Seminario social economy_Ricerca su coop B

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Seminario social economy_Ricerca su coop B
Il lavoro di rete
della cooperazione sociale di inserimento
lavorativo di persone svantaggiate
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Il lavoro di rete
della cooperazione sociale di inserimento
lavorativo di persone svantaggiate
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Hanno collaborato alla realizzazione della ricerca
Doriana Ballotti - Legacoop Bologna
Oreste De Pietro - Confcooperative Bologna
Roberta Gaudenzi - esperta terzo settore
Antonella Lazzari - Istituzione Gian Franco Minguzzi - Provincia di Bologna
Kristian Mancinone – Assegnista di ricerca – Facoltà di Economia di Forlì
Matteo Manzoni - Confcooperative Bologna
Fabrizio Pedretti - Cooperativa Sociale Agriverde
Nicole Triboli – Responsabilità sociale di impresa-Sunset Soc. Coop.
Giovanni Vai - Cooperativa Sociale PICTOR
Un particolare ringraziamento alle cooperative sociali che hanno fornito i dati per il prezioso
contributo.
Introduzione
Le cooperative sociali rappresentano un settore rilevante del mondo cooperativo del
nostro Paese: gli ultimi dati ufficiali dell’ISTAT, che risalgono alla rilevazione del 20051, si
riferiscono a circa 7.400 realtà sul territorio nazionale (pari a circa il 10% del totale delle
cooperative). Alcuni dati più recenti, relativi al Rapporto Unioncamere 2010 (con base 2008),
portano a quasi 9.000 il numero delle cooperative sociali presenti in Italia.
Fenomeno nato in sordina, con un basso livello di strutturazione e caratterizzato da:
peculiarità delle cooperative sociali di fornire servizi con elevati elementi di qualità
e di personalizzazione,
elevato contenuto di innovazione sociale nel rispondere a bisogni reali del territorio
locale;
possibilità per queste imprese di essere pioniere nel fornire un aiuto reale a fasce
marginali della popolazione.
Le prime esperienze di cooperazione “sociale” risalgono ai primi anni settanta, anche se
è solo a partire dal decennio successivo che il fenomeno prende corpo e diventa molto più
visibile e consistente, fino ad arrivare alla sua definitiva affermazione a partire dai primi anni
novanta, probabilmente perché legittimato dalla presenza di una legge costituita ad hoc2, la
quale, eliminando l’incertezza normativa, ha dato maggiore visibilità alla cooperazione sociale e ha facilitato l’adozione del modello.
Da questo momento in poi le cooperative sociali hanno sempre registrato tassi di crescita
positivi, tanto da contribuire in modo tutt’altro che marginale al Prodotto Interno Lordo del
Paese e al tasso di occupazione totale: a partire dagli anni novanta è infatti significativa
sia la crescita del numero di cooperative, sia l’incremento del numero dei lavoratori in esse
impiegati.
Già da questa prima definizione del fenomeno emerge un aspetto distintivo di tale particolare forma di impresa, ovvero la sua capacità di concentrarsi sui bisogni e sulle aspettative
della collettività attraverso la creazione di opportunità di lavoro per i singoli cittadini, con
particolare riguardo a categorie svantaggiate, e di sviluppo per l’intera comunità, attraverso la
fornitura di servizi di qualità e con elevato contenuto di personalizzazione.
La determinazione del valore creato dalle cooperative sociali è oggetto di continuo studio
e attenzione da parte della comunità scientifica italiana e anche europea; sono numerosi
infatti gli studi effettuati al fine di presentare modelli di rendicontazione delle attività di questo
tipo di impresa, che tengano conto sia dell’effettivo valore economico, sia della funzione
sociale ad esso ascritta.
1
ISTAT, (2007), “Le cooperative sociali in Italia. Anno 2005”, Roma.
Secondo alcuni la legge non è stata il motivo dell’espansione di questo particolare tipo di cooperative, ma piuttosto
la conseguenza dell’espansione stessa, benché anche dopo la sua approvazione siano state costituite molte nuove
cooperative sociali: la loro regolamentazione è divenuta necessaria proprio in seguito al decisivo sviluppo negli anni
precedenti. (Borzaga, C., Depedri, S., 2003, La cooperazione italiana al microscopio. Punti di forza e di debolezza
dei modelli organizzativi e della gestione delle risorse umane.).
