Tipologia linguistica: riflessione sulle lingue e loro

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Tipologia linguistica: riflessione sulle lingue e loro
MODULO 4
Tipologia linguistica: riflessione sulle lingue e loro comparazione.
Annarita Puglielli e Mara Frascarelli
Università degli Studi Roma Tre
1
Indice
4.0
Guida al Modulo
4.1
L’analisi tipologica: obiettivi e metodi
4.1.1 Le lingue sono così diverse?
4.1.2 Aspetti universali e distinzioni parametriche
4.1.3 Identificazione dei tipi linguistici
4.1.4 Diversi livelli di analisi
4.1.5 Correlazione tra proprietà strutturali
4.1.6 Concetto di tendenza
4.2
L’organizzazione morfosintattica della lingua
4.2.1 La struttura in costituenti
4.2.2 Il concetto di testa
4.2.3 Criteri distribuzionali per l’analisi
4.2.4 Categorie e funzioni
4.2.5 Parole come radici
4.3
La struttura argomentale del verbo
4.3.1 Il concetto di valenza
4.3.2 Ruoli tematici vs. ruoli sintattici
4.3.3 La sottocategorizzazione verbale: il caso dei verbi intransitivi
4.3.4 La nozione di “soggetto”
4.4
La struttura fonologica
4.4.1 I suoni linguistici
4.4.2 Il significato come opposizione: il concetto di “pertinenza”
4.4.3 La posizione dell’accento
4.4.4 La lunghezza come tratto distintivo
4.4.5 Tono vs. intonazione
4.4.6 La struttura sillabica
4.5
Forme del predicato
4.5.1 L’espressione del tempo
4.5.2 L’espressione dell’aspetto
4.5.3 L’accordo verbale
4.5.4 Il predicato nominale
4.5.5 La realizzazione della copula
4.6
La relazione tra sintassi e pragmatica
4.6.1 Il concetto di marcatezza
4.6.2 L’uso dei pronomi – serie libera e serie clitica
4.6.3 Pronomi e ruoli argomentali
4.6.4 Focalizzazione
4.6.5 Topicalizzazione
4.7
Rapporti tra livelli di analisi
4.7.1 Soggetto nullo e flessione ricca
4.7.2 Definitezza e progressione del nuovo
4.7.3 L’espressione del possesso
2
4.0 GUIDA AL MODULO
Scopo del modulo è di proporre una riflessione sull’organizzazione della lingua attraverso la
comparazione interlinguistica.
Dopo aver presentato alcune concetti fondamentali dell’analisi tipologica (4.1), vengono presi in
esame i diversi livelli di analisi linguistica. La riflessione parte quindi dall’organizzazione
morfosintattica della lingua (4.2), per passare agli elementi che compongono la struttura fonologica
(suoni, accento, intonazione, sillaba) (4.4). Si prendono, poi, in esame il concetto di valenza, la
sottocategorizzazione verbale, la nozione di “soggetto” (4.3) e le varie forme del predicato (4.5), per
considerare, infine, il rapporto tra sintassi e categorie del discorso (4.6).
Nell’ultimo capitolo (4.7) vengono presi in considerazione alcuni fenomeni che mostrano
l’interrelazione tra diversi livelli di analisi.
I temi scelti e le modalità di presentazione hanno l’obiettivo di indurre l’utente a scoprire, attraverso
la riflessione sui dati, proprietà e meccanismi propri delle lingue.
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4.1 L’ANALISI TIPOLOGICA: OBIETTIVI E METODI
4.1.1
Le lingue sono così diverse?
Lo sviluppo dell’odierna tipologia linguistica risale agli anni ‘60 e precisamente alla pubblicazione
di un famoso lavoro di Greenberg che darà origine ad una serie di ricerche volte ad individuare dei
modelli di variazione fra le lingue in relazione a determinati aspetti della grammatica.
La tipologia linguistica studia le lingue in modo trasversale e procede ad una loro classificazione,
non in quanto derivate da un antenato comune (come avviene per le “famiglie linguistiche”), bensì
in base alla loro appartenenza ad un tipo strutturale (4.1.3).
La tipologia linguistica si preoccupa dunque di individuare le correlazioni esistenti tra fenomeni
linguistici non connessi per necessità logica, al fine di individuare in che modo questi interagiscano,
dando luogo alle lingue esistenti.
Per questa ragione, la tipologia è strettamente correlata alla ricerca degli universali linguistici, vale
a dire, di quelle proprietà ricorrenti che ci consentono di fare delle predizioni in merito
all’organizzazione strutturale delle lingue, escludendo determinate opzioni.
All’interno degli studi di ambito tipologico troviamo due scuole di pensiero principali.
Da una parte troviamo i tipologi “tradizionali”, per i quali la ricerca degli universali del linguaggio
implica necessariamente il confronto tra molte lingue. A questo scopo i loro studi propongono
classificazioni ad ampio raggio, corredati da una mole imponente di dati.
Altri linguisti ritengono invece che, se l’obiettivo è quello di individuare i principi generali che
governano le scelte operate dalle “lingue possibili”, è utile concentrarsi su poche lingue al fine di
analizzarle in maggior dettaglio. Questo secondo approccio è proprio dei generativisti, che agiscono
in base al presupposto innatista della lingua.
Le indagini svolte all’interno dei due diversi approcci possono, naturalmente, completarsi in
maniera proficua e portare a risultati importanti per l’effettiva comprensione del funzionamento
delle lingue.
Riflettere sulla lingua, sui suoi meccanismi e sulle sue regolarità consente, quindi, di fare delle
predizioni sul funzionamento e può essere di grande aiuto per potenziare le nostre capacità di
comprensione del fenomeno “lingua” nonché facilitare l’apprendimento linguistico.
In particolare, la presenza di tendenze, correlazioni e principi che uniscono lingue anche molto
distanti tra loro e appartenenti a famiglie diverse, mostra che la lingua è un sistema e questo sistema
è governato da regole che possono avere una portata “universale” e porta il discente alla
consapevolezza che le lingue del mondo non sono, poi, “così diverse”.
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4.1.2
Aspetti universali e distinzioni parametriche
La tipologia linguistica si pone due obiettivi principali:
a) individuare delle restrizioni sull’occorrenza dei tipi linguistici logicamente possibili; e
b) stabilire dei limiti alla variazione nel linguaggio umano (definire cioè quale sia una “lingua
possibile”).
Il concetto di “lingua possibile” non ha ovviamente nessun presupposto prescrittivo: il tipologo,
sulla base di un campione di lingue considerevole, nota quali elementi sono sempre presenti e quali
mai e definisce così quelli che si pongono come “tipi linguistici impossibili” (in quanto mai
attestati). Vengono così definiti i cosiddetti “universali”.
Sono detti assoluti quei principi universali che sono validi per tutte le lingue e per la cui
formulazione non c’è bisogno di fare riferimento ad altre proprietà della lingua. Questo tipo di
universali linguistici sono, in realtà, in numero molto limitato. L’unico apparentemente indiscusso è
il seguente:
•
Tutte le lingue hanno vocali orali (= non nasali).
Le distinzioni parametriche riguardano, invece, la particolare realizzazione di un fenomeno
linguistico. Consideriamo, ad esempio, la realizzazione del soggetto nel seguente confronto tra
italiano ed inglese (qui e altrove, l’asterisco segnala che la frase che segue è agrammaticale):
(1) a.
Mario è arrivato con i suoi amici.
Mario arrived with his friends.
b.
Ø è arrivato con i suoi amici.
* Ø arrived with his friends.
c.
E’ arrivato Mario con i suoi amici.
*Arrived Mario with his friends.
d.
E’ arrivato con i suoi amici, Mario.
*Arrived with his friends, Mario.
Riflettere su contrasti come quello riportato in (1) porterà il discente alla conclusione che alcune
lingue – come l’italiano – ammettono l’elisione del soggetto (il cosiddetto “Soggetto nullo” 4.7.1) e
il suo spostamento all’interno della frase, mentre altre lingue – come l’inglese – escludono
entrambe queste opzioni.
Questa differente possibilità rappresenta, per l’appunto, un parametro.
L’analisi comparativa e la riflessione sui dati servirà, dunque, da una parte ad individuare parametri
utili per la classificazione linguistica e, dall’altra, a comprendere i principi sottostanti che regolano
tale differenziazione parametrica.
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4.1.3
Identificazione dei tipi linguistici
a) La tipologia morfologica
Un primo modo di individuare tipi linguistici è basato sulla morfologia e, più precisamente, sulla
composizione in morfemi della parola (0.3.5.2).
Su questa base, le lingue del mondo possono essere suddivise in quattro tipi principali, vale a dire:
isolanti, agglutinanti, flessive (o fusive) e polisintetiche (o incorporanti). I quattro tipi morfologici
sono illustrati negli esempi seguenti:
(1) Maria
Maria
shui.
(isolante: CINESE, lingua sino-tibetana)
dormire.RADICE LESSICALE
“Maria dorme.”
(2) Ramesh
Ramesh
pen
khKrid-t-o-hK-t o.
penna
comprare.IMPF.M.AUX.IMPF.M
(agglutinante: GUJARATI, lingua indo-iraniana)
“Ramesh stava comprando una penna.”
(3) Maria
Maria
(4) illu
dorm-e.
(flessiva: ITALIANO, lingua romanza)
dormire.IND.PRES.3SG
sana-niqar-sima-qqaar-puq.
casa
(polisintetica: GROENLANDESE, lingua uralica)
costruire-PASSIV-PERF-primo-3SG.IND
“La casa è stata costruita per prima.”
b) L’ordine dei costituenti
Un secondo parametro significativo per suddividere le lingue del mondo in tipi linguistici è
sintattico e riguarda l’ordine non marcato dei costituenti principali di una frase. Quando parliamo
di ordine “non marcato”, intendiamo l’ordine in cui si dispongono i costituenti in una frase “tutta
nuova”, una frase, cioè, il cui contenuto informativo si distribuisce su tutti gli elementi (come, ad
esempio, nella risposta ad una domanda quale “cosa è successo?”) (4.6.1).
I “costituenti principali” di cui si tiene conto per definire la tipologia sintattica sono il Soggetto (S),
il Verbo (V) e l’Oggetto (O).
Da un punto di vista puramente matematico, dati questi tre costituenti, le possibilità teoriche di
combinazione sono sei, vale a dire: SVO, SOV, VSO, VOS, OVS e OSV.
Tuttavia, le lingue del mondo appartengono quasi esclusivamente ai primi tra tipi sintattici sopra
elencati (il 90% circa), vale a dire, SVO, SOV, VSO.
Un numero molto più limitato di lingue (5-8%) mostra di appartenere al tipo VOS; l’ordine OVS
sembra attestarsi intorno al 2% e, per quanto riguarda l’ultimo tipo, esso è con tutta probabilità
inesistente.
Proponiamo qui di seguito un esempio per ciascuno dei tre tipi più attestati:
(5) The girl
ART
read
the book.
studente leggere.PASS
ART
(INGLESE, lingua germanica)
libro
“La ragazza ha letto il libro.”
(6) Qara’at
al-bintu
al-kitaba.
leggere.3SG.F.PERF ART-ragazza-NOM ART-libro-ACC
“La ragazza ha letto il libro.”
6
(ARABO, lingua semitica)
(7) Kiz
ragazza
kitabl
okuyor.
libro
leggere.3SGF.PASS
(TURCO, lingua altaica)
“La ragazza ha letto il libro.”
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4.1.4
Diversi livelli di analisi
La natura di sistema integrato di una lingua è tale che se si vuole arrivare a una comprensione della
sua struttura e organizzazione si deve necessariamente descrivere e capire le interazioni esistenti tra
tutti i livelli di analisi (fonologia, morfologia, sintassi, semantica, pragmatica). Per facilità si potrà
tenere questi livelli separati nelle varie fasi dell’analisi, ma non si dovrà mai dimenticare che tutti
questi livelli insieme costituiscono di fatto l’oggetto “lingua”.
Solo tenendo conto di tutti i livelli di analisi si potrà portare avanti con successo una riflessione
sulla lingua come “sistema articolato e integrato”.
Il dato linguistico deve quindi essere esaminato e comparato nei suoi vari aspetti: i suoni che lo
compongono, i segmenti di significato che ne costituiscono la struttura morfologica, le
caratteristiche sintattiche e distribuzionali, i rapporti di coreferenza all’interno del testo.
Dal punto di vista metodologico, questo tipo di indagine si presenta del tutto diversa rispetto alle
analisi tradizionali, che partivano dall’assunzione di categorie di base (definite in modo parziale) e
si fondavano essenzialmente su esercizi di classificazione che si trasformavano di fatto in una
etichettatura poco motivante e comunque poco utile.
Un lavoro di ricerca e riflessione proficuo deve invece basarsi sull’osservazione e sulla descrizione
sistematica dei dati linguistici, in cui si passi poi ad utilizzare tecniche di previsione, a fare dunque
proiezioni e ipotesi su aspetti del sistema non ancora osservati nei dati, che vanno poi verificati con
l’ampliamento dei dati stessi.
Questo lavoro può essere svolto su una sola lingua, ad esempio, l’italiano, ma ancora più utile e
proficuo sarà se questo tipo di riflessione si svolge su una dimensione interlinguistica, cioè su
lingue diverse anche tipologicamente differenziate.
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4.1.5
Correlazione tra proprietà strutturali
Come abbiamo visto, la formulazione degli universali assoluti non ha bisogno di fare riferimento ad
altre proprietà della lingua (4.1.2). Gli universali implicazionali, al contrario, rappresentano una
correlazione tra proprietà strutturali in lingue diverse. Essi dicono, cioè, che una data proprietà
deve (o può) essere presente se qualche altra proprietà è pure presente.
La formulazione che permette di rendere conto delle correlazioni esistenti tra tratti linguistici
diversi e logicamente indipendenti è quella dell’implicazione logica che, nella sua forma più
semplice viene rappresentata come segue:
•
A⊃B
(leggi: “se A allora B”)
Le correlazioni più significative mettono in relazione l’ordine basico dei costituenti (4.1.3) – in
particolare la posizione reciproca di Verbo e Oggetto, VO vs. OV – rispetto all’ordine degli
elementi all’interno dei vari costituenti che compongono la frase (sintagma verbale, sintagma
nominale, ecc. 4.2.1).
In particolare, l'analisi tipologica ha dimostrato l'esistenza di una precisa correlazione tra le
posizioni reciproche di Verbo e Oggetto e la presenza di Preposizioni vs. Posposizioni. Questa
correlazione può essere riassunta nel modo seguente:
(1) VO ⊃ Prep
L'analisi tipologica predice dunque, che in una lingua VO ci saranno sempre e necessariamente
Preposizioni. Questo è, infatti, confermato da lingue come l'italiano o l'arabo:
(2) Marco ha incontrato gli amici ed è andato al mare.
(3) ‘akala
mangiare.PASS.3SG
(ITALIANO: SVO)
al-talibu
al-cuscusa
fi-l-baiti.
ART-studente
ART-cuscus
in-ART-casa
(ARABO: VSO)
“Lo studente ha mangiato il cus cus a casa.”
Nelle lingue OV potremo trovare, invece, sia Preposizioni che Posposizioni. Questa predizione
viene confermata da lingue come il cinese e il giapponese:
(4) wŏ gēn hanyu
io
con cinese
laŏshī
shuo
le.
(CINESE: SOV)
maestro parlare PERF
“io ho parlato con il maestro di cinese.”
(5) John ga
John NOM
zidoosya de
Hanako to Tokyo kara
ryokoosita.
macchina con
Hanako con Tokyo da
viaggiare.PASS
“John ha viaggiato da Tokio con Hanako in macchina.”
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(GIAPPONESE: SOV)
4.1.6
Concetto di tendenza
Abbiamo detto (4.1.5) che la tipologia linguistica studia le correlazioni esistenti tra le proprietà
ricorrenti delle lingue, al fine di formulare delle predizioni in merito all’organizzazione strutturale e
al funzionamento delle lingue stesse. Una correlazione molto interessante è, come abbiamo visto,
quella esistente tra l’ordine dei costituenti (S, V e O) e la posizione reciproca di altri costituenti
della frase. In particolare, Greenberg (1966) (4.1.1) ha notato che, a prescindere dalla posizione del
Soggetto, le lingue con ordine VO condividono in generale alcune caratteristiche, mentre le lingue
con ordine OV ne condividono altre, esattamente opposte. Vediamole:
(1) VO Æ PrepN/NAgg/NFrel/NGen
OV Æ NPrep/AggN/FrelN/GenN
Ciò vale a dire che, in una lingua con ordine basico VO, tendenzialmente, la preposizione (Prep)
precede il nome (N) e il nome precede sia l’aggettivo (Agg), sia la frase relativa (Frel), sia un
sintagma che esprima possesso (il “genitivo”, Gen). Questa generalizzazione trova una facile e
immediata esemplificazione attraverso l’italiano e l’arabo. Entrambe queste lingue, infatti, hanno un
ordine basico VO (l’italiano SVO e l’arabo VSO) e, coerentemente:
(2) a.
b.
(3) a.
Takallamtu
ma’a (Prep) al-mu‘allim. (N)
ho parlato
con
(4) a.
b.
maestro
Ho parlato con (Prep) il maestro (N)
al- mu‘allim (N) al-shātir (Agg)
ART maestro
b.
ART
ART bravo
Il maestro (N) bravo (Agg)
al-mu‘allimu (N)
[al-ladhi
sharaha
ART maestro-NOM
ART quale
ha spiegato ART lezione
al-dars] (Frel)
Il maestro (N) [che ha spiegato la lezione] (Frel)
Al contrario, in una lingua con ordine basico OV, tendenzialmente, la preposizione segue il nome e
il nome segue sia l’aggettivo, sia la frase relativa, sia un sintagma che esprima possesso.
Osserviamo, a questo proposito, il giapponese nelle tre frasi seguenti, che riproducono lo stesso
significato delle frasi in (2), (3) e (4):
(5) a.
(watashi wa) sensei (N)
io
b.
c.
maestro
TOP
to (Prep)hanashimashita
con
joozuna (Agg)
sensei (N)
bravo
maestro
ho parlato
[lessun-o
oshieta] (Frel)
sensei wa (N)
lezione-ACC
spiegare
maestro TOP
Esistono dunque delle correlazioni importanti tra i costituenti della frase in merito all’ordine in cui
si dispongono. E’ importate sottolineare, però, che si tratta di tendenze e che dunque si possono
trovare delle eccezioni. Pensiamo, ad esempio, all’inglese: si tratta senza dubbio di una lingua SVO
(dall’ordine peraltro molto rigido), eppure gli aggettivi precedono i nomi cui si riferiscono.
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4.2 L’ORGANIZZAZIONE MORFOSINTATTICA DELLA LINGUA
4.2.1
La struttura in costituenti
Le frasi non sono semplici successioni di parole.
Non è possibile, dunque, compiere un’analisi sintattica adeguata se non si parte dall’assunto
fondamentale che le frasi sono costituite da gruppi di parole, vale a dire, da entità intermedie tra
parole e frasi che prendono il nome di costituenti (o sintagmi). L’esistenza di una struttura in
costituenti può essere messa in evidenza da una serie di prove.
