major portion of C was in fact recovered in the heavy mineral fraction, pointing at strong interactions with the mineral phase, and consequently to possibly higher stabilization of C. This is further supported by the lower C content in the PP5 profile where the texture was more sandy than in the other profiles. Another cause of smaller C loss in the poplar plantation could be the timing of the sampling, right after the drilling of stumps. The C stocks estimated in 2003 (Ferré et al. 2005) were smaller (-2 kg C m-2) than those we found, indicating that the C balance is strongly depending on the phase of the cultivation cycle, and thus should be considered with care. 6. CONCLUSIONS The land use change from a primary floodplain forest to poplar plantation has modified many chemical and phy- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92 sical soil properties. The quantity and quality of organic input at the two sites influenced the C content and distribution along the soil profile. In the natural forest, the presence of a litter layer and the natural incorporation of plant remains into the top mineral soil resulted in a C profile sharply decreasing with depth, thus contrasting the homogeneous depth distribution under the poplar plantation, which seems to be caused by cultivation practices. In the poplar plantation, the transfer of C into the deeper horizons by ploughing and the input of fine soil particles during flooding events, resulted in unexpected similar C stocks at the two sites. In the natural forest, organic matter was partly free, thus bioavailable, while another fraction was stabilized within aggregates and by formation of strong organo-mineral complexes, particularly in the deeper horizons. On the opposite, in the poplar stand the most OM was bound to mineral components, while little amounts were in the free and occluded light fractions. The lack of litter input and the periodical disturbances seem to accelerate the turnover and disruption of aggregates therefore OM mineralization rate, leaving behind only organic material strongly protected against decomposition. From these results, it appears that the main effects of a 40-years change from pristine forest to poplar plantation are related to the C (re-)distribution both along the soil profile and among density fractions. Although C storage was apparently little affected, the soil biological activity, fertility, and structure declined under the poplar plantation. This means that in a longer perspective, soil quality and functionality may be impacted at a larger extent than indicated by the simple C balance. REFERENCES AFES, 1995 - Référentiel Pédologique. INRA, Paris. Allmaras R.R., Schomberg H.H., Douglas C.L. & Dao T.H., 2000 - Soil organic carbon sequestration potential of adopting conservation tillage in US croplands. J. Soil Water Conserv., 55: 365-373. Alvarez R. & Alvarez C.R., 2000 - Soil organic mater pools and their associations with carbon mineralization kinetics. Soil Sci. Soc. Am. J., 64: 184-189. Alvarez C.R., Alvarez R., Grigera M.S. & Batjes N. 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Nat., 85 (2009): 93-108 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment Filippo Favilli1*, Markus Egli1, Giacomo Sartori3, Paolo Cherubini2, Dagmar Brandova1 & Wilfried Haeberli1 Department of Geography, University of Zurich-Irchel, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland WSL Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research, Zurcherstrasse 111, 8903 Birmensdorf, Switzerland 3 Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy * Corresponding author e-mail: [email protected] 1 2 Summary - Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment - The Late Pleistocene and Early Holocene climate oscillation and the Alpine landscape evolution of Val di Rabbi (Trentino, Italy) were reconstructed using a combined methodology of relative and absolute dating techniques. The research was carried out in the following four steps: 1) an earlier study examined the investigated area (aerial photos, soil mapping etc.) to detect and sample the most representative sites (soils and boulders); 2) the extraction of the oldest organic matter fraction from the soil profiles followed by radiocarbon dating; 3) the comparison of the 14 C dating results with the 10Be age sequence from representative boulders; 4) the addition of relative dating techniques to the absolute ones to detect signals of Alpine landscape evolution. We found close links among the results obtained from the relative dating and the absolute ones, showing the dynamics of an Alpine landscape within a relatively small area. The combination of relative and absolute dating techniques is a promising tool for the reconstruction of landscape history and to detect human influences in high-elevation Alpine areas on siliceous substrates. Riassunto - Applicazione di tecniche di datazioni relative e assolute in ambiente alpino - L’oscillazione climatica e l’evoluzione del paesaggio alpino della Val di Rabbi (Trentino) durante il tardo Pleistocene e l’inizio dell’Olocene sono stati ricostruiti con l’ausilio di tecniche di datazione relativa e assoluta. La ricerca è stata portata avanti in quattro fasi: 1) lo studio iniziale dell’area per la selezione e il campionamento di siti rappresentativi (suoli e massi, tramite foto aeree e carte dei suoli); 2) l’estrazione dai profili della frazione stabile della sostanza organica e datazione al 14C; 3) il confronto tra la datazione al 14C e la datazione al 10Be effettuata su massi rappresentativi; 4) l’aggiunta di tecniche di datazione relativa a quelle assolute, per il riconoscimento di segnali di evoluzione del paesaggio. Correlazioni significative sono state trovate tra i risultati ottenuti con le tecniche di datazione relativa e assoluta, utili per la comprensione della dinamica dell’ambiente alpino in un’area relativamente piccola. La combinazione di tecniche di datazione relativa e assoluta è uno strumento promettente per la ricostruzione della storia naturale e dell’influenza umana nei territori alpini in quota su materiale parentale siliceo. Key words: Trentino, Alpine soils, 14C, 10Be, dating techniques, weathering, deglaciation Parole chiave: Trentino, suoli alpini, 14C, 10Be, tecniche di datazione, alterazione, deglaciazione 1. Introduction The Alpine environment reflects a long history of climate shifts and glaciers oscillation at the end of the last Ice Age (between 20,000 and 11,500 years ago) and during the Holocene period. These events have shaped the landscape as we can see nowadays. The oscillations of the glaciers result in the deposition of morainic sediments, which creates the base on which soil evolution can take place after the retreat of the ice (Strahler & Strahler 1987). The accumulation of organic material in fractures and microtopographic depressions helps the plant establishment and accelerate the local physical and chemical weathering (Phillips et al. 2008). Soils developed on the glacial sediment can be considered representative of the different glacial and depositional phases. Several dating techniques contribute to the understanding of how the landscape has changed during the millennia of its evolution. These techniques can give a relative or an absolute differentiation of the surfaces and of the geomorphological items. Soil pH, development of clay minerals and the process of podzolisation are typical examples of relative dating. In northern Europe podzolisation is a natural outcome of soil development following colonization of bare soil after glaciation (Lundström et al. 2000; Egli et al. 2003a, 2003b). The podzolisation process is linked to the duration of soil evolution and can be used as a relative indicator of surface age and stability (Briggs et al. 2006). Absolute dating techniques give a numerical age (with a certain error). By using them, we can know when a certain object (i.e., a boulder, a moraine) has been deposited (Gosse et al. 1995). This gives precious insights about the timing of deposition and the chronology of deglaciation. Soil organic matter (SOM) contains a stable fraction with an old radiocarbon age. This fraction can resist to natural decomposition for thousands of years, because it is stabilised in the soil mostly by its interaction with the mineral 94 Favilli et al. Dating techniques in the Alpine environment part or by a specific protection due to chemical recalcitrance (Baldock & Skjemstad 2000; Krull et al. 2003; Poirer et al. 2003; Wiseman & Püttmann 2006; Favilli et al. 2008a; Egli et al. 2009). SOM is composed of diverse organic material in different stages of decomposition. The heterogeneity of the different organic components is reflected by their highly variable radiocarbon ages. Therefore, the 14C dating of SOM is always difficult to interpret (Rethemeyer et al. 2004). Soil organic matter is continuously renewed by the addition of fresh and undecomposed organic material on the surface horizon. This permanent addition results in the rejuvenation of the age, since the radiocarbon dating is always an average value of the ages of the different fractions which constitute the total SOM (Wang et al. 1996). The isolation of the resilient substances, which are produced at the beginning of soil formation, could clarify the soil dynamic processes and open a window on the timing of sediment deposition and of soil development (Scharpenseel & Becker-Heidmann 1992; Favilli et al. 2008a). In our study, we applied a combined methodology of relative and absolute dating techniques in order to understand the natural processes in the investigated area during the glaciers retreat and readvance phases in the Late Pleistocene and Early Holocene. To isolate the oldest SOM fraction we used an H2O2-oxidation technique (Plante et al., 2004; Favilli et al. 2008a). The 14C dating of the H2O2-residues was used to obtain information about the minimum age of soil formation and the oscillation phases of the glaciers during the Late Pleistocene and Early Holocene (Favilli et al. 2008a, 2008b; Egli et al. 2009). The following step was to test the reliability of the H2O2 extraction technique. The 14C age of the resilient SOM fraction was compared with the cosmogenic 10Be age sequence obtained by the surface exposure dating (SED) method applied on several boulders located in the vicinity of the investigated soils (Favilli et al. 2008c). The subsequent step in this research was to verify the exposure and 14C ages by cross-checking them with the results obtained by the relative dating techniques applied on 9 soils in the investigated area (Favilli et al. 2009). This procedure guaranteed an extended interpretation, mutual control of the applied methods and a more accurate estimate of possible error sources. The obtained results have shown the high agreements among the different dating techniques and allowed us to hypothesise the glaciers extension during the Lateglacial in Val di Rabbi. Referring to all these results, in this paper we wanted to bring together and integrate findings from earlier publications (Favilli et al. 2008a, 2008b, 2008c, 2009), in order to illustrate the issues related to the use of relative and absolute dating techniques in the Alpine region. We summarize the sampling strategies and laboratory analyses and point out the implications of our results with respect to future applications of this combined methodology in the Alpine setting. 2. Investigation area The investigation area is located in Val di Rabbi, a lateral valley of Val di Sole, in the south Alpine belt in northern Italy (Fig. 1). Detailed description of investigated area can be found in Favilli et al. (2009). The investigated soils and boulders (Tabs 1-2; Figs 1-3) were situated between 2083 m a.s.l. and 2552 m a.s.l., i.e. close to timberline and in the high-alpine zone. According to the WRB (World Reference Tab. 1 - Characteristics of the study sites. Tab. 1 - Caratteristiche dei siti studiati. Soil profile Elevation (m a.s.l.) Aspect (°N) Slope (%) Parent material / Location Vegetation Land use WRB (IUSS Working Group 2007) S1 2100 60 32 S2 2230 70 55 S3 2380 320 5 S4 2370 300 10 Paragneiss / slope deposits S5 2083 240 32 Paragneiss / Lateral Larix decidua / Natural forest moraine Juniperus communis Entic Podzol S6 2076 5 38 Paragneiss / Lateral Larix decidua / Natural forest moraine Juniperus communis Entic Podzol S7 2100 3 43 Paragneiss / Lateral Larix decidua / Natural forest moraine Juniperus communis Umbric Podzol S8 2552 200 33 Paragneiss / rockglacier S9 2449 90 0 Paragneiss / moraine Carex curvula / ridge Nardus stricta Paragneiss / Lateral Larix decidua / Natural forest Entic Podzol moraine Juniperus communis Rhododendro Paragneiss / Lateral Natural grassland Haplic Podzol - vaccinietum moraine extrasilvaticum Paragneiss / Lateral Natural grassland Protospodic Leptosol Festucetum moraine Festucetum Carex curvula / Nardus stricta Natural grassland Brunic Cambisol Natural grassland Cambic Umbrisol Natural grassland Umbric Podzol Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 95 Switzerland Ridges Rivers Rabbi 1195 m asl M.te Villar 2645 Cima Vallon 2903 Switzerland Cima Tremenesca 2882 Cima Grande 2901 Venice Verona Cima Vegaia 2890 M.te Le Pozze 2773 bi ab M.te Polinar 2604 Passo Cercèn 2623 Villages Va l di R Italy Mountain Peaks 2845 Cima Mezzana Male 738 m asl Piz di Montes 2368 Italy 3 km S7 S9 B6 S8 1.5 0 Dimaro 766 m asl N S6 Cima Vallon 00 25 00 B8 00 20 B5 17 Cima Tremenesca Passo Cercèn B9 00 20 0 Cima Grande N Monte Le Pozze 2400 0.5 1.0 1.5 km Cima Vegaia B7 Moraine ridge Rockglacier Fig. 1 - Location of the investigation site. Fig. 1 - Posizione dei siti studiati. B1 2500 B10 S2 S1 S5 B2 Glacial headwall Debris S4 S3 B3 B4 Soil profile (S) Boulder (B) 96 Favilli et al. Base, FAO 1998), the soil types were Entic Podzol, Umbric Podzol and Haplic Podzol at lower altitude (2000-2200 m a.s.l.), Protospodic Leptosol and Brunic Cambisol at around 2300 m a.s.l. and Cambic Umbrisol and Umbric Podzol at the highest altitude (2500 m a.s.l.). 3. Materials and Methods 3.1. Sampling Landscape was investigated with the aim to discover the most representative sampling sites. Soil developed on glacial and periglacial formations like moraines, rock glaciers, debris flows and solifluctions were chosen after a pre- Dating techniques in the Alpine environment study of the area by aerial photos and soil mapping (Sartori & Mancabelli 2009) (Tab. 1, Fig. 2). This was done in order to sample the most characteristics sites to get precious insights on the reaction and sensitivity of the area in responding to climatic changes and slope processes. Soil material was collected, where possible, down to the BC horizon. Ten large boulders with volumes > 2 m3 were chosen in order to exclude any long-term effects from slope-movement processes and sampled (Tab. 2, Fig. 3). Quartz sampling strategy can be found in Ivy-Ochs et al. (2004). 3.2. Soil chemistry and physics The soil samples were air-dried and sieved to < 2 mm. Total C and N contents of the soil were measured Fig. 2 - a. Soil profile S1, located at 2100 m a.s.l. on a morainic sediment below a Larix decidua forest; b. soil profiles S3, located at 2380 m a.s.l. on a morainic sediment; c. soil profile S4, located at 2370 m a.s.l. with indication of the buried horizons; d. soil profile S9, located at 2449 m a.s.l. on a morainic sediment. Fig. 2 - a. Profilo S1, posizionato a 2100 m s.l.m. su sedimento morenico sotto una foresta di Larix decidua; b. profilo S3, posizionato a 2380 m s.l.m. su sedimento morenico; c. profilo S4, posizionato a 2370 m s.l.m. con indicazione degli orizzonti sepolti; d. profilo S9, posizionato a 2449 m s.l.m. su sedimento morenico. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 97 Tab. 2 - List of samples, elevation, latitude of the sample sites, thickness of sample, correction factor for topography, snow, 10Be measured concentration in the sample, measurement error and 10Be date. n.d.= not determined; *= average value of snow cover during 6 months; **= estimated total error including measurement error and the effects of altitude, latitude and topography/depth scaling. Tab. 2 - Lista dei campioni, altitudine, latitudine dei siti campionati, spessore dei campioni, fattore di correzione per topografia, neve, concentrazione misurata di Be10 nel campione, errore di misurazione ed età (Be10) del campione. n.d.= non misurato; *= copertura media della neve durante 6 mesi; **= stima dell’errore totale incluso errore di misurazione ed effetto della correzione dovuta all’altitudine e alla topografia/profondità. Sample Elevation (m a.s.l.) Latitude Lithology / (°N) Location B1 2247 46.2263 B2 2360 46.2223 B3 2456 46.2223 B4 2446 46.2223 B5 2360 46.2223 B6 2552 46.2315 B7 2449 46.2302 B8 2597 46.2308 B9 2586 46.2308 B10 2453 46.2160 Gneiss / lateral moraine Gneiss / moraine crest Gneiss / lateral moraine Gneiss / lateral moraine Gneiss / lateral moraine Gneiss / rock glacier Gneiss / moraine ridge Micaschists / transfluence pass Micaschists / transfluence pass Micaschists / ridge line 10 Sample Shield Snow Be Estimated thickness correction correction (at g-1 1E+5]) total (cm) (meters)* error** (%) Be date (snow corrected) (yr) 10 3 0.931 1.3 3.23±0.21 10.2 11680±1180 13240±1350 5 0.927 0.7 3.25±0.15 8.5 11110±940 11890±1010 5 0.958 0.3 3.15±0.18 7.8 9780±770 9940±770 5 0.959 0.3 2.86±0.19 7.8 8710±680 8850±690 5 0.797 0.7 2.31±0.11 11.8 9190±1090 9840±1160 4 0.978 0.5 3.01±0.13 9.6 8720±840 8960±860 5 - - - - n.d. n.d. 5 0.986 0.5 4.16±0.20 9.2 11490±1060 12040±1110 5 0.956 0.5 3.84±0.17 7.0 11030±770 11550±810 5 0.973 0.7 4.22±0.15 5.7 12950±740 13850±790 using a C/H/N analyser (Elementar Vario EL, Elementar Analysensysteme GmbH, Hanau, Germany) on oven-dried (105 °C) and ball-milled fine earth samples. Soil pH (in 0.01 M CaCl2) was determined on air-dried samples of fine earth using a soil solution ratio of 1:2.5. Particle size distribution of the soils was quantified by a combined method consisting of sieving the coarser particles (2000-32 µm) and measuring the finer particles (< 32 µm) by means of an X-ray sedimentometer (SediGraph 5100, Micromeretics, Norcross, GA, USA). 3.3. Be date (yr) 10 Relative dating Relative dating techniques using pedogenetic and weathering parameters were applied based on the premise that soil development is time-dependent (Zech et al. 2003). The differences in altitude between the sampling sites were minimal and any difference in relative dating could be used as a reflection of the age. 3.3.1. Soil mineralogy The clay fraction (< 2 µm) was obtained from the soil following the procedure presented in Carnicelli et al. (1997). Oriented specimens on glass slides were analysed by X-ray diffraction (XRD). The following treatments were performed: Mg saturation, ethylene glycol solvation (EG) and K saturation, followed by heating for 2 h at 335 and 550 °C (Brown & Brindley 1980). Digitised X-ray data was smoothed and corrected for Lorentz and polarisation factors (Moore & Reynolds 1997). Peak separation and profile analysis were carried out by the Origin PFMTM using the Pearson VII algorithm after smoothing the diffraction patterns by a Fourier transform function. 3.3.2. Calculation of weathering rates Total element concentrations in the soil and skeleton were determined by energy-dispersive X-ray fluorescence spectrometry (X-Lab 2000; Spectro, Kleve, Germany) on samples milled to 63 µm. The derivation of mass-balance equations and their application to pedologic processes were discussed in detail by Brimhall & Dietrich (1987) and Chadwick et al. (1990), and revised by Egli & Fitze (2000). 3.3.3. Podzolisation process The age-dependent formation and movement of pedogenic iron, aluminium oxides and hydroxides was used to assess the intensity of soil development and to attest surface stability for the formation of typical eluvial and illuvial horizons. The dithionite- (Fed, Ald) and oxalate-extractable (Feo, Alo) iron and aluminium fractions were extracted according to McKeague et al. (1971), and analysed by AAS 98 Favilli et al. Dating techniques in the Alpine environment Fig. 3 - a. Location of the boulder B3; b. Location of the boulders B2 and B5; c. Location of the boulder B6 with indication of the inactive rock glacier; d. Location of B7. Fig. 3 - a. Posizione del masso B3; b. posizione dei massi B2 e B5; c. posizione del masso B6 con indicazione del rock glacier inattivo; d. posizione del masso B7. (Atomic Absorption Spectrometry – AAnalyst 700, Perkin Elmer, USA). 3.4. Absolute dating Absolute dating was carried on in order to obtain minimum ages of deposition of morainic sediments and of soil formation. Charcoal fragments found in the studied soils were radiocarbon dated to obtain evidences of soil pedogenesis (Carcaillet 2000). 3.4.1. Isolation of the resilient organic matter We compared five chemical extraction techniques referring to previous studies (Plante et al. 2004; Eusterhues et al. 2005; Mikutta et al. 2006; Helfrich et al. 2007). The residues obtained after the five tested treatments were chemically analysed and radiocarbon dated (see Favilli et al. 2008a for details). The one-week oxidation with 10% H2O2 was the most efficient in isolating the oldest organic matter (Favilli et al. 2008a). Briefly, air-dried and sieved (< 2 mm) soil was wetted for 10 min with few ml of distilled water in a 250 ml glass beaker. Afterwards, 90 ml of 10% H2O2 were added per gram of soil. The procedure was run at a minimum temperature of 50 °C throughout the treatment period. See Favilli et al. (2008a) for detailed description of the procedure. 3.4.2. 10Be Cosmogenic Nuclide Dating Surface Exposure Dating (SED) was applied on 10 boulders lying on typical representative periglacial forms (moraines, rock glaciers, transfluence passes), using in situ cosmogenic 10Be in quartz. Samples were processed using the method of Ivy-Ochs (1996). The 10Be/9Be ratios were measured by AMS (accelerator mass spectrometry) using the Tandem accelerator facility at the Swiss Federal Institute of Technology Zurich (ETHZ). Details of the procedure are given in Favilli et al. (2009). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 3.4.3. Charcoal Charcoal fragments were hand picked from the soil material and dried at 40 °C. The individual particles were separated into coniferous and broad-leaved tree species (Schoch 1986), with the aid of a stereo and a reflected-light microscope. The observations were compared with a histological wood-anatomical atlas, using an identification key (Schweingruber 1990). 3.4.4. Radiocarbon dating Necessary preparation and pre-treatment of the sample material for radiocarbon dating was carried out by the 14C laboratory of the Department of Geography at the University of Zurich. The dating itself was done by AMS with the tandem accelerator of the Institute of Particle Physics at the Swiss Federal Institute of Technology Zurich (ETH). The calendar ages were obtained using the OxCal 4.0.5 calibration program (Bronk Ramsey 1995, 2001) based on the IntCal 04 calibration curve (Reimer et al. 2004). Calibrated ages are given in the 2 σ range (minimum and maximum value). 4. Results 4.1. Physical characteristics and chemical composition of the soils The investigated soils developed on a morainic substratum over a paragneiss parent material. The proportion 99 of rock fragments ranges from 0% up to 68%, increasing with soil depth (Tab. 3), which is typical for Alpine soils (Egli et al. 2001a). All investigated soils have a loamy to loamy-sand texture. The physical and chemical characterisation help to distinguish some of the natural slope processes which occurred during the soil evolution. Soil S4 has a polygenetic profile. At 32 cm depth, a buried soil appeared (Fig. 2c). Accordingly, a clear rupture in all physical and chemical characteristics was measurable due to this discontinuity (Tabs 3-4). Due to the high content of skeleton (material > 2 mm in diameter) up to the surface (Tab. 3), the soils S6 and S7 might have been influenced by slope mass movements. These events can be recognized also by the amount of organic carbon in the S7 site, which is almost double in the topsoil compared to S6 and rather constant within the profile (Tab. 4). 4.2. Absolute dating 4.2.1. Radiocarbon age of soil organic matter A decreasing age with soil depth was measured in the profiles S1, S5, S8 and S9 (Tab. 5). Soil profile S1, revealing an age of around 16,785-17,840 cal BP, may represent the first stage of deglaciation that occurred in the studied area and the oldest morainic material deposited after the LGM. The other soils belong to younger surfaces and refer to the Bølling-Allerød interstadial and to the Holocene period (Fig. 4). The polygenetic structure of the site S4 was confirmed by the 14C results. Soil formation in the buried layer started around 13,600-13,990 cal BP and ended, due to an accumulation of eroded material, probably slope deposits, between 2370 and 2745 cal BP (Tab. 5). This event Fig. 4 - Reconstruction of the extension of glaciers and periglacial processes during the Lateglacial/Holocene in the investigated area according to 14C and 10Be ages and location of the investigated soil profiles and boulders (according to the obtained ages and to several authors, e.g., Maisch 1987; Maisch et al. 1999; Kerschner et al. 1999; Ivy-Ochs et al. 2004). Fig. 4 - Ricostruzione dell’estensione dei ghiacciai nell’area studiata durante il Tardoglaciale, in base alle età del 14C e del 10Be con indicazione della posizione dei suoli e massi studiati (secondo le età ottenute e vari autori: Maisch 1987; Maisch et al. 1999; Kerschner et al. 1999; Ivy-Ochs et al. 2004). 100 Favilli et al. Dating techniques in the Alpine environment Tab. 3 - Physical characteristics of the investigated soils. 1)= skeleton= material> 2mm; 2)= size fractions: sand= 2000-62 μm, silt= 62-2 μm, clay= <2 μm.; n.d.= not determined. Tab. 3 - Caratteristiche fisiche dei suoli studiati. 1)= scheletro= materiale> 2mm; 2)= dimensione delle frazioni: sabbia= 2000-62 μm, limo= 62-2 μm, argilla= <2 μm.; n.d.= non determinato. Site Soil horizon Depth (cm) Munsell colour Skeleton1) (%) Sand2) (moist) (g kg-1) AE 0-4 10YR 3/3 5 BE 4-8 5YR 4/4 11 Bs1 8-20 7.5YR 4/4 Bs2 20-45 10YR 4/4 BC 45-60 10YR 5/4 Silt (g kg-1) Clay (g kg-1) 455 280 265 515 280 205 51 575 286 139 45 671 275 54 34 n.d. n.d. n.d. S1 S2 AE 0-9 7.5YR 2/1 3 397 398 205 Bhs 9-20 7.5YR 3/3 19 717 209 74 Bs 20-40 7.5YR 4/3 58 709 252 39 AE1 0-4 10YR 2/3 8 457 223 320 AE2 4-12 10YR 3/2 21 576 212 212 Bhs 12-20 10YR 4/2 45 638 172 190 A 0-8 10YR 3/2 0 352 496 152 Bw1 8-20 10YR 4/4 1 409 437 154 Bw2 20-32 10YR 4/4 32 692 258 50 Ab 32-35 10YR 3/3 2 309 498 193 Bb 35-40 10YR 4/4 49 839 136 25 AE 0-11 10YR 4/3 7 437 302 261 Bs1 11-26 5YR 4/6 16 551 344 105 Bs2 26-50 7.5YR 4/6 47 663 258 79 S3 S4 S5 S6 AE 8-17 2.5YR 5/1 54 438 417 145 Bs1 17-38 5YR 4/6 67 561 317 122 Bs2 38-45 7.5YR 4/6 68 561 317 122 BC 45-60 10YR 4/6 56 530 353 117 AE 5-10 10YR 2/1 43 498 290 212 Bs1 11-25 10YR 3/3 63 544 323 133 Bs2 25-50 10YR 3/3 44 536 331 133 BC 50-60 10YR 3/3 60 532 333 135 AE 0-20 7.5YR 3/2 37 486 374 140 S7 S8 Bs 20-25 5YR 2/4 59 599 360 41 BC 25-48 10YR 4/6 54 632 345 23 AE 0-11 7.5YR 3/2 16 381 416 203 Bs 11-23 7.5YR 3/3 27 497 400 103 BC 23-40 7.5YR 4/4 46 654 310 36 S9 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 101 Tab. 4 - Chemical characterisation of the investigated soils. n.d.= not determined; o= oxalate extractable content; d= dithionite extractable content. Tab. 4 - Caratteristiche chimiche dei suoli studiati. n.d.= non determinato, o= contenuto estraibile in ossalato; d= contenuto estraibile in ditionito. Site Soil horizon pH (CaCl2) Org. C (g kg-1) Total N (g kg-1) C/N Alo (g kg-1) Feo (g kg-1) Fed (g kg-1) Ald (g kg-1) AE 3.7 103.7 5.7 18 1.73 5.57 15.90 2.50 BE 3.6 61.0 2.9 21 1.91 6.06 20.50 2.80 Bs1 4.1 39.4 1.8 22 10.27 19.62 44.10 14.70 Bs2 4.4 17.0 0.7 24 5.84 9.37 21.40 7.30 BC 4.5 7.5 0.6 12 4.04 1.67 6.90 5.60 S1 S2 AE 3.4 184.6 28.1 7 2.78 5.67 14.53 3.94 Bhs 3.7 63.8 11.8 5 6.31 24.90 45.33 5.96 Bs 4.1 25.4 8.8 3 6.41 8.81 30.13 10.65 AE1 3.4 124.9 6.8 18 2.03 2.47 8.50 2.80 AE2 3.5 48.0 2.2 22 2.48 4.33 11.00 3.20 Bhs 3.8 71.4 3.1 23 8.30 13.76 27.10 14.20 A 3.8 55.3 3.8 15 3.05 7.05 21.90 5.40 Bw1 4.0 20.7 1.5 14 2.47 9.61 30.80 5.00 Bw2 4.1 19.5 1.3 15 1.58 4.21 20.60 3.30 Ab 3.9 62.0 3.9 16 4.39 6.52 23.10 7.50 Bb 4.2 9.1 0.5 18 1.57 3.70 15.30 2.70 AE 3.5 56.9 2.7 21 2.18 7.13 21.10 3.10 Bs1 3.8 35.3 1.7 21 6.42 20.19 50.70 9.50 Bs2 4.3 22.8 1.1 21 6.35 10.08 24.50 8.60 S3 S4 S5 S6 AE 3.5 76.5 4.1 19 1.49 3.88 13.54 1.82 Bs1 4.0 45.3 1.8 25 5.60 16.46 35.81 8.21 Bs2 4.1 47.6 1.6 30 5.53 15.57 35.18 9.20 BC 4.2 35.5 1.1 32 4.09 14.42 30.47 6.57 AE 3.1 143.9 6.4 22 0.89 1.52 8.06 1.33 Bs1 3.7 48.5 1.4 35 1.92 4.39 12.64 3.26 Bs2 3.7 48.3 1.6 30 1.81 3.54 10.43 2.89 BC 3.7 48.7 1.5 32 1.90 3.64 11.12 3.23 AE 3.8 43.0 2.3 19 4.63 6.18 22.82 7.82 S7 S8 Bs 4.2 29.5 1.4 21 6.21 6.32 19.09 8.69 BC 4.4 8.0 0.5 16 3.30 1.97 13.92 4.40 AE 3.2 56.4 3.8 15 3.15 4.60 12.65 3.04 Bs 3.8 37.8 1.6 24 7.32 10.74 31.06 8.30 BC 4.1 17.9 0.7 26 4.08 4.01 18.64 5.91 S9 102 Favilli et al. was inferred from dating root residues in the Ab horizon. Weathered and mixed sediment, containing already organic material (having an age of 8370-9075 cal BP; Tab. 5, Fig. 2c), was deposited on the top of the original soil. The age of the soils S2, S3, S5 and S9 (Tab. 5) refer to the same period and give a general overview of the extent of glaciation at the end of the Younger Dryas (Egesen) (Fig. 4). 4.2.2. 10Be exposure ages The 10Be ages of the sampled boulders range between 13,850 and 8850 years (Tab. 2). The sampled boulders were deposited in the time range between the transition Bølling-Allerød / Younger Dryas (around 13-14 ka; Alley et al. 1993; Maisch et al. 1999; Schaub et al. 2008) and the Boreal (9.0-10.2 ka; Maisch et al. 1999) chronozones (Fig. 4). The position of the boulders and their age have been explained with respect to the timing of deposition of the morainic till (Figs 3-4). The obtained 10Be ages allowed the deciphering of the periglacial processes which occurred in the investigated area. The boulder B5 (9840±1160 years, 10 Be), located near the same moraine where B3 (at 2456 m a.s.l.) was found, has been shifted away from the crest of the morainic sediment (Fig. 3b). The boulder B5 was probably deposited together with B3; in fact, they show a very comparable age (Tab. 2). We assume that the boulder B5 was probably deposited together with B3 and then moved downward due to boulder instability to the actual stable position (e.g., Ivy-Ochs et al. 2007). 4.2.3. Charcoal Dating of charcoal fragments from the horizons of one of the most developed profile (S5) gave increasing 14C ages with soil depth with 3080-3380 cal BP in the upper horizon to 10,215-10,510 cal BP in the lower one (Tab. 5). According to the plant succession of Burga (1999), after about 150-300 years of soil formation, Larix-trees are able to growth at 2000-2100 m asl of altitude. The measured age of 10,212-10,509 cal BP of the charcoal and the addition of the minimum time necessary for tree-growth would give a minimum age of soil formation of about 10,500-10,800 cal BP. This age corresponds very well to the measured age of the resilient organic matter fraction after the H2O2 extraction (in the surface horizon). 4.3. Relative dating 4.3.1. Podzolisation All the investigated soils show the tendency to develop toward podzols. Among the nine studied soils, seven of them (S1, S2, S3, S5, S6, S7, S9) showed the typical eluviation and illuviation of Fe and Al (Tab. 4; Figs 2a, 2b, 2d). Soil S3 developed during the last 10,435-11,075 years under strong leaching conditions (Tab. 5). This soils shows a clear downward movement of Fe, Al and organic matter, which have contribute to the formation of a Bhs horizon (Fig. 2b). The present topsoil of S4 (Fig. 2c), which is located near S3 (Fig. 1), showed a first translocation of Fe and Al in the Bw1 horizon (Tab. 4). According to the 23702745 years of its undisturbed evolution (Tab. 5), it is clear the tendency to develop towards a typical podzol (Tab. 4; Egli et al. 2003a, 2003b). Between the soils S6 and S7, the Dating techniques in the Alpine environment degree of podzolisation (i.e., migration of Fe and Al forms in the profile) is much more pronounced at the S6 site. The soil S6 shows a clear horizon differentiation, as visible by the Munsell colour (Tab. 3) and presents a double amount of migrated sesquioxides compared to S7. Soil S7 does not show a clear horizon differentiation (Tab. 3). 4.3.2. Clay minerals In the surface soil horizon, smectite and vermiculite compounds were measurable in all podzolised soils except in the top horizons of the soils developed at the highest altitude (S8 and S9) and in the topsoil of the polygenetic soil (S4). The accumulated material on the top of the former soil at S4 (A, Bw1 and Bw2 horizons) showed no major clay mineral transformations. This agrees well with the 14 C age (2370-2745 cal BP) derived from the (untreated) roots remaining in the buried horizon (Ab), which gives an approximate date of the burial event. An overview of the identified clay minerals in the investigated soils is given in the table 6. For a detailed description of the clay minerals identification see Favilli et al. (2008b). 