2
5
In tal senso, come qualsiasi altra forma di impresa, anche la cooperativa sociale deve
dimostrare le proprie caratteristiche fondanti il concetto di azienda: economicità, durabilità e
autonomia. Oltre a ciò, la caratteristica che distingue le cooperative sociali è il suo contributo
alla crescita della comunità in cui opera, di benefici di natura sociale, siano essi riconducibili
alla presenza di strutture atte alla fornitura di servizi socio-sanitari o educativi, o alla funzione
di integrazione sociale ed economica di soggetti svantaggiati (come definiti dall’art. 4 della
L. 381/91).
Questa duplice necessità deve trovare effettivo riscontro nei sistemi di valutazione della
performance dell’azienda, cosa che non può essere ricavata solo dalla semplice presa in visione di un bilancio di natura economica. A tal fine, negli ultimi anni è divenuto importante anche l’utilizzo di strumenti di rendicontazione sociale (quali ad esempio il bilancio sociale), che
mettono in risalto l’identità delle cooperative sociali. Questo strumento è sempre più utilizzato
anche dalle imprese non-sociali per dare visibilità alle loro caratteristiche di sostenibilità (intesa in questo senso nella triplice accezione di sostenibilità economica, ambientale e sociale).
La misurazione del valore economico e sociale delle cooperative sociali risulta perciò essere un esercizio non facile per i non addetti ai lavori, e anche per chi da tempo studia queste
tematiche. Questa misurazione sarebbe opportuna anche per le Pubbliche Amministrazioni,
per la valutazione dei programmi e la conseguente allocazione delle risorse nei differenti
progetti di sostegno economico per il settore sociale.
Questa misurazione può essere altrettanto utile per la valutazione delle performances
economico-sociali anche per quanto riguarda le decisioni strategiche per l’impresa.
L’integrazione di indici di natura contabile che valutino le performances economiche delle
cooperative sociali, con indici di natura sociale, che possano monitorare l’andamento dell’attività caratteristica di questa tipologia di impresa, potrebbe quindi essere la giusta chiave
per presentare i risultati aziendali per una lettura globale del valore prodotto, nell’ottica della
definizione di un sostanziale valore aggiunto sociale delle attività dell’impresa.
Questo è l’approccio seguito nel presente rapporto di ricerca, che ha cercato di integrare
i dati provenienti dalla determinazione delle retribuzioni dei soggetti svantaggiati, con informazioni relative alle loro caratteristiche sociali e alla loro storia di inserimento, cercando di
andare al di là di una mera contabilità per costi e benefici.
La ricerca è stata promossa dalle due Centrali Cooperative Confcooperative Bologna
e Legacoop Bologna - che si sono avvalse della collaborazione dell’Istituzione Gian
Franco Minguzzi della Provincia di Bologna - e sono state coinvolte alcune cooperative
sociali di inserimento lavorativo loro aderenti distribuite sul territorio provinciale bolognese.
.
6
1.
Una forma particolare (atipica)
di impresa
“Le aziende sono in grado di raggiungere i propri obiettivi attraverso lo svolgimento di
un’attività economica volta a produrre ricchezza. Tale ricchezza, che nelle imprese for-profit
è impiegata per soddisfare le aspettative economiche dei soci, nelle cooperative sociali,
ossia nelle aziende non-profit, è destinata a fini non economici” 3
Una delle caratteristiche più interessanti della cooperazione sociale è quella di mantenere condizioni di stabilità economica, di generare quindi anche un risultato tangibile, monetario,
realizzando allo stesso tempo un’azione di solidarietà sociale. Ciò significa che le cooperative
sociali generano e mantengono un equilibrio sostenibile fra l’essere impresa e il perseguire
finalità di carattere solidaristico, rendendosi portatrici in modo significativo di valori etici quali
la democraticità e l’uguaglianza. Esse, dunque, possono essere considerate a tutti gli effetti
come il primo modello di quelle che oggi vengono definite in tutta Europa “imprese sociali”4.
La cooperazione sociale è in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio e di
apportare benefici anche di carattere economico allo stesso, grazie alla costituzione di reti di
relazioni che favoriscono gli scambi di natura sociale e commerciale.
“La natura di questa forma giuridica specifica reca l’intenzione di dare dignità ad iniziative
fortemente orientate alla solidarietà, sia interna che esterna5”. è in base a questi tratti caratteristici che le cooperative sociali sono considerate enti non profit e vengono riconosciute
come Onlus di diritto.
3
Andreaus, M., (2003), Alcune riflessioni sulla natura imprenditoriale della cooperazione sociale, in “Comunità Cooperative. Terzo Rapporto sulla Cooperazione Sociale”, a cura del Centro Studi “Gino Mattarelli”
4
Si fa qui riferimento alla definizione di impresa sociale richiamata in Borzaga e Defourny (2001).
5
Musella, M., (2005), Le cooperative sociali e la nuova teoria della cooperazione, in “Verso una nuova teoria economica della cooperazione”, Mazzoli, E., Zamagni, S., (a cura di)
7
Per quanto riguarda le cooperative sociali di tipo b, inoltre, queste realtà presentano molti
tratti riconducibili alla teoria di John Rawls6, intendendo aumentare le opportunità dei soggetti
in situazione di disagio sociale, delle “persone svantaggiate”, così definite dall’art. 1 della L.