•
La prova più immediata e intuitiva è fornita dai casi di ambiguità. I costituenti della frase
possono, infatti, raggrupparsi in modi diversi e la duplice interpretazione deriva proprio dai
diversi rapporti gerarchici che possono instaurarsi.
•
Un’altra prova è data dal movimento: se una successione di parole forma un costituente, questa
stringa potrà occupare posizioni diverse nella frase.
•
Un’altra prova a favore della struttura in costituenti è l’enunciabilità in isolamento. Un
costituente sintattico, infatti, può essere pronunciato in isolamento (cioè, non all’interno di una
frase completa) come risposta ad una domanda. Al contrario, questo non può avvenire per una
qualsiasi stringa di parole che non formi costituenza.
•
Un’altra prova a favore della struttura in costituenti è data dalla coordinabilità: solo costituenti
di uno stesso tipo, infatti, possono essere coordinati.
•
Infine, solo ed esclusivamente un costituente può essere sostituito da una forma pronominale
(criterio della sostituibilità).
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4.2.2
Il concetto di “testa”
I costituenti possono essere classificati come appartenenti a categorie diverse, in base alla categoria
del loro elemento costitutivo. Questo prende il nome di “testa” del sintagma.
La testa è l’elemento centrale e caratterizzante di un sintagma, in quanto:
a) è l’unico elemento che deve essere obbligatoriamente realizzato al suo interno, e
b) è l’elemento che definisce il tipo di costituenti che possono disporsi alla sua sinistra o alla
sua destra in qualità di “modificatori”.
I costituenti principali che compongono la struttura frasale sono i seguenti (le parentesi quadre
vengono usate per delimitare il sintagma):
•
•
•
•
SINTAGMA VERBALE (SV):
SINTAGMA NOMINALE (SN):
SINTAGMA PREPOSIZIONALE (SP):
SINTAGMA AGGETTIVALE (SA):
Come mostrato negli esempi, i vari sintagmi possono contenere altri elementi che “modificano” la
testa (i.e., la completano e aggiungono informazioni a suo riguardo). Il tipo di costituenti che
possono accompagnare (e quindi modificare) una determinata testa dipende dalla natura della testa
stessa. Così, all’interno del Sintagma Verbale troviamo gli argomenti del verbo (4.3.2), nel
Sintagma Nominale troviamo modificatori nominali quali gli aggettivi o la frase relativa, il
Sintagma Preposizionale viene accompagnato da un costituente nominale e il Sintagma Aggettivale,
infine, può essere modificato da elementi avverbiali.
Come si ricorderà, le lingue del mondo si suddividono in base all’ordine in cui sono disposti i
“costituenti principali” della frase: Soggetto (S), Verbo (V) e Oggetto (O) (4.1.3). Osserviamo
quindi la tabella seguente, in cui sono riportati diversi tipi di sintagmi (indicati dalle parentesi e
dalle etichette), in tre lingue appartenenti ad ordini basici differenti: italiano (SVO), arabo (VSO) e
giapponese (SOV):
(a) [SN il maestro bravo]
(b) [SN il maestro [SP di italiano ]]
[SN al-mu’allim al-shātir ]
[SN mu’allim [SN al-lugha al-italiya]]
ART maestro ART bravo
maestro
[SN joozuna sensei ]
bravo
[SN [SP itariago no] sensei]
maestro
italiano
(c) il maestro [SV ha spiegato la lezione]
sensei-wa [SV lessun-o
maestro-TOP
GEN
maestro
(d) [SV ho parlato [SP con il maestro ]]
[SV fassara [SN al-mu’allim] al-dars]
ha spiegato ART-maestro
ART lingua ART italiana
[SV takallamtu [SP ma’a al-mu’allim]]
ART lezione
ho parlato
con
ART
maestro
watashi wa [SV [SP sensei to] hanashimashita]
oshieta ]
lezione-ACC ha insegnato
io
TOP
maestro con ho parlato
Osservando la posizione della testa nelle tre lingue prese in esame si noterà che a volte la testa si
trova alla sinistra del sintagma, mentre a volte si colloca sul suo confine destro. E questo in modo
coerente all’interno di ciascuna lingua e indipendentemente dal tipo di sintagma (i.e., SN, SV o SP).
Possiamo dunque giungere alla conclusione che:
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-
Le lingue con ordine VO realizzano la testa alla sinistra (dunque, all’inizio) del sintagma.
Le lingue con ordine OV realizzano la testa alla destra (dunque, alla fine) del sintagma.
Esiste dunque una correlazione importante tra ordine basico dei costituenti e posizione della testa
rispetto ai suoi complementi/modificatori:
In conclusione, sulla base del concetto di “testa”, possiamo fare delle predizioni importanti in
merito all’ordine che possono assumere i costituenti di una frase in una determinata lingua.
Naturalmente, questo non deve essere inteso come un principio assoluto: le lingue presentano pur
sempre delle eccezioni, delle quali bisogna tenere conto.
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4.2.3
Criteri distribuzionali per l’analisi
La classificazione categoriale delle parole in base a criteri distribuzionali si stabilisce
sull’osservazione delle possibilità combinatorie degli elementi che compongono una frase.
Consideriamo, ad esempio, una parola come medico. Se si domandasse ad un parlante di lingua
italiana la categoria di appartenenza di questa parola, la risposta che molto probabilmente si
otterrebbe è che si tratta di un nome. Questo perché la parola medico verrebbe associata ad un
referente umano, che svolge una specifica professione.
Si tratta, ovviamente, di una risposta (almeno in molti casi) corretta.
Anche da un punto di vista morfosintattico, inoltre, questa parola mostra i comportamenti tipici di
un nome: possiamo formarne il plurale (1a), può svolgere la funzione sintattica di soggetto (1b) o di
oggetto del verbo (1c):
(1) a.
b.
c.
Luigi è uno dei medici di questo ospedale.
Mi ha visitato il medico più bravo dell’ospedale.
Non ho incontrato un medico in tutta la corsia!
Tuttavia, in frasi come le seguenti non è possibile considerare medico come un nome:
(2) a.
b.
Vieni qui che ti medico la ferita.
Devo andare allo studio medico per fare dei controlli.
In (2a), infatti, questa parola esprime una predicazione che “seleziona” (i.e., “richiede la presenza
di”) un soggetto (il pronome di prima persona io, sottinteso nell’esempio) un oggetto diretto (la
ferita) e un oggetto indiretto (ti). In (2b), invece, la parola medico esprime una “modificazione”, in
quanto accompagna un altro nome (studio) e lo qualifica.
Questo semplice esempio mostra che una parola non appartiene sempre e necessariamente ad una
determinata categoria. Al contrario, potremmo affermare che “il contesto determina la categoria” e
che, dunque, l’analisi distribuzionale riveste un ruolo fondamentale per definire l’appartenenza
categoriale delle parole.
Basandoci su criteri distribuzionali, possiamo dunque affermare che il nome è quella categoria
sintattica che può essere preceduta da articoli e dimostrativi (cosiddetti “determinanti”), nonché da
possessivi, e può essere seguita da aggettivi e frasi relative.
Il verbo, al contrario, è circondato dagli elementi nominali richiesti dalla selezione argomentale
(4.3.1), in base all’ordine stabilito dalla tipologia sintattica della lingua. Nel caso si volesse
modificare l’azione verbale, si farà ricorso ad un elemento avverbiale.
Da un punto di vista formale e distribuzionale, la definizione dell’avverbio è semplicemente quella
di un elemento morfologicamente invariabile che modifica verbi o aggettivi.
Per quanto riguarda la categoria dell’aggettivo, la sua collocazione è accanto agli elementi nominali
che modifica (e con cui può accordarsi, in base alla specifica tipologia morfologica della lingua).
Gli aggettivi possono essere, a loro volta, modificati da alcuni elementi avverbiali.
Infine, per quanto riguarda le preposizioni, si tratta di elementi che accompagnano tipicamente i
costituenti nominali.
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L’analisi distribuzionale si dimostra particolarmente utile e vantaggiosa, mostrando l’effettiva
primarietà dei criteri formali nella definizione delle categorie.
L’analisi distribuzionale mostra, dunque, che una stessa parola può appartenere a diverse categorie
a seconda delle sue possibilità combinatorie. O, per meglio dire, pone l’accento sui numerosi casi di
ambiguità presenti nelle lingue, per cui parole legate alla stessa radice di significato (e omofone
nella loro realizzazione superficiale) hanno proprietà morfosintattiche differenti e dunque
appartengono a categorie diverse.
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4.2.4
Categorie e funzioni
Per definire la categoria cui appartiene una parola è dunque necessario riconoscere i segnali
morfosintattici e distribuzionali che consentono di distinguere e classificare in modo chiaro, e
quanto più possibile univoco, le varie categorie.
La distribuzione e le proprietà morfosintattiche sono fondamentali anche per definire la funzione
che svolgono i vari elementi all’interno della frase. Come sappiamo, infatti, ogni elemento presente
nella frase, oltre ad appartenere ad una data categoria, riveste un ruolo specifico dal punto di vista
sintattico. Sono infatti ben note funzioni quali “soggetto” e “predicato”.
Ma sapremmo fornire una loro definizione univoca?
Consideriamo, ad esempio, la funzione sintattica di soggetto. Si tende generalmente a definire il
soggetto di una frase come “colui che compie l’azione”. E questa definizione risulta corretta se
pensiamo a frasi come:
(2) a.
b.
Mario mangia la mela.
Luigi mette il libro sul tavolo.
Ma potremmo fornire questa stessa definizione per i soggetti delle frasi in (3), qui di seguito?
(3) a.
b.
c.
La porta si apre.
Il libro sta sul tavolo.
Gianni è stato picchiato.
La porta in (3a) non compie nessun’azione di per sé, così come il libro in (3b), che è stato messo
sul tavolo da qualcuno. Il povero Gianni in (3c), infine, non ha avuto certamente nessun ruolo attivo
nell’azione espressa dal predicato!
Potremmo allora provare un’altra via e dire che il soggetto è “colui di cui si parla”. Questo sembra
vero se consideriamo le frasi in (2) e (3). Ma dovremmo necessariamente abbandonare questo
tentativo di fronte a frasi come:
(4) a.
b.
A Luigi capita spesso di sbagliarsi.
Lo vuoi un caffè?
In (4a) stiamo parlando di Luigi, anche se non è il soggetto della frase, e colui che pronuncia la
frase in (4b) non sta sicuramente dicendo qualcosa a proposito del proprio interlocutore, sebbene il
soggetto sia “tu”.
Sembra dunque che l’adozione di criteri semantici e/o pragmatici non consentano una definizione
univoca della funzione di soggetto.
Se, invece, osserviamo più attentamente le caratteristiche morfosintattiche di tutte le frasi
esaminate, potremo notare che il soggetto, in una lingua flessiva come l’italiano, si caratterizza per
una proprietà specifica, vale a dire, è l’elemento nominale che determina l’accordo con il verbo.
I criteri morfosintattici forniscono, dunque, delle diagnostiche chiare ed esplicite per identificare
categorie e funzioni in modo corretto e immediato.
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4.2.5
Parole come radici
Definire il concetto di “parola” in maniera univoca è impresa tutt’altro che semplice. Tale
definizione dipende, infatti, da diversi fattori, tra cui il livello di analisi cui si fa riferimento
(fonologia, morfologia, sintassi, semantica), l’influenza della tradizione scritta (per cui la parola
viene a coincidere, più o meno, con quella “porzione di testo separata da due spazi bianchi”), e il
tipo morfologico cui appartiene la lingua presa in esame. Sembra evidente, infatti, che l’idea di
“parola” che ha il parlante di una lingua flessiva potrà essere anche molto differente da quello del
parlante di una lingua polisintetica (4.1.3).
In uno studio comparato e interlinguistico, un approccio vantaggioso all’analisi della parola
proviene da considerazioni di tipo semantico e morfologico, per cui ogni parola è di fatto una
“radice lessicale”, non appartenente a priori a nessuna categoria grammaticale. Solo
successivamente – con il suo inserimento nel contesto sintattico e, quindi, con la presenza di
morfemi grammaticali – si determina l’appartenenza della parola a categorie quali nome, verbo, ecc.
Per capire meglio in che senso le parole siano radici composte di segmenti di significato,
analizziamo la struttura interna delle parole in arabo, lingua in cui tale concetto trova la sua
illustrazione più chiara e immediata.
In lingue che non presentano una morfologia “a pettine” come l’arabo l’individuazione delle “radici
lessicali” può essere meno immediata, in quanto il morfema lessicale tende a coincidere in maniera
più netta con la parola. E’ tuttavia importante adottare tale criterio di analisi nell’indagine
interlinguistica, al fine di evitare etichettature aprioristicamente determinate.
In particolare, nelle lingue con morfologia “povera”, come l’inglese o le lingue isolanti (4.1.3),
l’individuazione delle radici lessicali rappresenta un importante strumento di riflessione e analisi.
17
4.3 LA STRUTTURA ARGOMENTALE DEL VERBO
4.3.1
Il concetto di valenza
Il concetto di “valenza” è stato introdotto in linguistica con una metafora tratta dalla chimica: così
come gli atomi presentano dei “punti di attacco” e devono combinarsi con altri atomi per formare
delle molecole, così il verbo ha bisogno di essere accompagnato da un certo numero di elementi
perché la frase sia “ben formata” e il suo significato completo.
Possiamo quindi dire che ogni verbo ha una valenza e il numero di elementi che completano la
valenza del verbo sono detti i suoi argomenti (o, anche, elementi nucleari). La valenza di un verbo è
determinata dal suo significato: in base alle sue caratteristiche semantiche, il verbo seleziona (o
anche sottocategorizza) una serie di costituenti che sono, pertanto, obbligatori.
Ovviamente, nella frase sono ammessi anche altri elementi, non richiesti come necessari dal verbo.
Questi vengono detti circostanziali (o, anche, elementi extranucleari). Potremmo dire che, mentre
gli argomenti sono gli elementi direttamente coinvolti nel processo descritto dal verbo, i
circostanziali aggiungono informazioni accessorie in merito al contesto e alle modalità del suo
svolgimento.
Considerate, ad esempio, le seguenti frasi agrammaticali (come indicato dall’asterisco):
(1) a.
b.
*guarda.
*ha dato.
Come è evidente, il verbo, se privo dei suoi argomenti (e fuori da un contesto comunicativo), dà
luogo a frasi incomplete (e, dunque, agrammaticali). Al contrario, la frase può dirsi completa solo
quando il verbo è accompagnato dai suoi argomenti:
(2) a.
b.
Maria guarda il panorama.
Maria ha dato un bacio a Luigi.
Il verbo rappresenta dunque il nucleo di una frase e, in quanto tale, seleziona gli elementi che lo
devono affiancare. Gli elementi che compongono la struttura argomentale sono quindi in numero
ristretto e ben definito dalle proprietà del verbo.
I circostanziali, invece, possono essere presenti in numero potenzialmente illimitato e la loro
assenza non pregiudica la comprensione generale dell’evento in corso:
(3) a.
b.
c.
d.
e.
Luisa è andata a Berlino.
Ieri Luisa è andata a Berlino.
Ieri Luisa è andata a Berlino con l’aereo.
Ieri Luisa è andata con piacere a Berlino con l’aereo
ecc.
18
4.3.2
Ruoli tematici vs. ruoli sintattici.
Gli argomenti sono selezionati in base al significato del verbo e ognuno di essi riveste un ruolo
preciso all’interno dell’evento descritto. Il verbo ha quindi una struttura argomentale e gli
argomenti da esso selezionati (o “sottocategorizzati”) hanno uno specifico ruolo tematico. I
principali ruoli tematici sono i seguenti:
– AGENTE: l’autore di un’azione;
– PAZIENTE: colui/ciò che riceve o subisce l’azione;
– TEMA: argomento coinvolto nell’azione.
– BENEFICIARIO: colui/ciò verso cui è rivolta l’azione;
– ESPERIENTE: colui che sperimenta un determinato stato (psicologico, ma anche fisico);
– STRUMENTALE: il mezzo di cui ci si serve per realizzare l’evento;
– LOCATIVO: il luogo in cui si svolge l’azione o anche da cui o verso è diretta;
E’ fondamentale distinguere e tenere separati il ruolo semantico dalla funzione sintattica.
Il ruolo tematico è un concetto di natura semantica e riguarda la selezione degli argomenti operata
dal verbo in base al suo significato. Al contrario, il ruolo sintattico concerne la funzione
grammaticale che ogni elemento ricopre all’interno della frase (4.2.4).
Non esiste un rapporto di necessaria biunivocità tra un dato ruolo tematico e un dato ruolo
sintattico, anche se ci sono, come ovvio, degli abbinamenti preferenziali.
Questa separazione di livelli sarà di estremo aiuto anche nell’analisi interlinguistica. La selezione
argomentale di un verbo, infatti, è sempre la stessa in tutte le lingue, in quanto dipende dal
significato del verbo, mentre può essere diversa la realizzazione degli argomenti nei vari ruoli
sintattici.
19
4.3.3
La sottocategorizzazione verbale: il caso dei verbi intransitivi
Il numero degli argomenti richiesti da un verbo varia in funzione del significato del verbo. Avremo
quindi:
a)
b)
c)
d)
Verbi a zero argomenti (“avalenti”), quali i verbi atmosferici.
Verbi ad un argomento (“monovalenti”), che richiedono solo la presenza del soggetto (ad es.,
nascere, ridere, piangere, camminare, dormire, sognare, ecc.).
Verbi a due argomenti (“bivalenti”), che richiedono la presenza di un altro partecipante oltre
al soggetto grammaticale (ad es., mangiare, bere, guardare, baciare, andare, telefonare, ecc.).
Verbi a tre argomenti (“trivalenti”), che richiedono la presenza di altri due partecipanti oltre al
soggetto grammaticale (ad es., dare, regalare, mettere, inviare, ecc.).
E’ fondamentale tenere separato il concetto di valenza da quello di transitività.
La valenza, infatti, è un concetto semantico e riguarda il numero degli argomenti selezionati dal
verbo. La transitività, invece, è un concetto esclusivamente sintattico, per cui si dicono transitivi
tutti quei verbi a due argomenti in cui il secondo argomento è un oggetto diretto (verbi, dunque,
come mangiare, bere, lavare, guardare, ascoltare, scrivere, leggere, studiare, ecc.). Un verbo
bivalente, dunque, non è necessariamente transitivo e, ugualmente, un verbo intransitivo non è
sempre monovalente, come illustrato negli esempi seguenti:
(1) a.
b.
c.
Luigi dorme.
(monovalente e intransitivo)
Marco telefona agli amici. (bivalente e intransitivo)
Maria bacia Luigi.
(bivalente e transitivo)
Verbi intransitivi e selezione dell’ausiliare
Si dicono intransitivi tutti quei verbi che non comprendono un oggetto diretto tra i loro argomenti.
Come noto, i verbi intransitivi possono selezionare entrambi gli ausiliari: alcuni verbi intransitivi
selezionano l’ausiliare avere,
mentre altri selezionano l’ausiliare essere:
Come potersi decidere nella selezione dell’ausiliare? L’alternanza tra essere e avere nei verbi
intransitivi può essere davvero considerata un fatto puramente idiosincratico della lingua?
Le grammatiche tradizionali evitano il problema fornendo semplicemente una lista, più o meno
nutrita, di verbi che selezionano l’uno o l’altro ausiliare. Questo ovviamente non spiega nulla sulla
“lingua come sistema” e sul suo funzionamento.