4.3.3. Mass balance calculations The composition of the investigated material reflects the acidic character of the soils. Minor differences occurred in the chemical composition of the C (BC) horizon between the sites. The Al2O3 content of the parent material at the sites located below timberline (S1, S5, S6 and S7) seems to be slightly higher compared to the other sites. Substantial losses of Na, Ca, Mn and Mg up to 70% were observed in the soils S1, S2, S3, S5 and S9 (Tab. 7). The polygenetic soil S4 showed losses in the present top horizon (A horizon) partially up to 70% only in Ca, Mn and Na and slightly lower losses in the buried top horizon (Ab). The open-system mass transport functions have been calculated according to the depth for each soil and element. Generally negative values and thus losses of elements are observed with increasing age of the soil. 5. Discussion 5.1. Absolute dating techniques The H2O2 technique was able to remove the younger fractions without affecting the oldest one. The isolated pool of organic matter after the H2O2 treatment was an inert fraction of SOM with a mixture of charcoal and organic materials strongly adsorbed on or trapped in clays (Favilli et al. 2008a). The residues were enriched in aromatic and aliphatic C and N-containing compounds, as found by other authors (Cheshire et al. 2000; Eusterhues et al. 2005; Helfrich et al. 2007). The ages of the soils and of the exposed boulders gave good indications about the evolution and timing of glacier retreat and – in a general sense – the dynamics of Alpine landscape formation. Soil development in Alpine mountains began after the deposition and exposure of superficial material (Birkeland et al. 1987). The combination of absolute dating techniques resulted in good agreement (Favilli et al. 2008c), but the processes relating to the stabilisation of OM in Alpine soils are still not completely clear. The age sequences obtained from 14C Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 103 Tab. 5 - Measured and calibrated radiocarbon ages of untreated and H2O2- treated soil samples. Calibrated 14C ages are given in the 2 σ range. -= not determined. Tab. 5 - Età misurate e calibrate dei campioni non trattati e trattati con H2O2. Le età calibrate sono presentate nell’intervallo 2 σ. -= non determinato. Site Soil type, depth (cm) S1 Entic Podzol S2 S3 S4 S5 S6 S7 S8 Soil horizon Uncal 14C untreated Cal 14C untreated 0-4 AE -650±40 Modern 12,470±90 1416-14,965 4-8 BE -30±40 Modern 14,410±110 16,785-17,840 Cal 14C H2O2-treated 8-20 Bs1 780±40 670-775 10,060±85 11,275-11,970 20-45 Bs2 2815±45 2795-3065 9735±75 10,790-11,270 45-60 BC - - - 2207-2700 Uncal 14C charcoal Cal 14C charcoal Haplic Podzol 0-9 AE - - 2360±50 9-20 Bhs - - - 20-40 Bs - - 9775±70 10,825-11,390 0-4 AE1 - - 5115±55 5730-5990 4-12 AE2 - - - 12-20 Bhs 650±50 550-680 9425±75 10,435-11,075 0-8 A - - 7655±65 8370-8585 Protospodic Leptosol Brunic Regosol 8-20 Bw1 - - - - 20-32 Bw2 - - 8025±60 8650-9075 32-35 Ab 2505±50 2370-2745 11,920±85 13,600-13,990 35-40 Bb - - - - 0-11 AE 85±50 10-240 9495±75 10,575-11,100 3055±50 3080-3380 11-26 Bs1 570±50 520-655 8125±70 8790-9295 3065±55 3080-3395 26-50 Bs2 1525±50 1320-1525 7700±75 8380-8630 9160±70 10,215-10,510 Entic Podzol Entic Podzol 8-17 AE - - 2825±50 2795-3080 17-38 Bs1 - - - - 38-45 Bs2 - - 4235±50 4585-4875 45-60 BC - - - - 5-10 AE - - 2880±50 2870-3200 11-25 Bs1 - - - - 25-50 Bs2 - - 4710±50 5320-5585 50-60 BC - - - - AE - - 8195±60 9010-9400 Umbric Podzol Cambic Umbrisol 0-20 S9 Uncal 14C H2O2-treated 20-25 Bs - - - - 25-48 BC - - 6445±55 7270-7435 AE - - 9795±85 10,795-11,600 Umbric Podzol 0-11 11-23 Bs - - - - 23-40 BC - - 7200±70 7875-8175 104 Favilli et al. Dating techniques in the Alpine environment and 10Be allowed us to make hypotheses about the different stadial and interstadial phases that occurred in the investigated area and about the glaciers oscillations during the Lateglacial (Fig. 4). The investigation area experienced deglaciation between 18,000 and 9000 cal BP, with several phases of retreat and readvance. All the events we recognised in this work contributed to the shaping of the area and helped us to understand how this valley reacted to past climatic shifting. The portion of the Val di Rabbi we studied is mostly covered by Quaternary deposits (Fig. 5) over a paragneiss/ mica schists parent material. The age of these deposits refers to the Late Pleistocene and Early Holocene period, according to our analyses (Tabs 2, 5). The highest part of the investigated area are not fully covered by glacial deposits, which are present up to 2300 m a.s.l. in the north-facing side (soils S1-S5; boulders B1-B5) and up to 2600 m a.s.l. in the east-and south-facing side (soils S8, S9; boulders B6, B7 and B10) (Figs 1, 4, 5). Deglaciation processes in Val di Rabbi were far advanced around 14,000 cal BP, reaching 2453 m a.s.l. in the south-facing side (boulder B10) and 2370 m a.s.l. in the north-facing side (site S4). Glacier oscillations have affected the highest part of the region until about 9000 cal BP. The age around 13.5-14 ka (B1) does not fit perfectly with the beginning of the Younger Dryas readvance phase (Maisch et al. 1999). This boulder required more than 10% of snow correction to the exposure age with an assumed snow density of 0.3 g cm-3. Snow is the most common cause for surface coverage corrections S7 B5 S6 radiation B7 S9 and its reduces the cosmic S8 presence onB6the surface (Gosse & Phillips 2001). The mean snow cover duration N B6 S8 B7 S9 B8 B9 S7 S6 B5 B4 B3 N B8 B9 B10 B10 B1 B1 S2 micamica schist,schist, phyllads phyllads lakes paragneiss grey limestone, dolomite paragneiss orthogneiss orthogneiss Quaternary deposits Quaternary deposits S1 S5S2B2 S1 S5 B2 S4 S3 lakes grey limestone, dolomite Alpine intrusion: tonalite, granodiorite, granite Alpine intrusion: tonalite, granodiorite, granite Fig. 5 - Overview of the investigated area with indications about the geology and the locations of the sites. Fig. 5 - Vista generale dell’area studiata con indicazione della geologia e della localizzazione dei siti. was estimated according to Auer et al. (2003) and to climatic data supplied by the Provincia Autonoma di Trento (Dipartimento Protezione Civile e Tutela del Territorio – Ufficio Previsioni e Organizzazione). In our case the snow correction increased some of the exposure ages significantly (Favilli et al. 2008c, submitted). Snow depth during the Lateglacial and Holocene is difficult to quantify (Kelly et al. 2004). This boulder may have been deposited early on during the Egesen stadial or it may have been deposited during the Daun stadial (Maisch et al. 1999). The distinct warming of climate after the Boreal chronozone (around 9000 years ago) gave rise to a rapid melting of the glaciers and enabled the Mesolithic human settlements up to the main Alpine range (Bassetti & Angelucci 2007). No morainic sediments were dated back to the Little Ice Age (LIA) glacial phases (Ivy-Ochs et al. 2008). With the absolute dating of the area it was possible to detect some local periglacial processes which interested the area until recent times (i.e., burial of soil S4). 5.2. Relative dating techniques Podzolisation processes are going on in these soils, even in the ones which do not show a clear albic and a spodic horizon (Tab. 4). Eluviation and illuviation of Fe and Al forms were evident in most soils. With increasing time of soil development, more Al and Fe migrate and accumulate in the spodic horizon. The downward migration of Fe and Al and the advance in the podzolisation process are a function B4 of the weathering stage and of the time since exposure (Tabs 4, 7). Therefore, the migration of Fe and Al B3 in the profile seems to be a good indicator of the soil age and of the surface stability (Briggs et al. 2006). Formation and transformation reactions of clay minerals delineate also the weathering stage of the investigated soils. According to Egli et al. (2001b), clay mineral transformations mainly occur within the first 3000 years of soil formation and distinct amounts of smectite can be discernible in well developed soils after 8000 years (Tab. 6). The formation of smectite can be traced back to the transformation of chlorite and mica over transitional steps such as hydroxy-interlayered vermiculite (or smectite), irregularly interstratified mica-vermiculite or mica-smectite (Righi et al. 1999; Egli et al. 2003b). The presence of smectite in soils is due to strong leaching and weathering conditions (Carnicelli et al. 1997; Mirabella & Sartori 1998; Egli et al. 2003b), and can be used as an age indicator. The 2600 years time span of the present soil surface of S4 (Tab. 5) was obviously not sufficiently long for the development of major amounts of secondary minerals (Tab. 6). S3MassS4balance calculation indicated that extensive mineral weathering resulted in significant losses of Si, major base cations, Al and Fe (Tab. 7). These mass balances could be related to the weathering degree and time of exposure. The most weathered soils (S1, S2, S3 and S5), which developed within a glacial cirque are podzolised, have a high radiocarbon age and high element losses. Chemical and mineralogical data of the soil profile S7 suggest that this soil was affected by greater disturbances compared to S6 during the 5000 years of its evolution. Chemical weathering, therefore, supports the findings obtained from numerical dating. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 6. 105 Conclusions Here we present a methodology for understanding Late Pleistocene and Holocene Alpine landscape evolution. - The H2O2 technique is able to isolate the resilient fraction of the soil organic matter (SOM). The chemical characterisation of the organic residues is in line with the findings of others about the resilient fraction of the organic matter (see Favilli et al. 2008a and - references therein). Further research about the H2O2 resistant organic fraction is needed, also for developing new extraction methods. The radiocarbon dating of the resilient organic matter gives reliable ages about an ice-free surface and the first stages of soil organic matter formation. For a better interpretation of the obtained ages, the data have to be compared with the age estimation from other relative or absolute (numerical) dating techniques. Tab. 6 - Minerals in the clay fraction of the investigated soil horizons: an overview n.d.= not determined; (+)= traces (0-5%); += present in significant amount (5-20%); ++= present in high amount (> 20%); (-)= not present; a Smec = smectite; Verm = vermiculite; HIV= hydroxy-interlayered vermiculite. Tab. 6 - Minerali nella frazione argillosa degli orizzonti del suolo studiati: visione generale. n.d.= non determinato; (+)=tracce (0-5%); += presente in quantità significative (5-20%); ++= presente in grandi quantità (> 20%); (-)=non presente; a Smec= smentite; Verm= vermicultite; HIV= vermiculite intercalata con idrossido. Site Soil horizon Smeca Verma Mica/smec mica/HIV HIVa Chlorite Mica Kaolinite S1 AE ++ + + + (+) - ++ + S2 S3 S4 S5 S6 S7 S8 S9 BE + + ++ - + - ++ + Bs1 + + + + + + ++ + Bs2 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. BC - + - ++ (+) + ++ (+) AE + ++ ++ - + - + + Bhs n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. Bs - + - ++ + (+) + + AE1 ++ + ++ ++ + - + + AE2 + ++ - - - - ++ + Bhs + - ++ + (+) + ++ + A - + - ++ - + ++ + Bw1 - + - - - + ++ ++ Bw2 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. Ab ++ ++ - - - + ++ + Bb - + - - + + ++ ++ AE + (+) ++ + + - ++ + Bs1 ++ + + + + + ++ + Bs2 + + ++ ++ - + ++ + AE ++ (+) ++ - + (+) ++ + Bs1 + + ++ + (+) + ++ + Bs2 + + ++ + + + ++ + BC - ++ - + + + + + AE ++ (+) ++ + + - ++ + Bs1 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. Bs2 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. BC + + + ++ + - ++ + AE (+) ++ - - ++ + + + Bs n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. BC - ++ - + (+) + ++ + AE (+) ++ - - - - ++ + Bs n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. BC - + - ++ + + ++ + 106 - - Favilli et al. Dating techniques in the Alpine environment The 10Be age sequence and the 14C ages of resilient OM are in good agreement. Clay minerals are time-dependent. Their development in representative soils enables a relative dif- - ferentiation of the soil surfaces and avoids possible misinterpretations of the 14C ages (of resilient OM). Soil mass balance analysis gives important information about the weathering mechanisms which oc- Tab. 7 - Strain coefficient (εi,w) and open-system mass transport function (τ) for each element investigated with respect to the sites and soil depth. Tab. 7 - Coefficiente di deformazione (εi,w) e funzione di trasporto di massa del sistema aperto (τ) per ogni elemento investigato in relazione al sito e alla profondità. Site Horizons Depth (cm) εi,w Si Al Fe Mn Mg Ca Na K AE 0-4 0.36 -0.24 -0.25 -0.49 -0.28 -0.65 -0.03 -0.23 -0.29 BE 4-8 0.27 -0.20 -0.21 -0.38 -0.25 -0.65 -0.26 -0.26 -0.26 Bs1 8-20 0.90 -0.11 -0.07 0.20 0.16 -0.28 0.02 -0.01 -0.14 S1 Bs2 20-45 0.31 0.10 -0.02 0.11 0.14 -0.16 0.68 0.17 -0.14 BC 45-60 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AE 0-9 0.66 -0.29 -0.33 -0.48 -0.71 -0.73 -0.50 -0.30 -0.25 Bhs 9-20 0.15 -0.36 -0.27 -0.07 -0.47 -0.52 -0.54 -0.39 -0.21 Bs 20-40 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AE1 0-4 0.24 -0.17 -0.20 -0.61 -0.54 -0.51 -0.41 -0.10 -0.17 S2 S3 AE2 4-12 0.06 -0.07 -0.11 -0.46 -0.17 -0.35 -0.21 -0.13 -0.08 Bhs 12-20 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 S4 A 0-8 0.26 -0.37 0.07 0.13 -0.64 0.04 -0.67 -0.51 0.57 Bw1 8-20 0.20 -0.37 0.09 0.26 -0.63 0.11 -0.66 -0.59 0.62 Bw2 20-32 0.49 -0.24 0.00 0.06 -0.36 -0.01 -0.40 -0.34 0.37 Ab 32-35 0.63 0.03 -0.01 0.02 -0.19 0.05 -0.11 -0.12 0.26 Bb 35-40 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 S5 AE 0-11 0.29 -0.27 -0.21 -0.42 -0.39 -0.54 -0.44 -0.30 -0.23 Bs1 11-26 0.29 -0.23 -0.16 0.19 0.02 -0.29 -0.37 -0.04 -0.19 Bs2 26-50 0.02 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 S6 AE 8-17 0.21 -0.16 -0.09 -0.27 -0.18 0.02 0.29 0.15 -0.24 Bs1 17-38 -0.12 -0.13 0.01 0.19 0.13 0.51 -0.10 -0.03 -0.02 BC 45-60 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AE 5-10 0.70 -0.15 0.01 0.06 -0.19 0.04 0.14 -0.10 0.02 S7 Bs1 11-25 0.51 -0.02 -0.02 0.00 -0.04 0.17 0.39 0.09 -0.06 BC 50-60 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AE 0-20 0.73 0.01 0.03 0.00 -0.19 -0.31 -0.32 0.12 -0.01 BC 25-48 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AE 0-11 1.21 -0.25 -0.22 -0.59 -0.77 -0.73 -0.80 -0.39 -0.23 BC 23-40 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 S8 S9 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108 - - curred since the Lateglacial. This method provides detailed insights into the processes of a soil and also indication about its age. The combined methodology here presented offers new perspectives in deciphering landscape history. Applying together a relative and an absolute differentiation of the surfaces, this procedure is a promising tool for a better understanding of the geomorphology and palaeoclimate of relatively small catchments in Alpine environments. Further applications of the methodology to other Alpine sites is needed to check the reliability of the procedure and to improve the Alpine chronology of the Lateglacial. All the obtained ages gave a picture of the landscape evolution and the chronology of deglaciation of the investigated area. Acknowledgements This research was supported by a grant from the Stiftung für wissenschafliche Forschung of the University of Zurich. We are indebted to I. Woodhatch, W. Schoch and B. 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Nat., 85 (2009): 109-117 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini Cristiano Ballabio1*, Giulio Curioni1,3, Massimiliano Clemenza2, Roberto Comolli1* & Ezio Previtali2 Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano 2 Sezione “G. Occhialini”, Istituto Nazionale Fisica Nucleare, Piazza della Scienza 3, 20126 Milano 3 School of Engineering, University of Birmingham, Edgbaston, Birmingham, B15 2TT, United Kingdom * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] 1 RIASSUNTO - Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini - Lo studio della distribuzione del 137Cs è un metodo largamente applicato per stimare l’entità dell’erosione del suolo. Nel presente lavoro è stata studiata la distribuzione del 137Cs nei suoli dell’Altopiano degli Andossi in Alta Valchiavenna (SO). Sono stati campionati (in superficie e profondità) 135 punti distribuiti su circa 250 ettari, misurando l’attività γ tramite rivelatore HPGe. I risultati mostrano che il 137Cs presenta un’elevata variabilità superficiale, mentre in profondità i valori tendono a diminuire in modo marcato e a divenire omogenei. Per eseguire una mappatura del 137Cs è stato applicato un modello di regressione utilizzando dati morfometrici ottenuti da un DEM di dettaglio, oltre all’informazione fornita da immagini telerilevate e dati pedochimici. Il modello di Poisson si è dimostrato valido, ma meglio si è comportato il regression kriging, con lo 0,65 di varianza spiegata. Sui dati dell’infittimento del campionamento, la regressione ottenuta con il modello di Poisson è molto valida (R2adj= 0,81); poiché i parametri morfometrici più significativi sono quelli maggiormente relazionati all’erosione del suolo, si dimostra che il 137Cs è un buon indicatore di fenomeni erosivi nei suoli alpini. SUMMARY - Study of the spatial distribution of 137Cs in Alpine soils - The study of the distribution of the 137Cs is a popular methodology to estimate soil erosion rates. In a high plain area site in the Italian Central Alps (Valchiavenna), soils have been sampled in 135 points. The samples were measured by γ spectrometry using a HPGe detector. Early results showed a high spatial variability of the superficial distribution of 137Cs, however the activity of 137Cs tends to become homogeneous in the deeper soils’ layers. In order to map 137Cs activity in the topsoil, a regression model has been fitted using topographical descriptors, derived from an high resolution DEM, and soil properties. The Poisson model has been effective in modelling the relation between 137Cs activity, soil properties and topographical descriptors. When combined in a regression kriging procedure the model has been able to explain roughly 0.65 of data variance. Moreover when used on short topographic gradients, the Poisson model is able to explain up to the 0.81 of the 137Cs activity variance, thus evidencing the strong relation between the distribution of this element and soil erosion. These results encourage the use of 137Cs as a tracer of soil erosion in Alpine soils. Parole chiave: attività 137Cs, Chernobyl, suoli alpini, distribuzione spaziale Key words: 137Cs activity, Chernobyl, Alpine soils, spatial distribution 1. INTRODUZIONE Il 137Cs è un isotopo radioattivo con un’emivita di 30,07 anni, che viene tipicamente prodotto nelle reazioni di fissione nucleare; per questo la sua presenza nei diversi comparti ambientali è dovuta esclusivamente al fallout che si verifica in seguito a esperimenti nucleari in atmosfera o ad incidenti presso impianti nucleari nei quali il nocciolo del reattore diventa ipercritico e il materiale fissile viene rilasciato nell’ambiente. Dalla diversa modalità di immissione di 137Cs nell’ambiente consegue una diversa dinamica atmosferica e quindi una diversa distribuzione di questo isotopo. Le esplosioni nucleari, data la limitata massa di materiale fissile, causano l’immissione di una quantità relativamente ridotta di 137Cs nell’ambiente; tuttavia, date le caratteristiche dell’esplosione, buona parte dei prodotti di fissione raggiunge la stratosfera, venendo poi trasportata per grandi distanze e producendo un fallout relativamente uniforme su una grande superficie. Le immissioni dovute a incidenti a reattori nucleari, d’altra parte, avvengono a livello del suolo, e sebbene il materiale fissile raggiunga alte temperature causando la combustione delle strutture che circondano il nocciolo, la nuvola di ceneri prodotta non raggiunge altezze elevate, restando confinata nella troposfera; inoltre la massa fissile di un reattore nucleare è tipicamente maggiore di diversi ordini di grandezza rispetto a quella di un ordigno nucleare, e per questo dà luogo a un fallout spazialmente limitato, ma di intensità maggiore. Fortunatamente, ad oggi, si è verificato un unico incidente significativo a reattori nucleari con conseguente rilascio di 137Cs, nello specifico l’incidente di Chernobyl. 110 Ballabio et al. Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini Avvenuta il 26 aprile 1986, l’esplosione del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl ha provocato l’immissione di oltre 11.000 PBq di materiale fissile e prodotti di fissione nell’ambiente. Secondo diverse stime la quantità di materiale fissile rilasciato è stata di circa 6 t, corrispondente a circa il 5% della massa di combustibile (OECD 2002). I vari prodotti di fissione sono stati rilasciati dal nocciolo in percentuale variabile: dal 100% dei gas nobili al 3,5% degli elementi non volatili, con percentuali intorno al 50% per 131I e al 20-40% per 137Cs. In particolare, il Cs rilasciato nell’incidente di Chernobyl costituisce il 3% di quello rilasciato da tutti gli esperimenti nucleari avvenuti in atmosfera. In generale il 137Cs è considerato tra i più pericolosi prodotti di fissione a causa della sua emivita relativamente breve, che lo rende un radioisotopo non particolarmente attivo ma sufficientemente persistente nell’ambiente su scala temporale umana. Inoltre il Cs, analogamente a 131I e 90Sr, data la sua natura di metallo alcalino (chimicamente simile a sodio e potassio), è un elemento facilmente assimilabile dagli organismi viventi. Il 137Cs subisce un decadimento beta secondo lo schema: (1)(1) 137 Cs→137Ba + e − + ν e . È proprio questo tipo di decadimento a rendere particolarmente pericoloso il 137Cs qualora venga assimilato da un organismo: sebbene gli elettroni emessi per decadimento beta vengano facilmente assorbiti (alcuni centimetri di aria sono sufficienti ad assorbire la radiazione beta), in caso di decadimento all’interno di un organismo gli elettroni beta hanno sufficiente energia per danneggiare i componenti cellulari, in primo luogo il DNA. Nell’85,1% dei casi, il nucleo di bario si trova su un livello eccitato e decade γ, emettendo un fotone da 661,6 keV. Successivamente torna sullo stato fondamentale diventando stabile: (2) (2) 137 Ba* →137Ba + γ . Il cesio presenta un’alta solubilità in acqua, ma è in grado di legarsi fortemente al complesso di scambio cationico del suolo, risultando non immediatamente disponibile all’assorbimento da parte delle piante. Per questa stessa caratteristica, la sua percolazione nelle falde è limitata e la concentrazione massima nel suolo si riscontra in prossimità della superficie, nei primi centimetri di profondità. In numerosi processi occorrenti nei suoli, potassio e cesio si comportano in modo affine, per esempio sostituendosi a vicenda nel complesso di scambio. Le argille possono avere tuttavia differente comportamento: ad esempio, le vermiculiti hanno una maggiore affinità col cesio rispetto al potassio (Sawhney 1970). 2. Il 137Cs come marcatore ambientale Negli ultimi decenni sono stati svolti numerosi studi riguardanti la distribuzione spaziale del 137Cs e il suo utilizzo come marcatore di fenomeni erosivi (Yamagata et al. 1963; Rogowski & Tamura 1965, 1970a, 1970b; Ritchie & McHenry 1990; Zapata 2003; Haciyakupoglu et al. 2005), i quali risultano favoriti dal fatto che esso viene fortemente adsorbito presso la superficie del suolo: pertanto le differenze di concentrazione riscontrate nei suoli di un’area possono essere imputate alla redistribuzione orizzontale del suolo, causata essenzialmente da fenomeni erosivi. Vi è tuttavia la necessità di individuare un valore di riferimento per ciascuna area indagata, corrispondente all’assenza di erosione e deposizione (Porêba 2006). Questo è agevole per le deposizioni di 137Cs derivate dai test nucleari, in quanto l’assunto della deposizione omogenea in un’area non eccessivamente estesa è plausibile. Più difficile è avvalersi dello stesso assunto nel caso del fallout conseguente al disastro di Chernobyl, in quanto la nube radioattiva in quel caso non ha raggiunto la stratosfera (Renaud et al. 2003) e ciò ha comportato deposizioni differenti in funzione degli spostamenti della nube stessa. 3. MATERIALI E METODI 3.1. Area di studio L’area di studio è l’Altopiano degli Andossi, sito nell’Alta Valchiavenna (SO), sulla sinistra idrografica del Torrente Liro, a poca distanza dal Passo dello Spluga. La quota dell’altopiano è compresa fra 1800 e 2050 m. L’altopiano è costituito da un plateau carbonatico (marmi e calcari cristallini) esteso per circa 250 ettari, facente parte della sinclinale dello Spluga, con un marcato rilievo morfologico sul sottostante basamento cristallino. Nella parte alta degli Andossi vi sono affioramenti di rocce metamorfiche, in genere di basso o medio grado (scisti e talvolta gneiss). L’attività glaciale è testimoniata dalla presenza di numerosi massi erratici (gneissici). La morfologia degli Andossi è profondamente influenzata da fenomeni carsici, evidenziati dalla presenza di numerose doline singole o con morfologia a “stella” (comunemente associate a climi tropicali), di dimensioni variabili da pochi metri a qualche ettaro, e dal permanere di dossi anche molto ripidi. Frequenti sono anche le forme periglaciali: vaste aree sono caratterizzate da hummocks (cuscinetti di terra). Il clima degli Andossi è tipicamente alpino. Le precipitazioni medie annue ammontano a circa 1300 mm, dei quali circa il 45-50% è costituito da neve; le nevicate si protraggono in media da ottobre a maggio (Mariani 2007). La temperatura media annua si aggira sui 2,7 °C. L’area è interessata da una notevole ventosità, con direzioni prevalenti da nord e da sud. L’area è attualmente sfruttata a pascolo per bovini, ma la vegetazione naturale potenziale è il bosco di conifere (Caccianiga 2007). L’utilizzo a pascolo è documentato a partire dal XIII secolo (Scaramellini 2007), ma presumibilmente è anteriore. Le facies di vegetazione (Pagani 2005) sono molto varie, dai nardeti ai seslerieti, passando per i pascoli pingui e i rododendreti-vaccinieti. Avendo un substrato carbonatico, ricoperto in più zone da materiali di deposizione glaciale a litologia acida, gli Andossi presentano varie tipologie di suoli, generalmente poco o mediamente evoluti (Comolli 2007). Lungo i versanti dei rilievi si trovano spesso suoli appartenenti al gruppo dei Leptosols (FAO 2006), mentre nelle zone di accumulo (per esempio sul fondo delle doline) sono più rappresentati i Cambisols. Piuttosto comuni sono anche i Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117 Podzols, gli Umbrisols e gli Histosols. Si manifesta inoltre una dinamica evolutiva di tipo convergente (in dipendenza dalle abbondanti precipitazioni), che porta alla formazione, a maturità, di suoli acidi anche dove il materiale parentale è carbonatico. 3.2. Campionamento Durante la fase di campionamento, sono stati prelevati 135 campioni, dei quali la maggior parte è stata raccolta in prossimità di siti precedentemente campionati. Campioni aggiuntivi sono stati prelevati lungo transetti (3) topografici e all’interno di una dolina posta nella parte centrale dell’altopiano, già oggetto di precedenti studi (Curioni 2005). Ciascun punto di rilevamento è stato georeferenziato con precisione di circa 20 cm utilizzando un GPS differenziale. La raccolta di campioni di suolo è avvenuta per strati di 5 cm. Per ogni punto, dopo aver allontanato l’eventuale lettiera (orizzonte O), con spessore massimo di 0,5-1 cm, sono stati prelevati 2000 cm3 di suolo (20x20x5 cm). Di norma sono stati campionati solamente i primi 5 cm dell’orizzonte di superficie, trattandosi dello strato maggiormente interessato dall’accumulo di Cs. Tuttavia per 23 punti si è campionato fino a 25 cm (a strati successivi di 5 cm), in modo da ottenere informazioni riguardo al gradiente verticale del cesio. In totale sono stati prelevati 173 campioni. La fase di campionamento si è svolta nell’estate-autunno 2007. 3.3. Spettrometria γ e rivelatore HPGe Come discusso in precedenza, il nucleo di 137Cs decade emettendo un elettrone e si trasforma in un nucleo di 137 Ba metastabile. Il 137Ba a sua volta decade emettendo un fotone γ, permettendo una misura indiretta del decadimento del 137Cs. Per calcolare l’attività del 137Cs viene utilizzata la spettroscopia γ, in modo da individuare e quantificare l’attività dei radioisotopi γ-emettitori presenti nel campione. Per le analisi è stato utilizzato un rivelatore HPGe (High Purity Germanium), che appartiene alla classe dei rivelatori a semiconduttore, ed è caratterizzato da elevata risoluzione ed efficienza. L’HPGe è costituito da un fotodiodo costituito da un cristallo di germanio ad alta purezza, combinato con un sistema di raccolta e amplificazione del segnale elettrico prodotto dal diodo. La spettroscopia gamma non è solo uno strumento che permette di identificare i radionuclidi presenti in una sorgente, ma fornisce anche un valore di attività per ogni elemento riscontrato. Una volta individuato il radionuclide presente, si valuta l’integrale dei conteggi appartenenti al fotopicco corrispondente e lo si rapporta al tempo di misura (∆tcamp). Questo primo valore fornisce però solo la frequenza di decadimenti che il rivelatore è stato in grado di cogliere; per ottenere l’attività totale del radionuclide bisogna conoscere l’efficienza assoluta (εass) e il branching ratio (BR). Il primo termine serve per tener conto della posizione relativa della sorgente rispetto al rivelatore: infatti, mentre la sorgente emette isotropicamente, il cristallo di germanio è in grado di raccogliere solo alcuni dei gamma che lo investono. Il branching ratio viene definito per radionuclidi radioattivi che possono decadere in più modi con probabili- 111 tà definite. Nel caso del 137Cs il branching ratio (BR) è pari a 0,851 (nell’85,1% dei casi il 137Cs decade γ emettendo un fotone a 661 keV). Quando si esegue un’analisi di spettroscopia γ, bisogna considerare la presenza del fondo ambientale. Per isolare l’attività del solo campione, occorre effettuare una misura del fondo ambientale e calcolare il contributo che tale fondo fornirà alla misura. Questo valore andrà sottratto a quello della misura del campione. La formula utilizzata è la seguente: (conteggi ) Δt camp camp − (conteggi fondo ) Δt fondo (3) A= 3.4. Misura della radioattività da 137Cs ε ass ⋅ BR L’unità di misura dell’attività (A) è il becquerel (Bq= disintegrazioni sec-1). I campioni di terreno, dopo essiccazione all’aria, sono stati posti in barattoli cilindrici di polietilene del volume di 522 cm3. Si è misurato il volume e il peso effettivo di campione posto nel barattolo e si è effettuata l’analisi con rivelatore HPGe. 3.5. Analisi pedologiche Sui campioni raccolti sono stati misurati capacità di scambio cationico (CSC) e cationi di scambio (Ca, M, Na, K); le determinazioni sono state eseguite con BaCl2 e trietanolammina a pH 8,1. Poiché il 137Cs è trattenuto dal complesso di scambio, per poter confrontare correttamente i valori di attività trovati è utile normalizzarli rispetto alla CSC. La conoscenza della concentrazione di K scambiabile è altresì importante poiché questo elemento possiede un comportamento chimico simile al Cs; pertanto, il confronto tra attività del 137Cs e concentrazione di K consente di trarre indicazioni sulla capacità di ritenzione del suolo e sull’eventuale dilavamento dei cationi. 3.6. DEM e immagini telerilevate L’area di studio è stata sottoposta ad un rilievo LiDAR (Light Detection and Ranging), realizzato nel novembre 2005, da cui è stato derivato un DEM con risoluzione al suolo pari a 0,5 m. Tuttavia, in fase di elaborazione si è preferito lavorare con DEM ricampionati a 1 m e a 2 m. Durante il rilievo LiDARè stata inoltre raccolta una serie di immagini multispettrali ad alta risoluzione spaziale (25 cm) nella banda del verde (510-600 nm), del rosso (600-720 nm) e dell’infrarosso vicino (720-900 nm). Lavorando su queste immagini si sono distinte le tipologie di copertura del suolo tramite il metodo supervised basato sul maximum likelihood, usando il software ENVI (Tab. 1). Inoltre, è stato ottenuto un indice pseudo-NDVI, in grado di fornire informazioni relative ai differenti tipi di vegetazione. I parametri ricavati dalle immagini utilizzando una “moving window” di 3x3 m sono stati i seguenti: - la media, la maggioranza e la mediana dei valori di ciascuna banda; - il minimo, il massimo e la media dell’indice pseudoNDVI; - la maggioranza e la mediana delle classi. 112 Ballabio et al. Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini - Tab. 1 - Classi di copertura del suolo. Tab. 1 - Soil cover classes. insolazione diretta, diffusa e totale (Dubayah & Rich 1995); fattore LS (Van Remortel et al. 2001) del modello RUSLE; curvatura orizzontale e verticale; indice di convergenza topografica; Compound Terrain Index (McKenzie & Ryan 1999); Altitude above channel network (AACN): distanza verticale dal livello base del reticolo idrografico, espressa in metri; Sediment Transport Index (STI) (De Roo 1997), in grado di la capacità di un flusso d’acqua di generare erosione idrica; questo indice è calcolato secondo la seguente formula: STI = aS, dove a è l’area contribuente specifica di un flusso d’acqua e S è la pendenza della cella considerata; gradiente di pendenza: esprime la variazione di pendenza lungo un pendio. - Classe Copertura del suolo 1 Bacini idrici 2 Aree prive di copertura, massi, strade, case 3 Aree con scarsa copertura 4 Arbusteti 5 Prati pingui (sul fondo delle doline) 6 Zone a cuscinetti erbosi 7 Pendii ripidi, vegetazione erbacea rada e corta 8 Nardeti 9 Aree umide, torbiere - - - - - - I valori ottenuti nel primo caso sono stati utilizzati sul DEM a risoluzione di 1 m, mentre quelli ottenuti nel secondo caso sono stati usati sul DEM a risoluzione 2 m: pertanto, i parametri elencati sopra sono stati calcolati rispettivamente su un’area di 3,14 m2 e di 12,56 m2. A partire dal DEM sono state create alcune carte tematiche relative a diversi parametri e indici topografici, da correlare all’attività del 137Cs. I principali fattori topografici calcolati sono stati: - pendenza del versante (Zevenbergen & Thorne 1987); - esposizione; - quota; - durata dell’insolazione (Dubayah & Rich 1995); 4. RISULTATI E DISCUSSIONE 4.1. Deposizione del 137Cs Per studiare quando e in che modo nell’area di studio sia effettivamente avvenuta la deposizione del 137Cs, sono stati analizzati i dati meteorologici compresi tra fine aprile e inizio maggio 1986. Dal monitoraggio effettuato dopo l’incidente alla centrale di Chernobyl risulta che nel Nord Italia la maggiore deposizione del 137Cs si è verificata la prima settimana di maggio di quell’anno. In Canton Ticino la nube radioattiva è sopraggiunta il 30 aprile, ed è preStuetta Grafico 4 35,0 500 450 Precip. mm neve al suolo (cm) 30,0 400 350 300 20,0 250 15,0 200 150 10,0 100 5,0 50 Fig. 1 - Neve al suolo e precipitazioni da settembre 1985 a giugno 1986 alla stazione di Stuetta. Page 1 Fig. 1 - Snow height and precipitation (September 1985-June 1986) at Stuetta station. 22/06/1986 08/06/1986 25/05/1986 11/05/1986 27/04/1986 13/04/1986 30/03/1986 16/03/1986 02/03/1986 16/02/1986 02/02/1986 19/01/1986 05/01/1986 22/12/1985 08/12/1985 24/11/1985 10/11/1985 27/10/1985 13/10/1985 29/09/1985 15/09/1985 0 01/09/1985 0,0 Neve al suolo (cm) Precipitazioni (mm) 25,0 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117 4.2. Dati di superficie e profili di Cs nei suoli 137 I conteggi ricavati dalla spettrometria HPGe sono stati trasformati in valori di attività e sono pertanto espressi in Bq kg-1. I valori dei campioni di superficie differiscono fortemente da quelli di profondità, pertanto occorre separarne la trattazione. In superficie i dati ottenuti mostrano una notevole variabilità (Tab. 2). In figura 2 è riportato l’istogramma di frequenza dell’attività del 137Cs, che evidenzia come la distribuzione non sia di tipo normale, essendo la gran parte dei valori compresa entro 500 Bq kg-1. Solamente 4 campioni presentano un’attività maggiore di 1000 Bq kg-1; tre di questi, con un’attività superiore a 1500 Bq kg-1, risultano degli outliers. Nei 23 punti in cui sono stati prelevati campioni anche oltre i primi 5 cm di profondità, si è visto che l’attività del 137Cs decresce in modo esponenziale con l’aumentare della profondità. Inoltre, mentre fra 0 e 5 cm vi è una forte variabilità dei dati misurati, in profondità i valori tendono Tab. 2 - Statistiche di base dell’attività del 137Cs presso la superficie del suolo. Tab. 2 - Basic statistics of 137Cs activity near the soil surface. attività 137Cs (Bq kg-1) media 246 dev.st 308 mediana 158 min 18 max 2051 90 80 70 60 Frequency 50 40 30 20 2000-2200 1800-2000 1600-1800 1400-1600 1200-1400 1000-1200 800-1000 600-800 400-600 0 200-400 10 0-200 sumibile che sia arrivata pressoché lo stesso giorno anche sull’Altopiano degli Andossi. Durante la prima settimana di maggio lo zero termico è rimasto a una quota superiore rispetto a quella degli Andossi ed è dunque probabile che le precipitazioni di quel periodo siano state di tipo piovoso. Inoltre, in quegli stessi giorni si sono misurati solo pochi millimetri di pioggia. Dai dati ricavati dalla stazione di Stuetta, posta ai margini dell’area di studio, si può notare (Fig. 1) che all’inizio di maggio era presente ancora un’abbondante copertura nevosa (circa 2 m di spessore), per lo meno nelle aree pianeggianti. È quindi probabile che il 137Cs si sia deposto, in forma di pioggia e come deposizione secca, sulla copertura nevosa. Allo scioglimento delle nevi, già in corso ai primi di maggio e terminato verso metà giugno, è verosimile che il 137Cs si sia infiltrato lentamente in loco nel terreno sottostante, il quale non doveva essere ghiacciato (a questo proposito, si veda Zhang, 2005). È in ogni caso possibile che si sia verificato anche un limitato scorrimento superficiale dell’acqua di fusione, che può avere in parte redistribuito il 137Cs. Una parte molto attiva nella movimentazione del 137Cs può essere stata operata dal vento, che spesso soffia con violenza dai quadranti nord e sud e redistribuisce il manto nevoso (che infatti è quasi assente, anche in inverno, sui dossi più esposti). 113 Activity 137-Cs (Bq kg-1) Fig. 2 - Istogramma di frequenza dell’attività del 137Cs presso la superficie del suolo. Fig. 2 Frequency histogram of the 137Cs activity near soil surface. Tab. 3 - Statistiche di base dell’attività del 137Cs, espressa in Bq kg-1, per i 23 punti in cui si sono effettuate anche misure in profondità. Tab. 3 - Basic statistics of 137Cs, expressed in Bq kg-1, related to the 23 points having measures in depth. 0-5 cm 5-10 cm 10-15 cm 15-20 cm 3 2 1 0 1 media 265 min 18 max 1711 56 7 3 dev.st 361 18 2 1 a livellarsi in un range molto ristretto (Tab. 3). A uno degli outlier di superficie (1711 Bq kg-1 a 0-5 cm), seguono in profondità valori molto meno elevati (53 Bq kg-1 a 5-10 cm). La grande differenza tra i valori di attività dei primi 5 cm e quelli di profondità fa ipotizzare l’esistenza di un ulteriore sensibile gradiente del 137Cs all’interno del primo strato di 5 cm. Purtroppo, la difficoltà di campionamento di strati troppo sottili ha impedito di ottenere dati in merito a questa ipotesi. Essendo così elevata la concentrazione in superficie, è possibile che la grande variabilità del dato di 137Cs dimostrata dai dati in tabella 2 sia essenzialmente dovuta a redistribuzioni di materiale solido causate da processi erosivo-deposizionali anche di ridotta entità. 4.3. Analisi statistica L’attività del 137Cs nel suolo (conteggi per secondo) possiede una distribuzione discreta, assimilabile ad una distribuzione di Poisson: la regressione lineare non può quindi basarsi su un modello ai minimi quadrati, ma deve fare uso di un Generalized Linear Model (GLM), in cui la distribuzione del parametro misurato viene normalizzata (in questo caso utilizzando il logaritmo dell’attività). Vari tentativi sono stati effettuati utilizzando sia le variabili grezze, sia quelle normalizzate, a partire dalle variabili calcolate sui DEM a risoluzione spaziale di un 114 Ballabio et al. Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini metro e di due metri. L’R2adj del GLM, ottenuto utilizzando descrittori topografici derivanti dal DEM a 1 m di risoluzione e le proprietà del suolo, raggiunge un valore di 0,46. Va tenuto conto della notevole influenza dei tre outliers sul risultato della regressione, poiché questi tre punti da soli sono responsabili di circa il 20% della varianza complessiva del dato. Tuttavia, per eseguire una mappatura del 137Cs le proprietà del suolo non sono disponibili come descrittori esaustivi, non essendo mappate su tutta l’area di studio. Per questo è stato impiegato un GLM, utilizzando esclusivamente i descrittori topografici e le classi di vegetazione ricavate dalle immagini telerilevate. Questo secondo modello (denominato lmP2.1m), raggiunge un soddisfacente valore di R2adj, pari a 0,34. I coefficienti del modello, tutti di una certa significatività, sono riassunti in tabella 4. Il modello lmP2.1m, poi usato per realizzare la mappatura del 137Cs, può essere interpretato osservando i valori dei coefficienti associati alle rispettive variabili. Da questi si ricava che il modello è in linea con i presupposti teorici: - il CTI è proporzionale all’attività di 137Cs, per cui nelle zone di accumulo si ritrova più 137Cs; - lo STI, che indica il potenziale erosivo di un flusso d’acqua, è inversamente proporzionale all’attività di 137 Cs; - la convergenza è proporzionale all’attività di 137Cs, cioè dove l’acqua tende a convergere si riscontra più attività; - all’aumentare dell’Altitude above channel network si riscontra maggiore attività di 137Cs, in relazione al fatto che l’erosione è maggiore dove c’è scorrimento idrico. Un caso a parte è rappresentato dalle variabili categoriali (derivate dalle immagini telerilevate), risultate tutte significative al test del p-value. La loro interpretazione risulta difficoltosa, in quanto il range di variabilità di ciascuna Fig. 3 Boxplot del logaritmo dell’attività di 137Cs rispetto alle classi ottenute dalle immagini telerilevate. Fig. 3 Boxplot of the 137Cs activity logarithm compared with classes obtained from remote sensing images. classe è simile, come si vede in figura 3. Si può comunque notare una certa differenza fra la classe 8 (nardeti) e la classe 5 (prati pingui): i nardeti si localizzano specialmente lungo gli impluvi, dove effettivamente è più probabile avere erosione idrica, mentre i prati pingui si riscontrano sul fondo delle doline, cioè nelle zone di accumulo. Come evidenziato in figura 4, la relazione tra l’attività del 137Cs, le caratteristiche topografiche e le proprietà del suolo è abbastanza definita. Alcuni lineamenti topografici (in particolare il gradiente topografico, l’insolazione e la pendenza) sembrano avere un’influenza decisiva sull’at- Tab. 4 - Coefficienti del modello lmP2.1m. Tab. 4 - Coefficients of the lmP2.1m model. Stima Errore Std. z value Pr(>|z|) Signif. Intercetta 8,2877 1,0648 7,7834 7,06E-15 *** AACN 0,0010 0,0005 2,1179 0,034181 * Valore medio banda IR 0,0183 0,0089 2,0620 0,039208 * Classe 3 Vegetazione -2,1786 0,4147 -5,2534 1,49E-07 *** Classe 4 Vegetazione -1,9887 0,3517 -5,6523 1,58E-08 *** Classe 5 Vegetazione (prati pingui) -2,2330 0,3559 -6,2739 3,52E-10 *** Classe 6 Vegetazione -2,4419 0,2813 -8,6819 < 2,20E-16 *** Classe 7 Vegetazione -2,6189 0,5112 -5,1232 3,00E-07 *** Classe 8 Vegetazione (nardeti) -2,4922 0,3243 -7,6842 1,54E-14 *** Classe 9 Vegetazione -2,0786 0,2681 -7,7542 8,89E-15 *** Convergenza topografica 0,01612 0,0060 2,6987 0,006962 ** Insolazione media annua -0,0009 0,0002 -4,0031 6,25E-05 *** STI -0,0795 0,0354 -2,2445 0,024802 * CTI 0,1331 0,0420 3,1697 0,001526 ** Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117 Fig. 4 - NMDS della vegetazione (ellissoidi rappresentanti le diverse classi di vegetazione) e rappresentazione della relazione tra l’attività del 137Cs (rappresentato dalle isolinee colorate) e diversi parametri topografici e proprietà del suolo (frecce). Fig. 4 - Vegetation NMDS (ellipsoids: different vegetation classes) and representation of the relations between 137Cs activity (coloured isolines) and various topographic parameters and soil properties (arrows). tività del 137Cs, mentre fra le proprietà del suolo, la CSC sembra avere un ruolo predominante. Anche la vegetazione (rappresentata in figura dagli ellissoidi) influenza la concentrazione di Cs nel suolo, probabilmente agendo in modo indiretto sul ruscellamento superficiale. È tuttavia abbastanza difficile separare l’effetto dalla causa, essendo la vegetazione influenzata dai medesimi caratteri topografici e morfologici che influenzano l’attività del 137Cs. Utilizzando soltanto le variabili di primo grado, lavorando sul dataset relativo ai transetti topografici e alla dolina, e includendo le variabili legate al suolo, si ottiene un R2adj pari a 0,81, a dimostrazione dell’esistenza di una relazione lineare tra l’attività di 137Cs e i parametri considerati. Questo dimostra che su gradienti relativamente ristretti la variazione dell’attività del 137Cs è sostanzialmente funzione della topografia. È inoltre interessante osservare che le variabili significative sono proprio quelle utilizzate nei principali modelli erosivi come variabili correlate all’erosione (STI, CTI, LS-factor, slope gradient, convergence). Sottraendo le variabili legate al suolo, l’R2adj risultante si abbassa a 0,61, pur sempre molto elevato se confrontato con quello dei modelli GLM calcolati sull’intero set di dati. Va comunque fatto notare che in questo caso il set campionario (51 campioni) era differente da quello generale, poiché rappresentava la fase di infittimento del precedente. Sui residui della regressione, corrispondenti alla porzione di varianza non spiegata dal modello, è stato realizzato un semivariogramma (Fig. 5) che mette in relazione la distanza tra ogni coppia di punti con il valore di semivarianza tra le misure effettuate in ciascuna coppia. Il nugget di questo semivariogramma è molto alto, indicando una ridotta correlazione spaziale dei dati. La 115 Fig. 5 - Semivariogramma: valori di semivarianza tra coppie di punti in funzione della loro distanza in metri. Fig. 5 - Semivariogram: semivariance values between couple of points related to their distance (m). distanza alla quale non si osserva più alcuna correlazione (range, corrispondente alla distanza a cui la curva raggiunge lo 0,95 del valore finale) è di circa 300 m. Il partial sill, ovvero la varianza spiegata in funzione della distanza, è di circa 0,25, su un totale di 0,80. Il kriging sui residui spiega quindi circa il 31% di varianza Nel complesso il regression kriging, combinando il GLM (0,34 di varianza spiegata) e il kriging semplice (0,31 di varianza spiegata), risolve circa il 65% di varianza dell’attività del 137Cs nel suolo. 4.4. Attività del 137Cs lungo i transetti topografici Come detto in precedenza, si è indagato l’andamento dell’attività del 137Cs lungo alcuni transetti topografici che seguivano le linee di massima pendenza. Di norma, nelle parti alte dei versanti sono stati registrati valori bassi di attività, che tendono ad aumentare spostandosi verso le parti basse. Una maggiore variabilità esiste nelle zone di piede versante: qui si registrano a volte valori molto elevati, a volte valori bassi. Questo andamento sembra in buona relazione con possibili fenomeni di redistribuzione del materiale superficiale (processi di erosione-trasporto-deposizione), dei quali è tuttavia difficile individuare l’estensione: è probabile che alcune zone di piede versante, nelle quali si riscontrano bassi valori di attività del 137Cs, non siano raggiunte dai flussi idrici provenienti dalle parti alte. 4.5. Mappatura del 137Cs Per mappare l’attività del 137Cs è stato seguito un approccio bastato sul regression kriging (Hengl et al. 2007). I coefficienti derivanti dal GLM sono stati utilizzati per mappare l’attività del 137Cs nel suolo e la mappa otte- 116 Ballabio et al. Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini Fig. 6 - Mappa dell’attività relativa del 137Cs derivata dal GLM (modello lmP2.1m). Fig. 6 - 137Cs relative activity map derived from GLP (lmP2.1m model). Fig. 7 - Mappa dell’attività relativa del 137Cs includendo la covarianza tramite regression kriging. Fig. 7 - 137Cs relative activity map including covariance through regression kriging. nuta è riportata in figura 6. Il risultato è complessivamente buono: infatti non sono infatti presenti valori estremi non riscontrati nel campionamento, e i valori calcolati dal modello nei punti indagati non si discostano molto da quelli misurati. Per ottenere una migliore rappresentazione si sono indicate in blu, con valori bassi (ma non nulli) di attività, anche le classi corrispondenti a strade, case, muri a secco e bacini idrici. La figura 7 mostra invece la mappa risultante dal regression kriging, ottenuta combinando il modello GLM con il kriging semplice dei residui del modello stesso. Questa mappa mostra degli hot-spot piuttosto estesi in prossimità dei punti campionati, con valori di attività molto elevati. Questo è dovuto alle caratteristiche del kriging, che presuppone l’esistenza di autocorrelazione spaziale, ma è probabile che nell’intorno di questi punti i valori di attività risultino sovrastimati. Entrambe le mappe si possono leggere anche in termini di erosione-deposizione: le zone in azzurro-blu sono quelle più soggette ad erosione, mentre quelle rosse si riferiscono alle zone di probabile deposizione. La particolare disposizione areale del 137Cs sembra dimostrare la presenza, oltre che di un’erosione idrica, anche di un’erosione eolica di una certa intensità, dovuta ai forti venti che spazzano l’altopiano, provenienti in prevalenza da nord e da sud. 5. CONCLUSIONI Lo studio svolto permette di avanzare una serie di considerazioni: - l’attività del 137Cs, in un’area di montagna a pascolo con una marcata differenziazione morfologica, presenta una notevole variabilità spaziale, ma solo se si considera lo strato superficiale del suolo (0-5 cm). Al di sotto di esso i valori diminuiscono repentinamente e tendono a livellarsi in un range molto ristretto: ciò sembra dovuto al forte adsorbimento del Cs sul complesso di scambio del suolo; - per spiegare la variabilità spaziale del 137Cs tramite modelli di regressione, sono state utilizzate le variabili topografiche, quelle ricavate dalle immagini telerilevate e infine alcune caratteristiche pedologiche (complesso di scambio); si è verificato che il modello migliore è quello basato sulla regressione di Poisson, che inoltre presenta una struttura molto più semplice rispetto ai modelli lineari; - il regression kriging (regressione sui fattori topogra- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117 - - fici e le immagini telerilevate; kriging semplice sui residui di tale regressione) si è dimostrato uno strumento molto potente nell’analisi di variabili spaziali (65% di varianza spiegata) in ambienti a grande variabilità morfologica; lavorando sui dati dell’infittimento del campionamento (transetti topografici e dolina), si è verificato che la regressione ottenuta con il modello di Poisson spiega molto bene la variabilità dei dati (R2adj= 0,81); inoltre, i parametri più significativi sono quelli maggiormente relazionati all’erosione del suolo (STI, CTI, catchment area, LS-factor, slope gradient, convergence); è stato infine dimostrato, almeno dal punto di vista qualitativo e in attesa di conferme ulteriori, che il 137 Cs è un indicatore di fenomeni erosivi nei suoli montani, in grado di fornire stime relative di erosione e accumulo. Per passare a dati quantitativi, si rende necessario disporre delle serie storiche dei dati meteorologici locali, ma anche conoscere i dati sul deflusso superficiale e la portata solida dei corsi d’acqua. BIBLIOGRAFIA Caccianiga M., 2007 - Vegetazione. In: Comolli R. (a cura di), La Scienza del suolo nei territori montani e collinari - Guida all’escursione scientifica del 12 luglio 2007, DISAT, Milano: 16-18. Comolli R. (a cura di), 2007 - La Scienza del suolo nei territori montani e collinari - Guida all’escursione scientifica del 12 luglio 2007, DISAT, Milano: 87 pp. Curioni G., 2005 - Cartografia di dettaglio di caratteristiche e tipologie pedologiche in un’area alpina (Valchiavenna, SO). Tesi di laurea non pubblicata, Università di Milano-Bicocca: 115 pp. De Roo A.P.J., 1998 - Modelling runoff and sediment transport in catchments using GIS. Hydrol. Proc., 12 (6): 905-922. Dubayah R. & Rich P., 1995 - Topographic solar radiation models for GIS. Int. J. Geogr. Inf. Sys., 9: 405-419. 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Fermi 2749, Ispra, Italy * Corresponding author e-mail: [email protected] SUMMARY - Soil erosion in the Alpine area: risk assessment and climate change - Objective of the research is to define the magnitude of the Actual Soil Erosion Risk in the Alpine area and to link it with a perspective of medium long terms in relation to climate change. The Revised Universal Soil Loss Equation (RUSLE) was applied to the whole Alpine space. It allowed to produce, with a spatial resolution of 100 m, the map of actual soil erosion and two further maps defining soil erosion rates in A2 and B2 scenarios of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) (IPCC, 2001). This analysis was carried out by means of the dataset the International Centre for Theoretical Physics (ICTP) of Trieste. It provided daily rainfall values for the years 1960-1990 and for the IPCC A2 and B2 scenario 2070-2100. From a comparison between actual erosion and soil losses in A2 and B2 scenarios, it comes out that our model does not show relevant raises in erosion rates. However, low variations in soil losses rates is observable. In particular, B2 scenario shows a growth of low entity of soil losses over a significant part of the Alpine space. In A2 scenario a clear distinction between northern and southern Alps comes out. The northern part should experience a low reduction of soil erosion, whilst in southern areas a rise of soil losses should take place. RIASSUNTO - Erosione del suolo nell’area alpina: valutazione del rischio e cambiamenti climatici - Il principale obiettivo del presente lavoro è di fornire una stima attuale dell’erosione del suolo in ambiente alpino e al contempo collegarla con i possibili sviluppi a mediolungo termine indotti dai cambiamenti climatici. È stata quindi applicata a tutto l’arco alpino la versione riveduta dell’equazione universale di perdita di suolo (RUSLE). Ciò ha permesso di produrre, ad una risoluzione spaziale di 100 m, la mappa dell’erosione del suolo nelle Alpi e due ulteriori mappe relative alle previsioni di erosione del suolo negli scenari A2 e B2 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) (IPCC, 2001). Questa analisi è stata condotta grazie ai dati forniti dall’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste. I dati consistono in stime di precipitazione giornaliere per gli anni 1960-1990 e per gli scenari A2 e B2 2070-2100 dell’IPCC. Da un confronto tra l’erosione attuale e le previsioni relative a questi due scenari non emergono rilevanti incrementi di erosione del suolo, sebbene si evidenzi un leggero incremento del fenomeno. In particolare, lo scenario B2 evidenzia un generale lieve aumento dell’erosione del suolo su di un’area significativa del territorio alpino, mentre nello scenario A2 emerge una netta distinzione tra nord e sud delle Alpi: la parte più a nord appare caratterizzata da una generale riduzione dei fenomeni erosivi (seppure di lieve entità) che invece mostrano un leggero incremento nella parte meridionale dell’arco alpino. Key word: Alps, soil erosion, climate change Parola chiave: Alpi, erosione, cambiamento climatico 1. Introduction Soil erosion is the wearing away of the land surface by physical forces such as rainfall, flowing water, wind, ice, temperature change, gravity or other natural or anthropogenic agents that abrade, detach and remove soil or geological material from one point on the earth’s surface to be deposited elsewhere. Soil erosion is a natural process that can be exacerbated by human activities. Soil erosion is increasing in Europe. Precise erosion estimates are not possible due to the lack of comparable data, therefore it is difficult to assess the total area of the EU affected by erosion1. SEC(2006)620 Impact assessment of COM (2006) 232 Soil strategy. 1 Soil erosion is a matter of primary importance in mountain areas. Increasing numbers of tourists, changes in farming/cultivation techniques and climate change are expected to intensify soil erosion in the Alps. The loss of soil from a field, the breakdown of soil structure, the decline in organic matter and nutrient, the reduction of the available soil moisture as well as the reduced capacity of rivers and the enhanced risk of flooding and landslides are processes linked with soil erosion. In all regions with steep relief and at least occasional rainfall, debris flows occur in addition to surface erosion processes. These aspects are clearly addressed and identified in the “Action Plan on Climate change in the Alps” where it is clearly statement that “the effect of global warming in Alpine area is three times higher than the world average. These effects also involved in a densely populated area (14 million of inhabitants) and very touristy, which justifies an effort. In respect of climate change, the mountain with the 120 Bosco et al. content of water resources and the wealth of biodiversity hold a particular role to play towards other areas. Their preservation is therefore supranational importance”2. The analysis of the existing studies on the topic highlights that the main research methodologies have been developed to study erosion in agricultural contexts or hill areas with a mild climate. Therefore, it is difficult to apply these methods in mountain areas, also because of the extreme complexity of the alpine system. For this reason, some researchers assert that the most common soil erosion models, as USLE/RUSLE or CORINE EROSION, can not be efficiently applied in an Alpine environment, because they were designed to be used on hilly agricultural areas where sheet and rill erosion processes are prevailing. Furthermore, the above mentioned models are not designed to consider some typical erosion processes of alpine areas as, for example, the debris flows. An efficient model to analyze the real morpho-sedimental processes should in theory be able to - minimize empirical factors and be based mainly on physically based factors; - use strong calculation methods; - combine all factors involved in the process. A step forward has been made in this direction with the introduction of new-generation models, as i.e. PESERA (Pan European Soil Erosion Risk Assessment: Kirkby M.J. et al. 2004). However, as regards the research related to erosion and, in this case, Alpine areas erosion, the most used model is USLE (in one of its different versions: i.e. USLE, RUSLE). As a matter of fact, it is the only model in which input data can be obtained in different ways (measurement, estimation, interpolation). Advanced models, as Water Erosion Prediction Project (WEPP, Flanagan 1995), have been and still are less used, because they are often less flexible to be adapted to situations that have not already been parameterized before. Furthermore, USLE is a model used on differentiated spatial scales. Another advantage in the use of RUSLE is related to its flexibility, as it is always possible to set this equation to adapt it to the environment to be analysed. On the basis of the above mentioned considerations RUSLE model has been used in the present research. The main reason of this choice is that RUSLE has a more flexible data processing system. A further reason is the acquired experience in the application of RUSLE both on local and continental scale. On the contrary, it is useful to highlight that, as already mentioned, the RUSLE model has been designed mainly for agricultural terrains. Its application in Alpine areas could hence lead to a coarse estimation, from a quantitative point of view, of water erosion processes. However, it is necessary to take into account that our main objective is the assessment of the soil erosion in relation to climate change. “Action Plan on Climate change in the Alps” adopted by Parties of the Conference of the Alps on 12th March 2009 at the 10th session of the Alpine Conference. Soil Erosion in the alpine area 2. Study area The study area is represented by the countries parties of the Alpine Convention, as show in the figure 1. The Alpine total area is more than 25 million of hectares. The geomorphology of the Alps is characterized by steep slopes (with a mean of about 30%) and altitudes ranging from 0 to more than 4800 meters (Mont Blanc with 4810 meters is the highest mountain), with an average peak height of approximately 1000 meters. 3. Methodology 3.1. Input data and factors RUSLE estimates erosion by means of an empirical equation: (1) A= R×K×L×S×C×P where: A= (annual) soil loss (t ha-1 yr-1); R= rainfall erosivity factor (MJ mm ha-1 h-1 yr-1); K= soil erodibility factor (t ha h ha-1 MJ-1 mm-1); L= slope length factor (dimensionless); S= slope factor (dimensionless); C= cover management factor (dimensionless); P= human practices aimed at erosion control (dimensionless). 2 Fig. 1 - Study area. Fig. 1 - Area di studio. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 119-125 121 As spatial information regarding human practices aimed at protecting soil from erosion was not available, the P factor was set 1 and, actually, it has not considered. 3.2. Rainfall-runoff The RUSLE rainfall erosivity factor (R) indicates the climatic influence on the erosion phenomenon through the mixed effect of rainfall action and superficial runoff. The R factor for any given period is obtained by summing, for each rainstorm, the product of total storm energy (E) and the maximum 30 minutes intensity (I30) (Wischmeier 1959). Unfortunately, these data are rarely available at standard meteorological stations. The rainfall erosivity factor probably is, among the different components of the soil loss equation, one of the most difficult to derive, above all because rainfall data with adequate high temporal resolution are very difficult to obtain over large areas. Rainfall data we could collect are not enough detailed to apply Wischmeier’s procedure to compute R factor over the whole alpine space. This is the reason because simplified formulas, with lower temporal resolution, were applied. There are limited applications of these formulas at the Alpine level and there is no consensus on which are the most appropriate algorithms to determine R factor instead of the EI30 in the Alpine zone. Hence, a statistical analysis was carried out to estimate the degree of correlation (Correlation Coefficient [R2] and Root Mean Square Error [RMSE]) between R factor values 9000 L o: computed by means of EI30 or using the most commonly used simplified formulas (Arnoldus 1980; Arnoldus 1977; Renard & Freimund 1994; Lo et al. 1985; Yu & Rosewelt 1996; Ferrari et al. 2005). The analysis was carried out on rainfall data with high temporal resolution available for 42 meteorological stations in Veneto region, inside the Alpine territory. Data were supplied by ARPAV (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto). With the aim of computing the correlation between the simplified formulas and Wischmeier’s R factor, Pearson (r) correlation coefficient was used. Looking at data distribution (Fig. 2), it comes out that all simplified formulas analysed over or under-estimate R factor. Among all the other, with growing over or underestimations at higher R values, Lo et al. (1985) equation shows a systematic over-estimation. The Lo et al. formula shows the highest R2 and among the lowest RMSE values. Compared to Lo’s equation, Arnoldus (1980) formula, that is the wide used equation, shows a lower RMSE value but its R2 is inferior and its trend inconstant: the higher are R (EI30) values, the higher are the errors. The maximum error caused by Arnoldus is higher than the one using Lo’s equation. We decided hence to apply the Lo et al. equation to calculate the R factor of the RUSLE. Ideally, none of the formulas we tested can be considered suitable for a quantitative estimation of erosion on the Alpine territory. Unfortunately, the lack of data with adequate resolution got us to apply the best one among them. y = 1,246x - 3684 R ² = 0,879 A rnoldus _lin 8000 A rnoldus _es p 7000 R enard_P R - E I30 6000 R enard_F Lo 5000 Yu 4000 F err_lin 3000 F err_es p 2000 B is ec tor L ineare (L o) 1000 0 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000 Fig. 2 - Comparison between R factor values obtained with EI30 method and simplified formulas. Fig. 2 - Confronto tra il fattore R calcolato utilizzando l’EI30 ed ottenuto tramite l’utilizzo di formule semplificate. 122 Bosco et al. The rainfall measurement data we used to determine rainfall erosivity factor on the whole Alpine space have been provided by the International Centre for Theoretical Physics (ICTP) of Trieste. These data are the output of a prevision model of the climatic change (RegCM, Regional Climate Model), that provides the daily rainfall values for the years 1960-1990 and for the IPCC A2 e B2 (2070-2100) scenarios. RegCM is a 3-dimensional, sigma-coordinate, primitive equation regional climate model. Version 3 is the latest release. The use of climatic modeled data rather than measured data has allowed the data processing in a similar manner for the whole study area and comparison with the modeled climatic data with time series 2070-2100. 