principali linee guida per dare avvio concreto al progetto di eda rivista
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principali linee guida per dare avvio concreto al progetto di eda rivista
L’UNESCO E LA TUTELA DEL “FENG MAO”. Cecilia Scoppetta Sapienza Università di Roma ABSTRACT The paper concerns the issue of conservation of both tangible and intangible heritage. This enlarged point of view become particularly relevant in not-western cultural contexts, requiring a multidisciplinary approach. The Chinese case study shows how conservation should be mainly intended as a process of knowledge construction aimed to a collective awareness of the local identity. Key-words: cultural landscape, economic growth, multidisciplinary approach. 1. Introduzione I cinesi, per definire l’identità di un luogo, utilizzano la louzione “feng mao”. Il primo termine, “feng”, significa “carattere” e si riferisce alla dimensione “immateriale” (cioè sociale, culturale e spirituale) di un luogo, che viene intesa come “incorporata” nelle sue caratteristiche “fisiche” – quasi una sorta di esalazione – e può essere anche tradotta con il termine “atmosfera”. Il secondo termine, “mao”, significa, invece, “apparenza” e si riferisce alla dimensione “materiale”, cioè al complesso delle forme e c degli spazi fisici. “Mao”, l’apparenza di un luogo, è inteso come portatore del “feng”, cioè della sua dimensione spirituale. Il tangibile “mao” e l’invisibile “feng”, quindi, sono complementari ed intimamente connessi: la loro organica integrazione costituisce l’identità di un luogo, differenziandolo da tutti gli altri. Il saggio pone la questione di una reale ed efficace tutela dei siti iscritti alla World Heritage List dell’Unesco e situati in Paesi che, come la Cina contemporanea, stanno attraversando una fase di intensa e tumultuosa trasformazione connessa al fenomeno dell’abbandono delle campagne e di una rapidissima ed incontrollata urbanizzazione. Si tratta di un fenomeno senza precedenti: secondo l’ONU, nel 2006 la popolazione totale della Cina ha, infatti, raggiunto quota 1,3 miliardi, il 44% dei quali vive nelle aree urbane e si calcola che nel 2035 questa percentuale arriverà al 70%. Questa rapidissima trasformazione non comporta soltanto un mutamento degli spazi “materiali”, ma finisce per investire anche i valori tradizionali. Ne deriva il venir meno dell’identità dei luoghi, cioè del “feng mao”. La Convenzione internazionale sulla protezione del Patrimonio mondiale, adottata nel 1972 dalla Conferenza Generale degli Stati Membri dell'UNESCO, costituisce uno strumento fondamentale per Eda online Febbraio 2011 1 la conservazione dei beni il cui valore è ritenuto “universale” ed “eccezionale”. Tale valore viene riconosciuto sulla base di una serie criteri. Un monumento o un sito o un complesso deve, ad esempio, rappresentare un capolavoro del genio creativo dell'uomo o aver esercitato un'influenza considerevole in un dato periodo o in un'area culturale determinata, sullo sviluppo dell'architettura, delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione di paesaggi. Oppure costituire testimonianza unica o, quantomeno, eccezionale di una civiltà o di una tradizione culturale scomparsa, o offrire esempio eminente di un tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio che illustri un periodo significativo della storia umana. O, ancora, essere direttamente o materialmente associato ad avvenimenti o tradizioni viventi, idee credenze o opere artistiche e letterarie con un significato universale eccezionale. Ma, soprattutto, uno dei criteri di inclusione nella World Heritage List dell’Unesco riguarda la vulnerabilità, per effetto di mutazioni irreversibili, di un esempio eminente di insediamento umano, rappresentativo di una cultura. Il complesso storico-paesistico di Chengde, iscritto nella World Heritage List nel 1994, riassume in se stesso tutti i caratteri di eccezionalità ed universalità precedentemente richiamati, ma anche gli aspetti riguardanti la vulnerabilità. 2. Il complesso storico-paesistico di Chengde. Or Gehol’s famous gardens, in a clime chosen from widest empire, for delight of the Tartatian dynasty composed (beyond that mighty wall, not fabulous, China’s stupendous mound) by patient skill of myriads and boon Nature's lavish help… William Wordsworth, Prelude. Il complesso storico-paesistico di Chengde (in cinese : 避暑山庄 ), rievocato nei versi di Wordsworth, costituisce un esempio unico al mondo di commistione tra elementi naturali e culturali e, come L’impero Qing, la capitale Beijing e l’area di tale, è stato inserito tra i siti della World Heritage List Chengde (in rosso). dell’Unesco. Il fulcro del complesso consiste nel Bishu Shanzhuang – letteralmente: "luogo di soggiorno montano per evitare il caldo" – realizzato, tra il 1703 e il 1792, dall’imperatore Kang Xi (1654-1722) e dai suoi successori