Per rispondere a questa domanda è invece necessario distinguere e individuare all’interno dei verbi
intransitivi un sottogruppo di verbi, detti inaccusativi.
Come messo in evidenza dagli esempi, i verbi inaccusativi selezionano sempre l’ausiliare essere.
Tutti gli altri verbi intransitivi (anche detti inergativi), invece, selezionano l’ausiliare avere. Questa
classificazione consente di evitare, in modo utile, il ricorso a liste interminabili di verbi. E tuttavia
la suddivisione proposta non sarebbe un vero risultato se queste categorie fossero state create ad
hoc, al solo scopo di trovare una catalogazione più semplice e immediata.
E’ invece fondamentale sottolineare che la selezione dell’ausiliare essere è determinata da una
proprietà specifica, condivisa dai verbi appartenenti alle quattro categorie sopra elencate (ergativi,
inerentemente riflessivi, verbi di moto e passivi), vale a dire, in tutti questi verbi il soggetto
sintattico non è mai un AGENTE (4.3.2).
20
In questo modo la selezione dell’ausiliare non è più frutto del caso, ma la conseguenza di una
precisa proprietà semantica del Soggetto. La presenza dell’ausiliare essere indica pertanto la
mancanza di agentività del Soggetto sintattico rispetto all’azione espressa dal verbo.
•
Un test di inaccusatività: il clitico “ne”
Questo tipo di analisi si rivela particolarmente utile nel confronto interlinguistico.
Ad esempio, potrà essere estremamente interessante notare che l’identificazione della classe degli
inaccusativi consente di fare predizioni importanti anche in altre lingue con selezione dell’ausiliare
differenziata nei tempi composti, come ad esempio, in francese (che presenta tuttavia alcune
differenze rispetto all’italiano come, ad esempio, la presenza dell’ausiliare avere con i verbi
“stativi” essere, vivere, ecc. – differenze su cui si può impostare una proficua attività di riflessione
Modulo 5).
Questo tipo di analisi si mostra tipologicamente rilevante anche per quelle lingue che non
presentano una selezione diversificata dell’ausiliare nei tempi composti (per cui avere viene
generalmente utilizzato per tutti i tipi di verbi). Nell’esaminare queste lingue è infatti molto
interessante notare che una differenziazione viene pur sempre effettuata per i verbi di morfologia
passiva. Sembra infatti che nessuna lingua che realizzi la diatesi passiva mediante verbi composti
utilizzi lo stesso ausiliare presente nella corrispondente frase attiva.
21
4.3.4
La nozione di “soggetto”
Definire la nozione di “Soggetto” è una questione meno ovvia di quanto possa sembrare.
Come noto, il ruolo sintattico di Soggetto può essere ricoperto da elementi che hanno diversi ruoli
semantici (determinati dalla selezione argomentale del verbo (4.3.1). Consideriamo, ad esempio gli
esempi seguenti:
(1) a.
b.
c.
Luigi ha aperto la porta con la chiave.
La porta si apre.
La chiave ha aperto la porta.
Come si può notare, il soggetto (sintattico) nelle frasi proposte è un AGENTE (“l’autore di
un’azione”) solo nel caso (a). Nell’esempio (b) la porta è, senza dubbio, un PAZIENTE (“colui/ciò
che riceve o subisce l’azione”), mentre la chiave in (c) riveste un ruolo STRUMENTALE (“il mezzo di
cui ci si serve per realizzare l’evento”).
Non esiste dunque un rapporto di necessaria biunivocità tra un dato ruolo semantico e un dato ruolo
sintattico (anche se ci sono, come ovvio, delle correlazioni preferenziali; 4.3.2).
Adottando criteri puramente morfosintattici, al contrario, il soggetto può essere definito
univocamente come “il costituente che determina l’accordo con il verbo”.
Oltre a ciò, nella maggior parte delle lingue occidentali più note, il soggetto ottiene la marca di
Caso NOMINATIVO:
(2) a.
b.
io/*me mangio una mela.
io/*me corro.
Ci sono lingue, invece, in cui criteri semantici e sintattici interagiscono nella marcatura del
soggetto. E’ il caso delle lingue ergative, che illustriamo qui di seguito (dall’ÀVARO, lingua altaica):
(3) a.
vas-ass
jas
j-ecc-ula.
ragazzo.ERG
ragazza.ASS
F.SG.ASS-lodare-PRES
“Il ragazzo loda la ragazza.”
b.
vas
v-eker-ula.
ragazzo.ASS
M.SG.ASS-correre-PRES
“Il ragazzo corre.”
c.
jas
j-eker-ula.
ragazza.ASS
F.SG.ASS-correre-PRES
“La ragazza corre.”
Come possiamo notare, il soggetto di un verbo transitivo (3a) riceve un Caso specifico, detto
“ergativo”, mentre il soggetto di un verbo inaccusativo (correre, in (3b); 4.3.3) riceve un’altra
marca di Caso (detto “assolutivo”), che è la stessa che spetta agli oggetti dei verbi transitivi (cfr. jas
in (3a) e in (3c)).
Questo sistema di casi è dunque regolato dal ruolo semantico associato al “soggetto”.
Se ritorniamo alle frasi italiane in (1a-b) risulta chiaro, infatti, che l’oggetto di un verbo transitivo e
il soggetto di un verbo inaccusativo condividono lo stesso ruolo semantico: quello di PAZIENTE.
Possiamo dunque concludere che, nelle lingue “assolutivo-ergative”, il Caso ergativo
contraddistingue il solo soggetto-AGENTE mentre, il PAZIENTE riceve sempre Caso assolutivo.
Lingue ergative (oltre all’àvaro) sono il basco, l’eschimese e molte lingue austronesiane come il
dyirbal.
22
4.4 LA STRUTTURA FONOLOGICA
4.4.1
I suoni linguistici
Quando ci occupiamo dei suoni della lingua, stiamo facendo riferimento ad una delle proprietà
fondamentali del linguaggio, vale a dire, alla sua “seconda articolazione” (0.3.4.3). L’analisi
linguistica a questo livello della grammatica si concentra, dunque, sul meccanismo in base al quale,
a partire da un numero finito e limitato di suoni, è possibile comporre un numero infinito di
significanti e, attraverso questi, veicolare un numero infinito di significati.
L’associazione tra significanti fonici e significati rappresenta infatti una caratteristica essenziale del
linguaggio, caratteristica che appare del tutto ovvia e naturale, anche a chi non si sia mai occupato
di linguistica. Quello che, però, è sicuramente meno immediato ed evidente, è il modo in cui si
caratterizzano i suoni della lingua: la loro natura interna, il loro potere distintivo e, infine, le loro
possibilità combinatorie.
Nella tabella seguente riportiamo l’inventario completo dei suoni consonantici presenti nelle lingue
del mondo, rappresentati mediante l’alfabeto IPA (dall’inglese International Phonetic Alphabet),
ormai comunemente usato nei testi e nei dizionari, al fine di consentire una rappresentazione grafica
interlinguistica e coerente dei suoni (evitando le varie incongruenze insite negli alfabeti ortografici
storicamente determinati).
PUNTO BILABIALI
MODO
OCCLUSIVE
p
NASALI
POLIVIBRANTI
FRICATIVE
LABIODENTALI
b
m
M
B
!
ß
f
v
LATERALI
FRICATIVE
LATERALI
APPROSSIM.
ALVEOLARI
_
PALATOALVEOLARI
t d
n
r
T D s
z S
lò
L
ts
AFFRICATE
APPROSSIMANTI
DENTALI
RETROFLESSE
t8
;
n8
PALATALI
c
F
VELARI
k g q
N
Þ
§
J
tS tZ
t§
R
dJ
+
j
=
l
)
Y
1
dz
-
FARINGALI
G
GLOTTIDALI
?
N
8
x G X 7
Z
ç
UVULARI
,
9
h
Nella tabella possiamo contare 62 suoni. Le caselle a sfondo grigio indicano suoni che non è
possibile produrre, mentre quelle a sfondo bianco indicano suoni possibili, ma (ancora) non attestati
nelle lingue del mondo.
Naturalmente, non tutti i suoni riportati nella tabella IPA sono presenti in tutte le lingue: ogni lingua
utilizza e rende pertinenti solo una parte di essi. L’italiano, ad esempio, realizza solo 26 suoni
consonantici e, come vediamo, manca totalmente di alcuni punti di articolazione (retroflesse,
uvulari, faringali e glottidali).
Altri sistemi linguistici, invece, mancano totalmente di alcuni modi di articolazione. In arabo, ad
esempio sono assenti totalmente le affricate, mentre per quanto riguarda i punti di articolazione,
troviamo proprio quelle uvulari, faringali e glottidali che in italiano non sono presenti.
23
H
4.4.2
Il significato come “opposizione”: il concetto di pertinenza
Mentre la fonetica si interessa di tutti i suoni (o “foni”) apprezzabili della lingua, significativi e non
significativi, la fonologia si occupa esclusivamente dei foni che sono in grado di distinguere
significati e hanno, in quanto tali, potere distintivo.
Ad esempio, il fono fricativo alveolare può avere due realizzazioni: sorda [s] o sonora [z]. La
distinzione tra questi due foni è apprezzabile e percepibile in tutte le lingue. Tuttavia la loro
opposizione è distintiva solo in alcune. In italiano, ad esempio, una parola come rosa può essere
pronunciata sia ro[s]a che ro[z]a, senza variazioni di significato. In lingue come il francese, invece,
tale opposizione può distinguere significati, come illustrato nell’esempio seguente:
(1) dessert [desErt] “dolce” ~ désert [dezErt] “deserto”
Ne concludiamo, dunque, che di tutti gli elementi che compongono l’espressione, solo alcuni sono
portatori di significato. Questi elementi vengono detti “pertinenti”. I tratti pertinenti sono distintivi,
perché hanno il potere di stabilire un’opposizione di significato rispetto a tutti gli altri elementi
dell’espressione. La comprensione del significato di un’espressione si basa dunque
sull’individuazione e l’interpretazione dei tratti pertinenti che sono in numero finito e controllabile.
Per questa ragione, nel valutare il significato di un messaggio, si deve far riferimento solo a quelli e
ricordare che tali tratti non sono stabiliti una volta per tutte, né sono gli stessi in tutte le lingue.
I foni che hanno potere distintivo nelle varie lingue sono detti fonemi (0.3.5.1). Il fonema è dunque
l’unità minima della fonologia.
Poiché i fonemi hanno il potere di discriminare tra significati, uno dei meccanismi più validi e
immediati per il loro riconoscimento, in una data lingua, è quello di opporre due parole che si
differenziano per un solo fono. Se le due parole della coppia avranno significati diversi, allora i due
foni in opposizione hanno valore fonemico (in quella lingua). Questo meccanismo prende il nome
di coppia minima.
24
4.4.3
La posizione dell’accento
Vi sono fenomeni fonologici che non riguardano i singoli segmenti, bensì si dispongono sopra di
essi e vengono, pertanto, definiti “soprasegmentali”. Questi tratti riguardano quindi l’aspetto
melodico della catena parlata e ne determinano l’andamento ritmico.
Tra i più importanti tratteremo l’accento, la durata (4.4.4), il tono, e l’intonazione (4.4.5).
La nozione d’accento è generalmente intuitiva, tanto che, in genere, non si ha difficoltà ad indicare
su quale sillaba cada l’accento.
Da un punto di vista percettivo, l’accento è senza dubbio un fenomeno di risalto, che rende
prominente una sillaba (o, più precisamente, il nucleo che la compone; 4.4.6) rispetto alle altre. A
questo proposito, è importante sottolineare che l’accento è un fenomeno relativo, non assoluto. Dire
che un accento è “principale” (qualunque sia la notazione utilizzata) significa che è l’accento più
forte all’interno di un dato “gruppo prosodico”.
Generalmente, una sillaba accentata è caratterizzata da maggiore intensità, durata e altezza rispetto
alle sillabe non accentate. Le lingue, però, differiscono riguardo all’utilizzo dei tre fattori sopra
elencati. Molte lingue li utilizzano tutti e tre, pur variando, a quanto pare, nell’importanza relativa
che viene assegnata a ciascuno di essi.
Le lingue che assegnano un’importanza fondamentale alla durata, come l’italiano, sono dette lingue
ad accento dinamico. Per le lingue che, invece, utilizzano solamente l’altezza per la determinazione
dell’accento principale (come il giapponese o il somalo) si parla di accento tonale (o, anche, di
accento musicale).
Un’altra caratteristica fondamentale dell’accento riguarda la sua posizione.
In lingue come l’italiano, in cui l’accento è tipicamente “libero” (può trovarsi, cioè, su qualsiasi
sillaba), esso viene detto distintivo in quanto la sua diversa collocazione può distinguere parole di
significato diverso, come illustrato negli esempi seguenti:
(1) mèta
~
àncora ~
princìpi ~
càpitano ~
metà
ancòra
prìncipi
capitàno
In altre lingue, invece, l’accento è collocato in maniera sistematica in una data posizione, e dunque
non può distinguere significati. E’ quello che accade, ad esempio, in francese, dove l’accento cade
sempre sull’ultima sillaba, o in polacco, dove cade sempre sulla penultima.
25
4.4.4
La lunghezza come tratto distintivo
Un’altra importante caratteristica fonetica, che può avere valore distintivo è la durata, vale a dire, la
lunghezza con cui vengono prodotti i segmenti di suono. Naturalmente, facciamo sempre
riferimento a valori relativi: un segmento è lungo o breve in relazione ai segmenti che lo
circondano, e non in senso assoluto.
Mentre la lunghezza di un segmento è una sua proprietà fonetica, se la sua funzione diventa
distintiva (i.e., ha capacità di opporre significati; 4.4.2) allora assume un valore fonologico.
In italiano, ad esempio, la lunghezza consonantica è distintiva come messo in evidenza dalle
seguenti coppie minime (la lunghezza viene generalmente indicata ponendo il simbolo “ : ” alla
destra del segmento interessato).
(1) casa [s] ~ cassa [s:]
copia [p] ~ coppia [p:]
caro [r] ~ carro [r:]
Al contrario, la durata vocalica non è pertinente in italiano, vale a dire, non è funzionale a
distinguere parole di significato diverso. Pertanto, due significanti diversi quali [casa] e [ca:sa]
corrispondono al medesimo significato.
Altre lingue, invece, assegnano ruolo distintivo alla lunghezza vocalica, come accade, ad esempio,
in inglese (esempio (2)) o in arabo (esempio (3)):
(2) ship [i] “nave” ~ sheep [i:] “pecore”
(3)
c
alam [a] “bandiera” ~ cālam [a:] “mondo”
E’ infine interessante notare che in alcune lingue, sebbene riportate graficamente, le consonanti
geminate non sono pronunciate come lunghe e dunque non hanno valore distintivo. Questa
rappresenta un’altra delle incoerenze insite nei sistemi alfabetici delle lingue naturali. La
trascrizione IPA di parole francesi come rapport e accord, ad esempio, mostra chiaramente la
pronuncia non geminata delle consonanti graficamente doppie:
(4) rapport = /8apo8/
accord = /ako8/
26
4.4.5
Tono vs. intonazione
I fenomeni di tonalità riguardano l’altezza musicale con cui le sillabe vengono pronunciate e la
curva melodica a cui la loro successione dà luogo nell’intero enunciato. In tutte le lingue i parlanti
hanno a disposizione un numero finito di altezze tonali per esprimere vari significati.
Da un punto di vista fonetico, tono e intonazione sono riconducibili allo stesso fenomeno fisico, ma
da un punto di vista fonologico la variazione nell’altezza tonale viene sfruttata per veicolare
significati di tipo diverso.
Nelle lingue accentuali (4.4.3) come l’italiano, l’intonazione distingue diverse funzioni
comunicative (come ad esempio la domanda, il dubbio, ecc.).
Nelle lingue tonali, invece, la funzione del tono è distintiva a livello della parola. In queste lingue,
dunque l’altezza relativa con cui viene pronunciata una sillaba serve a distinguere significati
lessicali o grammaticali.
Un esempio di lingua tonale è il cinese mandarino, i cui quattro toni servono a distinguere parole di
significato diverso:
(4) mā
má
mă
mà
(tono alto, costante) “madre”
(tono alto, ascendente) “lino, canapa”
(tono basso, discendente-ascendente) “cavallo”
(tono alto, discendente) “ingiuriare”
In lingue come il somalo, invece, il tono ha una funzione grammaticale, essendo utilizzato, ad
esempio, per operare distinzioni di genere, come mostrano gli esempi seguenti:
(5) ínan “ragazzo”
daméer “asino”
~
~
inán “ragazza”
dameér “asina”
Come possiamo notare, la presenza di un tono alto sulla penultima vocale caratterizza i nomi di
genere maschile, mentre la sua collocazione sull’ultima vocale è indicativa del genere femminile.
La diversa collocazione del tono può operare, in somalo, anche distinzioni di numero, come
evidenziato in (6):
(6) túug “ladro”
~
doofáar “maiale” ~
tuúg “ladri”
doofaár “maiali”
27
4.4.6
La struttura sillabica
La “sillaba” è un concetto che fa parte della grammatica tradizionale. In molti sistemi ortografici,
infatti, la divisione in sillabe è ciò che determina la regola dell’ “andare a capo” e, in alcuni sistemi
grafici, la sillaba rappresenta l’unità di base della scrittura. La centralità della sillaba nella
rappresentazione grafica della lingua è facilmente spiegata dal fatto che essa rappresenta un
elemento fonologico “naturale”, dotato di una sua realtà individuale. Una sillaba, infatti, può essere
facilmente prodotta in isolamento.
Ma cos’è concretamente una sillaba?
La sillaba può essere definita come quell'unità fonologica che consiste di almeno un “nucleo”, in
cui si concentra il massimo della sonorità. Di norma, il nucleo è costituito da una vocale, ma in
molte lingue può essere costituto anche da segmenti sonoranti; ad esempio in alcune varietà
dell’inglese, la parola bottom si compone di due sillabe, la seconda delle quali ha il suo nucleo nella
consonante nasale /m/.
Oltre al nucleo, una sillaba contiene normalmente anche elementi consonantici, che si dispongono
ai suoi lati. In particolare, la sillaba determinata dalla sequenza Consonante-Vocale (CV) è quella
considerata la meno marcata tra le lingue del mondo, quella cioè maggiormente diffusa e appresa
per prima dal bambino nello sviluppo linguistico.
La sillaba, però, non è semplicemente una sequenza di segmenti di suono: essa ha una propria
struttura interna, determinata da principi di buona formazione, che si assumono di portata
universale. La struttura della sillaba è di tipo gerarchico e centrata sul nucleo:
(1)
S(illaba)
A(ttacco)
R(ima)
N(ucleo)
C(oda)
La struttura rappresentata in (1) mette immediatamente in evidenza l’esistenza di una forte
“solidarietà” tra il Nucleo e la Coda, mentre all’attacco spetta un ruolo più “indipendente”.
Consideriamo brevemente le caratteristiche di ciascun elemento della struttura sillabica.
