Le societa` tra professionisti dopo la L. 4 agosto

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Le societa` tra professionisti dopo la L. 4 agosto
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
n
Società tra professionisti
Le società tra professionisti
dopo la L. 4 agosto 2006, n. 248
(aspettando una disciplina
generale)
di Michele de Mari
Il legislatore nazionale - nel prevedere disposizioni a tutela della concorrenza nel settore dei cc.dd. servizi professionali - è tornato, or non è molto, con una isolata disposizione (art. 2, comma 1, lett. c, L. 4
agosto 2006, n. 248, «Legge Bersani»), sul tema delle società tra professionisti. Si tratta di una norma
che appare lontana dal delineare una fattispecie e tanto meno una disciplina della società tra professionisti, ma che, tuttavia, tratteggia, in termini parzialmente innovativi, taluni elementi dell’istituto. Il citato art. 2, da un lato, sembra legittimare nel nostro ordinamento la società tra professionisti secondo i
tipi delle società di persone, dall’altro, esibisce un contenuto normativo, di natura abrogativo-prescrittiva, che, per le sue peculiarità, non può essere ignorato dagli interpreti e dagli operatori, né può essere
trascurato (salvo nuove abrogazioni esplicite o implicite) dal futuro legislatore che voglia varare una disciplina organica e generale sulle società tra professionisti.
1. Argomento
Il tema delle società tra professionisti - come è noto ai
cultori del diritto commerciale - non è nuovo ed anzi
ben può essere iscritto tra quelli considerati ormai classici e tradizionali nell’ambito del diritto d’impresa e dell’iniziativa economica (1).
L’argomento della società tra professionisti o, se si preferisce, delle società professionali (2) viene normalmente
studiato sulla linea delle tradizionali categorie codicistiche delle professioni intellettuali, dell’impresa e delle società.
Tuttora si insegna che normativamente (art. 2238, comma 2, c.c.) la professione intellettuale (artt. 2229 ss.
c.c.) non costituisce attività d’impresa ai sensi dell’art.
2082 c.c. (3) e che pertanto - ed al di là della (condiviNote:
(1) Merita ricordare che già il codice civile del 1865 (art. 1706) prevedeva tra le società particolari di esercizio (antesignane, prima, delle società
commerciali di cui all’art. 76 del cod. comm. 1882 e, poi, dei tipi societari
individuati dall’art. 2249 c.c. del 1942) le «società di arti o mestieri», ossia quelle in cui i contraenti si associavano per l’esercizio di qualche mestiere o professione: cfr. T. Ascarelli, Appunti di diritto commerciale (Società
e associazioni commerciali), Roma, 1936, 3 ed., 24.
(2) La locuzione «società tra professionisti» o «società professionale» è da
intendersi nel senso di società avente ad oggetto l’esercizio «in comune»
di attività professionale ex artt. 2229 ss. c.c., ossia nel senso di società
che, attraverso i singoli professionisti, presta a terzi servizi intellettuali in
funzione dell’interesse del gruppo, restando giuridicamente imputato lo
svolgimento dell’attività professionale alla società; l’espressione, quindi,
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non è utilizzata con il significato di «società di mezzi» o di collaborazione
o coabitazione tra professionisti o in altra accezione (chiarisce bene la polisemia del sintagma P. Spada, Tipicità delle società e società e associazioni
«atipiche» fra professionisti (art. 5, lett c, D.P.R. n. 597/1973), in Giur.
comm., 1977, I, 120 ss.). Si guarda, in altri termini, a quelle società tra
professionisti nelle quali il ciclo produttivo per cui è organizzazione si conclude con i prodotti o i servizi tipici dell’attività intellettuale, esclusa ogni
ancillarità di questi ultimi rispetto all’organizzazione della società (v. B. Libonati, L’impresa e le società (lezioni di diritto commerciale), Milano, 2004,
15). Distingue le due espressioni G. Schiano di Pepe (L’oggetto sociale nelle
società tra professionisti, in AA.VV., La società tra avvocati (a cura di L. De
Angelis), Milano, 2003, 131), ad avviso del quale con la formula «società
tra professionisti» (e non già con quella di «società professionale») si vorrebbe proprio avvalorare la tesi che l’attività comune, espressione stessa
dell’idea di società, sia la sommatoria di attività individuali dei soci che
trova nell’ente collettivo un punto di riferimento o di imputazione, rimanendo l’attività strutturalmente dei singoli, senza perciò che sia possibile
considerare la società autrice della prestazione.
(3) Cfr. T. Ascarelli, Lezioni di diritto commerciale (Introduzione), Milano,
1954, 109, secondo il quale «non v’ha esercizio di attività imprenditrice
ai sensi dell’art. 2082 nell’attività di una società tra professionisti e cioè di
una società che eserciti una attività professionale»; G. Oppo, Impresa e
imprenditore, in Enc. giur.i, vol. XVI, Roma, 1989, ora in Scritti giuridici. I.
Diritto dell’impresa, cit., 279 s.; e v. anche la Relazione al codice civile del
1942 che testualmente dice «(...) il codice fissa il principio che l’esercizio
di una professione non costituisce di per sé esercizio di un’impresa, neppure quando l’espletamento dell’attività professionale richiede l’impiego di
mezzi strumentali e dell’opera di qualche ausiliario» (n. 917, comma 3). Il
dato normativo da cui partire - lo ribadisce, con estrema chiarezza e rigore
semantico, P. Spada (in Diritto commerciale. I. Parte generale, Padova,
2004, 47) - è costituito dall’art. 2238 c.c. dal quale si ricavano due precetti: a) le norme sull’impresa non si applicano al professionista intellettuale
neanche qualora si avvalga di mezzi o ausiliari (comma 2); b) il diritto
dell’impresa si applica quando l’attività professionale costituisce «elemento
di un’attività organizzata in forma d’impresa»; l’essere libero professionista
(segue)
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sibile) opinione secondo cui l’immunità dei professionisti intellettuali dallo statuto dell’imprenditore si configura come «privilegio di classe o di casta (...) che in molti
casi non trova giustificazioni sul piano fenomenico (...)
ma solo sulla base del pregiudizio socio culturale di eccellenza del lavoro del professionista» (4) - l’esercizio in
forma societaria di un’attività libero-professionale e intellettuale dà luogo ad un’ipotesi di società senza impresa (5), ovvero, assumendo invece che l’attività costituente l’oggetto della società professionale possa rientrare nel paradigma dell’impresa, di società esercente
un’impresa civile (6).
E queste, per la verità, erano le conclusioni cui si perveniva già prima che la materia venisse trattata nell’ottica
del diritto della concorrenza, che, assimilando la nozione d’impresa «concorrente», di derivazione comunitaria, a quella di attività libero-professionale (7), considera, quasi naturalmente, la preclusione all’esercizio delle
professioni in forma societaria come una indebita restriNote:
(segue nota 3)
non impedisce l’applicazione del diritto d’impresa quando l’attività libero
professionale è «elemento ...». Ma se non lo è, nessuna delle regole che
costituiscono lo «statuto» gli si applica (sicché non avrebbe neppure senso verificare i connotati dell’attività, la dimensione organizzativa, la «natura» del servizio prodotto). L’incompatibilità tra la nozione di impresa ex
art. 2082 cod. civ. e quella di professione intellettuale sembra essere ribadita nella legislazione più recente, là dove (all’art. 3, comma 2, del D.Lgs.
2 febbraio 2006, n. 30, «Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni ai sensi dell’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131») dopo aver confermato che «l’attività professionale esercitata in forma di
lavoro autonomo è equiparata all’attività d’impresa ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82 e 86 del Trattato CE» - il legislatore fa comunque salvo «quanto previsto dalla normativa in materia di professioni
intellettuali».
(4) Sono parole di P. Spada, Diritto commerciale. I. parte generale, Padova,
2004, 47 ss.; Id., voce Impresa, in Digesto - Discipl. priv. - sez. comm., VII,
Torino, 1992, 54 ss.; già F. Galgano, Le società di persone, in Trattato di
dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L.
Mengoni (e ora da P. Schlesinger), 1982 (2 ed.), 27 ss.; Id., Le professioni
intellettuali e il concetto comunitario di impresa, in Contr. e impr./europa,
1997, 1 ss., specif. 3 e 16, per il quale «i professionisti intellettuali sono
esclusi in quanto tali dal novero degli imprenditori non già perché ad essi
manchi questo o quel requisito del concetto di imprenditore. Essi fruiscono nel nostro sistema legislativo di una immunità rispetto allo statuto dell’imprenditore, e questa loro immunità è frutto di un privilegio, ossia di
un’esenzione dal diritto comune, concesso ad uno specifico ceto, quello
degli esercenti le cosiddette professioni liberali: un privilegio che per qualche aspetto è anche un privilegio ‘‘odioso’’, che nuoce all’esercente la professione intellettuale protetta»; V. Afferni, Professioni III) Professioni intellettuali - Dir. comm., in Enc. giur., Roma, 1991, XXIV, 3; anche C. Angelici, Diritto commerciale, Roma-Bari, 2002, 26, considera la sottrazione delle professioni intellettuali all’area dell’impresa una soluzione che non pare
certo spiegarsi per considerazioni fenomenologiche, bensı̀ come risultato
di una scelta politica; ma v. G. Oppo, L’iniziativa economica, in Riv. dir.
civ., 1988, I, 316, ad avviso del quale invece la diversa valutazione legislativa del professionista intellettuale è da ritenersi giustificata in virtù «della
particolare dignità, della particolare responsabilità e del particolare legame
con la personalità e con lo svolgimento della personalità del soggetto».
(5) T. Ascarelli, Lezioni di diritto commerciale, cit, 109; G. Marasà, Le società. Società in generale, Milano, 2000, 2 ed., 211; nella manualistica cfr. G.
Presti - M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, Vol. II, Società, Bologna,
2005, 9; cfr. altresı̀ la Relazione al codice civile del 1942 (n. 923, comma
4), secondo cui «nel sistema del nuovo codice la società è una forma di
esercizio collettivo di un’attività economica produttiva e normalmente di
un’attività economica organizzata durevolmente ad impresa». Secondo un
diverso insegnamento la società tra professionisti «protetti» sarebbe invece
inammissibile non perché si tratta di società senza impresa, ma perché la
professione sarebbe esercitata secondo lo schema della società (art. 2247
c.c.) «in comune» fra più professionisti e, quindi, impersonalmente, cfr. F.
Galgano, in Diritto commerciale. Le Società, 15 ed., Bologna, 2005, 10.
(6) G. Oppo, Note preliminari sulla commercialità dell’impresa, in Riv. dir.
civ., 1967, I, 561 ss., ora in Scritti giuridici. I. Diritto dell’impresa, cit., 200;
G. Schiano di Pepe, Le società di professionisti. Impresa professionale e società
fra professionisti, Milano, 1977, 21 s.; P. Spada, Impresa, cit., 55.
(7) È ormai noto (e pacifico) che, ai fini dell’applicazione delle regole comunitarie ed interne di concorrenza, «è impresa qualsiasi entità che esercita una attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle
sue modalità di finanziamento» (cfr. Corte Giust. CE 23 aprile 1991 [caso
Hoefner, Elser/Macroton] e 18 giugno 1998 [causa C-35/96], dove, però, è
affermato il principio con riguardo all’attività di spedizioniere doganale),
leggibili in www.curia.eu, e TAR Lazio, sez. I, 28 gennaio 2000, n. 466,
in Foro it., 2000, III, 175; v. anche L. Di Via, L’impresa (nel diritto comunitario), in AA.VV., Diritto privato europeo a cura di N. Lipari, Padova,
1997, 252 ss.). Posizione, questa, che - oltre ad affermare la regola dell’applicabilità delle norme in tema di concorrenza agli esercenti le libere professioni (su cui v. G. Oppo, Antitrust e professioni intellettuali, in Riv. dir.
civ., 1999, 24 ss.) - già in precedenza, aveva indotto la dottrina a riflettere
sul principio della relatività della nozione d’impresa, per cui appariva corretto attribuire all’enunciato normativo impresa il significato corrispondente al fine proprio della legge in cui l’espressione era contenuta: G. Campobasso, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, Torino, 1986, 27, il quale, per illustrare i rapporti tra la definizione codicistica d’impresa e quella
emergente dalle leggi speciali sottolineava, che «i requisiti prescritti dall’art. 2082 c.c. sono i requisiti rilevanti ai fini della nozione codicistica
(...) e dunque solo tendenzialmente coincidenti con quelli autonomamente fissati da altri settori dell’ordinamento», pervenendo cosı̀ alla conclusione che «non esiste una sola nozione d’impresa (...) ma solo nozioni giuridiche d’impresa»; e v. G. Oppo, Categorie commercialistiche e riforma tributaria, in Giur. comm., 1977, I, 32 ss., ora in Scritti giuridici. I. Diritto dell’impresa, Padova, 1992, 218 ss., per il quale, però, in assenza di una precisa
definizione da parte del legislatore speciale, la fattispecie deve essere identificata secondo il dato codicistico; cfr. altresı̀ G. Guizzi, Il concetto d’impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. dir. comm.,
1993, I, 311, dove si sostiene che l’interprete è chiamato ad un processo
di adattamento della fattispecie in considerazione delle finalità della legge
antitrust, facendo dipendere la possibilità di accertare l’esistenza dell’impresa dalla sussistenza dell’elemento del «compimento di atti economicamente valutabili e produttivi di risultati rilevanti per il mercato». Peraltro, l’attribuzione di significati diversi alle medesime espressioni a seconda delle
finalità che il legislatore intende perseguire nel caso specifico non sembra
più essere solo un canone offerto a coloro che fanno uso, nell’interpretazione delle norme, dell’argomento teleologico (sul quale cfr. G. Tarello,
L’interpretazione della legge, nel Trattato di diritto civ. e comm., già diretto da
A. Cicu - F. Messineo e L. Mengoni, e continuato da P. Schlesinger, Milano, I, II, 370), ma, a ben guardare, risulta essere regola recepita anche
dal nostro legislatore, il quale - proprio a proposito del binomio impresa/libere professioni - nel D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (attuativo della direttiva 2000/35/CE relativa «alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali») sottolinea che «ai fini del presente decreto si
intende per ‘‘imprenditore’’ ogni soggetto esercente una attività economica organizzata o una libera professione», assimilando cosı̀, nella prospettiva (e solo in quella) del decreto citato, il libero professionista all’imprenditore. Vi è poi chi (F. Galgano, Le professioni intellettuali ed il concetto comunitario d’impresa, cit., 1 ss.,) si spinge oltre, sostenendo che «se i professionisti intellettuali sono da considerarsi imprenditori agli effetti delle specifiche norme che proteggono la libertà di concorrenza, non potrà sopravvivere la loro immunità dal diritto comune neppure sotto altri aspetti
non direttamente toccati dalla L. n. 287 del 1990 (...), si dovrà insomma
concludere per la loro integrale soggezione alle norme del codice civile
sull’impresa in genere, ferma restando la loro esenzione dalle norme che
compongono lo statuto dell’imprenditore commerciale, implicanti l’iscrizione nel registro delle imprese, la tenuta delle scritture contabili, la soggezione alle procedure concorsuali in caso d’insolvenza (...)».