a metà strada tra la capitale Beijing e i territori di caccia di Mulan, nella provincia di Hebei, oggi ai confini della Mongolia interna. Questa localizzazione a 350 km dalla capitale era dovuta anche alle esigenze di controllo della regione e di difesa del confine nord del regno. Sin dal 1654, infatti, la dinastia Qing aveva dovuto fronteggiare l’avanzare dei russi dalla frontiera settentrionale ed i mongoli khalkha – che avevano conservato la loro indipendenza pagando un tributo all’impero manciù – si erano posti sotto la protezione dell’imperatore Kang Xi per difendersi dagli attacchi dei mongoli zungari. Il vastissimo complesso di palazzi ed edifici amministrativi e cerimoniali, realizzato nell’arco di 89 anni, si estende su una superficie di 5,6 kmq, cioè circa metà dell'area urbana che lo ospita. Infatti, attorno alla reggia, nel 1708 fu fondata la città di Rehe, alla quale, nel 1733, il quarto dei figli di Kang Xi, l’imperatore Yongzhen, darà poi il nome di Chengde. Eda online Febbraio 2011 2 Gli imperatori Kang Xi, Qianlong e Jiaqing con la loro corte – comprendente, oltre ai ministri, ai familiari ed alle numerose concubine, anche otto plotoni reali – trascorrevano vari mesi dell'anno in questi palazzi per sfuggire al caldo della capitale: la temperatura media della reggia è, infatti, di 3 gradi più bassa di quella della stessa città di Chengde. Per questa ragione, la parte meridionale del complesso (dove si trovano i palazzi), che si estende su una superficie di 102.000 mq, è per molti versi somigliante alla Città Proibita. Questa zona consisteva di due parti: in quella posteriore si trovavano gli appartamenti della famiglia reale; in quella anteriore, comprendente quattro gruppi di palazzi in stile cinese tradizionale (pur se caratterizzati da una solennità imperiale), l'imperatore riceveva gli ufficiali, i nobili e gli ambasciatori stranieri. I 21 palazzi sono circondati da quello che oggi è il più grande giardino imperiale del mondo: si tratta di un’area di 496.000 mq, nella zona sud-est (dove trovano posto 8 laghi e diversi gruppi di edifici), che non costituisce soltanto un esempio mirabile della tipologia del giardino imperiale, propria della tradizione cinese, ma si configura anche come riproduzione, in scala ridotta, del paesaggio della regione situata a sud del fiume Yangtze. La zona pianeggiante a nord della residenza imperiale (circa 607.000 mq) è divisa in due parti: la prateria orientale, originariamente utilizzata per le corse dei cavalli, e la foresta detta “il giardino dei 10.000 alberi”, dove gli imperatori ricevevano i visitatori importanti. Nei pressi di quest’ultima, si trova, infine, una delle più grandi biblioteche imperiali, la Wenjin. La residenza, il parco e la città sono situati in un contesto naturale particolarmente suggestivo, comprendente tre differenti ambiti orografici – oltre alla pianura e ai laghi, anche la montagna circostante, (a loro volta connessi da due fiumi) – che non costituiscono, semplicemente, uno sfondo, ma sono parte integrante del complesso. La montagna, in particolare, è uno scenario naturale connotato da rilievi tufacei, con fitte coperture di verde o con giganteschi dolmen di pura roccia e profonde fenditure aperte su pareti verticali, nel quale trovavano posto i numerosi templi secondari del complesso, intrattenendo tra loro una fitta trama di inter-relazioni visive. E’ un’area di 4 milioni di mq in cui ormai rimangono le rovine dei 40 gruppi di edifici – padiglioni, templi e monasteri – che vi erano originariamente collocati. La costruzione di questi edifici minori, esterni al complesso della residenza ed ormai ridotti soltanto a 12, è da ricondurre alla politica di apertura della dinastia Qing verso le minoranze etnico-religiose (mongoli, tibetani, ecc…), al fine di rafforzare un impero conquistato con la violenza. E’, quindi, la commistione di stili architettonici a caratterizzare i templi minori superstiti di Punin, Puyou, Anyuan e Pule, la cui facciata anteriore è realizzata secondo i canoni del tradizionale stile Han, mentre quella posteriore presenta i caratteri tipici dello stile tibetano. Inoltre, alcuni di questi templi ospitano pregevoli opere artistiche, come il Buddha Shanglewang nel tempio di Pule e la Divinità della Misericordia in quello di Puning. L’intero complesso fu realizzato in due diverse fasi, sotto il regno di tre differenti imperatori: il condottiero Kang Xi, l’”imperatore di mezzo” Yongzhen e l’erudito Qianlong. Tra il 1703 e il 1714, durante il regno di Kang Xi, fu creata l’area dei laghi, con la realizzazione delle isole e la costruzione di argini e sbarramenti, Eda online Febbraio 2011 3 propedeutica a quella di palazzi, templi e padiglioni. Tra il 1741 e il 1754, durante il regno del colto imperatore Qianlong, furono aggiunti nuovi palazzi e furono progettati i giardini, mentre i templi esterni furono realizzati dal 1713 al 1780. 