3.3. Soil erodibility The soil erodibility factor K indicates the susceptibility of soils to erosion. It is defined as the unit erosion index for the R factor in relation to a standard fallow parcel (22.13 m length; 9% slope). On this basis, the value of factors such as length, slope, cultivation and anti-erosion actions becomes unitary. K is usually estimated using the normograph and formulae that are published in Wischmeier & Smith (1978). While these equations are suitable for large parts of USA, they are not ideally suited for European conditions. Romkens et al. (1986) performed a regression analysis on a world-wide dataset of all measured K-values, from which the following equation was derived (revised in Renard et al. 1997). The equation is based on soil particle size distribution (soil texture). Fig. 3 - Erosion map (t ha-1 yr-1). Fig. 3 - Mappa dell’erosione del suolo (t ha-1 yr-1). Soil Erosion in the alpine area Information on soil surface texture were derived from the 1:1.000.000 Soil Geographical Database of Europe (ESGDB) (Heineke et al. 1998). 3.4. Slope and length The main innovation of the RUSLE model, in comparison with the original model (USLE), is the LS factor. The factor considers the flows convergence and is the result of the combination of the slope (S) and length (L) factors. Many methods have been proposed to improve the calculation of the topographic factor LS, but just in the last ten years a certain accuracy has been reached thanks to the implementation of GIS systems and of digital elevation model (DEM). The L Factor has been substituted by the Upslope Contributing Area (UCA) (Moore & Burch 1986; Desmet & Govers 1996), in order to consider the convergence and divergence of the superficial runoff. The UCA area is where water flows in a given cell of the grid. L and S factors have been determined through GIS procedures carried out using the following relation of Moore & Burch (1986). For the calculation of the LS factor the DEM SRTM (Shuttle Radar Topography Mission) has been used. The resolution of the DEM is of 90 m. 3.5. Soil cover management The soil cover factor represents the influence on soil loss of vegetation. The C factor represents the relation between the soil loss in certain agricultural or cover condi- Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 119-125 tions and the erosion that would be obtained from a standard fallow parcel (bare soil). The evaluation of this factor is difficult, because it always depends on changes in terms of environment, cultivations, agricultural activities, residuals management and on the phenology of the plant in the year. The C factor for a certain soil cover typology may have different values. Due to the lack of detailed information and to the difficulties in processing all factors on a large scale, it is difficult to use RUSLE guidelines to estimate the soil cover parameter. Therefore, the average values of literature have been used for this aim (Suri 2002; Wischmeier & Smith 1978). The necessary data to establish the C parameter have been provided by the Corine Lan Cover project, a European programme aimed at reproducing maps about soil use, analysing the image of the whole Europe provided by satellite. The calculation of the soil cover factor has been processed using the information layer Corine Land Cover 2000 (CLC 2000) third level. The information layer CLC 2000 is not available for the Switzerland. For this area the CLC 1990 has been used. Unfortunately, the hierarchy of the land cover classes and related legends for Swiss CLC 1990 is different from the rest of the Alpine territory. Hence, an intervention aimed at uniforming the data was necessary. To this aim, everything has been traced to the 44 classes of soil use/cover established in the CLC 2000. A C factor value has been assigned to every class, based on literature data. 4. Results and discussion The results of the applied model are expressed as tons/hectares/years (t ha-1 yr-1). As already mentioned due to a systematic overestimation of the R factor, calculated using the Lo’s formula, a qualitative reclassification of the values of soil erosion in 5 classes has been performed. By analyzing erosion values obtained with RUSLE application (1960-1990), it is evident that the Alpine territory is subject to erosion phenomena. According to the classification we adopted, about 20% of the Alpine space shows rather high erosion; nearly 30% shows a middle risk and the remaining 50% a low risk. Nevertheless, due to the extension of the Alpine space it is necessary to carry out a more detailed analysis, linked with geo-litho-morphologic and land use/cover parameters. As it has been previously pointed out, slopes, slope length, pluviometric regime and soil cover play a crucial role in the erosive process. The study area was hence subdivided in some classes of landscapes, with the altitude acting as discriminating agent. Elevation shows, at least in the Alps, strong correlations with the other factors previously mentioned. The Alpine space was therefore subdivided into four elevation zones: - flat areas (< 300 m a.s.l.) - hill areas (300-600 m a.s.l.) - mountain areas (600-2000 m a.s.l.) - high mountain areas (> 2000 m a.s.l.). 123 - - - high erosion rates. The observation of the C factor map allows understanding that in these areas the role of cover vegetation is low, because the most of these areas are represented by arable land. At higher altitudes (300-600 m a.s.l.), the proportion of territory with an erosion rate low or moderate diminishes, whilst nearly 20% of the zone shows a very high erosion rate. This trend is caused by an increase in slopes which produces very high risk levels in areas with poor cover. On the other hand, the presence of wooded areas contributes in keeping high the percentage of territory with low risk level. In the mountain zone, (600-2000 m a.s.l.), the high percentage of forest cover (compared to the lower zones) leads to comparable levels of low or moderate erosion rates similar to that found at lover altitude and to a reduction in the areas with very high soil losses. In the high mountain zone, erosion presents a very particular trend. More than 40% of these areas is not subject to soil losses. Moreover, more than 30% of the remaining territories are interested by high or very high erosion rates. This is easy to explain taking into account the lithology of these areas: at these altitudes the soil is often very thin or bare rocks are present; but in the areas where soils exist, geo-morphologic characteristics, severe rainfalls and often lacking of vegetation cover make them very vulnerable. After all, without further deepening the item, it is possible to assert that Alpine space is, due to its peculiarities, highly vulnerable to erosion risk. But the widespread presence of vegetation cover allows, in a significant part of the territory, to keep it under control and this is the reason because a right management of mountainous region cannot be disregarded. Referring to the Soil Erosion Risk based on climatic data referred to A2 and B2 scenarios (2070-2100), the obtained results are compared with the actual erosion risk. The analysis allowed the definition of soil erosion trends in relation to different scenarios of climate change (Fig. 4). From the analysis some evaluations come out same considerations. By analyzing the data relative to the elevation zones it is possible to highlight the relative significance of the different factors of the model. - In the areas below 300 m a.s.l., more than the 80% of the territory shows low or moderate erosion, but the remaining 20% is characterized by high or very Fig. 4 - Spatial extension of soil erosion classes in the analysed scenarios. Fig. 4 - Estensione spaziale delle classi di erosione del suolo negli scenari analizzati. 124 Bosco et al. From a general comparison between actual soil erosion (1960-1990) and future soil losses (A2 and B2 scenarios: 2070-2100), it is evident that erosion rates remain nearly constant. The spatial extension of the soil erosion classes, in fact, is almost unvaried. Some evidences arise from a spatial analysis of maps defining, for each grid cell, differences between actual erosion data and A2-B2 scenarios. B2 scenario shows a general growth of soil losses over a significant part of the Alpine space. The increase is, however, of low entity. From A2 scenario comes out, instead, a strong distinction between northern and southern Alps. The northern part should experience a low reduction of soil erosion, whilst in the southern areas a rise of soil losses should take place. Ongoing climate change contributes to increase the spatial variability of rainfalls. They should decrease in subtropical areas and increase at high latitudes and in part of the tropical zones. The precise location of boundaries between regions of robust increase and decrease remains uncertain and this is commonly where atmosphere-ocean general circulation model (AOGCM) projections disagree. The Alps are located in this transitional zone. This is the reason because, as a consequence of the expected climate change, a very little variation in soil erosion rates over the Alpine space was predictable. RegCM model, which produced rainfall data used in this study, places the transition zone more southward in B2 than in A2 scenario. Due to this difference in the placement of the transition zone, even though A2 scenario foresees heavier climate change than other scenarios, the B2 scenario shows, over the Alps, higher rainfall rates. This is the reason because in B2 scenario a higher number of areas with high erosion are present. In A2 scenario, moreover, prevailing winds come from the south. This explains the sharp demarcation line between northern and southern Alps and the increase of rainfalls on the southern side. B2 scenario is characterized by a low increment in soil erosion rates, even if some isolated areas present an opposite trend, which is difficult to explain. The investigation of these phenomena requires further analysis, going beyond the aims of this study. They are possibly explainable from a modelling point of view and could be due to non linearity problems, easily coming out at these scales. To justify their origin several models should be used, with the aim of a deeper calibration of results. This is the reason because IPCC derived results of its four report on climate change making use of 20 climate models. As mentioned before, soil erosion trends in the Alpine region are mainly attributable to changes in rainfall regimes. A better estimation of soil losses in climate change scenarios could be assured by evaluating future variations of cover management factor. 5. Conclusions The application of RUSLE over the Alpine territory, moreover, presented huge difficulties mainly due to data availability problems. Unfortunately, there is not a set of data necessary for a strict application of the model and some algorithms have been forced into a simplification in order to adapt them to the data availability. It is the case of R and K factors. Particularly, the simplified equation used for R factor Soil Erosion in the alpine area computation, though preferable to the other available, tends to over-estimate the measured rates of erosivity and makes scarcely meaningful a validation based on measured data. These, and many other uncertainties, propagate throughout the model, resulting in an uncertainty in the estimated erosion rate. Despite these deficiencies and shortcomings, the methodology applied has produced valuable information on Alpine soil erosion processes and on their distribution. The spatial analysis, in fact, has allowed the identification of areas which are likely to experience significant erosion rates. More detailed input data and more sophisticated erosion models might warrant a better quantitative estimation of soil losses due to water erosion. References Arnoldus H.M.J., 1977 - Methodology used to determine the maximum potential average annual soil loss due to sheet and rill erosion in Morocco. FAO Soils Bull., 34: 39-51. Arnoldus H.M.J., 1980 - An approximation of the rainfall factor in the Universal Soil Loss Equation. In: De Boodt and Gabriels: Assessment of erosion. FAO Land and Water Deveopment Division, Wiley & Sons, England: 127-132. Desmet P.J.J. & Govers G., 1996 - A gis procedure for automatically calculating the USLE LS factor on topographically complex landscape units. J. Soil Wat. Cons., 51: 427-433. Ferrari R., Pasqui M., Bottai L., Esposito S. & Di Giuseppe E., 2005 - Assessment of soil erosion estimate based on a high temporal resolution rainfall dataset. 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Nat., 85 (2009): 127-135 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto Gianluca Filippa*, Michele Freppaz & Ermanno Zanini Chimica Agraria e Pedologia, Laboratorio Neve e Suoli Alpini, Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali, Università di Torino,Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (TO), Italia * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] Riassunto - Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto - Questo lavoro riporta i risultati di una serie di esperimenti condotti su suoli alpini, con particolare attenzione alle più recenti tecniche per la misurazione di emissioni gassose, in particolare di protossido di azoto (N2O) dal suolo sotto il manto nevoso, e agli effetti di un ridotto innevamento sul ciclo dell’azoto (N) nel suolo. I flussi invernali di N2O sono stati misurati in modo continuo durante due stagioni invernali in un Inceptisuolo nelle Montagne Rocciose (Colorado, US). Sono state misurate emissioni significative di N2O durante l’intera stagione invernale, con un picco massimo al disgelo primaverile e un calo significativo nelle settimane successive. In questo sito, le emissioni invernali contribuiscono per circa il 20% alle emissioni annue di N2O. L’effetto di una mancanza di neve al suolo è stato valutato in condizioni controllate in due entisuoli delle Alpi Occidentali (Valle d’Aosta). Si è visto che una carenza di neve al suolo causa un aumento di cicli gelo/disgelo nel suolo e contribuisce ad aumentare il pool di N potenzialmente lisciviabile. Una stima quantitativa dei pool di N nel suolo e delle loro trasformazioni sotto il manto nevoso nell’ampio range di ecosistemi coperti da un manto nevoso stagionale rappresentano fattori chiave per la comprensione del ciclo globale del N, specialmente nell’ottica di un cambiamento climatico. Summary - Soil and snow in Alpine environment: effects on the nitrogen dynamics - This paper reports results from experiments conducted on alpine soils, with emphasis on the most recent techniques for measuring gaseous emissions (in particular nitrous oxide, N2O) from soil through the snowpack, and on the effect of a reduction of snow cover on soil nitrogen (N) dynamics. Winter N2O fluxes were measured continuously through two winter seasons from an Inceptisol in the Rocky Mountains (Colorado, US). Significant N2O fluxes occurred throughout the winter. The seasonal pattern showed a peak in emissions at the snowmelt and a subsequent drop. Winter N2O fluxes contribute 20% to the yearly emissions at this site. The effect of a reduction of snow cover was evaluated under controlled conditions in two Entisols in the western Italian Alps (Aosta Valley). A lack of snow cover results in an increase in freeze/thaw cycles and contributes to increase the amount of potentially leachable N in soil. Quantitative estimates of soil N pools and transformations during the winter in the broad range of seasonally snow-covered ecosystems are a key factor for the understanding of global N cycle under current and changing climatic conditions. Parole chiave: biomassa microbica, cambiamento climatico, nitrati, Montagne Rocciose, Valle d’Aosta Key words: microbial biomass, climate change, nitrate, Rocky Mountains, Aosta Valley 1. Introduzione Negli ultimi due decenni la comunità scientifica ha compiuto significativi passi verso la comprensione di alcuni dei meccanismi che sottendono ai cicli biogeochimici nel suolo in ambienti coperti stagionalmente da un manto nevoso. È stato dimostrato che un manto nevoso di sufficiente spessore (30-60 cm) accumulatosi presto nella stagione invernale è in grado di impedire il congelamento del suolo, indipendentemente dalla temperatura dell’aria (Taylor & Jones 1990; Brooks et al. 1995; Stadler et al. 1996; Brooks & Williams 1999; Shanley & Chalmers 1999). L’azione di riscaldamento deriva dall’elevato potere isolante del manto nevoso, in grado di rallentare il flusso geotermico (Cline 1995). Questo fenomeno determina l’instaurarsi di un ambiente favorevole all’attività biologica, che può protrarsi per molti mesi durante la stagione fredda (Massman et al. 1995; Brooks et al. 1996; Hénault et al. 1998; Saarnio et al. 1999; Teepe et al. 2001). Le emissioni di gas biogenici, come CO2 e N2O, sotto il manto nevoso possono essere anche molto significative e raggiungere, nel bilancio annuale di emissione, anche il 20-50% (Mosier et al. 1993; Sommerfeld et al. 1993; Winston et al. 1995; Brooks et al. 1996; Filippa et al. 2009; Liptzin et al. 2009). Di conseguenza, il ciclo dell’azoto (N) così come i cicli biogeochimici di altri elementi risultano fortemente influenzati dalla presenza stagionale del manto nevoso. La distribuzione della copertura nevosa è estremamente sensibile ai cambiamenti climatici in atto (Cooley 1990; Williams et al. 1996; Baron et al. 2000) e una sua riduzione potrebbe rappresentare uno degli effetti più importanti indotti dal riscaldamento globale nelle aree forestali dell’Emisfero Nord. I dati da satellite hanno evidenziato una riduzione della superficie innevata di circa il 10% a partire dagli anni Sessanta, mentre la temperatura media nel corso del Ventesimo secolo è aumentata di 0,6±0,2 °C (IPCC 2001). In particolare, i modelli di previ- 128 Filippa et al. sione ipotizzano un’ulteriore diminuzione della copertura nevosa nei prossimi anni, dovuto ad un incremento delle temperature medie stimato fra 1,4 e 5,8 °C entro il 2100, con un valore probabile di 2,5 °C (IPCC 2001). Nelle regioni di montagna, un aumento della temperatura media di 1 °C comporta un innalzamento di circa 150 m del limite delle nevicate (Haeberli & Beniston 1998). Di conseguenza, le aree montane a quote più basse saranno interessate con sempre maggiore frequenza da precipitazioni piovose anche nel corso dell’inverno (Beniston 2003), con una riduzione complessiva della superficie innevata nella stagione invernale che per le Alpi Svizzere è stata stimata del 25%, se si ipotizza un incremento della temperatura di 3 °C (Beniston et al. 2003). Altri studi prevedono per le Alpi francesi una significativa riduzione dello spessore e della permanenza della neve al suolo a quote inferiori ai 1500 m s.l.m., in particolare nei settori più meridionali (Martin & Durand 1998). L’effetto di una mancanza di neve al suolo, o di una differente distribuzione temporale delle nevicate, determina sui suoli un effetto non lineare, complesso e caratterizzato da potenziali feedbacks difficili da identificare. Al fine di ottenere valutazioni quantitative su tali effetti, molti ricercatori hanno manipolato i regimi dell’accumulo di neve al suolo, ad esempio rimuovendola (Groffman et al. 2001; Decker et al. 2003; Freppaz et al. 2008), o sfruttando la ridistribuzione della neve da parte del vento, con apposite strutture (Williams et al. 1998; Nobrega & Grogan 2007), o ancora modificando la densità del manto nevoso (Rixen et al. 2008). I risultati di questi esperimenti concordano nell’indicare che una diminuzione delle precipitazioni nevose determina stagioni invernali più brevi, suoli generalmente più freddi (Groffman et al. 2001) e cicli gelo/disgelo più frequenti (Freppaz et al. 2008). Tuttavia, gli effetti di queste simulazioni sulla dinamica dei nutrienti, e in particolare dell’N, sono tutt’altro che chiare: si è visto che una riduzione/rimozione del manto nevoso può determinare una più rapida mineralizzazione dell’N nel suolo (Grogan et al. 2004; Edwards et al. 2007; Freppaz et al. 2008) e più elevate emissioni di N2O legate ad un numero maggiore di cicli gelo/disgelo (Sharma et al. 2006), ma in alcuni casi ha sortito effetti opposti, provocando un rallentamento dei tassi di mineralizzazione dell’N (Walker et al. 1999; Schimel et al. 2004) e una diminuzione delle emissioni di N2O (Goldberg et al. 2008), rendendo difficile trarre conclusioni generali. Questo lavoro riporta i risultati di una serie di esperimenti condotti su suoli alpini, con particolare attenzione alle più recenti tecniche per la misurazione di emissioni gassose dal suolo sotto il manto nevoso (in particolare, di N2O) e agli effetti di un ridotto innevamento sul ciclo dell’N nel suolo. 2. Emissioni invernali di N2O da suoli coperti dal manto nevoso 2.1. La snow flux tower La misura di emissioni gassose in ambiente alpino durante l’inverno è fortemente condizionata da problemi di natura logistica e tecnica. Dal punto di vista logistico, i siti Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo di studio sono normalmente difficili da raggiungere, specialmente con la strumentazione necessaria per misurare le emissioni gassose. Dal punto di vista tecnico, l’utilizzo delle tradizionali camere (Martikainen et al. 1993; Alm et al. 1999) è sconsigliato a causa delle caratteristiche porose della neve, che non permettono di realizzare un disegno a camere chiuse. Il sistema a camere è composto da un collare posto sul suolo sul quale viene posizionato un coperchio che garantiscae l’accumulo, nello spazio interno alla camera, di un eventuale gas prodotto nel suolo. La velocità di accumulo del gas è funzione del flusso dello stesso dal suolo all’atmosfera. La misura di emissioni gassose attraverso il manto nevoso è stata affrontata negli ultimi anni applicando il metodo a diffusione introdotto da Sommerfeld et al. (1993). Tale metodo è basato sulla diffusione di un gas attraverso un mezzo poroso (I legge di Fick): (1) JN2O= -DN2O (dCN2O/dz) in cui JN2O (mol m-2 s-1) è il flusso di gas che si intende misurare, DN2O (m2 s-1) è la diffusività di tale gas che dipende dalle caratteristiche del gas (Massman 1998) e del mezzo poroso (tortuosità e porosità, stimate dalla misura della massa volumica della neve (Seok et al. 2009)); dCN2O/dz (mol m-3 m-1) è il gradiente di concentrazione a determinate altezze all’interno del manto nevoso. Utilizzando questo metodo, per calcolare i flussi di tale gas è sufficiente misurare la concentrazione di un gas a determinate altezze all’interno del manto nevoso e la massa volumica del manto stesso. Si tratta dell’unico metodo in grado di garantire un campionamento virtualmente indisturbato, poiché il disturbo al mezzo poroso attraverso il quale il gas si diffonde risulta minimo. Il metodo a diffusione è stato implementato nelle Montagne Rocciose del Colorado (Niwot Ridge, un sito LTER) attraverso l’impiego di una torre (Fig. 1) denominata snow flux tower, composta da 8 bracci equipaggiati da un sistema di tubi che conducono il campione gassoso agli strumenti di misura. Intorno alla torre il manto nevoso si accumula senza alcun disturbo e il sistema di campionamento automatizzato permette di misurare la concentrazione di N2O a 8 altezze del manto nevoso, in modo continuo durante l’intera stagione invernale (Fig. 2). Il sito LTER in cui si è svolto questo esperimento è descritto in dettaglio in altre pubblicazioni (per esempio in Williams et al. 1996; Caine 1995). I suoli in esame sono Typic Humicryept sabbiosi (Soil Survey Staff 2006), con pH di 4,6-5,0 e un orizzonte A contenente 150-190 g kg-1 di C organico e 11-22 g kg-1 N (Brooks et al. 1995). La snow flux tower è stata utilizzata per stimare la bontà della tecnica stessa, inclusa una valutazione dell’accuratezza, dei potenziali errori associati alla misurazione manuale di densità e altezza del manto nevoso, e della possibile influenza di fattori abiotici come la presenza del vento nella stima dei flussi (Seok et al. 2009). Inoltre, la tecnica è stata impiegata per la misurazione dei flussi invernali di CO2 (Liptzin et al. 2009), di N2O e NOx (Filippa et al. 2009), per un’analisi delle distribuzioni e delle trasformazioni nel manto nevoso di O3, NO e NO2 (Helmig et al. 2009). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135 129 Fig. 1 - Immagine della snow flux tower, con particolari dei filtri utilizzati all’ingresso dei tubi di campionamento e della torre coperta dal manto nevoso. Fig. 1 - Picture of the snow flux tower, syringe filters set at the inlet of the tubing system and the snow tower covered by snow. 2.2. Fig. 2 - Diagrammi dei profili di concentrazione di N2O (ppb) lungo il manto nevoso durante le stagioni invernali 2006 e 2007. La linea nera rappresenta l’altezza raggiunta dalla neve. Fig. 2 - Concentration profiles of N2O concentrations along the snowpack during winters 2006 and 2007. The black line depicts the snow height. Strumenti e apparecchiature Il sistema di campionamento, le sue componenti e gli strumenti utilizzati sono descritti altrove (Seok et al. 2009). Nel presente lavoro ci soffermeremo sulle strumentazioni utilizzate per la misura dei flussi di N2O, che sono stati caratterizzati per due anni consecutivi (2006, 2007). Il N2O è stato misurato con un gascromatografo (GC) con rivelatore a cattura di elettroni (ECD) (Shimadzu GC-8AIE, Shimadzu Scientific Instruments, Columbia, Maryland, USA). I campioni di aria provenienti dal manto nevoso passano attraverso un filtro composto da un tubo riempito di ascarite per la rimozione della CO2. La colonna utilizzata è una Porapac Q (Supleco, Sigma-Aldrich, St. Louis, Missouri, USA). Il carrier gas è una mistura di Argon-Metano (95% argon, 5% metano). Il GC opera in condizioni di isotermia a 75 °C e la temperatura del rivelatore è di 330 °C. Il sistema di campionamento è completamente automatizzato e ogni notte viene effettuata una calibrazione con tre standard (320, 408 e 485 ppbv N2O). Le temperature dell’aria, della neve e del suolo sono state misurate attraverso termocoppie tipo E (Omega Engineering, Inc., Stamford, Connecticut, USA); la pressione atmosferica è stata rilevata con un barometro CS105 130 Filippa et al. Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo Vaisala PTB101B (Campbell Scientific, Logan, Utah, USA) in una stazione meteorologica posta a 10 m di distanza dalla snow flux tower; l’umidità del suolo con quattro riflettometri CS616-L (Campbell Scientific, Logan, Utah, USA) ad una profondità integrata da 0-30 cm dalla superficie del suolo. 2.3. Emissioni invernali di N2O Il sito oggetto di studio è caratterizzato da una stagione invernale di 6/7 mesi. In quel periodo la neve si accumula fino ad un’altezza di circa 2 m. Le numerose ricerche condotte in questo ecosistema hanno dimostrato che i cicli biogeochimici di molti elementi, tra cui C, N e P, sono fortemente legati alla presenza del manto nevoso stagionale (Brooks & Williams 1999). La figura 3 mostra l’andamento stagionale dei flussi di N2O misurati durante le due stagioni invernali. Nel 2006, a metà inverno, i flussi di N2O crescono gradualmente da 0,020 a 0,090 nmol m-2 s-1. Successivamente, mantengono intono a 008 nmol m-2 s-1 e decrescono durante la fusione del manto nevoso. Nel 2007, il loro massimo stagionale si registra nei primi giorni di maggio (giorno 128), all’inizio della fusione del manto nevoso. Il picco coincide con l’aumento della temperatura dell’aria, che determina un episodio significativo di fusione del manto nevoso. Pochi giorni dopo questo picco massimo, i flussi diminuiscono bruscamente e si mantengono prossimi allo 0 per il resto della stagione invernale. Il flusso stagionale di N2O risulta significativamente maggiore nel 2006 (0,069 nmol m-2 s-1) rispetto al 2007 (0,047 nmol m-2 s-1, p< 0,001), mentre la produzione di N2O si mantiene su livelli significativi duran- te l’intera stagione invernale. I flussi istantanei di N2O dal suolo indagato sono confrontabili con quelli riportati per ecosistemi molto più produttivi, come praterie fertilizzate (Mosier et al. 1993) o ecosistemi forestali caratterizzati da un rapido turnover dell’azoto (Groffman et al. 2006). Inoltre, la durata della stagione invernale (~7 mesi) fa sì che i flussi stagionali di questo sito (0,24-0,34 kg N ha-1) siano tra i più elevati riportati in letteratura per la stagione invernale. Nel bilancio annuale delle emissioni di N2O in questo sito, il contributo invernale è del 20% (Filippa et al. 2009). 2.4. Fattori che controllano i flussi invernali di N2O La figura 3 mostra come i flussi di N2O siano estremamente variabili anche nel breve periodo (giorni, ore). La temperatura del suolo, pressoché costante e intorno agli 0 °C, fa supporre che altri fattori controllino i flussi. Parte della variabilità giornaliera e nel breve periodo è stata ricondotta all’effetto del vento (wind pumping effect), che determina variabilità nei gradienti di concentrazione (Seok et al. 2009). Il graduale incremento nelle emissioni di N2O che si osserva nella fase centrale della stagione invernale invece è associato ad un corrispondente incremento nell’umidità del suolo. Questo stesso pattern caratterizza anche le emissioni di CO2 dallo stesso sito (Liptzin et al. 2009), suggerendo che gli stessi parametri che controllano l’emissione di N2O esercitano un controllo sulla respirazione (Filippa et al. 2009). Il picco che si osserva a fine stagione è associato ad un forte incremento di umidità nel suolo, legato al massimo fenomeno di fusione del manto nevoso, che determina 1) 0,18 0,16 2006 0,14 2007 0,12 nmol m s -2 -1 0,1 0,08 0,06 0,04 0,02 0 -0,02 -0,04 -30 0 30 60 90 120 tempo (giorni) Fig. 3 - Andamento stagionale delle medie giornaliere di emissioni di N2O durante le stagioni invernali 2006 e 2007. Fig. 3 - Seasonal pattern of daily N2O emissions during winters 2006 and 2007. 150 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135 condizioni redox più favorevoli al processo di denitrificazione e 2) un input di nitrati provenienti dalla fusione del manto nevoso che stimolano la denitrificazione. Il calo nell’emissione di N2O che si osserva dopo il massimo stagionale è un risultato finora inedito e potrebbe essere stato causato da 1) un ulteriore incremento nel contenuto d’acqua del suolo, che ha determinato condizioni redox favorevoli al processo di denitrificazione completa, con riduzione in situ dell’N2O a N2 o da 2) una mancanza di NO3- disponibile per la denitrificazione o ancora da 3) un declino delle popolazioni batteriche invernali a scapito di nuove popolazioni che si instaurano al momento della fusione del manto nevoso. La mancanza di NO3- potrebbe essere dovuta a processi di immobilizzazione dello stesso, che viene organicato dai microorganismi. Questa ipotesi è confermata da uno studio condotto nello stesso sito, il quale ha dimostrato che la forma di N maggiormente presente nella soluzione del suolo alla fine dell’inverno era azoto organico disciolto (Williams et al. 2009). Il processo di immobilizzazione microbica di NO3- è stato invocato come efficace meccanismo di ritenzione dell’N nel suolo in numerosi studi condotti in ecosistemi coperti dal manto nevoso stagionale (Williams et al. 1996; Brooks & Williams 1999; Bilbrough et al. 2000). Il declino di popolazioni microbiche tipicamente invernali e la formazione di nuove popolazioni batteriche adatte alle condizioni del suolo non coperto da manto nevoso è un fenomeno ancora dibattuto, ma documentato da numerosi studi: Schadt et al. (2003) e Monson et al. (2006), ad esempio, hanno dimostrato che in suoli di tundra alpina le comunità microbiche sotto il manto nevoso sono filogeneticamente e fisiologicamente distinte da quelle che colonizzano il suolo durante la stagione vegetativa; inoltre uno shift della popolazione microbica al momento della fusione del manto nevoso è stato ipotizzato in studi condotti in ambienti molto simili a quello qui investigato (Lipson et al. 2000; Schmidt & Lipson 2004). Le elevate concentrazioni di azoto organico disciolto possono quindi essere imputate alla morte e conseguente lisi delle cellule microbiche della popolazione invernale. Allo stesso tempo, le nuove popolazioni microbiche in fase di accrescimento possono aver determinato il rapido consumo del nitrato del suolo, la cui bassa concentrazione agisce come fattore limitante la denitrificazione. La misura in continuo di emissioni gassose attraverso il manto nevoso permette di ottenere stime estremamente precise delle emissioni stagionali. Un campionamento continuo è risultato inoltre essenziale per identificare picchi di emissione e per una corretta valutazione dei parametri che controllano la variabilità giornaliera e stagionale delle emissioni di N2O da questo sito. 3. Effetti di una riduzione delle precipitazioni nevose sulla dinamica dell’azoto nel suolo L’effetto di una riduzione delle precipitazioni nevose è stato valutato attraverso un esperimento di rimozione del manto nevoso su entisuoli (Soil Survey Staff 2006) a differenti coperture (lariceto e parto pascolo) a 1450 m s.l.m., sulle Alpi italiane. 