•
•
•
Nucleo
Coda
Attacco
28
4.5 FORME DEL PREDICATO
4.5.1
L’espressione del tempo
Come noto, gli enunciati linguistici consentono di localizzare gli eventi di cui si parla lungo una
linea temporale. Il tempo linguistico serve, appunto, a collocare gli eventi secondo l’idea di un
prima, un durante e un dopo rispetto al momento dell’enunciazione.
Nelle lingue flessive (4.1.3), le marche relative al tempo e all’aspetto appartengono tipicamente alla
morfologia verbale. Nelle lingue isolanti (4.1.3), invece, queste informazioni vengono fornite da
entità lessicali separate, come mostrato nel confronto seguente tra italiano e cinese:
(1) a.
b.
(2) a.
io parlo {1SG.PRES} con il maestro.
io parlai {1SG.PASS} con il maestro.
wŏ gēn laŏshī
io
b.
wŏ gēn laŏshī
io
shuo.
( =1a)
con maestro parlare
shuo
le
con maestro parlare
( =1b)
PERF
Nelle lingue occidentali più note, le marche morfologiche sono di norma poste come suffissi della
radice verbale. E’ tuttavia possibile che la marca temporale preceda il morfema lessicale, come nel
caso del Gungbe (lingua africana della famiglia Kwa):
(3) dàwé
uomo
ló
ná xó
ART FUT
kéké
comprare bicicletta
“L’uomo comprerà una bicicletta.”
Alcune lingue dispongono di un sistema morfologico di tempi molto ricco e distinguono tre tempi
principali: presente, passato e futuro. In italiano, ad esempio, nel modo indicativo, distinguiamo:
(4)
PRESENTE:
PASSATO:
FUTURO:
mangio, dormo, corro, ecc.
mangiai – ho mangiato, dormii – ho dormito, corsi – sono corso, ecc.
mangerò, dormirò, correrò, ecc.
Anche quando le lingue dispongono di un sistema temporale ridotto dal punto di vista morfologico,
vengono in genere realizzate almeno due opposizioni fondamentali. Così, lingue come il finlandese
realizzano morfologicamente solo l’opposizione tra tempo passato e tempo non-passato (che
esprime, in base al contesto, il presente o il futuro).
A riprova del fatto che si tratta di fenomeni tipologicamente rilevanti – e non determinati da fattori
di famiglia linguistica – facciamo notare che la stessa opposizione temporale è presente in arabo.
Al contrario, in lingue come il Gungbe viene marcato il solo tempo futuro (si veda l’esempio (3)),
quindi l’opposizione è tra futuro e non-futuro.
29
4.5.2
L’espressione dell’aspetto
L’aspetto concerne il modo in cui viene svolta l’azione espressa dal verbo.
Esso prevede due distinzioni fondamentali: perfettivo (che indica un’azione vista come compiuta)
vs. imperfettivo (che esprime un’azione non finita).
L’aspetto imperfettivo si distingue a sua volta in:
a)
b)
c)
Aspetto progressivo
Aspetto abituale
Aspetto continuo
In alcune lingue l’informazione relativa all’aspetto viene codificata per mezzo di elementi lessicali
(ad esempio, attraverso espressioni avverbiali quali spesso, all’improvviso, ripetutamente, ecc.),
mentre in altre, i verbi sono sistematicamente marcati per l’aspetto. E’ il caso del russo, dove sono
ben note coppie aspettuali come le seguenti:
(6) Ja pisal
io
pis’mo
scrivere.IMPF.PASS lettera
“Io scrivevo una lettera.”
vs. Ja napisal
io
“Io ho scritto (= ho finito di scrivere) una lettera.”
Maša
otkribala
dver’
vs. Maša
Maša
aprire.IMPF.PASS.F porta
Maša
“Maša apriva la porta.”
pis’mo
scrivere.PERF.PASS lettera
otkrila
dver’
aprire.PERF.PASS.F porta
“Maša ha aperto la porta.”
Come si può notare, i verbi russi non esprimono solamente l’informazione relativa al tempo in cui si
è svolta l’azione, ma anche la compiutezza (“perfettività”) o meno dell’azione stessa, mediante
marche morfologiche che si pongono come prefissi o come suffissi della radice verbale.
30
4.5.3
L’accordo verbale
Con il termine “accordo” ci si riferisce ad una relazione tra due o più elementi della frase, per cui
uno di questi elementi “proietta” sull’altro (o sugli altri) tutte o alcune delle sue proprietà, vale a
dire, le informazioni contenute nel suo pacchetto morfemico.
Il caso di accordo più tipico è quello tra il soggetto e il verbo. Osserviamo due lingue a confronto:
(1) a.
Les
elèves
se
rencontrent.
ART.PL
studente.3PL
RIFL.3
incontarsi.PRES.3PL
“Gli studenti si incontrano.”
b.
Maria
pročitala
knigu.
Maria.F
leggere.PASS.PERF.3SG.F
libro.SG.ACC
“Maria ha finito di leggere il libro.”
Come possiamo notare, non tutte le informazioni grammaticali vengono trasmesse nello stesso
modo nelle varie lingue. In francese l’informazione che “passa” è solo quella relativa al numero e
alla persona, mentre in russo è presente sul verbo anche il tratto relativo al genere {F} del soggetto.
In altre lingue, come lo swahili, il morfema di accordo (che segnaleremo con la glossa AGR,
dall’inglese agreement, come ormai in uso nella letteratura), compare in maniera plurima all’interno
della frase. Questo meccanismo viene mostrato nell’esempio seguente, in cui il classificatore (5.1.2)
ki (di tabu, “libro”) determina l’accordo in ogni altro elemento della frase:
(2) a-li-ki-soma
3SG-PASS-AGR-leggere
ki-le
ki-tabu
ki-refu
AGR-DIM CLASS-libro
AGR-grosso
“Egli leggeva quel grosso libro.”
All’interno della frase, dunque, le marche di accordo svolgono la funzione essenziale di esplicitare
l’organizzazione sintattica dell’enunciato, fornendo vari segnali di collegamento tra le parole che lo
compongono.
Come abbiamo visto, questo tipo di collegamento è a volte “sovrabbondante”. In alcuni casi, infatti,
la stesso tipo di informazione grammaticale viene ripetuta più volte, anche se può essere realizzata
in modo diverso. L’accordo viene, infatti, spesso considerato un fenomeno di ridondanza. Tuttavia,
a dispetto di questa sua apparente antieconomicità, l’accordo è una risorsa molto importante di cui
dispongono le lingue per diversi motivi:
a) Serve a tenere coeso l’enunciato, soprattutto in caso di costituenti discontinui, quando, cioè,
i due elementi in accordo si trovano a distanza l’uno dall’altro.
b) Serve a segnalare quali elementi dell’enunciato hanno a che fare l’uno con l’altro, vale a
dire, come meccanismo di identificazione e di coreferenza.
31
4.5.4
Il predicato nominale
Quando si parla di “predicato” si pensa immediatamente a quell’elemento della frase che esprime
un’azione, uno stato, un sentimento e che, in generale, asserisce qualcosa a proposito di qualcuno.
Tale funzione sintattica viene di norma associata alla categoria verbale.
Questa definizione, basata su criteri semantici risulta corretta in una grande quantità di casi, come,
ad esempio, nelle frasi seguenti:
(1) a.
b.
c.
Mario ascolta la musica.
Luigi dorme.
Sara sente freddo.
Anche in questo caso, tuttavia, limitare la funzione di predicato alla sola categoria verbale si
rivela inadeguato ad un esame più accurato dei dati. Consideriamo, ad esempio, frasi come:
(2) a.
b.
Luigi è (un) maestro.
Luigi è bravo.
Entrambe le frasi in (2) esprimono una predicazione, eppure questo non avviene mediante forme
verbali. In (2a), infatti, la predicazione è espressa da un elemento nominale (maestro), mentre in
(2b) abbiamo un aggettivo. Si potrebbe obiettare che, in effetti, questi elementi sono uniti al
soggetto da un “verbo”, vale a dire, essere. Tuttavia, è chiaro che il contenuto semantico della
predicazione è dato dal costituente nominale (o aggettivale), mentre la copula serve semplicemente
a fornire informazioni relative al tempo e all’accordo verbale. In altre parole, la copula sembra
avere la funzione di un morfema grammaticale (4.2.5).
Inoltre, l’analisi interlinguistica mostra che l’ausiliare essere è molto spesso assente in questo tipo
di frasi (dette a “predicato nominale”), ad esempio, in arabo e in russo:
(3) a.
b.
Ali mu‘allim.
Ali shātir
“Ali è (un) maestro.”
“Ali è bravo.”
(ARABO)
(4) a.
b.
Ivan učitel’
Ivan xoroshji
“Ivan è (un) maestro.”
“Ivan è bravo”
(RUSSO)
E’ chiaro dunque che la predicazione non è espressa da essere (che infatti può non essere presente),
bensì dall’elemento nominale che funge da predicato. Non a caso, infatti, essere è definito
tradizionalmente “copula” in queste costruzioni, ad indicare che funge solo da “collegamento” tra il
soggetto e un predicato diverso dal verbo.
Nell’esaminare categorie e funzioni è dunque fondamentale tenere sempre in considerazione la
relazione tra gli elementi di una frase, il modo in cui si organizzano e si combinano, nonché le loro
proprietà morfosintattiche.
32
4.5.5
La realizzazione della copula
In alcune lingue la copula non viene realizzata nelle frasi nominali.
Osserviamo a questo proposito le frasi seguenti, che ci consentono di mettere a confronto lingue
tipologicamente diverse quali l’italiano, l’arabo (1b) l’inglese (1c), il francese (1d) e il russo (1e):
(1) a.
b.
c.
d.
e.
Egli/lui è
Huwa
(uno) studente
talib
egli
studente
He
is
a
egli
essere.PRES.3SG
uno studente
Il
est
un étudiant
egli
essere.PRES.3SG
uno studente
On
student
egli
studente
student
Da questo confronto, sebbene limitato, notiamo che la copula non è presente nelle frasi nominali di
lingue non correlate geneticamente (arabo e russo), Dunque, tale fenomeno non può dipendere
dall’appartenenza ad una determinata famiglia linguistica, ma rappresenta un parametro tipologico.
Per capire da cosa dipenda l’attivazione di questo parametro è necessario riflettere sulle proprietà
dei predicati nominali e, in particolare, sul ruolo della copula.
Come noto, la predicazione espressa da una frase nominale è un rapporto di equatività (A = B):
(2) Lui è
studente.
Perché possa “funzionare”, questo tipo di predicazione ha dunque bisogno di due costituenti che
rechino gli stessi tratti e questi due elementi sono il soggetto e il predicato nominale. La copula, dal
canto suo, reca gli stessi tratti di persona, genere e numero che sono presenti nel soggetto.
Potremo quindi dire che nelle lingue in cui la copula non viene realizzata il rapporto di equatività si
realizza nel modo più economico possibile, mentre in lingue come l’italiano o il francese queste
informazioni sono espresse in modo ridondante sia sul soggetto che sulla copula (e infatti, in lingue
che ammettono il “Soggetto nullo” 4.7.1 come l’italiano, il soggetto può essere sottintesto).
In conclusione, la copula e il pronome appartengono a categorie diverse ma svolgono la stessa
funzione: quella di portare i tratti di persona, genere e numero necessari perché si abbia una frase
equativa.
Tuttavia la copula reca in sé anche altre informazioni, che rendono la sua presenza necessaria in
altri contesti anche in lingue come l’arabo o il russo. Consideriamo le frasi seguenti:
(2) a.
b.
Egli/lui era
Huwa kana
egli
c.
d.
e.
studente
talib
essere.PASS.3SG.M studente
He
was
a
egli
essere.PASS.3SG
uno studente
student
Il
était
un étudiant
egli
essere.PASS.3SG
uno studente
On
bil
student
egli
essere.PASS.3SG.M studente
33
Come possiamo osservare, questa volta la copula è presente in tutte e cinque le lingue esaminate e,
punto fondamentale, non può essere omessa in nessuna di esse.
Ciò che rende necessaria la copula in (2) è, come ovvio, l’informazione relativa al tempo (passato,
in questo caso), informazione tipicamente verbale, che non può essere in nessun modo veicolata dal
soggetto.
Non è dunque corretto affermare che “in alcune lingue la copula non viene realizzata”. Essa non
viene realizzata solo in alcuni casi, ma in altri deve essere presente. In particolare, possiamo
concludere che la copula può essere omessa solo quando tutte le informazioni possono essere
recuperate, ammettendo un tempo presente come tempo di default.
34
4.6 LA RELAZIONE TRA SINTASSI E PRAGMATICA
4.6.1
Il concetto di marcatezza
Abbiamo più volte accennato all’ordine “basico” o “non marcato” dei costituenti. Ma cosa significa
precisamente il termine “marcato” (e, di conseguenza, “non marcato”) in linguistica?
Tale termine fa riferimento a tre livelli di analisi diversa: fonologica, sintattica e pragmatica.
Marcatezza fonologica
Una frase è marcata dal punto di vista fonologico quando la melodia intonativa ad essa associata
non può essere rappresentata come una curva continua, ma presenta invece interruzioni, pause o
picchi intonativi.
Marcatezza sintattica
Una frase è “non marcata” dal punto di vista sintattico quando i costituenti si dispongono in base
all’ordine determinato dalla selezione argomentale del verbo. Questo è il caso che si realizza nelle
frasi “tutte nuove”, vale a dire quelle frasi che rispondono a domande quali “cosa è successo?”.
Di conseguenza, una frase si dice “marcata sintatticamente” quando i costituenti che la compongono
non occupano le loro posizioni “canoniche”, ma sono “dislocati” al fine di esprimere dei significati
particolari. Ricordiamo infatti che la realizzazione di un ordine marcato non è mai arbitrario ma
risponde a specifiche necessità pragmatiche e discorsive (4.6.4, 4.6.5). Una frase marcata
sintatticamente è generalmente caratterizzata da un’intonazione particolare. Dunque marcatezza
sintattica e fonologica sono strettamente correlate.
Strutture marcate dal punto di vista sintattico possono essere realizzate per ogni tipo di ordine
basico (4.1.3).
Marcatezza pragmatica
La marcatezza pragmatica non può essere definita in modo netto come la marcatezza sintattica e
quella fonologica, in quanto coincide con il concetto di appropriatezza: una frase non è marcata
pragmaticamente quando si adatta ad un numero molto alto di contesti e di situazioni linguistiche.
Una frase non marcata pragmaticamente è tipicamente una frase in cui l’informazione data precede
l’informazione nuova (in base al Principio della “progressione del nuovo”).
Naturalmente, l’estensione dell’informazione nuova può variare, a seconda del contesto.
Il principio della “progressione del nuovo” si applica tipicamente alle lingue VO (4.1.3).
Nelle lingue verbo-finali, invece, si possono trovare meccanismi diversi. In una lingua OV come il
tedesco, ad esempio, a seconda della distribuzione dell’informazione, l’OD e l’OI possono
scambiarsi di posizione, mentre il V rimane in posizione finale.
Infine, vi sono lingue – come il somalo – in cui l’ordine dei costituenti è irrilevante in quanto
l’elemento nuovo viene marcato da una marca lessicale e l’elemento dato può dunque essere
posizionato in qualsiasi altro punto della frase.
35
4.6.2
L’uso dei pronomi – serie libera e serie clitica
a) Pronomi liberi
L’italiano dispone di due serie di elementi pronominali: una serie libera e una serie clitica (“atona”).
I pronomi liberi portano accento indipendente (e sono perciò anche detti “tonici”) e si distinguono
in base al loro ruolo grammaticale.
Nella Tabella 1 sono riportati i pronomi liberi con il ruolo grammaticale di Soggetto:
I
io
singolare
II
tu
III
lui/lei
(egli/ella,
esso/essa)
I
noi
plurale
II
voi
III
loro
(essi/esse)
Tabella 1
Come noto, in italiano il soggetto può essere sottinteso (parametro del “Soggetto nullo”, 4.7.1). Da
ciò possiamo dedurre che l’uso di un pronome esplicito in tale funzione risponda generalmente ad
una specifica esigenza pragmatica da parte del parlante. In particolare, l’espressione esplicita del
Soggetto si rende necessaria nei seguenti contesti:
a)
b)
Quando il Soggetto rappresenta l’informazione nuova che si vuole trasmettere.
Quando il Soggetto è “focalizzato”, cioè messo in rilievo (per motivi di enfasi o contrasto):
Si noterà che, nella Tabella 1, i pronomi Soggetto di 3 persona egli/ella, esso/essa, essi/esse sono
posti tra parentesi. Questa notazione sta ad indicare il loro status di forme ormai desuete (rispetto
alle forme correnti lui, lei e loro), ormai confinate quasi esclusivamente alla lingua scritta.
Osserviamo adesso, nella Tabella 2, i pronomi liberi con ruolo grammaticale Oggetto:
I
me
singolare
II
te
III
lui/lei
I
noi
plurale
II
voi
III
loro
Tabella 2
Dal punto di vista sintattico, i pronomi liberi Oggetto si collocano nella stessa posizione in cui si
trovano i nominali pieni, vale a dire, dopo il verbo nel caso dell’Oggetto diretto e dopo la
preposizione in tutti i casi di Oggetto indiretto (o ‘obliquo’), come mostrato negli esempi seguenti:
(4) a.
b.
c.
Giovanni ha incontrato Luisa.
Marco ha regalato un libro a Luca
Marco uscirà con i suoi amici
→ Giovanni ha incontrato lei.
→ Marco ha regalato un libro a lui.
→ Marco uscirà con loro.
b) Pronomi clitici
I pronomi clitici non portano accento proprio (sono cioè “atoni”) e dunque si “appoggiano” al verbo
che li segue o li precede. Come i pronomi liberi, si distinguono in base al loro ruolo grammaticale.
Vi è dunque una serie di pronomi clitici con ruolo grammaticale Oggetto Diretto:
36
I
mi
singolare
II
ti
III
lo, la
I
ci
plurale
II
vi
III
li, le
Tabella 3
E una serie di pronomi clitici con ruolo grammaticale Oggetto Indiretto (che si differenzia dalla
precedente esclusivamente nelle terze persone):
I
mi
singolare
II
ti
III
gli, le
I
ci
Plurale
II
vi
III
gli, loro
Tabella 4
L’italiano dispone poi di altri due pronomi clitici, ci
e ne, che realizzano diversi tipi di oggetti e possono rappresentare, dunque, un’estrema difficoltà
per il discente.
La presenza di una serie di pronomi tonici sembra essere una proprietà universale delle lingue (pur
con differenze nel numero e nel tipo di referenti realizzati nelle diverse lingue).
Al contrario, la serie relativa ai pronomi clitici non è universalmente presente. Non dispongono di
clitici, ad esempio, né l’inglese né il tedesco e, nelle lingue in cui i clitici sono presenti, questi
possono avere funzioni anche molto diverse (4.6.3).
37
4.6.3
Pronomi e ruoli argomentali
I pronomi clitici non sono indipendenti e formano pertanto un costituente unico con il verbo a cui si
appoggiano. Nonostante ciò, è fondamentale sottolineare che in italiano i clitici hanno ruolo
argomentale (4.3.2): possono infatti sostituire pienamente un SN o un SP e svolgere la funzione
grammaticale definita dalla sottocategorizzazione tematica (4.3.1) del verbo.
A questo proposito, consideriamo le frasi seguenti:
(1) a.
b.
c.
d.
e.
f.
g.