3. I molteplici significati del complesso di Chengde 3.1 Chengde tra realtà e illusione Per le caratteristiche descritte, il complesso di Chengde costituisce un vero e proprio sistema architettura-natura, il cui fulcro è costituito dalla residenza degli imperatori Qing con il suo parco e dalla città con i suoi giardini e monumenti, ma che non può essere pensato come separato dallo scenario che lo circonda e dalla dialettica esistente tra le sue diverse parti. Si può dire, cioè, che ciò che lo rende unico – il suo “feng mao” – risieda proprio in una fitta trama di relazioni e rimandi reciproci: non soltanto le direttrici delle visuali e dei punti di vista tra i diversi elementi architettonici e naturali che lo compongono, ma anche tra l’intero complesso ed i caratteri distintivi della cultura Chengde in una incisione del cinese al tempo della dinastia Qing. gesuita Matteo Ripa (1711-1713). Infatti, questo universo completo di natura, giardini, architetture è rappresentato in tutte le immagini di corte commissionate dai tre imperatori. Nelle incisioni del tempo dell’imperatore Qianlong ritroviamo, ad esempio, le emergenze rocciose ed i sistemi collinari del versante sud-ovest – con i loro suggestivi toponimi: la collina del monaco Hat, della doppia pagoda, la montagna della cresta, della torre di roccia, della rana, del ponte nel cielo, della caverna con la faccia al sole, a forma di scarpa – e gli scenari più lontani delle montagne che separano la valle del Wu Lie dal basso corso del Luan. Nato con il nome di Hongli, Qianlong (乾隆), il terzo degli imperatori costruttori del complesso di Chengde prese il nome del suo regno – “l’era della forte prosperità”, da “qian”, “forte celeste” e “long”, “prospero” – che coincise con la fine del violento periodo di guerre di espansione territoriale, che aveva caratterizzato soprattutto il regno dell’imperatore Kang Xi, e con l’avvento della cosiddetta “pax Manjurica”, durante la quale si assistette ad una importante fioritura artistica. La corte di Qianlong è una corte colta, di feste e fuochi d’artificio, dove la pratica dell’arte, della letteratura e del teatro si accompagnano alla curiosità per il passato, al quale si attribuisce il valore di modello di riferimento. Un contesto in qualche modo analogo a molte corti europee (peraltro piccolissime, al confronto) degli stessi anni – come quella, quasi contemporanea, di Weimar, del Principe August e di Goethe – o più antiche, come quella dell’immaginario principe Genji, descritta dalla scrittrice giapponese Murasaki nel suo romanzo del 1050. Si pensi, ad esempio, alla predilezione di Qianlong per il pittore Zang Zeduan, uno dei più grandi dell’arte cinese, attivo all’inizio del XII secolo: fra i suoi capolavori, il rotolo monocromo su seta – lungo 5 metri – dal titolo “qin guing shan ghe tu” Una cerimonia all’interno della Residenza in un (“risalendo il corso del fiume il giorno della festa di dipinto del XVIII secolo. primavera”), considerato un testo base del progetto Eda online Febbraio 2011 4 storico del sistema architettura-natura in Cina. Al tempo stesso, la corte e l’ambiente culturale di Qianlong sono influenzati dalla presenza – tra il 1715 e il 1749, cioè già dai tempi di Kang Xi e dell’inizio dei lavori per la realizzazione del complesso di Chengde – del pittore e architetto italiano Giuseppe Castiglione. Questo gesuita milanese che aveva studiato pittura con Carlo Cornarà della famosa “bottega degli stampatori”, inviato a corte, serve fedelmente i tre imperatori (tanto da meritare, alla sua morte, un fastoso funerale) e contribuisce alla marcata presenza di un occidentalismo cinese quasi contemporaneo e simmetrico rispetto all’orientalismo occidentale. Il trentennale e strettissimo rapporto tra Castiglione e l’imperatore Qianlong, anch’egli pittore, darà vita ad uno stile pittorico innovativo che caratterizzerà la produzione artistica del XVIII secolo. Il tongjing hua – letteralmente: “pittura che connette scene” – è, infatti, la nuova pittura di corte volta a creare l’illusione di uno spazio reale, ma inaccessibile, includendo, cioè, l’elemento architettonico all’interno dei dipinti mediante il ricorso alla prospettiva e alle ombre, due tecniche importate dall’Europa e, fino ad allora, sconosciute agli artisti cinesi. Ne deriva – in evidente discontinuità con la tradizione cinese, nella quale erano i rotoli di seta a costituire il supporto dei dipinti – un legame tra i quadri e gli spazi architettonici nei quali erano collocati, di cui queste opere costituivano una sorta di estensione. Inoltre, la presenza di un unico punto di fuga implica un unico perfetto punto di vista – quello onnisciente dell’imperatore – e costituisce una novità assoluta nella tradizione pittorica cinese, priva di profondità, nella quale la posizione dell’osservatore non è rilevante per la comprensione dell’opera. La rappresentazione del “Banchetto imperiale nel Giardino dei 10.000 alberi di Rehe”, realizzato nel 1755 da Giuseppe Castiglione ed altri ed attualmente conservato presso il museo del Palazzo Imperiale di Beijing, costituisce un esempio del nuovo stile pittorico, con la convergenza delle ortogonali architettoniche verso un punto di fuga, nascosto dall’ombreggiatura, all’interno della tenda nella quale l’imperatore presiede un importante incontro politico con i sovrani mongoli. 