Il territorio tarquiniese. Ricerche di topografia storica - LED
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Il territorio tarquiniese. Ricerche di topografia storica - LED
Perego-fronte 1-08-2005 12:15 Pagina 1 Lucio Giuseppe Perego Il territorio tarquiniese Ricerche di topografia storica ESTRATTO / SAMPLE PAGES Cliccare sulla pagina precedente per raggiungere la pagina web del volume Click on the previous page to reach the web site of the book http://www.lededizioni.com I SOMMARIO Introduzione 9 I. Caratteri naturalistici e ambientali del territorio tarquiniese 15 II. Catalogo ragionato delle località 21 III. L’organizzazione del territorio tarquiniese: percorsi di lettura diacronici 191 1. L’orizzonte protovillanoviano (p. 191) - 2. La fase villanoviana (p. 200) - 3. Il periodo orientalizzante (p. 211) - 4. Il periodo arcaico (p. 221) - 5. Il periodo ellenistico (p. 227) IV. Quadro d’insieme e problemi aperti 233 Riferimenti bibliografici 249 Elenco delle località comprese nelle carte di fase 273 Apparato cartografico 277 INTRODUZIONE La ricerca che qui si presenta si configura come un’indagine di topografia storica che è da intendersi preliminare alla ricognizione topografica sul campo ed è nata nell’ambito di un più vasto e organico progetto di ricerca che ha previsto uno studio comparato di tutti gli aspetti della realtà antica, dall’analisi in dettaglio dei monumenti, dei singoli materiali e di altre attività fino alla comprensione delle dinamiche territoriali 1. L’argomento ha la sua origine nell’ambito degli scavi e delle ricerche tarquiniesi e nella consapevolezza che il fenomeno dell’evoluzione dell’abitato non possa essere avulso dalla conformazione e dalla gestione del territorio circostante con il quale il centro mantenne rapporti dialettici di varia natura. Infatti far rivivere una sia pur modestissima parte dell’abitato non poteva esimere dal porsi problemi di più ampio respiro tra i quali spiccava il rapporto tra l’abitato e il territorio che lo circonda. Questa la ragione per la quale le indagini sono state rivolte anche a quest’ultimo, tenendo presente la continua ineludibile dialettica che intercorre tra le due entità: alcuni anni or sono venivano infatti segnalati alcuni aspetti dell’interrelazione città-territorio, evidenziando come i dati provenienti dalle ricogni1 M. Bonghi Jovino, “Progetto Tarquinia” e “Progetto T.Arc.H.N.A.”, in M. Bonghi Jovino (a cura di), Tarquinia e le civiltà del Mediterraneo (Atti del Convegno Internazionale di Studi, Milano 22-24 giugno 2004), in preparazione. In merito al ‘progetto Tarquinia’: S. Piro, Indagine georadar ad alta risoluzione presso l’Ara della Regina, in Tarquinia etrusca, pp. 65-67; M. Cucarzi - D. Gabrielli - C. Rosa, Gli interventi della Fondazione Lerici all’Ara della Regina: lettura parziale del territorio circostante mediante magnetometria e carotaggi, in Tarquinia etrusca, pp. 61-65. Oltre alla pubblicazione dei risultati attinti nelle campagne di scavo 1982-1988 (Tarchna 1), si vedano M. Bonghi Jovino, L’orizzonte tardo-protovillanoviano e la questione delle origini dell’insediamento, in Tarchna 1, pp. 146-152; Bonghi Jovino Città e territorio. 10 INTRODUZIONE zioni di superficie venissero considerati, a torto, qualitativamente inferiori a quelli provenienti dagli scavi 2. Il dibattito, tuttora in corso, si è sviluppato a partire dalla realtà protostorica, coinvolgendo il territorio circostante nei processi che condussero all’aggregazione delle prime comunità sui siti delle future grandi città etrusche. Sostegno a queste ipotesi viene fornito anche dai risultati dello scavo nell’antico abitato di Tarquinia: come è noto gli interventi sul campo, effettuati dal 1982 sul pianoro della Civita, hanno portato a luce una realtà documentaria che ha indotto a ritenere come, con ogni verosimiglianza, il processo di formazione dell’insediamento, in maniera probabilmente già programmatica, avesse avuto inizio nella seconda metà del X secolo a.C. 3 Nello studio del territorio diveniva dunque opportuno partire da lontano, facendo anche buon uso dei dati man mano acquisiti, nell’ambito del progetto Tarquinia, dai dottori Salvatore Piro del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Carlo Rosa della Fondazione Lerici. Si tratta in sostanza di un nuovo capitolo per la ricostruzione storica del territorio tarquiniese, che si gioverà senza dubbio del prosieguo delle ricerche, le quali per altro avranno modo di fondarsi su una prima robusta base di elementi di valutazione. Col passare del tempo e con il progressivo sviluppo (e la pubblicazione) di diversi progetti di ricognizione superficiale 4, l’attenzione si è rivolta alle dinamiche di organizzazione territoriale secondo un’ottica prettamente economica, mettendo in relazione il comprensorio con le potenzialità di sostentamento e con le possibilità commerciali che lo stesso offriva in rapporto al centro abitato principale, passando poi a considerare la gestione territoriale operata dalle grandi città etrusche nel pieno del loro sviluppo storico 5. Questa rinnovata attenzione ha comportato anche un progressivo riconoscimento della validità dell’archeologia di superficie e finalmente, in tempi più recenti 6, è stata sottolineata la complementarità, spesso misco2 V. di Gennaro 1986, p. 6. Nel quadro delle discussioni attuali (cfr. Oriente e Occidente: metodi e discipline a confronto. Riflessioni sulla cronologia dell’età del Ferro italiana, Atti dell’Incontro di Studio, Roma 30-31 ottobre 2003, in corso di stampa) in questa sede ci si attiene alla cronologia tradizionale. 4 Si ricordano in particolare le pionieristiche ricerche di G. Colonna, che nel 1967 scriveva: «Disponiamo oggi di un complesso considerevole di nuovi dati, ancora incompleti e frammentari provenendo tutti da ricerche più o meno inedite, talune delle quali in pieno svolgimento, tuttavia già sufficienti per un primo tentativo di elaborazione unitaria» (Colonna 1967a, p. 3). 5 Rendeli 1993. 6 Tra i più recenti interventi in merito alle dialettiche territoriali, si ricorda il XXIII Convegno di Studi Etruschi e Italici, dal titolo programmatico: Dinamiche di svilup3 INTRODUZIONE 11 nosciuta, tra ‘archeologia dello scavo’ e ‘archeologia di superficie’, che vanno considerate non solo nella loro valenza singola, ma anche nei loro rapporti reciproci 7. L’analisi che qui si presenta ha preso in esame, fin dove è stato possibile, le testimonianze archeologiche emerse nel corso di secoli di scoperte più o meno casuali nel comprensorio tarquiniese, rinvenimenti che vennero effettuati in particolare tra l’inizio dell’Ottocento e la metà del Novecento. Ciò è stato reso possibile grazie a una serie di testimonianze documentarie, spesso parziali o sommarie, quando non legate a informazioni esclusivamente orali, talora comunque fededegne, rintracciate presso gli archivi dei Comuni, delle Soprintendenze e dei Ministeri competenti. Oltre a queste ricerche ho effettuato numerosi controlli sul territorio al fine di osservare anche i minimi elementi ancora esistenti. I dati ottenuti sono stati in seguito inseriti all’interno di una maglia di testimonianze già note in letteratura per trovare conferme e per ulteriori riflessioni ai fini della ricostruzione storica dei fenomeni di gestione territoriale 8. Il riconoscimento dei luoghi che hanno restituito tracce di presenza e di frequentazione umana, dalla formazione dell’antico insediamento tarquiniese al suo progressivo assorbimento nella romanità, risulta infatti propedeutico a più approfondite ricerche topografiche quali, ad esempio, i progetti di ricognizione superficiale. L’individuazione dei siti consente la definizione di carte di fase su cui determinare aree nelle quali po delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci (Roma, Veio, Cerveteri-Pyrgi, Tarquinia, Tuscania, Vulci, Viterbo 1-6 ottobre 2001), i cui atti sono in corso di stampa. 7 M. Bonghi Jovino, Premessa, in Tarchna 1, p. XII; Harari 1997. 8 Non va inoltre dimenticato che le tematiche del survey hanno trovato sviluppo, nell’archeologia italiana, solo in tempi relativamente recenti, avvalendosi dell’esperienza maturata nel corso di un più lungo arco temporale in ambito anglosassone. Nella vastissima bibliografia sull’argomento si possono citare sulla questione, tra gli altri: C. Redman, Archaeological Survey and the Study of Mesopotamian Urban Systems, «JFA» 9 (1982), pp. 375-382; M. Celuzza - E.B. Fentress, La ricognizione di superficie come indagine preliminare allo scavo, in R. Francovich - D. Manacorda (a cura di), Lo scavo archeologico. Dalla diagnosi all’edizione (III ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia, Siena 6-18 novembre 1989), Firenze 1990, pp. 141-168; A.J. Ammerman, Taking stock of quantitative archaeology, «Annual Review of Anthropology» 21 (1992), pp. 231-255; O. Belvedere, La ricognizione sul terreno, «JAT» 4 (1994), pp. 69-84. In Italia, la ricognizione di superficie è stata prevalentemente considerata in funzione dello scavo e finalizzata pertanto all’individuazione dei siti più promettenti in cui avviare una campagna di indagine archeologica e solo recentemente è assurta al ruolo di metodologia di ricerca autonoma per la comprensione delle dinamiche territoriali in senso sia sincronico, sia diacronico, sebbene tale pratica risulti attualmente ancora poco diffusa (per una panoramica generale sulle applicazioni e sugli sviluppi della field archaeology: Bonghi Jovino 1999). 12 INTRODUZIONE concentrare maggiormente le indagini o, al contrario, definire zone in grado di fornire validi spunti di riflessione sulla base della documentazione al momento disponibile. Un preliminare risultato di queste indagini è già stato fornito in occasione della mostra ‘Tarquinia etrusca. Una nuova storia’ 9. Tuttavia, il prosieguo della ricerca ha portato ad alcune precisazioni in merito al quadro territoriale precedentemente delineato, rendendo dunque necessario presentare un nuovo e più dettagliato lavoro in relazione alle tematiche summenzionate 10. I risultati della ricerca finora condotta, svolta come accennato attraverso uno spoglio bibliografico e della documentazione d’archivio, vengono qui presentati sotto forma di un catalogo, comprensivo di carte di fase, delle aree archeologiche (necropoli / attestazioni tombali, aree insediative, aree sacre) comprese entro un raggio di circa 20 km di distanza dal pianoro che accoglieva l’antica Tarquinia, in un ambito geografico compreso tra il corso del torrente Arrone e la linea di displuviale del massiccio tolfetano in senso nord-sud e tra la costa tirrenica e le colline poste tra i moderni comuni di Monte Romano e Tuscania in senso ovestest. I dati raccolti saranno integrati in una seconda fase della ricerca da più ampi elementi di tipo ambientale 11 e storico, onde passare alla verifica ragionata e congiunta di tutte le testimonianze acquisite nei diversi ambiti. Le attestazioni in questione sono state suddivise, ove possibile, per fasi, in un arco cronologico che copre l’intero sviluppo storico della città. Partendo da questa base di dati e considerando come contesto non solo lo spazio insediativo, ma anche le aree di sfruttamento delle risorse per il proprio sostentamento dapprima e per possibilità di scambi e commerci in seguito, si è proceduto alla definizione di alcuni percorsi di lettura e di ricerca in merito alla gestione del territorio, senza dunque separare la 9 Perego 2001. Un più approfondito riesame della documentazione raccolta ha portato a una interpretazione più generica delle testimonianze costiere di Pantano e Uomo Morto (in precedenza dubitativamente attribuite a impianti sepolcrali della fine dell’età del Bronzo: Perego 2001, p. 14, fig. 9, nn. 15, 21) e a una loro meno puntuale definizione rispetto a quanto era stato precedentemente riportato. Parimenti, non è stata inserita, nelle piante di fase, la segnalazione della necropoli della Montarana, nota solo da testimonianze orali raccolte tra gli abitanti della zona (ivi, p. 14, fig. 9, n. 7). 11 V. infra, pp. 15-20; questi elementi saranno integrati dal progredire di altre ricerche in corso, quali le indagini di tipo geologico e pedologico che si stanno effettuando in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Milano, con la supervisione del professor Mauro Cremaschi. 