*Lo vedo Giovanni spesso (OD)
*Il padre gli ha comprato a Carlo una macchina ieri (OI)
*Ci sono stato in questa città di rado (LOC)
*Ci ho fatto affidamento su Marco (LOC figurato)
*Di norma ci si mangia la minestra col cucchiaio (STRUM)
*Ne ho comprate delle sigarette (PART)
*Carlo ne è fuggito dalla prigione (LOC)
Come possiamo notare, le frasi sono tutte inaccettabili (se lette con un’intonazione non marcata,
4.6.1) e la loro agrammaticalità deriva proprio dal fatto che uno stesso argomento del verbo (OD, OI,
LOC, ecc.) è ripetuto due volte: una volta come nominale pieno e una volta come pronome clitico.
Questa prova che il clitico è di fatto “generato” come argomento del verbo e, in seguito, incorporato
alla testa verbale. Pertanto il suo ruolo non può essere “doppiato” da un altro elemento nominale.
Dunque, un nominale pieno e un clitico coreferenti non possono cooccorrere in una frase (in un
contorno intonativo fonologicamente non marcato, vale a dire, in assenza di pause.
Un'altra prova che rende in modo evidente lo spostamento dei clitici da posizione argomentale ci
viene offerta dal “test della domanda”. E’ infatti inaccettabile “doppiare” con un clitico l’elemento–
wh di una domanda (anch’esso parte della selezione del verbo):
(2) a.
b.
*Che cosa la stai scrivendo?
*Chi l’hai visto?
Queste frasi dimostrano che il clitico svolge la stessa funzione dell’elemento–wh (entrambi OD,
negli esempi proposti). La loro co-presenza fa sì che uno stesso argomento del verbo sia realizzato
due volte e questo, naturalmente, è inaccettabile.
E’ importante tenere conto del fatto che l’argomentalità dei clitici non è un fatto interlinguistico. In
alcune lingue infatti (come, ad esempio, in albanese), il clitico non ha ruolo argomentale e viene
dunque normalmente realizzato insieme ad un nominale pieno. Frasi come quelle riportate in (2)
sarebbero dunque perfettamente grammaticali per un parlante albanese, rumeno o spagnolo.
38
4.6.4
Focalizzazione
La Focalizzazione è una costruzione marcata che serve a “mettere in risalto” il costituente nuovo
e/o contrastivo della frase.
Come sappiamo, nelle frasi non marcate, l’informazione nuova è rappresentata dalla predicazione
nella sua interezza. Nelle frasi in cui è presente una Focalizzazione ristretta, invece, soltanto una
parte della struttura predicativa è segnalata come informazione nuova. Una frase in cui sia presente
una Focalizzazione ristretta (anche detta, semplicemente, Focus) rappresenta pertanto:
a) una risposta appropriata a una domanda-wh (vale a dire, una domanda introdotta da un
pronome o un avverbio interrogativo come, ad esempio, “Che cosa hai mangiato?”, “Chi è
venuto?”, “Dove vai?”, Come stai, ecc.), oppure
b) un’affermazione in cui viene negata una presupposizione presente nel contesto precedente
(ad esempio: “E’ arrivato GIANNI (… e non Luigi)”, ecc.).
Consideriamo ad esempio le frasi seguenti (il Focus è indicato in lettere maiuscole):
(3) a.
b.
c.
PIERO ha regalato una collana a Maria.
Piero ha regalato UNA COLLANA, a Maria.
Piero ha regalato una collana A MARIA.
La frase (a) è una risposta appropriata alla domanda “Chi ha regalato una collana a Maria?”, la
frase (b) alla domanda “Che cosa ha regalato Piero a Maria?” e la frase (c) alla domanda “A chi ha
regalato una collana Piero?”. Ugualmente, con la frase (a) si può negare il fatto che “MARIO ha
regalato una collana a Maria”, con la frase (b) che si sia regalato UN ANELLO e con la frase (c)
che il destinatario del dono sia LUISA.
La realizzazione del Focus è caratterizzata da alcune specifiche proprietà sintattiche. Tra la più
importanti ricordiamo:
• Unicità: un solo costituente può assumere lo status di Focus della frase. La focalizzazione di più
costituenti dà quindi luogo a frasi agrammaticali:
(4) a.
b.
c.
* A MARIA, QUESTO LIBRO devi dare.
* MIO FIGLIO, UNA POESIA ha scritto.
*Posso offrire solo UN LAVORO, A LUIGI.
• Mancanza di ripresa pronominale clitica: il Focus non può mai essere coindicizzato con un
pronome all’interno della frase:
(5) a.
b.
Che cosa hai comprato?
* L’ho comprato IL TUO LIBRO.
Hai parlato a Marco?
*No, a LUIGI gli ho parlato.
Questa restrizione è una diretta conseguenza del ruolo argomentale (4.3.2) che spetta sia al Focus
che ai pronomi clitici (4.6.3). L’impossibilità di realizzare un pronome clitico coreferente con un
Focus deriva dunque dal fatto che lo stesso ruolo argomentale verrebbe ad essere realizzato due
volte.
39
E’ importante sottolineare che, dal punto di vista interlinguistico, la realizzazione del Focus
presenta caratteristiche e proprietà morfosintattiche anche molto differenziate.
40
4.6.5
Topicalizzazione
Una frase non marcata è tipicamente una frase in cui l’informazione data precede l’informazione
nuova. Poiché l’italiano è una lingua SVO, quando il costituente dato è il Soggetto (un caso molto
frequente), non marcatezza sintattica e non marcatezza pragmatica (4.6.1) coincidono.
Tuttavia, possono presentarsi dei contesti in cui l’elemento dato non è il Soggetto, ma uno qualsiasi
dei costituenti della frase (argomentali o non argomentali). Se vogliamo mantenere un ordine
naturale di “progressione del nuovo” avremo, dunque, bisogno di una costruzione marcata
sintatticamente che ci permetta di realizzare il costituente dato “in prima posizione”. Questa
costruzione si chiama Topicalizzazione a sinistra:
(1) Piero, non lo vedo più da tanto tempo.
A Mario, non credo che gli dirò niente.
La Topicalizzazione è una costruzione marcata dal punto di vista sintattico perché i complementi
topicalizzati non sono realizzati nella posizione determinata dalla struttura argomentale del verbo ed
è marcata dal punto di vista fonologico perché l’elemento topicalizzato è separato dal resto della
frase da una breve pausa. Da punto di vista pragmatico, infine, il Topic a sinistra rappresenta
generalmente l’argomento della predicazione, vale a dire, un elemento posto come tema della
predicazione che segue.
Anche il Topic è caratterizzato da alcune specifiche proprietà sintattiche, che lo differenziano in
modo importante dal Focus (4.6.4). In particolare:
•
il Topic viene di norma ripreso da un pronome clitico all’interno della frase che indica il suo
ruolo grammaticale;
In particolare, quando il Topic è un Oggetto Diretto, la sua ripresa pronominale clitica all’interno
della frase è obbligatoria (anche nello scritto).
La ripresa del clitico è invece facoltativa per l’Oggetto Indiretto e per tutti gli Oggetti obliqui:
(5) a.
b.
c.
d.
e.
f.
g.
•
A Maria, Piero (le) ha regalato una collana.
In America, Maria (ci) andrà l’anno prossimo.
Su Marco, (ci) faccio affidamento spesso.
Col cucchiaio, (ci) si mangia la minestra.
Dalla prigione, Carlo (ne) è fuggito.
Di Giorgio, non (ne) parlo più.
Del tuo libro (ne) ho letto solo le prime pagine.
Altra caratteristica fondamentale del Topic è la sua molteplicità: non c’è limite, infatti, al
numero di Topic che possono essere realizzati in una frase (se non quelli imposti dalla
memoria).
(6) a.
b.
Di quella storia, a Luigi, in biblioteca, non gliene ho mai parlato.
A Sara, la lettera, sul tavolo, gliel’ha lasciata Luigi.
Il Topic può essere realizzato anche sul lato destro della frase. In questo caso parleremo di
Topicalizzazione a destra:
(7) Mario lo compra tutte le mattine, il giornale.
41
Dal punto di vista sintattico, il Topic a destra presenta le stesse caratteristiche del Topic a sinistra.
Dal punto di vista pragmatico, invece, il Topic a destra non ha le stesse funzioni del Topic a sinistra.
Il Topic a destra, infatti, non introduce mai l’argomento del discorso. Al contrario, si tratta di un
elemento dato che è già stato introdotto in precedenza nella conversazione (oppure è dato nel
contesto extralinguistico) e che viene riproposto alla fine della frase come una sorta di promemoria,
al fine di rammentarlo all’interlocutore e tenere fermo il punto della conversazione.
Come per il Focus (4.6.4), anche la realizzazione del Topic presenta alcune interessanti variazioni
interlinguistiche.
42
4.7 RAPPORTI TRA LIVELLI DI ANALISI
4.7.1
Soggetto nullo e flessione ricca
Come noto, in italiano il Soggetto può essere sottinteso, vale a dire, non realizzato in modo esplicito
nella frase. L’informazione relativa al Soggetto è comunque presente in quanto espressa
nell’accordo verbale (4.5.3).
Questa possibilità di omettere la menzione esplicita del Soggetto grammaticale rappresenta una
proprietà specifica di alcune lingue del mondo, che vengono definite lingue a “Soggetto nullo”.
L’italiano, ad esempio, è una lingua a Soggetto nullo, mentre numerose altre lingue –
indipendentemente dalla famiglia linguistica di appartenenza – non ammettono questa opzione.
Osserviamo le frasi seguenti e consideriamo la diversa possibilità di omettere il soggetto:
(1) a.
b.
c.
d.
(Lui)
(Huwa)
He
(On)
ha scritto
kataba
wrote
napisal
Come possiamo vedere, l’omissione del soggetto è ammessa in italiano, in arabo e in russo, ma non
in inglese.
Da quale principio sottostante dipende l’attivazione di questo parametro?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo ragionare, ancora una volta, in termini di categorie e
funzioni e, in particolare, soffermarci sulla nozione di “soggetto”.
Come sappiamo (4.3.4), sulla base di criteri morfosintattici e distribuzionali il soggetto può essere
definito come “il costituente che determina l’accordo con il soggetto”.
Dire che “il predicato si accorda con il soggetto”, equivale a dire che questi due elementi
condividono dei “tratti” relativi alla persona, al genere e al numero. Esaminiamo dunque l’accordo
del predicato verbale nelle quattro lingue esaminate:
ITALIANO
PERSONA
NUMERO
GENERE
ARABO
RUSSO
PERSONA
NUMERO
GENERE
INGLESE
PERSONA
NUMERO
GENERE
lui
3
singolare
maschile
scriveva
3
singolare
∅
huwa
on
3
singolare
maschile
kataba
napisal
3
singolare
maschile
he
3
singolare
maschile
wrote
∅
∅
∅
Come possiamo notare, in italiano, in arabo e in russo i tratti di persona e genere sono forniti “due
volte”: una volta nel soggetto e una volta nel verbo. Non solo: in arabo e in russo il verbo reca
43
anche l’informazione relativa al genere del soggetto, che dunque viene anch’essa ripetuta due volte
nella frase. I tratti grammaticali di accordo in italiano, arabo e russo sono dunque ridondanti.
In inglese, invece, tutte le informazioni sono fornite una sola volta e, precisamente, dal solo
costituente soggetto.
Da questa semplice riflessione sui dati possiamo arrivare alla conclusione che il parametro del
Soggetto nullo agisce in base ad un principio universale di “recuperabilità dell’informazione”.
In altre parole, il Soggetto nullo è generalmente ammesso in quelle lingue in cui le informazioni
relative ai tratti del soggetto sono ridondanti, sono cioè presenti sul verbo, per cui non c’è bisogno
di ripeterle con un soggetto esplicito.
44
4.7.2
Definitezza e progressione del nuovo
L’articolo è un elemento che, in molte lingue, accompagna e modifica il nome. L’articolo può avere
diverse funzioni – tra cui quella di conferire al nome che accompagna il tratto di “definitezza” – ed
assume forme diverse nelle varie lingue, a seconda del tipo di accordo cui è soggetto.
In italiano, ad esempio, abbiamo due tipi di articoli – determinativo e indeterminativo – e questi
articoli si accordano obbligatoriamente in base al genere del nome cui si riferiscono. In altre lingue,
invece, gli articoli rimangono invariati. Questo non avviene soltanto in lingue prive di genere
grammaticale (come l’inglese), ma anche in lingue come l’arabo in cui, al contrario, il genere esiste
e determina l’accordo in altri casi (ad esempio, con il verbo o con l’aggettivo). In queste lingue,
dunque, l’articolo non presenta nessuna forma di accordo:
(1) a.
the boy
al-walad
“il ragazzo”
b.
a’. the boys
al-’awlād
“i ragazzi”
the girl
al-bint
“la ragazza”
b’. the girls
al-banāt
“le ragazze”
Molte lingue non presentano l’opposizione determinativo vs. indeterminativo, ma dispongono di
una sola serie di articoli. In questo caso, il tipo di articolo normalmente presente è quello
determinativo, mentre l’indefinitezza viene segnalata dall’assenza di articolo. E’ quello che accade,
ad esempio, in arabo e in somalo (lingua in cui l’articolo si pone come suffisso del nome):
(2) al-bayt =
∅ bayt =
la casa
una casa
(3) ninka
nin∅
l’uomo
un uomo
=
=
In alcune lingue, infine, gli articoli non sono affatto presenti. In tutte le lingue slave, ad esempio
(tranne bulgaro e macedone), non esiste la categoria dell'articolo.
Come è possibile trasmettere in queste lingue il significato relativo alla definitezza di un nominale?
Poiché un elemento definito rappresenta tipicamente informazione data, in base al principio della
“progressione del nuovo” (4.6.1) l’informazione relativa alla definitezza può avvalersi dei mezzi
forniti dalla sintassi ed essere veicolato in base a variazioni nell’ordine dei costituenti.
In polacco, ad esempio, un nome con funzione di soggetto posto prima del verbo è interpretato
come definito, mentre in posizione finale di frase indica un referente nuovo e, dunque, indefinito:
43) a.
Kobieta weszla
do pokoju.
donna
in stanza
è-entrata
“La donna è entrata nella stanza.”
b.
Weszla do pokoju
kobieta.
è-entrata
donna
in stanza
“Una donna è entrata nella stanza.”
45
4.7.3
L’espressione del possesso
La lingua italiana dispone di diversi mezzi linguistici per esprimere il possesso, tra cui:
a) elementi possessivi;
b) verbo avere;
c) pronomi clitici obliqui (il cosiddetto “dativo etico”).
Dunque, tre diverse costruzioni grammaticali possono svolgere la stessa funzione, tuttavia con
modalità e restrizioni differenti. Quali parlanti della lingua italiana, siamo pienamente consapevoli
del funzionamento di tali costruzioni e delle proprietà dei singoli elementi? Crediamo che tutte le
lingue dispongano di questi stessi mezzi per esprimere il possesso? E, se no, sapremmo riflettere
sull’espressione del possesso in prospettiva interlinguistica?
Per rispondere a queste domande, prendiamo in esame i mezzi di cui dispone l’italiano e cerchiamo
di metterli a confronto con altre lingue – in particolare con l’arabo e l’inglese, che offrono un
interessante terreno di confronto e analisi.
a) Gli elementi possessivi
Quando ci riferiamo a modificatori nominali quali mio, tuo, suo, nostro, vostro e loro usiamo di
norma il termine di “aggettivi possessivi”:
(1) a.
b.
c.
Il mio libro.
La tua penna.
I nostri amici.
ecc.
La tradizione grammaticale italiana attribuisce dunque questi elementi alla categoria degli aggettivi.
Ma si tratta davvero di aggettivi? Potremmo, ad esempio, equiparare questi elementi a costituenti
quali gli aggettivi qualificativi? E se no, di che tipo di aggettivi si tratta?
Riflettiamo, come sempre, in termini di categorie e funzioni (4.2.4) ed esaminiamo le proprietà
morfosintattiche e distribuzionali di questi elementi.
a) Dal punto di vista morfologico, l’aggettivo è un elemento che modifica il nome e, in lingue
come l’italiano, si accorda con esso. Da questo punto di vista i possessivi sono senza ombra
di dubbio degli aggettivi:
b) Dal punto di vista sintattico e distribuzionale, tuttavia, i possessivi mostrano una
caratteristica peculiare rispetto agli altri aggettivi della lingua italiana.
Se consideriamo, infatti, la posizione “naturale” degli elementi possessivi, vediamo che questi
elementi precedono tipicamente il nome che modificano.
La posizione non marcata degli aggettivi è invece, postnominale, in cui assumono una funzione
“restrittiva”. Un aggettivo in posizione prenominale assume, invece, una funzione “connotativa”:
esso fa cioè riferimento ad una caratteristica intrinseca dell’oggetto o esprime un nostro giudizio.
Dal momento che gli elementi possessivi si trovano tipicamente prima del nome cui si riferiscono,
questo indica che il loro significato non marcato è quello di una connotazione (e non di una
restrizione). Il possesso viene quindi considerato una sorta di caratteristica inerente dell’oggetto in
esame.
Mettiamo a confronto due lingue tipologicamente diverse come l’italiano e l’arabo e riflettiamo.
In arabo quelli che vengono definiti “aggettivi possessivi” sono in realtà degli affissi posti alla
destra del nome.
46
Ma noi possiamo fare di più: possiamo dire perché questo si verifica in arabo (e non in italiano).
L’analisi morfologica mostra, infatti, chiaramente che tali elementi non sono in realtà degli
aggettivi. Osserviamo il confronto seguente:
(7)
la tua casa
ti ho visto
baytuka
shuftuka
il suo libro
kitābuhu
vicina a lui
qariba minhu
il mio albergo
hai mangiato con me
funduqii
‘akalti ma’ii
Dalla nostra analisi è legittimo arrivare alla conclusione che in arabo non esistono “aggettivi
possessivi” ma solamente pronomi personali oggetto e che la loro funzione è determinata
esclusivamente da criteri distribuzionali.
b) Verbo avere
Il possesso in italiano può essere anche espresso mediante il verbo avere, in frasi quali:
(8) a.
b.
Io ho un libro.
Luigi ha due fratelli.
L’arabo non ha un verbo corrispondente.
In che modo si potrà dunque esprimere una predicazione relativa al possesso?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo far riferimento al concetto di valenza (4.3.1) e riflettere
sulle sue possibili realizzazioni.
La domanda è, dunque: qual è la selezione argomentale di un verbo come avere?
In altre parole, nelle frasi italiane in (8), gli oggetti sintattici (un libro e due fratelli) sono
sicuramente dei PAZIENTI dal punto di vista semantico. Ma qual è il ruolo tematico dei soggetti (io e
Luigi)?
Il soggetto sintattico del verbo avere è un LOCATIVO: colui che possiede una cosa è infatti solo il
“luogo” (figurato) presso cui quella cosa si trova.
Non avendo il verbo avere, dunque, l’arabo realizza il ruolo semantico del possessore in maniera
“diretta”, vale a dire, come un “complemento di luogo figurato”.