3.2 Chengde come topografia spirituale Nel 1711 l’imperatore Kang Xi, primo costruttore del complesso di Chengde, scelse 36 punti panoramici, per ciascuno dei quali compose un poema illustrato. Successivamente, anche l’imperatore Qianlong scelse altri 36 punti panoramici e compose altrettanti poemi illustrati. Queste opere letterarie consentono di interpretare il complesso di Chengde come topografia spirituale. Infatti, sarebbero 36 le grotte abitate dagli immortali (洞天, “dongtian”) attraverso le quali comunicare con il paradiso, così come corrisponderebbe a 72 il numero dei “campi benedetti” (福地, “fudi”), dai quali invocare la benevolenza celeste. La forma torreggiante e la collocazione centrale del tempio di Jinshan – che simboleggia lo stesso imperatore, che vi si reca quotidianamente a pregare – costituisce, del resto, un chiaro riferimento alla cosmologia buddista ed alla centralità del monte Sumeru, intorno al quale ruotano i diversi paradisi, accentuando l’idea della residenza imperiale come dimora di esseri immortali. Inoltre, il Jinshan si trova su un’isola circondata da otto laghi ed altrettante isole, proprio come la base quadrata del monte La Residenza Estiva in un dipinto del 1720: Sumeru è circondata da un mare, anch’esso quadrato che, a il lago e (in alto a destra) l’emergenza sua volta, è contornato da montagne che compongono rocciosa del Chuifeng Luo Zhao. Eda online Febbraio 2011 5 un’altra forma quadrata inscritta in quella di un secondo mare, arrivando a contare ben sette mari e sette catene montuose inscritte, come in un mandala, nel cerchio del vasto mare esterno, dove i continenti sono solo piccole isole. Infine, il Jinshan, posto al centro della complessa costruzione di Chengde, stabilisce relazioni di reciprocità visiva con i diversi templi esterni, ma – in evidente analogia con i punti di fuga della pittura tongjing hua – per uno soltanto dei 72 punti panoramici, il Chuifeng Luo Zhao, collocato al di fuori del cerchio dei templi esterni, si tratta di una relazione privilegiata, cioè di una visuale che è concessa solo allo sguardo dell’imperatore. Una dei 36 punti panoramici selezionati Del resto, l’intero complesso deve essere visto in relazione da Kang Xi, con vista sul Chuifeng Luo Zhao. alla simbologia della montagna, elemento centrale della spiritualità cinese (oltre che evocativo delle catene montuose della Manciuria, luogo di origine della dinastia Qing). Non a caso, l’imperatore Kang Xi, in uno dei suoi viaggi ispettivi nei territori dell’impero, visita il monte Tai – la montagna sacra del Confucianesimo, Taoismo e Buddismo, cioè dalle tre principali religioni e tradizioni filosofiche cinesi – al fine di trarre, dalla sacralità di questo luogo, la propria legittimazione imperiale, intesa come mantenimento dell’ordine cosmico. Non si tratta certo di una innovazione introdotta da Kang Xi: si può dire, infatti, che il pellegrinaggio al monte Tai costituisca una costante a partire dalla dinastia Qin (221-206 a.C.). Tuttavia, nel caso di Kang Xi, originario della Manciuria e non appartenente all’etnia Han, la cerimonia religiosa sul monte Tai acquista il significato di una “integrazione cosmica”, cioè una sorta di dichiarazione, da parte del nuovo “figlio del Paradiso”, di continuità rispetto alla tradizione Han. 3.3 Chengde come geografia del potere Mentre l’imperatore Kang Xi appare soprattutto impegnato nella legittimazione spirituale di un potere conquistato col sangue, suo nipote Qianlong sembra guardare, invece, tanto all’occidente quanto alla storia della Cina. A questo imperatore, ad esempio, si deve il Siku Quanshu (四庫全書, “la totalità dei volumi dei quattro magazzini”), cioè la più grande collezione di libri di storia cinese, pubblicata nel 1773 – dopo un lavoro di circa vent'anni e l’impiego di quasi 15.000 copisti – in 36.000 volumi. Quest’opera colossale evidenzia la capacità, da parte di questo imperatore promotore delle arti, di utilizzare la cultura per rafforzare il suo potere: essendo, infatti, i Qing, provenienti dalla Manciuria, una dinastia straniera rispetto alla maggioranza Han dei sudditi, la finalità di questa raccolta, comprendente circa 3.450 opere complete, non era soltanto quella di preservare e tramandare la cultura cinese, ma anche di censire, allo scopo di distruggerli, gli scritti, ritenuti offensivi o sovversivi, che presentavano gli imperatori Qing come Il complesso