DIABETE MELLITO Il diabete mellito è una

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DIABETE MELLITO Il diabete mellito è una
DIABETE MELLITO
Il diabete mellito è una malattia complessa caratterizzata da una insufficienza
relativa o assoluta della secrezione di insulina e dalla concomitante insensibilità
o resistenza all'azione metabolica dell'ormone a livello dei tessuti bersaglio.
L'omeostasi glicidica è strettamente dipendente dalla funzione endocrina delle
insule di Langerhans del pancreas. Cellule α e β
¾ Cellule β:
¾ Cellule α:
secrezione insulinica
glucagone, ormone iperglicemizzante
Le insule di Langerhans sono localizzate prevalentemente nella regione del
corpo e della coda del pancreas.
Il numero di insule è stato stimato nell'ordine di 1 milione per il pancreas adulto
(2-3% del volume dell'intera ghiandola).
Le insule hanno dimensioni variabili tra 100 e 200 µ di diametro.
Ciascuna di esse è irrorata da 1 a 3 arteriole e drena in 1 - 6 venule.
L'innervazione è realizzata da fibre simpatiche e parasimpatiche.
Secrezione
pancreatica
• Il pancreas esocrino produce in 24 ore 1000 – 3000 ml di succo
a pH alcalino (7.9 – 8.6)
• Il secreto pancreatico è composto:
• Per il 97 % da acqua ed elettroliti
• E’ secreto dalle cellule duttali e centroacinari
• Il principale soluto è il bicarbonato
• Il bicarbonato è secreto in concentrazione 4 – 5 volte maggiore rispetto al
sangue e neutralizza l’acido proveniente dallo stomaco (8 – 18 gr/24 h)
• Il bicarbonato determina un pH duodenale ottimale per l’attività degli enzimi
(6.8)
• Per il 3 % da proteine (enzimi digestivi)
• E’ secreto dalle cellule zimogene
Secrezione
pancreatica
• Componente proteica
• Enzimi proteolitici
• Endopeptidasi (Tripsina, Chimotripsina, Elastasi)
• Esopeptidasi (Carbossipeptidasi A e B)
• Enzimi glicolitici
• Alfa amilasi
• Enzimi lipolitici
• Lipasi pancreatica
• Tutti gli enzimi vengono secreti come proenzimi e vengono
attivati nel lume intestinale dalle enterochinasi presenti
sull’orletto a spazzola
L'insulina è composta da due lunghe catene polipeptidiche A e B
A (21 aminoacidi) è connessa con
B (30 aminoacidi) per mezzo di due ponti disolfuro.
Il peso dell'ormone umano è di 6000 daltons e l'attività biologica della molecola
purificata è di circa 25 U/mg.
L'insulina è sintetizzata nelle cellule B delle insule di Langerhans sotto forma
di un precursore a catena unica denominato proinsulina 9000 daltons.
La proinsulina si distingue dall'insulina per la presenza di un polipeptide
di 31 aminoacidi interposto a connettere l'estremità della catena A a quella
della catena B e pertanto denominato peptide C (connecting polypeptide).
La conversione della proinsulina in insulina si verifica una volta avvenuto il
trasporto all'apparato del Golgi e la successiva incorporazione in forma di
granuli nell'interno di vescicole secretorie, queste ultime infatti contengono
qantità equimolecolari di peptide C ed insulina.
L'insulina ha una emivita molto breve di soli 5 minuti.
Della quota immessa dal pancreas nel sistema portale il 50% viene estratta
dal fegato nel corso del primo passaggio, ciò spiega lo sviluppo di
iperinsulinemia in pazienti con gravi affezioni epatiche.
Il rene provvede alla rimozione del 40% dell'insulina che ad esso giunge
ad ogni singolo passaggio, in presenza di severa insufficienza renale c'è
una riduzione della clearance dell'ormone.
I livelli plasmatici dell'insulina oscillano tra 5 e 15 µU/ml.
La screzione degli ormoni insulari è regolata da una serie di
segnali tra i quali spiccano quelli di tipo biochimico, come
il glucosio, gli aminoacidi, gli acidi grassi e i corpi chetonici.