La riflessione sui ruoli argomentali consente, dunque, di capire le ragioni che sottendono all’uso di
certe costruzioni sintattiche e di notare interessanti correlazioni tra le lingue del mondo.
c) Pronomi clitici obliqui (“dativo etico”)
Osserviamo, infine, le frasi seguenti e riflettiamo sul ruolo del pronome clitico in neretto:
(12) a.
b.
c.
d.
Si è rotta un braccio.
Gli taglio i capelli.
Ti fa male la testa.
Mi si sposa il fratello, domani!
47
Qual è il ruolo argomentale di questi elementi pronominali?
I pronomi clitici negli esempi in (12) non indicano tanto un preciso ruolo argomentale, quanto una
relazione di possesso tra il referente indicato dal clitico e l’altro elemento nominale presente nella
frase (che rappresenta la cosa posseduta).
Questa particolare espressione del possesso – che si avvale di pronomi oggetto indiretto – prende il
nome di DATIVO ETICO ed è una costruzione molto frequente nella lingua italiana e, in generale,
nelle lingue romanze.
La lingua araba (così come molte altre lingue del mondo, tra cui l’inglese) non dispone di questo
tipo di costruzione. Dunque, poiché il dativo esprime un possesso, di quale mezzo si avvarrà una
priva di dativo etico per esprimere frasi come quelle in (12)?
Si avvarrà di elementi possessivi, come mostrato negli esempi seguenti (che traducono in arabo e in
inglese le frasi italiane in (12)):
(14) inkasara dhira’uhā
ha rotto
She broke her arm.
braccio.LEI
qasastu
shacarahu
I cut his hair.
ho tagliato capelli.LUI
yawjacta ra’asuka
hai male
testa.TE
sa-yatazawwaju ’akhū
si sposa
Your head aches.
ghadan
My brother will get married tomorrow.
fratello.ME domani
48
Joseph H. Greenberg (1966), Some universals of grammar, with special reference to the order of
meaningful elements, in Universals of Language, a cura di J. H. Greenberg, 73-113, Cambridge,
Mass.
Torna al paragrafo 4.1.1
49
Esempi
Qui e nel resto del modulo riporteremo molti esempi, tratti da lingue diverse, al fine di illustrare i
vari concetti che tratteremo. Riteniamo utile, quindi, fornire la lista delle abbreviazioni riportate
nelle glosse (5.3.3) che, nella maggioranza dei casi, accompagnano le traduzioni.
ABL
ACC
AGR
ART
ASS
AUX
CL
DAT
DIM
ERG
F
FUT
GEN
IMPF
IND
M
NOM
PART
PASS
PASSIV
PERF
PL
PP
POSS
PRES
PROG
RIFL
SG
TOP
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
caso ablativo
accusativo
agreement (=accordo)
articolo
caso assolutivo
ausiliare
clitico
dativo
dimostrativo
caso ergativo
femminile
futuro
genitivo
aspetto imperfettivo (“azione non conclusa”)
indicativo
maschile
nominativo
particella
passato
passivo
aspetto perfettivo (“azione conclusa”)
plurale
participio passato
possessivo
presente
progressivo
riflessivo
singolare
topic
Torna al paragrafo 4.1.3
50
Nelle lingue isolanti la morfologia è assente (o estremamente ridotta) e dunque il rapporto tra
morfemi (0.3.5.2) e parole (0.3.5.3) (detto anche “indice di sintesi”) è 1:1. Data la mancanza di
informazioni morfematiche (circa il numero, la persona, il tempo, ecc.), i valori semantici sono
totalmente affidati al lessico. Pertanto, se volessimo porre al passato una frase come quella riportata
nell’esempio (1), dovremmo aggiungere un avverbio di tempo (quale zuo ye “ieri notte”). Per
quanto riguarda le relazioni grammaticali, queste sono interamente affidate alla sintassi (ordine
rigido dei costituenti). Tra le lingue isolanti: vietnamita, thailandese e hawaiiano.
Torna al paragrafo 4.1.3
51
Nelle lingue agglutinanti, le parole hanno una struttura complessa, formata dalla sequenza ordinata
di più morfemi, dai confini ben delineati, ognuno dei quali è portatore di una sola informazione
grammaticale. Le parole si presentano quindi come stringhe di morfemi, anche molto lunghe. Tra le
lingue agglutinanti: turco, basco, ungherese e swahili.
Torna al paragrafo 4.1.3
52
Nelle lingue flessive, la parola è formata da una radice lessicale (più o meno modificabile), alla
quale si aggiungono affissi che realizzano in uno o più morfemi diverse informazioni o funzioni
grammaticali. Le parole si presentano, dunque, meno complesse rispetto alle lingue agglutinanti ma,
per converso, la loro articolazione interna è meno trasparente. Ciò rende a volte molto difficile la
scomposizione in “segmenti di significato”. Sono lingue flessive l’arabo, il somalo, l’ebraico e, in
genere, tutte le lingue indoeuropee.
Torna al paragrafo 4.1.3
53
Nelle lingue polisintetiche, infine, la parola appare notevolmente complessa poiché formata da un
numero elevato di morfemi la cui combinazione può dare luogo a variazioni nella loro forma
superficiale. Oltre a ciò, la caratteristica peculiare di queste lingue consiste nel fatto che in una
stessa parola possono comparire anche due o più radici lessicali. Queste lingue tendono dunque a
realizzare nella parola ciò che in lingue flessive o agglutinanti rappresenterebbe un’intera frase.
Oltre al groenlandese, sono incorporanti il mohawk e molte lingue amerindiane.
Torna al paragrafo 4.1.3
54
SVO, SOV, VSO
Se ci soffermiamo ad analizzare il fattore comune ai tre tipi sintattici più diffusi, è facile arrivare
alla conclusione che le lingue “preferiscono” realizzare il Soggetto prima dell’Oggetto. Tale
precedenza viene fatta derivare da una generale coincidenza tra Soggetto e “tema” (informazione
data posta come “punto di partenza” dell’enunciato). Quest’ultimo, infatti, nell’ordine naturale
precede ogni altro contenuto informativo.
Torna al paragrafo 4.1.3
55
A⊃B
Questa formulazione indica che la proprietà A, in una data lingua, è necessariamente associata alla
proprietà B. Dunque non potrà darsi la possibilità che A si presenti, senza che sia presente anche B.
Delle quattro opzioni logicamente possibili, tre sole sono attestate nelle lingue del mondo, mentre
una rappresenta l’opzione che nelle lingue del mondo non è attestata (preceduta dall’asterisco):
a) A & B
b) ~A & ~B
c) ~A & B
d) *A & ~B
Questo consente di fare predizioni importanti sulla struttura delle lingue e, soprattutto, di escludere
alcune opzioni teoricamente possibili.
Torna al paragrafo 4.1.5
56
Ambiguità
Si consideri, ad esempio, la frase seguente:
(1) Luigi ha investito la ragazza con la bicicletta.
Questa frase è ambigua in quanto consente una duplice interpretazione; essa infatti può voler dire
sia che Luigi ha investito una ragazza che andava in bicicletta, sia che Luigi aveva la bicicletta e ha
investito la ragazza. Quest’ambiguità, che non è ovviamente determinata dal significato delle
singole parole, è un chiaro caso di ambiguità strutturale.
Torna al paragrafo 4.2.1
57
Movimento
Consideriamo ad esempio le frasi seguenti:
(2) a.
b.
c.
d.
e.
La mia amica andrà a Parigi con il treno domani.
Domani, la mia amica andrà con il treno a Parigi.
Con il treno andrà a Parigi, la mia amica, domani.
Andrà a Parigi con il treno, domani, la mia amica.
A Parigi andrà con il treno, la mia amica, domani.
Come possiamo notare, i gruppi di parole [la mia amica], [andrà] [a Parigi], [con il treno] e
[domani] dimostrano di essere dei costituenti in quanto ammettono di essere “spostati” dalla loro
posizione più “naturale” (vale a dire, quella nella frase (a)) e collocati in un altro punto della frase
(pur con i dovuti cambiamenti intonativi, rappresentati graficamente dalle virgole; 4.6.1). Questo
non può avvenire per altri raggruppamenti:
(3) a.
b.
c.
*La mia andrà a Parigi amica con il treno domani.
*La mia amica con il andrà a Parigi treno domani.
*La mia amica andrà a con il treno Parigi domani.
Torna al paragrafo 4.2.1
58
Enunciabilità in isolamento
Consideriamo a questo proposito i seguenti scambi domanda-risposta:
(4) Chi è arrivato?
a. E’ arrivata la mia amica
b. La mia amica
c. *La mia.
d. *Amica
Torna al paragrafo 4.2.1
59
Coordinabilità
Questo test può essere facilmente illustrato mediante contrasti come i seguenti:
(5) a.
b.
Ho visto Luigi e Mario in biblioteca.
*Ho visto Luigi e in biblioteca
(6) a.
b.
Maria è andata a Parigi e a Londra con l’aereo.
*Maria è tornata a Parigi e con l’aereo.
Torna al paragrafo 4.2.1
60
Sostituibilità
Come chiaramente mostrato dagli esempi seguenti:
(7) a.
b.
c.
La mia amica andrà a Parigi domani.
Lei andrà a Parigi domani.
Lei ci andrà domani.
(8) a.
b.
c.
Ho dato un libro a Luigi.
L’ho dato a Luigi.
Gliel’ho dato.
Torna al paragrafo 4.2.1
61
Sintagma verbale
(1) a. [dormo].
b.
[mangio un panino].
c.
[ho dato un libro a Marco].
Torna al paragrafo 4.2.2
62
Sintagma nominale
(2) a. [il libro ] è bello.
b.
Ho comprato [un libro nuovo].
c.
Questo è [il mio libro].
d.
Questo è [il libro che ho dato a Marco].
Torna al paragrafo 4.2.2
63
Sintagma preposizionale
(3) a. Marco è [all’università]
b.
Sono andato [al cinema] [con i miei amici]
c.
Sono arrivato [da Roma] [con la macchina]
Torna al paragrafo 4.2.2
64
Sintagma aggettivale
(4) a. Questo è un compito [difficile]
b.
Ho letto un libro [molto bello].
Torna al paragrafo 4.2.2
65
Correlazione
Quando una lingua realizza il verbo prima dell’oggetto (lingua VO), allora il nome precede
i suoi modificatori nel SN e la preposizione precede il costituente nominale nel SP.
In questo caso la LINGUA viene detta TESTA-INIZIALE.
Quando una lingua realizza l’oggetto prima del verbo (lingua OV), allora il nome segue i
suoi modificatori nel SN e la preposizione segue il costituente nominale nel SP.
In questo caso la LINGUA viene detta TESTA-FINALE.
Torna al paragrafo 4.2.2
66
Nome
(1) a.
b.
Il mio amico più caro abita a Firenze.
*Il mio simpatico / per / molto più caro abita a Firenze.
(2) a.
b.
Il ragazzo che sta parlando si chiama Luigi.
*Il simpatico / per / molto che sta parlando si chiama Luigi.
Torna al paragrafo 4.2.3
67
Verbo
(3) a.
b.
Quel ragazzo ha dato un libro a Maria.
*Quel ragazzo regalo / caro / per / volentieri un libro a Maria.
(4) a.
b.
Luigi va spesso all’estero per lavoro.
*Luigi va caro / treno / per all’estero per lavoro.
Come possiamo notare, in una lingua SVO (4.1.3) come l’italiano, solamente il verbo può essere
posto tra il soggetto e l’oggetto diretto (frase (3a-b)). La frase (4b) mostra, invece, che aggettivi,
nomi e preposizioni non possono modificare in alcun modo l’azione espressa dal verbo.
Torna al paragrafo 4.2.3
68
Avverbio
(5) a. Mi sono molto divertito.
b. *Mi sono per/ grande/ divertito.
Torna al paragrafo 4.2.3
69
Aggettivo
(6) a. Luigi è davvero un ragazzo simpatico.
b. *Luigi è davvero un ragazzo simpaticamente / volentieri / in.
(7) a.
b.
Luigi è davvero un ragazzo molto simpatico.
*Luigi è davvero un ragazzo caro / in / amico simpatico.
Torna al paragrafo 4.2.3
70
Preposizioni
(8) a. Questo regalo è per mio fratello.
b. Sono andata a Berlino.
c. Questo libro è di Luigi.
Nelle lingue riscontriamo in genere un numero limitato di elementi che vengono inclusi a pieno
titolo all’interno di questa categoria. E’ il caso di di, a, da, in, con, su per, tra, fra in italiano e dei
loro corrispondenti in altre lingue occidentali (quali l’inglese, il francese o il tedesco).
Esistono, però, diverse parole dallo status categoriale meno nitidamente definito, parole per così
dire “a metà strada” tra preposizione e avverbio quali, ad esempio, meno, fino, dentro o dopo.
Trattandosi di parole-funzione, stabilire una classificazione univoca di queste parole in base a criteri
semantici rappresenta un’operazione spinosa e, soprattutto, estremamente controversa.
Torna al paragrafo 4.2.3
71
Definizione delle categorie
Considerate le frasi seguenti:
(9) a.
b.
c.
d.
Questo sistema mi soddisfa meno; è meno efficiente del precedente.
Erano tutti qui meno il tuo amico.
Ho impiegato meno tempo di quanto pensassi.
Questo è il meno che io possa fare.
In queste frasi troviamo la parola meno in ben quattro diversi contesti, e saranno proprio questi
contesti a dirci a quale categoria appartiene quella particolare occorrenza di meno.
Nella frase (9a) meno modifica un verbo (soddisfa) e un aggettivo (efficiente) e, come sappiamo,
questi sono i contesti in cui possono trovarsi gli avverbi.
Nella frase (9b), invece, meno è seguito da un costituente nominale (il tuo amico).Qualsiasi altro
elemento renderebbe la frase agrammaticale e questo contesto sintattico è tipicamente quello in cui
si trovano le preposizioni).
Nella frase (9c) meno accompagna e qualifica un nome (tempo) e queste proprietà formali ci dicono,
dunque, che tale parola rappresenta un aggettivo, in questo contesto.
Infine, nella frase (9d) la parola meno è preceduta da un determinante (l’articolo il) e da una frase
relativa (che io possa fare). Non vi è dubbio, quindi, che in questo caso la sua categoria di
appartenenza è quella del nome.
Torna al paragrafo 4.2.3
72
Segnali morfosintattici e distribuzionali
Di fronte a frasi come quelle in (1), dunque, non avremo problemi ad affermare che andare e venire
in (1a) sono due nomi (o, se vogliamo, due “nominalizzazioni”), che dopo in (1b) è un avverbio (e
non una preposizione, giacché nessun nome lo segue) e che, infine, sbarra in (1c) è un verbo:
(1) a.
b.
c.
Questo andare e venire non mi piace.
Verrò dopo a casa tua.
Un antico cancello sbarra l’entrata.
Torna al paragrafo 4.2.4
73
Accordo con il verbo
In una lingua priva di flessione, invece, il soggetto sarà sempre definito in maniera univoca dalla
sua posizione rispetto al verbo. In lingue come l’inglese (in cui la flessione è estremamente ridotta)
o in lingue isolanti (4.1.3) come il cinese, infatti, il soggetto è il costituente nominale che precede il
verbo:
(5) a.
b.
You dance very well. “Tu balli molto bene.”
*Dance you very well.
(6) a.
b.
Wŏ gēn laŏshī shuo le. “Io ho parlato con il maestro.”
*Gēn laŏshī shuo le wŏ.
Torna al paragrafo 4.2.4
74
radici composte di segmenti di significato
“scrivere
(1) k – a – t – a – b – a
“(lui) scrisse”
{3 PERS SING}
“scrivere”
(2) k – ī – t – a – b
“libro”
{NOME MASC SING}
“scrivere”
(3) k – u – t – u – b
“libri”
{NOME MASC PLUR}
“scrivere”
(4) ma – k – t – a – b
“libreria/biblioteca”
{NOME DI LUOGO MASC SING}
Come possiamo notare, ognuna delle parole sopra indicate è formata da un gruppo consonantico
(precisamente, k-t-b), la cui sequenza è variamente intercalata da elementi vocalici (o sillabici).
Il gruppo consonantico degli esempi (1)-(4) è una radice, associata ad un significato ben
preciso, vale a dire, quello di “scrivere”. Tali consonanti formano dunque il morfema (o radice)
lessicale della parola: quella parte, cioè, che ne fornisce il significato lessicale, rapportando il
significante ad un’entità extralinguistica che è parte delle nostre conoscenze enciclopediche e non
appartiene ad alcuna categoria grammaticale. Una volta riconosciuta la radice k-t-b sapremo subito,
dunque, che la parola che la contiene è associata ad un significato relativo all’azione di “scrivere”.
Tale significato viene quindi associato ad informazioni relative alla categoria grammaticale (nome,
verbo, ecc.), al genere, al numero, alla persona, al tempo e all’accordo verbale. Queste informazioni
sono contenute nei morfemi grammaticali che vengono ad unirsi a quello lessicale.
Questo significa che, una volta identificata l’associazione tra forma e significato, i vari
morfemi potranno essere utilizzati nella composizione di parole diverse, mantenendone costante il
significato. Naturalmente, si può prevedere che ci siano sottogruppi di radici che si associano con
morfemi grammaticali che, pur avendo lo stesso significato, hanno forma diversa.
Torna al paragrafo 4.2.5
75
Indagine interlinguistica
Consideriamo ad esempio una parola come water in inglese: a quale categoria appartiene?
Probabilmente saremmo portati a rispondere che si tratta di un “nome”, ma quest’assegnazione è
dovuta semplicemente alla sua maggiore frequenza in contesti nominali (per cui water è
prototipicamente un nome). Tuttavia, se osserviamo frasi come le seguenti ci rendiamo
immediatamente conto che la parola water è una radice lessicale relativa al “concetto di acqua”, la
cui assegnazione categoriale dipende esclusivamente dal contesto sintattico:
(5) a.
The waters of the river flow out into the sea.
“Le acque del fiume si riversano nel mare.”
(NOME)
b.
It is important to water the flowers every day. (VERBO)
“E’ importante annaffiare i fiori ogni giorno.”
c.
This is a water proof material.
(NOME MODIFICATORE)
“Questo è un materiale resistente all’acqua.”
Allo stesso modo, analizzando i dati del cinese potremo notare che una parola come wŏ è una radice
lessicale che indica “ciò che è relativo al parlante”. Così diventa un pronome personale nel contesto
(6a) e un possessivo nel contesto (6b):
(6) a.
wŏ gēn laŏshī
shuo
le
io
parlare
PERF
con maestro
“Io ho parlato con il maestro.”
b.
wŏ de
shu
na li
io
libro
sul luogo
PART
“Il mio libro è lì.”
Torna al paragrafo 4.2.5
76
diversa la realizzazione degli argomenti nei vari ruoli sintattici
Consideriamo, ad esempio, la realizzazione di un verbo come “piacere” in italiano e in inglese.
Questo verbo richiederà come obbligatori un ESPERIENTE (colui che prova questo tipo di sensazione)
e un PAZIENTE (l’oggetto del piacere) in entrambe le lingue. Tuttavia, l’inglese “promuoverà” a
soggetto l’ESPERIENTE, mentre in italiano il ruolo di soggetto sarà assegnato al PAZIENTE (come
evidente dall’accordo verbale):
(1) a.
b.