10 INTRODUZIONE 13 centralità delle scelte della comunità protostorica e storica dalle testimonianze emerse nel comprensorio. Si fa presente che tutte le località menzionate in sede di trattazione per periodi e di sintesi conclusiva (pp. 191-248) sono state schedate, in ordine alfabetico, nel catalogo ragionato (pp. 21-189); il numero progressivo che accompagna ogni scheda viene ripetuto accanto alla denominazione della località, ogni volta che la stessa viene menzionata, per una più facile reperibilità del sito sulla cartografia allegata. Nel corso della ricerca ho contratto molti debiti di riconoscenza e mi è gradito, a conclusione, ringraziare coloro che in vario modo mi hanno consentito di portare a compimento questa prima fase di indagini. Innanzitutto, un sincero ringraziamento va alla professoressa Maria Bonghi Jovino, che ha seguito con attenzione l’evolversi di questa ricerca, indirizzando la mia formazione con un’impronta certo indelebile, e alla dottoressa Anna Maria Moretti, soprintendente archeologo per il Lazio, che ha accompagnato la strutturazione della base scientifica di questa indagine. Sono particolarmente grato, per il costante aiuto e i numerosi preziosi consigli, alla dottoressa Maria Cataldi, direttrice del Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense, la cui guida è stata fondamentale nel reperimento e nell’interpretazione delle informazioni relative alla situazione del territorio. La professoressa Giovanna Bagnasco Gianni è stata sempre pronta a fornirmi utili suggerimenti nel corso delle indagini. Sono altresì molto grato alla professoressa Fernanda Caizzi, direttrice della collana editoriale della Facoltà di Lettere e Filosofia, che ha proposto e seguito la pubblicazione di questo lavoro in tale prestigiosa sede, e alla Fondazione Carivit di Viterbo, per aver contribuito alla copertura delle spese affrontate per il completamento della ricerca. Per quanto riguarda il lavoro sul campo mi sono giovato della piacevole e calorosa accoglienza che mi è sempre stata riservata dal personale del Museo Nazionale di Tarquinia; in particolare, desidero ricordare la disponibilità dei signori Umberto Magrini, consegnatario del materiale archeologico, Orfelio Tortolini, assistente agli scavi e Massimo Magrini, che hanno messo a mia disposizione la loro esperienza e la loro diretta conoscenza del territorio. Prezioso è stato anche l’aiuto della signora Piera Ceccarini, responsabile dell’Archivio Storico Comunale di Tarquinia, e dei bibliotecari della Biblioteca Comunale ‘Dante Alighieri’ di Tarquinia. Grande disponibilità ho trovato da parte del personale dell’Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale (ora Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio), sempre pronti a soddisfare con pazienza le mie richieste, e da parte degli assistenti di sala presso l’Archivio di Stato di 14 INTRODUZIONE Roma e presso l’Archivio Centrale dello Stato. Non posso infine dimenticare come la presenza di una missione stabile dell’Università degli Studi di Milano a Tarquinia mi abbia consentito di svolgere con continuità le mie ricerche, permettendomi in tal modo di giungere, attraverso una conoscenza diretta e precisa della realtà territoriale circostante, a dar corpo al presente volume. Sigle e abbreviazioni Oltre a quelle consuete, nel testo si è fatto uso delle seguenti abbreviazioni: c.d.: cosiddetto/a; f°: foglio; part./partt.: particella/e; s.l.m.: sul livello del mare; s.n.: senza numero; e delle seguenti sigle: ACS: Archivio Centrale dello Stato, Roma. ArSAEM: Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale (oggi Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio), Roma. ASCT: Archivio Storico Comunale di Tarquinia. ASR: Archivio di Stato di Roma. SP: strada provinciale. SS: strada statale. STAS: Società Tarquiniense d’Arte e Storia. UTM: Sistema Universale Trasverso di Mercatore. II CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ Nel catalogo sono raccolte le informazioni relative ai ritrovamenti di carattere archeologico avvenuti, nell’ambito del territorio di Tarquinia, all’interno dei limiti sopra esposti. Le notizie, tratte sia dalla letteratura, sia dalla documentazione d’archivio, hanno consentito di registrare oltre cento località interessate da presenze antiche. Onde facilitare la lettura e il reperimento dei dati, tutte le indicazioni sono state indicizzate in singole schede strutturate come segue: numero arabo progressivo per l’identificazione della località nella cartografia (tavv. I-VI); denominazione della località, di solito corrispondente a quella presente sulla cartografia ufficiale, ma talvolta tratta direttamente dall’uso locale; caratterizzazione dei rinvenimenti (necropoli, insediamenti, tombe, aree sacre, aree di frammenti fittili, reperti sporadici, presenze non definibili); indicazione della tavoletta IGM in scala 1:25000 ed eventualmente delle coordinate secondo il sistema UTM (Sistema Universale Trasverso di Mercatore) e/o dei riferimenti catastali, per una più precisa localizzazione. Seguono la documentazione bibliografica e/o d’archivio; le indicazioni relative ai rinvenimenti e la valutazione dei medesimi; la descrizione del luogo con una sintetica presentazione dei caratteri ambientali; la descrizione delle strutture (tombe, edifici o comunque elementi non mobili); la descrizione dei materiali raccolti nell’area archeologica sulla base dei dati disponibili; le proposte di datazione. 1. ACQUA MINERALE Necropoli [IGM F° 142 I NO] Documentazione d’archivio: la località è nota solo da documentazione d’archivio. 22 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 13, fascicolo 7, protocollo 831; ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 1 [-], fascicolo: 2 Varie/A2, protocollo 1751/2; ArSAEM, archivio vecchio, s.n. (18 luglio 1966; 27 agosto 1968; 28 ottobre 1968); ArSAEM, archivio vecchio, posizione 2 Tarquinia, 1966, n. 4688. Rinvenimenti e valutazione: la necropoli, violata dai clandestini, venne individuata attorno alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, ma non fu mai fatta oggetto di rilievi scientifici 1, nonostante le prime segnalazioni fatte alla Soprintendenza accennino a scavi «di notevole importanza». In via del tutto ipotetica, mancando al momento dati certi che possano suffragare tale ricostruzione, si potrebbero assegnare a tale necropoli i recuperi che S. Brizzi di Piansano effettuò nel 1938, durante lavori agricoli, in località Bagnoli 2. Il toponimo potrebbe infatti essere una trascrizione scorretta di quello indicato nella cartografia ufficiale dell’IGM come le Bagnole, di cui il poggio dell’Acqua Minerale costituisce una semplice propaggine. Descrizione del luogo: il toponimo non è chiaramente definito nelle note di rinvenimento conservate presso l’archivio della Soprintendenza per l’Etruria Meridionale, ma dovrebbe indicare una piccola appendice collinare allungata verso la riva destra del Marta (a ridosso della SP Tuscaniese), di fronte a uno dei vecchi punti di attraversamento del fiume (Guado Boccio), poco a nord di Poggio dell’Ovo (v. pp. 147-148). L’area prende il nome dalla presenza di una sorgente di acqua minerale, indicata anche nella cartografia ufficiale dell’IGM. Descrizione delle strutture: sono state segnalate alcune tombe a cassone, violate a più riprese dai clandestini. Materiali: nelle tombe, già depredate, non sono stati raccolti materiali di alcun tipo: gli unici oggetti di cui si possiede qualche generica notizia sono i vasi in bucchero, l’aryballos, i due coperchi e i bombylia corinzi che L. Marchese descrisse nel 1940 3. Proposte di datazione: la tipologia delle tombe induce a collocare genericamente il periodo di utilizzo della necropoli nell’epoca orientalizzantearcaica. 1 Località non menzionata nella letteratura scientifica. Notizia contenuta in una denuncia inviata alla Soprintendenza da L. Marchese il 7 febbraio 1940. 3 Ivi. 2 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 23 2. ACQUE FRESCHE Insediamento [IGM F° 142 II NO] Bibliografia: Barbaranelli 1956, p. 489; Capuani 1971, pp. 63-66; di Gennaro 1986, p. 137; Pacciarelli 1991b, p. 207, n. 24; Iaia - Mandolesi 1995, p. 27, n. 40; Belardelli - Pascucci 1996, passim; Leopoli - Cencelle II, p. 122, n. 64; Mandolesi 1999b, p. 60. Rinvenimenti e valutazione: il sito venne individuato durante le ricerche condotte da F. Barbaranelli lungo la costa civitavecchiese, attorno alla metà del secolo scorso. Successivi rilievi di F. Capuani. Descrizione del luogo: tratto pianeggiante della costa tirrenica ubicato tra le aree di Torre Valdaliga (a sud) e La Frasca (a nord), a ridosso di una duplice insenatura che separava in due nuclei il deposito archeologico. Descrizione delle strutture: esile stratificazione antropica, in parte intaccata dall’azione erosiva del mare e dal dilavamento, priva di tracce di strutture di qualsivoglia tipo. Essa si estende per pochi metri quadrati di superficie, con uno spessore di soli pochi centimetri. Materiali: numerosi frammenti di impasto protostorico, tra cui una notevole percentuale di elementi decorati; si segnala in particolare un reperto con decorazione dipinta di tipo italo-geometrico. Proposte di datazione: la maggior parte degli elementi raccolti si datano nel corso della prima fase villanoviana o all’inizio della successiva (IX primi decenni dell’VIII secolo a.C.), mentre solo pochi frammenti possono scendere fino a momenti avanzati della seconda fase. 3. ARA DEL TUFO Necropoli [IGM F° 142 I NE - UTM: 32TQM396898] Documentazione d’archivio: la località è nota solo da documentazione d’archivio. ArSAEM, posizione 3 Monte Romano, 1989, nn. 6836; 8756; 11109; ArSAEM, posizione 3 Monte Romano, 1990, n. 547. Rinvenimenti e valutazione: l’area venne individuata casualmente nel settembre 1989 durante un giro di perlustrazione all’interno del poligono militare di Monte Romano 4, ma trovandosi in area strategica non è mai stata fatta oggetto di studi approfonditi e specifici 5, per quanto i tiri dell’artiglieria pesante l’avessero fin da allora gravemente danneggiata. 4 Segnalazione di L. Ricciardi alla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale in data 13-09-1989. 5 Il suo posizionamento è stato effettuato con precisione dallo Stato Maggiore dell’Esercito, in seguito a richiesta ufficiale della Soprintendenza, nei primi mesi del 1990. 24 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ Descrizione del luogo: la denominazione, per altro ignota alla cartografia ufficiale, indica un piccolo poggio al limitare dell’ampia contrada conosciuta col nome di Banditella, a nord del moderno paese di Monte Romano, sulla destra del Fosso Vallicelle; la necropoli è situata sul pendio scosceso che digrada verso il corso d’acqua. Descrizione delle strutture: sono state segnalate una decina circa di tombe a camera scavate nella roccia tufacea del poggio, ma solo una, con soffitto a volta ogivale, si presentava parzialmente visibile al momento della ricognizione, effettuata col consenso delle autorità militari. Materiali: nei pressi di una delle tombe, distrutta dai colpi dell’artiglieria, si poterono raccogliere alcuni frammenti relativi a un’olla costolata in impasto rosso (verosimilmente del tipo c.d. a seme di papavero) e a ceramiche probabilmente di età ellenistica. Proposte di datazione: la tipologia dell’unica tomba nota e i pochi materiali raccolti inducono a collocare genericamente il periodo di utilizzazione della necropoli tra l’epoca orientalizzante e l’età ellenistica. 4. ARA DI SANTA MARIA - MONTE RICCIO Presenza non definibile [IGM F° 142 I SE] Documentazione d’archivio: la località è nota solo da documentazione d’archivio. ArSAEM, ex Tarquinia, fascicoli sparsi, fascicolo: C3 - Tombe etrusche, 10 dicembre 1953; ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 2 - Giornali di Scavo, fascicolo: 11 - Tarquinia (vecchia pratica), protocollo 4093; ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 1 [-], fascicolo: 2 Varie/A2, protocollo 904/11; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1982, n. 11071. Rinvenimenti e valutazione: i rinvenimenti nella zona avvennero tutti in circostanze casuali, segnalati dal personale della Soprintendenza in diverse occasioni tra il 1953 e il 1982. Descrizione del luogo: col toponimo di Ara di Santa Maria si individua un ampio pianoro posto a sud dell’area di Macchia della Turchina (v. pp. 86-89), affacciato sul corso del fiume Mignone; i declivi, piuttosto ripidi, che digradano verso il corso d’acqua sono noti come Spalle di Santa Maria. Sul fianco occidentale del pianoro si erge l’altura di Monte Riccio, che forma con l’Ara di Santa Maria un articolato sistema orografico, distinguibile soltanto nel settore affacciato sulla piana del Mignone per la presenza di una stretta sella. Descrizione delle strutture: non è chiara la natura delle strutture sepolte presenti sul pianoro, la cui precisa ubicazione, a volte, non è neppure de- CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 25 finibile 6. La documentazione consultata si limita ad accennare genericamente alla presenza di ‘buche’ (sic), anche se non si esclude l’esistenza di strutture più complesse. Materiali: nel 1953 venne recuperato un vaso, inizialmente definito «bucchero», ma registrato anche come «anfora di probabile produzione etrusca», contenente alcuni resti ossei e due frammenti di bronzo, mentre alcuni anni dopo una serie di scavi clandestini portò a luce diversi frammenti fittili, attribuibili con ogni verosimiglianza a produzioni protostoriche 7. Nel 1982 venne raccolto, in una delle ‘buche’ individuate, un grosso ‘coperchio’ circolare in nenfro. Proposte di datazione: i dati a disposizione sono troppo scarsi per proporre una collocazione cronologica precisa dei rinvenimenti, ma è comunque possibile individuare sul pianoro almeno un nucleo di testimonianze di epoca villanoviana. Non si esclude comunque una frequentazione della zona in età successiva. 5. ARA GRANDE Presenza non definibile [IGM F° 142 I NE] Bibliografia: Fortini 1987b, p. 102, n. 37; Iaia - Mandolesi 1995, p. 24, n. 22; Mandolesi 1999a, p. 177, n. 38. Rinvenimenti e valutazione: negli anni ’80 del secolo scorso M. Rinaldi recuperò nella località suddetta un oggetto sporadico che donò in seguito all’Antiquarium Comunale di Monte Romano. Descrizione del luogo: col toponimo di Ara Grande si indica un vasto pianoro affacciato sulla valle del Marta, alle spalle dell’altura di Torrionaccio (v. pp. 179-181). Descrizione delle strutture: il ritrovamento, sporadico, non è riferibile con sicurezza a strutture di alcun tipo e non permette di caratterizzare il deposito originario (ambito sepolcrale, insediativo o ripostiglio). Materiali: sulla superficie del terreno venne raccolta una fibula a sanguisuga in bronzo. 6 Si dispone tuttavia dei seguenti dati: i rinvenimenti del 1953 avvennero all’altezza del km 1+142 della strada interpoderale di bonifica detta ‘di Santa Maria’, mentre le scoperte del 1982 si ebbero a ridosso della SP di Monte Riccio, all’interno del f° 99, part. 19 della mappa catastale di Tarquinia. 7 Una nota conservata presso l’archivio della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale (ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 1 [-], fascicolo: 2 Varie/A2, protocollo 904/11, 6 febbraio 1961) riporta: «Un controllo alla Turchina lungo il Nasso, compresa la zona di S. Maria: si verificano dei piccoli scavi in grande stile nella parte Villanoviana con dei frammenti». 26 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ Proposte di datazione: la tipologia della fibula permette una generica collocazione della stessa in epoca villanoviana. 