131 3.1. Disegno sperimentale e metodologia Per valutare l’effetto di una mancanza del manto nevoso su suoli dell’ambiente montano è stata utilizzata la tecnica della rimozione del manto nevoso. L’esperimento è stato condotto sotto due differenti coperture, un lariceto pascolato (lariceto) e un prato-pascolo terrazzato (prato), nel sito LTER di Fontainemore (AO). Ciascuno dei due siti sperimentali era composto da due aree di superficie pari a 100 m2 ciascuna. In una parcella la naturale precipitazione nevosa è stata lasciata indisturbata nel corso dell’inverno (C: controllo). Nell’altra parcella (T: trattamento) la neve è stata rimossa periodicamente. In ciascuna parcella il topsoil (0-10 cm) è stato incubato utilizzando la buried bag technique (Schmidt et al. 1999), con quattro replicazioni. Questa tecnica di incubazione in campo è particolarmente valida per stimare le trasformazioni a carico delle forme di N in suoli freddi (Eno 1960). La temperatura del suolo è stata monitorata in entrambe le parcelle con dataloggers UTL-1. L’intero esperimento (inclusa la rimozione del manto nevoso, l’incubazione del suolo e il monitoraggio della temperatura) è stato condotto da ottobre 2003 a marzo 2004. Nei campioni di suolo sono state determinate le forme di N estraibili in K2SO4 0,05 M: ammonio (NH4+), nitrato (NO3-), azoto organico disciolto (DON) e azoto della biomassa microbica (Nmicr). Le tecniche analitiche utilizzate sono riportate in pubblicazioni precedenti (Freppaz et al. 2008). Nitrificazione, ammonificazione, produzione di DON e immobilizzazione nette sono state calcolate per differenza tra le concentrazioni delle forme di N (rispettivamente NO3-, NH4+, DON e Nmicr) dei campioni finali (marzo 2004) e iniziali (ottobre 2003). 3.2. Effetti sulla temperatura del suolo La rimozione del manto nevoso ha determinato una significativa riduzione della temperatura del topsoil sia nel lariceto sia nel prato. In particolare, la temperatura del suolo nella parcella sperimentale C non è mai scesa sotto gli 0 °C durante l’inverno, mentre nei plot T la temperatura ha raggiunto i -4,3 e -4,5 °C, rispettivamente nel lariceto e nel prato. Inoltre, la temperatura del suolo nelle aree T è stata soggetta a fluttuazioni giornaliere anche di 2 °C, mentre nei plot C le fluttuazioni giornaliere sono risultate < 0,1 °C (Fig. 4). 3.3. Effetti sulla dinamica del N Nel suolo del lariceto, ammonificazione e nitrificazione netta sono risultate entrambe positive, sia nell’area C sia nell’area T (Fig. 5). La rimozione del manto nevoso ha determinato un incremento nell’ammonificazione netta, ma nessun effetto sulla nitrificazione, sull’immobilizzazione e sul contenuto di DON. Nel suolo sotto prato, la parcella C è risultata caratterizzata da una ammonificazione netta negativa e una nitrificazione netta positiva. La rimozione del manto nevoso (T) ha determinato un incremento significativo di ammonificazione e nitrificazione netta (Fig. 5). Analogamente a quanto rilevato sotto larice, il trattamento non sembra aver avuto effetto sulle dinamiche del DON e del Nmicr. In entrambi i pedoambienti e indipendentemente dai trattamenti, si è osservato un decremento di Nmicr e un 132 Filippa et al. Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo 12,0 C: controllo T: trattamento aria 10,0 8,0 6,0 Temperatura (°C) 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 -6,0 -8,0 23/10/03 22/11/03 22/12/03 21/01/04 20/02/04 21/03/04 20/04/04 Tempo (giorni) Fig. 4 - Temperature orarie del suolo e dell’aria registrate sotto lariceto tra il 24 febbraio e il 3 marzo 2004. Linea nera: temperature dell’aria; linea grigio scuro: temperatura del topsoil nel plot di controllo (C); linea grigio chiaro: temperatura del topsoil nel plot in cui la neve è stata rimossa (T). Fig. 4 - Hourly soil and air temperatures recorded under Larch between February 24th and March 3rd 2004. Black line: air temperature; dark grey line: topsoil temperature in the control plot (C); light grey line: topsoil temperature in the plot where the snow was removed (T). 12 B 10 8 B mg N kg -1 6 A A 4 2 0 -2 Lariceto Prato -4 -6 -8 C: controllo T: trattamento Fig. 5 - Ammonificazione (A) e nitrificazione (B) nette (mg N kg suolo-1) misurate nei topsoils di lariceto e prato. Gli asterischi indicano differenze significative (p< 0,05) tra i due trattamenti (C e T). Fig. 5 - Net ammonification (A) and nitrification (B) (mg N kg soil-1) measured in topsoils under larch and meadow. Asterisks denote significant differences (p< 0,05) between treatments. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135 incremento di DON nel corso dell’incubazione (ottobremarzo). L’incremento della mineralizzazione netta sotto entrambe le coperture per effetto della rimozione della neve indica che una mancanza di copertura nevosa potrebbe determinare un incremento di forme inorganiche di N, potenzialmente lisciviabili, nel suolo. L’incremento del N inorganico nel suolo non sembra dipendere dalla biomassa microbica o dalla mineralizzazione di DON, come evidenziato dall’assenza di effetti legati alla manipolazione del manto nevoso. Di conseguenza, l’incremento di N inorganico potrebbe essere determinato dal rilascio di N prima non disponibile, potenzialmente occluso dalla sostanza organica, e rilasciato grazie alla distruzione fisica degli aggregati per effetto dei cicli gelo/disgelo che hanno caratterizzato la stagione invernale nei plot T. Questa interpretazione è in accordo con quanto riportato da studi precedenti (Bauhus & Bartel 1995; Raubuch & Joergensen 2002; Freppaz et al. 2007). L’assenza di un effetto trattamento sulla biomassa microbica potrebbe essere ricondotta alle condizioni che s’instaurano nel suolo delle parcelle T. La rimozione della neve ha infatti determinato temperature sotto gli 0 °C, con minimi di -4 °C circa. Tali condizioni sono state descritte come mild-freezing (Groffman et al. 2001), vale a dire condizioni in cui il suolo è gelato ma la temperatura rimane prossima agli 0 °C. In alcuni siti sperimentali, le condizioni climatiche fanno sì che in caso di mancata copertura nevosa si raggiungano temperature del suolo tra -6 e -10 °C (Brooks et al. 1997; Lipson et al. 2000). In tali siti, le basse temperature raggiunte determinano un effetto più rilevante sulla biomassa microbica. Il decremento del Nmicr durante la stagione invernale potrebbe indicare un declino delle popolazioni microbiche invernali. Tale ipotesi è in accordo con quanto riportato da Lipson et al. (2000), i quali hanno concluso che una mancanza di substrato respirabile potrebbe essere alla base del declino delle popolazioni microbiche invernali, e risulta in accordo anche con quanto concluso nella prima parte del presente lavoro (cfr. § 2). L’incremento di DON durante l’inverno potrebbe altresì indicare che la lisi delle cellule microbiche che costituiscono la popolazione invernale può arricchire il pool di DON del suolo. L’immobilizzazione di forme inorganiche di azoto e il conseguente rilascio di DON in seguito a lisi è in accordo con quanto riportato nella prima parte di questo lavoro (cfr. § 2). 4. Conclusioni La presenza di un manto nevoso stagionale influenza il regime termico del suolo e ha una diretta influenza sul ciclo del N. Un manto nevoso di sufficiente spessore che si accumula presto nella stagione invernale determina un ambiente favorevole all’attività biologica nel suolo. Ciò si traduce in significative e continue emissioni di N2O dal suolo, che possono contribuire per il 20% al N2O emesso su base annua. L’attività biologica determina inoltre una significativa mineralizzazione dell’azoto e un consumo della frazione di C più labile. Il periodo di fusione del manto nevoso rappresenta un momento chiave nel ciclo biogeochimico del N in suoli coperti stagionalmente da un manto nevoso. L’aumento repentino di umidità e l’input di 133 N che derivano dalla fusione della neve sono responsabili di un picco massimo nella produzione di N2O. Il repentino cambiamento delle condizioni pedoambientali durante la fusione del manto nevoso, unitamente ad una carenza di substrato respirabile, possono determinare un declino delle popolazioni microbiche invernali. Inoltre, meccanismi di immobilizzazione di N inorganico e di lisi cellulare associati al declino delle popolazioni microbiche possono determinare un rilascio di DON nel suolo. Una carenza di neve al suolo, provocata dal cambiamento climatico globale, può causare un aumento di cicli gelo/disgelo, responsabili del rilascio di forme labili di N prima non disponibili, contribuendo ad aumentare il pool di N potenzialmente lisciviabile. In caso di condizioni climatiche più estreme di quelle qui riportate (a quote più elevate o in climi più continentali), l’effetto di distruzione fisica degli aggregati può essere accompagnato da un effetto diretto delle basse temperature sulla popolazione microbica del suolo. Questo studio conferma che le trasformazioni a carico dell’azoto nel suolo durante la stagione invernale possono in alcuni casi essere maggiori di quelle che avvengono durante la stagione vegetativa. Una stima quantitativa dei pool di N nel suolo e delle loro trasformazioni sotto il manto nevoso nell’ampio range di ecosistemi coperti da un manto nevoso stagionale rappresentano dunque fattori chiave per la comprensione del ciclo globale del N. 5. Ringraziamenti Lo studio è stato finanziato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali, Servizio Aree Protette, e dalla Riserva Naturale Mont Mars, Comune di Fontainemore. 6. Bibliografia Alm J., Saarnio S., Nykanen H., Silvola J. & Martikainen P.J., 1999 - Winter CO2, CH4 and N2O fluxes on some natural and drained peatlands. Biogeochemistry, 44: 163-199. Baron J.S., Hartman M.D., Band L.E. & Lammers R.B., 2000 Sensitivity of a high elevation Rocky Mountain watershed to altered climate and CO2. Water Resour. Res., 36: 89-99. Bauhus J. & Barthel R., 1995 - Mechanisms for carbon and nutrient release and retention in beech forest gaps. II. The role of soil microbial biomass. Plant Soil, 168/69: 585-592. Beniston M., 2003 - Climatic change in mountain regions: a review of possible impacts. Climatic Change, 59: 5- 31. 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Nat., 85 (2009): 137-140 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera) Mauro GOBBI Sezione di Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italia * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] RIASSUNTO - Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera) - Il presente lavoro descrive gli effetti delle caratteristiche fisico-chimiche del suolo e della sua gestione da parte dell’uomo sulle comunità di Coleotteri Carabidi (Insecta: Coleoptera). I coleotteri carabidi sono insetti epigei geofili la cui distribuzione spaziale e i cui caratteri morfo-ecologici (es. morfologia alare, dieta e lunghezza del corpo) sono fortemente influenzati dai parametri fisici (es. umidità, temperatura) e chimici (es. pH, concentrazione di metalli pesanti) dei suoli. Questo rende tali insetti indicatori degli effetti dei cambiamenti ambientali (es. riscaldamento dei suoli, gestione e inquinamento) sui suoli e sulle forme di humus. Il declino che la biodiversità di carabidi ha avuto nell’ultimo secolo in Europa e il ruolo di questi coleotteri come predatori di insetti infestanti e come prede di molti vertebrati rende prioritaria la conoscenza della loro distribuzione spaziale in relazione alle attività antropiche. Di conseguenza un approccio pedo-zoologico è fortemente raccomandato per valutare e monitorare gli effetti delle attività antropiche sugli ecosistemi. SUMMARY - Influence of soil characters and land use on the ground beetle (Insecta: Coleoptera) communities - This paper describes the effects of physico-chemical soil characters and land use on the ground beetle (Coleoptera: Carabidae) communities. Carabid beetles are epigean geophylous insects whose spatial distribution and morpho-ecological adaptation (e.g. wing morphology, diet and body length) is strongly influenced by the physical (e.g. humidity, temperature) and the chemical (e.g. pH, heavy metal concentration) soil parameters. Therefore, these insects are good indicators of the effects of environmental changes (soil warming, management, pollution etc.) on soils and humus forms. Due to their decline in Europe during the last century and to their role of predators of pest insects, and of prey of many vertebrates, the knowledge about their spatial distribution in relation to the human land use is very important. Therefore a pedo-zoological approach is strongly recommended in the evaluation and monitoring of the effect of human activities on the ecosystems. Parole chiave: fauna edafica, epigeo, geofilo, biodiversità Key words: edaphic fauna, epigean, geophylous, biodiversity 1. PREMESSA Il suolo è una matrice ambientale estremamente complessa e può essere considerato uno degli habitat più ricchi di specie. La micro-, meso- e macrofauna del suolo svolge un ruolo determinante nei processi di degradazione della sostanza organica, garantendo gli equilibri di questo comparto ambientale e la disponibilità di elementi nutritivi. Inoltre, la sua capacità di reagire a perturbazioni anche di lieve intensità la rende un importante indicatore di qualità ambientale (Young et al. 1998; Latella & Gobbi 2008). Per lo studio della fauna edafica, volto alla valutazione della qualità biologica di un suolo, sono stati elaborati negli ultimi vent’anni alcuni indici che prendono in considerazione taxa di microartropodi particolarmente abbondanti nel suolo e sensibili alle sue caratteristiche fisiche e chimiche: tra questi, i Nematodi, i Collemboli e gli Acari (Cenci & Sena 2006). Recentemente anche i Coleotteri Carabidi si sono aggiunti ai taxa considerati utili nel biomonitoraggio della qualità del suolo. Obiettivo del presente contributo è quello di illustrare lo stretto legame che i Coleotteri Carabidi hanno con il suolo e quindi la possibilità di un loro impiego come indicatori della qualità ambientale. 2. I Coleotteri Carabidi I Carabidi (Fig. 1) sono Coleotteri epigei geofili periodici (Menta 2004), ovvero che conducono lo stadio adulto e larvale nella lettiera o nei primi orizzonti del suolo (organici e/o inorganici). Questi insetti usano il suolo durante lo sviluppo larvale come fonte trofica e di rifugio, e durante lo stadio adulto per lo svernamento, l’estivazione e l’ovodeposizione. L’importanza dei Carabidi negli ambienti sia naturali che sottoposti a impatto antropico è notevole, vista la loro ricchezza di specie (in Italia ce ne sono più di 1300) e abbondanza di individui in ogni tipologia di habitat. Tale ricchezza di specie e di individui rispecchia il ruolo fondamentale di tali insetti nella catena trofica. La biodiversità 138 Gobbi Fig. 1 - Carabide appartenente alla specie Carabus auronitens (foto di M. Gobbi). Fig. 1 - Carabidae belonging to species Carabus auronitens (photo by M. Gobbi). di questo gruppo è il risultato di una grande radiazione adattativa che ha permesso a questi insetti di colonizzare numerosi ambienti, dai deserti ai ghiacciai, compresi gli habitat sottoposti a condizioni di forte disturbo antropico. La dieta dei Carabidi è di tipo polifago. La maggior parte delle specie, sia allo stadio larvale che adulto, è predatrice specializzata di consumatori primari appartenenti alla fauna edafica (Anellidi, Collemboli, Gasteropodi ecc.); altre specie, invece, si nutrono esclusivamente di semi (spermofagia) o conducono dieta zoospermofaga. Le specie predatrici sono considerate particolarmente utili nella lotta biologica contro gli animali infestanti, poiché si alimentano di piccoli invertebrati (Afidi, uova, larve e pupe di Ditteri, uova e larve di Coleotteri fitofagi, bruchi di Lepidotteri defogliatori e Gasteropodi) potenzialmente dannosi sia per le foreste che per le colture. L’abbondanza qualitativa (ricchezza di specie) e quantitativa (abbondanza di individui) di Carabidi in un habitat è fortemente influenzata dalla biomassa delle prede e quindi può fornire utili indicazioni sulla qualità trofica di un suolo. A loro volta, i Carabidi rientrano nella dieta di molti vertebrati (micromammiferi, uccelli, rettili e anfibi) (Holland 2002). Le comunità di Carabidi possono essere ecologicamente caratterizzate da parametri adattativi quali la fenologia, la dieta, la morfologia alare, le dimensioni corporee e le caratteristiche biogeografiche prevalenti. Le conoscenze acquisite sui Carabidi a livello tassonomico, autoecologico e faunistico, l’elevata fedeltà ambientale di questi insetti e la loro tendenza a endemizzare sono caratteristiche che permettono di impiegarli come indicatori ecologici, in grado di reagire a breve termine alle perturbazioni ambientali, anche riflettendo le risposte di altri taxa o della biodiversità complessiva (Brandmayr et al. 2005). 3. Caratteri del suolo e Carabidi In letteratura risultano ampiamente documentate le interazioni che i Carabidi hanno con le componenti abiotiche e biotiche di un suolo (cfr. Holland 2002). Il suolo e le comunità di Carabidi Un ridotto numero di specie svolge l’intero ciclo vitale all’interno del legno morto (saproxilici), diverse altre trascorrono solo parte della loro esistenza nel legno morto (saproxilici temporanei) e molte svolgono un ruolo importante nella decomposizione del legno. Considerando le tre tipologie di forme di humus riconosciute (mull, moder e mor), le cenosi di Carabidi che vivono nei mull, quindi in pedoambienti con un’efficiente e rapida decomposizione degli apporti organici (es. foreste decidue e prati) e caratterizzati da alti livelli di fertilità, sono quelle che mostrano i maggiori valori di biomassa e ricchezza di specie (nel caso specifico dei prati) e una forte specializzazione morfo-funzionale (nel caso specifico dei boschi) (Ponge 2003; Gobbi & Fontaneto 2008). È noto come il livello di evoluzione di un habitat (per esempio la successione di diversi stadi di maturità di una foresta o prateria), che corrisponde a un’evoluzione delle forme di humus (Bernier et al. 1993), sia in grado di influenzare la distribuzione spazio-temporale delle comunità di Carabidi. Recenti studi condotti in aree di deglaciazione olocenica (piane proglaciali) hanno dimostrato che i suoli che si succedono dalla fronte glaciale alle aree tardiglaciali determinano comunità con particolari adattamenti morfo-funzionali. Ad esempio le specie con ali ridotte, predatrici e di grosse dimensioni sono legate agli stadi più antichi di questa successione e quindi ai suoli più sviluppati, che sono i meno perturbati e nei quali vi è la maggiore disponibilità trofica (Gobbi et al. 2007). La presenza di Carabidi, Ragni e Opilioni, che costituiscono l’unica componente eterotrofa nei siti limitrofi alla fronte glaciale, svolge un ruolo fondamentale nel facilitare la stabilizzazione delle piante, in quanto questi animali, una volta morti, sono una fonte di azoto di estrema importanza (Hodkinson et al. 2002). I caratteri fisici e pedoclimatici del suolo che principalmente si riflettono sulla ricchezza e sulla distribuzione dei Carabidi sono la capacità di ritenzione idrica, l’umidità e la temperatura; quelli chimici sono il pH, il contenuto di carbonio organico, la concentrazione di sali e metalli pesanti; tra quelli biologici si possono ricordare l’abbondanza e il tipo di cibo (Holland 2002). Per quanto concerne i caratteri fisici, è stato dimostrato come suoli ben drenati siano caratterizzati da comunità ricche di specie a basso potere di dispersione; queste ultime, dunque, sono molto sensibili a potenziali periodiche inondazioni. L’umidità invece è particolarmente importante per le specie con larve estive, che durante le ore centrali della giornata sono esposte a temperature piuttosto alte e quindi necessitano di rifugiarsi nelle porzioni più umide del suolo. All’opposto, le specie con larve invernali si rifugiano nelle porzioni relativamente più secche del terreno, al fine di evitare la morte per affogamento o causata dal congelamento del suolo. La temperatura influisce sulla vitalità degli stadi larvali: è noto, ad esempio, che il potenziale di sopravvivenza delle larve decresce con temperature del suolo superiori ai 10 °C, dato che testimonia la sensibilità delle specie alpine al riscaldamento globale. Anche la tessitura, la struttura e la consistenza del suolo influiscono sulle comunità: i suoli con macroporosità elevata e tendenzialmente soffici sono abitati da comunità ricche di specie e con individui di grosse dimensioni, poiché offrono alla larva la possibilità di accrescersi in tutte le direzioni a differenza dei suoli compatti (Gobbi et al. 2007). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 137-140 Per quanto riguarda i caratteri chimici, il pH determina la presenza-assenza di particolari specie. Si è notato, per esempio, che variazioni antropogenetiche di pH in un agroecosistema inducono significative variazioni nella distribuzione dei Carabidi. Tali effetti sembrano essere legati alle diverse modalità di degradazione e quindi alla diversa disponibilità di materiali organici. Il regime alimentare predatorio, o meno frequentemente spermofago, dei Carabidi li rende particolarmente sensibili alla concentrazione di metalli pesanti (es. cadmio, piombo, zinco) a seguito di biomagnificazione. In particolare il bioaccumulo di metalli presenti negli strati superficiali di un suolo è stato dimostrato attraverso la corrispondenza tra la concentrazione di piombo all’interno del corpo dei Carabidi e quella presente negli orizzonti organici, mentre la concentrazione di cadmio è legata a quella contenuta nell’orizzonte A (Jelaska et al. 2007). 139 vi all’interno della catena trofica, poiché è noto come rettili, uccelli e micromammiferi si alimentino preferenzialmente delle specie più grosse e meno mobili. Il legame tra Carabidi, forme di humus e caratteri dei suoli è ancora poco noto. Per questo motivo è necessario implementare, mediante un approccio pedo-zoologico, le ricerche che legano le comunità di Carabidi alle dinamiche della sostanza organica. Questo approccio integrato potrà essere uno strumento indispensabile nei programmi di valutazione e monitoraggio della qualità ambientale. RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare la dott.sa Valeria Lencioni e il dott. Giacomo Sartori per la rilettura critica del testo. BIBLIOGRAFIA 4. Ad ogni suolo la sua comunità In una successione di habitat che vede contrapposti da una parte ecosistemi naturali o poco alterati e dall’altra ecosistemi antropizzati o perturbati, anche le comunità di Carabidi subiscono profondi mutamenti qualitativi e quantitativi (Lövei & Sunderland 1996). È così possibile distinguere per i Carabidi un “popolamento potenziale”, proprio cioè di condizioni teoricamente indisturbate, da quello “reale” indotto dall’attività umana; tra queste due situazioni, poi, è possibile individuare diversi gradi di alterazione, degrado e sostituzione rispetto alla cenosi di partenza (Brandmayr et al. 2005). In un recente studio condotto analizzando un database con i dati delle comunità di Carabidi negli habitat rappresentativi della Pianura Padana (Gobbi & Fontaneto 2008) è stato dimostrato come le parcelle residue di boschi planiziali siano popolate da comunità povere di specie, ma con esigenze ecologiche molto spinte quali la specializzazione alimentare ristretta a solo specifiche prede, la presenza di ali atrofizzate e le dimensioni corporee cospicue. Differentemente, le comunità campionate negli habitat più perturbati come gli agroecosistemi sono caratterizzate da un numero elevato di specie aventi un ampio spettro ecologico e quindi una dieta generalista, ali completamente sviluppate e ridotte dimensioni corporee. Le specie che hanno le ali atrofizzate sono in grado di colonizzare nuove aree solo camminando; tali specie, per questo motivo, sono le prime a scomparire in ambienti fortemente degradati o frammentati, vista la loro incapacità di spostarsi velocemente verso nuove aree più stabili. Le specie di maggiori dimensioni, invece, possiedono uno sviluppo larvale lungo, che in alcuni casi può durare più di una stagione, e questo le rende particolarmente vulnerabili a fattori di perturbazione dei suoli (es. aratura, sovrappascolo ecc.). La ricerca sviluppata da Kodze & O’Hara (2003) analizzando un database con la distribuzione delle specie di Carabidi presenti nel Centro Europa mostra come le comunità degli ambienti forestali nell’ultimo secolo siano andate incontro a estinzioni a scala locale a causa della forte specializzazione ecologica (specie con ali atrofizzate e di grosse dimensioni) che le ha rese particolarmente vulnerabili ai fattori di stress ambientale. Questo decremento della biodiversità (intesa come numero di specie e abbondanza di individui) nelle cenosi di Carabidi può avere risvolti negati- Bernier N., Ponge J.F. & Andre J., 1993 - Comparative study of soil organic layers in two bilberry-spruce forest stands (Vaccinio-Piceetea). Relation to forest dynamics. Geoderma, 59: 89-108. Brandmayr P., Zetto T. & Pizzolotto R., 2005 - I Coleotteri Carabidi per la valutazione ambientale e la conservazione della biodiversità. APAT – Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, Roma: 240 pp. (Manuali e linee guida, 34). Cenci R.M. & Sena F., 2006 - Bio Bio Project. Biodiversity – Bioindication to evaluate soil health. Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg: 134 pp. Gobbi M., Rossaro B., Vater A., De Bernardi F., Pelfini M. & Brandmayr P., 2007 - Environmental features influencing Carabid beetle (Coleoptera) assemblages along a recently deglaciated area in the Alpine region. 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Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento: 192 pp. (Quaderni del Museo Tridentino di Scienze Naturali, 3). Lövei G.L. & Sunderland K.D., 1996 - Ecology and behaviour of ground beetles (Coleoptera, Carabidae). Annu. Rev. Entomol., 41: 231-256. Menta C., 2004 - La qualità biologica dei suoli attraverso l’uso dei microartropodi. In: Atti del Convegno Nazionale “La cono- 140 Gobbi scenza della qualità del suolo attraverso l’utilizzo di indicatori biologici ed ecotossicologici”, Torino, 13 maggio 2004: 22-26. Ponge J.F, 2003 - Humus forms in terrestrial ecosystems: a framework to biodiversity. Soil Biol. and Biochem., 35: 935-945. Il suolo e le comunità di Carabidi Young I.M., Blanchart E., Chenu C.K., Dangerfirld M., Fragoso C., Grimaldi M., Ingram J & Monrozier L.J., 1998 - The interaction of soil biota and soil structure under global change. Global Change Biology, 4: 703-712. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 141-144 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Nota breve – Short note Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane nella Provincia di Trento Roberto ZAMPEDRI IASMA Research and Innovation Centre, Fondazione Edmund Mach, Environment and Natural Resources Area, Via E. Mach 1, 38010 San Michele all’Adige (TN) E-mail: [email protected] Summary - Soil and air temperature measures in four alpine spruce forest of the Trento Province (Italy) - Within the project “DINAMUS – Humus and forest dynamics”, a study on the soil temperature at four levels of depth was carried out. Four sites located in alpine spruce forests (Picea abies (L.) H. Karst), characterized by different substrates and exposure, ware investigated. The main aim was to study the climate of the sampling areas at the scale of forest stand. Some results of the thermal data analysis are presented. Parole chiave: temperatura nel suolo, pecceta subalpina, Trentino Key words: soil temperature, subalpine spruce forest, Trentino (Italy) 1. Introduzione L’esperienza di ricerca sugli humus forestali condotta fin dal 1994 presso il Centro di Ecologia Alpina, ora Fondazione Edmund Mach, ha portato nel 2002 all’avvio del progetto “DINAMUS - Forme di humus e dinamica del bosco” (2002-2005), finanziato dal Fondo Unico per i Progetti di Ricerca della Provincia Autonoma di Trento. L’obiettivo generale della ricerca è stato quello di studiare le forme di humus in popolamenti di abete rosso, evidenziando i rapporti che tali forme hanno sia con i parametri dell’ambiente, sia con la dinamica del bosco in cui si sono sviluppate, attraverso l’azione sinergica di più competenze interdisciplinari. Entro tale contesto, è stato condotto uno studio del clima delle aree di saggio a scala di particella forestale e di fase dinamica. Sono state indagate in particolare temperatura e umidità del suolo, e radiazione solare. Nel presente contributo saranno esposti alcuni risultati dell’analisi dei dati di temperatura del suolo. 2. Area di Studio L’ambito di studio riguarda le formazioni adulte di abete rosso (Picea abies (L.) H. Karst) della Provincia di Trento che crescono nella fascia altimetrica denominata “subalpina (inferiore)”, compresa tra 1600 e 1900 metri s.l.m., con percentuale di presenza di abete rosso in massa maggiore all’85%. Per la componente climatica sono state indagate quattro aree di saggio caratterizzate da due tipologie di substrati litologici (carbonatico e silicatico acido) e due classi di esposizione prevalente della particella forestale (nord e sud). Le due aree di saggio su substrato acido si trovano su due versanti opposti del Gruppo di Brenta: la Acida Sud è localizzata poco a nord dell’abitato di Madonna di Campiglio, tra la Malga di Nambino e Malga Zeledria; la Acida Nord poco a est della Malga Alta di Pellizzano, 500 metri a monte del Lago dei Caprioli. Entrambe si trovano su materiali parentali granitico-tonalitici. Le due aree di saggio su substrato basico sono distanti geograficamente. La Basica Sud si trova 200 metri a monte della Malga di Fondo, in vicinanza del Lago di S. Maria, al confine con la Provincia di Bolzano; la Basica Nord sulla destra orografica della Val del Vajolet, lungo la strada che conduce al Rifugio Gardeccia, 300 metri sotto al Rifugio Larsec, nei pressi del Ciampedìe. La litologia della Basica Sud è rappresentata da calcari dolomitici, così come nella Basica Nord, dove la dolomia va a formare gran parte dei rilievi che circondano la Val del Vajolet. Dal punto di vista altimetrico le aree sono comparabili a parità di substrato: la Acida Sud è situata a 1771 m s.l.m., la Acida Nord a 1800 m s.l.m., la Basica Sud a 1661 m s.l.m., la Basica Nord a 1682 m s.l.m. La figura 1 mostra la localizzazione delle aree di saggio sul territorio provinciale. I dati esposti nel presente contributo si riferiscono a misure rilevate nelle zone delle aree di saggio con presenza di piante adulte/mature. I suoli e i tipi di humus delle aree indagate sono stati classificati rispettivamente secondo il World Reference Base for Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane BASICA SUD BASICA NORD ACIDA NORD ACIDA SUD Fig. 1 - Localizzazione delle aree di saggio. Fig. 1 - Location of the study areas. Soil Resources (FAO 1998) e il Référentiel Pédologique (AFES 1995): - Acida Nord suolo: Sapri-Folic Histosol (Dystric, Protoumbric); humus: Dysmoder; - Acida Sud suolo: Skeleti-Humic Umbrisol (Hyperdystric); humus: Dysmoder; - Basica Nord suolo: Skeleti-Calcaric Cambisol (Eutric, Siltic); humus: Oligomull; - Basica Sud suolo: Eutri-Episkeletic Cambisol (Humic, Siltic); humus: Amphimull. 3. Metodi Per la misura della temperatura sono stati realizzati dei profili termici a quattro livelli (in superficie, a 10, 20, 40 cm di profondità nel suolo) con due diversi sistemi di misura: sensori impermeabili di temperatura TidbiT StowAway (ONSET) per le aree di saggio su substrato acido e termocoppie rame/costantana cablate su multiplexer AM32 (Campbell Scientific Inc.) e datalogger CR10x (Campbell Scientific Inc.) per le aree su substrato carbonatico. I dati sono stati raccolti nelle aree Acida e Basica Sud dal 7 giugno 2003 al 6 giugno 2005 e nell’area Basica Nord dal 15 luglio 2004 al 23 giugno 2005. La frequenza di misura del dato di temperatura è stata di un minuto e la registrazione del valore mediato di 60 minuti. Nella particella Basica Sud i due profili termici realizzati con le due diverse tecniche sono stati affiancati, e hanno misurato in sincronia dal 15 luglio 2004 al 23 giugno 2005. È stato così possibile confrontare i due sistemi di misura e verificare che registrano misure comparabili. La permanenza della copertura nevosa è stata rilevata con osservazione diretta durante la campagna di misura. Non sono state fatte misure di spessore. Per la precipitazione si sono utilizzati i dati forniti dalle stazioni meteorologiche della rete Agrometeorologica della Fondazione Edmund Mach per le aree Acida Nord (Pellizzano), Basica Nord (Predazzo) e Basica Sud (Fondo), e la stazione della rete della Provincia di Trento per l’area Acida Sud (Pinzolo). 