L' Insulina è il fattore principale di controllo della glicemia nel corpo
umano. E’ prodotta nel momento in cui vengano ingeriti cibi ricchi in
carboidrati oppure quando il livello del glucosio aumenta per risposta
ad uno stimolo (stress, ipoglicemia), che induce un innalzamento
ematico degli ormoni antagonisti dell'insulina (glucagone) ad effetto
iperglicemizzante.
Nel tempo che intercorre tra i pasti le insule producono bassi livelli di
Insulina in modo tale da assicurare il bilanciamento tra l'utilizzo dello
zucchero a livello degli organi periferici ( muscolo, cervello, ecc.) e le
scorte epatiche dello stesso.
Dopo un pasto ricco di carboidrati, il livello di Insulina
nel sangue cresce al fine di:
1)far utilizzare lo zucchero
metabolismo basale degli organi
per
mantenere
il
1)immagazzinarlo nel fegato sotto forma di glicogeno
1)trasformarlo in acidi grassi, la molecola base da cui
origineranno i grassi che andranno a costituire l'adipe
sottocutaneo che ogni individuo possiede.
Picco precoce di rilascio
-
Fase lenta e protratta.
Il glucosio rappresenta il principale regolatore della funzione
B cellulare: esso stimola direttamente la secrezione insulinica e
modula la risposta B insulare ad altri stimoli metabolici come
ad esempio gli aminoacidi.
Infatti la cellula β è in grado di rispondere a numerosi altri
segnali di ordine metabolico e non, che però richiedono la
concomitante presenza di glucosio.
Tra i substrati vanno ricordati gli aminoacidi ed in particolare
l'arginina e la leucina che sono dotati di spiccata attività
insulinotropa.
Anche gli acidi grassi liberi e i corpi chetonici sono in grado di
promuovere la secrezione dell'ormone.
Normalmente l'insulina viene prodotta, seppur in
quantità e modalità differenti, tutto il giorno:
l'organismo è infatti in grado di effettuare un fine
controllo dei livelli della glicemia, regolando
automaticamente la secrezione di insulina dal
pancreas.
Ad esempio, dopo un pasto in cui sono stati
introdotti i carboidrati, la glicemia aumenta e il
pancreas
libera
rapidamente
insulina
(picco
insulinemico) e ciò permette di riportare ai livelli di
normalità i livelli di zucchero nel sangue. Appena la
glicemia comincia a diminuire, la secrezione insulinica
cala rapidamente e torna a valori simili a quelli del
digiuno dopo 2-3 ore dall'ingestione del pasto per
rimanere piatta, senza picchi, nel digiuno notturno.
Le cellule traggono energia e trasformano le molecole contenute nelle sostanze
alimentari grazie ad un insieme di reazioni biochimiche chiamato metabolismo.
Le principali fonti di energia per l'organismo sono rappresentate dal
glucosio, dagli acidi grassi e dai corpi chetonici.
L'impostazione matabolica più naturale è quella di provvedere all'accumulo di
materiale energetico in forma di deposito quando vi è abbondanza di substrati,
come avviene dopo i pasti, e viceversa di procedere all'utilizzazione di tali
depositi in condizioni di carenza di energia come avviene durante il digiuno.
Nell'immediato periodo post-prandiale l'aumento della glicemia deprime la
secrezione di glucagone e stimola quella di insulina con il duplice scopo di
favorire l'immediata utilizzazione periferica del glucosio e di garantire l'accumulo
nei depositi della eccedente quota del carico alimentare.
I principali bersagli dell'azione dell'insulina sono:
il fegato - il tessuto adiposo
- il muscolo.
Subito dopo un pasto il fegato utilizzerà parte del glucosio disponibile come
fonte di energia attraverso la sua demolizione glicolitica, la rimanente quota
servirà da substrato per la formazione di glicogeno e trigliceridi:
il primo verrà immagazzinato direttamente nel fegato, i secondi saranno
trasferiti ai depositi del tessuto adiposo per mezzo delle lipoproteine (VLDL).
A distanza di alcune ore dal pasto (2-3) la glicemia inizia a diminuire, si
riduce la secrezione insulinica e aumenta quella di glucagone.