6. BALZA MERIDIONALE DEL PIAN DI CIVITA Tomba [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM256829] Bibliografia: Romanelli 1948, p. 202, nota 1; Parco 1971, p. 29. Rinvenimenti e valutazione: la tomba venne individuata casualmente agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso a seguito di un probabile scavo clandestino, ma neppure P. Romanelli, divenuto proprio in quel periodo direttore del Museo Archeologico Tarquiniense, seppe essere più preciso a riguardo. Descrizione del luogo: il luogo del rinvenimento può essere genericamente collocato ai piedi della ripida parete calcarea che costituisce il lato meridionale del pianoro dell’antica città etrusca, non lontano dalla sella che divide il Pian di Civita dal Pian della Regina; l’area appare oggi occupata da un’ampia fascia di vegetazione arbustiva, che segna il limite dei terreni coltivati della piana del fosso detto di San Savino. Descrizione delle strutture: la tomba era del tipo a fossa, scavata direttamente nel banco di roccia calcarea. Materiali: Romanelli ricorda di aver notato alcuni frammenti di bucchero, ma non venne recuperato nulla. Proposte di datazione: se la segnalazione relativa ai materiali effettuata da Romanelli è esatta, la tomba può essere datata tra l’epoca orientalizzante e quella alto-arcaica. 7. BANDITA SAN PANTALEO Tomba [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM256829] Documentazione d’archivio: la tomba è nota solo da documentazione d’archivio. ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1993, nn. 8027; 10663. Rinvenimenti e valutazione: i ritrovamenti nella località in oggetto (se si eccettuano le voci relative a una consistente attività clandestina) sono legati a un intervento d’urgenza della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale (agosto 1993) a seguito di uno scavo abusivo che aveva completamente devastato una tomba, in terreno di proprietà Malatini. I materiali raccolti furono subito schedati e valutati, consentendo così una precisa collocazione cronologica della sepoltura. Descrizione del luogo: la tomba venne individuata sul fianco di una piccola propaggine collinare, posta alle spalle del poggio della Montarana, che digrada dolcemente in direzione della vecchia statale Aurelia, circa all’al- CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 27 tezza del km 94 della stessa (terreno di proprietà Malatini). Il colle appare quasi interamente coltivato, ma vi sono alcuni settori dello stesso ricoperti da bosco misto. Descrizione delle strutture: a causa dello scavo clandestino, effettuato con un mezzo meccanico, ben poco si può dire con certezza della struttura della tomba, che comunque era certo a camera ipogea scavata nel banco roccioso del colle; al momento del rilievo effettuato dal personale del Museo Archeologico Tarquiniense si conservava una sola banchina in pietra lungo una delle pareti, ma è verosimile che un tale apprestamento esistesse pure sull’altro lato: si trattava infatti di una tomba bisoma 8. Materiali: del corredo della tomba, che in origine doveva essere piuttosto ricco, si poterono recuperare, nel terreno sconvolto attorno allo scavo, solo pochi oggetti: un frammento di bracciale in verga di bronzo, due grandi borchie (o coppe) in bronzo lavorate a sbalzo (più altre tre simili ridotte in minuti frammenti), un vago o fusaiola in pasta vitrea, un altro oggetto simile in faience, un lydion di produzione greco-orientale, un orecchino discoidale in oro con decorazione a filigrana e granulazione, alcuni frammenti di vasellame fittile e di bronzo. Proposte di datazione: lo studio dei materiali recuperati, effettuato per fornire una corretta valutazione del valore degli stessi, ha portato a stabilire per la sepoltura in oggetto una datazione pressoché certa attorno alla metà del VI secolo a.C. 8. BUFALARECCIA Insediamento; necropoli; area sacra [IGM F° 142 I SE] Bibliografia: Toti 1967b, p. 17; Parco 1971, tav. C; Zifferero 1990, p. 63, fig. 82; Zifferero 1995a, pp. 346-347; Leopoli - Cencelle II, p. 128, nn. 25-27. Rinvenimenti e valutazione: i primi rinvenimenti nella località in oggetto si ebbero nel 1955, in seguito a lavori agricoli 9; l’area interessata dall’abitato è nota invece grazie a una serie di ricognizioni di superficie condotte nella zona, nelle cui vicinanze già erano note, a seguito di scavi clandestini, alcune tombe a camera. Sul pianoro vennero inoltre effettuate, a cura della società S.C.A.M., delle indagini speleologiche all’interno di una serie di pozzi. Descrizione del luogo: il nome Bufalareccia indica un piccolo pianoro tufaceo di forma allungata, disposto in direzione grosso modo sud-ovest / nord8 Tra i reperti recuperati vi sono infatti anche resti scheletrici appartenenti a due individui diversi, uno dei quali, meglio conservato, era sicuramente una donna. 9 Individuazione dell’area sacra; riferimento UTM: 32TQM378782, circa 200 m a nord-est di quota 31. 28 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ est sulla sinistra del corso del Mignone, all’altezza del grande meandro che il fiume presenta di fronte alle alture di Santa Maria e Monte Riccio 10. Attualmente il colle appare delimitato a ovest dal corso del Ponton del Porco e a nord dall’ormai dismessa linea ferroviaria Civitavecchia-Orte. Descrizione delle strutture: i settori dell’abitato e del probabile santuario sono individuabili grazie a un’area di affioramento di materiali, visibili sulla superficie del terreno arato, e grazie alla presenza di alcuni pozzi che possono datarsi all’epoca etrusca. Le tombe sono invece del tipo a camera, scavate nel banco tufaceo del costone digradante verso il Ponton del Porco. Materiali: le tombe erano già state violate, ma fu comunque possibile raccogliere un piccolo gruppo di ceramiche. Dall’area dell’abitato provengono diversi frammenti di laterizi, mentre l’area sacra ha restituito un discreto gruppo di terrecotte architettoniche e di ex-voto fittili, tra cui si segnalano antefisse a testa femminile e gocciolatoi a protome leonina, in impasto rosato ricco di inclusi e coperto da un ingobbio color crema 11, e una matrice di antefissa. Tutti i materiali sono stati depositati presso il Museo Civico di Allumiere. Proposte di datazione: il materiale recuperato nelle tombe è databile tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C., periodo che potrebbe corrispondere alla fase iniziale dello sfruttamento della necropoli. L’area dell’abitato non ha restituito materiali diagnostici, mentre il complesso dei materiali architettonico-votivi può essere collocato attorno alla metà del IV secolo a.C. 9. CACCIATALUNGA Necropoli [IGM F° 142 I NO] Bibliografia: Pernier 1907a, p. 43; Pernier 1907c, pp. 347-348; Pallottino 1937, col. 96; Parco 1971, p. 30, n. 77. Documentazione d’archivio: ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 13, fascicolo: Tarquinia - Giornali di Scavo 1904, sottofascicolo B; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia (passaggio), 1987, n. 1416; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1990, n. 8496; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia (passaggio), 1999, n. 2064. Rinvenimenti e valutazione: il colle di Cacciatalunga, nonostante la sua vicinanza al Pian di Civita, non è mai stato oggetto di indagini sistematiche e i ritrovamenti su di esso hanno per lo più rivestito carattere di ca10 Tali alture costituiscono il limite meridionale del gruppo di colli che circondano il pianoro ove sorgeva la città etrusca, prima della piana del Mignone e dei vicini Monti della Tolfa. 11 Tali materiali trovano confronto con analoghi reperti di Falerii e dell’agro falisco. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 29 sualità, a partire dai primi scavi documentati 12, effettuati da V. Fioroni agli inizi del Novecento, fino ai ritrovamenti legati all’attività dei clandestini, avvenuti a più riprese anche nel corso degli ultimi anni. Descrizione del luogo: si tratta di un basso rilievo di forma allungata in direzione nord-est / sud-ovest sulla riva destra del Fosso Pantanaccio, proprio di fronte alla propaggine della Castellina e quindi a circa 1 km, in linea d’aria, dalla città etrusca. Il fianco del colle digradante verso il piccolo corso d’acqua sottostante si presenta in alcuni punti alquanto ripido e ricco di piccole propaggini, mentre l’altro versante si unisce senza soluzione di continuità alla linea dei poggi retrostanti. Il rilievo, attraversato sulla linea di crinale da un sentiero, è interamente destinato all’attività agricola o a pascolo per il bestiame nelle aree più impervie. Descrizione delle strutture: gli scavi di Fioroni misero in luce alcune piccole tombe a camera 13 realizzate nel banco tufaceo, di cui se ne conosce abbastanza bene soltanto una, dotata di banchine per la deposizione dei cadaveri e di un loculo sulla parete di fondo. L’attività clandestina ha riguardato invece soprattutto una serie di tombe a fossa semplice, site per altro in aree marginali del rilievo 14. Sul finire del secolo scorso un sopralluogo nella zona ha permesso di rinvenire, sul bordo del pianoro, una nuova tomba a camera con banchine sulle pareti laterali, affacciata sulla valle del Fosso Pantanaccio. Materiali: dalla tomba con banchine e loculo sul fondo, portata a luce da Fioroni, provengono un askos in ceramica a vernice nera lucida e uno specchio di bronzo. Nella tomba a camera di recente scoperta furono raccolti diversi frammenti appartenenti ad almeno tre lance in ferro, tra cui una punta integra. Dal terreno sconvolto attorno alle tombe a fossa sono invece stati recuperati alcuni frammenti di bucchero, di ceramica acroma, di laterizi, un’olla in impasto bruno, alcuni elementi di bronzo e diversi resti ossei 15. 12 Si accenna a scavi documentati, perché vi è la possibilità che il colle di Cacciatalunga sia stato interessato dalle ricerche condotte da G. Bazzichelli di Viterbo negli anni 1857-1858: le note conservate presso l’Archivio di Stato di Roma (ASR, Min. Commercio e Lavori Pubblici, sez. V, tit. I, art. 5a, busta 402, fascicolo 65), non sono infatti precise a riguardo (si limitano ad accennare a scavi «nella tenuta Tarquinia, ossia Civita, di proprietà dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia»), ma uno degli elenchi degli oggetti recuperati, compilati dall’assistente agli scavi G. Fontanarosa, fa esplicito riferimento a interventi «rimpetto la Castellina»; del resto, in quegli anni Bazzichelli scavò su tutti i colli all’intorno, dal Pian di Civita a Poggio Gallinaro a Poggio del Cavalluccio, e non si può quindi escludere che sia intervenuto anche sul colle di Cacciatalunga. 13 Al momento non si posseggono dati per una più precisa localizzazione di tali tombe. 14 Mappa catastale: f° 61, partt. 33, 36, 37. 15 Se quanto ipotizzato riguardo agli interventi di Bazzichelli fosse corretto (cfr. 30 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ Proposte di datazione: la tipologia della tomba e i materiali raccolti, per quanto scarsi, permettono di datare la tomba scavata da Fioroni all’età ellenistica 16; per altro, i pochi frammenti recuperati sulle propaggini del poggio affacciate sulla Castellina e sul corso del Fosso Pantanaccio inducono a ritenere che l’impianto della necropoli sia almeno da far risalire all’epoca arcaica. 10. CAPANNONE Insediamento; necropoli [IGM F° 142 I SE] Bibliografia: Giannini Etruria meridionale, pp. 467-468; Zifferero 1990, p. 63, fig. 82; Leopoli - Cencelle II, pp. 127-128, nn. 18-22. Documentazione d’archivio: ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1987, s.n. Rinvenimenti e valutazione: alcune aree di abitato 17 vennero segnalate tra il 1981 e il 1987, durante alcune ricognizioni di superficie, mentre la necropoli 18 venne individuata casualmente, a causa di una serie di scavi clandestini che erano andati a interessare due distinti nuclei sepolcrali 19. Descrizione del luogo: il toponimo è riferito a un terrazzo naturale formatosi sul pendio nord-orientale di Poggio dell’Aretta (v. p. 144), posto sulla sinistra della linea ferroviaria Civitavecchia-Orte; i rinvenimenti attribuibili alle aree insediative si concentrano tra 100 e 200 m a sud-ovest di quota 68, presso il fondovalle e il fontanile, e circa 200 m a nord-ovest di quota 154; la necropoli si individua invece circa 120 m a nord-ovest di quota 172. L’area, a prevalente destinazione agricola, è sottoposta a frequenti arature. Descrizione delle strutture: la presenza etrusca nella zona è segnalata da un lato da almeno quattro aree di affioramento di reperti ceramici e materiali edilizi, dall’altro da un gruppo di tombe a camera costruita con blocchi di roccia sedimentaria, purtroppo devastate dai clandestini o parzialmente franate. Materiali: non si hanno dati precisi sui recuperi effettuati all’interno delle tombe a camera, ma si possono genericamente citare, quali oggetti di supra, nota 12), a questo elenco si potrebbero aggiungere un vaso a figure nere, alcuni frammenti di vasi dipinti, tra cui un cratere a campana, un candelabro in bronzo, uno specchio con manico configurato a «idoletto», un paio di pendenti in oro. 16 Pallottino, accennando a questa tomba nella sua monografia su Tarquinia, scrive esplicitamente di «una tomba tarda isolata con scarso materiale» (Pallottino 1937, col. 96), per quanto tale sepoltura non appaia affatto isolata. 17 Rif. UTM: 32TQM367765; 32TQM369766; 32TQM375770; 32TQM372763. 18 Rif. UTM: 32TQM372764. 19 Uno dei due nuclei è tuttavia databile in epoca romana, e non verrà considerato nella presente scheda. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 31 particolare rilevanza, delle oinochoai di bucchero, delle olle a probabile ingobbio rosso, un’anfora nicostenica con anse stampigliate 20. Dalle aree a probabile destinazione abitativa provengono invece svariati frammenti in ceramica depurata, a vernice nera e in impasto rosso-arancio, tra cui ciotole con piede ad anello, bacini a orlo ingrossato o a fascia rilevata, olle ovoidi a bordo ingrossato e sagomato, dolia; si segnalano anche alcune tegole, un peso da telaio e un supporto di fornello a calotta aperta. Proposte di datazione: la tipologia delle tombe e i materiali raccolti inducono a collocare il periodo di utilizzazione della necropoli in epoca orientalizzante e alto-arcaica, mentre la frequentazione dell’insediamento può genericamente datarsi all’epoca arcaica (in prevalenza tardo-arcaica) ed ellenistica. 