4. Risultati e discussione 4.1. Andamenti giornalieri a 10 cm di profondità La figura 2, che mostra l’andamento delle temperature medie giornaliere per l’anno 2004 a 10 cm di profondità, evidenzia uno sviluppo simile nelle quattro aree di saggio. Per 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 ACIDA NORD precipitazione temperatura 80 60 40 20 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 ACIDA SUD 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 BASICA NORD 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 BASICA SUD Jan 80 60 40 20 100 Precipitazione mm Zampedri temperatura °C 142 80 60 40 20 0 80 60 40 20 0 Feb Mar Apr May Jun Jul Aug Sep Oct Nov Dec 2004 Fig. 2 - Andamento della temperatura media giornaliera (10 cm di profondità). Anno 2004. Fig. 2 - Mean daily temperature trend (10 cm depth). Year 2004. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 141-144 la prima parte dell’anno si registra una temperatura costante tra 0 e 1 °C in corrispondenza della presenza della copertura nevosa (mediamente per 4,5 mesi a sud e per 5,5 mesi a nord), un suo progressivo aumento fino al massimo che si raggiunge generalmente nel mese di agosto e una seguente diminuzione nella seconda metà dell’anno. Si nota come i principali picchi minimi e massimi relativi siano sincroni nei quattro grafici, a conferma di un andamento climatico omogeneo nei suoli indagati. In particolare si può osservare che in corrispondenza di precipitazioni durante il periodo senza copertura nevosa si verificano dei minimi relativi di temperatura. Soprattutto si notano gli episodi di inizio maggio, in cui si riconosce un brusco abbassamento della temperatura nelle due particelle poste a sud. La residua copertura nevosa nell’area Acida Nord mantiene invece inalterate le condizioni termiche del suolo. Nel corso della stagione si evidenziano gli eventi meteorici dell’inizio della terza decade di giugno, poco prima della metà di luglio, all’inizio della terza decade di agosto, a metà settembre, e a metà e fine ottobre. La riduzione della temperatura del suolo causata dalle precipitazioni è dovuta in parte all’azione diretta della pioggia e in parte alla sottrazione al suolo del calore necessario per l’evaporazione dell’acqua (calore latente di vaporizzazione). La copertura nevosa mantiene costante e sopra lo zero la temperatura nel suolo e dunque protegge dalle basse temperature la componente vegetale e animale che vi trova rifugio. 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 Andamenti mensili dei profili di suolo La figura 3 evidenzia l’andamento delle temperature medie mensili nelle quattro aree di saggio ai quattro livelli di profondità indagati. Si nota come generalmente il massimo di temperatura nel suolo si raggiunga nel mese di agosto. Il massimo di temperatura in superficie coincide con quello nel suolo per le particelle su substrato acido, mentre è anticipato a luglio per le basiche. In generale si ha un’attenuazione della fluttuazione della temperatura man mano che si scende in profondità; nella parte centrale dell’anno gli strati più profondi sono più freschi rispetto a quelli sovrastanti, mentre la situazione si inverte nella prima e nell’ultima parte dell’anno. Per due periodi all’anno la temperatura è costante lungo il profilo. Il primo è in primavera, tendenzialmente in aprile, e registra una temperatura di circa 1 °C. Fa eccezione l’area di saggio su substrato acido esposta a nord in cui l’uguaglianza di temperatura si ha in maggio. Il secondo si verifica in tarda estate, tra la fine di agosto e la prima decade di settembre, e registra una temperatura tra 5,5 e 9 °C. 5. per effetto dell’energia termica utilizzata per far evaporare la pioggia presente nel suolo (alto valore del calore latente di vaporizzazione dell’acqua). Conclusioni Lo studio condotto sulla misura in continuo della temperatura in profili verticali all’interno di quattro aree di saggio in Trentino distribuite in due tipi di materiali parentali e in due classi di esposizione evidenzia il ruolo degli eventi meteorici piovosi e nevosi sull’andamento stagionale delle temperature nel suolo. In particolare la copertura nevosa mantiene costante la temperatura tra 0 e 1 °C, mentre gli eventi piovosi osservati durante la stagione estiva e autunnale sono in grado di abbassare le temperature nel suolo, sia per effetto del raffreddamento diretto da parte dell’acqua meteorica sia temperatura °C 4.2. 143 SUPERFICIE 10 CM 20 CM 40 CM ACIDA NORD 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 ACIDA SUD BASICA NORD 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 Jan BASICA SUD Feb Mar Apr May Jun Jul Aug Sep Oct Nov Dec mesi Fig. 3 - Andamento della temperatura media mensile lungo il profilo per le quattro aree di saggio. Anno 2004. Fig. 3 - Mean monthly temperature trend within the soil profile for the four areas. Year 2004. 144 Zampedri Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane L’analisi delle temperature medie mensili a varie profondità indica una progressiva diminuzione della variabilità di temperatura quando si scende lungo il profilo del suolo. Conseguentemente si ha una parte centrale dell’anno in cui la temperatura degli strati alti è maggiore rispetto a quella degli strati bassi e una situazione inversa a inizio e a fine anno. I due periodi in cui si ha temperatura omogenea lungo i profili si verificano tendenzialmente in primavera, in aprile, e in autunno, in settembre. Ringraziamenti Studio svolto nell’ambito del progetto “Dinamus - Forme di humus e dinamica del bosco”, finanziato dal Fondo per i Progetti di Ricerca della Provincia Autonoma di Trento, delibera n. 437/2002. Bibliografia AFES, 1995 - Référentiel Pédologique. INRA, Paris. Calabrese M.S., Mancabelli A., Nicolini G., Sartori G. & Zanella A., 1996 - Humus forestali Centro di Ecologia Alpina, Report, 9. FAO, 1998 - WRB. Fao World Soil Resources Reports, 84, Rome: 142 pp. Zanella A., Tomasi M., De Siena C., Frizzera L., Jabiol B. & Nicolini G., 2001 - Humus forestali: manuale di ecologia per il riconoscimento e l’interpretazione. Centro di Ecologia Alpina, Trento: 336 pp. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Toward a European humus forms reference base Augusto Zanella1*, Bernard Jabiol2, Jean-François Ponge3, Giacomo Sartori4, Rein de Waal5, Bas Van Delft5, Ulfert Graefe6, Nathalie Cools7, Klaus Katzensteiner8, Herbert Hager8, Michael English9 & Alain Brethes10 Department Land and Agro-Forestry Ecosystems, University of Padova, Viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD), Italy Ecole AgroParisTech – Engref, Laboratoire d’étude des ressources forêt-bois (LERFOB), 14 rue Girardet, 54042 Nancy, France 3 Museum National Histoire Naturelle de Paris, 1 Avenue du Petit Château, 91800 Brunoy, France 4 Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy 5 Centre Ecosystems Studies, Alterra, Droevendaalse steeg 3, Postbox 47, 6700 AA Wageningen, The Netherlands 6 Institut für Angewandte Bodenbiologie GmbH, Sodenkamp 62, 22337 Hamburg, Germany 7 Research Institute for Nature and Forest, Gaverstraat 4, 9500 Geraardsbergen, Belgium 8 Deptartment of Forest and Soil Sciences, Institute of Forest Ecology, University of Natural Resources and Applied Life Sciences (BOKU) Vienna, Peter Jordanstr. 82, 1190 Wien, Austria 9 Bundesamt für Wald, Unit Site and Vegetation, Department of Forest Ecology and Soil, Federal Research and Training Centre for Forests, Natural Hazards and Landscape, Seckendorff-Gudent-Weg 8, 1131 Vienna, Austria 10 Office National des Eaux et Forêts, 45760 Boigny-sur-Bionne, France * Corresponding author e-mail: [email protected] 1 2 SUMMARY - Toward a European humus forms reference base - A network of European humus researchers was founded in Trento (Italy) in 2003. The aim of the Group’s work was to prepare a synthesis of the knowledge about humus forms which could be used as a field key for classifying and interpreting humus forms within an ecological framework. Stages: the first European classification of terrestrial humus forms, prepared in Vienna (Austria, 2004) from a French plan, presented at EUROSOIL 2004 in Freiburg (Germany, 2004); the new form (Amphi) admitted as main humus form (Italy, 2005); the first European classification of semi-terrestrial humus forms, from a Dutch pattern (Italy, 2005); poster at the 18th Congress of Soil Science (Philadelphia, 2006); the enlargement of the Amphi category towards some Mediterranean humus forms (Italy, 2007); the definitive agreement for a complete classification key, EUROSOIL (Austria, 2008). Protocols for assessment and sampling of organic and organo-mineral layers were set up, as well as definitions for specific horizons. After six years of exchanges among specialists from 12 European countries, the outcome of this European set-up is briefly presented here as a succession of figures. RIASSUNTO - Verso una base di riferimento per le forme di humus europee - Nel 2003 venne fondato a Trento un gruppo europeo di ricercatori sull’humus, che si propose di realizzare una sintesi delle conoscenze sulle forme di humus da poter usare in campo come chiave di classificazione e di interpretazione di tali forme su basi ecologiche. Le tappe di questo processo sono state le seguenti: la prima classificazione europea delle forme di humus terrestri, preparata a Vienna (Austria, 2004) a partire da uno schema francese e presentata all’EUROSOIL 2004 di Friburgo (Germania, 2004); l’ammissione di una nuova forma (Amphi) tra le unità di primo livello (Italia, 2005); la prima classificazione europea delle forme di humus semi-terrestri, a partire da uno schema olandese (Italia, 2005); un poster al diciottesimo Congresso della Scienza del Suolo (Philadelphia, 2006); l’allargamento della forma Amphi verso alcune forme mediterranee (Italia, 2007); il definitivo consenso per una chiave di classificazione completa, EUROSOIL (Austria, 2008). I protocolli di riconoscimento e campionamento degli orizzonti organici e organo-minerali sono stati redatti insieme alle definizioni riguardanti alcuni orizzonti più specifici. Dopo sei anni di scambi tra specialisti di dodici paesi europei, viene qui illustrata la sintesi di questo lavoro. Key words: humus, humus classification, humus form, European Humus Group Parole chiave: humus, classificazione degli humus, forma di humus, Gruppo Humus Europeo 1. Historical path A network of European researchers working on humus forms was created in Trento (Italy) in 2003. In July 2004, the commission “Classification of (European) Humus Forms” met in Vienna (Austria) and drafted a taxonomic key of the main terrestrial humus forms based on response to environmental conditions and specific biological activities (Ponge 2003; Graefe & Beylich 2003). This draft was presented in Freiburg (Germany) at the EUROSOIL 2004 congress (Jabiol et al. 2004). From this event onwards, other results have been achieved: - the definitive admission of the Amphi forms at the first 146 Zanella European humus forms Fig. 1 - The poster at the World Congress of Soil Science in Philadelphia (2006), for disseminating the humus forms concept. It resumes the work about the humus forms two years after the foundation of the European Humus Group: 4 main humus forms, 11 second-level categories and a mild attempt to organize some ecological attractors around them. Fig. 1 - Il poster presentato al Congresso Mondiale della Scienza del Suolo a Philadelphia (2006), per divulgare il concetto di forme di humus. Esso riassume il lavoro sulle forme di humus due anni dopo la fondazione del Gruppo Humus Europeo: 4 forme di humus principali, 11 categorie di secondo livello e un timido tentativo di organizzare intorno a esse alcuni attrattori ecologici. Fig. 2 - Water table level and diagnostic horizons for the semi-terrestrial and terrestrial humus forms. a. “Historical blackboard” in San Vito di Cadore, on July 2005: three main levels of classification, according to the main ecological factors (temperature, water and biological component) and many question marks. b. Present-day position: “first was the water”. Aa= anmoor A; H= organic histic horizon; Ag= hydromorphic A; Eg= hydromorphic E; A= organo mineral horizon; E= mineral horizon (eluviation). Fig. 2 - Livello della falda freatica e orizzonti diagnostici per le forme di humus semi-terrestri e terrestri. a. Lavagna storica a San Vito di Cadore, luglio 2005: tre principali livelli di classificazione, in accordo con i principali fattori ecologici (temperatura, componenti idrica e biologica) e molti punti interrogativi. b. proposizione odierna: “prima venne l’acqua”. Aa= A di anmoor; H= orizzonte organico istico; Ag= A idromorfo; Eg= E idromorfo; A= orizzonte organo-minerale; E= orizzonte minerale (di eluviazione). Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151 147 Fig. 3 - Synoptic table of Histo humus forms classification. Hf= fibric H; Hfs= fibric-sapric H; Hsnoz= sapric non zoogenous H; Hszo= sapric zoogenic H; Hsl= sapric-limnic H; Aa= anmoor A; Ag= hydromorphic A. Fig. 3 - Tabella sinottica della classificazione delle forme di humus Histo. Hf= H fibrico; Hfs= H fibri-saprico; Hnoz= H saprico non zoogenico; Hzo= H saprico zoogenico; Hsl= H sapri-limico; Aa= A di anmoor; Ag= A idromorfo. - - - - - - level of the classification during the meeting in San Vito (University of Padua, Italy, 2005). The name means “twin forms”, differentiating from Moder because of the strong earthworm activity in the A horizon and from Mull, on the other side, because of the important accumulation of organic matter at the soil surface. The same solution has been adopted in the last version of the French Référentiel Pédologique (Baize et al. 2009); a draft of a European key of classification has been presented in the form of a poster (Fig. 1) at the 18th Congress of Soil Science, USA, Philadelphia (Zanella et al. 2006); the first level of the proposed classification key has been implemented and integrated into the manual of the UN-ECE–ICP Forests program available on Internet (http://www.icp-forests.org/Manual.htm); an agreement has been reached for characterizing the structure of the A horizon within the European humus forms classification. The soil structure defined in the USDA Soil Survey Manual (1993), also used in the World Reference Base for Soil Resources (IUSS Working Group WRB 2006) and the FAO Guidelines 2006, has been adopted in the new characterization of the five diagnostic A horizons; a workshop was made to improve and extend the Amphi classification draft in order to include some typical Mediterranean humus forms (meeting at the University of Cagliari, Italy, 2007); the most recent version of the key, re-elaborated thanks to a workshop organized during the EUROSOIL 2008 congress (Vienna, Austria), includes the Tangel humus form, which has a relatively broad distribution in the calcareous Alpine ecosystems; starting from a first attempt presented by the Dutch members of the humus group (Alterra) during a meeting in San Vito (Italy, 2005), the semi-terrestrial humus forms have been considered and included in - the classification. A final agreement was found only after the Eurosoil 2008 meeting (Fig. 2). Diagnostic horizons for the first and second-level references have been established, and new Histo forms have been placed in synoptic tables (Fig. 3); with the aim of completing the humus classification panel, definitions for Hydro, Litho, Peyro, Psammo, Rhizo and Ligno forms were recently established exchanging a sharable draft (Figs 4-7). Fig. 4 - Synoptic table of Hidro forms classification. OL, OF, OH= organic horizons; A= organo-mineral horizon ; E= mineral horizon; zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me= biomesostructured; g= hydromorphic. The pH is measured in water. Fig. 4 - Tabella sinottica della classificazione delle forme di humus Hidro. OL, OF, OH= orizzonti organici; A= orizzonte organominerale; E= orizzonte minerale; zo= zoogenico; noz= non zoogenico; ma= biomacrostrutturato; me= biomesostrutturato; g= idromorfo. Il pH è misurato in acqua. 148 Zanella European humus forms Fig. 5 - Terrestrial humus forms subdivision based on strongly expressed morphological properties. Fig. 5 - Suddivisione delle forme di humus terrestri basata su proprietà morfologiche fortemente espresse. 2. The European Humus Forms Classification The first general principles of a European classification of terrestrial haplic forms have now been finalized (Figs 8-9). Protocols for the assessment and sampling of Fig. 6 - Lepto terrestrial forms on siliceous or calcareous substrates. OL, OF, OH= organic horizons; A= organo-mineral horizon; E= mineral horizon (eluviation); zo= zoogenous; noz= non zoogenous; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured. The pH is measured in water. Fig. 6 - Forme terrestri Lepto, su substrati silicei o calcarei. OL, OF, OH= orizzonti organici; A= orizzonte organo-menerale; E= orizzonte minerale (eluviazione); zo= zoogenico; noz= non zoogenico; me= biomesostrutturato; mi= biomicrostrutturato; g= idromorfo. Il pH è misurato in acqua. organic and organo-mineral horizons are set up as well as definitions of the different kinds of organic and mineral horizons and their designation. The recognizable remains are separated from humic and mineral components. In fact, Babel’s definition (1980) of “fine organic matter”, used in other systems of humus forms classification, did not work in an efficient way in order to describe the organic horizons with an appreciable content of large organo-mineral structures (earthworm faeces). The definitions of zoogenic and non zoogenic materials allow to better differentiate some key diagnostic horizons, improving the field estimate of the part of the organic matter degraded by fungi. Concerning Histo forms, fibric and sapric components of the horizons were defined. Fig. 7 - Rhizo humus forms. OL, OF, OH= organic horizons. Fig. 7 - Forme di humus Rhizo. OL, OF, OH= orizzonti organici. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151 149 Fig. 8 - Terroforms on calcareous or lithologically mixed substrates. OL, OF, OH= organic horizons; n= new litter; v= old litter; A= organomineral horizon; zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured; Trans. (mm)= transition between organic and organo-mineral horizons (millimeters). Fig. 8 - Terroforme su substrati calcarei o misti. OL, OF, OH= orizzonti organici; n= lettiera nuova; v= lettiera vecchia; A= orizzonte organo-menerale; zo= zoogenico; noz= non zoogenico; ma= biomesostrutturato; me= biomicrostrutturato; mi= biomicrostructured; Trans. (mm)= transizione tra orizzonti organico e organo-minerale (millimetri). Fig. 9 - Terroforms on acid siliceous substrates. OL, OF, OH= organic horizons; n= new litter; v= old litter; A= organo-mineral horizon; zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured; Trans. (mm)= transition between organic and organo-mineral horizons (millimeters). Fig. 9 - Terroforme su substrati silicei acidi. OL, OF, OH= orizzonti organici; n= lettiera nuova; v= lettiera vecchia; A= orizzonte organo-menerale; zo= zoogenico; noz= non zoogenico; ma= biomesostrutturato; me= biomicrostrutturato; mi= biomicrostructured; Trans. (mm)= transizione tra orizzonti organico e organo-minerale (millimetri). 150 Zanella European humus forms Fig. 10 - Eco-diagram for humus formation. Fig. 10 - Eco-diagramma della formazione dell’humus. Fig. 11 - Ecological attractors and humus forms. The scheme shows a chained list of horizons and actors of biodegradation. Fig. 11 - Attrattori ecologici e forme di humus. Lo schema mostra come la serie di orizzonti sia legata agli attori della biodegradazione. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151 The Humus Group considers the key of the humus forms classification as its common endeavour, a contribution to the understanding of ecosystem functioning (Fig. 10) and of nutrients cycling, and may introduce humus forms classification as a diagnostic tool for assessing the ecosystem health status. The Humus Group sees the description and the study of humus forms as a tool to characterize ecosystems or biotic communities, which evolve together in response to environmental factors, and humus forms may be indicative for these changes (Ponge 2003). We see the very abstract and simplistic procedure of humus forms classification as our common and demanding task, which makes sense only within a functional approach. An effort was done for translating field data (Sartori et al. 2004) and present knowledge (humus forms structure and ecology) in graphical models or tables allowing to use these concepts in ecological procedures. Groups of animals were associated to diagnostic horizons and humus forms (Fig. 11). 151 Gabriele Broll (Germany), Gerhard Milbert (Germany), Gianluca Serra (Italy), Giuseppe Concheri (Italy), Hannu Jlvesniemi (Finland), Hans-Joerg Brauckmann (Germany), Jan Sevink (Netherland), Jarmila Lesna (Czech republic), Jean Jacques Brun (France), Lars Lundin (Sweden), Lauric Cécillon (France), Linda Scattolin (Italy), Lorenzo Frizzera (Italy), Lucio Montecchio (Italy), Marija Grozeva Sokolovska (Bulgaria), Michael Aubert (France), Miglena Zhiyanki (Bulgaria), Mirco Rodeghiero (Italy), Nathalie Cassagna (France), Paola Galvan (Italy), Paolo Carletti (Italy), Raimo Kolli (Estonia), Rainer Baritz (Germany), Roberto Menardi (Italy), Roberto Secco (Italy), Roberto Zampedri (Italy), Roger Langohr (Belgium), Roland Baier (Germany), Rolf Kemmers (Netherland), Serenella Nardi (Italy), Silvia Chersich (Italy), Silvia Obber (Italy), Tomaz Kralj (Slovenia), Ugo Wolf (Italy). REFERENCES 3. Issue The coming publication of the classification is perceived by the Humus Group as a forum which allows us to introduce the wider scientific community to our work and to further our efforts towards an internationally agreed classification and standardization of defined humus forms. To achieve these goals the paper will be organized as following: - introduction and general synoptic tables of humus forms classification; - Terro and Histo forms classification; - vocabulary, definition of main horizons, synoptic tables for field classification. A biological point of view is also given for linking bio-degraders and structure of the main diagnostic horizons; - functional aspects; - practical value of the delivered classification. Acknowledgements This paper resumes six years of exchanges among members of the Humus Group (12 European countries). Their inputs contributed to the success of the synthesis of knowledge about humus forms. Thanks to everybody for data, ideas, discussions, friendliness. In alphabetical forename order: Adriano Garlato (Italy), Andrea Squartini (Italy), Andrea Vacca (Italy), Anna Andreatta (Italy), Diego Pizzeghello (Italy), Eckart Kolb (Germany), Elena Vendramin (Italy), Emil Klimo (Czech Republic), Erik Karltun (Sweden), Erwin Mayer (Austria), Eva Ritter (Finland), Fabrice Bureau (France), Fausto Fontanella (Italy), AFES, 2009 - Référentiel Pédologique 2008, Baize D. & Girard C.M. (eds). Editions Quae, Paris: 432 pp. Babel U., Kreutzer K., Ulrich B., Zezschwitz E. von & Zöttl H.W., 1980 - Definitionen zur Humusmorphologie der Waldböden. Zeitschrift für Pfanzenernährund und Bodenkunde, 143: 564568. FAO, 2006 - Guidelines for Soil Description. 4th ed. FAO, Rome: 97 pp. Graefe U. & Beylich A., 2003 - Critical values of soil acidification for annelid species and the decomposer community. Newsletter on Enchytraeidae, 8: 51-55. IUSS Working Group WRB, 2006 - World Reference Base for Soil Resources 2006. World Soil Resources Reports, 103 pp. Jabiol B., Zanella A., Englisch M., Hager H., Katzensteiner K. & de Waals R., 2004 - Towards an European classification of terrestrial humus forms. Eurosoil - Freiburg. September 4-12. Symposium 09 - Forest soil Monday 6th: 9.30-9.50 http:/ www.bobenkunde.uni-freiburg.de/eurosoil: 10. Ponge J.F., 2003 - Humus forms in terrestrial ecosystems: a framework to biodiversity. Soil Biol. Biochem., 35: 935-945. Sartori G., Obber S., Garlato A., Pocaterra F. & Vinci I., 2004 - Factors controlling the Alpine humus forms distribution (Venetian Alps, Italy). Poster at the Eurosoil Congress, Freiburg, September 2004. Zanella A., English M., Jabiol B., Katzensteiner K., Delft Van B., Hager H., Waal de R., Graefe U., Brun J.-J, Chersich S., Broll G., Kolb E., Baier R., Baritz R., LAanghor, R., Cools N., Wresowar M., Milbert G. & Ponge J.F., 2006 - Towards a common humus forms classification. The point in Europe: few top soil references as functioning systems. (Humus forms: integration of living ecosystems). Poster presented at 18th Congress of Soil Science, Philadelphia, July 2006. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 153-156 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Short note – Nota breve French humus forms classification: what’s new in the Référentiel pédologique 2008? Bernard Jabiol AgroParisTech, UMR1092, Laboratoire d’Etude des Ressources Forêt Bois (LERFoB), ENGREF, 14 rue Girardet, 54042 Nancy, France * E-mail: [email protected] RIASSUNTO - La classificazione francese delle forme di humus: cosa c’è di nuovo nel Référentiel pédologique 2008? - La classificazione delle forme di humus pubblicata in Francia nel 1992 nell’ambito del Référentiel pédologique ha destato molto interesse negli studiosi europei degli humus. Essa ha portato alla creazione di un gruppo di lavoro europeo finalizzato alla messa a punto di una classificazione europea degli humus. I primi risultati del lavoro di questo gruppo sono stati utilizzati per migliorare la classificazione francese nella terza edizione del Référentiel pédologique, pubblicata nel 2009. Le forme di humus amphi- e mor sono state modificate, e sono state introdotte le forme litho- e peyro-. Key words: Référentiel Pédologique, AFES, humus forms, humus classification Parole chiave: Référentiel Pédologique, AFES, forme di humus, classificazione degli humus In the Nineties, the French Society of Soil Sciences (AFES: Association Française pour l’Etude du Sol) published in its Réferentiel Pédologique (Baize & Girard 1992, 1995, 1998) a classification of forest humus forms (Brêthes et al. 1992, 1998). This proposition was partly inherited from works of the French forest soil scientists of the precedent decades and their relationships with Belgian and German ones, but was also particularly due to a new school which worked in the spirit of the new soil classification: the aim was to propose an open and evolutionary system, whose main principle was to put together morphological features and biological functioning. This classification, presented at an international level (Brêthes et al. 1995), appeared as a complement of Canadian classification (Green et al. 1993) which was ineffective in temperate climates. For this reason, European countries paid a great attention to it, especially in Italy, where the Réferentiel Pédologique was introduced (Baize & Girard 2000). As early as 1996, the Centro di Ecologia Alpina published a study on forest humus in Trentino (Calabrese et al. 1996), testing French classification and comparing it with other ones. The publication of this work was the beginning of uninterrupted collaborations between Italian and French research teams working on humus forms, leading to the creation of the European Humus Research Group (http://humusresearchgroup.grenoble.cemagref.fr/principal.html), whose aims were 1) to improve the knowledge on biological functioning of humus forms and 2) to propose a classification of humus forms valid at European level. The first French classification was built for forests at low altitudes and outside Mediterranean conditions, because of a less important extension and knowledge of these ecosystems in France. Due to the international collaborations with countries where these ecological conditions are well represented, it became possible to improve our concepts, descriptions and then classification of humus forms. We wanted to maintain a national classification, quite suitable for French ecological conditions, for the habits of French foresters and easy to use by them, but thoroughly compatible with the European classification which is being built up. This new version was published at the beginning of the year (AFES 2009; Jabiol et al. 2009) (Fig. 1, Tab. 1). 1. First change: amphi-forms In the 1992 version, French classification was based on the origin and feature of A horizons, to permit to distinguish amphimull, humus forms with a succession OH/A horizons, from moder: we considered that the “biomacrostructured” A horizon of amphimull, due to earthworm’s activity, was a character of mull types. For 15 years, a great advance has been made in Italy in the knowledge of these humus forms. It has permitted to understand that their ecological and biological origins were sufficiently different from mull forms to consider “amphi-forms” as a great category of humus forms, beside mull, moder and mor (Tab. 1). European classification suggests to name them “amphi”, new French classification prefers “amphimus”: for the user of the last classification, the change remains very slight, interpretation and diagnostic are the same: nothing has changed but conceptual presentation. 154 Jabiol French humus forms classification Fig. 1 - Key for the identification of the principle well drained humus forms (from Jabiol et al. 2007, 2009). Fig. 1 - Chiavi per il riconoscimento delle principali forme di humus ben drenate (da Jabiol et al. 2007, 2009). Tab. 1 - The principal well drained humus forms under forest (from Jabiol et al. 2007, 2009). Horizons in brackets are not always present or discontinuous. Tab. 1 - Le principali forme di humus ben drenate sotto foresta (da Jabiol et al. 2007, 2009). Gli orizzonti tra parentesi sono non sempre presenti o discontinui. HORIZONS O HORIZONS A ET TRANSITIONS O-A abundant clay-humus complexes discontinuity between O // A biomacro-structured or biomeso-structured A horizon granular structure more or less developed MULL OL or OL and (OFzo) (OLn) * EUMULL OLn (OLv) * MESOMULL OLn OLv (OFzo) OLIGOMULL OL and OFzo ** AMPHIMUS DYSMULL clay-humus complexes rare or absent O-A progressive transition discontinuity O // horiz. min. no granular structure no organic matter or diffused often massive or single grain OM MODER MOR HÉMIMODER (EU)MODER OL and OFzo and OHzo or (OHzo) (EU)AMPHIMUS (OH < 1 cm) DYSMODER (OH ≥ 1 cm) OL and OFnoz, no OH HÉMIMOR HUMIMOR OL and OFnoz, and OHnoz or OHzo (OFzo or OHzo still présent) MOR (OFzo and OHzo absent) N.B.: horizons in brackets: not always present or discontinuous Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 153-156 155 Fig. 2 - Scheme of litho- and peyro- humus forms (from (Jabiol et al. 2007). Fig. 2 - Rappresentazione schematica delle forme di litho- e peyro- humus (da Jabiol et al. 2007). Unlike the larger European classification, we consider that only one category of amphimus is useful in describing humus forms in our mountains with Mediterranean influences. 2. Second change: mor-forms As amphimus, mor forms, due to a lack of animal activity, are rare in France and our first classification did not detail them. Even if we do not need great details in our context, we choose to open our classification towards the European one, inspired for mor forms by Canadian classification. For this purpose, it was necessary to define new horizons, especially OFzo (zoogenic) and OFnoz (not zoogenic) horizons, the last one being the diagnostic horizon for mor forms. But we put much emphasis on intermediate forms between moder and mor, the most common in France, the forms in which zoogenic OF or OH horizons are still present; these forms are named humimor. 3. Third change: litho- and peyro- forms This is more a novelty than a change. Its purpose is to diagnose easily humus forms in conditions in which A horizon cannot be used in the diagnostic (Fig. 2). It concerns: - forms in which O horizons are lying directly on a bedrock. Some decades ago they were named “raw humus”, but they weren’t thoroughly described. We propose to distinguish lithomoder, characterised by the succession OL/OF/(OHzo)/R horizons, and lithomor with an OFnoz horizon. We have considered that there was no consistency in distinguishing a “lithomull” without presence of fine mineral material and then without anecic earthworms. - forms on screes, where fine earth is rare or missing; the difference with “lithoforms” is that organic matter, resulting of consumption of organic rests by animals, can be mixed in great quantities between coarse fragments, sometimes but not always with mineral material, when conditions are favourable to animals. These horizons cannot be named O horizons because of presence of coarse fragments, nor A horizons because of great amount of organic mater in fine earth. For the Réferentiel pédologique they are X horizons (Xh or Xho) (“peyric horizons”). The first X horizon and its characters takes the place of A horizon in the definition of humus profiles, and then we can define peyromull, due to a good activity of earthworms and with “biomacrostructured fine earth” (succession OL/Xh horizon), peyromoder in wich a part of OH horizon is incorporated into X horizon (succession OL/OF/OH/Xh) or peyromor without animal activity nor incorporation of organic matter (OL/OFnoz/ (OH)/X. With this new version of our classification we hope to be the most compatible as possible with the European one, which is much inspired from French concepts, without changing the habits of French foresters who had been successfully working with the previous versions for 15 years. 