architettura-natura di Chengde: diversi livelli di tutela dell’UNESCO (in nero); i giardini imperiali (in rosso) ed il loro rapporto visuale con l’emergenza morfologica del Chuifeng Luo Zhao (in verde); i templi esterni e le rispettive visuali (in giallo); l’area urbana (in blu). Eda online Febbraio 2011 6 barbari stranieri o riguardanti le questioni connesse alla sicurezza delle frontiere (le opere elencate per la soppressione totale sono circa 2.300, mentre quelle destinate alla soppressione parziale 350). Analogamente alla precedente enciclopedia imperiale (Gujin Tushu Jicheng), realizzata nel 1715, tre copie per il pubblico furono depositate nelle biblioteche di Hangzhou, Zhenjiang, e Yangzhou, mentre quattro esemplari di quella che può essere considerata tra le più ambiziose imprese editoriali nel mondo furono destinate all’imperatore stesso e custoditi, oltre che a Beijing (nella Città Proibita e nell’Antico Palazzo d’Estate) e a Shenyang, nella biblioteca Wenjin, appositamente costruita nel “Giardino dei 10.000 Alberi”, all’interno del complesso di Chengde. Quello dell’imperatore Qianlong è, quindi, un vero e proprio programma di rifondazione culturale volto ad oscurare –attraverso, ad esempio, l’ostentazione di tolleranza religiosa espressa dalla duplice Un mandala buddista facciata dei templi esterni di Chengde – la realtà di un impero conquistato con la violenza ed a presentare gli imperatori Qing come despoti benevoli, disposti a condividere l’amministrazione del regno con i rappresentanti delle diverse comunità etnico-religiose (dai musulmani delle province centro-asiatiche alle minoranze delle regioni a sud-ovest). Del resto, la devozione dei Qing non per il taoismo, ma per il buddismo – però nella più combattiva versione tibetana, che non esclude affatto la violenza – consente all’imperatore di configurarsi come condottiero in grado di guidare il regno verso una nuova era, dominata dall’avvento di un nuovo Buddha, e di presentare le popolazioni centro-asiatiche che premono sui confini come orde barbariche da distruggere. All’interno di questa raffinata strategia di auto-rappresentazione, la costruzione dell’intricata ragnatela di reale, simbolico e fantastico, espressa dalla pittura tongjing hua, assume un ruolo fondamentale, che va ben al di là di quella che può apparire come una personale – e, per certi versi, maniacale – ossessione dell’imperatore Qianlong per la creazione di realtà illusorie e virtuali. 3.4 Chengde come antologia di archetipi Se il grande progetto del Siku Quanshu ha consentito alla dinastia Qing di rivendicare il proprio dominio del regno attraverso il riordino delle conoscenze, anche la realizzazione del complesso di Chengde può essere considerata un’opera di “archiviazione” di luoghi e popolazioni finalizzata alla costruzione dell’immagine del nuovo impero destinata ad essere rappresentata attraverso modalità testuali e visuali. Del resto, il governare e l’archiviare – cioè classificare, definendo confini e stabilendo relazioni gerarchiche attraverso l’uso di categorie – sono attività strettamente connesse. In occidente, ad esempio, il termine “archivio” deriva dal greco “archeia”, a sua volta derivante da “archè” (“regola”, “regolamentazione” e “governo”) e da “archon” (“governante”). In cinese, il carattere “dian” (典) riassume efficacemente i due significati: quello di “archivio di libri o documenti” (come nel caso del binomio 典籍, “dianji”) e quello di “governare leggi e regolamenti” (come nel caso dei due termini 典制, “dianzhi”, e 典章, “dianzhang”). Si può Qianlong raffigurato come un imperatore Manciù (1750 circa). Eda online Febbraio 2011 7 dire che l’architettura imperiale della dinastia Qing, di cui il complesso di Chengde è il modello, costituisca l’espressione concreta di questo duplice significato. La realizzazione, da parte dell’imperatore Kang Xi, di 11 templi tibetani – chiamati Waiba Miao (外八廟) – disposti a ventaglio da nord verso est, all’esterno delle mura del complesso, concorre a rafforzare, conferendole ulteriori significati, la costruzione simbolico-religiosa legata alla cosmologia buddista ed alla forma circolare del mandala. Due di questi templi – il Puren Si (溥仁寺) e il Pushan Si (溥善寺) – furono realizzati nel 1713, in stile cinese tradizionale, come luoghi di culto per i dignitari mongoli in occasione della loro visita durante il sessantesimo compleanno dell’imperatore Kang Xi. Seguendo questo esempio, tra il 1759 e il 1780, l’imperatore Qianlong costruì altri 9 templi tibetani come luoghi di culto e residenza per gli emissari dei regni alleati, utilizzando una mescolanza di stili e riproducendo alcuni edifici caratteristici delle popolazioni soggiogate, secondo una tradizione già presente all’epoca dell’antica dinastia Qin. L’intero complesso, quindi, può essere visto come un microcosmo dell’impero, con gli alleati disposti in posizione