11. CARTIERA Tombe [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM266823] Bibliografia: Pallottino 1937, col. 46 21; Romanelli 1943, p. 254; Cataldi 1986, p. 204, n. 10; Rendeli 1993, p. 415. Rinvenimenti e valutazione: le tombe vennero scoperte nel dicembre del 1931, sulla riva destra del Marta, durante lo scavo delle fondazioni di un capannone industriale a uso della cartiera ‘A. Molina’: se ne dette subito avviso al locale museo, ma al momento del sopralluogo, compiuto dall’allora direttore P. Romanelli, le sepolture apparvero già manomesse. Una volta recuperati gli oggetti conservati al loro interno, queste vennero distrutte nel proseguimento dei lavori intrapresi. Descrizione del luogo: area pianeggiante posta sulla riva destra del fiume Marta, a breve distanza verso nord / nord-ovest dalla rupe su cui sorge la moderna cittadina di Tarquinia, occupata dalle strutture dell’ex-cartiera, ora adibite a centro di raccolta multidifferenziata dei rifiuti solidi urbani. Descrizione delle strutture: tre tombe a fossa semplice con copertura in lastre di pietra 22, poste una di fianco all’altra. Materiali: a causa della manomissione subìta al momento del rinvenimen20 Giannini Etruria meridionale, p. 467, unico testo in cui si è potuto reperire un pur succinto elenco dei materiali raccolti nelle tombe della zona, citava inoltre alcune «anfore di creta biancastra» (sic), delle «olle a vernice rossa» (sic), balsamari, attingitoi e fuseruole: data la terminologia utilizzata, in mancanza di un controllo autoptico sugli oggetti occorrerà considerare con cautela i dati cronologici desumibili dagli stessi. 21 M. Pallottino, nella sua monografia su Tarquinia, citava una sola tomba; solo qualche anno dopo Romanelli avrebbe corretto la notizia, ricordando il sopralluogo da lui stesso effettuato dodici anni prima. 22 Al momento del sopralluogo compiuto da Romanelli, solo una delle tombe presentava ancora la lastra in situ, mentre le altre due erano state già aperte. 32 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ to, non fu possibile distinguere i vari oggetti recuperati tra corredo e corredo, ma se ne poté dare solo un elenco indifferenziato: vennero pertanto raccolti un’olla globulare apoda in impasto; una oinochoe italo-geometrica di grandi dimensioni, decorata a fasci di linee parallele e triangoli, ridotta in frammenti; uno skyphos italo-geometrico; una fibula di bronzo ad arco ingrossato; altri frammenti ceramici 23. Proposte di datazione: i materiali raccolti, che si presentano alquanto omogenei dal punto di vista cronologico, permettono di datare le tre tombe all’età orientalizzante. 12. CASALE ANNA Presenza non definibile [IGM F° 142 I SO - UTM: 32TQM276806] Documentazione d’archivio: i ritrovamenti di Casale Anna sono noti solo da documentazione d’archivio. ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1991, n. 9679. Rinvenimenti e valutazione: la segnalazione, relativa a una presunta struttura tombale, fu fatta nel 1991, in occasione di lavori di posa di alcune strutture dell’acquedotto cittadino, che avevano interessato il banco roccioso posto sulla destra della ex SS Aurelia, in corrispondenza della proprietà nota come Vigna Anna. Descrizione del luogo: col nome di Casale Anna (o Vigna Anna) si indica uno degli estremi settori sud-occidentali del colle dei Monterozzi, sulla destra del tracciato dell’ex-Aurelia, circa 700 m a sud del bivio della via dell’Acquetta e della Villa Bruschi-Falgari, oggi occupato da una grande villa e dal relativo giardino. Il ritrovamento avvenne per la precisione in corrispondenza del gradino roccioso che separa il declivio del colle dal piano stradale, nel punto in cui oggi si trova uno dei pozzi di controllo della rete idrica. Descrizione delle strutture: durante i lavori di scasso del banco roccioso venne individuata un’apertura che, a un primo esame, venne descritta come «un cunicolo con copertura ad arco» 24, inducendo i più a pensare al dromos di una tomba a camera, stante anche la presenza di numerosi 23 P. Romanelli (Romanelli 1943, p. 254) citava anche un piatto di tipo ‘etruscocampano’; tuttavia, la cronologia di un tale oggetto contrasta fortemente con quella di tutti gli altri, che appare ben più alta e fondamentalmente omogenea: pertanto, in assenza di un controllo autoptico su detti materiali, si è preferito espungere questo ‘piatto’ dall’elenco dei materiali, in attesa di capire se si è trattato di un riutilizzo della tomba, di un’interpolazione avvenuta al momento del ritrovamento o di un errore di valutazione di Romanelli. 24 Citazione dalla lettera di segnalazione alla Soprintendenza. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 33 ipogei nella vicina proprietà Bruschi-Falgari 25. È tuttavia maggiormente verosimile che si tratti di un cunicolo scavato in modo grossolano (forse con funzione di drenaggio?) 26, anche se molti pensano piuttosto a una fessurazione naturale del banco basale del colle. Materiali: in corrispondenza dell’apertura e al suo interno non si sono rinvenuti materiali di alcun genere. Proposte di datazione: stante la mancanza di materiali, e non essendo nemmeno sicuro che si tratti di una struttura artificiale, non si possono proporre dati cronologici di alcun tipo. 13. CASALE BERTAZZONI Presenza non definibile [IGM F° 142 I NO] Bibliografia: Mandolesi 1999a, p. 162, n. 12. Rinvenimenti e valutazione: agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso il signor Torrisi rinvenne casualmente, durante dei lavori di erpicatura del terreno, una fibula bronzea, rimasta incastrata tra i denti del mezzo meccanico. Le circostanze del ritrovamento e lo spostamento dalla sede originaria che il pezzo subì a seguito delle lavorazioni agricole hanno impedito di approfondire le ricerche sul contesto di appartenenza dell’oggetto, che rimane pertanto del tutto isolato, potendo appartenere tanto a un’area insediativa, quanto a una tomba o a un ripostiglio 27. Descrizione del luogo: il terreno in cui avvenne il recupero si trova circa 300 m a sud-ovest della maggiormente nota area archeologica della Ferleta (v. pp. 53-54), per la precisione sul costone orientale di una piccola propaggine del colle, distinta su tre lati da brevi pendii, subito a nord del casale che dà il nome alla località. Descrizione delle strutture: la fibula venne raccolta sulla superficie del terreno e nulla pertanto si può dire su eventuali strutture sepolte da cui l’oggetto poteva provenire. Materiali: si tratta di una fibula di bronzo di grandi dimensioni (lunghezza cm 15,5; altezza cm 8,5 circa), con arco piegato alla sommità e in corrispondenza della staffa; quest’ultima, piuttosto larga, si presenta a sezione semicircolare e decorata con noduli sottolineati, in negativo, da due o tre 25 V. infra le schede relative alle località La Galla-Falgari (pp. 73-74) e Villa Bruschi-Falgari (pp. 187-189). 26 Una struttura simile venne individuata poco lontano dalla moderna città di Tarquinia, nell’area di Valverde (tra Le Rose e il Fossaccio), sul lato della ex SS Aurelia in direzione nord (ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1982, n. 8277). 27 Importante comunque è la localizzazione geografica del rinvenimento, come descritto nella successiva sezione: v. a riguardo la scheda relativa alla Ferleta nel presente catalogo (pp. 53-54). 34 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ profonde scanalature. Anche l’arco si presenta ornato, con incisioni a spina di pesce nella zona mediana e fasce di linee anulari su entrambi i lati. Proposte di datazione: le caratteristiche della fibula permettono di attribuire l’oggetto a un momento avanzato della ‘fase di Tolfa’ (tipo Valle del Campaccio, Allumiere), databile al X secolo a.C. 14. CASALE DELL’ARETTA Area sacra [IGM F° 142 I SE - UTM: 32TQM364767] Bibliografia: De Carolis - Gazzetti 1975; Fontana 1990, p. 121; Ivi, p. 132; Zifferero 1995a, p. 346; Leopoli - Cencelle II, p. 127, n. 17. Rinvenimenti e valutazione: il sito è noto per l’individuazione di affioramenti ceramici e il recupero di un oggetto sporadico, effettuati a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Descrizione del luogo: area di fondovalle compresa tra i declivi di Poggio Camposicuro (v. pp. 129-130) a nord e Poggio dell’Aretta (v. p. 144) a sud. Area agricola, attraversata dal piccolo Fosso Infernetta, affluente di sinistra del Mignone. I rinvenimenti si concentrano circa 300 m a sudovest di quota 121. Descrizione delle strutture: trattandosi di rinvenimenti superficiali, non si hanno dati in merito alle strutture sepolte da cui gli stessi proverrebbero. L’attribuzione del sito a un’area sacra è legata alla particolare tipologia di uno degli oggetti rinvenuti (v. infra). Materiali: il sito è noto soprattutto per il ritrovamento di un bronzetto di offerente 28, mentre l’area circostante ha restituito diversi frammenti ceramici. Proposte di datazione: se le ceramiche raccolte coprono un ampio arco cronologico compreso tra l’età arcaica e l’epoca tardo-antica, il bronzetto d’offerente si può datare, con maggior precisione, tra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. 15. CASALE DI POGGIOPOZZO Presenza non definibile [IGM F° 142] Bibliografia: Forma Italiae II, 1, p. 103, n. 62. Rinvenimenti e valutazione: non si posseggono dati in merito alla scoperta delle realtà archeologiche della zona, che vennero citate da Pasqui tra i risultati delle sue ricerche relative alla realizzazione dei fogli dell’Etruria e della Sabina nella Carta Archeologica d’Italia. Descrizione del luogo: il toponimo è ignoto alla moderna cartografia e se 28 Il bronzetto è conservato presso il Museo Civico di Allumiere. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 35 ne può ricostruire l’ubicazione solo sulla scorta delle indicazioni di Pasqui: su questa base è possibile riconoscere il Casale di Poggiopozzo (il cui nome probabilmente deriva dalle scoperte qui effettuate) in una delle costruzioni poste ai margini nord-orientali del moderno centro abitato di Monte Romano, su uno dei colli affacciati sul tracciato della SS 1 bis. Descrizione delle strutture: A. Pasqui così descrive le strutture individuate: «Pozzi etruschi scavati nel tufo, a forma di grandi ziri con bocca circolare, larghi nel massimo della curva m 2,40 e m 3,35 ed internamente spalmati di creta»; la tipologia di queste piccole cisterne richiama da vicino analoghe strutture, di dimensioni tuttavia minori, note negli abitati di Torre Valdaliga (v. pp. 178-179) e La Mattonara (v. pp. 75-76), sulla costa. Materiali: le strutture scoperte non contenevano materiali di alcun tipo. Proposte di datazione: non si hanno elementi utili a definire la collocazione cronologica dei rinvenimenti effettuati, che sono attribuiti all’epoca etrusca in virtù della sola autorità di Pasqui. 16. CASALE LA PISCINA Presenza non definibile [IGM F° 142 I SE] Bibliografia: Brunori - Mela 1990, fig. 269; Leopoli - Cencelle II, p. 129, n. 37. Rinvenimenti e valutazione: il sito venne individuato negli anni ’80 del secolo scorso durante ricognizioni di superficie condotte nell’ambito della bassa valle del fiume Mignone. Descrizione del luogo: il casale che dà nome alla località è situato su un terrazzo collinare posto a sud-ovest del rilievo di Monte Sassicari, a metà strada circa tra le località di Monte Rovello (v. pp. 94-95) e Poggio Finocchio (v. p. 149), in un’area piuttosto impervia e lasciata prevalentemente a pascolo. Descrizione delle strutture: area di affioramento non ben definita e non riferibile a tipologie (di tipo insediativo o sepolcrale) precise. Materiali: non si conosce con precisione il tipo di materiale raccolto, definito in letteratura soltanto come ‘etrusco’. Proposte di datazione: la scarsità di dati a disposizione non permette una collocazione cronologica sicura per i rinvenimenti dell’area, riferibili soltanto a un orizzonte culturale etrusco. 17. CASALE PACINI Insediamento; necropoli [IGM F° 142 IV NE] Bibliografia: Corsi - Mandolesi 1995, p. 238, fig. 2B; Mandolesi 1999a, p. 36 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 168, n. 24; Babbi 2002. Rinvenimenti e valutazione: il sito venne individuato e segnalato nel 1992 da C. Corsi, durante le ricerche compiute per la realizzazione della tesi di laurea. Successivi sopralluoghi vennero condotti dalla stessa C. Corsi, in compagnia di A. Mandolesi. Infine, in anni recenti, un riesame dei materiali afferenti alla c.d. Raccolta Comunale conservati presso il Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense ha portato al riconoscimento di una probabile area sepolcrale nella località in oggetto, ipotesi confortata dai risultati di alcune ricognizioni superficiali condotte a controllo dei dati emersi 29. Descrizione del luogo: settore della piana costiera tarquiniese, sulla destra del Fosso di Pian d’Arcione. Zona agricola, prende il nome dal casale che sorge all’interno dell’area oggetto dei rinvenimenti, i quali si concentrano in una leggera depressione posta a ridosso del piccolo corso d’acqua. Descrizione delle strutture: trattandosi di un’area di affioramento superficiale, non sono definibili le strutture dalle quali provengono i materiali in oggetto, sebbene per quanto concerne l’area sepolcrale sia possibile ipotizzare l’esistenza di pozzetti con custodia litica. Materiali: numerosi frammenti di impasto protostorico decorati, la maggior parte dei quali caratterizzati da un impasto di colore rosso e da una superficie lucidata a stecca, la cui fattura richiama molto da vicino i materiali raccolti nell’area di Fontanile delle Serpi (v. pp. 59-60). Si segnalano in particolare alcune fibule bronzee del tipo ‘a sanguisuga’ con decorazione incisa. Proposte di datazione: i materiali raccolti possono essere datati tra l’età del Bronzo Finale (contesto abitativo) e l’epoca villanoviana (testimonianze di necropoli). 18. CASALE SAETTO Insediamento [IGM F° 142 I NO] Bibliografia: Moretti 1976; Fugazzola Delpino 1976, p. 292; Fugazzola Delpino - Delpino 1979, p. 288, n. 37; Brunetti Nardi 1981, p. 165; di Gennaro 1986, p. 126, nota 101; Fugazzola Delpino 1986, p. 59; di Gennaro 1988, nota 19; Rendeli 1993, p. 411; Mandolesi 1999a, p. 156, n. 4. Rinvenimenti e valutazione: nel 1975 vennero individuati e raccolti dei materiali sulla superficie del terreno arato. Il proseguimento delle attività agricole ha praticamente distrutto il deposito archeologico sepolto che, con ogni probabilità, non doveva essere consistente. Descrizione del luogo: declivio collinare affacciato sul tracciato della SP 29 Babbi 2002, pp. 749-750. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 37 Tuscaniese, di fronte all’altura della Ferleta (v. pp. 53-54), in corrispondenza di un casale che dà il nome alla località (nota anche come Casale Saetta). Area agricola, ma in parte anche boschiva. I rinvenimenti paiono concentrarsi lungo il pendio occidentale del settore più elevato del colle. Descrizione delle strutture: trattandosi di rinvenimenti superficiali, non si hanno notizie precise in merito alle strutture da cui essi provengono. Materiali: diversi frammenti di impasto protostorico di varie fasi cronologiche. Proposte di datazione: i frammenti ceramici raccolti sono compresi nell’arco dell’intera età del Bronzo; in particolare, appare ben attestata la fase finale. M. Moretti 30 attesta tuttavia una possibile continuità di vita del sito nel corso della prima età del Ferro 31. 19. CASALE S. ANTONIO Area di frammenti fittili [IGM F° 142 I NO] Bibliografia: Mandolesi - Pacciarelli 1989, p. 46; Ivi, p. 49; Ivi, fig. 5D; Pacciarelli 1991b, p. 171; Ivi, p. 206, n. 18; Mandolesi 1999a, p. 174, n. 36. Rinvenimenti e valutazione: l’area di affioramento, individuata casualmente da Q. Velluti negli anni ’50 del secolo scorso grazie al recupero di un frammento ceramico in un canale di erosione (oggi interrato), è stata indagata solo attraverso ricognizioni di superficie, che non hanno per altro portato a ottenere dati significativi in merito. Descrizione del luogo: vasto pianoro di modesta altitudine, caratterizzato da pendii ripidi su tre lati e collegato al sistema collinare retrostante da una stretta sella, affacciato sulla valle del Fosso Leona, non lontano dalla confluenza tra questo e il Marta, e delimitato sul fianco sud-occidentale dal tracciato della SP Tuscaniese. L’area di affioramento dei frammenti fittili si individua non lontano dal casale che ha dato il nome alla località, presso quota 100, di fronte a Poggio Quagliere. Nei pressi del pianoro si trovano delle sorgenti perenni. Descrizione delle strutture: trattandosi di rinvenimenti superficiali, sparsi in maniera alquanto rada su una superficie di circa 1500 mq, nulla si può dire in merito a eventuali strutture sepolte, anche perché lo stato di conservazione dei materiali non ha permesso di attribuirli con sicurezza ad ambito insediativo o sepolcrale. 30 Moretti 1976, sotto la voce ‘Tarquinia’. In Fugazzola Delpino - Delpino 1979, p. 288, n. 37, è riportata l’affermazione degli scopritori secondo cui i materiali raccolti sarebbero «assegnabili ad una fase di passaggio bronzo finale - villanoviano». 31 38 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ Materiali: furono raccolti diversi frammenti di impasto protostorico, estremamente dilavati e corrosi. L’unico pezzo riconoscibile trova un confronto abbastanza stringente con un elemento della tomba 54 della necropoli di Poggio Selciatello (v. pp. 160-162): si tratta di un frammento di olla a spalla leggermente convessa, con colletto distinto da risega, labbro appiattito e tracce di una decorazione a pettine. Proposte di datazione: i frammenti raccolti possono essere datati genericamente all’età del Ferro iniziale, ma solo il pezzo confrontabile con la tomba 54 di Poggio Selciatello può essere collocato con sicurezza nella prima fase villanoviana (IX secolo a.C.). 20. CASCO DELLA DONNA Necropoli [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM315820] Bibliografia: Hencken 1968, p. 285; Parco 1971, p. 29. Documentazione d’archivio: ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia 13, fascicolo: Tarquinia - Giornali di Scavo 1904, sottofascicolo B; ArSAEM, ex Tarquinia, fascicolo: ‘Gruppo Archeologico Tarquiniese’, 16 aprile 1972; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia (passaggio), 1988, n. 4639. Rinvenimenti e valutazione: la località di Casco della Donna, in virtù della sua contiguità col Pian della Regina, fu oggetto di ricerche a carattere archeologico fin dall’Ottocento 32, ma non venne mai interessata da scavi scientifici: a eccezione dei saggi compiuti da V. Fioroni nel 1905, infatti, i ritrovamenti del secolo scorso sono tutti dovuti a casuali indagini di superficie, legate per lo più al controllo dell’attività clandestina. Si segnala in particolare un intervento del G.A.E.M. nel 1972, che portò all’individuazione di diverse tombe e al recupero di alcuni oggetti. Descrizione del luogo: il toponimo Casco della Donna indica il dirupo che separa Poggio Quarto degli Archi dalla valle del San Savino, immediatamente a sud del Pian della Regina, estendendosi anche alla parte di colle soprastante. Il costone appare ricoperto da una fitta vegetazione arbustiva, mentre la sommità del poggio è intensamente coltivata a cereali e pertanto sottoposta a frequenti arature. Descrizione delle strutture: nella località sono attestati due distinti nuclei sepolcrali, e dunque anche due differenti tipologie tombali: da un lato tombe di epoca protostorica, verosimilmente a pozzetto (a riguardo non 32 Attesta queste ricerche l’acquisto, effettuato nel 1894 dal Museo di Firenze, di un elmo crestato villanoviano in bronzo, che venne registrato come proveniente dalla località tarquiniese di ‘Casa della Bella Donna’, evidente deformazione, come già sottolineato da H. Hencken (Hencken 1968, p. 285), del toponimo Casco della Donna. CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 39 si posseggono, a oggi, dati precisi); dall’altro, un gruppo di tombe a piccola camera 33, scavate direttamente nel banco roccioso del colle, destinate ciascuna alla sepoltura di un singolo individuo: si segnala in particolare un ipogeo scavato nella parete rocciosa al di sopra di un piccolo torrente, affluente del Fosso di San Savino. Testimonianze raccolte presso gli abitanti del luogo descrivono anche un grosso ipogeo con ingresso costruito e architrave monolitico in nenfro scolpito, al cui riguardo però non si posseggono dati scientifici 34. Materiali: oltre all’elmo crestato bronzeo, segnalato da H. Hencken, e ad altri oggetti di bronzo, tra cui una fibula a sanguisuga frammentaria, caduti nell’affluente del San Savino da una delle tombe a camera sovrastanti, vennero recuperati da una delle tombe della zona uno scheletro, alcune fibule in bronzo, un vago di collana, un piatto bronzeo frammentario, due vasi in bucchero, un alabastron e una oinochoe probabilmente corinzi, un’anfora e alcuni frammenti non definibili di metallo; testimonianze raccolte in loco parlano anche di un cinerario biconico ancora avvolto nei resti di un tessuto a decorazione a riquadri bianchi e neri 35. Proposte di datazione: la presenza dell’elmo bronzeo e di tombe a pozzetto permettono di datare il primo nucleo di tombe, individuabile presso la sommità del colle e dunque ricollegabile con la contigua necropoli di Poggio Quarto degli Archi II (v. pp. 159-160), all’epoca villanoviana (IXVIII secolo a.C.); le piccole tombe a camera rintracciabili sul costone tufaceo, per la loro tipologia costruttiva, sono invece collocabili genericamente in epoca tardo arcaica-ellenistica. 21. CASTAGNO Possibile necropoli; insediamento [IGM F° 142 I SO] Bibliografia: Moretti 1959, p. 137; Parco 1971, p. 22, n. 9. Documentazione d’archivio: STAS, archivio Bruschi, B 345, lettera del direttore del Museo di Villa Giulia del 22 marzo 1913; ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: Tarquinia da 3 a 10, fascicolo 8A, protocollo 642/8; ArSAEM, ex Tarquinia, cartella: ‘dal 1917’, fascicolo: Tarquinia 2° fascicolo, protocollo 445 XII (lettera del 7 giugno 1927); ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1983, n. 9155; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1997, n. 13881. Rinvenimenti e valutazione: la località rientrava tra le numerose proprietà 33 34 35 Nel 1972 ne vennero individuate almeno una quindicina, forse più. Segnalazione U. Magrini. Segnalazione U. Magrini. 40 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ della famiglia Bruschi-Falgari quando, attorno al 1913, la nobile casata poté arricchire la propria collezione archeologica con alcuni pezzi provenienti da tale zona, probabilmente ritrovati fortuitamente durante lavori agricoli. La breve descrizione che di questi oggetti fece M. Moretti 36 risulta finora l’unico studio dedicato alle tombe del Castagno, che per altro non sembrano neppure aver incontrato l’interesse dei clandestini, nonostante la documentazione disponibile citi una serie di rinvenimenti fortuiti, avvenuti soprattutto nei decenni iniziali del Novecento. Successivamente, però, sopralluoghi compiuti nel 1966 per accertare la presenza di strutture tombali, denunciate da V. Gentili, ebbero esito negativo, nonostante le segnalazioni stesse fossero alquanto circostanziate. Tuttavia, ai limiti meridionali dell’area del Castagno, ai bordi della via dell’Acquetta 37, in occasione di lavori di ampliamento della strada (1997) venne individuata un’area di affioramento di frammenti laterizi e ceramici, pertinenti verosimilmente a un piccolo nucleo insediativo. Descrizione del luogo: col toponimo Castagno, spesso sostituito da quello di Piantate di Bruschi, meglio noto nell’uso locale fino alla metà del secolo scorso, si indica una serie di piccoli dossi argillosi che si elevano alla base del declivio sud-occidentale dei Monterozzi, tra Villa Bruschi-Falgari e la zona dell’Acquetta. Un tempo ricoperti da alberi da frutta (da cui il nome della località), sono oggi sottoposti a intensa attività agricola. Descrizione delle strutture: non si possiedono dati in merito alle strutture da cui proverrebbero i rinvenimenti degli inizi del Novecento, poiché Moretti poté vedere gli oggetti recuperati nella zona all’interno della villa dei conti Bruschi-Falgari, dove gli stessi erano stati portati dopo il recupero. È tuttavia sicuramente ipotizzabile che si trattasse di tombe a pozzetto, accanto alle quali non si esclude la presenza di tombe a fossa e, probabilmente, a camera, in continuazione dei nuclei principali della necropoli dei Monterozzi. Nulla si può asserire circa le strutture pertinenti all’area insediativa, nota solo da rinvenimenti superficiali. Materiali: quattro urne cinerarie biconiche in impasto 38, due delle quali ancora accompagnate dalla rispettiva ciotola-coperchio. Alcune casse di sarcofagi sono invece state registrate nella documentazione della Soprintendenza, soprattutto agli inizi del Novecento. Per quanto riguarda l’area 36 Moretti 1959, p. 137. Mappa catastale: f° 91, partt. 91-92. 38 Una lettera ufficiale, inoltrata dall’allora direttore del Museo di Villa Giulia e dell’Ufficio degli Scavi della Bassa Etruria e dell’Umbria alla sinistra del Tevere al conte L. Bruschi-Falgari, onde avere notizie precise circa il ritrovamento, descrive due delle urne come di bucchero, intendendo evidentemente l’impasto di colore nero, lucidato, tipico di molte olle protostoriche (STAS, archivio Bruschi, B 345, lettera di G. Cultrera del 22 marzo 1913). 37 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 41 dell’abitato, sono stati raccolti alcuni frammenti di laterizi e di vasellame in ceramica acroma e a vernice nera (oltre che in terra sigillata). Proposte di datazione: la tipologia degli oggetti recuperati agli inizi del Novecento non lascia dubbi circa la loro collocazione cronologica in epoca villanoviana, probabilmente nel corso della prima fase (IX secolo a.C.); tuttavia, l’area dovette ben presto rimanere coinvolta nello sviluppo della necropoli monumentale dei Monterozzi, e accogliere tombe di epoche successive. Per quanto invece riguarda il nucleo insediativo, la tipologia dei materiali noti ne colloca la fase di vita in epoca tardo-etrusca e romana. 22. CASTELLINA DELLA CIVITA Insediamento; necropoli [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM318837] Bibliografia. Necropoli: Benndorf 1866, p. 225; Forma Italiae II, 1, p. 106, n. 100; Pallottino 1937, col. 29. Insediamento: Fugazzola Delpino 1976, p. 292; Fugazzola Delpino - Delpino 1979, p. 288, n. 41; Brunetti Nardi 1981, p. 156; Bonghi Jovino 1986, p. 63; di Gennaro 1986, pp. 63-65; Fugazzola Delpino 1986, p. 59; di Gennaro 1988, p. 72, fig. 19; Ivi, p. 79; Pacciarelli 1991b, p. 176, n. 1; Cardosa 1993, p. 267, fig. 3; Cataldi 1993, p. 96; Mandolesi 1995; di Gennaro - Passoni 1998, p. 127, fig. 1C; Mandolesi 1999a, pp. 100-112; Mandolesi 1999b, p. 49; Pacciarelli 2000, p. 159, n. 2. Documentazione d’archivio: ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1988, n. 4641; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1989, n. 8708; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1992, n. 11232; ArSAEM, posizione 3 Tarquinia (passaggio), 2002, n. 5026. Rinvenimenti e valutazione: al di fuori delle frequenti segnalazioni di attività clandestina nell’area, le notizie relative a scavi sul colle della Castellina o alle sue pendici sono alquanto frammentarie e confuse e risalgono pressoché tutte alla seconda metà dell’Ottocento, nel quadro dei numerosi tentativi di indagine archeologica sul pianoro dell’antica città e nelle sue immediate vicinanze. Dati più precisi si posseggono solo in relazione a recenti indagini di superficie, che hanno permesso di individuare un’area di abitato sul rilievo. Descrizione del luogo: la Castellina è una piccola altura allungata e dalla cima di forma vagamente conica39, prominente, dall’estremità nord-orien- 39 La curiosa forma della sommità della piccola altura aveva fatto sorgere il sospetto 42 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ tale del Pian della Regina, verso la valle del Fosso Pantanaccio, cui presenta versanti molto scoscesi. La ripidezza dei suoi fianchi, rendendola inadatta alla coltivazione, ha fatto sì che l’altura venisse lasciata al pascolo delle greggi o agli alberi che, specie sulla cima, si addensano a formare una piccola macchia. Descrizione delle strutture: mentre l’abitato è noto solo per la presenza di aree di frammenti fittili recuperati sulla superficie del terreno, collazionando le notizie raccolte in bibliografia 40 è possibile stabilire che la necropoli presente sui fianchi dell’altura sia costituita da tombe a camera di piccole dimensioni, scavate nel banco roccioso, cui possono forse essere affiancate delle tombe a fossa 41. Alcune delle tombe a camera individuate in tempi più recenti 42 presentavano tracce di colore sulle pareti. Materiali raccolti: l’area interessata dall’abitato, uno dei principali nuclei che portarono alla nascita del grande centro del Pian di Civita 43, ha restituito diversi frammenti di ceramica di impasto protostorico, mentre per gli oggetti recuperati nelle tombe possiamo affidarci solo alle testimonianze di Benndorf e di Pasqui 44, che descrivono numerosi oggetti in oro, vasellame a figure nere e rosse 45 (dai balsamari ai crateri, decorati con fregi lineari o con rappresentazioni figurate caratterizzate da sovradipinture in bianco o bruno; tra di essi spicca un vaso configurato a testa bifronte), specchi di bronzo (tra cui due figurati, uno con l’episodio del ratto di Ganimede), diciassette ‘umboni’ a protome di fiera o di Acheloo 46 (per la precisione, dodici erano a testa di ariete, quattro a testa di che essa potesse celare un grandioso tumulo sepolcrale, ma ricerche in tal senso si sono rivelate del tutto infruttuose. 