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zione del libero svolgersi del gioco della concorrenza (8); già prima, cioè, che la società tra professionisti
venisse guardata come un modello organizzativo utile
(e forse indispensabile) per eliminare gli ostacoli e le
barriere alla competitività dei professionisti italiani nel
contesto comunitario (art. 43 [già art. 52] e art. 49 [già
art. 59] del Trattato di Roma istitutivo della Comunità
europea) ed internazionale, dove, da tempo, esistono
moduli organizzativi societari attraverso i quali le attività libero-professionali e intellettuali possono estrinsecarsi (9).
Ma il maggiore ostacolo all’ammissibilità delle società
tra professionisti è stato sempre individuato - come si sa
- nel carattere rigorosamente personale della prestazione
d’opera intellettuale prescritto dall’art. 2232 c.c., che
rende difficilmente conciliabile l’esercizio in comune
delle professioni intellettuali con l’impersonalità dell’ente societario (10).
Su questo terreno è tornato or non è molto il legislatore
nazionale con la L. 4 agosto 2006, n. 248 (anche nota
con l’etichetta «giornalistica» di legge Bersani sulle «liberalizzazioni», dal nome di uno dei suoi Ministri proponenti) (11). Più esattamente, l’art. 2 - nel prevedere
disposizioni per la tutela della concorrenza nel settore
dei servizi professionali in materia di tariffe e di pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali (comma 1, lett. a) e b) (12) - interviene in materia di società tra professionisti (comma 1, lett.
c) (13).
Si tratta - come meglio si vedrà nel prosieguo - di una
sola ed isolata disposizione che appare lontana dal delineare una fattispecie e tanto meno una disciplina della
società tra professionisti (14), ma che, tuttavia, tratteggia elementi dell’istituto, che, per quanto talora ambigui, meritano di essere considerati almeno sotto un duplice profilo.
In primo luogo la norma, come si dirà, sembra legittimare nel nostro ordinamento la società tra professionisti
secondo i tipi delle società di persone; in secondo luogo
esibisce un contenuto normativo che già ora non può
essere ignorato da chi intenda costituire una società tra
professionisti e di certo non potrà (salvo nuove abrogazioni esplicite o implicite) essere trascurato dal futuro legislatore, quando verranno superati gli ostacoli di varia
natura che sino ad oggi hanno impedito il varo di una
Note:
(8) Cfr. L’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato italiana (Antitrust) sul settore degli ordini e dei collegi professionali, 1
dicembre 1994 - 9 ottobre 1997, deliberazione n. 5.400, in Bollettino dell’Autorità n. 42 del 1997 e in www.agcm.it e v. la relazione del 3 ottobre
1997 della medesima Autorità in Riv. dir. priv., 1997, 884 ss., con commento di V. Meli, 659; v. altresı̀ S.M. Carbone - F. Munari, L’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli ordini e
collegi professionali ed il suo possibile impatto sull’avvocatura, in Annuario
Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante, a
cura di G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti, III, Milano, 411 ss.
(9) In Francia cfr. la L. n. 66/879 del 29 novembre 1966 c.s.m. sulle «so-
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cietà civili professionali» e la L. n. 90/1258 del 31 dicembre 1990 c.s.m.
sulle «società di esercizio liberale», che consente l’esercizio delle professioni sottoposte ad uno statuto legislativo o regolamentare in forma di società a responsabilità limitata, di società anonima, di società per azioni semplificata e di società in accomandita per azioni (art. 1) (entrambe in
www.legifrance.gouv.fr) e il decreto n. 93-492 del 25 marzo 1993 concernente l’applicazione della L. n. 90/1258 alla professione di avvocato (in
www.droit.org) e v. v. Afferni, Prime riflessioni sulla disciplina della «società
tra avvocati», in AA.VV., Le società tra avvocati (a cura di L. De Angelis),
Milano, 2003, 148 ss.; per il Regno Unito v. E. Codazzi, La legal partnership nell’esperienza del Regno Unito: alcuni spunti in tema di società tra avvocati, in Giur. comm., 2001, I, 70; per una panoramica più generale: A. De
Caro, Il modello della STP: tappa o punto di arrivo della società tra professionisti, in questa Rivista, 2001, 1166 ss.; C. Montagnani, Il «tipo» della società
tra professionisti, denominato società tra avvocati, in Riv. soc., 2002, 991, nt.
57; v. altresı̀ l’indagine conoscitiva dell’Antitrust citata nella nota che precede.
(10) Per tutti i riferimenti v. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, 2006 (6 ed. a cura di M. Campobasso), Torino, 20 ss.
(11) La L. n. 248 del 4 agosto 2006 di conversione, con modificazioni,
del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio
economico sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale» (presentato dal Ministro per lo sviluppo economico Bersani e
dal Ministro dell’economia e delle finanze Padoa-Schioppa) è pubblicata
sulla G.U. dell’11 agosto 2006, n. 186, S.O. n. 183/L e consta complessivamente di 41 articoli concernenti la cosiddetta liberalizzazione dei mercati (artt. 1-15) e le misure di recupero fiscale (artt. 16-39).
(12) Il predetto art. 2 è collocato nell’ambito del Titolo I della L. n. 248/
2006 (rubricato come: «Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la
promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi»), il cui art. 1, con
una certa enfasi, dispone espressamente che le norme del Titolo I sono finalizzate a fornire strumenti «per garantire il rispetto degli articoli 43, 49,
81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea ed assicurare
l’osservanza delle raccomandazioni e dei pareri della Commissione europea, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle Autorità di regolazione e vigilanza di settore, in relazione all’improcrastinabile
esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la
promozione degli assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche
al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso
la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti
di lavoro».
(13) La disposizione recita: «In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di circolazione delle persone e dei servizi,
nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul
mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: (...) c) il divieto di
fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di
società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che
l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità».
(14) Si noti altresı̀ che la norma non presenta elementi di rottura con il
dato codicistico per quanto concerne il rapporto impresa - professioni intellettuali: non vi è, cioè, assimilazione tra l’attività d’impresa e quella del
professionista intellettuale, anche se lo svolgimento societario della professione intellettuale implica comunque, come si sa, una parziale applicazione dello statuto dell’imprenditore per quegli aspetti che dipendono dalla
mera assunzione della forma organizzativa societaria e prescindono dall’oggetto sociale, vale a dire l’iscrizione nel registro delle imprese e l’obbligo
delle scritture contabili (cosı̀ G. Oppo, Materia agricola e forma commerciale, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, III, Padova, 1950, 83 ss., ora
in Scritti giuridici, I, Padova, 1992, 76 ss. e G. Marasà, Oggetto e parti, in
AA.VV., Le società tra avvocati (Commento al d.lgs. 2 febbraio 2001, n.
96), Torino, 2002, 95).
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normativa organica e generale sulla società tra professionisti (15).
2. Gli interventi del legislatore nazionale (cenni)
Non sono mancati, come si diceva, interventi normativi che, almeno nelle intenzioni del legislatore, tendevano a prefigurare una disciplina organica delle società tra
professionisti.
È il caso, al riguardo, di ricordare che l’art. 24 della L. 7
agosto 1997, n. 266 (anch’essa nota con il nome di legge Bersani [nel prosieguo «Bersani1»], dal nome dello
stesso Ministro proponente della L. n. 248/06 citata),
con tecnica non troppo dissimile da quella utilizzata dall’odierno legislatore, ha disposto l’abrogazione dell’art. 2
della L. 23 novembre 1939, n. 1815, che - con riferimento alle professioni intellettuali cosiddette «protette», ossia quelle per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione
in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c.), sulla base di
titoli di abilitazione o autorizzazione e di altri requisiti
legali, accertati di regola da ordini, collegi o associazioni
professionali, sotto la vigilanza dello Stato (16) - prescriveva che «è vietato costituire, esercitare o dirigere,
sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo (ci si riferiva alla forma associativa), società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo
scopo di dare, anche gratuitamente ai propri consociati
od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria».
La legge citata, nell’abrogare il divieto di costituire società tra professionisti, demandava ad un decreto interministeriale la disciplina della materia (art. 24, comma
2); tale decreto, però, non ha mai visto la luce, perché
considerato, sul piano delle fonti di produzione, strumento inadeguato per regolare la fattispecie in esame (17), lasciando cosı̀ aperto il problema della legittimità della costituzione (e dell’operatività) delle società
tra professionisti (18).
La materia avrebbe successivamente dovuto trovare sistemazione in leggi ad hoc sulle professioni intellettuali
e, segnatamente, sulle società tra professionisti, ma tutti
i relativi progetti di legge non hanno trovato attuazione
nel corso delle trascorse legislature (19).
Note:
(15) Non può non notarsi subito (ma sul punto si avrà modo di tornare
più avanti) come il percorso sino ad ora seguito nel nostro Paese risulti,
per cosı̀ dire, «rovesciato» e, nel contempo, «circolare»: pur esistendo già
delle discipline settoriali in materia (come, ad esempio, quella della società tra avvocati, la cui previsione è stata certamente influenzata dal pluriennale dibattito sulla società tra professionisti, v. infra par. 2), non esiste
- nonostante i disegni di legge in materia che si sono succeduti numerosi
nel tempo (v. infra nt. 19) - una normativa sulla società tra professionisti
in generale. Il legislatore sembra sempre intenzionato (pur non avendolo
ancora fatto) a delineare le basi di un nuovo modello organizzativo e funzionale di carattere generale per l’esercizio «in comune» delle professioni
intellettuali, influenzato, bongré malgré, dalla disciplina dei modelli settoriali già esistenti, cosı̀ da offrire nuova linfa al dibattito intorno ai rapporti
tra società tra professionisti di settore e società tra professionisti in generale, che la dottrina ha già ripreso ad esplorare all’indomani dell’entrata in
vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, recante norme sulla società tra
avvocati (cfr. P. Montalenti, La società tra avvocati, in questa Rivista,
2001, 1170; O. Cagnasso, La disciplina residuale del modello «società tra avvocati», ivi, 1180, il quale parla di una sorta di «fuga in avanti» del legislatore, che, nell’attesa di delineare una disciplina compiuta di un nuovo tipo societario, la società tra professionisti, avrebbe effettuato un’anticipazione di essa, con riferimento specifico ad una particolare ipotesi, la società
tra avvocati; C. Montagnani, Il «tipo» della società tra professionisti, denominato società tra avvocati, cit., 2002, 989 ss.; C. Ibba, Società tra avvocati e tipi
societari, in Giur. comm., 2003, II, 575).
(16) Cosı̀ G. Ferri, Società, nel Commentario del codice civile, a cura di A.
Scialoja e G. Branca, sub artt. 2247-2324, Bologna-Roma (3 ed.), 1981,
22; Corte Cost. 22 gennaio 1976, n. 17, in www.giurcost.org/decisioni/
1976. Per converso sono invece denominate professioni intellettuali
«non protette» quelle il cui esercizio non è subordinato all’iscrizione in
albi ed elenchi (gli esempi di scuola sono quelli dell’agente di pubblicità
o dell’esperto in ricerche di mercato); a questa differenza di posizioni, come si vedrà, corrisponde, secondo l’orientamento consolidato, una differenza sul piano del regime normativo applicabile (v. infra par. 4). Non è
qui forse inutile rammentare che l’Autorità Antitrust italiana, nella citata
indagine conoscitiva sugli ordini e collegi professionali, propone una distinzione tra professioni più articolata: individua un primo tipo di professioni, quelle protette, per l’esercizio delle quali è prevista l’iscrizione in albi e l’istituzione di un ordine al quale è delegata la funzione di controllo
sull’esercizio delle attività; un secondo tipo di professioni che sono riconosciute, ovvero disciplinate dalla legge, per le quali tuttavia si richiede
solo l’iscrizione in albi o elenchi, senza che sia necessaria la costituzione
di un ordine (ad esempio gli agenti di assicurazione, i periti assicurativi);
infine, un terzo tipo di professioni che sono quelle «non regolamentate»,
ovvero non soggette ad una regolamentazione pubblicistica, ma presenti
sul mercato del lavoro e rappresentate dalle relative associazioni (ad
esempio gli urbanisti o i consulenti tributari). In ambito comunitario, già
da qualche tempo, si è diffusa la nozione di attività professionale «regolamentata», secondo cui è tale «quell’attività per la quale l’accesso o l’esercizio o una delle modalità di esercizio in uno Stato membro siano subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative, al possesso di un titolo di formazione o
attestato di competenza» (v. Direttiva 92/51/CEE, art. 1, lett. e, f): è appena il caso di osservare che da questa definizione sembra emergere una
nozione di professione regolamentata non necessariamente connessa all’istituzione di albi o ordini.