subordinata intorno alla residenza imperiale circondata da La copia del tempio e dei giardini di mura e l’imperatore nel centro simbolico. Suzhou, a Chengde (in alto) e Si tratta di una organizzazione gerarchica analoga a quella del l’originale, in un dipinto. Siku Quanshu, che rappresenta l’insieme delle conoscenze concesse dalle divinità celesti agli imperatori, cioè il simbolo della legittimazione della dinastia Qing. Questo archivio è, infatti, organizzato secondo le “quattro classificazioni” (四部, “sibu”) della conoscenza, con i testi classici, intesi come i più rilevanti per il governo dell’impero, seguiti, in ordine di importanza, da quelli storici, filosofici e letterari, secondo uno schema gerarchico che ripropone il tema della centralità dell’imperatore anche nella disposizione dei volumi all’interno della biblioteca, disposti ad una distanza dal centro (dove sono custoditi i testi classici) corrispondente alla rispettiva importanza. Non è un caso, quindi, che la realizzazione del complesso di Chengde – l’archivio architettonico e paesaggistico dell’impero – proceda parallelamente alla costruzione della biblioteca Wejin, destinata ad accogliere il Siku Quanshu, l’archivio della conoscenza. Durante il regno dell’imperatore Qianlong il simbolismo divenne più esplicito, con la riproduzione di numerosi giardini, paesaggi, edifici e templi già esistenti nelle diverse province dell’impero. Tra questi, Mappa della Residenza imperiale con i il “boschetto del leone” di Suzhou, che già era stato giardini e alcuni templi esterni. Eda online Febbraio 2011 8 utilizzato come modello di molti giardini imperiali. Analogamente: la biblioteca Wenjin Ge riproduce la biblioteca privata Tianyi Ge di Ningbo; la pagoda Yongyou Si, a nord-est della zona pianeggiante della residenza, è basata sulla pagoda Liuhe Ta di Hangzhou e sul tempio Baoen Si di Nanjing; il modello del tempio Puning Si è il tempio Sanmoya in Tibet e il palazzo Potala, anch’esso in Tibet, quello del tempio Putuo Zongsheng Miao. 3.5 Chengde come mappa dell’impero L’importanza del ciclo monumentale di Chengde, realizzato nei secoli XVII-XVIII, risiede, quindi, anche nel suo configurarsi come insieme di repliche, in piccola scala, di più antichi sistemi architetturapaesaggio, disposti nei secoli precedenti prevalentemente in città e luoghi lungo lo Yangtze. Si tratta, cioè, di una sorta di “bibliografia” degli edificichiave e dei sistemi architettura-natura della tradizione cinese e, allo stesso tempo, del “racconto” dei numerosi viaggi di Kang Xi e di Qianlong attraverso i territori dell’impero. Infatti, anche se altri imperatori, vissuti in epoche precedenti, avevano effettuato viaggi ispettivi nelle diverse province o pellegrinaggi al monte Tai, i viaggi Kang Xi e Qianlong costituiscono Una mappa di Chengde un’esperienza unica nella storia cinese: Kang Xi ne effettua sei, prevalentemente nelle regioni del sud della Cina, durante i 60 anni del suo regno e suo nipote Qianlong, seguendo anche in questo caso il suo esempio, ne effettua altri sei. In questi viaggi, gli imperatori erano accompagnati da un numeroso seguito, che comprendeva anche i pittori di corte. Tra questi, nel secondo viaggio (1689) dell’imperatore Kang Xi, c’è anche Wang Hui (1632-1717), il maestro della cosiddetta “scuola ortodossa” di pittura, che dirigerà la rappresentazione delle ispezioni imperiali, in colori vividi e con ricchezza di dettagli, in un rotolo di seta la cui lunghezza complessiva corrisponde a tre campi di calcio, seguendo il percorso a partire da Beijing, a nord – lungo il Grande Canale ed attraversando il fiume Giallo e lo Yangze – fino ai grandi e popolosi centri del sud: Yangzhou, Nanjing, Suzhou, Hangzhou. Sono proprio le dettagliate rappresentazioni dei viaggi di ispezione imperiale a fornire i modelli per la riproduzione degli edifici di Chengde. Attraverso la realizzazione di queste copie, la molteplicità degli edifici, dei luoghi e delle popolazioni dell’impero viene figurativamente trasferita all’interno dell’universo simbolico di Chengde, che costituisce, quindi, l’immagine dell’impero e, allo stesso tempo, una topografia spirituale e un paesaggio politico. Anche per via della dimensione fantastica che è posta alle fondamenta del potere della dinastia Qing, la costruzione del complesso di Chengde rimanda, in qualche modo, a quel racconto breve di Jorge Luis Borges sulla “exactitud de la ciencia”, nel quale le mappe di un impero immaginario vengono rappresentate in una scala sempre più grande – arrivando, infine, alla scala 1:1 – per comprendere al loro interno tutta la complessità del territorio. 