381/91, di coloro, cioè, che per le iniquità del sistema capitalistico tradizionale non riescono
a godere delle stesse opportunità dei loro simili, ma rischiano di essere vittime di continui
processi di esclusione sociale.
Inoltre, volendo ancor più allargare l’onda d’urto che le cooperative sociali possono avere
in un determinato contesto, si può certamente affermare che questo modello di impresa sia
uno dei più adatti a favorire lo sviluppo di quelle “capabilities” che il Premio Nobel Amartya
Sen vede come fondamentali per la realizzazione delle libertà personali di un individuo e per
lo sviluppo economico di un territorio7.
6
Secondo il principio di differenza del filosofo ed economista americano, le ineguaglianze sono ammesse quando
massimizzano, o almeno contribuiscono generalmente a migliorare, le aspettative di lungo periodo del gruppo meno
fortunato della società, per questo è necessario seguire il principio di equa eguaglianza alle opportunità per quanto
riguarda la possibilità di accesso a cariche e posizioni della società da parte dei cittadini con egual talento.
7
Sen A., (1999), “Lo sviluppo è libertà”.
8
2.
La cooperazione sociale di tipo b
La cooperazione sociale finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate
(cooperativa sociale di tipo b) è una delle due possibili forme di questo fenomeno socioeconomico previste dalla L. 381/91.
Si tratta di cooperative che possono svolgere qualsiasi tipo di attività, a patto che impieghino al lavoro un numero quantitativo di soggetti ritenuti svantaggiati pari al 30% della base
lavorativa, e compatibilmente con il loro stato soggettivo, siano anche soci. La L. 381/91 definisce all’art. 4 quali sono le categorie di soggetti “svantaggiati” ammissibili: gli invalidi fisici,
psichici e sensoriali, gli ex-degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico,
i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare e i
condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione.
Nella provincia di Bologna sono presenti circa 60 cooperative sociali di tipo b, che hanno
assunto n. 840 persone di cui 260 soggetti svantaggiati, n. 84 donne e n. 176 uomini (i dati
sono riferiti al 31/12/2009).
Le cooperative sociali coinvolte in attività di inserimento lavorativo nell’anno 2009 hanno
prodotto attività e servizi per un fatturato complessivo di euro 41.255.661,00 frutto di collaborazioni con il privato nella misura del 59% e di collaborazioni con il pubblico nella misura
del 41%.
La scomposizione per attività produttiva svolta dalla cooperazione sociale di tipo b è la
seguente in termini di fatturato (anno 2009):
manutenzione del verde pulizie
servizi ambientali
agricoltura
bar/ristorazione
manutenzioni
10,1%
9,9%
8,2%
0,6%
1,9%
0,7%
informatica/commercializzazione
prodotti per ufficio
altro 55,5%
13,1%
9
10
La mission della cooperativa sociale di tipo b è quella di perseguire una reale integrazione del soggetto svantaggiato nel mondo del lavoro, facendo si che possa sperimentare in un
luogo adeguato, le reali condizioni di vita di qualsiasi lavoratore, ivi compresa la possibilità di
percepire un reddito.
Questa possibilità risulta avere numerosi effetti benefici sul soggetto, in quanto gli permette di costruire in maniera autonoma, per quanto è possibile, il proprio percorso di vita.
Ovviamente ciò avviene sia grazie ad un costante supporto di persone specializzate, sia grazie all’integrazione con altri lavoratori nella quotidianità lavorativa: è proprio questa seconda
opportunità che permette al soggetto svantaggiato di uscire da situazioni di emarginazione
o di isolamento.
L’inserimento in cooperative sociali di tipo b consente anche la realizzazione di percorsi
di formazione (professionale e non) e di valorizzazione e riqualificazione delle competenze
possedute.
Le cooperative sociali, oltre a fornire un lavoro al soggetto svantaggiato, molto spesso
sono anche un supporto alle famiglie, organizzando momenti ludici, di svago e di integrazione
anche con queste, al fine di coinvolgere tutti gli ambiti della vita del soggetto per la costruzione di reti di coesione sociale sul territorio.
11
12
3.
La cooperazione sociale di tipo b
e la Pubblica Amministrazione
La legge riconosce il valore sociale della cooperazione sociale di inserimento lavorativo. In virtù di tale funzione sociale pubblica, la normativa prevede particolari disposizioni
nell’esternalizzazione di servizi da parte della Pubblica Amministrazione alla cooperazione
sociale di questo settore.
La L. 381/91 - art. 5 - prevede al comma 1 che gli enti pubblici, compresi quelli economici
e le società a partecipazione pubblica, possano stipulare convenzioni, per importi inferiori
alla soglia comunitaria, con le cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi (esclusa la fornitura di beni e servizi socio-sanitari ed educativi) finalizzati
all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate anche in deroga alla disciplina in materia
di contratti della pubblica amministrazione. Tale disposizione è stata ripresa dalla normativa
regionale 8.