(17) Nel senso dell’illegittimità di un siffatto strumento normativo, cfr. i
due pareri del Consiglio di Stato nn. 35 e 72 del 1998, in Foro it., Rep.
1999, voce Professionisti intellettuali, nn. 284-290 e v. anche, per tutti, C.
Ibba, Contro il regolamento sulle società tra professionisti, in Riv. dir. priv.,
1998, 5 ss.; Id., La società tra professionisti dopo l’abrogazione dell’art. 2 l.
1815/1939, in Riv. not., 1997, 1357 ss. Lo schema di regolamento attuativo dell’art. 24 della L. n. 266/1997 (c.d. «Bersani1») può leggersi nell’Appendice del volume collettaneo, Le società di avvocati (Commento al d.lgs.
2 febbraio 2001, n. 96), Torino, 2002, 173 ed in Italia Oggi del 13 gennaio 1998.
(18) Per i termini della discussione circa l’ammissibilità (costituzione e
operatività) delle società professionali in mancanza del regolamento attuativo di cui alla L. n. 266/1997 cfr. A.M. Leozappa, Società e professioni intellettuali (le società professionali tra codice civile e leggi speciali), Milano,
2004, 9 ss. e 22 ss.; v. anche il parere del Consiglio Nazionale del Notariato del 27 aprile 1998 (citato da A. DE Caro, Il modello della Stp: tappa
o punto di arrivo della società tra professionisti?, cit., 1164), ove si raccomandava ai notai di rifiutare le richieste di costituzione di società tra professionisti fin quando l’emanando regolamento non avesse stabilito le condizioni ed i requisiti per l’esercizio della professione in forma societaria oppure,
al massimo, di limitarsi a costituire società di persone, in cui però fossero
ben chiari gli elementi della personalità, della responsabilità e dell’indipendenza del professionista. Per la medesima problematica dopo la legge
«Bersani2» qui in commento, v. infra par. 5.
(19) Da diversi decenni (accanto ai ricordati interventi normativi, taluni
d’occasione, ed all’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza) era
maturata, anche a livello parlamentare, l’idea di disciplinare organicamente le società tra professionisti (si rammenti, tra i primi, il disegno di legge
Viviani n. 1102 del 1973, approvato al Senato, poi decaduto alla Came(segue)
LE SOCIETA’ N. 6/2008
671
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
Per ragioni essenzialmente riconducibili alla circostanza
che il risultato complessivo prodotto dalla società non
era coincidente con la produzione di meri servizi libero
professionali (sempre quindi muovendosi nella dicotomia professioni intellettuali/impresa, società professionali/società senza impresa), venivano ammesse, senza perciò derogare alla citata L. n. 1815 del 1939, le società
di revisione contabile (introdotte dal D.P.R. 31 marzo
1975, n. 136, oggi regolate dal D.Lgs. 27 gennaio 1992,
n. 88 e dagli artt. 155 ss., D.Lgs. 24 febbraio 1998, n.
58), le società per la gestione delle farmacie (artt. 7 e 8
L. 8 novembre 1991, n. 362, c.s.m.) (20), le società di
progettazione e realizzazione industriale e quelle cc.dd.
di consulting engineering (già art. 17, commi 8 e 9, L. 11
febbraio 1994, n. 109 c.s.m., ora 90, comma 2, D.Lgs.
12 aprile 2006, n. 163 (21), tutte espressione - ad avviso della dottrina prevalente - di società-imprese (e non
di società professionali), miranti alla produzione di servizi imprenditoriali e non (o non prevalentemente) intellettuali (22).
A ragioni diverse (e già dichiaratamente orientate all’attuazione dei principi comunitari di libera circolazione
dei servizi professionali e del diritto allo stabilimento
dei professionisti cittadini di Stati membri dell’Unione
europea in ogni Stato membro) ha risposto invece, più
di recente, il legislatore, quando, in attuazione, appunto,
di un obbligo comunitario (e, in particolare, in attuazione della direttiva comunitaria del 16 febbraio 1998 n.
98/5/Ce, volta a facilitare «l’esercizio permanente della
professione di avvocato in uno Stato membro diverso
da quello in cui è stata acquistata la qualifica professionale») ha introdotto, con il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.
96 (artt. 16-33), la società tra avvocati (23): forma ante
litteram di società tra professionisti, disciplinata dal citato decreto e, in via residuale, dalle norme che regolano
la società in nome collettivo (art. 16, comma 2) (24).
Disciplina, questa della società tra avvocati che riassumendo in sé la singolare sorte di essere un sub-modello
settoriale della più generale società tra professionisti,
che ancora non c’è, e di rappresentare, nel contempo,
un possibile schema di riferimento della disciplina generale (ancora tutta da scrivere), potrà essere, almeno in
parte, tenuta presente dal futuro legislatore delle società
professionali, anche se, considerate le peculiarità della
professione di avvocato, non potrà certamente, sic et
simpliciter, costituire il prototipo di riferimento della
nuova fattispecie societaria, la quale, stando all’art. 2, L.
n. 248/2006, lo si può anticipare sin d’ora, prefigura,
per esempio, società non monoprofessionali ma di tipo
inter o multiprofessionale (25).
Accantonati, come detto, tutti i vari progetti e disegni
di legge di riforma sulle società tra professionisti in raNote:
(segue nota 19)
ra) e iniziative di tale tenore si sono sempre succedute nel tempo, sin an-
672
LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
che nella XIV legislatura, dove erano pendenti, da un lato, articolati progetti di legge per la disciplina delle società tra professionisti (n. 1597 del
Senato e n. 1863 della Camera) e, dall’altro, accurati progetti di legge di
riforma delle professioni intellettuali, riguardanti anche la regolamentazione in termini assai dettagliati dell’esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali (n. 5940 della Camera e n. 1478 del Senato). Questa linea d’intervento non ha prodotto i suoi frutti. Anche nel corso della trascorsa ultima legislatura (la XV) sono state presentate in Parlamento diverse proposte di legge di iniziativa parlamentare per la riforma delle professioni intellettuali (cfr. i progetti C. 867 [Siliquini], C. 1319 [Vietti], C.
1442 [Laurini], S. 9 [Pastore], S. 807 [Castelli], che contemplano anche
la disciplina delle società tra professionisti) nonché il disegno di legge (C.
2160) ad iniziativa del Ministro della Giustizia [Mastella], presentato il 24
gennaio 2007 (v. in particolare l’art. 9, rubricato: «Principi e criteri in materia di società tra professionisti»), leggibile all’indirizzo elettronico http://
www.camera.it/_dati/leg15/lavori/stampati/pdf/.
(20) Cfr. P. Guida, L’oggetto della società nel settore sanitario: farmacie, vendita di farmaci, case di cura, in Notariato, 2008, 68 ss.
(21) Nel quale è trasfusa l’ultima versione del citato art. 17 della L. n.
104/1994, introdotta dall’art. 9 L. 18 novembre 1998, n. 415, che consente che l’attività di solo consulenza e progettazione possa essere svolta
da «società di professionisti», ossia da società «costituite esclusivamente
tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti
professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II, III e IV
del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o
direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di
impatto ambientale» (art. 90, comma 2, lett. a).
(22) G. Marasà, Le società, cit., 216, ove ulteriori riferimenti; A.M. Leozappa, Società e professioni intellettuali, cit., 90 ss.; G.F. Campobasso, Diritto
commerciale, 2, Diritto delle società, cit., 16 ss.; accenni critici in M. Rescigno, La «lunga marcia» verso la società tra professionisti, in AA.VV., La società tra avvocati (a cura di L. De Angelis), Milano, 2003, 14 s.
(23) Anche se - per come erano formulati l’art. 11 della direttiva 98/5/
CE e l’art. 19, comma 2, lett. e), della L. 19 dicembre 1999, n. 526 - la
necessità di attuare la direttiva citata ha rappresentato «l’occasione» e
non la «causa» per introdurre nell’ordinamento italiano la disciplina della
società tra avvocati (cfr., per tutti, E. Minervini, La società tra avvocati
(s.t.p.) nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, in Società, 2001, 1029).
(24) In argomento cfr. M. Stella Richter jr., Società tra avvocati: prime riflessioni su costituzione, modificazione e nullità, in Foro it., 2001, V, c. 332
ss.; V. Buonocore, G. Capo, F. Fezza, M. Serra, E. Codazzi, Alcuni brevi
commenti al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 in tema di società di avvocati, in Giur. comm., 2001, I, 279 ss.; AA.VV., Le società di avvocati
(Commento al d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96), Torino, 2002; AA.VV., La
società tra avvocati (Atti del Convegno svoltosi a Genova il 28 febbraio 2003),
Milano, 2003; A.M. Leozappa, Società e professioni intellettuali, cit., 42 ss.;
e v. altresı̀ gli autori citati supra alle note 9 e 15.
(25) Si ricordi che alle società tra avvocati possono partecipare soltanto
soggetti in possesso del titolo di avvocato (art. 21, comma 1, del D.Lgs.
n. 96/2001), mentre l’art. 2, comma 1, lett. c) in esame fa esplicito riferimento alla prestazione di servizi professionali di tipo interdisciplinare
(più diffusamente v. par. 4.1.). Vale la pena, al riguardo, di osservare come le professioni legali anche a livello comunitario vengano ad assumere - nell’ottica, in cui qui si sta discutendo, del loro esercizio in forma
societaria - tratti del tutto peculiari rispetto alle altre professioni che ne
rendono problematico l’esercizio in forme integrate in strutture multiprofessionali. Basti ricordare come la risoluzione del Parlamento europeo
«sulle professioni legali e l’interesse generale nel funzionamento dei sistemi giuridici» del 23 marzo 2006 (in www.europarl.eu.int) sottolinei
che «gli obblighi dei professionisti legali di mantenere l’indipendenza, di
evitare conflitti d’interesse e di rispettare la riservatezza del cliente sono
messi particolarmente in pericolo qualora [i professionisti legali] siano
autorizzati ad esercitare la professione in organizzazioni che consentono
a persone che non sono professionisti legali di esercitare o condividere
il controllo dell’andamento dell’organizzazione mediante investimenti di
capitale o altro, oppure nel caso di partenariati multidisciplinari con
professionisti che non sono vincolati da obblighi professionali equivalenti».
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
gione dei numerosi ostacoli di natura «politico-corporativa» e della prematura fine della trascorsa legislatura,
resta ora in piedi l’art. 2, comma 1, lett. c), L. n. 248/
06, che conviene pertanto cominciare ad esaminare.
3. L’art. 2, comma 1, lett. c),
della L. 4 agosto 2006, n. 248: portata
abrogativa e prescrittiva della nuova disposizione
Tralasciando per un momento i contenuti precettivi
della norma, che saranno considerati più avanti, non
può trascurarsi che questa si segnala anzitutto per la sua
singolare tecnica di redazione.
È una disposizione che in parte abroga, in parte prescrive e che, soprattutto, abrogando prescrive.
È bene, al riguardo, riprendere il testo normativo secondo il quale: «In conformità al principio comunitario di
libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione
delle persone e dei servizi (...), dalla data di entrata in
vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni
legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali: (...) c)
il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo
interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale
relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo,
che il medesimo professionista non può partecipare a
più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità» (26).
Viene subito da osservare che la norma non individua
precisamente le disposizioni oggetto di abrogazione («sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari
che prevedono con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali il divieto di fornire all’utenza
servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di
società di persone o associazioni tra professionisti»); né
prevede clausole di salvezza o di coordinamento con altre discipline che già regolano le società tra specifiche
categorie di professionisti (si pensi, ad esempio, al
D.Lgs. n. 96/2001, sulla società tra avvocati) (27).
Si tratta dunque di un’ipotesi di abrogazione generalizzata ed «innominata», ossia di un’abrogazione attuata senza identificare puntualmente le disposizioni che ne sono
oggetto (28).
La prescrizione, infatti, abrogando tutte le disposizioni
che fanno divieto di prestare servizi professionali interdisciplinari da parte di società di persone (o associazioni tra
professionisti) (29), toglie efficacia alle disposizioni che
vietano l’esercizio, in forma di società di persone, delle
attività libero professionali ed intellettuali, e, nel contempo, legittima tale eventualità, pur restando, allo stato,
quantomeno dubbia (e in ogni caso molto problematica)
- in mancanza di una disciplina positiva che regoli i diversi aspetti del fenomeno - l’operatività in concreto di
società nell’ambito delle professionisti intellettuali «protette» (diverse, naturalmente, dalle società tra avvocati,
per le quali già esiste una normativa ad hoc) (30).
Sotto il primo profilo, è appena il caso di notare che
riesce difficile - essendo intervenuta la ricordata abrogazione dell’art. 2 della L. n. 1815/1939 ad opera dell’art.
24 della legge «Bersani1» - identificare quali siano le
norme (legislative e regolamentari) ancora direttamente
preclusive dell’esercizio in forma societaria delle attività
libero-professionali e intellettuali (protette o non che
siano) e, come tali, suscettibili di abrogazione.