3.6 Chengde come scatola magica Un ulteriore elemento del complesso gioco di interrelazioni e rimandi culturali e visuali che caratterizza la spazializzazione del potere della dinastia Qing è il rapporto tra l’intero complesso di Chengde ed i suoi giardini e tra questi e le loro riproduzioni (reali o illusorie). Eda online Febbraio 2011 9 Infatti, negli stessi anni in cui viene realizzato il complesso di Chengde, gli imperatori sono impegnati anche nella costruzione dello Yuan Ming Yuang (圓明園, “giardini della perfetta luminosità”) di Beijing, noto anche come “Antico Palazzo d’Estate”, cioè la sede della corte, essendo la Città Proibita utilizzata solo per le cerimonie ufficiali. Si tratta di un complesso di palazzi e giardini, a 8 km a nord-ovest delle mura della città imperiale, andato quasi completamente distrutto nel 1869, durante la II guerra dell’oppio, ma ampiamente ricostruito, dal 1887, dall’Imperatrice Cixi, che ne restituisce la struttura complessiva di acque, terre e vegetazione, analoga a quella di Chengde. I primi lavori di questo complesso pechinese iniziarono nel 1707, durante il regno di Kang Xi. Suo figlio Yongzheng, nel 1725, ne ampliò i giardini con l’introduzione di un acquedotto per creare laghi e ruscelli e l’opera fu completata da Qianlong, che vi aggiunse uno straordinario campionario di dettagli sino-occidentali. Vi lavora, del resto, lo stesso Lang Shi-Ning (郎世寧) – questo il nome cinese di Giuseppe Castiglione – che, come si è visto, è attivo, in quegli anni, nei territori dell’Impero con altri confratelli della Compagnia di Gesù: italiani, come Matteo Ripa e F.B. Moggi, ma anche francesi, che hanno una parte di rilievo nel progetto del cosiddetto “giardino occidentale” nello Yuan Ming Yuan). Come mostrano le rovine ancora esistenti, la peculiarità della parte di questo complesso, realizzata all’epoca di Qianlong, era, infatti, costituita dalla presenza di palazzi costruiti di pietra (contro la tradizione cinese che prediligeva le costruzioni in legno) secondo il gusto del rococò europeo. Il legame tra i due complessi è dato dalle analogie nel simbolismo della struttura, organizzata, anche nel caso della residenza pechinese, in modo da evidenziare la centralità dell’imperatore – collocato nell’isola denominata “Jiuzhou Qingyan” (九洲清晏, “pace e quiete nelle nove divisioni”, alludendo alla suddivisione di tutte le cose al di sotto del paradiso) rispetto alle altre otto isole disposte a raggiera nel lago. Ulteriori testimonianze provengono dalle rappresentazioni pittoriche, risalenti all’epoca di Kang Xi e di Qianlong, di questo giardino perduto che oggi, nella vulgata popolare, viene anche chiamato “il giardino bruciato”. In questo senso, è importante sottolineare come, essendo l’accesso alle diverse dimore imperiali consentito solo ad una cerchia ristretta di privilegiati, queste fossero conosciute solo attraverso le loro rappresentazioni, cioè, oltre ai dipinti, la sterminata produzione letteraria (non soltanto i poemi, ma anche le numerose iscrizioni su stele di pietra o a margine delle mappe), attribuibile anche agli stessi imperatori e volta a descrivere non tanto la realtà dei diversi luoghi, ma soprattutto il loro simbolismo. E, del resto, è proprio attraverso queste rappresentazioni letterarie che i progetti di architettura e natura della dinastia Qing verranno conosciuti in Occidente, dando luogo alla costruzione di quell’immaginario dell’estremo Oriente che traspare dai versi di William Wordsworth. Un esempio che sembra riassumere in se stesso la natura quasi di “scatola magica” delle realizzazioni della dinastia Qing – cioè la commistione progettata tra visibile e invisibile, reale e metaforico, fisico e metafisico e tra scale geografiche differenti – è dato dal cosiddetto “giardino del boschetto dei leoni”. L’originale, nella città di Suzhou, a suo tempo raffigurato in stile cinese da Ni Zan, un pittore di corte della dinastia Yuan (1279-1368), viene utilizzato come modello sia a Chengde che nello Yuan Ming Yuan di Beijing, ma anche per un dipinto in stile tongjing hua Eda online Febbraio 2011 10 commissionato in duplice copia da Qianlong e collocato da questi proprio all’interno dei due giardini (che, a loro volta, sono una copia dell’originale di Suzhou). 4. Quale conservazione per il complesso di Chengde? Alcune fotografie, risalenti ai primi anni della Repubblica Popolare Cinese, testimoniano una relazione straordinariamente organica tra il tessuto urbano basso e omogeneo della città di Chengde – che nel 1782 ha 460.000 abitanti e nel 1828 raggiunge i 728.000 – ed il complesso di giardini e monumenti della Residenza Estiva, i templi esterni e lo scenario naturale più ampio, che si manteneva intatto per molte miglia. Questo equilibrio rischia di essere cancellato dal più recente sviluppo Visuale, da uno dei templi esterni, della residenza imperiale della città, i cui abitanti superano circondata dalla recente edificazione. ormai il milione e della cui parte storica non rimangono che pochi residui. La tendenza in atto è, infatti, quella di un’edificazione fatta di palazzi molto alti (fino a 24 piani) che inevitabilmente