L'attivazione della fosforilasi epatica, mediata dal glucagone, garantisce infatti
la liberazione di glucosio dai depositi di glicogeno e la sua immissione in circolo
impedendo così un eccessivo calo della glicemia.
A ciò contribuisce anche la minore utilizzazione periferica del glucosio
secondaria ai ridotti livelli insulinemici.
Gli acidi grassi divengono in questa occasione il carburante metabolico
preferenzialmente utilizzato dal muscolo e dal fegato consentendo il risparmio
di glucosio a favore di organi che utilizzano con difficoltà gli acidi grassi
( SNC, globuli rossi).
Fase postprandiale. L'ingestione di un carico di glucosio determina l'attivazione
di diversi meccanismi omeostatici, che minimizzano l'escursione glicidica e
restaurano l'euglicemia.
Questi includono:
*la soppressione della produzione epatica di glucosio;
*la stimolazione della captazione epatica del glucosio e
*l'accelerazione della captazione del glucosio da parte dei tessuti
periferici, soprattutto del muscolo.
Ognuno di questi meccanismi dipende dall'insulina.
Nel fegato, l'incremento dell'insulina nel circolo portale inibisce rapidamente la
produzione di glucosio, limitando l'entrata del glucosio in circolo in un momento
in cui è predominante l'apporto glicidico esogeno.
Inoltre, circa il 30% dei glucosio ingerito viene depositato nel fegato.
L'effetto netto è una sostanziale ritenzione epatica di glucosio sotto forma di
glicogeno (deposito).
La captazione periferica del glucosio è mediata principalmente dall'insulina.
Nel muscolo, il glucosio può essere usato per la sintesi di glicogeno oppure può
entrare nelle vie metaboliche ossidative o non ossidative.
Nel tessuto adiposo, il glucosio è utilizzato per la formazione
dell'alfa-glicerofosfato, che è necessario per l'esterificazione degli FFA per
formare i trigliceridi.
Digiuno. Dopo un digiuno notturno, la glicemia diminuisce, si riduce la
secrezione di insulina ed i bassi livelli di insulina fanno sì che ci sia una riduzione
della captazione del glucosio da parte dei tessuti periferici insulino-sensibili
(muscolo e tessuto adiposo).
La maggior parte del glucosio viene captato dai tessuti non insulino-sensibili,
soprattutto dal cervello che, a causa della sua incapacità di utilizzare gli acidi
grassi liberi (FFA), dipende in modo critico dal glucosio per il proprio
metabolismo ossidativo.
Il mantenimento di una glicemia stabile viene ottenuto grazie alla produzione
epatica, ed in parte minore renale, di glucosio (7-10 g per ora) che equilibra
il consumo periferico.
I processi epatici coinvolti consistono nella glicogenolisi e nella neoglucogenesi,
con quest'ultima che contribuisce per circa il 50%.
Entrambi hanno un ruolo significativo e dipendono dal rapporto
insulina/glucagone nel circolo portale.
I ridotti livelli insulinici inibiscono la glicogeno-sintesi e consentono all'effetto
glicogenolitico del glucagone di prevalere.
Effetti dell'insulina sul metabolismo:
•Promuove l'accumulo di glicogeno (zucchero di riserva) nel fegato e
muscoli
•Deprime il consumo di grassi e proteine in favore dei carboidrati,
ovvero spinge le cellule a bruciare carboidrati piuttosto che proteine e
grassi
•Promuove la formazione di trigliceridi (grassi) a partire da carboidrati e
proteine
•Promuove l'immagazzinamento di grassi nel tessuto adiposo
Effetti del glucagone sul metabolismo:
Promuove la liberazione del glicogeno dal fegato, che viene
riversato sottoforma di glucosio nel sangue.