È inoltre consentita – per gli appalti “sotto soglia” – l’effettuazione di appalti riservati alla
cooperative sociali di tipo b9.
Per gli appalti “sopra soglia”, l’art. 5 introduce la possibilità per la pubblica amministrazione di inserire nel bando di gara, fra le condizioni di esecuzione, l’obbligo di eseguire il contratto con l’impiego di persone svantaggiate. Tale possibilità non viene modificata nel nuovo
Codice dei contratti, tant’è che il D.Lgs 163/05 all’art. 2 consente di subordinare il principio
di economicità a criteri ispirati ad esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente. L’art. 69, poi, introduce la possibilità di esigere particolari condizioni per l’esecuzione
del contratto, purché compatibili con il diritto comunitario e riconosce che dette condizioni
possano attenere, in particolare, ad esigenze sociali ed ambientali.
Il ruolo ed il sostegno della Pubblica Amministrazione alla cooperazione sociale di tipo
b non si esaurisce ovviamente nell’esternalizzazione dei servizi, ma si esprime anche nel
favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, adeguatamente formate nelle cooperative sociali. Nello specifico la L.R. 17/05 all’art. 22 prevede – in coerenza anche con
quanto previsto a livello nazionale – l’affidamento di commesse da parte di aziende private a
cooperative sociali di tipo b, a fronte di assunzione di persone disabili rispetto alla dimensione
lavorativa, per adempiere in parte agli obblighi previsti dalla L. 68/99.
8
9
Cfr. L.R. 7/94 e L.R. 6/97 e Direttiva Regionale approvata con Delibera n. 1851 del 22.10.1997
Cfr.: TAR Veneto, sez. I, 25 novembre 1997, n. 1661; TAR Lombardia, sez. III, 2 dicembre 1996, n. 1734
13
Le cooperative sociali di tipo b potrebbero essere maggiormente valorizzate per quel
naturale e storico ruolo di ammortizzatore sociale che genera un valore aggiunto per la comunità in cui opera, non svolgendo attività di assistenza, ma mettendo le persone a rischio di
esclusione sociale nelle condizioni di diventare produttori di reddito e contribuenti del sistema
di welfare10.
Per fare in modo che questo avvenga, si ritiene fondamentale dotare le cooperative e gli
stakeholders esterni, tra cui la Pubblica Amministrazione stessa, di strumenti di valutazione
che consentano di misurare l’effettivo risultato raggiunto e il valore prodotto dalle cooperative
stesse. Gli strumenti di valutazione sono elemento fondamentale per guidare le scelte di tipo
economico e, nel caso specifico, sociale, assistenziale e sanitario.
10
Così viene affermato in “Cooperazione sociale Legacoop in Emilia Romagna – il posizionamento attuale e le
prospettive future”, a cura di Alberto Alberani e Luciano Marangoni, con la il contributo scientifico di Giulio Ecchia e
Diego Lanzi
14
4.
l’indagine
Lo scopo della ricerca è quello di ottenere una valutazione economica degli inserimenti
lavorativi di persone svantaggiate realizzati dalle cooperative sociali di tipo b della provincia
di Bologna. La ricerca ha cercato di pervenire ad una definizione dell’ammontare degli oneri
o minori proventi e dei proventi o minori oneri a carico della collettività intesa in senso lato
originati dall’azione dell’integrazione sociale e lavorativa di persone svantaggiate, andando
a configurarne la valenza in termini di cifre che rappresentassero entrate ed uscite di un
ipotetico bilancio della collettività.
Si è trattato, dunque, di uno studio empirico di natura economica-fiscale, per quantificare il valore di inclusione sociale proprio delle cooperative sociali di tipo b, che dedicano il
loro lavoro alle fasce più deboli della popolazione, ossia ai soggetti che, per la loro particolare
condizione fisica o sociale, vengono del tutto emarginati o incontrano difficoltà ad integrarsi.
Di seguito vengono brevemente riportate sia la metodologia di lavoro seguita, sia le basi
di calcolo utilizzate nell’analisi economica.
Lo studio ha un taglio di tipo empirico, in quanto prende in esame i dati reali delle cooperative sociali coinvolte nella ricerca in relazione al triennio 2007 – 2009 e con riferimento ad
un campione di 95 persone svantaggiate (ex art. 4 L. 381/91) inseriti al loro interno.
Nonostante la ricerca si sia basata su una forte semplificazione del sistema economico esistente, l’analisi condotta si è concentrata sui principali aspetti economici e fiscali che
riguardano in modo particolare le cooperative sociali ed ha tenuto conto degli elementi economici più significativi in merito alle disposizioni fiscali e reddituali per i soggetti svantaggiati
al fine di ottenere indicazioni con un certo grado di significatività, pur nell’inevitabile approssimazione.