Si ha l’impressione, al riguardo, che il legislatore, servendosi di una norma abrogatrice «a tutto tondo», abbia voluto, da un lato, consolidare gli effetti del predetto art. 24 della legge «Bersani1», e, dall’altro, liberare
del tutto il campo daeventuali residui divieti, per avventura ancora esistenti a livello dei singoli ordinamenti
professionali.
Viene piuttosto da chiedersi se una siffatta abrogazione
non implichi, invece, la caducazione (o meglio, l’abrogazione tacita) di altre disposizioni presenti nel nostro
ordinamento, le quali, a seguito dell’intervenuta eliminazione del divieto di costituire società tra professionisti,
risultino incompatibili - ai sensi dell’art. 15 delle disp. att.
c.c. - con la nuova disposizione abrogatrice.
Si pensi, ad esempio, al disposto dell’art. 31, comma 2,
del D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, che, a proposito
dell’attività professionale del promotore finanziario (amNote:
(26) In carattere corsivo sono indicate le modifiche apportate al decreto
legge (n. 223/2006 cit.) dalla legge di conversione n. 248/2006.
(27) La legge, infatti, trascura del tutto le specificità delle singole professioni, ponendo, come si vedrà, problemi di conflitto tra norme che andranno chiariti: unica eccezione «le professioni rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso», alle
quali non si applicano le disposizioni dell’art. 2 (art. 2, comma 2, della L.
n. 248/2006).
(28) L’espressione «abrogazione innominata», per quanto consta, è di
G.U. Rescigno, Note preliminari sulle principali manchevolezze nella tecnica legislativa, in AA.VV., Fattibilità ed applicabilità delle leggi, Rimini, 1983; il ricorso a questa figura appare, peraltro, frequente e radicato nella nostra
prassi legislativa, cosı̀ come attestato dalle relazioni sull’attività parlamentare di Camera e Senato, cfr., ad esempio, Il Rapporto sull’attività parlamentare della Camera dei Deputati del 1998, 7, in www.camera.it, dove sono
presentati i dati concernenti le numerose «abrogazioni innominate» di
quell’anno.
(29) L’esercizio in forma associata delle professioni liberali risulta consentito ai sensi dell’art. 1, comma 1, della L. n. 1815/1939 (secondo cui: «Le
persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l’esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti con i terzi, esclusivamente la dizione
di studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario, seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali dei singoli associati»), norma non abrogata e tuttora vigente.
(30) Sembra qui di poter condividere (attualizzandola, però, alla luce del
nuovo art. 2 cit.) l’opinione espressa da P. Montalenti (La società tra avvocati, cit., 1170), per il quale soltanto la società tra avvocati appare legittima perché espressamente disciplinata; le società tra altri professionisti intanto possono ritenersi ammesse, in quanto [e se] ciò discenda dai principi
generali, ma non in quanto dalla disciplina della società tra avvocati possa evincersi uno «statuto» comune a tutte le società professionali, già oggi
riconoscibile come società tra professionisti [corsivo mio]. In argomento
supra nt. 18 e infra par. 5.
LE SOCIETA’ N. 6/2008
673
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
mettendo, pur senza concederlo, che si tratti di professione intellettuale «protetta», dato che esiste un albo
dei promotori finanziari), prescrive che questa può essere esercitata solo da persone fisiche e quindi non in forma
societaria, ovvero, per formulare un’altra esemplificazione, alla possibile antinomia tra la monoprofessionalità
della società tra avvocati (art. 21, comma 1, D.Lgs. n.
96/2001) e la inter o multiprofessionalità della nuova società tra professionisti.
Ma, al di là della soluzione che in concreto la scienza
del diritto può fornire a tali casi di conflitto tra criterio
di specialità e quello cronologico (31), ciò che qui si
vuol segnalare è, semplicemente, che norme siffatte, cosı̀
generaliste, lasciano all’interprete ed alla giurisprudenza
pratica l’arbitrio della decisione che, invece, dovrebbero
essere le norme stesse ad offrire in termini chiari e certi.
La disposizione presenta, come si diceva, anche una
portata prescrittiva: ora nella forma abrogativa-dispositiva, ora in quella meramente prescrittiva.
Già dalla lettura del dettato normativo di carattere
abrogativo emerge un contenuto dispositivo non privo
di suggestioni e di implicazioni sul piano dell’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie: in effetti, scomponendo la parte abrogativa della disposizione,
emergono dati non irrilevanti nella prospettiva anzidetta.
Può notarsi, infatti, che la previsione fa riferimento i)
alle attività libero professionali e intellettuali, che si parla ii)
di servizi professionali di tipo interdisciplinare e che si allude alla prestazione di tali servizi da parte iii) di società di
persone.
Continuando nella lettura (e passando quindi alla parte
meramente dispositiva), non può non tenersi in conto
che il dato normativo stabilisce altresı̀ che iv) l’oggetto sociale della società deve essere esclusivo, che v) la specifica
prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti,
sotto la loro personale responsabilità e che, infine, vi) lo
stesso professionista non può partecipare a più di una società.
Non si è di fronte, come può agevolmente arguirsi già
da questi primi dati, ad una normativa organica della
materia e neppure ad una disposizione in grado di per
sé (e magari con l’ausilio dell’autonomia statutaria e dell’espresso - ancorché mero - rinvio alla disciplina delle
società di persone) di consentire l’effettivo funzionamento nel nostro ordinamento delle società tra professionisti; si tratta, però, di una disposizione che induce, o
meglio obbliga tanto gli operatori (quanto il legislatore
futuro) a modulare la disciplina di tali società sulla base
dei principi e dei criteri di massima in essa contenuti, i
quali, come subito si cercherà di dimostrare, non sempre
appaiono suscettibili di univoca interpretazione.
4. Elementi della fattispecie. L’ambito
di applicazione: le attività libero professionali
e intellettuali
Il discorso sull’ambito oggettivo di applicazione della
fattispecie società tra professionisti non può che partire
674
LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
dall’inciso attività libero professionali e intellettuali, al quale
fa specifico riferimento l’ormai più volte citato art. 2,
comma 1, lett. c).
La società tra professionisti, per come siamo abituati a
pensarla, si caratterizza per lo svolgimento in comune di
una professione intellettuale tra quelle disciplinate dagli
artt. 2229 ss. c.c. (32): è importante perciò anzitutto
comprendere meglio quali siano, alla luce della nuova
disposizione, le attività professionali che possono costituire l’oggetto della fattispecie e se, rispetto all’anzidetto
tradizionale concetto di società tra professionisti, si presentino ora delle novità.
E ciò perché, per la verità, l’espressione attività libero professionali e intellettuali presenta tratti di ambiguità e si
presta almeno ad una duplice interpretazione.
Infatti, attribuendo valore coordinativo alla congiunzione e che unisce le parole «attività libero professionali»
e «intellettuali», l’espressione può intendersi nel senso
di «libere professioni intellettuali»; attribuendo, invece,
alla medesima congiunzione valore aggiuntivo, la stessa
espressione sembra doversi leggere come riferentesi sia
alle attività libero professionali sic et simpliciter (ossia a
quelle non intellettuali) sia a quelle intellettuali.
Le due diverse costruzioni grammaticali offrono quindi
all’interprete due diverse opzioni interpretative: la prima
è quella della società tra professionisti intellettuali (cosı̀
come siamo abituati oggi a pensarla), la seconda si presta invece ad una lettura secondo cui, accanto alla tradizionale fattispecie, vi sarebbe anche quella della società tra liberi professionisti non intellettuali.
Giova osservare che la seconda opzione (che apre l’orizzonte interpretativo anche alle società tra liberi professionisti non intellettuali) - per quanto possa forse apparire inusuale, essendo abituati a cogliere (più o meno correttamente) il sintagma libere professioni non solo nel
senso di professioni che si svolgono essenzialmente senza vincolo di dipendenza o subordinazione, ma anche
(e soprattutto) nell’accezione forte di professioni «intellettuali» (33), ossia di attività nelle quali è prevalente il
Note:
(31) Sul principio lex posterior generalis non derogat priori speciali e sulla sua
discussa applicabilità nel nostro ordinamento, cfr. N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, 230 s. e R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, nel Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1993, 418 s., secondo i quali questa regola non sembra aver alcun
fondamento nell’ordinamento vigente e, pertanto, i limiti di detto principio - che si tramanda attraverso la ricordata regola - andrebbero, in effetti,
di volta in volta, verificati alla stregua delle intenzioni del legislatore, non
potendosi escludere che a rimanere tacitamente abrogata sia la disposizione speciale antecedente.
(32) V. anche supra nt. 2.
(33) C. Lega, La libera professione, Milano, 1952, 2 ed., 5, per il quale «col
termine di libera professione viene comunemente qualificata quell’attività
lavorativa prevalentemente di carattere intellettuale posta in essere senza
vincoli di subordinazione e con ampia discrezionalità tecnica da certe categorie di lavoratori intellettuali i quali, per poterla legittimamente esplicare,
devono essere iscritti in speciali albi o elenchi»; L. Riva - Sanseverino, Lavoro autonomo, nel Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G.
Branca, sub artt. 2222-2246, Bologna-Roma, 2 ed., 1972, 158.
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
momento intellettuale, legato all’ingegno, su quello materiale (34) - non può essere esclusa a priori, dal momento che il nostro legislatore, negli ultimi anni, ha
manifestato una tendenza a «professionalizzare» (ossia a
chiamare testualmente «professioni») anche talune attività nelle quali la dimensione intellettuale è del tutto
assente o comunque in larga misura non prevalente.
Pur nella difficoltà quindi di dire chi possa qualificarsi
come professionista (35) e senza potersi ormai più stupire che, accanto ai professionisti intellettuali, vi siano
dei «professionisti» la cui attività ha carattere schiettamente materiale (36), si opina, tuttavia, che l’interpretazione da privilegiare sia la prima (quella secondo cui
la norma in discussione si riferirebbe alle sole società tra
liberi professionisti intellettuali); e ciò non perché si
continui a pensare, secondo l’abitudine mentale poc’anzi ricordata, che non possano darsi classi di professionisti
non connotate dal tratto dell’intellettualità, ma perché
non vi è dubbio che la prestazione del professionista
«non intellettuale» possa già oggi essere fornita attraverso schemi non riconducibili al contratto d’opera intellettuale (artt. 2229 ss. c.c.) e ricollegabili invece a quelli
del contratto di appalto di servizi (art. 1655 c.c.), implicanti una «spersonalizzazione» della prestazione compatibile con l’esercizio in forma societaria di tali attività.
Questo ordine di argomentazioni, d’altronde, era già stato proposto, con riguardo alle professioni intellettuali
«non protette», da quella letteratura giuridica che, per
quanto contraria all’ammissibilità delle società tra professionisti «protetti», riconosceva al professionista per il
quale non era richiesta l’iscrizione in albi od elenchi non essendo a costui inderogabilmente applicabile la disciplina del contratto d’opera intellettuale (e segnatamente l’art. 2232 c.c. che impone il carattere rigorosamente personale della prestazione) - la facoltà di scegliere le forme giuridiche del contratto d’appalto e, in definitiva, la facoltà di agire come imprenditore e di unirsi
in società con altri (37).
A maggior ragione questo ragionamento sembra poter
valere per le professioni «non intellettuali» che non appaiono vincolate al rispetto del principio della personalità della prestazione di cui all’art. 2232 c.c., per le quali
l’esercizio in comune della loro attività non sembra riconducibile nell’alveo delle società tra professionisti, potendosi ridurre il fenomeno all’esercizio in forma societaria di un’attività imprenditoriale.
La circostanza che l’esercizio in comune di attività (o
meglio, e per seguire le tendenze linguistiche del legislatore, di «professioni») che non si connotano per il sistematico confronto «di un sapere ad un problema» possa
già oggi configurare il normale esercizio di una società
commerciale avente ad oggetto la produzione di servizi,
lascia in definitiva preferire l’idea che qui il legislatore si
sia voluto occupare del fenomeno classico delle società
tra professionisti intellettuali e, segnatamente, di quelle
esercitate dai cosiddetti professionisti protetti. Ed è per-
Note:
(34) F. Santoro Passarelli, Professioni intellettuali, nel Noviss. Dig. Italiano,
Torino, 1967, 23-24; nei medesimi termini Cass. 11 aprile 1983, n. 2542,
in Giur. comm., 1984, II, 186; per altri (A. Perulli, Il lavoro autonomo.
Contratto d’opera e professioni intellettuali, nel Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni (e ora da P.
Schlesinger), XXVII, t. 1, Milano, 379 ss.) sarebbe sterile prospettare un
problema di «misura» dell’intellettualità versus manualità; «l’intellettualità
sarebbe piuttosto da valorizzare sul piano della fattispecie, non già come
aspetto meramente interno del soggetto agente e preliminare rispetto all’opus offerto, bensı̀ quale componente che si sostanzia estrinsecandosi direttamente nel servizio fornito al cliente, sia esso un opus materiale (ad es.
un progetto di ingegneria, una protesi approntata dall’odontoiatra, un atto
difensivo, ecc.) o meno (come il prodotto immateriale di un’attività, quale
il canto, o il risultato intangibile - ma altrimenti apprezzabile, in quanto
appartenente al reale - di una terapia medica efficace)». Secondo N. Irti
(Gli errori dell’Antitrust sulle libere professioni, in Italia Oggi del 14 ottobre
1997, 27) «la peculiarità della prestazione intellettuale è quella di implicare sempre la soluzione di un problema sulla base di un sapere, e, quindi, di
rivelare un contenuto creativo o inventivo; in sintesi quella intellettuale è
una prestazione che confronta un sapere ad un problema». Anche nell’utilizzo comune del termine siamo usi considerare la «professione» come
«un’attività intellettuale, per lo più indipendente, che si esercita dopo aver
conseguito la laurea o una particolare abilitazione» (v. voce Professione,
nel Vocabolario della lingua italiana di N. Zingarelli, Bologna, 2006).