Promuove il consumo di grassi e proteine a sfavore dei carboidrati,
ovvero spinge le cellule a bruciare le proteine e i grassi piuttosto
che i carboidrati
Promuove la mobilizzazione dei grassi dai tessuti adiposi, che
vengono resi disponibili ai tessuti per essere bruciati
Grazie a questo meccanismo, possiamo introdurre il glucosio (sotto
forma di carboidrati) solo poche volte al giorno, durante i pasti: a
mantenere costante la sua presenza nel sangue ci pensa l'asse
ormonale insulina-glucagone, che utilizza come "magazzino" per il
glucosio il fegato.
il DM di tipo I, caratteristico del bambino, è provocato dalla totale
perdita delle β cellule delle insule pancreatiche, deputate alla
produzione di insulina; questa condizione determina la perdita della
omeostasi del glucosio, con conseguente iperglicemia ematica e
ha bisogno di terapia insulinica.
il DM di tipo II, caratteristico dell’adulto, è invece provocato dalla
presenza di insulino-resistenza, cioè una situazione in cui la
produzione di insulina da parte delle β-cellule è addirittura superiore
alla norma, con iperfunzione delle cellule stesse; il mancato ingresso
del glucosio nelle cellule determina, però, una condizione di
ipoinsulinemia relativa.
Il diabete gestazionale, dove l’iperglicemia insorge in gravidanza e
può, dopo il parto, tornare ad essere latente o conclamarsi in diabete
mellito di tipo II; è legato a disfunzione delle β-cellule, e molti autori
sostengono che la gravidanza sia, nella paziente, paragonabile ad un
test da carico di glucosio, che viene a slatentizzare un condizione di
resistenza insulinica subclinica.
OMS 1999: Classificazione dei disordini glicemici
• Tipo 1 (distruzione delle beta-cellule pancreatiche che conduce nel tempo alla
assoluta mancanza di insulina)
• Autoimmune
• Idiopatico
• Tipo 2 (può variare tra una forma in cui predomina l’insulino- resistenza con
una relativa carenza di insulina ad una forma in cui predomina il difetto di
secrezione con o senza insulino-resistenza)
• Altri tipi specifici
• Diabete gestazionale
Il DM di tipo I può avere origine primaria e secondaria;
la primaria vede a tutt’oggi una forte componente genetica,
oggetto di approfondite ricerche biomediche.
La secondaria può essere rappresentata da malattie del sistema
digerente (pancreatite acuta o cronica, cirrosi, traumi dell’addome)
endocrinopatie (feocromocitoma, acromegalia, sindrome di
Cushing) condizioni rare in cui, in seguito a condizioni protratte
di iperglicemia, si verifica quello che viene definito un
“esaurimento delle β-cellule”.
Il DM di tipo II vede invece una patogenesi di tipo
multifattoriale, con influenza del pattern genetico ma rilevante
influenza dei fattori ambientali, gli unici modificabili con dieta e
abitudini di vita.
Diabete mellito di tipo 1
Generalmente la sequenza patogenetica è la seguente:
¾ predisposizione genetica
¾ insulite ambientale
¾ trasformazione della cellula beta da self a non self
¾ attivazione del sistema immunitario
¾ distruzione della cellula beta
¾ diabete mellito.
Patogenesi del diabete mellito non insulino-dipendente tipo 2.:
Sebbene la malattia presenti manifestazioni familiari, non si conoscono le
modalità con cui essa viene ereditata.
I pazienti con DMNID tipo 2 presentano due alterazioni fisiologiche:
*1) una secrezioni insulinica presente, ma anormale
*2) una resistenza all'azione dell'insulina nei tessuti bersaglio.
Non è dimostrato quale delle due alterazioni
difetto di secrezione - insulino-resistenza
sia preponderante
La maggioranza dei pazienti con diabete tipo 2 sono obesi, e si è speculato
che l'obesità indotta da insulino-resistenza porti all'esaurimento delle
cellule beta; il difetto secretorio sarebbe quindi secondario.
D'altra parte molti pazienti francamente obesi non hanno diabete o intolleranza
al glucosio, suggerendo che l'obesità, in presenza di risposta beta cellulare
normale, non porta al diabete.
Secrezione insulinica.
I livelli insulinemici a digiuno nel diabete di tipo II sono solitamente normali o
elevati.
Sono comunque relativamente bassi rispetto alla coesistente iperglicemia.
Appena l'iperglicemia diventa più grave, l'insulina basale non aumenta, o
addirittura diminuisce.