L’analisi delle voci quantitative legate all’inserimento dei lavoratori svantaggiati delle Cooperative sociali è stata pertanto indirizzata tenendo conto degli elementi di seguito elencati,
che per ogni lavoratore è stato possibile rilevare grazie ai CUD ed a brevi questionari sottoposti:
Oneri/Minori proventi per la collettività
Mancato incasso dei contributi ai fini Inps, in considerazione della fiscalizzazione al
100%, senza limiti temporali, della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale sulle retribuzioni corrisposte alle persone svantaggiate dalla cooperativa
15
sociale come previsto dalla L. 381/91. Per ottenere questo dato è stata moltiplicata la base
imponibile previdenziale per l’aliquota Inps di riferimento di un lavoratore normodotato impiegato negli stessi servizi e avente, quindi, lo stesso profilo lavorativo.
Mancato incasso di Irap, in quanto ai fini di questa imposta il costo del lavoro relativo
alle persone svantaggiate è completamente deducibile, ottenuto sottraendo il premio Inail
al costo del lavoro (quest’ultimo composto dal reddito lordo a cui va sommata la quota TFR
accantonata nell’anno) con adozione dell’aliquota Irap così come disciplinata nella Regione
Emilia Romagna (prevista aliquota agevolata per le Onlus per l’anno 2007 pari a 3,5% e per
gli anni 2008 e 2009 pari a 3,21%);
Erogazione o sospensione dell’erogazione degli assegni di assistenza ai sensi
della L. 118/71 e s.m.: si è verificato se l’inserimento lavorativo, con il relativo reddito annuo
percepito rapportato alle percentuali di invalidità riconosciute, avesse portato al superamento della soglia prevista per usufruire dell’assegno di assistenza previsto dall’art. 13 della L.
118/71 e s.m.
Proventi/Minori oneri per la collettività
Incasso derivante dalla tassazione ai fini delle imposte sui redditi applicata sui
redditi da lavoro dipendente percepiti dalle persone svantaggiate, tenendo in considerazione
le ritenute Irpef e le eventuali addizionali regionali e comunali;
Sospensione dell’erogazione delle cosiddette borse lavoro di natura socio-assistenziale erogate dall’AUSL. Questa voce relativa alle borse lavoro attivate dall’AUSL,
oggettivamente, non è un dato realmente rilevato dalla situazione in quanto il dato è relativo
alla “presunzione” che, in assenza di impiego presso la cooperativa sociale, le persone svantaggiate avrebbero continuato a percepire la borsa AUSL. Per la definizione di questa voce
si è tenuto conto dell’importo delle borse lavoro percepito dai lavoratori svantaggiati prima
dell’inserimento lavorativo vero e proprio nelle cooperative sociali;
Sospensione dell’erogazione delle rette a favore di Comunità terapeutiche riabilitative per tossicodipendenti. Questa voce relativa all’erogazione sospesa delle rette,
oggettivamente, non è un dato effettivamente rilevato dalla situazione in quanto il dato è relativo alla “presunzione” che, in assenza di impiego presso la cooperativa sociale, le persone
svantaggiate avrebbero continuato a permanere in una comunità terapeutica. La cifra presa
in considerazione quale importo delle rette spettanti alle Comunità in Emilia Romagna è pari
a euro 80,00 al giorno.
Reddito netto percepito, informazione utile ai fini del calcolo del potere di spesa e di
acquisto, con i conseguenti effetti moltiplicativi virtuosi sull’economia.
Nell’individuazione delle voci da comprendere nell’analisi economica si è scelto di
escludere da tale computo la possibile percezione della pensione di invalidità civile in quanto
la sua corresponsione è legata ad un determinato stato certificato di invalidità, a prescindere
dall’eventuale titolarità del soggetto di altri redditi e quindi ininfluente ai fini di questo studio.
Per la stessa ragione non è stata riportata la spesa sostenuta dall’Ente appaltante, in
quanto è un corrispettivo dell’Ente a fronte di una prestazione resa, che sarebbe stata in ogni
caso sostenuta.
16
Le Cooperative Sociali di tipo b e i Consorzi di Cooperative Sociali che hanno partecipato alla ricerca sono stati in tutto 20 (17 cooperative e 3 consorzi). Grazie ad essi è
stato possibile raccogliere informazioni, in modo anonimo e nel pieno rispetto della privacy,
riguardante 95 lavoratori, per ognuno dei quali è stato esaminato il CUD dei tre anni di
indagine (2007, 2008 e 2009); inoltre per ogni lavoratore è stata richiesta la compilazione di
un breve questionario con informazioni non deducibili dai CUD.