I (ESPERIENTE-soggetto) like music (PAZIENTE-oggetto diretto)
Mi (ESPERIENTE-oggetto indiretto) piace la musica (PAZIENTE-soggetto)
Allo stesso modo, un verbo come “avere” seleziona in tutte le lingue un LOCATIVO (chi possiede
rappresenta infatti il “luogo figurato” presso cui si trova la cosa posseduta) e un PAZIENTE , in
alcune lingue – come l’italiano o l’inglese – il LOCATIVO è “promosso” a soggetto, mentre il
PAZIENTE assume il ruolo di oggetto diretto:
(8) a.
b.
Io (LOCATIVO-soggetto) ho il libro (PAZIENTE-oggetto).
I (LOCATIVO-soggetto) have the book (PAZIENTE-oggetto).
Altre lingue, invece, non ammettono la promozione del LOCATIVO a soggetto, per cui il possesso
non viene espresso mediante il verbo “avere”, bensì attraverso una frase nominale (4.5.4) in cui il
LOCATIVO è un oggetto indiretto e assume la funzione di predicato. Così, in lingue come l’arabo o il
russo la frase in (8) viene realizzata nel modo seguente (come si noterà, nelle frasi nominali in (9) –
sia in arabo che in russo – non è presente la copula, aspetto tipologico su cui torneremo in seguito
4.5.5):
(9) a.
b.
al-kitāb li-hii (letteralmente: “il libro è presso di me”)
mne knigu (letteralmente: “a me è il libro”)
Ci sono, infine, lingue che ammettono entrambe le opzioni, per cui il LOCATIVO può essere sia
realizzato come soggetto del verbo “avere”, sia come predicato nominale. Questo è il caso del
francese:
(10) a.
J’ai un livre.
Le livre est à/chez moi (letteralmente “il libro è a/presso di me”)
Torna al paragrafo 4.3.2
77
ruolo tematico e un dato ruolo sintattico
Il ruolo tematico di AGENTE, ad esempio, è più frequentemente associato al ruolo sintattico di
soggetto. Proprio per questa si usa definire il soggetto come “colui che compie l’azione”. Le frasi
seguenti mostrano chiaramente, però, che non sempre è così:
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
Luca mi ha parlato.
Luca deve essere operato.
Luca ha fame.
Luca ha ricevuto molti regali per Natale.
Questo coltello taglia bene.
Il giardino pullula di fiori.
Come si può notare, il soggetto (sintattico) è un AGENTE (semantico) solo nella frase (1). Luca,
infatti, è un PAZIENTE in (2), un ESPERIENTE in (3) e un BENEFICIARIO in (4), pur ricoprendo la
funzione sintattica di soggetto in tutte le frasi indicate. Allo stesso modo, il coltello è un soggetto
STRUMENTALE in (5) mentre il giardino in (6) è un soggetto LOCATIVO. E’ fondamentale, dunque,
non confondere questi due piani di analisi e considerare sempre in modo separato la funzione
semantica e il ruolo sintattico degli elementi della frase.
Torna al paragrafo 4.3.2
78
avere
(2) a.
b.
Maria ha telefonato a sua madre.
Luigi ha creduto alle mie parole.
Torna al paragrafo 4.3.3
79
essere
(3) a.
b.
Ieri sono andato a una mostra.
Luisa si è pentita delle sue azioni.
Torna al paragrafo 4.3.3
80
inaccusativi
Questo sottogruppo comprende:
(4) a. I verbi ergativi.
Es. Il film è cominciato.
b.
I verbi inerentemente riflessivi (quali: accorgersi, arrabbiarsi, fidarsi, pentirsi).
Es. Non mi sono affatto arrabbiato.
c.
I verbi di moto (andare, venire, arrivare).
Es. Sono arrivato questa mattina alle 8.
d.
I verbi nella costruzione passiva.
Es. Questi fogli sono stati rilegati insieme.
e.
I verbi con il si passivo.
Es. Al mercato si sono venduti molti libri.
Torna al paragrafo 4.3.3
81
Un test di inaccusatività: il clitico “ne”
L’analisi proposta, oltre a rendere conto della selezione dell’ausiliare, consente una spiegazione
immediata per alcuni altri fatti dell’italiano, anche questi solo apparentemente idiosincratici:
Considerate le frasi seguenti:
(5) a.
b.
Luigi ha mangiato molti dolci. Æ Luigi ne ha mangiati molti.
Molti ragazzi hanno telefonato. Æ *Ne hanno telefonato molti.
Queste frasi sembrano dimostrare che il clitico “ne” può sostituire un oggetto diretto ma non un
soggetto. Tuttavia, questa conclusione viene immediatamente smentita da frasi come:
c.
Sono arrivati molti ragazzi.
Æ Ne sono arrivati molti.
E’ evidente dunque che il funzionamento del clitico “ne” non fa riferimento al ruolo sintattico degli
elementi (oggetto vs. soggetto), bensì al loro ruolo semantico: il clitico “ne” può sostituire un
costituente che abbia un ruolo tematico di PAZIENTE. Per questa ragione può sostituire l’oggetto di
un verbo transitivo (come mangiare) o il soggetto di un verbo inaccusativo (come arrivare), ma non
può sostituire il Soggetto di un verbo intransitivo (inergativo) come telefonare, perché in questo
caso il soggetto sintattico è un AGENTE semantico.
Questa diagnostica può essere applicata ad ogni tipo di verbo inaccusativo:
d.
e.
f.
g.
h.
Sono affondate molte navi.
Æ
Sono partiti molti turisti.
Æ
Si sono stancati molti atleti.
Æ
Sono state lavate molte macchine.Æ
Si sono venduti molti libri.
Æ
Ne sono affondate molte. (ergativo)
Ne sono partiti molti. (moto)
Se ne sono stancati molti. (inerentemente riflessivo)
Ne sono state lavate molte. (passivo)
Se ne sono venduti molti. (impersonale)
Torna al paragrafo 4.3.3
82
francese
Troveremo dunque l’ausiliare avere con i verbi transitivi e inergativi:
(6) a.
b.
c.
J’ai mangé. (“Ho mangiato”)
J’ai dormi. (“Ho dormito”)
J’ai téléfoné. (“Ho telefonato”)
e l’ausiliare essere con i verbi di moto, gli inerentemente riflessivi e i passivi:
(7) a.
b.
c.
Je suis allé. (“Sono andato”)
Je me suis fâché. (“Mi sono arrabbiato”)
Il est apprécié par tout le monde.
(“E’ apprezzato da tutti”)
Torna al paragrafo 4.3.3
83
morfologia passiva
Osserviamo, ad esempio, il passivo in lingue come l’inglese o lo spagnolo che, come noto,
utilizzano il solo ausiliare avere nelle frasi attive:
(8) This work will be finished tomorrow.
Esto trabajo serà acabado mañana.
“Questo lavoro sarà finito domani.”
Torna al paragrafo 4.3.3
84
Italiano
PUNTO
MODO
OCCLUSIVE
NASALI
BILABIALI
p
LABIODENTALI
b
DENTALI
t
m
M
ALVEOLARI
n
POLIVIBRANTI
v
s
ts
AFFRICATE
APPROSSIMANTI
VELARI
k
l
r
f
PALATALI
d
LATERALI
FRICATIVE
PALATOALVEOLARI
z
dz
g
n
Y
N
j
w
S Z
tS dZ
Torna al paragrafo 4.4.1
85
coppia minima
Osserviamo alcuni esempi di coppie minime (i due membri in opposizione sono separati dal
simbolo “~”):
(ITALIANO)
pèsca /pEska/ ~ pesca /peska/
giacca /dZakka/ ~ sacca /sakka/
(FRANCESE)
reine /rEn/ ~ règne /rEÞ/
pelle /pelK/ ~ péle /pElK/
(INGLESE)
chin /tSIn/ ~ sin /sIn/
cup [kVp] ~ cut [kVt]
(HINDI)
pal /pal/ “prendersi cura” ~ phal /phal/ “lama”
kan /kan/ “orecchio” ~ khan /khan/ “mimo”
(ARABO)
c
anif /9anif/ “violento” ~ hanif /,anif/ “eretico”
’allama /?allama/ “fare del male” ~ callama /9allama/ “insegnare”
E’ importante sottolineare che, per l’individuazione della coppia minima, è necessario far
riferimento ai soli fonemi e non alla forma grafica delle parole (come chiaramente mostrato negli
esempi): il loro numero deve essere identico nelle due parole in esame, che devono opporsi per la
variazione di uno solo di essi.
Torna al paragrafo 4.4.2
86
funzioni comunicative
Nel tempo sono stati elaborati diversi metodi per osservare, analizzare e rappresentare graficamente
i profili intonativi. Gli studi più recenti sull’intonazione si avvalgono di programmi software che
misurano accuratamente le curve. Anche in questo caso, tuttavia, il punto fondamentale dell’analisi
sta nel cogliere gli elementi pertinenti (4.4.2).
La conformazione delle curve intonative presenta, infatti, notevoli fattori di variazione: il profilo
intonativo prodotto da un bambino sarà molto diverso in termini di valori di frequenza da quello di
un adulto, così come l’altezza tonale di una donna è generalmente maggiore di quella di un uomo.
Se, inoltre, andiamo ad analizzare le curve intonative associate ad enunciati quali:
(1) Qui!
(2) Mangia!
(3) Vallo a prendere subito!
vedremo che le loro caratteristiche fonetiche appaiono notevolmente differenziate. Infatti, nella
frase (1) il profilo intonativo è molto più “compresso”, mentre nella (2) e – ancor più nella (3) – la
curva risulterà decisamente “allungata”. Ciò nonostante, noi percepiamo queste frasi come identiche
nel loro significato di “ordine”.
Nell’analisi intonativa è dunque necessario astrarre dai valori specifici di frequenza e considerare
l’aspetto relativo delle curve. Vedremo dunque che il profilo intonativo delle frasi (1)-(3) è sempre,
approssimativamente, caratterizzato da un movimento ascendente–discendente. Questo andamento
tonale associato al significato di “ordine” sembra, peraltro, comune a molte lingue.
Lo studio dell’intonazione deve quindi prendere in esame i punti di variazione nelle melodie tonali
(in termini di “Alto” e “Basso”), prescindendo dai singoli profili intonativi.
Torna al paragrafo 4.4.5
87
Nucleo
Il nucleo è il centro della sillaba. Esso corrisponde al picco di sonorità ed è l’elemento che
avvertiamo come portatore di accento, nel caso in cui la sillaba cui appartiene sia accentata. Il
nucleo è l’unico costituente obbligatorio della sillaba che, in molte lingue, può essere costituito solo
da vocali (come, ad esempio, in italiano, in somalo, ecc.).
Vi sono, tuttavia, lingue che ammettono nel nucleo anche consonanti con un alto grado di
“sonorità” (come, ad esempio, le nasali o le laterali), come mostrato negli esempi seguenti (il
“pallino” sotto la consonante indica il suo status di nucleo sillabico) :
(2) bottle (“bottiglia”) = [botl ]
(INGLESE)
(3) wollen (“vogliono”) = [voln]
(TEDESCO)
(4) Trst (“Trieste”) = [trst]
(SLOVENO)
(5) mnmnts (“bambini”) = [mnmnts]
(BELLA COOLA, lingua amerindiana)
Torna al paragrafo 4.4.6
88
Coda
La coda è il costituente sillabico che presenta, nelle lingue del mondo, le maggiori limitazioni
riguardo al numero e al tipo di foni permessi. Mentre, infatti, nell’attacco può in genere apparire
qualunque consonante; nella coda ne sono ammesse solo alcune. Inoltre una consonante tende ad
occupare l’attacco – e non la coda - ogni volta in cui è possibile.
Pensiamo ad esempio a prestiti come sport in italiano.
In questa parola la sequenza consonantica sp occupa l’attacco, o è il nucleo e rt si dispongono nella
coda. E’ dunque evidente che l’italiano ammette due consonanti in quella posizione. Tuttavia, non
appena si rende disponibile un altro nucleo, come nell’aggettivo sportivo, la divisione sillabica
vedrà la consonante t nell’attacco della sillaba che segue: spor-ti-vo (e non *sport-i-vo).
Torna al paragrafo 4.4.6
89
Attacco
L’attacco è ciò che precede il nucleo. Mentre il nucleo, per definizione, è costituito da un solo
elemento e la coda tende a limitare il numero di segmenti consonantici ad essa associati, l’attacco
può essere formato da più foni. L’italiano, ad esempio, ammette fino a tre foni in attacco (ad
esempio, in parole come stra-da o ve-trio-lo).
Torna al paragrafo 4.4.6
90
finlandese
(5) a. minä
io
syöen.
mangiare.1SG.NON PASS
“Mangio.”
b.
huomenna
minä
syöen.
domani
io
mangiare.1SG.NON PASS
“Domani mangerò.”
c.
minä
söin.
io
mangiare.1SG.PASS
“Ho mangiato.”
Torna al paragrafo 4.5.1
91
arabo
(6) a.
Kataba
Rashid
al-kitaba.
scrivere.3SGM.PASS
R.
ART-libro.ACC
“Rashid ha scritto il libro.”
a.
Yaktubu
Rashid
al-kitaba.
scrivere.3SGM.NON PASS
R.
ART-libro.ACC
“Rashid scrive/scriverà il libro.”
Torna al paragrafo 4.5.1
92
Aspetto progressivo
Indica un processo visto nel suo svolgimento:
(1) Ieri notte Enrico dormiva profondamente.
Torna al paragrafo 4.5.2
93
Aspetto abituale
L’aspetto imperfettivo progressivo viene tipicamente usato in strutture complesse per indicare il
momento di riferimento entro cui si colloca un’altra azione:
(2) Luigi dormiva placidamente quando scoppiò un temporale.
L’azione di dormire indica un processo che era in corso nel momento in cui un altro evento (lo
scoppio del temporale, che rappresenta il punto focale dell’informazione) ha avuto luogo.
Torna al paragrafo 4.5.2
94
Aspetto continuo
Può indicare sia lo svolgersi ininterrotto di un’azione che il suo ripresentarsi ripetutamente.
In questa particolare modalità dell’aspetto imperfettivo è frequente anche l’uso del passato
prossimo e del passato remoto.
(4) Durante l’incontro, Luigi guardava davanti a sé con aria desolata. (= ininterrottamente)
(5) Durante tutta la conferenza Luigi ha chiesto ad Anna di tradurgli quello che diceva l’oratore.
( = ripetutamente)
Torna al paragrafo 4.5.2
95
costituenti discontinui
Si considerino, a questo proposito, l’italiano e il latino:
(3) Ho assistito ad uno spettacolo, svolto da una brava compagnia, molto simpatico.
(4) Misenum […]
Miseno.M.SG.ACC
vident
indigna
morte
vedere.PRES.3PL
indegna.F.SG.ABL
morte.F.SG.ABL
peremptum.
ucciso.M.SG.ACC
“Vedono Miseno ucciso da morte indegna.”
Nonostante la distanza sintattica, nella frase italiana le marche morfologiche collegano in modo
inequivocabile l’aggettivo simpatico al nome spettacolo (entrambi maschili), mentre brava si
riferisce senza dubbio alla compagnia. In latino, d’altro canto, la coesione è garantita non solo dal
genere e dal numero, ma anche dall’accordo relativo alle marche di Caso.
Torna al paragrafo 4.5.3
96
identificazione e di coreferenza
Questo tipo di coesione riguarda sia l’accordo verbale, come nel caso dell’accordo participiale nelle
frasi in (5), sia la coreferenza pronominale, illustrata nelle frasi in (6):
(5) a.
b.
[Giovanni e Maria] sono andati al mare.
[Giovanni], con Maria, è andato al mare.
(6) John told Maria’s brother that he will meet her with pleasure.
“Giovanni ha detto al fratello di Maria che la incontrerà volentieri.”
Sebbene Giovanni e Maria siano andati al mare insieme in entrambe le frasi riportate in (5), la
differente struttura sintattica assegna ad entrambi il ruolo di soggetto solo nel primo caso, come
segnalato dall’accordo.
Per quanto riguarda le frasi in (6), invece, notiamo che il genere del pronome oggetto utilizzato (her
in inglese /la in italiano) indica senza possibilità di dubbio chi è la persona che Giovanni incontrerà
con piacere, vale a dire Maria o un altro referente femminile, ma di sicuro non il fratello.
Torna al paragrafo 4.5.3
97
ruolo della copula
Come sappiamo, ogni elemento linguistico svolge una precisa funzione all’interno della frase
(4.2.5) e dunque la copula deve svolgere una funzione specifica nelle lingue che ne fanno uso.
D’altra parte, poiché in alcune lingue la copula non è presente e le frasi in (1) funzionano tutte
perfettamente e “vogliono dire la stessa cosa”, è chiaro che il contenuto e le funzioni della copula
vengono “recuperati” in altri modi nelle lingue che non ne fanno uso.
Torna al paragrafo 4.5.5
98
ogni tipo di ordine basico
Osserviamo, ad esempio, una lingua SVO come il francese (e le corrispondenti traduzioni in
italiano, anch’esso appartenente a questo tipo sintattico) (OD = oggetto diretto, OI = oggetto
indiretto):
(1) a.
b.
J’a vue Jean au cinema
S V OD
OI
“(io) ho visto Jean al cinema.”
(ORDINE NON MARCATO)
Jean, je l’ai vu au cinéma.
OD S V
OI
(ORDINE MARCATO)
“Jean, l’ho visto al cinema.”
c.
C’est au cinema que je ai vu Jean.
OI
S V OD
“E’ al cinema che ho visto Jean.”
(ORDINE MARCATO)
Una lingua VSO come l’arabo:
(2) a.
b.
Ra’aytuhu (‘anā) Marko amsi.
V
S OD
“(io) ho visto Marco ieri.”
(ORDINE NON MARCATO)
Marko, ra’aytuhu (‘anā) amsi.
OD
V
S
“Marco, l’ho visto ieri.”
(ORDINE MARCATO)
E, infine, una lingua SOV come il giapponese:
(3) a.
b.
Sensei-wa lessun-o oshieta
S
OD
V
“Il maestro ha insegnato la lezione.”
(ORDINE NON MARCATO)
Lessun-wa sensei-ga oshieta
OD
S
V
“La lezione, il maestro l’ha insegnata.”
(ORDINE NON MARCATO)
Torna al paragrafo 4.6.1
99
estensione dell’informazione nuova
Così, in una frase come (4):
(4) Maria ha dato un libro a Marco.
l’informazione nuova può essere rappresentata sia dall’intero sintagma verbale (ha dato un libro a
Marco), sia da uno dei due Oggetti, a seconda che la frase risponda, rispettivamente, alle seguenti
domande:
(5) a.
Che cosa ha fatto Maria?
Maria ha dato un libro a Marco.
b.
Che cosa ha dato Maria a Marco?
(Maria) gli ha dato un libro.
c.
A chi ha dato un libro Maria?
(Maria) l’ha dato a Marco.
E’ importante, dunque, tenere sempre in debita considerazione il contesto precedente ogni qualvolta
si stia esaminando la suddivisione della frase in informazione data vs. nuova.
Torna al paragrafo 4.6.1
100
OD e l’OI possono scambiarsi di posizione
(6) a. Ich habe
meinem Bruder den Brief geschickt.
io
avere-1SG
mio.DAT fratello
OI = DATO
la
lettera
mandato
OD = NUOVO
“Ho mandato una/la lettera a mio fratello.”
b.