156 Jabiol REFERENCES AFES, 2009 - Référentiel Pédologique 2008, Baize D. & Girard C.M. (eds). Editions Quae, Paris: 432 pp. Baize D. & Girard M.C., 1992 - Référentiel Pédologique, principaux sols d’Europe. INRA, Versailles: 222 pp. Baize D. & Girard M.C. (eds), 1995 - Référentiel Pédologique. INRA, Paris: 332 pp. Baize D. & Girard M.C. (eds), 1998 - A sound reference base for soils. In: Baize D. & Girard M.C. (eds), Référentiel pédologique. INRA, Paris: 322 pp. Baize D. & Girard M.C. (eds), 2000 - Il sistema francese di referenziazione dei suoli. «Référentiel Pédologique» (ed. it. a cura di F. Previtali & P. Scandella. Calderini). Edagricole, Bologna: 354 pp. Brêthes A., Brun J.J., Jabiol B., Ponge J.F. & Toutain F., 1992 Typologie des formes d’humus. In: Baize D. & Girard M.C. (eds), Référentiel pédologique. INRA, Paris: 177-192. Brêthes A., Brun J.J., Jabiol B., Ponge J.F. & Toutain F., 1995 - French humus forms classification Classification of forest humus forms: a French proposal. Ann. Sci. For., 52: 535-546. Brêthes A., Brun J.J., Jabiol B., Ponge J.F. & Toutain F., 1998 - Types of humus form in temperate forests. In: Baize D. & Girard M.C. (eds), Référentiel Pédologique. INRA, Paris: 266-282. Calabrese M.S., Mancabelli A., Nicolini G., Sartori G. & Zanella A., 1996 - Humus forestali del Trentino / Forest humus in Trentino. Centro di Ecologia Alpina, Trento. Report, 9: 3-41. Green R.N., Trowbridge R.L. & Klinka K., 1993 - Towards a taxonomic classification of humus forms. For. Sci., 39: 1-49. Jabiol B., Brêthes A., Ponge J.F., Toutain F. & Brun J.J., 2007 - L’humus sous toutes ses formes. 2e éd. revue et corrigée. AgroParisTech-ENGREF, Nancy: 63 pp. Jabiol B., Brêthes A., Brun J.J., Ponge J.F., Toutain F., Zanella A., Aubert M. & Bureau F., 2009 - Typologie des formes d’humus forestières (sous climat tempéré). In: Baize D. & Girard M.C. (eds), Référentiel Pédologique 2008. Editions Quae, Paris: 327-355. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 157-160 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Nota breve – Short note La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del Trentino a partire dalla banca dati della carta dei suoli alla scala 1:250.000 Adriano Garlato1*, Silvia Obber1, Ialina Vinci1, Alessandro MANCABELLI1, Andrea Parisi2 & Giacomo Sartori2 ARPA Veneto, Unità Operativa Suolo, Via Baciocchi 9, 31033 Castelfranco Veneto (TV) Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] 1 2 summary - Soil carbon stock assessment in the Trentino Province (Italy) based on the soil map at 1:250,000 scale - Soil carbon stock of the Trentino Province (North Italy) has been assessed, as a first approximation, on the basis of the data base of the soil map at 1:250.000 scale. In the Alpine area the differences between different altitudinal belts are considerable, with higher values (>185 t ha-1) at higher elevations. Differences between siliceous and calcareous substrates are very reduced above the timberline (>1900 m a.s.l.), and at lower altitudes (<1300 m), whereas in the intermediate zone values are notably higher on siliceous materials. In the Prealpine area values are lower than in the Alpine area, both on mountain areas and in the valleys. Parole chiave: suoli montani, Provincia di Trento, carbonio organico, stock di carbonio Key words: mountain soils, Province of Trento, organic carbon, carbon stock 1. Materiali e metodi La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del Trentino è stata effettuata a partire dalle informazioni della banca dati che accompagna la carta dei suoli del Trentino alla scala 1:250.000, di recente ultimazione (Sartori & Mancabelli 2009), utilizzando i dati relativi a 100 profili tipici di altrettante unità tipologiche di suolo presenti nella legenda. È noto che in ambiente prevalentemente montano una notevole percentuale del carbonio stoccato nei suoli è inglobata negli orizzonti organici di superficie (humus), i quali possono rappresentare oltre il 20% del carbonio totale (Galbraith et al. 2003; Schulp et al. 2008). La disponibilità di informazioni descrittive e analitiche relative a tali orizzonti ha permesso di quantificare il contributo dell’humus sullo stock totale. Il carbonio presente nella lettiera, o orizzonte OL (AFES 2009), non è stato invece considerato. Le osservazioni utilizzate sono state condotte in un arco temporale di un quindicennio (1991-2005), il che può rappresentare un limite alla precisa determinazione di un parametro relativamente variabile nel tempo quale è il contenuto di carbonio. Cospicue variazioni nel contenuto di sostanza organica nel suolo si realizzano però in intervalli di tempo dell’ordine della decina di anni solo se gli input subiscono modifiche profonde (Perruchoud et al. 1999). Vista la relativa stabilità nella gestione degli ambiti forestali in Trentino, tali cambiamenti possono essere considerati non rilevanti. La maggior parte dei valori analitici disponibili (366 orizzonti analizzati in totale) sono stati ottenuti con il metodo Walkley-Black. Per avere una comparabilità internazionale essi sono stati espressi come se fossero misurati col metodo ISO 14235. Si è utilizzata a questo scopo la regressione ottenuta da una prova eseguita da otto laboratori pubblici italiani aderenti alla SILPA (tra i quali quello della Fondazione E. Mach, che ha effettuato anche le analisi della banca dati), commissionata dal Centro di Ricerca Comune dell’Unione Europea di Ispra (JRC) e finalizzata a testare la comparabilità dei metodi ISO con i metodi nazionali in uso. La regressione è la seguente: (1) CO (ISO) = 1,0288*CO (Walkley Black) + 0,07631 (R2= 0,9763) Solo per il 25% degli orizzonti organici (humus) considerati erano disponibili dati analitici. Per i restanti orizzonti organici il contenuto di carbonio organico è stato stimato a partire dalla diversa tipologia di orizzonte (OF, OH, O generico), in base ai valori medi ottenuti dagli altri orizzonti della stessa tipologia che disponevano di dati analitici. Lo stock di carbonio per i primi 30 cm di suolo è stato determinato con due modalità differenti, rispettivamente includendo l’humus (= stock di carbonio dei primi 30 cm 158 Garlato et al. Stock di carbonio nei suoli del Trentino di suolo) ed escludendolo (= stock di carbonio dei primi 30 cm di suolo minerale). Il secondo valore, meno indicativo del primo, è stato calcolato per facilitare i confronti, a livello nazionale e internazionale, con le stime che appunto non includono gli humus. Lo stock di carbonio (SOC) di ogni singolo suolo analizzato si ottiene dal prodotto, effettuato per ogni orizzonte presente nei primi 30 cm di profondità, tra il quantitativo ponderale di carbonio e la densità apparente dell’orizzonte, sottraendo il volume occupato dai frammenti grossolani: horizon=n (2) SOCtot = Σ([SOC]*BulkDensity*depth*(1-frag)*10)horizon horizon=1 dove SOCtot= stock di carbonio organico nel suolo (C.O. t ha-1); SOC= concentrazione di carbonio organico del singolo orizzonte (C.O. g kg-1 di suolo); Bulk Density= densità apparente dell’orizzonte (t di suolo m-3); Depth= profondità dell’orizzonte (m); Frag: percentuale in volume dei frammenti grossolani nell’orizzonte. Il dato ottenuto per il profilo tipico è stato esteso, in prima approssimazione, alla corrispondente unità tipologica di suolo della banca dati, e il quantitativo presente in ogni delineazione della carta dei suoli provinciale è stato calcolato utilizzando la media ponderata dei diversi suoli presenti al suo interno. Per la stima della densità apparente degli humus è stata utilizzata la pedofunzione di Hollis (Hollis & Woods 1989) definita per gli orizzonti organici (BD= -0,00745*C.O.%+0,593). Per gli orizzonti minerali invece è stata utilizzata una serie di pedofunzioni, tarate a partire da dati misurati nelle aree montane del Veneto che utilizzano i dati tessiturali e il contenuto in sostanza organica. In particolare, sono state utilizzate cinque pedofunzioni (Garlato et al. 2009; Ungaro 2009): due per i suoli montani (orizzonti superficiali e orizzonti profondi) e tre per i suoli coltivati (orizzonti A, B e C). Per la quantificazione del carbonio a livello provinciale sono state escluse tutte le aree di non suolo ricavate dal CORINE Land Cover (European Environmental Agency, EEA 2000). 2. Risultati Nella tabella 1 sono sintetizzati i contenuti di carbonio per ha (t ha-1) in ciascuna delle dodici province di suoli della carta pedologica alla scala 1:250.000 ed è riportato il contenuto totale di carbonio organico nei suoli del Trentino (68 Mt). Tali dati mostrano come l’effetto della quota sia molto influente. Considerando le stime che comprendono l’humus, i suoli delle province ASA (Alpi Silicatiche Alte) e ACA (Alpi Calcareo-dolomitiche Alte), situati sopra il limite del bosco (>1900 metri s.l.m.), hanno infatti valori molto elevati e relativamente vicini (rispettivamente 187 e 201 t ha-1). I suoli delle province ASB (Alpi Silicatiche Basse) e ACB (Alpi Calcareo-dolomitiche Basse), alle quote meno elevate (rispettivamente <1300 metri e 9001900 metri), hanno valori notevolmente inferiori, e anche in questo caso vicini (rispettivamente 112 e 117 t ha-1). La Provincia Alpi Silicatiche Medie (1300-1900 metri), caratterizzata dai suoli podzolici, con attività biologica tendenzialmente scarsa, ha invece valori sensibilmente più alti, dello stesso ordine di grandezza di quelli delle quote più alte (188 t ha-1). I valori della zona prealpina sono nettamente inferiori a quelli della zona alpina, sia sui rilievi montuosi (139 t ha-1 per le Prealpi Ripide Alte) che nei fondivalle (80 t ha-1, contro le 130 t ha-1 dei Fondivalle Alpini). Anche per le Prealpi Ripide si osservano valori più bassi alle quote inferiori (92 t ha-1 nelle Prealpi Ripide Basse), mentre nelle Prealpi Pianeggianti i Tab. 1 - Stock di carbonio nei primi 30 cm di suolo minerale (SOC), o includendo l’humus (SOC con humus), nelle dodici province di suoli della carta dei suoli, e valori medi per ettaro (rispettivamente escludendo o includendo l’humus). Tab. 1 - Carbon stock in 0-30 cm layer of mineral soil (SOC), or including organic layers (SOC con humus), in the 12 provinces of the regional soil map, and mean values (t ha-1) with (C per ettaro) or without (C per ettaro con humus) organic layers. SOC 30 cm (t) SOC 30 cm con humus (t) SOC (30 cm) per ettaro (t ha-1) SOC (30 cm) per ettaro con humus (t ha-1) 3.083.668 3.746.974 165,78 201,44 Alpi Calcareo-dolomitiche Basse 4.052.239 9.646.246 49,26 117,27 Alpi Marnose Basse 1.574.511 2.223.223 80,58 113,78 Alpi Silicatiche Alte 8.645.518 9.767.462 165,82 187,34 Alpi Silicatiche Basse 2.963.373 5.631.857 59,01 112,15 Alpi Silicatiche Medie 9.464.247 15.651.259 113,69 188,00 Fondovalli Alpini 1.906.378 2.002.261 123,91 130,14 Provincia di suoli Alpi Calcareo-dolomitiche Alte Fondovalli Prealpini 1.431.421 1.703.163 67,35 80,14 Prealpi Pianeggianti Alte 1.361.461 2.054.139 62,80 94,75 Prealpi Pianeggianti Basse 3.450.212 3.966.071 127,05 146,05 Prealpi Ripide Alte 1.277.664 1.796.924 99,13 139,42 Prealpi Ripide Basse 5.987.929 10.044.454 55,02 92,29 Totale 45.198.621 68.234.033 88,07 132,96 Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 157-160 159 Fig. 1 - Stock di carbonio organico nei primi 30 cm dei suoli della Provincia di Trento, includendo l’humus (nell’immagine non sono indicate le aree di non suolo). Fig. 1 - Organic carbon stock in 0-30 cm layer of the soils of the Trento Province, including organic horizons (no soil not shown). contenuti sono invece più bassi alle quote più alte, dove prevalgono in maniera più netta i luvisuoli, relativamente poveri di sostanza organica, a causa di una veloce mineralizzazione (Garlato et al. 2009; Sartori et al. 2009). Nella figura 1 le delineazioni della carta dei suoli sono riunite per classi di contenuto di carbonio. La mappa permette di apprezzare in modo sintetico le tendenze sopra esposte legate alla quota, e alle differenze climatiche tra settore alpino e prealpino. 3. Conclusioni Le stime degli stock di carbonio nel suolo sopra esposte mostrano notevoli differenze tra le varie fasce altimetriche del settore prealpino: valori nettamente più alti si registrano alle quote più alte, in relazione a una minore mineralizzazione legata a temperature inferiori (Rodeghiero & Cescatti 2005). Le differenze tra i substrati silicatici e calcareo-dolomitici sono molto ridotte sopra il limite del bosco (>1900 m s.l.m.) e alle quote più basse (<1300 m), mentre nella fascia intermedia i valori su substrati silicatici sono sensibilmente più alti (dello stesso ordine di grandezza di quelli delle quote più elevate). I valori della zona prealpina sono nettamente inferiori a quelli della zona alpina, sia sui rilievi montuosi sia nei fondivalle. Tali stime sono state ottenute, in prima approssimazione, considerando solo i 100 profili rappresentativi delle diverse unità tipologiche di suolo della carta. Un calcolo più preciso e più affidabile potrà essere effettuato considerando tutti gli oltre 350 profili presenti nella banca dati e ottenendo quindi il dato medio per ogni unità tipologica di suolo. Come già in altri lavori riguardanti il Trentino (Tonolli et al. 2007) o altre zone alpine (Garlato et al. 2009), le informazioni della banca dati potranno essere analizzate in funzione delle diverse tipologie di suolo, di vegetazione e di forme di humus, individuando le eventuali relazioni statistiche tra contenuto di carbonio nel suolo e parametri ambientali. 160 Garlato et al. Bibliografia AFES, 2009 - Référentiel Pédologique 2008, Baize D. & Girard C.M. (eds). Edition Quae, Paris: 432 pp. Baize D. & Girard C.M. (Eds), DATA - TITOLO. Editions Quae, Paris: 432 pp. EEA, 2000 - Corine land cover 2000 (CLC2000) 100 m. Vversion 9/2007 [http://dataservice.eea.europa.eu/dataservice/metadetails.asp?id=1007]. 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Nat., 85 (2009): 161-164 © Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009 ISSN 2035-7699 Nota breve – Short note Le tipologie stazionali forestali nel monitoraggio dei cambiamenti ambientali: il caso della Val di Sella (Trentino) Marco Ciolli Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Trento, Via Mesiano 77, 38050 Trento E-mail: [email protected] SUMMARY - Forest stand types for environmental monitoring: the case of Val di Sella (Trentino, Italy) - Since the ’80es in Italy the interest about the study of forest types both for scientific and for managegement purposes gradually grew. One of these experimental work, focused on methodology and carried out in Val di Sella, Trentino at the end of the 90es, is used as an example to highlight the limits but also the opportunities that this kind of work offers to monitor ecosystems change in the long run in a changing climate. Parole chiave: tipologia forestale, tipologia stazionale, monitoraggio ambientale, suoli alpini, Val di Sella, Trentino Key words: forest type, forest stand type, environmental monitoring, Alpine soils, Val di Sella, Trentino 1. Introduzione L’importanza di identificare i tipi forestali sul territorio è ormai evidente (Cullotta e Marchetti 2007), tanto che molte regioni e province si sono mosse per realizzare dei cataloghi di tali tipi con l’ausilio di rilievi floristici e pedologici (Bovio et al. 2007). L’elaborazione di una tipologia forestale risponde a due esigenze principali, ovvero conoscere le potenzialità di una unità forestale (o per lo meno migliorare sensibilmente le conoscenze su di essa) e identificare le unità osservabili sul terreno, cioè le stazioni, così da facilitare la gestione di questi dati (Zanella 1996; Ciolli & Romagnoni 1998). La classificazione tipologica è un’astrazione che si rende necessaria per limitare il numero dei tipi, ma non può essere del tutto corrispondente alla realtà del bosco, estremamente diversificata per le diversità microclimatiche pedologiche e geomorfologiche, e per gli interventi antropici (Joud 1995). A partire dagli anni ’80, sono stati effettuati diversi studi sulla tipologia sia forestale sia stazionale in varie aree d’Italia e molti di questi lavori sono stati utilizzati per la realizzazione di pubblicazioni sulle tipologie forestali gestionali rivolte ai gestori forestali di alcune regioni tra cui Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Toscana, Trentino (Zanella et al. 1997; Bovio et al. 2007). I ricercatori francesi sono stati pionieri in questo campo: la loro metodologia prevede la realizzazione di studi molto dettagliati sulle tipologie stazionali su aree relativamente piccole e la produzione di due cataloghi tipologici, uno stazionale di dettaglio ad uso scientifico e uno gestionale semplificato (Michalet et al. 1995). I lavori realizzati utilizzando le tipologie stazionali di dettaglio su base locale spesso hanno individuato dei tipi che, così come sono, non è possibile adottare nelle tipologie forestali gestionali regionali o provinciali in quanto troppo specifici (Sitzia et al. 2004; Bovio et al. 2007), ma che mantengono la loro importanza e anzi, alla luce del cambiamento climatico, ne acquisiscono sempre più una di tipo documentale. 2. Lo studio sulla tipologia della Val di Sella A tal proposito si presenta, in chiave paradigmatica e critica, la rilettura di uno studio metodologico sulla tipologia stazionale forestale effettuato in Val di Sella, laterale della Valsugana (Ciolli 1998b). In tale lavoro ci si proponeva di verificare l’applicabilità della metodologia di analisi relativa alla tipologia delle stazioni forestali già sperimentata con successo in Francia. La Val di Sella presenta aspetti di particolare complessità vegetazionale a causa di frequenti rimaneggiamenti antropici e dei trascorsi bellici, che hanno a più riprese cambiato faccia al suo paesaggio forestale (Agostini 1988); anche per questo motivo tale analisi permise di esprimere le potenzialità e i limiti del metodo, verificandone la sua applicabilità a scopo tecnico gestionale e assestamentale. Basato su una solida mole di dati e su un consistente lavoro di campagna, lo studio era improntato alla multidisciplinarità, seguiva le linee sperimentali della metodologia francese della scuola di Grenoble e; riservava una particolare importanza alle informazioni provenienti dai rilievi pedologici (Ciolli 1998). 162 Ciolli L’elevato numero di rilievi floristici effettuati sottolinea la valenza forestale di questo genere di lavori, che non puntavano a ottenere una suddivisione per gruppi fitosociologici, ma una divisione per tipi stazionali forestali con uno sguardo particolarmente attento alle dinamiche vegetazionali, di fondamentale importanza per le scelte colturali dei gestori (Sitzia 2001). Per completezza il lavoro di definizione dei tipi era preceduto da un inquadramento fitosociologico di tipo classico e da un esame dei dati principali riportati nei Piani di Assestamento forestale. Per l’impostazione del lavoro prima e per l’interpretazione dell’analisi floristica dei rilievi e delle specie poi ci si avvalse della collaborazione dello staff del Laboratoire des Ecosystèmes Alpins del Centre de Biologie Alpine dell’Université Joseph Fourier di Grenoble allora diretto dal professor Richard Michalet, autore di parecchi lavori tipologici in Francia, nelle regioni del Delfinato e della Savoia. Per la pianificazione e la realizzazione dei rilievi pedologici si chiese la partecipazione di Fabrizio Ferretti, forestale e pedologo, attualmente ricercatore presso il CRA, Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, e del professor Alessandro Mancabelli dell’allora Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Le coordinate dei punti ove si effettuarono i rilievi pedologici e i rilievi floristici furono ricavate mediante GPS con la collaborazionedel dottor Paolo Zatelli, ricercatore presso il Laboratorio di Topografia del Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale dell’Università di Ingegneria di Trento. Nel lavoro vennero descritte in maniera dettagliata la metodologia generale di lavoro sul campo, il software utilizzato per le analisi floristiche e le analisi stesse, aspetti che fino ad allora erano stati piuttosto trascurati nelle trattazioni italiane (Ciolli 1998; Sitzia 2001). Bisogna sottolineare che i lavori che concernono la tipologia stazionale di dettaglio e seguono la metodologia francese sono in genere corredati da un’ampia documentazione sulla metodologia e questo li rende esplicitamente confrontabili fra di loro. Il lavoro permise dunque l’evidenziazione dei tipi stazionali (Tab. 1) di principale interesse forestale della valle, con la relativa descrizione stazionale, pedologica (Figg. 1-2) e collocazione geografica (Ciolli 1998). La metodologia venne proposta evidenziando anche le principali difficoltà incontrate nell’applicarla, tra le quali la necessità di disporre di un gruppo multidisciplinare con competenze ampie e differenziate, la notevole quantità di rilievi necessari e la lunga tempistica. Rivedendo criticamente i risultati, lo sforzo notevole e multidisciplinare che richiedono le ricerche sui tipi stazionali forestali di dettaglio appare forse sproporzionato rispetto al risultato, soprattutto se lo scopo finale che ci si prefigge è di tipo gestionale. La tipologia stazionale necessita infatti di essere mediata e stemperata nella realizzazione di tipi gestionali più generici per fare in modo che abbiano una validità regionale o provinciale. Tipologie forestali in Val di Sella Fig. 1 - Mappa rappresentante i rilievi floristici realizzati in Val di Sella su Ortofoto 2000. Fig. 1 - Map representing floristic surveys in Val di Sella. di lettura che possono essere utilizzate agevolmente per seguire l’evoluzione ecologica dei popolamenti su aree relativamente ristrette. Inoltre, la presenza di rilievi pedologici Conclusioni La tipologia stazionale di dettaglio, come quella oggetto del lavoro della Val di Sella, ha da un lato il limite di essere estremamente locale e quindi difficilmente di immediato utilizzo gestionale, ma proprio per questo ha d’altro canto il merito di fornire maggiori informazioni sulle popolazioni e sui gradienti locali e quindi offre chiavi Fig. 2 - Suolo bruno calcareo. Fig. 2 - Brown calcareous soil. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 161-164 163 offre la possibilità di seguire l’evoluzione dei popolamenti anche utilizzando le informazioni sul suolo. Le riflessioni sulle modificazioni che i cambiamenti climatici indurranno sulle stazioni forestali al giorno d’og- gi si concentra soprattutto sul diverso regime di umidità e temperatura che questi potrebbero portare. La conoscenza dettagliata della tipologia stazionale su base locale potrebbe tuttavia consentire un monitoraggio accurato dei cam- Tab. 1 - Principali tipi stazionali di interesse forestale della Val di Sella e relative caratteristiche pedologiche secondo la metodologia dell’Università di Grenoble. Tab. 1 - Main Val di Sella Forest types and their pedologic features. Types selected following Grenoble’s University method. Altitudine m s.l.m. Esposizione Pendenza % Copertura arborea % 600 - 850 S, NE 20 - 40 50 60 - 100 Rendzina bruni o suoli bruni lisciviati, con humus da mediamente a molto attivi Pineta silvestre montana mesoxero800 - 1000 fila con erica e biancospino S, SE 40 - 65 70 - 100 25 - 70 Rendzina con humus mediamente attivi Pineta silvestre xerofila neutroclina degli humus poco attivi su suoli 800 - 1100 superficiali a Sesleria varia e Goodyera repens S, SE 40 - 65 70 - 100 25 - 70 Rendzina con humus poco attivi Tipologia forestale Pineta (di impianto artificiale) di pino silvestre e nero montana mesoigrofila, a Molinia arundinacea e Brachypodium sylvaticum con castagno. Copertura Suoli erbacea % Pineta silvestre xerica neutroclina a 800 - 1300 Carex humilis e Asperula purpurea S, SO, ESE 40 - 65 < 70 60 - 100 Rendzina estremamente superficiali, con elevate pietrosità superficiale e rocciosità Faggeta mesoigrofila degli humus 1000 - 1150 attivi con rovere S 30 - 50 80 15 - 30 Terre brune, rendzina profondi e suoli umocalcarei, con humus attivi Rendzina superficiali e suoli bruni lisciviati decapitati, con humus non molto attivi Faggeta mesoxerofila a pedoclima contrastato degli humus mediamente attivi con carpino nero e pino 980 - 1300 silvestre a Carex flacca e Carex humilis. S 40 - 60 80 - 100 5 - 25 Faggeta mesofila con pino silvestre. 1050 - 1300 S 10 - 40 75 - 100 5 - 15 S (o fondovalle) 0 - 30 80 - 100 variabile Abetina di abete bianco mesofila, 950 - 1250 con abete rosso N 5 - 40 50 - 80 5 - 25 Abetina eutrofica con abete rosso, a 950 - 1200 Galium odoratum e felci N 0 -30 50 - 80 5 - 25 Lariceta pioniera 1500 - 1700 N 60 - 110 30 - 60 50 - 80 Rendzina superficiali Abieti-Faggeta mesofila con abete 1000 - 1500 rosso N 20 - 60 80 10 - 40 Rendzina o suoli bruni calcarei con humus mediamente attivi Abieti faggeta mesofila con acero 950 - 1200 montano N 0 - 30 50 - 80 5 - 25 Suoli bruni, con humus da poco a mediamente attivi Pecceta a Adenostyles glabra e 1300 - 1600 Calamagrostis arundinacea N, NO 20 - 30 50 80 Rendzina o suoli bruni Peccete di sostituzione - Suoli bruni calcarei con humus non molto attivi Da rendzina a bruni lisciviati Suoli bruni calcarei parzialmente decalcificati in superficie, con humus mediamente attivi Suoli bruni lisciviati (su materiali glaciali), con humus molto attivi Faggeta altimontana con larice 1300 - 1600 N 20 - 30 85 40 Suoli bruni lisciviati Piceo faggeta a Luzula nivea 1200 - 1400 N, NE 30 - 50 80 40 Rendzina Pecceta a Calamagrostis 1200 - 1500 N 35 - 50 50 80 Suoli bruni calcarei parzialmente decarbonatati in superficie 164 Ciolli biamenti stazionali in un’ottica più ampia che tenga conto anche del cambiamento delle combinazioni di fattori, le quali saranno quelle che più verosimilmente origineranno variazioni nei popolamenti forestali. Il clima agisce sulla stazione in combinazione con altri fenomeni fisico chimici quali l’aumento della CO2 e le deposizioni azotate. Questi fenomeni inducono l’intensificazione dell’attività biologica che non sempre si traduce in un miglioramento del livello trofico a causa delle modalità di nutrizione delle piante, della competizione con organismi invasivi alloctoni e dell’influenza delle caratteristiche pedologiche. Gli studi di dettaglio in futuro potranno costituire una base fondamentale per seguire lo stato dei popolamenti forestali. In questo senso strumenti come il GIS (Sottovia et al. 2002, Turco et al. 2004) si prestano alla perfezione per rappresentare e modellizzare lo stato attuale delle conoscenze, ma anche i cambiamenti in atto. La combinazione di rilievi di dettaglio e della capacità di rappresentazione del territorio potrebbe fornire un ulteriore impulso a questi studi e offrire nuove chiavi interpretative, rendendo nuovamente utili delle informazioni frutto di impegnativi lavori di ricerca, che altrimenti rischierebbero con molta probabilità di restare inutilizzate. In tal senso sarebbe importante che i dati raccolti fossero disponibili e condivisibili. Internet consente di creare degli archivi aperti, a disposizione di chi ne abbia necessità, per recuperare dati di base da utilizzare in questi studi. Sarebbe assai interessante pensare di realizzare un archivio o un sistema di archivi di questo genere a livello nazionale o regionale, con i rilievi effettuati sulla tipologia stazionale di dettaglio, magari strutturato in forma di WebGIS in particolare ove siano disponibili, come nel caso della Val di Sella, le coordinate dei punti. 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Martalò1*, Igor Boni1, Paolo Roberto1, Mauro Piazzi1 & Marco Corgnati2 Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente-IPLA Spa, Area Ambiente, Corso Casale 476, 10132 Torino Regione Piemonte, Settore Politiche Forestali, Corso Stati Uniti 21, 10100 Torino * E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] 1 2 Summary - The study of Alpine soils of Piemonte Region and the multifunctional management of Alpine pastures - Soil survey of Piemonte Alps had been mainly accomplished as a support of Alpine pastures management plans. The high amount of soil profiles studied on pastures, harmonized with other soil data available at regional level, permitted to get a good definition of Alpine soil types and of their relationship with the ecosystem factors. Parole chiave: suoli alpini, pascoli alpini, carte dei suoli, Regione Piemonte Key words: Alpine soils, Alpine pastures, soil maps, Piemonte region 1. Il Piemonte: una regione alpina Le montagne occupano la maggior parte della superficie del territorio piemontese e rappresentano lo sfondo del paesaggio regionale, che risulta scandito dalla regolare successione di fondovalle e alcuni imponenti edifici morenici. Le terre alte sono fortemente legate con il resto del territorio regionale da relazioni di tipo morfologico, ecologico, economico e sociale, le quali sono anche favorite dalla relativa brevità delle valli alpine. Queste relazioni consentono di considerare fondamentale il ruolo della montagna per l’intero territorio regionale e di definire il Piemonte una regione “alpina” al pari di altre (Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, per esempio) per le quali questa definizione è comunemente accettata. Analizzando le relazioni ecologiche a scala regionale, si percepisce immediatamente la loro continuità lungo l’intero arco alpino, la quale garantisce il collegamento tra ambienti estremamente eterogenei. L’arco alpino piemontese si estende da regioni ancora influenzate dalla vicinanza con il mare sino ad aree con spiccate caratteristiche climatiche di continentalità. Il suolo svolge senza dubbio un ruolo centrale nel garantire la connessione ecologica tra i diversi ambienti, a partire dalle terre poste alle altitudini più elevate, ove la continuità della copertura pedologica rappresenta la principale garanzia per la diffusione delle specie e, conseguentemente, per la tutela della biodiversità regionale. 2. I suoli dei pascoli alpini Nell’affrontare lo studio delle terre delle praterie alpine, che in Piemonte si estendono per oltre 68.000 ettari, uno dei fattori centrali da considerare è rappresentato dalle attività di alpeggio, che sono presenti con intensità e modalità di sfruttamento del terreno diverse lungo l’intero arco alpino piemontese. La loro presenza produce effetti sulla stabilità, sull’evoluzione e sulla fertilità del suolo, inserendosi all’interno di ecosistemi dall’equilibrio particolarmente fragile. Le formazioni pastorali sono quindi strettamente correlate alle caratteristiche del suolo, ma anche a quelle dei prodotti dell’alpeggio. Lo studio dei suoli alpini in Piemonte è stato condotto soprattutto in relazione alle iniziative regionali di analisi dei pascoli finalizzate al miglioramento qualitativo dei prodotti d’alpeggio e alla conservazione delle funzionalità ecologiche delle praterie. Fra questi progetti, è opportuno ricordare nel 2000 quello legato alla caratterizzazione del formaggio “Ossolano” (Regione Piemonte 2002), prodotto tipico delle valli Formazza e Antigorio, che ha consentito la formazione di un gruppo di lavoro regionale costituito da pedologi e da esperti di pastoralismo. Da quella esperienza è nata un’attività sistematica di determinazione floristica e pedologica delle superfici a pascolo, per giungere alla definizione dei “tipi pastorali” delle Alpi Piemontesi (Cavallero et al. 2007). Le più approfondite conoscenze sui suoli montani piemontesi sono legate agli ambienti di pascolo, con un patrimonio di circa 700 profili pedologici in alpeggio e la redazione di alcune carte dei suoli a scala di dettaglio (1:10.000) a supporto dei piani di pascolamento, come nel caso di alcuni alpeggi dell’Ossolano o della carta dei suoli dell’Altopiano della Gardetta (IPLA 2006), in Valle Maira (Fig. 1). I piani di pascolamento sono strumenti per la conservazione e il miglioramento delle superfici a pascolo che 166 Martalò et al. Conoscenza e gestione dei suoli alpini in Piemonte Fig. 1 - Carta dei suoli dell’Altopiano della Gardetta, in Valle Maira. Fig. 1 - Soil map of Altopiano della Gardetta in the Maira Valley (Piemonte, Italy). hanno lo scopo di assicurare una buona alimentazione al bestiame (prelievi e qualità), il mantenimento o il miglioramento della qualità foraggera e la conservazione della funzionalità ecologica delle praterie alpine. Vengono redatti a scala di alpeggio (1:10.000 o di maggiore dettaglio) e sono basati su un’approfondita conoscenza dei principali fattori ambientali, anzitutto la vegetazione, la morfologia stazionale e il suolo. Uno dei primi risultati del lavoro sin qui svolto è la descrizione di differenti “sequenze evolutive” degli ecosistemi d’alpeggio (Fig. 2). Sono state definite alcune tipologie pedologiche “climaciche” in base alle condizioni stazionali in cui sono state descritte, accanto ad altre paraclimax determinate dall’influenza delle pratiche gestionali. La modificazione della fertilità del suolo, ad esempio per l’erosione del topsoil, per il suo compattamento o per l’incremento della sostanza organica restituita con le deiezioni, sono effetti della gestione delle terre facilmente riconoscibili nel profilo pedologico, al pari di quelli dovuti agli altri fattori della pedogenesi. Variazioni della fertilità del suolo si ripercuotono sulla composizione specifica del foraggio e sul suo valore pastorale, influenzando la biodiversità regionale. Si deve infatti aggiungere che forme di degradazione del suolo e della cotica erbosa inizialmente circoscritte possono modificare la distribuzione del pascolamento, innescando fenomeni di degrado diffuso dell’intera superficie a pascolo. Il riconoscimento precoce di questi fenomeni può suggerire una modificazione dei comportamenti gestionali, per conformarli all’equilibrio suolo-tipologia pastorale (para)climacica e ricercare la stabilità dell’ecosistema. A seguito delle indicazioni metodologiche di queste attività di studio, condotte in modo congiunto da pedologi e pastoralisti, la legislazione regionale sta predisponendo strumenti normativi per promuovere la realizzazione di piani di pascolamento a scala aziendale, per giungere ad una gestione omogenea e sempre più “multifunzionale” dei comprensori di pascolo. L’elevato numero di profili pedologici indagati ha anche consentito di acquisire un bagaglio importante di conoscenze regionali sui suoli di questo particolare ambiente, che saranno oggetto di una pubblicazione specifica. Tuttavia, il vero valore aggiunto di questo progetto è rappresentato dal suo approccio di tipo “sistemico” allo studio dei suoli alpini, orientato a considerare il suolo come l’elemento centrale delle relazioni fra le diversi componenti dell’ecosistema. Considerati i risultati, è ipotizzabile di poter continuare l’applicazione della metodologia sugli ambienti forestali, per giungere alla definizione di “Tipi Stazionali” per tutti gli ambienti montani, sulle base dei quali tracciare delle linee di gestione delle terre che considerino tutte le componenti dell’ecosistema. Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 165-169 Fig. 2 - Sequenze evolutive dei suoli degli ecosistemi d’alpeggio del Piemonte. Fig. 2 - Soil evolution sequences in the Alpine pasture ecosystems of Piemonte. 167 168 Martalò et al. Fig. 3 - Componenti Ambientali Prevalenti del Piemonte (1/1.000.000), con i limiti climatici meridionale (linea superiore) e settentrionale (linea inferiore) della presenza degli spodosuoli. Fig. 3 - Pedolandscapes of Piemonte (1/1,000,000), with the south (upper line) and north (lower line) climatic boundaries of Spodosols presence. 3. Conoscenza e gestione dei suoli alpini in Piemonte Fig. 4 - Suolo podzolico (Typic Haplocryod, sandy skeletal, mixed, acid frigid) su gneiss e quarziti, a quota 2040 m s.l.m. Fig. 4 - Podzolic soil (Typic Haplocryod, sandy skeletal, mixed, acid frigid) over gneiss and quartzite, 2040 m a.s.l. I suoli alpini La redazione della Carta dei Suoli 1:250.000 (Regione Piemonte - IPLA 2007) ha consentito di acquisire nuovi dati sugli ambienti forestali e sugli ecosistemi agrari di fondovalle, integrando parzialmente le informazioni già esistenti e fornendo una prima distribuzione regionale delle differenti tipologie di suolo alpino. A partire dal 2010, un programma sperimentale di rilevamento e cartografia dei suoli alpini a scala di semidettaglio (1:50.000), condotto da IPLA, dovrebbe consentire di migliorare la conoscenza dei suoli di questo importante settore del territorio regionale, permettendole di raggiungere progressivamente gli standard regionali di organizzazione dell’informazione pedologica, che prevede anche la diffusione on line dei dati disponibili (http://www.regione.piemonte.it/agri/suoli_terreni/index.htm). Il risultato più prezioso è costituito dalla prima definizione delle Unità Tipologiche di Suolo delle terre alpine, stabilite sulla base del clima e del substrato litologico, dei processi di deposizione del parent material e delle pratiche gestionali attuali o remote. La distribuzione regionale delle tipologie pedologiche è per ora affidata alla carta dei suoli a scala 1:250.000, ma sono programmati nuovi approfondimenti a scala di maggiore dettaglio. Uno degli aspetti più evidenti che emerge dalla distribuzione regionale delle tipologie pedologiche alpine, oltre alla prevedibile diffusione di entisuoli e inceptisuoli (U.S. Soil Survey Staff 2006), riguarda la localizzazione degli spodosuoli e dei mollisuoli nella geografia pedologica piemontese. Come è noto, gli spodosuoli sono legati a climi piovosi e a substrati acidi (Sauer et al. 2007). Sulla base delle osservazioni effettuate, è ragionevole ipotizzare che la differenziazione di spodosuoli in Piemonte sia circoscritta, a nord e a sud, da due ipotetici limiti (rappresentati nella Carta delle Componenti Ambientali Prevalenti 1:1.000.000: Fig. 3). Al di sopra del limite settentrionale e al di sotto di quello meridionale esistono condizioni ecologiche favorevoli a intensi processi di podzolizzazione, con formazione di orizzonti E e/o Bhs (Fig. 4), ed è pertanto possibile riconoscere estese superfici ove queste tipologie pedologiche sono prevalenti. Nel tratto di arco alpino compreso fra i due limiti, invece, la differenziazione di spodosuoli è limitata ad aree molto circoscritte, rappresentabili in cartografia soltanto a scala Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 165-169 di semi-dettaglio o superiori. Le ragioni di tale modello di distribuzione regionale degli spodosuoli sono probabilmente climatiche e legate alle condizioni di elevata piovosità (precipitazioni medie annue anche molto maggiori i 1200 mm). Per quanto concerne i mollisuoli, invece, si nota una loro diffusione sulle superfici a pascolo con litologia carbonatica; nelle aree forestali, invece, essi si rinvengono nelle limitate porzioni territoriali regionali dove esistono affioramenti calcarei e dolomitici. 4. Conclusioni Le attività di studio sin qui descritte hanno consentito di conseguire un livello di conoscenza dei suoli alpini confrontabile con quello raggiunto per altri ambienti del Piemonte. Il maggiore risultato di questa ricerca, tuttavia, è probabilmente quello di aver utilizzato la conoscenza dei suoli per la caratterizzazione dell’ambiente di prateria alpina in un contesto professionale di tipo applicativo e multidisciplinare. Si fa presente che in questa occasione sono state necessarie alcune approssimazioni, giustificate da fatto di voler restituire le informazioni sul suolo con un linguaggio 169 che fosse il più possibile con accessibile agli esperti di altri ambiti disciplinari e ai soggetti che attuano sul territorio gli strumenti di pianificazione. Bibliografia Cavallero A., Aceto P, Gorlier A., Lombardi G., Lonati M., Martinasso B. & Tagliatori C., 2007 - I tipi pastorali delle Alpi piemontesi. Alberto Perdisa Editore, Bologna: 467 pp. IPLA, 2006 - I suoli a pascolo della Valle Maira. Documento inedito: 331 pp. Regione Piemonte, 2002 - Il formaggio Ossolano. Uno studio per la caratterizzazione del territorio, dei sistemi produttivi zootecnici e dei formaggi. (http://www.regione.piemonte. it/cgi-bin/agri/pubblicazioni/pub/pubblicazione.cgi?id_ pubblicazione=441&id_sezione=0). Regione Piemonte - IPLA, 2007 - Carta dei suoli del Piemonte 1:250.000. Selca, Firenze. Sauer D., Sponagel H., Sommer M., Giani L., Jahn R. & Stahr K., 2007 - Podzol: Soil of the Year 2007 A review on its genesis, occurrence, and functions. J. Plant Nutr. Soil Sci., 170: 581597. U.S. Soil Survey Staff, 2006 - Keys to Soil Taxonomy, 10th ed. USDANatural Resources Conservation Service, Washington, DC. Studi Trentini di Scienze Naturali Guida per la preparazione dei contributi Studi Trentini di Scienze Naturali, rivista annuale del Museo Tridentino di Scienze Naturali, pubblica lavori scientifici originali a carattere biologico e geologico con particolare riferimento al territorio alpino. Vengono pubblicate tre categorie di contributi: 1) articoli (5-20 pagine), 2) note brevi (2-4 pagine), 3) review e revisioni tassonomiche (10-30 pagine) e occasionalmente supplementi monografici. I contributi vanno inviati al dott. Marco Avanzini e alla dott.ssa Valeria Lencioni, Redazione di Studi Trentini di Scienze Naturali, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento. I testi devono essere forniti in triplice copia (l’originale più due copie), comprese tabelle e figure, in italiano o in inglese, grammaticalmente corretti, dattiloscritti, senza correzioni a mano, scritti su un solo lato della pagina, con interlinea 2 e margini di 3 cm (superiore) e 2 cm i restanti lati. Le pagine siano numerate progressivamente nell’angolo superiore destro. Unitamente alle due copie su carta, si richiede l’invio della versione digitale del testo (preferibilmente in versione Word per Windows o Rich Text Format), delle tabelle, delle figure e delle didascalie di tabelle e figure su dischetto o CD. Tabelle e figure vanno fornite in file separati, denominati con il numero della tabella o della figura stessa preceduto dal cognome del primo Autore (per es.: Rossi_Tab1. doc). Mappe, disegni e fotografie (preferenzialmente in bianco/ nero) possono essere forniti come stampa, diapositiva o in formato EPS, TIFF o JPEG (minima risoluzione 300 dpi). Struttura del contributo La pagina 1 deve riportare: Titolo, Autore/i, Ente di appartenenza, Parole chiave e Key words (massimo 6) e Titolo breve. Un numero progressivo deve essere aggiunto come apice al Cognome di ogni Autore per il rimando all’Ente di appartenenza, a meno che tutti gli Autori non appartengano allo stesso Ente. Un asterisco deve essere apposto all’Autore referente per la corrispondenza*, per il quale va riportato l’indirizzo e-mail. Esempio: Giuliano Bianchi1*, Andrea Rossi2, Franco Verdi1 Dipartimento di ......., Università di ...... Dipartimento di ......., Università di ...... 1 2 E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected] * Le Parole chiave e Key words devono comprendere la localizzazione geografica. Riassunto e Summary (ciascuno di minimo 150, massimo 200 parole) iniziano a pagina 2; a seguire (pagina 3 o 4) il corpo del testo, che deve essere organizzato preferibilmente come segue: 1. Introduzione 2. Area di Studio 3. Metodi 4. Risultati 5. Discussione 6. Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia Didascalie di tabelle e figure su foglio separato Tabelle e figure su fogli separati Ciascun capitolo può prevedere la suddivisione in paragrafi e sottoparagrafi (per es.: 1. CAPITOLO; 1.1. Paragrafo; 1.1.1. Sottoparagrafo). Risultati e Discussione possono costituire un capitolo unico oppure le Conclusioni possono essere accorpate alla Discussione. Altre eccezioni vanno concordate con la Redazione. Il testo di review, revisioni tassonomiche e note brevi può essere diversamente strutturato. Nel caso di note brevi la pagina 2 deve contenere solo il Summary (se scritte in italiano) o il Riassunto (se scritte in inglese), non entrambi, di 50-100 parole. Gli articoli devono aderire fedelmente alle norme della rivista. In particolare, bisogna tener conto delle seguenti indicazioni: - usare il carattere Times New Roman corpo 12 - usare il formato “allineato a sinistra” - non suddividere le parole per effettuare gli “a capo” - non utilizzare la tabulazione e il rientro - preferibilmente non usare grassetto né sottolineato - usare il corsivo per le parole in lingua diversa da quella usata per la stesura del contributo - le didascalie e le legende di tutte le tabelle e le figure devono essere corredate di traduzione in inglese se il testo è in italiano e di traduzione in italiano se il testo è in inglese - le note a piè di pagina sono ammesse purché non superino le 10 righe - formule, equazioni, frazioni e simili vanno centrate sulla riga, numerate con un numero arabo tra parentesi sul margine sinistro e separate dal testo sopra e sotto con una riga - qualora vengano inseriti parti di testi, tabelle o figure già pubblicati, è dovere dell’Autore/i preoccuparsi di ottenere la dichiarazione del copyright. Tabelle e figure Le tabelle e le figure (grafici, fotografie, disegni) dovranno essere verticali e composte nel modo seguente: - la base dovrà essere di 1 colonna (8 cm) o 2 colonne (17 cm), l’altezza massima di 24 cm - utilizzare il carattere Times New Roman in corpo leggibile (almeno corpo 8) - utilizzare simboli e caratteri speciali derivanti da Word (in caso contrario allegare i file con il font usato) - non riportare un titolo - per le tabelle, utilizzare la formattazione automatica “semplice 1” di Word con bordi sottili - per i grafici, non riportare il bordo esterno. Tabelle e figure vanno numerate progressivamente con numeri arabi. L’Autore indicherà la posizione suggerita sul margine sinistro nella copia cartacea del dattiloscritto. Nel testo, le tabelle e le figure vanno citate per esteso con iniziale minuscola se fuori parentesi (per es.: ...come mostrato in figura 1) oppure in forma abbreviata con iniziale maiuscola se in parentesi. Per es.: (Fig. 1) o (Figg. 1, 2). Il numero di figure non dovrebbe occupare uno spazio superiore al 20% della lunghezza dell’articolo. Tabelle o liste di specie che occupano più di due pagine A4 vanno riportate come Appendici (nella stampa definitiva dopo la Bibliografia). Per le appendici valgono le stesse regole elencate per le tabelle. Quantità, simboli e nomenclatura Per le unità di misura si fa riferimento al Sistema internazionale di unità (S.I.). I simboli e le espressioni combinate nel testo, nelle tabelle e nelle figure vanno riportate con esponente negativo (per es.: m s-1 e non m/s o m x sec-1; µg l-1 e non ppb o µg/l). Lo spaziatore decimale è rappresentato dalla virgola nei lavori scritti in italiano e dal punto nei lavori scritti in inglese. Le migliaia vanno indicate con il punto nei lavori scritti in italiano e con la virgola nei lavori scritti in inglese. Per la nomenclatura biologica, gli autori devono far riferimento al Codice internazionale di nomenclatura zoologica, botanica e dei batteri. Il nome scientifico della specie (in latino) va in corsivo. Quando una specie viene citata per la prima volta nel testo, va riportato il genere per esteso e il nome dell’Autore. Nelle citazioni successive il genere viene riportato con la sola iniziale maiuscola e l’Autore della specie omesso. Referenze bibliografiche Le citazioni bibliografiche nel testo devono riportare il solo Cognome dell’Autore seguito dall’anno di pubblicazione ed eventualmente dalla pagina e da riferimenti ad illustrazioni. Se sono presenti due Autori, vanno riportati i soli Cognomi separati da & mentre, se gli Autori sono più di due, si riporta solo il Cognome del primo Autore seguito da et al. Le citazioni nel testo vanno elencate in ordine cronologico separate da punto e virgola. Esempi: Bianchi (1985); (Rossi 2002a, 2002b); (Bianchi 1985: 102, Fig. 2); (Bianchi & Neri 1986); (Bianchi et al. 1988); (Verdi 1980; Bianchi & Neri 1996). Se una referenza viene citata più volte a brevissimo o breve intervallo, l’anno può essere sostituito con loc. cit. e op. cit. rispettivamente a partire dalla seconda citazione. La Bibliografia deve comprendere solo gli Autori citati nel testo in ordine alfabetico. Per il singolo Autore, le referenze devono essere elencate in ordine cronologico. Se un Autore ha pubblicato più lavori nello stesso anno, l’anno di pubblicazione va seguito da una lettera minuscola. Se un Autore ha pubblicato sia come Autore singolo che come co-Autore, vanno prima elencate le pubblicazioni in cui è presente come Autore singolo, seguite da quelle in cui è presente con un solo coAutore (elencate a loro volta in ordine alfabetico del secondo autore), quindi con due co-Autori, ecc. Per lo stesso numero di co-Autori, va seguito l’ordine cronologico. I lavori in stampa vanno citati solo se formalmente accettati per la pubblicazione. In questo caso si riporta l’anno corrispondente a quello di accettazione del lavoro tra parentesi (“in stampa”, tra parentesi, va riportato alla fine). Esempio: Bianchi B., (2004) - …............…….. (in stampa). Il Titolo dell’articolo va in tondo, il nome della rivista in corsivo. Se il titolo della rivista è costituito da un’unica parola, non va abbreviato. In tutti gli altri casi, l’Autore/i deve riportare l’abbreviazione ufficiale della rivista basandosi sulla “World List of Scientific Periodicals” pubblicata da Butterworths, Londra. Se l’Autore è incerto sull’abbreviazione, deve riportare il nome della rivista per esteso e indicarlo a penna sul margine del foglio. Se l’anno di pubblicazione è successivo all’anno che appare sul volume pubblicato, quest’ultimo va riportato tra parentesi dopo il numero della rivista. Nel caso di libri, il Titolo va in corsivo e va riportato il numero totale di pagine. All’editore/i segue (a cura di) o (ed./eds) se il volume citato è scritto rispettivamente in italiano o in inglese. Esempi: Armitage P., Cranston P.S. & Pinder L.C.V., 1995 - The Chironomidae. The biology and ecology of non-biting midges. Chapman & Hall, London, 572 pp. Ginsburg L. & Morales J., 1998 - Hemicyoninae (Ursidae, Carnivora, Mammalia) and the related taxa from Early and Middle Miocene of Western Europe. Ann. Paleontol., 84/1: 71-123. Hämäläinen H. & Huttunen P., 1985 - Estimation of acidity in streams by means of benthic invertebrates: evaluation of two methods. In: Kauppi P., P. Anttilla & K. Kenttämies (eds), Acidification in Finland. Springer-Verlag, Berlin: 1051-1070. Riccardi N., Giussani G. & Lagorio L., 2002 - Response of Daphnia hyalina to Chaoborus flavicans predation in Lake Candia (Northern Italy). In: Lencioni V. & Maiolini B. (a cura di), Atti XV Convegno Gadio “Ecologia dell’ambiente montano”. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Biol., 78/1 (2001): 243-245. I lavori accettati per la stampa dovranno essere corretti e restituiti alla Redazione, entro 20 giorni dal ricevimento. In caso contrario, il lavoro non verrà pubblicato nel numero in uscita. L’Autore referente per la corrispondenza riceverà anche la prima bozza di stampa impaginata, su cui sarà possibile apportare solo piccole modifiche (in rosso). La bozza corretta dovrà essere inviata alla Redazione entro 5 giorni dal ricevimento, altrimenti il lavoro sarà pubblicato nella versione presente nella prima bozza. Di ogni lavoro saranno inviati all’Autore referente per la corrispondenza entro 60 giorni dalla stampa 25 estratti. Ulteriori copie di estratti potranno essere ordinate alla tipografia e i relativi costi saranno a carico del committente. I moduli per la richiesta degli estratti, l’eventuale contributo per le spese di stampa di allegati con formato diverso da quello della rivista o di pagine a colori, verranno inviati insieme alla bozza dell’articolo. Per ulteriori informazioni, contattare la Redazione della Rivista (per argomenti di carattere biologico ed ecologico dott.ssa Valeria Lencioni, Tel. 0461 270371; Fax 0461 270376; E-mail: lencioni@ mtsn.tn.it; per argomenti di carattere geologico e paleontologico dott. Marco Avanzini, Tel. 0461 270312, Fax 0461 270376, E-mail: [email protected]). La rivista è disponibile anche on-line come file PDF (www.mtsn. tn.it). Studi Trentini di Scienze Naturali Instructions FOR Authors Studi Trentini di Scienze Naturali, a scientific journal of the Museo Tridentino di Scienze Naturali, publishes contributions of peer-reviewed original papers in one volume per year and occasional monographic issues. Scientific paper (5-20 pages), short notes (2-4 pages), reviews and taxonomical revisions (10-30 pages) are accepted. Biological and geological topics referring to Alpine regions are preferred. Manuscripts should be sent to: Dr. Marco Avanzini and Dr. Valeria Lencioni, Editors of Studi Trentini di Scienze Naturali, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento (Italy). References Table and figure captations on separate sheet Tables and figures on separate sheets Each chapter may be subdivided in paragraphs and subparagraphs (e.g. 1. Chapter; 1.1. Paragraph; 1.1.1. Subparagraph). Results and Discussion or Discussion and Conclusions might be presented as a single chapter. Other exceptions should be discussed with the managing editor. Reviews, taxonomical revisions and short notes might be differently structured. In short notes only the Riassunto (if written in English) or the Summary (if written in Italian) of 50-100 words is requested. The original plus two copies of manuscript, tables and figures (in Italian or in English) should be submitted grammatically corrected, typewritten, free of handwritten corrections, double-spaced throughout, typed on only one side of the paper, with margins of 3 cm (upper) and 2 cm (the other sides). Pages should be numbered progressively on the upper right angle. A digital copy of the manuscript is also required on diskette or CD, with tables, figures and table and figure captations as separate files. Each file should be identifiable by the first author’s name (e.g. Rossi_Tab1.doc). Word for Window or Rich Text Format is recommended for the text. Black and white maps, drawings and pictures should be sent as photo, slide or electronic format (EPS, TIFF or JPEG with minimum resolution of 300 dpi). Particular attention should be taken to ensure that the accepted articles follow the journal style: - the text should be written in Times New Roman style, body 12, left justify - the words should not be divided by hyphen - indentation and ruled paragraph should be avoided - only normal fonts are used (possibly avoid bold and underlined characters) - italic should be used for foreign words - the table and figure captations should be translated in Italian if the contribute is written in English, in English if it is written in Italian - footnotes should be less than 10 lines - formulas, equations and fractions included in the text should be centred in the line, numbered in brackets, and separated from the text above and below by a space-line - if part of texts, tables and figures already published are inserted, the copyright declaration is requested. Structure of the manuscript Page 1 shows the title of the contribution, full given name/s and surname/s of the author/s, affiliation/s, up to six key words and parole chiave and the short title. A progressive number should be added to each author’s family name as reference marks to the belonging affiliation, except if all co-authors belong to the same affiliation. An asterisk should indicate the corresponding author*, for which the e-mail address is required. Example: Giuliano Bianchi1*, Andrea Rossi2, Franco Verdi1 Dipartment of ......., University of ...... Dipartment of ......., University of ...... * E-mail of the correspondence author: [email protected] 1 2 Key words and Parole chiave should include information on the geographical location. Page 2 shows the Summary and Riassunto (min 150, max 200 words). The body of the text begins on page 3 or 4 (depending on the length of the Summary and Riassunto) and possibly should be organised as follows: 1. Introduction 2. Study area 3. Methods 4. Results 5. Discussion 6. Conclusions Aknowledgements Tables and figures Tables and figures (graphs, photos, drawings) should be on separate sheet prepared as follows: - the width should be 8 (= 1 column) or 17 cm (= 2 columns), and the max height 24 cm - Times New Roman is recommended (at least body 8) - use Word symbols and special characters (otherwise produce files with the used fonts) - do not insert the title in the graphs - format tables according to the Word automatic format “simple 1” with thin lines - graphs without external border. Tables and figures should be progressively numbered. Approximate locations for tables and figures should be handwritten in the lefthand margin of the text. References in the text to figures and tables should be indicated as follows: (Fig. 1); (Figs 1, 2); …as showed in figure 1…; …in table 1 are shown… The number of figures should be reasonable and justified (no more than 20% of the article). Tables or species lists longer than 2 A4 pages should be reported as appendices (in the final print after the References). For appendices the same rules indicated for tables should be followed. Quantities, symbols and nomenclature Standard international units (the S.I. system) are the only one acceptable. Symbols and combined expressions in text, tables and figures must be presented using negative exponents (e.g. m s-1 not m/s or m x sec-1; µg l-1 not ppb or µg/l). Decimal separator should be indicated with a comma in Italian, with a dot in English. Thousands should be indicated as dot in Italian, comma in English. Authors are urged to comply with the rules of biological nomenclature, as expressed in the International Nomenclature Code of Zoological, Botanical and Bacteria Nomenclature. The Latin scientific name of the species should be typed in italic. When a species name is used for the first time in an article, it should be stated in full, and name of its describer should also be given. In later citations, the genus name should be abbreviated to its first letter followed by a period, and the describer’s name should be omitted. References Citations in the text should report only the family name of the author followed by the year of publication and eventually by the page or the figure/table to which the cited author refers. If two authors write the cited paper, both family names should be reported separated by &, while if the authors are more than two, only the first author followed by et al. should be reported. References in the text should be reported in chronological order separated by semicolon. Examples: Bianchi (1985); (Rossi 2002a, 2002b); (Bianchi 1985: 102, Fig. 2); (Bianchi & Neri 1986); (Bianchi et al. 1988); (Verdi 1980; Bianchi & Neri 1996). If a reference is cited more times at very short or short interval, the publication year could be substituted respectively by loc. cit. and op. cit. starting form the second quotation. All references cited in the text should be listed, alphabetically, in the chapter REFERENCES. For a single author, references are to be arranged chronologically. If an author published several papers in the same year, a lower-case letter should follow the publication year. For more than one author, priority is given by the number of coauthors and for the same number of co-authors, chronological priority is followed. Papers that are in press should be cited only if formally accepted for publication. In this case, the indication of the year should be that of the acceptance and indicated in brackets. “In press” should be reported in brackets at the end. Example: Bianchi B., (2004) - ........................(in press). Journal citations and abbreviations (based on “World List of Scientific Periodicals” published by Butterworths, London) should be in italic. If the title of the journal is a single word do not abbreviate. In case of doubts regarding abbreviations, the full name of the journal is preferred (the author should indicate this in pencil in the margin). If the year of publication is successive to the number journal year, the last one should be indicated in brackets after the number of publication. Book title should be typed in italic and the total number of pages should be reported. Editor/s’ names should be followed by (ed./eds) or (a cura di) if the cited volume is written respectively in English or in Italian. Esempi: Armitage P., Cranston P.S. & Pinder L.C.V., 1995 - The Chironomidae. The biology and ecology of non-biting midges. Chapman & Hall, London, 572 pp. Ginsburg L. & Morales J., 1998 - Hemicyoninae (Ursidae, Carnivora, Mammalia) and the related taxa from Early and Middle Miocene of Western Europe. Ann. Paleontol., 84/1: 71-123. Hämäläinen H. & Huttunen P., 1985 - Estimation of acidity in streams by means of benthic invertebrates: evaluation of two methods. In: Kauppi P., P. Anttilla & K. Kenttämies (eds), Acidification in Finland. Springer-Verlag, Berlin: 1051-1070. Riccardi N., Giussani G. & Lagorio L., 2002 - Response of Daphnia hyalina to Chaoborus flavicans predation in Lake Candia (Northern Italy). In: Lencioni V. & Maiolini B. (a cura di), Atti XV Convegno Gadio “Ecologia dell’ambiente montano”. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Biol., 78/1 (2001): 243-245. After acceptance of the manuscript for publication, the author/s must provide the correct version of the manuscript in both paper (1 copy) and electronic (diskette or CD) version to the managing editor within 20 days. In case of delay, the paper will not be published in the ongoing volume of the journal. The corresponding author will receive also a proof, in page form, on which only small corrections (in red) will be possible. The proof should be returned to the managing editor within 5 days, otherwise the paper will be published in the version of the first proof. For each paper 25 reprints are provided free of charge and mailed to the first author within 60 days after the publication of the journal. Additional reprints, charged to the customer, may be ordered when the corrected proof will be returned. Forms to require additional reprints, the costs for printing special formats or colour pages, will be sent to the corresponding author with the proof. For more information, please contact the managing editor (for biological and ecological arguments Dr. Valeria Lencioni, Tel. +39 0461 270371; Fax +39 0461 270376; E-mail: lencioni@mtsn. tn.it; for geological and paleontological arguments Dr. Marco Avanzini, Tel. 0461 270312, Fax 0461 270376, E-mail: [email protected]). The paper edition is flanked by the web edition, with the full text available on-line as PDF files (www.mtsn.tn.it). ULTIME PUBBLICAZIONI DEL Museo Tridentino DI Scienze Naturali STUDI TRENTINI di scienze naturali ACTA BIOLOGICA 80.2003 “Il fiume e il suo bacino”. Atti del XVI Convegno del Gruppo di Ecologia di Base “G. Gadio”, Pavia 10-11 maggio 2003 a cura di Giulia Forni, Anna Occhipinti e Valeria Lencioni 80.2003 Suppl. 1 Studi Trentini di Scienze Naturali: indice della rivista dal 1926 al 2003 80.2003 Suppl. 2 Atlante degli Uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Trento a cura di Paolo Pedrini, Michele Caldonazzi e Sandro Zanghellini 81.2004 “a Sandro Ruffo, per i suoi 90 anni” a cura di Valeria Lencioni e Bruno Maiolini 81.2004 EFOMI Valutazione ecologica di cenosi forestali sottoposte a monitoraggio integrato a cura di Cristina Salvadori e Paolo Ambrosi 81.2004 Suppl. 2 Studio sul mancanto arrossamento del Lago di Tovel a cura di Basilio Borghi, Andrea Borsato, Marco Cantonati, Flavio Corradini e Giovanna Flaim 82.2005 Miscellanea 83 (2007) Atti del XVII Convegno del Gruppo per l’Ecologia di Base “G. Gadio” “Connettività e biodiversità in ecosistemi naturali ed antropizzati” 6-8 maggio 2006, Cetraro a cura di Valeria Lencioni e Anna Occhipinti ACTA GEOLOGICA 80.2003 “Ricostruzione paleoclimatica del Tardiglaciale-Olocene da concrezioni di grotta in Italia” a cura di Ugo Sauro, Andrea Borsato e Benedetta Castiglioni 80.2003 Suppl.1 5th Regional Symposium of the International Fossil Algae Association 81.2004 Miscellanea 82.2005 Cambiamenti climatici e ambientali in Trentino: dal passato prospettive per il futuro a cura di Silvia Frisia, Maria Letizia Filippi e Andrea Borsato 83 (2008) Italian Ichnology. Proceedings of the Ichnology session of Geoitalia 2007. VI Forum italiano dei Scienze della Terra, Rimini - September 12-14, 2007 a cura di Marco Avanzini e Fabio Massimo Petti STUDI TRENTINI di scienze naturali 84 (2009) Miscellanea PREISTORIA ALPINA 39.2003 “Le Alpi: ambiente e mobilità” - Tavola Rotonda, Trento 25-27 ottobre 2001 40.2004 Miscellanea 40.2004 Suppl. 1 Conchiglie e Archeologia a cura di Maria A. Borrello 41.2005 Miscellanea 42 (2007) Interpretation of sites and material culture from mid-high altitude mountain environments Proceedings of the 10th annual meeting of the European Association of Archaeologists 2004 edited by Philippe Della Casa and Kevin Walsh 43 (2008) Miscellanea 43 (2008) Suppl. 1 Abitare il Neolitico. Le più antiche strutture antropiche del Neolitico in Italia settentrionale Fabio Cavulli MONOGRAFIE DEL Museo Tridentino DI Scienze Naturali 1 (2004) Le miniere del Mandola in Valsugana a cura di Paolo Passardi e Paolo Zambotto 2 (2005) Atlante dei suoli del Parco Adamello-Brenta. Suoli e paesaggi a cura di Giacomo Sartori, Alessandro Mancabelli, Ugo Wolf e Flavio Corradini 3 (2006) I laghi di alta montagna del bacino del Fiume Avisio (Trentino orientale) a cura di Marco Cantonati e Morena Lazzara 4 (2007) The spring habitat: biota and sampling methods Marco Cantonati, Ermanno Bertuzzi & Daniel Spitale QUADERNI DEL MUSEO TRIDENTINO DI SCIENZE NATURALI 1. I Ditteri Chironomidi: morfologia, tassonomia, ecologia, fisiologia e zoogeografia a cura di Valeria Lencioni, Laura Marziali e Bruno Rossaro 2. I Ditteri Simulidi: nuove chiavi dicotomiche per l’identificazione delle specie italiane con brevi note bio-tassonomiche a cura di Leo Rivosecchi, Maria Addonisio e Bruno Maialini 3. La fauna del suolo. Tassonomia, ecologia e metodi di studio dei principali gruppi di invertebrati terresti italiani a cura di Leonardo Latella e Mauro Gobbi Finito di stampare nel mese di giugno 2009 da Esperia Srl - Lavis (TN)