Come illustrano la tabella e il grafico seguenti, i 95 lavoratori svantaggiati sono suddivisibili in varie categorie:
invalidi fisici, psichici e sensoriali
37
salute mentale
30
dipendenze
25
condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione
3
TOTALE 95
Tab 1 - Categorie dei lavoratori svantaggiati coinvolti indirettamente nella ricerca
incidenza % delle categorie di lavoratori svantaggiati
condannati ammessi alle
misure alternative
3%
dipendenze
26%
invalidi
39%
invalidi
salute mentale
dipendenze
condannati ammessi alle misure
alternative
salute mentale
32%
Grafico 1 - Incidenza percentuale delle varie categorie di lavoratori svantaggiati
17
Dalle elaborazioni delle informazioni ricavate e dai dati a disposizione, risulta che 21
lavoratori svantaggiati su 95 avevano le condizioni per percepire l’assegno di assistenza, che
è previsto dalla L. 118/71 e s.m. per coloro che presentano un grado di invalidità superiore o
uguale al 74% e il cui reddito annuo non superi la soglia prevista annualmente aggiornata11.
Di questi, solo 8 lavoratori su 21 continuano a percepire l’assegno assistenziale (pari a circa l’8% dei lavoratori del campione) in quanto percettori di un reddito annuo
inferiore alla soglia prevista. L’importo totale degli assegni assistenziali erogati è pari a euro
41.881,00.
Nello specifico, 2 lavoratori continuano a percepire l’assegno assistenziale per tutti
i tre anni di indagine (2007, 2008, 2009), 1 lavoratore per due anni e 5 lavoratori per un anno
(tab. 2).
numero di lavoratori e numero di anni di erogazione dell’assegno assistenziale
n. lavoratori n. anni
2
3
1
2
5
1
Tab. 2 - Numero di anni in cui i lavoratori percepiscono l’assegno di assistenza.
I lavoratori che, nonostante il grado di invalidità superiore o uguale al 74%, vedono
decadere il diritto all’assegno assistenziale (poiché il loro reddito annuo eccede il tetto
massimo previsto per l’erogazione di tale assegno) sono 17: questo, per lo Stato, si traduce
in un risparmio pari a euro 148.744,00.
11
Art 13 L. 117/71, comma 1: (Assegno mensile). - 1. Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso,
a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse
condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo 12.
18
La seguente tabella (tab. 3) mette in evidenza per quanti anni (sempre in riferimento all’intervallo considerato, vale a dire 2007, 2008 e 2009) i lavoratori non ricevono più l’assegno
assistenziale:
numero di lavoratori e numero di anni di sospensione dell’assegno assistenziale
n. lavoratori n. anni
13 3
3
2
1
1
Tab. 3 - Numero di anni e di lavoratori che non percepiscono più l’assegno di assistenza.
Un altro risparmio per la collettività è dato dal fatto che 49 lavoratori percepivano borse lavoro prima dell’inserimento lavorativo. La sospensione dell’erogazione di tali borse
lavoro fa registrare un risparmio all’AUSL di euro 386.874,00.
Per quanto attiene la sospensione dell’erogazione delle rette alle comunità terapeutiche,
si è potuto rilevare che su 25 lavoratori svantaggiati afferenti alla sfera delle dipendenze, 5
lavoratori prima dell’inserimento lavorativo erano ospiti in comunità terapeutiche e il
risparmio per la cessazione dell’erogazione delle rette spettanti alle comunità è pari a euro
335.600,00.
Inoltre, grazie al proprio lavoro, i 95 lavoratori svantaggiati inseriti hanno avuto nei tre
anni un reddito netto pari a euro 2.157.462,00; se a tale importo si somma la cifra pari a euro
41.881,00 derivante dagli assegni di assistenza, si può affermare che il loro potere di spesa
è di euro 2.199.343,00.
Tale dato di ottenimento di un proprio reddito da lavoro è, in aggiunta, da coniugare alla
quota relativa di tassazione su tali redditi che ha incrementato le entrate statali per un
importo pari a euro 277.712,00.
Per quanto riguarda, invece, gli oneri del bilancio di collettività, oltre all’erogazione
dell’assegno di assistenza, occorre considerare due ulteriori voci che incidono negativamente:
il mancato incasso dei contributi Inps, come previsto dalla legge che disciplina le cooperative sociali (L. 381/91) che è pari a euro 826.912,00;
il mancato incasso Irap, in quanto il costo del lavoro dei lavoratori svantaggiati è completamente deducibile, che ammonta a euro 88.600,00.
19
Sintesi dei principali risultati
Nella seguente tabella viene rappresentato in modo sintetico una sorta di elementare bilancio della collettività che, a conclusione della elaborazione economica dei dati, è
l’ipotizzabile configurazione dei Proventi/minori oneri e degli Oneri/minori proventi correlati
all’opera di inserimento lavorativo di persone svantaggiate attraverso tali cooperative sociali
nel periodo 2007 – 2009.