(35) Sulla difficoltà di chiarire chi siano i professionisti e di individuare
un criterio di selezione razionale dei servizi libero-professionali, cfr. P. Spada, Diritto commerciale, cit., 50 s., ad avviso del quale si va dal «campione
di forza fisica (che solleva pesi o spezza catene) (...) ai medici, avvocati,
architetti, ecc.», essendo la condizione di professionista «quasi un bottino
di guerra combattuta da questo o quel mestiere per conquistarsela in Parlamento a colpi di lobbying»; già Id., Società tra professionisti, in Riv. not.,
1997, 1366.
(36) Mette conto rilevare che sono stati considerati «professionisti» anche i «maestri di sci», per i quali l’esercizio della professione è subordinato
all’iscrizione in «albi professionali», tenuti da «collegi regionali», che svolgono, tra l’altro, funzioni di vigilanza sul corretto esercizio della professione e applicano le relative sanzioni disciplinari, e che l’esercizio abusivo
della professione di «maestro di sci» - alla stregua di quanto avviene per
le professioni liberali di più antica tradizione - è anche sanzionato penalmente, cfr. la Legge-Quadro 8 marzo 1991, n. 81 «per la professione di
maestro di sci ed ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della
professione di guida alpina»; sulla tendenza a «professionalizzare» attività
sino ad oggi considerate tecniche, v. l’Indagine conoscitiva dell’Antitrust
sul settore degli ordini e dei collegi professionali, cit., 193, nonché la L. 1
febbraio 2006, n. 43 («Disposizioni in materia di professioni infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie, e della prevenzione e delega
al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali»), con cui è
stata data al Governo la delega per l’istituzione degli ordini professionali
relativi alle cc.dd. professioni sanitarie ausiliarie.
(37) T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962, 169 ss.; F. Galgano, Le società di persone, cit., 27 ss.; Id.,
Le professioni intellettuali e il concetto comunitario di impresa, cit., 8 ss., per il
quale «i prestatori d’opera intellettuali non protetti che si uniscono in società perdono oneri e privilegi dei professionisti intellettuali: la prestazione
d’opera dei soci è, giuridicamente, un conferimento di servizi in società [di
persone], in niente diverso da ogni altro conferimento di servizi; l’attività
esterna della società non si differenzia in niente dall’attività di qualsiasi altra società che offra al pubblico servizi. Si tratterà in ogni caso di una società che esercita una impresa di produzione di servizi, classificabile al n. 1 dell’art. 2195»; ed ancora Id., Diritto commerciale. Le società, cit., 12 s., G.F.
Campobasso, Diritto commerciale, cit., 18 s.; e v. anche M. Rescigno, La
«lunga marcia» verso la società tra professionisti, cit., 16, il quale - pur dichiarandosi non convinto di tale tesi che presuppone, a suo avviso, la non facile dimostrazione i) della derogabilità della personalità della prestazione, ii)
dell’utilizzazione del modello societario per tramutare una prestazione d’opera professionale in una prestazione di appalto di servizi, iii) della possibilità
di configurare una società senza impresa) - riconosce che l’esercizio in forma societaria (senza particolari limitazioni tipologiche) delle professioni intellettuali «non protette» costituisce ormai un innegabile dato della realtà.
LE SOCIETA’ N. 6/2008
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DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
tanto in questa prospettiva che saranno svolte le considerazioni che seguono.
L’interpretazione proposta sembra peraltro trovare ulteriore conferma nella circostanza che la disposizione di
cui si tratta è stata introdotta dal legislatore unitamente
a quelle concernenti l’abrogazione delle previsioni relative all’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, al divieto di svolgere pubblicità informativa ed al c.d. «patto
di quota-lite» (art. 2, comma 1, lett. a) e b) e comma 2
bis), istituti che, tradizionalmente, caratterizza(va)no le
professioni intellettuali protette.
Chiarito cosı̀ che la disposizione in esame sembra volersi occupare delle sole forme di esercizio societario delle
professioni intellettuali «protette» e non anche delle tipologie societarie da utilizzarsi per lo svolgimento delle
professioni intellettuali «non protette», va, tuttavia, sottolineato che questa distinzione resta comunque significativa (e sarebbe auspicabile che il futuro legislatore se
ne facesse carico), se è vero - come ha dimostrato la
dottrina - che le professioni «non protette» possono essere esercitate, per le ragioni anzidette, in forma societaria senza limitazioni, ossia mediante l’utilizzo di tutti i tipi societari (38).
Un intervento del legislatore sul punto - è inutile nasconderlo - potrebbe essere importante non solo per dare rilievo normativo ad una sistemazione concettuale,
qual è quella testé ricordata in tema di società tra professionisti «non protetti», sı̀ consolidata ma pur sempre
discutibile e controvertibile, ma anche per chiarire altri
aspetti che nella società inter o multiprofessionale (nel
senso che subito sarà chiarito) potrebbero dar luogo a
profili di indubbia criticità (39).
4.1. (segue): l’oggetto sociale:
l’interdisciplinarietà (o la multiprofessionalità)
dell’attività sociale
Come sopra anticipato, la norma in esame, abrogando
tutte le disposizioni che vietano di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare, introduce un
elemento di novità; o meglio, un dato che sembra presentare tratti innovativi soprattutto se si guarda ad alcune esperienze settoriali di società tra professionisti ed in
particolare alla società tra avvocati, il cui oggetto sociale
è configurato in termini rigorosamente monoprofessionali (40).
In realtà la norma fa riferimento ai servizi inter-disciplinari e non a quelli inter-professionali, lasciando, almeno
di primo acchito, il dubbio che ci si voglia riferire allo
svolgimento di diverse discipline o specialità, sempre
però nell’ambito di una medesima professione (si pensi,
ad esempio, alla società tra psicologi, alla quale partecipano neuropsicologi, sessuologi ed etnopsicologi oppure
alla società tra medici, alla quale prendono parte nefrologi, endocrinologi, reumatologi, ortopedici, oncologi,
ovvero a quella tra ingegneri idraulici, elettronici ed
edili o ancora alla ormai tipizzata società tra avvocati,
dove, accanto ai civilisti, vi siano penalisti, internazio-
676
LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
nalisti, lavoristi e cosı̀ continuando). Dubbio che, peraltro, risulta corroborato dalla circostanza che nell’ambito
di taluni albi professionali sono ora previsti settori (istituiti nelle diverse sezioni degli albi) a cui corrispondono
attività professionali e percorsi formativi diversi nell’ambito della medesima professione con tanto di competenze di natura riservata attribuite agli iscritti ai vari settori (41).
Sembra, però, che - al di là del dato letterale e dell’anzidetta distinzione di competenze, pure esistente in qualche albo professionale (finalizzata, in verità, per lo più a
segnare la differenza tra iscritti all’albo titolari di laurea
c.d. breve ed iscritti all’albo titolari di laurea c.d. specialistica) - si possa, più correttamente (ed in assenza, per
il momento, di un più chiaro perimetro normativo della
fattispecie), attribuire all’espressione in esame il significato di società inter o multiprofessionale, nel senso, cioè,
di società tra professionisti iscritti ad albi o elenchi anche tra loro diversi (42), le cui prestazioni, anche nel
caso, come si dirà, di prestazione integrata o complessa,
restano in ogni caso distinte nei limiti delle (eventuali)
riserve di attività, senza con ciò, naturalmente, escludere che possano continuare ad esservi in concreto anche
iniziative societarie soltanto monoprofessionali.
L’idea della multiprofessionalità consente, infatti, rispetto a quella dell’interdisciplinarietà, di meglio rispondere
alle esigenze dei clienti che operano in un contesto ecoNote:
(38) F. Galgano, Le società in genere, cit., 34 ss.; P. Abbadessa, Le disposizioni generali sulle società, nel Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 16, Torino, 1985, 19; F. Ferrara Jr - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 11 ed., 1999, 283; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2,
Diritto delle società, Torino, cit., 18 s.
(39) Si pensi ad esempio all’ammissibilità o meno dell’esercizio «in comune» nell’ambito della medesima società di professioni «protette» e «non
protette».
(40) Il D.Lgs. n. 96/2001 stabilisce, infatti, che «i soci della società tra avvocati devono essere in possesso del titolo di avvocato» (art. 21, comma
1) e soprattutto che «la società tra avvocati ha per oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione dei propri soci» (art. 17, comma 2);
si esclude, in altre parole, che alla società tra avvocati possano prendere
parte soggetti diversi da coloro che sono iscritti nell’albo degli avvocati.
Inutile ribadire che il nuovo legislatore in sede di coordinamento tra modelli societari già esistenti e nuovo modello multiprofessionale dovrà farsi
carico o di far salva l’attuale monoprofessionalità delle società tra avvocati
o di abrogare la vigente previsione, ferma restando, come si dirà, l’eventualità che la società multiprofessionale possa darsi in concreto un oggetto
sociale monoprofessionale.
(41) Cfr. D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328 recante «modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle
relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina
dei relativi ordinamenti» (in S.O. n. 212/L alla G.U. n. 190 del 17 agosto 2001).
(42) In tal senso pare anche orientato il legislatore francese (L. n. 90/
1258 cit. supra alla nt. 9) che prefigura società tra professionisti aventi ad
oggetto l’esercizio in comune di più professioni liberali (art. 1, comma 2)
e nel medesimo senso si pronunciava altresı̀ lo schema di decreto attuativo dell’art. 24 della L. n. 266/1997 (legge «Bersani1») (artt. 1, 3 e 6,
comma 3), citato alle note 17 e 49 del presente lavoro, che parlava
espressamente di società professionali come di «società aventi ad oggetto
l’esercizio di più attività professionali (...)».
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
nomico sempre più articolato ed integrato e quindi di
assicurare a questi ultimi la possibilità di fruire di un’ampia gamma di servizi professionali «raggruppati», rivolgendosi ad un’unica struttura per la prestazione di più
servizi (c.d. vantaggio dello one-stop-shop) (43); dovrebbe cosı̀ risultare più garantita, per gli utenti, quella «facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato», che rappresenta, come segnalato in apertura, una delle finalità
generali che la legge «Bersani2» intende perseguire
(artt. 1 e 2).
Sembra, inoltre, da ammettersi (pur con tutte le criticità del caso), accanto alla società tra professionisti esercente distintamente più attività professionali (multiprofessionalità debole), anche l’idea di una multiprofessionalità forte, ossia la possibilità che la società renda una
prestazione intellettuale complessa ed integrata (da intendersi come la risultante ultima di più saperi, di più
«prestazioni protette»), ferma restando la personale esecuzione della prestazione (e la conseguente responsabilità da imputarsi secondo «la gravità delle rispettive colpe
e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate» ex
artt. 2055 e 1227 c.c., v. infra par. 5.1.) da parte dei soci-professionisti in possesso delle competenze necessarie
per l’esercizio dell’attività professionale richiesta e nel rispetto dei limiti derivanti dalle eventuali riserve di attività e delle regole deontologiche prescritte per ciascuna
professione (44), limiti e regole che dovranno essere osservati con particolare diligenza, onde evitare l’esercizio
abusivo o indiretto della professione.
Nulla invece è dato ricavare dal dato legislativo circa
eventuali criteri di complementarietà e di compatibilità tra
le diverse attività professionali esercitabili dalla società.
Ed invero, la complementarietà tra distinte professioni
non sembra essere dato suscettibile di cristallizzazione in
regole normative; l’opportunità di costituire società per
l’esercizio in comune di professioni ontologicamente distanti, in ambiti, cioè, anche non omogenei, appare
semmai un dato da valutarsi alla stregua delle condizioni, delle esigenze e delle richieste dell’utenza e del mercato in un determinato contesto socio-economico e
non sembra perciò potersi predeterminare per legge.
Il requisito della compatibilità tra le diverse attività professionali presenta, invece, tratti di minor relativismo.
L’indipendenza, l’assenza di conflitto d’interessi, l’autonomia nello svolgimento della propria attività professionale sono valori che possono essere compromessi (o anche soltanto posti potenzialmente in pericolo) quando
più professioni vengono esercitate in forma societaria (45).
Può infatti darsi che le diverse attività professionali
svolte dalla società multiprofessionale (per il tramite dei
suoi professionisti, disgiuntamente o congiuntamente)
risultino tra loro incompatibili (46), ovvero che gli stessi ordinamenti professionali di settore prevedano forme
di incompatibilità tra le diverse attività professionali (47).
Note:
(43) Questa è anche l’idea manifestata dalla Corte di giustizia europea
nella sentenza 19 febbraio 2002 (C-309/99), in www.curia.eu.int concernente gli studi multiprofessionali (v. infra nt. 46).