40 In specie la descrizione fatta da O. Benndorf (Benndorf 1866, pp. 225-226) con la breve notazione di A. Pasqui (Forma Italiae II, 1, p. 106), il solo a citare esplicitamente la Castellina quale luogo dei ritrovamenti presentati. 41 Purtroppo non si posseggono notizie precise sugli scavi ottocenteschi e i numerosi saggi abusivi effettuati nella zona sono sempre stati ricoperti, impedendo in tal modo qualsiasi tipo di controllo e di rilievo delle tipologie tombali. 42 Mappa catastale: f° 61, part. 32. 43 Sulla questione della nascita del centro protourbano di Tarquinia e dell’importante ruolo ricoperto dal villaggio della Castellina: Tarchna 1, pp. 147-152. 44 La collazione delle testimonianze dei due studiosi non è sicura, dato che Benndorf si limita a parlare di indagini in alcune grotte contigue al Pian di Civita - Pian della Regina, dove B. Fancelli aveva scavato nel 1865. Data comunque la vicinanza cronologica tra tali scavi e le ricerche di A. Pasqui, è logico supporre che l’identificazione operata da quest’ultimo tra gli scavi Fancelli e la necropoli alle falde della Castellina sia sostanzialmente corretta; non si può tuttavia escludere, allo stato attuale della documentazione, che Benndorf si riferisse a sepolcri ubicati sulle pendici del vicino Poggio Quarto degli Archi [tav. IV, 121-122]: v. pp. 158-160. 45 Sul vasellame: O. Jahn, München Vasen, n. 691. 46 Su questa particolare categoria di oggetti, ritrovati altre volte in tombe del terri- CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 43 leone e solo uno raffigurava Acheloo, con occhi in smalto bianco e nero), nove lamine di bronzo lavorate a sbalzo, un amuleto «in forma di aidoia» con graffita l’iscrizione mi lartha tarχinaia 47. Proposte di datazione: mentre per il villaggio presente sulla sommità dell’altura è sicura, in virtù del materiale raccolto, una datazione tra l’epoca protovillanoviana e quella villanoviana, per quanto riguarda le tombe non si possono avanzare ipotesi precise, dal momento che le attribuzioni del materiale citato dagli autori ottocenteschi non sono sicure e che gli oggetti stessi sono attualmente perduti 48. In via del tutto ipotetica si può comunque proporre, in attesa di verifiche o nuovi ritrovamenti, una datazione compresa tra l’arcaismo e l’epoca ellenistica. 23. CAVALLINE Possibile necropoli [IGM F° 142 IV NE - UTM: 32TQM201886] Bibliografia: in relazione alla tomba che sarebbe stata individuata negli anni ’50 del secolo scorso non si posseggono dati scientifici, ma sulle presenze archeologiche dell’area 49 si veda Corsi - Pocobelli 1993, p. 31. Rinvenimenti e valutazione: secondo testimonianze raccolte presso gli abitanti del luogo 50, il ritrovamento, per altro ignoto all’archeologia ufficiale, avvenne casualmente negli anni ’50 del secolo scorso a seguito dello sprofondamento di un mezzo agricolo in una buca apertasi improvvisamente sul terreno. Recenti ricognizioni superficiali nella zona paiono confermare le notizie relative alla presenza di strutture ipogee. Descrizione del luogo: piccolo poggio appena rilevato sulla piana costiera, a ridosso dei bassi colli della tenuta di Pian d’Arcione, posta immediatatorio tarquiniese [v. infra le località La Scaglia (pp. 77-78) e Poggio Quagliere (pp. 155157)]: Scala 1993. Particolare attenzione merita il commento avanzato da Benndorf in merito a tale ritrovamento, in quanto lo studioso sostiene che tali lacunari andrebbero ad aggiungersi a quelli simili rinvenuti nel 1835 «nel medesimo sito di Tarquinii»: questa affermazione potrebbe limitarsi a una generica indicazione di appartenenza della classe monumentale al territorio tarquiniese, o piuttosto riferirsi agli scavi che negli anni attorno al 1830 si stavano tenendo nell’area di Poggio Quagliere. 47 Sull’amuleto iscritto: K.F. Hermann, Der Knase mit dem Vogel, p. 6; O. Jahn, Berichte d. s. Geschichte, 1855, taf. V. 48 Grazie alla testimonianza del Benndorf (Benndorf 1866, p. 236), sappiamo che gli oggetti recuperati in queste tombe furono tutti acquistati dall’antiquario Castellani e destinati al mercato di Parigi o di Londra. È anche possibile che uno o due vasi, tra quelli recuperati da Fancelli, siano poi entrati a far parte della collezione Feoli, a suo tempo catalogata da S. Campanari. 49 Il nucleo sepolcrale individuato nella zona non riguarda solo il declivio delle Cavalline che digrada verso l’area di Pian d’Arcione, ma anche la sella che separa quest’ultimo dalla finitima area del Mandrione. 50 Segnalazione U. Magrini. 44 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ mente a nord-ovest. Sulla cartografia ufficiale IGM rientra nel toponimo Bosco delle Cavalline, che solo nel nome conserva il ricordo dell’estesa boscaglia che un tempo correva sulla riva destra del Fosso di Pian d’Arcione: l’area infatti è oggi del tutto disboscata e sottoposta a intensi lavori agricoli, che in alcuni punti sono giunti a intaccare il banco roccioso di base. Descrizione delle strutture: sulla base delle testimonianze raccolte appare possibile ricostruire una tomba a camera scavata nella roccia del colle, costituita da più ambienti in comunicazione tra loro, ma dal soffitto tanto basso da costringere un uomo a starvi chinato. Nulla si conosce di preciso sulle altre tombe individuate nella zona, che potrebbero essere riferite al vicino insediamento di Pian d’Arcione - Lestra d’Asti (v. pp. 115-117). Materiali: non si sono raccolte informazioni a riguardo di eventuali recuperi di materiali. Proposte di datazione: sulla base della sola tipologia tombale, così come è possibile ricostruirla grazie alle descrizioni degli abitanti della zona, si potrebbe supporre per la tomba in questione una datazione piuttosto bassa, probabilmente nel corso dell’epoca ellenistica. 24. CAVONE Possibile insediamento; necropoli [IGM F° 142 I SO] Bibliografia: Pallottino 1937, col. 97, nota 4; Ivi, col. 233; Romanelli 1943, p. 253; Novellone 1970, p. 5; Parco 1971, p. 26, nn. 36-38; Brunetti Nardi 1972, p. 75; Ciattini - Melani - Nicosia 1972, p. 406; Giannini Etruria meridionale, p. 345; Cataldi 1986, p. 204, n. 5; Torelli 1987b, p. 131; Rendeli 1993, p. 411; Bagnasco Gianni 1996, pp. 173-174; Leopoli Cencelle II, p. 126, n. 8. Documentazione d’archivio: ArSAEM, archivio vecchio, posizione 2 Tarquinia, 1969, n. 4134. Rinvenimenti e valutazione: come per molte altre località citate in questo catalogo, i ritrovamenti a carattere archeologico nella zona del Cavone sono dovuti a interventi di controllo o recupero condotti dalla Soprintendenza a seguito di scavi abusivi o lavori agricoli, cui si sono affiancate talvolta delle campagne di ricognizione superficiale. Nella storia di un’area nota come molto produttiva, dal punto di vista archeologico, almeno dalla fine dell’Ottocento, si possono individuare due sole date certe, quelle degli anni 1929 e 1930, quando il personale del Museo Archeologico Tarquiniense intervenne per recuperare due tombe a camera. Descrizione del luogo: col nome di Cavone si indica la linea di colli che corre parallelamente al tracciato della SS 1 bis, sulla destra della stessa, tra l’altura del Pisciarello e la Macchia della Turchina, delimitata a occi- CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 45 dente dalla valletta del Fosso Cavone 51. Area agricola o parzialmente destinata a pascolo, con limitate zone arbustive incolte. Le tombe si distribuiscono variamente sul costone affacciato sul corso d’acqua. Descrizione delle strutture: l’area è per lo più interessata da tombe a camera ipogea e da tombe a fossa, probabilmente raggruppate in vari nuclei lungo la linea collinare, anche se su uno dei versanti, in un punto attualmente non meglio definibile, venne individuata una concentrazione di frammenti fittili attribuibile con verosimiglianza a un piccolo nucleo insediativo 52. Materiali: delle numerose tombe individuate ne sono state esplorate ben poche, e soltanto di due (quelle aperte negli anni 1929-1930) si conoscono con una certa precisione i materiali rinvenuti: entrambe restituirono numerosi frammenti di olle costolate in impasto rosso (cosiddette ‘olle a seme di papavero’), ma la prima conteneva anche vasellame in ceramica etrusco-corinzia e in bucchero, tra cui un aryballos in bucchero grigio recante sulla superficie esterna una lunga iscrizione 53. Proposte di datazione: sulla base delle tipologie tombali, ma soprattutto dei materiali raccolti, è possibile collocare cronologicamente sia le tombe sia la presunta area insediativa tra l’età orientalizzante e l’epoca arcaica. 25. CENCELLE Insediamento [IGM F° 142 II NO] Bibliografia: Brunetti Nardi 1981, p. 166; Leopoli - Cencelle II, p. 127, nn. 13-15; Zifferero 1995b, p. 546, fig. 4, n. 4; Ivi, p. 548, fig. 5, n. 1; Naso 1999. Documentazione d’archivio: ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1991, n. 7926. Rinvenimenti e valutazione: testimonianze di epoca etrusca vennero individuate negli anni ’70 del secolo scorso durante alcune ricognizioni su51 Nella cartografia ufficiale IGM il toponimo Cavone è esteso ai colli posti sulla sinistra della SS 1 bis, a cui tuttavia è localmente attribuito il nome di Poggio Quarto degli Archi, in virtù della presenza delle arcate dell’acquedotto che nel Medioevo serviva la città di Corneto. A tale denominazione ci si è uniformati nel presente catalogo, lasciando ai soli colli sulla destra della strada la denominazione di Cavone. 52 La zona conservò importanza anche in epoca romana, come testimonia un gruppo di tombe alla cappuccina rinvenute a nord-est dell’area di frammenti fittili attribuibili al precedente villaggio etrusco. 53 Registrato tra le acquisizioni del Museo di Tarquinia con il n. 2516. L’iscrizione, che presentava alcune difficoltà di lettura e che appare ora estremamente rovinata, ha conosciuto diverse proposte di interpretazione, avanzate da diversi studiosi (da ultimo: Bagnasco Gianni 1996, pp. 173-174, ma anche TLE 152 e CIE III, 1, 10153). 46 CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ perficiali; successivamente, tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, tali segnalazioni trovarono conferma durante le ricerche condotte dall’Università di Roma ‘La Sapienza’ sul sito medievale di Leopoli sotto la direzione di Letizia Ermini Pani. Descrizione del luogo: i ritrovamenti interessano il basso colle che sorge sulla riva sinistra del Rio Melledra, incuneandosi tra il corso d’acqua e il tracciato della linea ferroviaria Civitavecchia-Orte, che correva proprio ai piedi dell’altura. Sulla sommità della collina sorgono ancora oggi i resti della città medievale di Leopoli, oggetto di un cantiere di scavo dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, e proprio in quest’area sono venute a luce alcune testimonianze di epoca etrusca. Descrizione delle strutture: all’interno del circuito murario medievale sono stati individuati alcuni tratti riferibili a strutture precedenti, relativi, stando ai materiali rinvenuti, al periodo etrusco. Materiali: in corrispondenza dei tratti murari individuati come precedenti rispetto al sistema medievale sono emersi frammenti di ceramica attica a vernice nera, in impasto a ingobbio rosso e in impasto rosso-bruno, tra cui si segnalano in particolare una ciotola con base ad anello sagomato, un piccolo pithos a corpo costolato e numerosi frammenti di olle ovoidi con bordi molto alti. Proposte di datazione: i materiali recuperati permettono di proporre una datazione delle testimonianze di orizzonte etrusco esistenti sul colle di Cencelle tra l’epoca tardo-orientalizzante e la fine dell’età arcaica. 26. CIRCONVALLAZIONE CARDARELLI Tomba [IGM F° 142 I SO - UTM: 32TQM272813] Documentazione: la tomba non appare segnalata nella letteratura scientifica: lo scrivente ne è venuto a conoscenza grazie alla segnalazione di B. Casocavallo. Rinvenimenti e valutazione: il ritrovamento è avvenuto nella primavera dell’anno 2000, in seguito a lavori edilizi condotti con l’ausilio di un mezzo meccanico. Descrizione del luogo: il ritrovamento ha avuto luogo sul fianco della scarpata meridionale del colle su cui sorge la moderna città di Tarquinia, al di sotto del tracciato della circonvallazione intitolata a V. Cardarelli, ossia all’estremità settentrionale del colle dei Monterozzi. Descrizione delle strutture: scavata direttamente nella roccia del colle si individua una piccola camera rettangolare ad apertura ellittica, con banchina per la deposizione del cadavere sul lato sinistro; le dimensioni dell’ipogeo sono molto ridotte, e non consentono a un uomo di starvi in piedi. Materiali: non si hanno informazioni precise a riguardo, ma la tomba pa- CATALOGO RAGIONATO DELLE LOCALITÀ 47 re sia stata ritrovata priva di materiali. Proposte di datazione: la tipologia della tomba e l’assenza di materiali non permettono di stabilire con precisione la collocazione cronologica della sepoltura. 