Il difetto secretorio dell'insulina solitamente correla con la gravità
dell'iperglicemia a digiuno ed è più evidente dopo l'ingestione di carboidrati.
Vista nel contesto di una simultanea insulino-resistenza, comunque, una
risposta "normale" è inadeguata a mantenere la tolleranza al glucosio.
In questi soggetti il difetto delle cellule è specifico per il glucosio; non
interessa altri fattori stimolanti la secrezione (gli aminoacidi).
Negli stadi precoci del diabete di tipo II, a livello beta-cellulare avvenga
un'anomalia specifica nel riconoscimento del glucosio e che tale difetto
peggiori con il progredire della malattia.
Sfortunatamente, la causa dell'insufficienza delle cellule beta non è nota.
Insulino-resistenza.
Con poche eccezioni il diabete di tipo II è caratterizzato da una marcata
alterazione dell'azione insulinica.
La curva insulinica dose-risposta mostra una ridotta sensibilità e la risposta
massimale è ridotta, particolarmente per iperglicemie gravi.
Il meccanismo responsabile dell'insulino-resistenza è ancora poco chiaro.
Studi recenti hanno focalizzato l'attenzione sui difetti di legame tra
l'insulina ed il suo recettore.
Sono state identificate altre due sindromi con grave insulino-resistenza; esse
sono caratterizzate sia da un evidente deficit dei recettori per l'insulina
(sono affette soprattutto giovani donne con acanthosis nigricans, ovaio
policistico ed irsutismo), sia dalla presenza di anticorpi anti-recettore
insulinico (associata ad acanthosis nigricans ed altri fenomeni autoimmuni).
Sebbene i recettori insulinici possano essere ridotti in alcuni pazienti con
diabete di tipo II, sembra più probabile che siano coinvolti difetti più distali o
"post-recettoriali".
Aspetti Sociali del Diabete
Una epidemia di diabete (DM) è stata prevista
all’inizio del 21° secolo
Prevalenza del DM nella popolazione mondiale e sua attesa
prevalenza in futuro:
1995
2025
4.0% (135 milioni)
5.4% (300 milioni)
I diabetici rappresentano il 3-5% delle popolazioni caucasiche
e si stima che siano già diabetici da almeno 8 anni
prima della 1a diagnosi di DM (complicanze!)
OMS
Aumento epidemico di diabete e obesità nel mondo
DIABESITA’ USA 2002 : $250.000 AL MINUTO
SPESA SANITARIA/CAPITA USA: SANO $ 2.5 DIABETICO $ 13
Prevalenza stimata
Milioni di pazienti
350
300
250
200
150
100
50
0
1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030
anno
COUCH POTATO-NINTENDONIZATION
COCA-FAST FOOD - WESTERNISATION
CIVILITATION&GENERATION
Jama,289,1785,2003
Epidemiologia del diabete in Italia
(popolazione generale)
Tipo 2
Tipo 1
Prevalenza 3-4%
<0. 1%
Incidenza
0.007%
0.2%
Diabete non insulino-dipendente. Ha inizio nel periodo di mezza età
od oltre.
Il paziente tipico è sovrappeso.
I sintomi iniziano in modo più graduale che in caso di DMID e spesso la
diagnosi viene effettuata con il riscontro di una glicemia elevata eseguita
nel corso di esami di laboratorio di routine in una persona asintomatica.
Diversamente dalla forma insulino-dipendente, i livelli plasmatici di insulina
sono normali o alti, è presente cioé una carenza insulinica relativa.
I diabetici non insulino-dipendenti non sviluppano chetoacidosi.
In caso di scompenso può verificarsi un coma iperosmolare non chetosico.
Qualora fosse possibile indurre una perdita di peso i pazienti potrebbero essere
trattati con la sola dieta.
Nella maggioranza dei pazienti la terapia dietetica non ha successo e viene
adottata una terapia con ipoglicemizzanti orali; tuttavia in molti pazienti non si
ha un miglioramento della iperglicemia sufficiente a controllare il diabete.
Per questa ragione un'alta percentuale di pazienti con DMNID viene trattata
con insulina.
Criteri per la diagnosi di diabete mellito:
1.
rilievo di una glicemia random (priva di relazione temporale con
l’ultimo pasto) ≥ 200 mg/dl.