(44) Se si conviene che la prestazione complessa è la risultante dell’integrazione tra più attività meramente intellettuali e che questa soltanto costituisce il prodotto o il servizio con cui si conclude il ciclo produttivo per
cui è organizzazione societaria professionale, allora dovrebbero forse potersi
superare le perplessità ravvisate da G. Marasà (Le società, cit., 221), secondo il quale «lo svolgimento di una prestazione professionale complessa potrebbe rendere ancor più difficile nei singoli casi concreti la distinzione tra
società multiprofessionale e società che produce servizi imprenditoriali la
cui realizzazione richiede anche l’utilizzazione di prestazioni professionali»
e, più di recente, riprese da A.M. Leozappa (Società e professioni intellettuali,
cit., 92 ss.), che, a proposito delle suindicate «società di professionisti» ex
art. 90, D.Lgs. n. 256/2006, sostiene l’impossibilità di ricondurre tale fattispecie nella categoria delle società preordinate all’esercizio in comune da
parte dei soci dell’attività professionale, in quanto l’attività che somma le
diverse prestazioni costituirebbe un opus finale più ampio e complesso rispetto alle prestazioni tipiche delle professioni nelle quali si articola, con
la conseguente possibile ricostruzione della fattispecie in termini di impresa commerciale anziché professionale. Sembra invece, come già sottolineato nel testo, che in questi casi l’oggetto sociale si sostanzia in una serie di
«prestazioni protette» che danno luogo ad una prestazione intellettuale integrata ed unitaria che ben può costituire - ove si prescinda, per la sua
realizzazione, dalla utilizzazione di servizi imprenditoriali - l’oggetto di una
società tra professionisti multidisciplinare. È chiaro che vi dovrà essere
una particolare attenzione del legislatore per questi aspetti: la nuova normativa non potrà confliggere con le riserve di attività previste dalla legge
e dovrà altresı̀ regolare i diversi profili di responsabilità anche disciplinare
conseguenti all’effettuazione della prestazione integrata. Nel senso della
multiprofessionalità forte v. già P. Schlesinger, Abolito il divieto dell’esercizio
in forma societaria di attività professionali, in Corr. giur., 1997, 1369; E. Minervini, La società tra avvocati (s.t.p.) nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, in
questa Rivista, 2001, 1035, secondo il quale sarebbe addirittura illogico
bandire dall’ordinamento italiano le società multiprofessionali che favoriscono forme di associazione tra professionisti appartenenti a diversi settori.
(45) Il rischio della perdita di indipendenza - che, a riflettere bene, già
può sussistere per il professionista che presta la propria attività non a livello individuale ma nell’ambito di una struttura monoprofessionale gerarchicamente organizzata (lo sottolineano anche S.M. Carbone - F. Munari,
L’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante, cit., 443 ss.) - risulta indubbiamente molto accresciuto nel caso di società multiprofessionale, dove (come dice la già menzionata risoluzione del Parlamento europeo «sulle professioni legali e l’interesse generale nel funzionamento dei sistemi giuridici»
del 23 marzo 2006 [ma v. già l’art. 19, comma 2, lett. e, L. n. 526/1999
cit.]) gli obblighi di mantenere l’indipendenza, di evitare conflitti d’interesse e di rispettare la riservatezza del cliente sono messi in pericolo nell’ipotesi in cui i professionisti siano autorizzati ad esercitare la propria attività
in organizzazioni che consentono a persone che non sono professionisti legali di esercitare il controllo mediante investimenti di capitale oppure nel
caso di partenariati multidisciplinari con professionisti che non sono vincolati da
obblighi professionali equivalenti; cfr. U. Morello, Società tra professionisti: il faticoso emergere di un nuovo sistema, in Notariato, 1998, 211, nt. 18, che vede nelle società multiprofessionali il rischio di collisione tra obblighi deontologici diversi ai quali sono tenuti i singoli professionisti appartenenti ad
ordini differenti o il possibile esercizio indiretto della professione.
(46) È il caso preso in considerazione dalla sentenza richiamata nella nt.
43, dove si è sostenuta l’incompatibilità tra l’attività di «consulenza» prestata da un avvocato e quella di «controllo contabile» esercitata da un revisore dei conti, entrambi soci della medesima società. In tale caso si è ritenuto che non essendo, nei Paesi Bassi, il revisore dei conti tenuto al segreto professionale, cosı̀ come invece lo è l’avvocato, «quest’ultimo potrebbe non essere in grado di consigliare e di difendere il proprio cliente
in maniera indipendente e nel rispetto di un rigoroso segreto professionale
ove appartenga ad una struttura avente anche la funzione di rendere conto [senza segreto professionale] dei risultati finanziari delle operazioni per
le quali egli è intervenuto».
(47) Ad esempio, il D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139 («Costituzione del(segue)
LE SOCIETA’ N. 6/2008
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DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
Non sembra, tuttavia, che le incompatibilità fissate dalle leggi professionali per determinate attività possano essere senz’altro di ostacolo all’esercizio societario di quelle
medesime attività, essendo tali incompatibilità pensate,
evidentemente, con riguardo alla sola persona fisica del
professionista che intende svolgerle contestualmente. Se
cosı̀ fosse, risulterebbe infatti preclusa la possibilità, in
una buona parte di casi, di costituire società multiprofessionali.
L’incompatibilità va dunque valutata non guardando alla elusione delle regole sull’incompatibilità fissate dalle
attuali leggi professionali con riferimento all’esercizio di
più attività da parte del medesimo professionista, ma va
vagliata considerando il rispetto dei canoni di diligenza,
correttezza, trasparenza e assenza di conflitto d’interesse
che devono essere assicurati, nell’interesse del cliente,
quando la prestazione professionale è dedotta in società
e ciò a fortiori nel caso di prestazione professionale complessa e integrata.
In questa prospettiva, sarebbe allora opportuno pensare,
oltre (e più) che a clausole normative di incompatibilità, a regole di correttezza e di trasparenza in favore della
clientela, che, con riguardo alle specifiche attività professionali in concreto esercitate, possano evitare o attenuare i conflitti d’interesse e garantire l’autonomia dei
singoli professionisti appartenenti alla stessa società.
È infine da dire - volgendo lo sguardo ad altro profilo
non toccato dal legislatore in questa occasione (ma
strettamente correlato al tema della multiprofessionalità)
- che, potendo essere esercitate le professioni intellettuali (oltre che individualmente) attraverso lo schema societario, i vari albi professionali dovranno ovviamente
prevedere apposite sezioni nelle quali iscrivere tali società (48), con la possibile alternativa (che il futuro legislatore dovrà sciogliere), nell’ipotesi di società multiprofessionale, tra l’iscrizione della società in tanti albi quante
sono le attività esercitate dalla società e l’iscrizione in
un solo albo e, precisamente, in quello relativo all’attività individuata come prevalente dallo statuto (49).
4.1.1. (segue): l’esclusività dell’oggetto sociale.
Attività riservate e limiti dell’oggetto sociale
Chiarito cosı̀ che la nuova società tra professionisti potrà avere i caratteri della multiprofessionalità nel senso
anzidetto, conviene osservare che la disposizione in esame - novellando, tra l’altro, il testo dell’art. 2, comma
1, lett. c), del d.l. n. 223/2006 (convertito nella L. n.
248/2006) che nulla diceva sul punto - prescrive altresı̀
che «l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo».
L’oggetto sociale potrà dunque essere monoprofessionale
o multiprofessionale (ossia prevedere l’esercizio, distinto,
congiunto o integrato, di una o più attività professionali, nei limiti, nel caso di svolgimento integrato di più
professioni, delle eventuali riserve di attività), ma dovrà
essere necessariamente limitato all’esclusivo svolgimento
delle professioni intellettuali ed alle attività ad esse stru-
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LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
mentali (50), con esclusione quindi di qualsiasi altra attività economica.
Nulla però viene detto circa i limiti dell’oggetto sociale,
o, più esattamente, in ordine ai contenuti specifici delle
attività professionali deducibili nell’oggetto sociale, né,
probabilmente, considerato il carattere ellittico della disposizione, altro poteva essere detto.
Si tratta, tuttavia, di un aspetto piuttosto delicato che
in passato ha già dato luogo a prese di posizioni non
sempre convergenti e che pertanto merita attenzione.
Il problema, più precisamente, è quello del rapporto tra
l’esclusività dell’oggetto sociale e le cosiddette riserve di
attività: vale a dire se l’oggetto sociale debba essere limitato alla sola previsione dell’esercizio dell’attività professionale nei limiti derivanti dalla (ove esistente) riserva
di attività (si pensi all’assistenza, rappresentanza e difesa
in giudizio per gli avvocati, o alla progettazione ed esecuzione di cemento armato per gli ingegneri, architetti,
geometri o periti industriali ai sensi della L. 5 novembre
1971, n. 1086, c.s.m.); ovvero se, per converso, nell’oggetto sociale possano rientrare anche quelle attività che,
pur essendo fuori dalla riserva, formano abitualmente
oggetto di una data professione (si pensi ad esempio alla
«consulenza legale stragiudiziale» per l’avvocato, alla
«pianificazione territoriale-urbanistica» per gli ingegneri
e gli architetti, oppure ancora alla «consulenza tributaria» per i commercialisti ed i ragionieri) (51).
Note:
(segue nota 47)
l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’art. 2 della L. 24 febbraio 2005, n. 34») stabilisce che «la professione di
dottore commercialista e di esperto contabile è incompatibile con l’esercizio della professione di notaio, di giornalista professionista e con l’attività
di promotore finanziario (...) » (art. 4).
(48) Cosı̀ è stato fatto per le società tra avvocati che sono iscritte in una
speciale sezione dell’albo con funzione di certificazione anagrafica e di
pubblicità notizia (art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 96/2001), profili già esaminati da N. Riccardelli, Dell’iscrizione nell’albo e della responsabilità disciplinare, in AA.VV., Le società tra avvocati (Commento al d.lgs. 2 febbraio 2001,
n. 96), Torino, 2002, 121 ss. e da O. Cagnasso, L’iscrizione nella sezione
speciale e l’invalidità della società, in AA.VV., La società tra avvocati (a cura
di L. De Angelis), Milano, 2003, 135 ss.
(49) Quest’ultima, per quanto molto discutibile, era la soluzione prevista
nel già citato schema di regolamento attuativo dell’art. 24 della L. n.
266/1997 (c.d. «Bersani1») (art. 6, comma 3). Basti qui rilevare che questa iscrizione parziale, oltre a non assolvere omogeneamente nei confronti
di tutta la clientela della società le funzioni di pubblicità-notizia, che l’iscrizione dovrebbe assicurare, renderebbe oltremodo complicata l’applicazione delle regole in materia di procedimento e responsabilità disciplinare
del socio professionista non iscritto all’Ordine presso il quale è iscritta la
società, dovendosi ritenere che i poteri sanzionatori spettino al Consiglio
dell’Ordine nei soli riguardi degli iscritti presso il proprio Ordine.
(50) Sulla compatibilità tra esclusività dell’oggetto sociale e complessità
(nel senso di multiprofessionalità) dell’oggetto sociale, v. anche G. Marasà, Le società, cit., 221.
(51) Non può nascondersi che il caso forse più dibattuto (sul quale si tornerà tra breve) è indubbiamente quello della «consulenza legale stragiudiziale» che si presenta come attività libera, da chiunque esercitabile, non
riservata esclusivamente agli iscritti all’albo degli avvocati (v. infra nt.
53); pur non mancando, come si è testé accennato, altre ipotesi di attività
(segue)
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
Per chiarire meglio questo profilo, non è forse inutile fare riferimento all’ormai più volte richiamato D.Lgs. n.
96/2001 sulle società tra avvocati (considerando quest’ultima, almeno per il profilo qui in esame, una sorta
di modello-base di riferimento per la società tra professionisti). Il decreto citato sembra, al riguardo, fare una
scelta piuttosto chiara quando dispone che «l’attività
professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in
giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti,
denominata società tra avvocati» (art. 16, comma 1):
per la prestazione in forma societaria di tali attività gli
interessati non possono optare per modelli societari diversi da quello normativamente chiamato società tra
avvocati. La stessa disciplina sulla società tra avvocati,
tuttavia, stabilisce che quest’ultima «ha per oggetto
esclusivo [non solo la rappresentanza, l’assistenza e la difesa in giudizio ma anche] l’esercizio in comune della
professione dei propri soci» (art. 17, comma 2), i quali
«devono essere in possesso del titolo di avvocato» (art.
21, comma 1).
Sembrerebbe, dunque, che l’oggetto sociale della società
tra avvocati possa ricomprendere in sé non solo le attività oggetto di riserva, ma anche quelle (come la «consulenza legale stragiudiziale») che abitualmente sono svolte
da chi esercita la professione di avvocato (52), pur essendo queste ultime considerate, secondo un consolidato
orientamento, attività libere che possono essere prestate
anche da soggetti non iscritti all’albo forense (53).
Se ora si traspone - come sembra possibile fare - questa
impostazione sul piano più generale della società tra
professionisti, nell’oggetto esclusivo di questa dovrebbe
risultare necessariamente compreso l’esercizio in comune delle attività riservate ai propri soci e (ove ciò risponda ad una scelta degli interessati) ne potrebbe risultare altresı̀ compreso lo svolgimento di quelle non riservate (che formano oggetto della professione), con la
conseguente applicazione dello statuto speciale della società tra professionisti; queste ultime attività (quelle
non riservate), tuttavia, potendo altresı̀ essere svolte da
chiunque - i.e.: da soggetti non necessariamente iscritti
ad albi professionali, per i quali, come si è sopra rilevato, non risultano inderogabili le disposizioni (artt. 2232
e 2233 c.c.) previste in materia di contratto d’opera intellettuale - potranno essere esercitate anche attraverso
le forme societarie di diritto comune (art. 2249 c.c.).
4.2. (segue): le parti
La norma si limita a dire che «il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la
specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci
professionisti, previamente indicati, sotto la propria responsabilità» (54).
Tralasciando, per il momento, gli aspetti attinenti alla
personalità ed alla responsabilità della prestazione che la
disposizione pure evoca e che saranno ripresi più avanti
(par. 5.1), è il caso di osservare che anche qui il legisla-
tore non offre all’interprete elementi chiari per arrivare
a delle conclusioni certe in ordine i) ai profili soggettivi
di partecipazione alla società tra professionisti (e, segnatamente, alla partecipazione di soci «capitalisti») e ii)
all’utilizzo di professionisti non soci (in qualità di sostituti o ausiliari dei soci-professionisti).