compromette gli scenari e le relazioni visive che costituiscono la peculiarità del complesso di Chengde. Alle trasformazioni già avvenute, frutto della frenetica attività edilizia degli anni più recenti, rischiano di aggiungersi quelle legate alla sostituzione della ferrovia che attraversava il tessuto urbano – residuo sistema di trasporto del carbone dalle miniere del nord alle altre aree del paese – con un’autostrada di collegamento con la capitale Beijing che, riducendo alla metà il tempo di percorrenza su gomma, inevitabilmente favorirà i processi di urbanizzazione in atto. Si può dire che l’iscrizione del complesso di Chengde nella World Heritage List dell’Unesco costituisca un fattore di discontinuità rispetto ai processi di rapida trasformazione in atto: oltre all’avvio di un preciso programma di interventi di restauro e di riqualificazione dei giardini (circa 100 progetti, con un investimento di circa 25.500.000 di RMB) e alla demolizione di numerosi edifici (155) realizzati illegalmente, è stato rafforzato il quadro normativo delle tutele, includendo i nuovi dispositivi (linee-guida) all’interno del nuovo Piano territoriale della provincia di Hebei ed è stata avviata la redazione del Piano di gestione del sito. Sono stati, infine, stabiliti accordi di cooperazione nel campo della formazione e della ricerca tra enti culturali cinesi ed internazionali, tra cui, ad esempio, il Getty Conservation Institute e l’Australian Heritage Committee. Tuttavia, le questioni che una costruzione culturale complessa come quella di Chengde pone alle discipline della conservazione e del Il tempio di Pule, con la residenza imperiale sullo sfondo, restauro sono, evidentemente, molteplici e in una cartolina degli anni ’30. Eda online Febbraio 2011 11 non riguardano soltanto la commistione tra architettura (statica ed inanimata) e natura (vivente e mutevole), o l’idea stessa di conservazione propria di una cultura profondamente differente da quella occidentale, della quale, in fondo, l’Unesco è espressione. Non si tratta, cioè, di recuperare, semplicemente un oggetto, più o meno esteso, ma l’intero universo – volutamente illusorio – che lo avvolge. Da un punto di vista strettamente disciplinare, lo stesso configurarsi di Chengde come insieme di repliche, riprodotte in dimensioni ridotte, di Uno dei templi esterni recentemente restaurati. manufatti originali realizzati in epoche precedenti (e, oltre tutto, in alcuni casi anche scomparsi) evidenzia, ad esempio, l’esigenza di estendere l’approfondimento alle tecniche costruttive dei prototipi, quanto meno per un confronto che dovrebbe allargarsi, attraverso lo studio dell’iconografia storica, alla comprensione della possibile traslazione dei significati. Così come il rapporto strettissimo tra alcune opere della pittura tongjing hua ed i contesti specifici per i quali erano state originariamente realizzate indica la necessità della ricollocazione in situ di questi dipinti, attualmente sparpagliati in diversi musei. Altrettanto si può dire riguardo alla auspicabile ricollocazione del Siku Quanshu all’interno della biblioteca Weijin, originariamente destinata ad accoglierlo. Ma è soprattutto il continuo gioco – tutto “immateriale” – di allusioni e riferimenti a costituire la sfida più interessante. In questo senso, la conservazione di Chengde non può che essere intesa come processo di conoscenza in grado di restituirne e comunicarne l’affascinante complessità. Tale comunicazione e divulgazione, inoltre, non può essere pensata soltanto in funzione dell’attrattività turistica – peraltro in aumento esponenziale, addirittura con fenomeni di sovraffollamento in alcuni periodi dell’anno, e, soprattutto, non diversificata – ma dovrebbe anche rivolgersi verso la costruzione di una maggiore consapevolezza delle popolazioni locali riguardo al proprio patrimonio culturale. Si ritiene, infatti, che soltanto un approccio multidisciplinare aperto alla partecipazione delle popolazioni locali possa garantire un’effettiva tutela del “feng mao”, cioè dell’unicità di questo luogo straordinario, e costituire, ad esempio, la base per un più ampio restauro ambientale ed ecologico, volto a ripristinare quell’equilibrio dinamico delle energie vitali che costituisce il concetto centrale della cultura cinese. Riferimenti bibliografici. Berger, P. 2003. Empire of Emptiness: Buddhist Art and Political Authority in Qing China. Honolulu: University of Hawai’i Press. Berliner, N. 2008. Juanqinzhai: In the Qianlong Garden, The Forbidden City, Beijing. London: Scala Publishers. Chayet, A. 1985. “Architectural Wonderland: An Empire of Fictions,” in: id., New Qing Imperial History. Paris: Éditions Recherche sur les Civilisations. Chung, A. 2005. Drawing Boundaries: Architectural Images in Qing China. Honolulu: University of Hawaii Press. Comentale, C. 1983. 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