27. CIVITUCOLA Necropoli [IGM F° 142 I NO - UTM: 32TQM295826] Bibliografia: Colonna 1973b, p. 549; Brunetti Nardi 1981, p. 157; Mandolesi 1992; Mandolesi 1999a, p. 148, n. 8; Pacciarelli 2000, p. 162, n. 9. Documentazione d’archivio: ArSAEM, posizione 3 Tarquinia, 1972, nn. 182; 6713. Rinvenimenti e valutazione: a seguito dei risultati incoraggianti di una ricognizione effettuata sul posto l’anno precedente, in terreni di proprietà A. Di Carlo, per controllare alcune segnalazioni relative a rinvenimenti superficiali, tra il 16 e il 21 agosto 1972 la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale organizzava una campagna di scavo volta al recupero di alcune tombe protostoriche. I risultati di questo scavo sono attualmente in corso di pubblicazione. Descrizione del luogo: il piccolo pianoro della Civitucola costituisce l’appendice occidentale del Pian di Civita, rispetto al quale risulta tuttavia più basso. Area agricola soggetta a frequenti arature, si può raggiungere sia dall’area dell’antica città 54, sia dalla valle del fiume Marta. Descrizione delle strutture: si tratta di un gruppo di tombe a pozzetto, in custodia cilindrica o con pareti rivestite di ciottoli; non mancano però segnalazioni di tombe a fossa o in cassa di lastre litiche. La pianta del settore indagato dalla Soprintendenza è allegata al giornale di scavo negli archivi di Villa Giulia a Roma. Materiali: la piccola necropoli ha restituito il tipico vasellame di orizzonte protostorico (urne biconiche, scodelle, ciotole, ecc.), per un totale di 39 oggetti, ma in superficie è stato raccolto anche un frammento riferibile a tipologie cronologicamente precedenti. Proposte di datazione: per quanto i materiali siano ancora in corso di studio, è tuttavia possibile, sulla base delle notizie preliminarmente edite, collocare il periodo di utilizzo della necropoli nel corso della prima fase villanoviana (IX secolo a.C.), con una limitata continuità di occupazione nel periodo successivo e, forse, precedenti in epoca protovillanoviana. 54 Attualmente l’area è separata dal resto del pianoro da una recinzione, in quanto l’estremità del Pian di Civita accoglie un allevamento di cinghiali. III L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE: PERCORSI DI LETTURA DIACRONICI * 1. L’ORIZZONTE PROTOVILLANOVIANO (TAV. I) L’analisi del popolamento di epoca protostorica nell’ambito del comprensorio tarquiniese è stata fatta oggetto di numerose indagini che hanno trovato, nelle evidenze emerse in quello che, a partire dal VII secolo, è stato definito ‘complesso sacro-istituzionale’ del Pian di Civita, una nuova chiave di lettura, incentrata su una plausibile ipotesi «di contatti tra i vari villaggi e di scelte mirate» 1. In tal modo, i risultati attinti in anni di ricerche condotte da vari studiosi, in particolare protostorici, relativamente a questa parte d’Etruria 2 possono ora trovare integrazione con i dati provenienti dal centro più eminente del comprensorio 3. Riprendendo i risultati attinti negli studi precedenti e integrandoli, ove possibile, con dati di più recente acquisizione, si propongono alcune chiavi di lettura in merito all’organizzazione territoriale del comprensorio tarquiniese nelle epoche più antiche, in relazione alle diverse situazioni e al progressivo strutturarsi (in senso protourbano) della comunità insediatasi sul Pian di Civita 4: non è infatti possibile prescindere dal ruolo rico* Per tutte le località menzionate nel capitolo si vedano le relative schede all’interno del catalogo ragionato (pp. 21-189). 1 La definizione di ‘complesso sacro-istituzionale’ è stata adottata per indicare il luogo ove con verosimiglianza, sulla base del contesto generale e dei dati raccolti, venivano stabilite normative per l’intera comunità (Bonghi Jovino Monumenti urbani). 2 Relativamente alle ricerche di ambito protostorico condotte in particolare sull’area tarquiniese: di Gennaro 1986; Mandolesi 1999a. 3 Per il quadro documentario offerto dall’abitato di Tarquinia per l’orizzonte protovillanoviano: Bonghi Jovino 1997a; Bonghi Jovino 1997b. 4 È questa la fase che M. Bonghi Jovino definisce «fase insediamentale» (Bonghi 192 L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE perto dal pianoro quale fulcro di aggregazione del popolamento del comprensorio, come messo in luce nei più recenti studi condotti da M. Bonghi Jovino 5, che hanno concepito in maniera globale il ruolo interrelato di insediamento e territorio circostante, per una visione storica più articolata e completa. Il quadro topografico dell’areale tarquiniese alla fine dell’età del Bronzo si presenta articolato in una serie di presenze, sia a carattere insediativo sia di tipo sepolcrale, variamente distribuite sul territorio, come è possibile individuare in tutta l’Etruria, in particolare nell’area meridionale 6: a partire dal XII secolo si assiste infatti a un deciso aumento del numero degli insediamenti 7, segno evidente di un forte incremento demografico, a conclusione di un lungo processo cominciato almeno nella media età del Bronzo 8; tuttavia, solo a partire dall’inizio della fase più tarda è possibile verificare il costante ripetersi di soluzioni insediamentali che presentano caratteristiche simili nell’occupazione del territorio 9. Per quanto riguarda l’area tarquiniese, nel mosaico di piccoli abitati di altura, difesi sia naturalmente sia attraverso opere di fortificazione artificiali (fossati, muri di pietrame a secco), si riconoscono due concentrazioni principali, caratterizzate da centri su rilievi isolati in grado di svolgere un ruolo organizzativo nei confronti di un distretto, vasto tra i 20 e i 60 kmq 10, articolato in campi coltivati, pascoli e boschi 11. Questa occupazione del territorio non appare casuale, ma presuppone un adeguato sfruttamento delle risorse disponibili, in particolare di quelle agricole, rendendo plausibile l’esistenza di accordi tra i vari villaggi per la convivenza nelle aree più frequentate e per la divisione di campi, pascoli e boschi 12. Jovino Tarquinia), in cui la comunità tarquiniese si definisce come ethnos e si articola in clan (intesi come raggruppamenti territoriali a carattere parentelare, organizzati secondo forme di gerarchia piramidale, che vedono nella cavità naturale del Pian di Civita il fulcro ideale attorno al quale aggregarsi). 5 Sul ruolo svolto dal Pian di Civita nell’aggregarsi della comunità tarquiniese, cfr. Tarchna 1, in particolare Bonghi Jovino 1997a. 6 Da ultimo, per le quattro metropoli dell’Etruria meridionale: Bonghi Jovino Città e territorio. 7 Per un panorama di massima della situazione tarquiniese, in rapporto alle epoche precedenti: Fugazzola Delpino 1986, pp. 55-56. 8 Pacciarelli 2000, passim. 9 Ivi. Rispetto alle epoche precedenti sembrano, in particolare, «diminuire notevolmente sia i siti costieri e perilacustri che quelli su vasta pianura tufacea» (Bartoloni 1989, p. 61), in favore di abitati di altura. 10 Cfr. di Gennaro 1982, pp. 107-108, fig. 2. Da ultimo anche di Gennaro 1999, p. 37. 11 Mandolesi 1999a, p. 184. 12 Bonghi Jovino Città e territorio. L’ORIZZONTE PROTOVILLANOVIANO 193 Da un lato, è l’area dei Monti della Tolfa ad accogliere numerose presenze databili tra XII e X sec. a.C.: sulle pendici e sulle sommità del nucleo orografico si individua una fitta maglia di insediamenti e necropoli (tra cui il più vasto sepolcreto protovillanoviano a oggi noto, quello di Poggio della Pozza [109]), cui si può aggiungere anche una probabile area sacra, presso la fonte di Ripa Maiale [130], al margine occidentale del massiccio 13; la disposizione degli abitati a distanze pressoché regolari gli uni dagli altri lungo il perimetro dell’area, con una maggiore concentrazione attorno all’altura di Monte Rovello [72], può con facilità essere riferita a forme di sfruttamento delle risorse naturali basate su un’equa distribuzione dei terreni, ognuno occupato da piccoli gruppi umani, probabilmente legati da vincoli di parentela 14. L’importanza rivestita dal comprensorio montuoso della Tolfa è con ogni probabilità legata a una molteplicità di fattori: in primo luogo, la possibilità di costruire gli insediamenti in posizioni elevate, facilmente difendibili e in grado di dominare per largo tratto il territorio circostante; secondariamente, la disponibilità di materie prime, in particolar modo metalli, e di spazi coltivabili; ancora, la presenza di numerose piccole valli fluviali che, convergendo verso il corso del fiume Mignone, costituivano un’importante rete di collegamento tra il versante settentrionale e quello meridionale del massiccio; infine, la vicinanza del mare che, unitamente alla indubbia qualità di caposaldo territoriale rivestita dal massiccio tolfetano, ne garantiva l’apertura a traffici commerciali ad ampio raggio. A quest’ultimo riguardo, appare sintomatico che ritrovamenti di ceramica micenea, indubbio segno di precoci contatti transmarini, siano avvenuti sulle alture di Monte Rovello [72] e Luni [63], poste in posizione dominante rispetto al corso del Mignone. È da sottolineare tuttavia il fatto che, rispetto alle epoche più antiche, durante la fase finale dell’età del Bronzo si assiste sui Monti della Tolfa a un fenomeno di selezione dell’insediamento, simile, anche se precedente, all’analogo processo che alla fine del periodo villanoviano porterà alla scomparsa dei centri minori nel territorio, in favore dell’agglomerarsi della comunità principale sul Pian di Civita 15. Anche sul massiccio tolfetano si assiste infatti alla scomparsa dei centri minori in favore di abitati d’altura maggiormente estesi 16, circondati da ampie necropoli nelle vallate e 13 L’esistenza dell’area sacra in epoca così antica è stata inferita sulla base del ritrovamento di una rondella in osso decorata all’interno dell’area del deposito votivo più tardo (per la bibliografia relativa, cfr. supra, pp. 168-169). 14 Mandolesi 1999a, p. 186. 15 V. infra, p. 202. 16 Cfr. di Gennaro 1999, p. 37. 194 L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE sui declivi circostanti, disposti a distanze regolari tra loro a controllo di importanti vie di comunicazione. Tale fenomeno appare tuttavia sostanzialmente diverso da quanto è possibile cogliere nel territorio compreso tra il Mignone, a sud, e il torrente Arrone, a nord: in tale areale, infatti, «si denota una forte continuità insediativa e culturale tra Bronzo recente e finale» 17, al di là dell’emergere di alcune nuove realtà minori. Si può inoltre notare una particolare incidenza delle attestazioni di orizzonte protovillanoviano attorno al pianoro su cui, in età storica, si svilupperà la città di Tarquinia; in particolare, merita attenzione il fatto che se testimonianze di tipo insediativo e cultuale si individuano in vari settori sia del Pian di Civita, sia del Pian della Regina, le necropoli fanno da corona all’altura, ma non si trovano mai su di essa: ciò denota un’unitarietà del progetto insediamentale, in un momento in cui pure non è ancora possibile parlare di città, ma piuttosto di comunità protourbane 18. Appare perciò plausibile l’ipotesi secondo cui, in seno alla nascente comunità tarquiniese, fosse già operante una modalità di occupazione del territorio in cui il Pian di Civita rivestisse una posizione rilevante e del tutto peculiare 19. Oltre infatti alle presenze messe in luce sul pianoro (scavi Bonghi Jovino) 20, che datano la frequentazione stabile dello stesso alla seconda metà del X secolo a.C., si hanno tracce di nuclei insediativi sull’appendice della Castellina [22], mentre tombe o tracce attribuibili a sepolcreti si individuano sul terrazzo della Civitucola [27], su Poggio Gallinaro [117], Poggio Cretoncini [104] e Poggio Sopra Selciatello [124], nelle valli del Pantanaccio [89] e, forse, di San Savino [136]. Tale ricostruzione, basata sui dati emersi nell’insediamento, «frutto di diversi overlayers elaborati su base stratigrafica» 21, dopo aver sollevato, al momento della sua formulazione, un proficuo dibattito, appare oggi generalmente accettata 22. Il rapporto tra abitati e necropoli si articola secondo caratteri ripetitivi, che prevedono l’estendersi del sepolcreto sui declivi o nel fondovalle sottostante l’altura dell’insediamento (come nel caso della necropoli di 17 Mandolesi 1999a, p. 184. Bonghi Jovino Città e territorio, passim. 19 Tale rilievo è già stato avanzato in occasione della mostra ‘Tarquinia etrusca. Una nuova storia’ (Tarquinia 2001) e sul relativo catalogo (Perego 2001, p. 16). 20 Per le campagne dal 1982 al 1988: Tarchna 1; l’edizione delle successive campagne di scavo è al momento in preparazione. 21 Bonghi Jovino 1997a, p. 148. 22 Il dibattito sviluppatosi attorno alla questione, che ha visto protagonisti illustri studiosi e diverse scuole di pensiero (M. Bonghi Jovino, F. Buranelli, A. Carandini, A.M. Moretti Sgubini, R. Peroni, F. Prayon), è interamente riportato in Bonghi Jovino 1998 e rappresenta un importante gradino nella definizione del ‘progetto Tarquinia’. 18 L’ORIZZONTE PROTOVILLANOVIANO 195 Pantanaccio [89] rispetto al colle della Castellina [22], o della Civitucola [27] rispetto alle soprastanti aree del Pian di Civita), oppure sui versanti posti di fronte alla corrispondente area di abitato (come nel caso delle aree sepolcrali di Poggio Gallinaro [117] e Poggio Cretoncini [104], riferite probabilmente a nuclei di capanne posti sul vicino pianoro) 23. Spostando il discorso su un piano più generale, l’ubicazione delle necropoli potrebbe anche trovare ragion d’essere nella costituzione di una sorta di confine, ideologico, ma anche fisico, all’espansione della comunità, a indicare i limiti del territorio afferente alla stessa; la mancanza di testimonianze archeologiche in merito a strutture tombali propriamente intese, se non per quanto riguarda la grande necropoli di Poggio della Pozza [109], impedisce tuttavia di valutare quanto i diversi sepolcreti potessero da un lato assumere il ruolo di landscape markers e, dall’altro, esprimere la potenza della comunità o di personaggi di rilievo lì sepolti, secondo un costume che sarà tipico delle aristocrazie etrusche in periodo orientalizzante 24. La presenza di un sepolcreto, probabilmente segnalato da appositi apprestamenti (come attestano le evidenze di Poggio della Pozza [109] e di Crostoletto di Lamone), permetteva di delimitare i territori esclusi dagli stanziamenti di gruppi umani ancora in fase di ampliamento e stabilizzazione, in un quadro di spostamenti e definizione del possesso di appezzamenti di terra per ogni clan, inteso come raggruppamento di tipo parentelare 25. 