2.
rilievo di una glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl in almeno due distinte
occasioni.
3.
rilievo di una glicemia a due ore ≥ 200 mg/dl durante un test per la
tolleranza glucidica orale
Test da carico orale di glucosio (75 gr): prelievo basale e dopo 2 h
-
glicemia < 140 mg/dl: normale
- glicemia tra 140 e 200 mg/dl: alterata tolleranza al
glucosio
-
glicemia > 200 mg/dl: diabete
Complicanze metaboliche acute:
1) Chetoacidosi diabetica
2) Coma iperosmolare non chetosico.
La chetoacidosi diabetica perchè si sviluppi, sembra richiedere la
presenza contemporanea di una carenza insulinica e di un aumento
assoluto o relativo della concentrazione di glucagone.
Spesso è provocata dalla sospensione dell'assunzione di insulina, ma si può
verificare anche in presenza di terapia insulinica, determinata da stress fisici
o emozionali.
La chetoacidosi diabetica può verificarsi all'esordio del diabete di tipo I, ma
più frequentemente (>80%) si verifica in pazienti diabetici di vecchia data in
seguito ad una malattia intercorrente (infezione), ad un'inappropriata
riduzione del dosaggio insulinico, oppure alla dimenticanza di più
iniezioni di insulina (negli adolescenti).
Le due caratteristiche biochimiche principali della chetoacidosi diabetica,
l'iperglicemia e l'iperchetonemia, sono determinate dagli effetti combinati
del grave deficit insulinico e dell'eccessiva secrezione degli ormoni
controregolatori, che interagiscono sinergicamente a potenziare i danni
della carenza insulinica.
Tali variazioni mobilitano le scorte di substrati dal muscolo (aminoacidi,
lattato, piruvato) e dal tessuto adiposo (FFA, glicerolo) verso il fegato, dove
vengono attivamente convertiti in glucosio (neoglucogenesi) o in corpi
chetonici (ß-idrossibutirrato, acetacetato) che, in ultimo, vengono immessi in
circolo in quantità altamente superiori, tali da non poter essere utilizzate dai
tessuti periferici.
Il risultato finale è una iperglicemia (maggiore di 300 mg/dl),
chetoacidosi (pH<7,35) e la
diuresi osmotica,
che causa una
grave disidratazione.
Comunque gli acidi grassi che arrivano al fegato vengono semplicemente
riesterificati e accumulati come trigliceridi epatici o convertiti in lipoproteine a
bassissima densità e ritrasportati in circolo, a meno che non sia attivo il
meccanismo epatico di ossidazione degli acidi grassi.
Mentre il rilascio degli acidi grassi liberi viene aumentato direttamente dalla
carenza insulinica, l'accelerata ossidazione epatica degli acidi grassi è indotta
principalmente dal glucagone attraverso l'azione sul sistema enzimatico
carnitina acil-transferasi.
In presenza di elevate concentrazioni di acidi grassi la loro captazione epatica è
sufficiente per saturare sia la via ossidativa che quella di esterificazione, dando
come risultato un fegato grasso, ipertrigliceridemia e chetoacidosi.
Il fatto principale dello stato chetosico è la iperproduzione epatica di chetoni,
ma in presenza di alte concentrazioni di acetoacetato e ß-idrossibutirrato, gioca
un ruolo anche la limitazione dell'utilizzazione periferica.
Quadro clinico della chetoacidosi diabetica
I sintomi predominanti sono:
sete - poliuria - perdita di peso - astenia marcata - iperventilazione disidratazione - secchezza della cute e delle mucose - depressione
dello stato di coscienza.
Il vomito è un sintomo iniziale piuttosto frequente.
Lo stato di coscienza è compromesso nell'80% dei pazienti, ma solo un 10%
presenta un coma vero e proprio.
La causa delle alterazioni dello stato di coscienza non è del tutto chiara:
non c'è correlazione con lo stato di acidosi, mentre sembra meglio rapportabile
al grado di iperosmolarità e quindi ai livelli glicemici.