ONERI/MINORI PROVENTI
MANCATO
INCASSO INPS
€ 826.912,00
MANCATO
INCASSO IRAP
EROGAZIONE
ASSEGNI
DI ASSISTENZA
PROVENTI/ MINORI ONERI
BILANCIO DELLA
COLLETTIVITA’
TASSAZIONE SU REDDITO
SVANTAGGIATI
€ 277.712,00
€ 88.600,00
SOSPENSIONE EROGAZIONE
DI BORSE LAVORO
€ 386.874,00
€ 41.881,00
SOSPENSIONE EROGAZIONE
ASSEGNI DI ASSISTENZA
€ 148.744,00
SOSPENSIONE EROGAZIONE
RETTE COMUNITA’ PER SERT
€ 335.600,00
REDDITO NETTO PERCEPITO € 2.199.343,00
DAI SOGGETTI (potere di spesa e
effetti moltiplicativi)
REDDITO € 2.157.462,00
+ ASSEGNI ASSISTENZA €
41.881,00
€ 191.537,00
€ 2.199.343,00
VALORI MEDI ANNUI PER LAVORATORE
ONERI/MINORI PROVENTI
20
PROVENTI/ MINORI ONERI
BILANCIO DELLA
COLLETTIVITA’
MANCATO
INCASSO INPS
€ 2.901,45
MANCATO
INCASSO IRAP
€ 310,88
SOSPENSIONE EROGAZIONE
DI BORSE LAVORO
€ 1.357,45
EROGAZIONE
ASSEGNI
DI ASSISTENZA
€ 146,95
SOSPENSIONE EROGAZIONE
ASSEGNI DI ASSISTENZA
€ 521,91
SOSPENSIONE EROGAZIONE
RETTE COMUNITA’ PER SERT
€ 1.177,54
REDDITO NETTO PERCEPITO
DAI SOGGETTI (potere di spesa e
effetti moltiplicativi)
REDDITO € 2.157.462,00
+ ASSEGNI ASSISTENZA €
41.881,00
€ 7.716,99
TASSAZIONE SU REDDITO
SVANTAGGIATI
€ 974,43
€ 672,06
€ 7.716,99
Conclusioni
In questi anni gli studi sulla cooperazione sociale di inserimento lavorativo hanno sottolineato soprattutto il valore sociale di questa attività, spesso sottovalutandone la ricaduta
economica.
Con questa ricerca si è invece voluto andare concretamente ad indagare proprio il valore
economico dell’attività di inserimento lavorativo, con un metodo empirico, se vogliamo “ragionieristico”, per potere dimostrare con dati oggettivi la ricaduta positiva di questi interventi
sulla comunità.
Il bilancio sociale di comunità ottenuto evidenzia un risultato assolutamente positivo: si
registra un utile medio annuale per la comunità pari a euro 672,00 per ciascun lavoratore
svantaggiato inserito. Sarebbe però miope leggere questo dato senza pensare che - se non
ci fossero stati questi inserimenti lavorativi - la comunità avrebbe sostenuto un costo medio
annuale pari ad euro 3.056,00 per singolo utente relativamente ai vari sussidi, assegni e
ospitalità in strutture.
In una valutazione economica, non si può peraltro non prendere in considerazione anche
la compartecipazione al potere di spesa annuale di ciascun lavoratore che risulta essere
mediamente pari ad euro 7.716,00, da coniugare alla quota di tassazione sui redditi pari ad
una somma annuale pro-capite di euro 974,00.
Come detto in precedenza, la ricerca si è basata esclusivamente su dati misurabili; ciò
non toglie che in una valutazione complessiva andrebbero considerate anche le spese sanitarie che, generalmente, si riducono in presenza di un inserimento lavorativo.
L’inserimento lavorativo, inoltre, rappresenta non solo un’occasione di autonomia, ma
anche una possibilità di uscire da situazioni di isolamento, di depressione, di potenziale miglioramento della percezione del proprio stato psico-fisico.
Non si vuole certamente qui sopravalutare il valore terapeutico e di socializzazione del
lavoro, ma, oggettivamente, esso rappresenta per molte delle situazioni prese in esame
un’effettiva possibilità di inclusione sociale e di contatto con il mondo esterno alla famiglia o
alla struttura di appartenenza.
Altro elemento imprescindibile di cui tenere conto, anche sotto il profilo economico, è
la ricaduta sulla vita familiare. Gli addetti del settore, ben sanno quanto le famiglie siano
pressate da carichi di lavoro e responsabilità molto impegnativi nei confronti degli utenti, e
quante volte questo rappresenti un impedimento ad intraprendere qualsiasi attività lavorativa,
soprattutto per le donne.
L’aspetto economico non può essere ovviamente l’unica chiave di lettura per promuovere l’inserimento lavorativo e per leggere l’attività della cooperazione sociale di inserimento
lavorativo, altrimenti si corre il rischio di assumere solo un’ottica imprenditoriale che non
renderebbe giustizia del lavoro svolto e della funzione sociale di questo soggetto.
La cooperazione sociale, per sua natura, è un’impresa che cerca di coniugare l’aspetto
sociale - sia per i soggetti beneficiari degli interventi sia per gli operatori che in essa lavorano
(volontari o retribuiti) - con l’aspetto economico.