Ich habe den Brief
OD = DATO
meinem Bruder geschickt.
OI = NUOVO
“Ho mandato la lettera a mio fratello.”
Torna al paragrafo 4.6.1
101
marca lessicale
Come in uso nella letteratura, l’elemento nuovo viene indicato con il termine di “Focus” (4.6.4) e
segnalato graficamente tramite lettere maiuscole:
(7) a.
Cali MARYAM buu
arkay
Cali Maryam FOCUS.3SG.M vedere.PASS.3SGM
“Cali, (lui) ha visto MARYAM.”
b.
MARYAM buu
Cali
Maryam FOCUS.3SG.M Cali
arkay
vedere.PASS.3SGM
“Cali, (lui) ha visto MARYAM.”
c.
MARYAM buu
arkay
Cali
Maryam FOCUS.3SG.M vedere.PASS.3SGM Cali
“Cali, (lui) ha visto MARYAM.”
Torna al paragrafo 4.6.1
102
Soggetto rappresenta l’informazione nuova
Confrontate, ad esempio, la frase (1a) – in cui il Soggetto è dato nella domanda – con le frasi in (b)
e (c):
(1) a. Hai visto Gianni?
No, ma Ø verrà alla riunione.
b.
Chi verrà alla riunione?
Verrà lui (indicando Gianni).
c.
Hai avvertito Gianni e Maria della riunione?
Sì, e sono certa che lui verrà.
Torna al paragrafo 4.6.2
103
Soggetto è “focalizzato”
(2) a. Lei ha meritato il premio (non Franco).
b. Ero io a non essere d’accordo (al contrario di tutti gli altri).
Torna al paragrafo 4.6.2
104
forme ormai desuete
Si noti, peraltro, che le forme egli/ella, esso/essa, essi/esse non possono dirsi “libere” in senso
pieno. Se infatti applichiamo a questi pronomi le prove di costituenza (4.2.1), noteremo che non
rispondono in modo positivo né al test sulla enunciabilità in isolamento, né a quello sulla
coordinazione, come mostrato negli esempi seguenti:
(3) a.
b.
Chi verrà alla riunione?
*Egli / Lui
Lui e Maria non li voglio qui!
*Egli e Maria non li voglio qui!
Tuttavia questi pronomi non possono essere considerati dei clitici, in quanto possono essere separati
dal verbo da altri costituenti:
c.
Egli, credo, non immaginava una cosa simile.
Ella – desiderando ardentemente la libertà – decise di rischiare.
Poiché nelle fasi antiche dell’italiano questi pronomi non avevano le limitazioni viste negli esempi
(a) e (b), possiamo supporre che queste siano una conseguenza – e siano dunque prova – del loro
progressivo abbandono a favore delle forme lui, lei e loro.
Torna al paragrafo 4.6.2
105
ci
In particolare, al clitico ci possono corrispondere i seguenti ruoli grammaticali:
• LOCATIVO (che indica cioè un complemento di stato o moto a luogo):
(5) Ci sono andato ieri. (= in quel luogo)
• COMITATIVO/STRUMENTALE (che indica cioè un complemento di compagnia o di strumento):
(6) a. Ci devo tagliare il pane.
(= con questo coltello)
b. Ci esco quasi tutti i giorni. (= con i miei amici)
Torna al paragrafo 4.6.2
106
ne
Per quanto riguarda il ruolo grammaticale del clitico ne, invece, questo può essere:
•
PARTITIVO (sostituendo sia l’Oggetto Diretto di un verbo transitivo che il Soggetto di un verbo
inaccusativo:
(7) a. Ne ho presi solo due.
(= di quei pasticcini)
b. Ne sono arrivati molti.
(= di studenti)
• ARGOMENTO:
(8) Ne ho parlato per ore e ore. (= di quell’argomento)
• LOCATIVO (esclusivamente per il moto da luogo):
(9) Ne sono fuggito via appena ho potuto.
(= da quel luogo)
Torna al paragrafo 4.6.2
107
differenze nel numero e nel tipo di referenti realizzati
In arabo, ad esempio, troviamo una distinzione di genere per le seconde persone (“tu” e “voi”) e
viene altresì individuato (nella seconda e nella terza persona plurale) un referente “duale”. In alcune
lingue, come il somalo, viene operata una distinzione nella prima persona plurale per cui viene
identificato un “noi esclusivo” (che cioè esclude gli interlocutori). In lingue come l’inglese, infine,
alla terza persona singolare troviamo un pronome neutro. Per avere un’idea più chiara della
diversità interlinguistica, vediamo i quattro sistemi pronominali a confronto:
NUMERO
PERSONA
I
II
singolare
GENERE
M/F
M
ITALIANO
io
tu
F
III
M
F
lui (egli/esso)
lei (ella/esso)
ARABO
‘anā
anta
anti
huwa
hiya
SOMALO
I
you
isaga
iyada
he
she
it
we
N
I
M/F
M/F
plurale
II
M
noi
noi (esclusivo)
voi
F
M/F
III
M
F
M/F
voi due
loro (essi)
loro (esse)
loro due
nahnu
‘antum
‘antunna
‘antumā
hum
hunna
humā
INGLESE
aniga
adiga
innaga
annaga
idinka
you
iyaga
they
Torna al paragrafo 4.6.2
108
funzioni anche molto diverse
Vediamo alcuni esempi di pronomi clitici in lingue tipologicamente diverse.
In francese e in greco moderno i pronomi clitici si appoggiano alla testa verbale (come avviene in
italiano):
(10) Ce livre-là,
questo libro
à Jean, je le
lui
a Jean
CL.3SG.OI dare.FUT.1SG
io CL3SG.OD
donnerai
demain.
domani
“Questo libro, a Jean, glielo darò domani.”
(11) Tis Marias
la Maria
ta vivlia
tis-ta-edhose
o Yanis
i libri-ACC
CL3SG.F.OI-CL3PL.O-dare-PASS-3SGM
il Yanis. NOM
“A Maria, i libri glieli ha dati Yani.”
In somalo, invece, i clitici si riuniscono in “gruppi” con le preposizioni all’interno del cosiddetto
“complesso verbale” (si noti che il clitico di III persona singolare viene realizzato con una forma
“zero”, indicata con il simbolo “Ø”):
(12) Ahmed
Ahmed
baa
gurigii
Ø
nooga ( =na+u+ka)
qaaday.
FOCUS
casa-la
CL.3SG.O
CL.2PL.OI+per+da
prendere-PASS.3SGM
“Axmed lo ha preso da casa per noi.”
Vediamo, infine, il chichewa, lingua bantu in cui i pronomi clitici vanno a collocarsi come infissi
all’interno della testa verbale:
(13) Chigawéngá ichi
terrorista
questo
asilikálí á ganyu
soldati
a-na-úz-á
di lavoro temporaneo CLSOGG-PASS-dire-IND
mtsogoleri wathu kutí
s-a-ngáth-è
ku-chi-gwír-a
capo
non-CLSOGG-potere-CONG
INF-CL3SG.OD-prendere-IND
nostro che
“Quel terrorista, i mercenari hanno detto al nostro capo che non possono prenderlo.”
Torna al paragrafo 4.6.2
109
clitico non ha ruolo argomentale
Osserviamo, a scopo esemplificativo, i seguenti due esempi – rispettivamente dallo spagnolo e dal
rumeno – notando la copresenza di pronome clitico e di sintagma nominale coreferente, in frasi
considerate non marcate, sia dal punto di vista sintattico che fonologico (4.6.1):
(3) El director lo busca al empleado.
“Il direttore cerca l’impiegato.”
(lett.: “il direttore lo cerca l’impiegato”)
(4) Pe care baicat l-ai vâzut?
“Quale ragazzo hai visto?”
(lett.: “quale ragazzo l’hai visto?”)
Torna al paragrafo 4.6.3
110
La presupposizione è quella frase che deve essere vera affinché le frasi che la presuppongono
possano avere un valore di verità. Ad esempio, date le frasi:
(1) a.
b.
Ieri Luigi è arrivato in ritardo alla festa.
Ieri ho visto Luigi alla festa
la presupposisione è che:
(2) Ieri Luigi era alla festa
Dunque, se (2) risulta essere falsa, lo saranno necessariamente anche (1a-b).
Torna al paragrafo 4.6.4
111
dal punto di vista interlinguistico
In lingue come l’ungherese, ad esempio, il Focus deve essere realizzato in posizione preverbale.
Qualsiasi altra posizione rende la frase agrammaticale. Dunque, ad una domanda come quella in
(4a) è necessario rispondere come in (4b):
(4) a.
b.
“Chi ha visto Zoli?”
VILI-t
látta
Zoli
Vili-ACC vedere.PASS
Zoli-NOM
(anche: Zoli VILI-t látta)
“Zoli ha visto VILI”
c.
* Zoli látta VILI-t
Al contrario, in lingue come il kanakuru (lingua ciadica), il Focus deve essere necessariamente
realizzato in posizione finale di frase. Pertanto alla domanda in (5a) sarà possibile rispondere solo
come indicato in (5b):
(5) a.
b.
“A chi ha venduto il vestito?
A wupK-ro
landai
GKN
SHIRE.
lui
a
lei
vendere.PASS.CLSOGG
vestito
“Ha venduto il vestito A LEI.”
c.
*GKN SHIRE a wupK-ro landai.
Infine, in lingue come il somalo, un nome focalizzato non solo deve trovarsi in una specifica
posizione della frase (preverbale, in questo caso): esso viene altresì segnalato da una marca lessicale
(posta alla sua destra). Qualsiasi altra opzione non è ammessa:
(6) a
halay
CALI
baa
yimid.
ieri
Cali
FOCUS
venire-PASS.3SGM
“Cali è venuto ieri.”
b.
*CALI shalay baa yimid.
c.
*Shalay baa CALI yimid.
d.
*Shalay baa yimid CALI.
Torna al paragrafo 4.6.4
112
Oggetto Diretto
(2) Il giornale, Mario lo compra tutte le mattine.
*Il giornale, Mario compra tutte le mattine.
Quando l’Oggetto diretto viene topicalizzato e dunque ripreso dal clitico, il participio passato si
accorda con esso secondo le regole generali sull’accordo participiale:
(3) a.
b.
c.
La spesa, Mario l’ha fatta al mercato.
Le mele, Mario le ha comprate.
I suoi amici, Mario li ha visti nel pomeriggio.
I complementi frasali, sia espliciti che impliciti, possono essere anch’essi topicalizzati e, se si tratta
di Oggetti diretti, dovranno essere ripresi all’interno della frase dal clitico lo:
(4) a.
b.
Che arrivavate oggi, non me l’aveva detto nessuno.
Di venire oggi, non me l’aveva detto nessuno.
Torna al paragrafo 4.6.5
113
La diversa funzione semantico-pragmatica del Topic a destra rispetto al Topic a sinistra è illustrata
negli esempi seguenti:
(9) a.
b.
Io ho due fratelli:
Luigi, lo vedo spesso mentre Mario l’ho perso completamente di vista.
Io ho due fratelli:
*lo vedo spesso, Luigi mentre l’ho perso completamente di vista, Mario.
Come possiamo notare, dato il contesto fornito dalla frase Io ho due fratelli, il Topic a destra non è
ammesso perché i nomi dei due fratelli non sono stati menzionati e quindi non possono essere
“ribaditi” come Topic a destra, ma solo introdotti come Topic a sinistra.
Torna al paragrafo 4.6.5
114
In diverse lingue, ad esempio, le uniche due posizioni ammesse per il Topic sono alle due
“periferie” della frase, come ad esempio in in greco moderno o in spagnolo (come anche in
italiano):
(10) a.
b.
A ti, te quiero ver.
Te quiero ver, a ti.
“(a te), desidero vederti, (a te).”
(11) a.
b.
To vivlio, to-edhose i Maria sto Yani.
To-edhose i Maria sto Yani, to vivlio,
“(il libro), Maria lo ha dato a Yani, (il libro)’
In lingue come il somalo, invece, è ammessa anche una terza posizione per il Topic, vale a dire,
all’interno della frase, tra il Focus e il verbo (prendendo così il nome di “Topic interno”):
(12) a.
b.
c.
Maryam, CALI baa arkay.
CALI baa Maryam arkay.
CALI baa arkay, Maryam.
“(Maryam), l’ha vista CALI, (Maryam).”
Torna al paragrafo 4.6.5
115
E’ tuttavia importante sottolineare che non si può instaurare una relazione biunivoca tra Soggetto
nullo e flessione “ricca”. Le lingue presentano infatti delle eccezioni di cui bisogna tenere conto e
sulle quali è interessante riflettere in prospettiva interlinguistica.
Vi sono, infatti, lingue come il francese che, pur disponendo di una flessione decisamente ricca non
ammettono il Soggetto nullo. Certamente, si potrebbe ipotizzare che in francese ciò sia dovuto al
fatto che molte delle terminazioni flessive, sebbene presenti nella scrittura, non sono di fatto
pronunciate (e dunque viene persa l’informazione relativa al soggetto).
Si tratta senza dubbio di un’ipotesi plausibile, tuttavia mostra immediatamente i suoi limiti di fronte
ad una lingua come il tedesco, in cui il soggetto è obbligatorio sebbene la flessione sia ricca e
pienamente pronunciata.
In conclusione, il confronto interlinguistico ci consente di fare predizioni, ma l’attenzione deve
essere sempre pronta a cogliere e valutare eventuali eccezioni e controesempi.
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116
aggettivi
(2) I
ART.M.PL
(3) La
ART.F.SG
tuoi
modi
non mi piacciono.
POSS.M.PL NOME.M.PL
mia
giacca
è troppo vecchia.
POSS.F.SG NOME.F.SG.
Come possiamo vedere, il possessivo, come l’articolo, si accorda per genere e numero con il nome
che modifica, indipendentemente dal genere e dal numero del possessore.
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117
caratteristica inerente
Ovviamente i possessivi possono essere posti anche alla destra del nome cui si riferiscono.
Trattandosi di un’opzione marcata, ci aspetteremo in questo caso che all’espressione del possesso si
aggiunga un qualche significato particolare. Il possessivo postnominale serve, infatti, ad esprimere
un significato restrittivo e generalmente contrastivo (la sua realizzazione è dunque tipicamente
accompagnata da enfasi):
(4) a.
b.
Il mio libro
Il libro mio
NON MARCATO: CONNOTATIVO, QUALITÀ INERENTE
MARCATO: RESTRITTIVO, ENFATICO (“il mio e non il
tuo, ecc.”)
In altre lingue, come l’inglese, non è possibile distinguere significati come questi mediante
l’ordine delle parole, per cui l’enfasi viene di norma espressa mediante mezzi prosodici (i.e,
mediante un particolare picco intonativo, rappresentato dal maiuscoletto in (5a)), oppure mediante
parole specifiche, che “rafforzano” l’espressione del possesso (come in (5b)):
(5) a.
b.
This is MY book.
This is my own book.
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affissi posti alla destra del nome
Vediamo le loro proprietà distribuzionali e morfosintattiche in relazione agli aggettivi qualificativi
(come jadīd “nuovo”):
(6)
il mio libro
il libro nuovo
la mia scuola
la scuola nuova
kitābii
Al-kitāb al-jadīd
madrasatii
Al-madrasa al-jadīda
Da questo confronto possiamo notare che:
i)
in italiano, aggettivi qualificativi e possessivi occupano posizioni differenti rispetto al
nome che modificano;
ii)
in arabo, sia i possessivi che gli aggettivi qualificativi seguono il nome ma il possessivo
non può essere accompagnato dall’articolo – che è invece obbligatorio in presenza
dell’aggettivo – e non si accorda con il nome che modifica.
Potremmo, dunque, formulare una semplice generalizzazione dicendo che in arabo “l’articolo non
può essere usato con il possessivo”.
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119
criteri distribuzionali
In particolare, la funzione del pronome dipende dalla categoria lessicale cui si affigge. Il pronome
oggetto in arabo è, infatti, un pronome clitico (4.6.2), vale a dire un elemento privo di accento che
deve “appoggiarsi” alla destra di una categoria lessicale (che assume il ruolo di “testa” (4.2.2)).
Dunque:
a) se la testa è un VERBO o una PREPOSIZIONE, allora il clitico assume la funzione di pronome
oggetto (vedi shuftuka, qariba minhu, ‘akalti ma’ii negli esempi (7));
b) se la testa è un NOME, allora il clitico assume la funzione di elemento di possesso (vedi
baytuka, kitābuhu, funduqii negli esempi (7)).
In entrambi i casi, il pronome modifica la testa e fornisce un’informazione relativa ad una “persona
ad essa correlata”.
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120
possibili realizzazioni
Come abbiamo visto (4.3.2), la valenza di un verbo è universale (mangiare seleziona un AGENTE e
un PAZIENTE, amare un ESPERIENTE e un PAZIENTE, telefonare un AGENTE e un BENEFICIARIO – e
questo presumibilmente in tutte le lingue). Le lingue variano, invece, nel modo in cui tali ruoli
semantici vengono realizzati dal punto di vista sintattico.
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complemento di luogo figurato
Per questo il possessore è introdotto da una delle due seguenti preposizioni:
(9) li ( = “a”)
c
inda ( = “presso”)
Dunque, una frase come “Marco ha il libro” viene realizzata in arabo per mezzo di una frase
nominale del tipo “Il libro è presso Marco”. Vediamo:
(10) al-kitāb li-Marco (“il libro è di Marco”)
al-kitāb cinda al-walad (“il libro è del ragazzo”)
Questo meccanismo non deve essere considerato una peculiarità dell’arabo. Il possessore viene
realizzato come locativo anche in lingue appartenenti alla stessa famiglia dell’italiano
(l’indoeuropeo). Si consideri, infatti la realizzazione di una frase come “io ho il libro” in francese e
in russo:
(11) a.
le livre est à moi
il libro è a (presso di) me
b.
mne knigu
a-me libro
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122
ruolo argomentale
In alcuni casi sembrerebbe di poter dire che si tratta di un ESPERIENTE: lei ha fatto l’esperienza di
rompersi un braccio, tu di avere mal di testa, ecc. Tuttavia, questo ruolo argomentale non sembra
descrivere il ruolo semantico del pronome clitico delle frasi (b) e (d). Si potrebbe pensare allora ad
un BENEFICIARIO, oppure ad un PAZIENTE. Ma, anche in questo caso, la descrizione dei vari ruoli
semantici non sembra pienamente appropriata.
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relazione di possesso
Così, nella frase (12a) non c’è dubbio che il braccio che si è rotto è quello del soggetto sintattico
della frase, che in (12b) io taglio i capelli di un referente di sesso maschile, che in (12c) la testa che
duole è la tua e che, in (12d), è mio fratello a sposarsi domani.
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DATIVO ETICO
Il dativo etico, tuttavia, non può essere utilizzato per qualsiasi tipo di cosa posseduta. Osserviamo la
frase seguente:
(13) *Mi sono rotta un bicchiere.
Sembra dunque che questa particolare forma di possesso possa essere utilizzata solo quando la cosa
posseduta è connessa “molto strettamente” al possessore. Dunque, quando la cosa posseduta è una
parte del corpo (caso di “possesso inalienabile”), un parente o, comunque, qualcosa che fa parte
della nostra vita in modo più intimo di un bicchiere!
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