Caratteristica del coma chetoacidosico e che esso si instaura gradatamente ed
impiega del tempo, talora anche qualche giorno, prima di sfociare nella perdita
completa della coscienza .
A volte il quadro clinico si presenta atipico (dolori in regione epigastrica o
processo febbrile) ed in tali circostanze solo l'apprezzamento del caratteristico
alito acetonico o la dimostrazione di
corpi chetonici nelle urine
consente di definire l'esatta natura del processo clinico.
Coma iperosmolare:
Il coma diabetico iperosmolare non chetosico generalmente
è una complicanza del diabete non insulino-dipendente.
E' una sindrome che comporta una grave disidratazione, derivante da una
persistente diuresi da iperglicemia che si verifica in situazioni in cui il paziente
non è in grado di bere acqua sufficiente ad equilibrare la perdita di liquidi con
le urine.
Aspetti caratteristici:
1) glicemia superiore a 600 mg/dl.
2) assenza di chetoacidosi,
3) grave disidratazione,
4) presenza di una sintomatologia neurologica.
Probabilmente il quadro clinico conclamato non si manifesta fino a quando la
deplezione di volume non diventa abbastanza grave da diminuire la diuresi.
L'assenza di chetoacidosi è importante dal punto di vista fisiopatologico.
Quando in un diabetico insulino-dipendente si verifica una chetoacidosi,
prima che compaia la grave disidratazione, il paziente si reca dal medico per
la nausea, il vomito ed il respiro affannoso.
Un simile meccanismo protettivo non compare nel diabete dell'adulto
resistente alla chetoacidosi.
Il motivo per cui non si verifica una apprezzabile produzione di chetoni
deriva dal fatto che le concentrazioni di insulina sono più alte che nel diabete
di tipo 1 e quindi la chetogenesi epatica e la conseguente acidosi sono molto
più moderate.
Clinicamente i pazienti presentano gravissima iperglicemia, iperosmolarità e
deplezione di volume insieme a segni di interessamento del sistema nervoso
centrale che possono andare da un obnubilamento del sensorio al coma.
Complicanze tardive del diabete.
La microangiopatia diabetica consiste nell'ispessimento generalizzato della
membrana basale dei capillari di tutto l'organismo.
Alterazioni circolatorie. L'arteriosclerosi si verifica nei diabetici in modo più
esteso e precoce rispetto a quanto accade nella popolazione generale.
Non si conosce la causa di questa arteriosclerosi accelerata, sebbene possa
essere importante la glicosilazione non enzimatica delle lipoproteine.
I fattori di rischio universalmente riconosciuti (iperglicemia - fumo ipercolesterolemia - ipertrigliceridemia - obesità - ipertensione) sono più
frequenti e numerosi nei soggetti diabetici.
Ad esempio nel diabetico vi è spesso una compromissione del metabolismo
lipidico che si estrinseca abitualmente con un incremento delle LDL ed una
diminuzione delle HDL con un alterato rapporto tra di loro.
Altri fattori importanti sono l'aumento della adesività delle piastrine,
probabilmente a seguito di una aumentata sintesi del trombossano A2 e
di una ridotta sintesi della prostaciclina.
Le lesioni arteriosclerotiche producono sintomi a livello dei vari distretti.
I processi periferici possono causare dolore, claudicazione intermittente,
ulcerazioni ischemiche (ai piedi), gangrena e negli uomini impotenza organica
o su base vascolare.
Si verificano frequentemente manifestazioni conseguenti a una
coronaropatia
episodi di ictus.
ed
Retinopatia diabetica.
Rappresenta una causa primaria di cecità ed è tra le complicanze
più inabilitanti.
Le lesioni retinopatiche possono essere divise in due grandi
categorie, semplice e proliferante.
La frequenza della retinopatia diabetica sembra che vari con l'età
di esordio e di durata del diabete. Col tempo circa l'85% dei
diabetici sviluppa tale complicanza.
Il trattamento della retinopatia diabetica è la fotocoagulazione.
Tale trattamento diminuisce il rischio di emorragie e di alterazioni
cicatriziali e viene consigliato quando si verifica la neoformazione
di vasi. La fotocoagulazione è utile anche nel trattamento di
microaneurismi, emorragie ed edemi, anche se non è ancora
iniziato lo stadio proliferativo.