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Solo se interpretiamo i numeri riportati alla luce della storia di vita di queste persone ci
rendiamo conto del plusvalore sociale dell’intervento realizzato: persone che sarebbero state
a carico della comunità sono diventate soggetti produttori di reddito e contribuenti, nonché
protagonisti del loro percorso verso l’autonomia.
Il loro inserimento lavorativo ha creato inoltre un circuito virtuoso di occasioni di lavoro
per la comunità di riferimento.
È chiaro che questo impegno non può essere sostenuto solo dalla cooperazione sociale
di tipo b.
È necessario promuovere e sostenere nuove reti di collaborazione con gli enti locali e con
le associazioni dei familiari, posto il comune obiettivo di garantire una migliore qualità di vita
(che significa sviluppo di autonomia, potenziamento di autostima, incremento di socializzazione e tanto altro ancora) alle persone in situazioni di svantaggio.
Una delle maggiori difficoltà della cooperazione sociale è, infatti, quella di dare piena
attuazione alla normativa laddove prevede l’inserimento tramite la cooperazione sociale nel
mondo del lavoro. Troppo spesso la cooperazione sociale diventa invece il punto di approdo
della persona svantaggiata.
Occorre quindi potenziare il coinvolgimento del mondo imprenditoriale, anche eventualmente cercando modalità per rendere proficua, anche in termini economici, la collaborazione
con la cooperazione sociale di tipo b.
Auspichiamo che la ricerca contribuisca ad un’ulteriore valorizzazione delle cooperative
sociali di tipo b attraverso misure e politiche adeguate al loro sviluppo nei vari territori.
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A vent’anni dall’emanazione della L. 381/91 che introduce e disciplina le cooperative
sociali, qual è la dimensione di questa particolare tipologia di impresa nel territorio provinciale
di Bologna ed in particolare è possibile tradurre in termini quantitativi l’efficacia dell’intervento
di inserimento lavorativo realizzato dalle cooperative sociali di tipo b?
Nella provincia di Bologna sono presenti circa 60 cooperative sociali di tipo b, che hanno
assunto n. 840 persone di cui 260 soggetti svantaggiati, n. 84 donne e n. 176 uomini.
Le cooperative sociali coinvolte in attività di inserimento lavorativo nell’anno 2009 hanno
prodotto attività e servizi per un fatturato complessivo di euro 41.255.661,00 la cui suddivisione per attività produttiva è la seguente:
manutenzione del verde pulizie
servizi ambientali
agricoltura
bar/ristorazione
manutenzioni
10,1%
9,9%
8,2%
0,6%
1,9%
0,7%
informatica/commercializzazione
prodotti per ufficio
altro 55,5%
13,1%
Il riconoscimento della valenza sociale dell’azione delle cooperative sociali di tipo b è
universalmente condiviso, ma è altrettanto condivisa la necessità di poter individuare qualche
indicatore in grado di definire una misurazione del valore economico e sociale dell’azione
delle cooperative sociali stesse.
La ricerca promossa dalle due Centrali Cooperative Legacoop Bologna e Confcooperative Bologna - che si sono avvalse della collaborazione dell’Istituzione Minguzzi della Provincia di Bologna - ha coinvolto 17 Cooperative Sociali di tipo b e 3 Consorzi di Cooperative
Sociali loro aderenti presenti sul territorio provinciale bolognese, grazie ai quali è stato possibile raccogliere informazioni, in modo anonimo e nel pieno rispetto della privacy, riguardo a 95
lavoratori, per ognuno dei quali è stato esaminato il CUD dei tre anni di indagine (2007, 2008
e 2009); inoltre per ogni lavoratore è stata richiesta la compilazione di un breve questionario
con informazioni non deducibili dai CUD.
La ricerca ha cercato di pervenire ad una definizione dell’ammontare degli “oneri o minori
proventi” e dei “proventi o minori oneri” a carico della collettività intesa in senso lato originati
dall’azione dell’integrazione sociale e lavorativa di persone svantaggiate, andando a configurarne la valenza in termini di cifre che rappresentassero entrate ed uscite di un ipotetico
bilancio della collettività.
L’esito sintetico di tale ricerca di taglio squisitamente empirico ha evidenziato che la comunità per ciascun soggetto svantaggiato inserito al lavoro ha avuto un considerevole beneficio medio annuo.
A tale esito positivo per la collettività occorre aggiungere che ciascun soggetto svantaggiato inserito al lavoro ha percepito un reddito annuo, rendendolo così protagonista di un
processo di autonomia anche economica e compartecipe al potere di spesa annuale.
Sarebbe, inoltre, miope non pensare che - se non ci fossero stati questi inserimenti lavorativi - la comunità avrebbe sostenuto un costo significativo per singolo utente, dovendo
assicurare sussidi, assegni e ospitalità in strutture.