L’unico dato che sembra essere certo è quello per cui è
vietato al socio-professionista di partecipare a più di una
società (tra professionisti) (55), pur non essendo, però,
Note:
(segue nota 51)
non riservate, come, ad esempio, l’attività di «pianificazione territoriale»,
che normalmente è svolta dagli ingegneri e dagli architetti, anche se esiste la figura professionale dell’urbanista - creatasi di recente con l’istituzione della laurea in urbanistica, per la quale non è prescritto un esame di
Stato e l’iscrizione in un albo - che consente di acquisire e prestare particolari competenze in materia di «pianificazione territoriale». Analogamente lo sguardo può essere rivolto all’attività di «consulenza tributaria»,
che, non costituendo attività riservata ai commercialisti ed ai ragionieri,
può essere svolta anche da professionisti non iscritti all’albo (in argomento v. L’indagine conoscitiva dell’Antitrust, cit., 188).
(52) Cosı̀ C. Ibba, Società tra avvocati e tipi societari, cit., 576 ss., secondo
il quale, condivisibilmente, l’attività di mera consulenza non soggiace necessariamente allo statuto speciale della società tra avvocati, potendosi optare anche per forme societarie di diritto comune; E. Minervini, La società
tra avvocati (s.t.p.) nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, in questa Rivista,
2001, 1032; L. De Angelis, La società tra avvocati: uno sguardo d’insieme,
in AA.VV., La società tra avvocati (a cura di L. De Angelis), Milano,
2003, 40; M. Rescigno, La «lunga marcia» verso la società tra professionisti,
cit., 20 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 22, nt. 41; ad avviso di
P. Montalenti, La società tra avvocati, cit., 1171 ss., non appare invece
fondata l’interpretazione secondo cui la consulenza legale può oggi essere
esercitata in comune attraverso qualsiasi schema metaindividuale, ivi
comprese le società di capitali e, quindi, esercitabile anche attraverso società di forma e/o sostanza commerciale; v. anche A.M. Leozappa, Società
e professioni intellettuali, cit., 47, ove ulteriori citazioni.
(53) In realtà la legge professionale forense non precisa i contenuti dell’attività tipica dell’avvocato ma la giurisprudenza della Suprema Corte è
costante nell’affermare che la prestazione d’opera intellettuale nell’ambito
dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti
della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e comunque di
diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo, sicché la
consulenza legale stragiudiziale non è attività riservata agli avvocati (Cass. 8
agosto 1997, n. 7359, in Rep. Foro it., 1997, voce Professioni intellettuali,
n. 90; Cass., sez. un., 12 luglio 2004, n. 12874, in Giust. civ., 2005, I,
2421; in termini analoghi v. il parere del Consiglio Nazionale forense del
20 gennaio 2000, n. 27, in www.consiglionazionaleforense.it e anche l’art.
19, comma 2, lett. e, L. 21 dicembre 1999, n. 526). Si noti altresı̀ che
l’art. 21 del Codice deontologico forense stabilisce che: «L’iscrizione all’albo costituisce presupposto per l’esercizio dell’attività giudiziale e stragiudiziale di assistenza e consulenza in materia legale e per l’utilizzo del relativo
titolo», ma al di là della natura deontologica della disposizione citata (non
applicabile verosimilmente anche ai non iscritti all’albo forense), si tende
comunque a considerare riservata la sola attività di consulenza non occasionale (Cass. 19 giugno 1973, n. 1806, in Giust. civ. Rep., 1973, v. Avv.
proc., n. 4; R. Danovi, Manuale breve. Ordinamento forense e deontologia,
Milano, 2007, 115).
(54) Si noti che rispetto al testo del d.l. n. 223/2006 la legge di conversione novella significativamente la disposizione, prescrivendo che «la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti (...)».
(55) Sulla funzione «anti-imprenditoriale» (e non «anticoncorrenziale»)
dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 96/2001 che, analogamente alla disposizione in discussione, stabilisce che «la partecipazione ad una società
tra avvocati è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra avvocati», cfr. G. Marasà, Oggetto e parti, in AA.VV., Le società tra avvocati,
cit., 99 s.
LE SOCIETA’ N. 6/2008
679
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
precluso l’esercizio individuale della professione; per il
resto non ci si può, in tale sede, che limitare a formulare qualche ipotesi interpretativa.
La disposizione, in realtà, pur non occupandosi della disciplina dei conferimenti e dei requisiti soggettivi dei soci (indicatori di grande utilità per cogliere «le caratteristiche» patrimoniali e professionali dei soci), non pare
escludere la presenza di soci non professionisti - «capitalisti»: ciò si ricava dalla specifica qualificazione del socio
come professionista, che sarebbe stata superflua se tutti i
soci dovessero necessariamente essere dei professionisti;
né sembra potersi escludere, considerato il silenzio della
norma sul punto, che vi possano essere soci professionisti obbligati al solo conferimento di capitale e non anche a quello d’opera.
Ne risulta, quindi, un quadro composito in cui l’unica
ipotesi di inammissibilità sembrerebbe essere quella del
socio-capitalista non professionista chiamato a svolgere
la «specifica prestazione».
Se la «specifica» prestazione deve essere resa dal socio
professionista (singolarmente o congiuntamente) sembrerebbe anche potersi affermare che l’attività professionale, che costituisce l’oggetto sociale, oltre a non poter
essere svolta dal socio non professionista, non può neppure essere resa da «professionisti-non soci», i quali, tuttavia, sotto la responsabilità del socio-professionista, è
da ritenere che possano svolgere funzioni ancillari e di
ausilio all’attività di quest’ultimo (arg. ex art. 2232, 2
alinea, c.c.).
5. Frammenti di disciplina:
il rinvio alle «società di persone»
La nostra disposizione effettua, sempre secondo la tecnica abrogativo - prescrittiva che gli è propria, anche un
indiretto rinvio alle società di persone: infatti, nell’abrogare, come si è visto, «il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare», si riferisce ai
servizi professionali prestati da «società di persone».
Si tratta di espressioni che, per la loro laconicità, rendono estremamente difficile anche solo abbozzare una esegesi dell’enunciato normativo.
Anche se, quindi, non risulta sicuro che dal menzionato
accenno alle società di persone possa dedursi con certezza che la società tra professionisti non possa attingere ai
tipi delle società di capitali e a quelli mutualistici, deve
anche riconoscersi che questa apertura per le forme societarie personalistiche sembra essere in realtà la lettura
più ragionevole dell’enunciato normativo in esame.
Leggendo la norma «in positivo», pare infatti di poterla
declinare nel senso della legittimazione nel nostro ordinamento delle società tra professionisti, a condizione
che esse si costituiscano secondo uno dei tipi personali
regolati nei capi II, III e IV del titolo V del libro quinto
del codice civile.
Con riguardo a tale scelta legislativa ci si può in questa
sede soltanto limitare ad osservare (56) che il riferimento alla società semplice potrebbe rivelarsi particolarmen-
680
LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
te felice anche per ragioni di inquadramento sistematico
della fattispecie (muovendo, in altri termini, dall’idea
della natura non commerciale dell’attività del professionista intellettuale), e che, al contrario, quello alla società in accomandita semplice potrebbe risultare poco indovinato, vista la strutturale limitazione di responsabilità di cui godono, in quel tipo societario, i soci accomandanti, difficilmente compatibile con il principio
della responsabilità di tutti i soci professionisti per il caso di inadempimento delle obbligazioni (sociali-) professionali; al di là di tali osservazioni sono tuttavia altre le
considerazioni che si vogliono qui svolgere.
La società tra professionisti è stata da tempo oggetto di
approfondite analisi sul piano tipologico, studi che sono
ripresi, come si è visto, con rinnovato vigore, dopo la
«Bersani1» e l’introduzione della società tra avvocati. I
poli della discussione vertono, ora come allora, essenzialmente sull’alternativa società professionale/nuovo tipo societario (57), società professionale/società di diritto
speciale a statuto differenziato (58).
Si tratta di posizioni argomentate in termini, talora, anche molto persuasivi che rendono non facile l’adesione
all’una o all’altra idea; adesione che invero si rende possibile solo sulla base di quelli che sono i convincimenti
di ciascuno in ordine alle nozioni di fattispecie, di tipo,
di istituto e di disciplina e soprattutto agli elementi che
si reputano necessari ai fini dell’identificazione di tali situazioni.
In questo ambito gli elementi normativi che consentono di dare nuova linfa ad una discussione tipologica,
che certamente merita di essere ripresa, sono pochi, opiNote:
(56) È noto come sia da sempre aperta - accanto alla preliminare (e già
esaminata) questione dell’ammissibilità stessa delle società tra professionisti «protetti» - la discussione intorno ai tipi societari utilizzabili. L’alternativa è tra i tipi personali (cfr. G. Schiano di Pepe, Le società di professionisti, Milano, 1977 e F. Ferrara jr - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, cit.,
283 ss., per l’utilizzabilità della sola società semplice), quelli capitalistici
(M. Rescigno, Le società tra professionisti, Milano, 1985, 87 ss.), ovvero il
ricorso a tipi ad hoc (O. Cagnasso, La disciplina residuale del modello «società
tra avvocati», cit., 1180; V. Buonocore, in AA.VV., Alcuni brevi commenti
al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 in tema di società di avvocati, in
Giur. comm., 2001, I, 281 s.); v. anche A. Pavone La Rosa, Società tra
professionisti ed artisti, in Riv. soc., 1998, 93 ss., ad avviso del quale non vi
è motivo di distinguere tra tipi personali e tipi capitalistici, dal momento
che tutti i tipi codicistici sarebbero egualmente idonei ad assicurare un’adeguata tutela della clientela.
(57) V. Buonocore, in AA.VV., Alcuni brevi commenti al decreto legislativo
2 febbraio 2001, n. 96 in tema di società di avvocati, cit., 281 s.; C. Montagnani, Il «tipo» società tra professionisti, denominato società tra avvocati, cit.,
999 ss., 1021 ss., la quale configura la società tra avvocati come un nuovo
tipo i cui fattori tipizzanti sarebbero l’esclusività dell’oggetto sociale, la riserva di amministrazione ai soci ed il «particolarissimo» regime della responsabilità professionale dei soci; v. altresı̀ V. Panuccio, Una «nuova
frontiera» della professione con l’arrivo delle società tra avvocati, in Guida al diritto n. 9 del 10 marzo 2001, 12.
(58) C. Ibba, Società tra avvocati e tipi societari, cit., 580 ss., secondo cui
non v’è un nuovo tipo societario, ma una figura societaria sottoposta ad
uno statuto speciale in funzione dell’oggetto sociale esclusivo; E. Minervini, La società tra avvocati (s.t.p.) nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, cit.,
1030, che parla di una società di diritto e ad oggetto speciale.
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
nabili e soprattutto disarticolati; quelli disponibili (ed
offerti dalla legge «Bersani2») sono stati qui esaminati,
considerandoli essenzialmente quali «punti di partenza»
(non di approdo) per il futuro legislatore, ma non sembra davvero che essi consentano di affermare che esiste
un tipo legislativo società tra professionisti o una disciplina speciale di questo codice organizzativo, né può dirsi - come già in passato è stato posto in luce (59) - se
mai esso verrà ad esistenza e con quali connotati specifici.
Ciò che, per l’intanto, si può osservare è che probabilmente non vi è oggi (sulla base dei dati risultanti dall’art. 2 cit.) una preclusione all’ammissibilità di società
di persone tra professionisti, ma certamente l’assetto statutario - normativo di siffatte società (e, in particolar
modo, di quelle multiprofessionali) si presenta in termini alquanto problematici, dal momento che manca un
apparato normativo che regoli le specificità del fenomeno. Vi sono infatti condizioni, limiti e situazioni giuridiche (dalla partecipazione alla società di professionisti
iscritti in albi diversi, ai requisiti soggettivi dei soci, alla
personalità della prestazione nell’esecuzione dell’incarico
ed al regime della responsabilità per le obbligazioni sociali-professionali, alla morte ed alla esclusione del socio, alle regole di organizzazione e di funzionamento
della società, alla soggezione o meno al fallimento della
società e via continuando) che (anche a tutela dei terzi)
non possono essere «abbandonate» all’autonomia statutaria, né possono, per la loro peculiarità, trovare sicura
applicazione attraverso il mero rinvio al calco dei tipi
societari personalistici esistenti, ma richiedono una specifica puntualizzazione normativa.
Allo stato l’unica strada percorribile potrebbe essere
quella della combinazione tra le ellittiche disposizioni di
cui all’art. 2, la disciplina dei singoli tipi societari e l’autonomia statutaria. Il percorso, tuttavia, appare di complicata attuazione perché in definitiva rimarrebbe in capo all’interprete o all’operatore la disponibilità del nuovo modello società tra professionisti che, almeno su alcuni snodi fondamentali (ad esempio, il regime di responsabilità per le obbligazioni sociali-professionali),
non sembra poter essere sottratto alle maglie del legislatore (60).
5.1. (segue): personalità della prestazione
e responsabilità del professionista e della società
Per quanto concerne, infine, il punto forse più problematico in tema di società professionali, ossia quello del
rapporto tra personalità (e responsabilità) della prestazione ed esercizio «impersonale» (societario) della professione intellettuale, la disposizione in esame dice ben
poco e soprattutto non sembra aggiungere elementi di
novità ad un tema che - come già si sottolineava - ha
da sempre rappresentato uno dei maggiori ostacoli normativi e concettuali alla legittimazione delle società tra
professionisti.
Nel testo di legge ci si limita infatti a dire che «la speci-
fica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati sotto la propria personale responsabilità».