Nefropatia diabetica.
Circa il 40% - 50% dei pazienti con diabete insulino-dipendente sviluppa
questa complicanza .
Nella forma non insulino-dipendente la prevalenza può essere inferiore.
La nefropatia diabetica presenta due quadri patologici distinti che possono o
meno coesistere:
*forma diffusa
*forma nodulare.
La prima, che è la più comune, consiste in un ispessimento della membrana
basale glomerulare insieme ad un ispessimento generalizzato del mesangio.
Nella forma nodulare vi sono accumuli di materale PAS-positivo localizzati alla
periferia dei glomeruli (lesione di Kimmelstiel-Wilson).
Vi può essere inoltre una ialinizzazione a livello delle arteriole afferenti ed
efferenti, immagini a "goccia" nella capsula di Bowman, cappucci di fibrina e
occlusioni glomerulari.
Sia nei glomeruli che nei tubuli si verificano depositi di albumina e di altre
proteine.
Le lesioni più specifiche della glomerulosclerosi diabetica sono la ialinizzazione
delle arteriole glomerulari afferenti e i noduli di Kimmelstiel-Wilson.
Nel diabete, l'insufficienza renale clinica non è ben correlabile alle alterazioni
istologiche.
Il sintomo fondamentale è rappresentato dalla comparsa di microproteinuria
(microalbuminuria) cioé dall'escrezione di albumina tra 30 e 550 mg/die.
Successivamente può comparire macroproteinuria.
Una volta iniziata la fase macroproteinurica vi è un declino costante della
funzione renale, con diminuzione della velocità di filtrazione glomerulare che
in media è di circa 1 ml/min. al mese.
Neuropatia diabetica
La neuropatia diabetica può interessare qualsiasi parte del sistema nervoso
con la possibile eccezione del cervello.
E' una delle principali cause di morbilità.
Il quadro più comune è quello della polineuroptia periferica .
I sintomi che solitamente sono bilaterali, comprendono:
ipoestesia,
parestesie,
gravi iperestesie
dolore.
Il dolore può essere di tipo profondo ed è molto intenso spesso peggiorando
durante la notte. A volte ha carattere lancinante o a fitte.
L'interessamento delle fibre propriocettive determina alterazioni dell'andatura e
lo sviluppo delle tipiche articolazioni di Charcot, in particolare a livello del piede
Anche se meno comune della polineuropatia, può presentarsi anche una
mononeuropatia.
E' caratteristica una improvvisa paralisi della muscolatura del polso, dei muscol
estensori del piede o del terzo, quarto o sesto nervo cranico.
La mononeuropatia è caratterizzata da un'alta probabilità di remissioni
spontanee, di solito in un periodo di molte settimane.
La neuropatia vegetativa può presentarsi in vari modi.
il tratto gastrointestinale è uno dei bersagli principali e vi può essere una
disfunzione esofagea con difficoltà nella deglutizione,
un ritardo nello svuotamento gastrico,
stitichezza o diarrea.
Ulcere diabetiche del piede. Un particolare problema dei pazienti diabetici
è la formazione di ulcere ai piedi e agli arti inferiori.
Sembra che le ulcere siano dovute principalmente a una anomala distribuzione
della pressione secondaria alla neuropatia diabetica.
Generalmente l'alterazione di partenza è la formazione di callosità.
La formazione di un'ulcera può essere anche avviata da scarpe che calzano
male e danno origine a vesciche in pazienti che, per i deficit di sensibilità di
cui sono portatori, non possono avvertire il dolore causato da queste lesioni.
Le malattie vascolari con una diminuzione della perfusione ematica
contribuiscono all'insorgenza della lesione e sono comuni le infezioni spesso
a eziologia multipla.
Per le ulcere diabetiche non è disponibile una terapia specifica;
un trattamento di supporto aggressivo può salvare una gamba
dall'amputazione.
Tutti i diabetici dovrebbero venire istruiti sul modo in cui curare i piedi per
prevenire la formazione di ulcere.
Callosità nei punti di
iperpressione,
formazione di ematomi e
di ulcera (figura sotto).