La norma, per un verso, richiama immediatamente l’attenzione dell’interprete sul principio della personalità
della prestazione nel caso di esercizio societario di opera
intellettuale (quando dice che la prestazione deve essere
resa da uno o più professionisti); per altro verso, allude alla correlativa responsabilità personale del socio-professionista esecutore dell’opera, quando -è non è forse un caso - riprendendo, con le stesse parole, il dettato dell’art.
2232 c.c., precisa che il professionista deve eseguire detta prestazione sotto la propria responsabilità.
Non viene detto, tuttavia (salvo che per l’accenno alla
previa indicazione del socio-professionista che eseguirà
l’incarico), a chi è conferito l’incarico professionale, a
chi è imputato lo svolgimento dell’attività, né quale sia
la disciplina della responsabilità del socio professionista
per l’attività professionale da lui compiuta e se (e in
quali termini) ne risponda anche la società.
Si tratta, come si sa, di argomenti già in passato attentamente vagliati dalla dottrina (61) e che, in taluni casi,
hanno trovato, come si vedrà, una specifica sistemazione normativa, ma che, per la loro incidenza, non sembra possano, proprio in sede di disciplina della società
tra professionisti, essere trattati in termini cosı̀ lacunosi,
senza un più puntuale ed articolato intervento del legislatore.
Al riguardo, non è qui forse inutile ricordare lo schema
argomentativo proposto dalla dottrina già prima del
D.Lgs. n. 96/2001 (62) - e poi «positivizzato» dal legislatore della società tra avvocati (63) - che ripensa al
canone della personalità della prestazione d’opera intelNote:
(59) Cfr. ancora C. Ibba, Società tra avvocati e tipi societari, cit., 581.
(60) Sul tipo societario come limite all’autonomia privata cfr. per tutti G.
Zanarone, Il ruolo del tipo societario dopo la riforma, nel Nuovo diritto delle
società (Liber amicorum Gian Franco Campobasso), a cura di P. Abbadessa
e G.B. Portale, Torino, 2006, 70 ss.
(61) Cfr. per tutti P. Spada, Società tra professionisti, cit., 1365 ss.; Id., Diritto commerciale, cit., 49 s.
(62) G. Marasà, Società tra professionisti e impresa, Riv. not., 1997, 1355 s.;
P. Schlesinger, Ancora sulla società tra professionisti, in Corr. giur., 1998,
378.
(63) L’art. 24, comma 1, del decreto citato stabilisce che «l’incarico professionale conferito alla società tra avvocati può essere eseguito solo da
uno o più soci in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale richiesta», mentre il successivo art. 26 (rubricato: «responsabilità professionale») prescrive che «il socio o i soci incaricati sono personalmente
e illimitatamente responsabili per l’attività professionale svolta in esecuzione dell’incarico. La società risponde con il suo patrimonio (...). Per le obbligazioni sociali non derivanti dall’attività professionale rispondono inoltre personalmente e solidalmente tutti i soci; il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi». Cfr. G. Scognamiglio, Amministrazione e responsabilità, in AA.VV., Le società di avvocati (Commento del d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96), Torino, 2002, 111-116 ss.; A. Viscusi, La società tra avvocati: il regime della responsabilità patrimoniale, professionale e disciplinare, in
AA.VV., La società tra avvocati (a cura di L. De Angelis), Milano, 2003,
207 ss.
LE SOCIETA’ N. 6/2008
681
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
lettuale (art. 2232, 1 alinea, c.c.), cercando di adattarlo
alla fattispecie societaria.
Secondo questa impostazione l’incarico professionale
non viene conferito ad una persona fisica ma alla società, alla stessa società viene giuridicamente imputato lo
svolgimento dell’attività professionale ma l’esecuzione
della prestazione avviene ad opera di persone fisiche socie della società, le quali ne rispondono personalmente
ed illimitatamente, ancorché solidalmente con il patrimonio della società.
Questa soluzione - nella quale non c’è coincidenza personale tra chi assume l’incarico e chi presta l’opera e
nella quale chi esegue l’incarico risponde con tutto il
suo patrimonio, insieme alla società, dell’inadempimento o del fatto illecito professionale (risponde, cioè, per
le obbligazioni sociali scaturenti dagli atti professionali
compiuti) (64) - pur sforzandosi di coniugare il principio del carattere personale e fiduciario della prestazione
del professionista intellettuale con l’utilizzazione della
forma societaria di esercizio dell’attività (65), continua
a ricollegare la prestazione d’opera intellettuale essenzialmente alla persona fisica del professionista, tralasciando il fatto che la prestazione che forma oggetto del
contratto d’opera intellettuale è e rimane anzitutto
un’obbligazione sociale, nel senso che questa non solo è
imputabile alla società ma che dovrebbe altresı̀ essere
prestata dalla società medesima (anche se attraverso i
propri soci-professionisti) (66).
Si dovrebbe allora più che cercare di conciliare, invero
un po’ forzatamente, l’idea dell’esecuzione personale della prestazione con quella dell’esercizio societario e spersonalizzato dell’opera intellettuale, riflettere sulla circostanza che il canone della personalità della prestazione
di cui all’art. 2232 c.c., che riconduce l’esecuzione della
prestazione alla persona fisica del professionista intellettuale, potrebbe essere disapplicato, per via legislativa,
nell’ipotesi in cui l’opera intellettuale sia resa dalla società attraverso i propri soci-professionisti (67). D’altra parte, già con riguardo allo svolgimento individuale della
professione, è stato sostenuto in passato che il carattere
della personalità della prestazione si affievolisce quando il
professionista si avvale, per l’esecuzione dell’incarico,
della collaborazione di ausiliari e sostituti (art. 2232
c.c.) (68).
Si dovrebbe, in altri termini, condurre sino in fondo il
discorso sulla «spersonalizzazione» della prestazione intellettuale resa dalla società tra professionisti (69), arrivando, appunto, alla disapplicazione, per via normativa,
del canone della personalità, quando l’opera intellettuale è sı̀ fornita per il tramite di persone fisiche, ma da un
soggetto di diritto diverso da queste ultime (70). Senza
con ciò abdicare al carattere intellettuale della prestazione, alla discrezionalità ed all’autonomia del professionista ed alla configurazione dell’obbligazione professionale
come obbligazione di mezzi.
In questa prospettiva anche il discorso sulla responsabilità dei professionisti che rendono materialmente l’opera
682
LE SOCIETA’ N. 6/2008
n
professionale potrebbe risultare più fluido e lineare, evitando, tra l’atro, possibili ambiguità nell’uso del termine
responsabilità (71); la responsabilità di questi ultimi che andrebbero quindi considerati alla stregua di ausiliari della società nell’esecuzione della prestazione (72) sarebbe da concepirsi non tanto sul piano sociale della
Note:
(64) Molto efficacemente P. Spada (Società tra professionisti, cit., 1369)
parla, al riguardo, di «ripartizione causale delle obbligazioni sociali», specificando che non c’era nel diritto vigente (prima della società tra avvocati)
tipo di società che ripartiva le obbligazioni sociali in funzione della rispettiva «causale», garantendo in modo differenziato quelle che ne abbiano
una da quelle che ne abbiano un’altra.
(65) Sottolinea questo aspetto G. Scognamiglio, Amministrazione e responsabilità, cit., 111.
(66) Non si può trascurare la circostanza che nelle società tra professionisti l’attività professionale rappresenta l’oggetto unico ed esclusivo della società e che, pertanto, le prestazioni intellettuali che la società si impegna
ad effettuare sono obbligazioni sociali (cosı̀ come sono obbligazioni sociali
le obbligazioni risarcitorie derivanti dagli atti professionali compiuti). Si
noti altresı̀ che, in difetto di scelta da parte del cliente, è «la società [tra
avvocati] ad indicare il professionista che esegue l’incarico» (art. 24, comma 3) e che «i compensi derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale sono crediti della società» e non dei soci professionisti (art. 25).
(67) Vedi, se ben s’intende, P. Spada, Società tra professionisti, cit., 1367,
favorevole alla «riappropriazione del regime legale del contratto d’opera
professionale anche in caso di prestazione spersonalizzata dell’opera»: «Se,
in definitiva, la personalità della prestazione, di cui all’art. 2232 c.c., costituisce non già materia di una regola inderogabile ma riflesso, nella disciplina, di un elemento tipologicamente essenziale del contratto, quando il
servizio è oggettivamente qualificabile come ‘‘opera intellettuale’’ (art.
2230 c.c.) ma non è personale (più esattamente: non c’è programmaticamente coincidenza personale tra chi assume l’iniziativa, chi costituisce il
vincolo giuridico e chi presta l’opera), non vi saranno nullità; vi sarà,
questo sı̀, disapplicazione del regime legale del contratto d’opera intellettuale (ed applicazione del diritto comune dei contratti, del diritto del contratto d’opera e, forse, ricorrendone le condizioni, almeno in via analogica, dell’appalto)»; Id., Diritto commerciale, cit., 48 ss.
(68) Cfr. F. Santoro Passarelli, Professioni intellettuali, cit., 23 s.
(69) Se è vero - come sostiene P. Spada (Società tra professionisti, cit.,
1367), alludendo al non-professionista che presta opera intellettuale procurandosi il lavoro necessario, a titolo di scambio, da terzi - che «l’esercizio societario spersonalizza l’opera non meno di quanto la spersonalizza
l’intermediazione nella prestazione dell’opera stessa».
(70) Se si guarda alle evidenze empiriche, non può non vedersi come
questa «spersonalizzazione» della prestazione sia già operante nella realtà
dei fatti, dove, ad esempio, proprio pensando alle grandi law firms internazionali, il cliente si affida al determinato studio (o società di professionisti), disinteressandosi, nella gran parte dei casi, di chi sia il singolo professionista che poi in concreto (e)seguirà la sua pratica; l’affidabilità, la serietà professionale e anche la «garanzia» patrimoniale per il caso di inadempimento del mandato appaiono, nell’ottica del cliente, come valori che
fanno capo alla società in quanto tale piuttosto che al singolo professionista che materialmente attende al disimpegno delle mansioni affidategli, il
quale, talora, resta del tutto nell’ombra. E ciò appare tanto più vero quanto i contenuti della prestazione professionale siano standardizzati.
(71) Sia consentito ancora il riferimento a P. Spada (Società tra professionisti, cit., 1368) quando chiarisce che il termine responsabilità può essere
inteso nel linguaggio legislativo italiano almeno in due modi: «significa
obbligazione di risarcire il danno ingiusto ad altri arrecato; significa, poi,
garanzia patrimoniale delle proprie obbligazioni».
(72) In termini non dissimili, P. Montalenti, La società tra avvocati, 1178;
v. altresı̀ C. Montagnani, Il «tipo» della società tra avvocati, denominato società tra avvocati, 986 s.; più in generale, sulla responsabilità per il fatto degli ausiliari, cfr. C.M. Bianca, 5. La responsabilità, Milano, 1994, 59 ss.
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . OPINIONI
responsabilità patrimoniale ma su quello della responsabilità civile del professionista-socio che non è parte del
rapporto obbligatorio intercorrente tra la società ed il
cliente: quindi una responsabilità che grava sul professionista in quanto incaricato di eseguire la prestazione e
non già sul socio-professionista in quanto tale.
Questo tipo di impostazione sembrerebbe preferibile soprattutto nel caso in cui il legislatore intendesse modellare la società tra professionisti (anche) secondo i codici
societari capitalistici (73); in tale eventualità, infatti,
non si dovrebbe ricorrere ad una (criticabile quanto
inevitabile) deroga legislativa al principio di responsabilità esclusiva della società per le proprie obbligazioni
(arg. ex art. 2325 c.c.) (74), prevedendosi che il socioprofessionista risponda con tutto il suo patrimonio (e
non solo, quindi, nei limiti del proprio conferimento)
per le obbligazioni sociali derivanti dall’attività professionale svolta, ma - in termini sistematicamente meno
traumatici e più coerenti con l’idea che l’esercizio delle
attività professionali possa essere effettuato anche da
soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche (ancorché
per il tramite di persone fisiche dotate dei necessari requisiti professionali) - si potrebbe garantire il cliente attraverso forme di responsabilità civile del professionista
(solidali con quella della società, a carico della quale
potrebbe altresı̀ pensarsi all’obbligo di una copertura assicurativa per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività professionale), esterne al paradigma so-
cietario, forme già peraltro sperimentate dal legislatore
in altre occasioni, e precisamente nelle società di professionisti e di ingegneria di cui all’art. 90, comma 2, del
D.Lgs. n. 163/2006 cit. (75) e nelle società di revisione
contabile ex artt. 155 ss. del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n.
58 cit. (76).
Note:
(73) Favorevoli, con gli opportuni adattamenti legislativi, all’adozione anche di tipi capitalistici: G. Marasà, Società tra professionisti e impresa, cit.,
1356; E. Minervini, La società tra avvocati (s.t.p.), cit., 103; C. Montagnani, Il «tipo» della società tra professionisti, cit., 991, secondo la quale «non si
personalizza la prestazione professionale attraverso l’adozione di una società personale»; C. Ibba, Società tra avvocati e tipi societari, cit., 588.
(74) Su tale principio cfr. P. Abbadessa, sub art. 2325, nel Commentario
alle Società di capitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, I,
Napoli, 2004, 2.
(75) Cfr. l’art. 90, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006 cit. ai sensi del quale
«indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell’incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti
iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordini professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell’offerta con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali».
(76) L’art. 164 del D.Lgs. n. 58/1998 cit. dispone che «i responsabili della
revisione ed i dipendenti che hanno effettuato la revisione contabile sono
responsabili, in solido con la società di revisione, per i danni conseguenti
dai propri inadempimenti o da fatti illeciti nei confronti della società che
ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati» (v. altresı̀ art.
2409 sexies c.c.).
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