23 A questo riguardo ben si attagliano alla situazione tarquiniese i dati elaborati relativamente alle necropoli del Bronzo Finale in Etruria meridionale, secondo cui il 68% di esse si colloca sui declivi dei rilievi (con prevalente esposizione a sud / sud-ovest), il 10% nei fondovalle, il 16% sulla sommità di pianori piuttosto ampi e solo il 6% su altura; inoltre, all’interno dei primi due gruppi (necropoli su declivio o nel fondovalle), il 67% si pone in diretto rapporto con un corso d’acqua (Domanico - Miari 1991, passim). Per di più, a un primo stadio della ricerca, pare trovare conferma, nel quadro delle necropoli protovillanoviane del comprensorio tarquiniese, un’altra ipotesi avanzata dalle medesime studiose, secondo cui i sepolcreti, rispetto agli abitati di pertinenza, si collocano a distanze comprese tra i 200 e i 1400 m (ivi). 24 Lo stesso discorso può essere fatto per le caratteristiche dell’insediamento, riguardo al quale «si è ipotizzato che la sommità dell’altura o il pianoro potessero essere controllati da persone o da gruppi emergenti» (Bartoloni 1989, p. 61). 25 Bonghi Jovino 2001, p. 83. La stessa collocazione delle necropoli in una posizione generalmente subordinata rispetto all’abitato può rispondere a questo criterio di delimitazione territoriale, in quanto permette di effettuare un controllo più attento delle proprietà e dei loro confini, dominandoli da una posizione elevata (Peroni 1996, p. 495); in effetti, la vicinanza dei siti censiti a vie di comunicazione, alcune delle quali sicuramente di ampia rilevanza, poteva rendere certe localizzazioni molto appetibili, anche nell’ottica di gruppi umani transumanti al seguito delle proprie greggi: al riguardo, l’ubicazione dei centri abitati databili alla fase iniziale del Bronzo Finale sugli itinerari 196 L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE Nella valutazione della distribuzione spaziale delle attestazioni di orizzonte protovillanoviano, non si può certo prescindere dalla presenza di materie prime o di vie di comunicazione. L’areale dei Monti della Tolfa si pone in evidenza ancora una volta in questo panorama sia per la sua ricchezza mineraria, sia per la fitta rete di percorsi che mettono in comunicazione varie zone della costa e dell’entroterra tirrenico: in quest’ottica si spiega l’emergere di un cospicuo numero di siti, di cui in questo lavoro sono stati considerati soltanto quelli compresi tra il corso del Mignone e lo spartiacque individuato dalla linea ideale che unisce Tolfa ad Allumiere. Nel restante territorio le testimonianze individuate mantengono queste caratteristiche: infatti il sito di Fontanile delle Serpi [38] controlla la piana costiera e il possibile tracciato viario che dal litorale, all’altezza del Fosso Scolo dei Prati, permette di raggiungere i Monterozzi, valicandoli in corrispondenza della zona ove sorgeranno i due tumuli monumentali della Doganaccia [tav. III, 28] e proseguendo, attraverso la valle del San Savino, in direzione del Pian della Regina; il centro del Pisciarello [99], dominando il versante meridionale del colle, permetteva di controllare il percorso diretto verso il fondovalle del Fosso Ranchese: tale percorso, tagliando longitudinalmente il colle dei Monterozzi e intersecando la via che, lungo il costone del Cavone [tav. III, 24], attraversava l’area boscosa di Macchia della Turchina, univa il complesso orografico del Pian di Civita alla piana del Mignone e al massiccio tolfetano; la Montarana [68] domina lo sbocco della valle del Marta nella piana costiera e, unitamente alle presenze dell’area di Santa Maria in Castello [138], controlla il principale percorso naturale che unisce la costa all’entroterra appenninico 26, collegando il Mar Tirreno al lago di Bolsena. Oltre a ciò, il possibile centro abitato posto all’estremità dei Monterozzi controlla il percorso longitudinale che unisce la vallata del Marta al fondovalle del Fosso Ranchese e dunque al Mignone: in quest’ottica, è interessante notare come un secondo nucleo insediativo si ponga all’estremità opposta del colle e del percorso, su un terrazzo del versante sud-occidentale del Pisciarello [99]; la Ferleta [31] domina più a nord la stessa valle del Marta e il percorso a essa parallelo, in direzione dei colli di Tuscania; di fronte a essa, il nucleo di Casale Saetto [18] controlla l’area alle spalle del Guado della Spina e il di transumanza è sottolineata anche in Bartoloni 1989, p. 61 e fig. 3.2, sebbene la stessa studiosa evidenzi come questo tipo di strutturazione del territorio vada esaurendosi già in piena fase protovillanoviana, per una disposizione più spaziata degli insediamenti. A titolo di confronto, un analogo ruolo era probabilmente svolto dai siti collocati lungo il corso del Fosso di Malafede, tra Ficana e Castel di Decima (De Santis 1997, p. 107). 26 Mandolesi 1999a, p. 188. L’ORIZZONTE PROTOVILLANOVIANO 197 percorso che dal fiume risale l’altura di Poggio Quagliere [tav. III, 120]; l’area di Casale Pacini [17], unitamente al vicino insediamento di Pian d’Arcione - Lestra d’Asti [92] (dalle caratteristiche peraltro non definibili), controlla invece il settore costiero della valle del torrente Arrone, in direzione del comprensorio vulcente; infine, l’abitato sul complesso orografico di Torrionaccio - Le Grotte [140] controlla la piccola valle del Fosso di Civitella e il percorso, trasversale alla valle del Marta, che essa rappresenta, in direzione dell’entroterra di Vetralla e di Caere. Nelle altre aree del comprensorio la presenza di insediamenti (ed eventuali necropoli) rispetta criteri volti al controllo dell’ambiente circostante e delle sue risorse 27, ovverosia la collocazione dell’abitato in posizione elevata e facilmente difendibile, la sua estensione ridotta e la vicinanza, in molti casi, di un secondo insediamento posto di fronte al primo o nelle sue immediate vicinanze. Analizzando caso per caso, si nota infatti come l’abitato della Montarana [68] si collochi su un’altura dai fianchi ripidi allo sbocco della valle del Marta nella piana costiera, di fronte all’estremità del colle dei Monterozzi dove, nell’area sottostante la chiesa di Santa Maria in Castello [138], sarebbero emerse tracce di frequentazione protostorica databili all’età del Bronzo Finale; oppure, come il centro di Torrionaccio - Le Grotte [140] si articoli su due rilievi affrontati, sulle sponde del Fosso di Civitella, affluente di sinistra del Marta utilizzabile anche come via trasversale per accedere al comprensorio di Vetralla e, di lì, al retroterra ceretano; o ancora, come i nuclei della Ferleta [31] e di Casale Saetto [18] dominino la moderna Strada Provinciale Tuscaniese, il cui tracciato parrebbe ricalcare quello di un percorso ben più antico, risalente forse ancora alla preistoria 28. Privo di un parallelo vicino appare al momento il nucleo del Pisciarello [99], così come quello, già citato, della Castellina della Civita [22], il cui ruolo però assume una rilevanza peculiare nel quadro dell’emergere del retrostante pianoro quale cuore della nascente comunità tarquiniese 29. 27 Un controllo che poteva essere esercitato anche per conto di un’embrionale entità di più alto livello, che sovrintendeva in qualche modo alla dislocazione degli insediamenti nel comprensorio per una gestione strategica delle risorse naturali (da ultimo: Bonghi Jovino Città e territorio): tale fenomeno potrebbe trovare espressione da un lato nell’esistenza di sedi di ‘potere’, come per esempio Luni sul Mignone [63], la cui sfera di influenza si sarebbe estesa anche ad alcuni insediamenti minori circostanti, dall’altro in processi di integrazione tra gruppi umani anche consistenti (Pacciarelli 2000, p. 104). 28 Harari 1997, p. 13. 29 Bonghi Jovino 1997b, p. 218; Mandolesi 1999a, p. 188. 198 L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE L’organizzazione degli abitati su altura, al di fuori e accanto all’esistenza di centri secondari funzionali all’economia del villaggio nel comprensorio circostante 30, ben si accorda con un’evoluzione della struttura sociale della comunità protostorica da una realtà tribale su base territoriale a precoci forme di aggregazione su base ‘gentilizio-clientelare’ di ambito pre-urbano 31, prodromi della nascita delle aristocrazie che caratterizzeranno la storia dell’Etruria nei secoli successivi 32. È tuttavia anche possibile, seguendo un’ipotesi avanzata da F. di Gennaro 33 e recentemente ripresa alla luce di altre considerazioni da M. Bonghi Jovino 34, riconoscere nella contiguità degli abitati, che infatti presentano caratteristiche omologhe, una forma di organizzazione che permettesse di limitare le conflittualità e di mantenere così l’equilibrio tra le varie entità: tale sistema di rapporti tra i vari abitati avrebbe potuto determinare indirizzi di pianificazione territoriale, i quali embrionalmente contenevano le potenzialità di sviluppo dei futuri organismi rappresentati dalle grandi metropoli costiere (nel caso in esame, Tarquinia). Fanno eccezione al quadro relativo alla scelta dell’ubicazione topografica le presenze rilevate nell’area di Casale Pacini [17], Pian d’Arcione [92] e Fontanile delle Serpi [38], ubicate in lievi depressioni della piana costiera 35, e i centri abitati di Torre Valdaliga [139] e della Mattonara [53], collocati direttamente sulla costa: la scarsità dei dati a disposizione circa le caratteristiche di questi piccoli insediamenti non permette di avanzare ipotesi precise circa le motivazioni che hanno portato a queste scelte, legate con ogni verosimiglianza più alla possibilità di sfruttare da un lato le lagune costiere 36 e, dall’altro, la vicinanza del mare e delle 30 Già nell’organizzazione territoriale del Bronzo Finale è possibile riconoscere un duplice livello gerarchico tra i vari siti individuati, al di là di una loro comune ubicazione in cima ad alture: da un lato centri egemoni, sedi del potere e dei gruppi sociali dominanti, dall’altro centri minori per lo sfruttamento delle campagne o di altre forme di economia antica (sull’argomento e sulle problematiche a esso connesse: di Gennaro 1999, p. 38). 31 V. di Gennaro 1999, p. 37. Cfr. Peroni 1989, pp. 218-307. Questo fenomeno appare certamente legato alla progressiva concentrazione della popolazione in un centro principale, che assorbiva le funzioni politiche ed economiche prima distribuite nell’ambito della «comunità tribale polinucleare» (di Gennaro 1999, p. 37). 32 Sull’emergere delle aristocrazie, anche come frutto di fenomeni di ineguale distribuzione della ricchezza: Mandolesi 1999a, p. 184, in particolare nota 163. 33 V. di Gennaro 1999, pp. 38-39. 34 Bonghi Jovino Città e territorio. 35 Perego 2001, p. 15; Bonghi Jovino 2002, p. 34. 36 La presenza di lagune e zone paludose sulla costa tarquiniese è ampiamente documentata nella cartografia storica dal XVII secolo fino alle bonifiche ottocentesche, ma ne dava testimonianza indiretta anche Rutilio Namaziano (V secolo d.C.), sostenendo che l’antico porto di Gravisca era stato abbandonato a causa delle esalazioni malari- L’ORIZZONTE PROTOVILLANOVIANO 199 attività a esso connesse (ivi compresi forse i primi traffici commerciali con le genti del bacino orientale del Mediterraneo) 37, che alla fertilità del circondario, sebbene questo aspetto non dovesse essere secondario nell’economia dell’epoca 38. Ad ogni modo, queste presenze stanziali poste immediatamente alle spalle della linea costiera sembrano mostrare un primo fenomeno di ‘appropriazione’ del comparto marittimo da parte della comunità tarquiniese, verosimilmente indotta da quegli stessi gruppi dominanti che si stavano organizzando unitariamente sul Pian di Civita 39. Un discorso a parte meritano il ripostiglio di bronzi di Monte Rovello [72] e l’area sacra di Ripa Maiale [130], entrambi costituenti, nella loro tipologia, un unicum nell’ambito del territorio in esame. Per quanto riguarda il primo, composto esclusivamente da asce e lingotti, la presenza nel nucleo di materiali di due asce a spuntoni laterali rimanda a contatti con la Sardegna nuragica, la cui mediazione avrebbe permesso l’arrivo, nell’entroterra tirrenico, di tali manufatti 40. Il rinvenimento poi del deposito all’interno dell’area insediativa, insieme a una discreta presenza di scorie di fusione 41, denuncia l’esistenza nella medesima zona di un’area di lavorazione del metallo e, di conseguenza, avvalora l’ipotesi del coinvolgimento dell’area tolfetana in una rete di traffici ad ampio raggio, quale era appunto quella dei commerci del metallo in epoca protostorica 42. che della vicina palude (Rut. Nam., De reditu I 279.284). Del resto, ancora agli inizi del XIX secolo gli ergastolani impiegati nello scavo delle vasche delle saline si trovavano costretti ad affrontare una situazione ambientale al limite della sopravvivenza [v. al riguardo l’incartamento relativo ai lavori di scavo conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Tarquinia: cfr. G.S. Lodispoto, Le saline ottocentesche di Corneto, «BSTAS» 10 (1981), pp. 25-46]. 37 Pacciarelli 2000, p. 104. 38 Appare plausibile tracciare un quadro della dimensione economica espressa dai siti di Fontanile delle Serpi [38] e Casale Pacini [17] basata da un lato sulla coltivazione dei campi, dall’altro sulla pesca e sull’attività di estrazione del sale [sulla possibilità che già in quest’epoca esistessero metodi per ottenere il prezioso prodotto in presenza di bacini di acqua salmastra pressoché stagnante: G. Traina, Sale e saline nel Mediterraneo, «PP» 47, 5 (1992), pp. 363-378. Sullo sfruttamento del sale a Tarquinia in epoca antica: Bonghi Jovino 2002]. 39 Mandolesi 1999a, pp. 193-194; Bonghi Jovino Tarquinia. 40 Pellegrini 1998, p. 26. 41 Klitsche de la Grange 1885a; Pellegrini 1998, p. 26. 42 Tra i contributi alla definizione del problema si citano: M.A. Fugazzola Delpino E. Pellegrini, Su alcune produzioni artigianali e sulle relazioni intercorse tra l’Italia centrale tirrenica e quella nordorientale nell’età del Bronzo, in Atti PPE III, pp. 47-57; L. Domanico, Dinamismo culturale e fenomeni di scambio in Italia nordoccidentale durante la tarda età del Bronzo. Rapporti con l’Etruria e suddivisione cronologica del Bronzo Recente (ivi, pp. 59-81); A. Le Fèvre-Lehöerff, Techniques métallurgiques en Étrurie et échanges de la fin de l’âge du Bronze au début de l’âge du Fer. Aperçu des travaux et pro- 200 L’ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO TARQUINIESE La frequentazione dell’area sacra di Ripa Maiale [130] già in epoca così antica è denunciata dalla presenza di una rondella in osso decorata da occhi di dado e linee trasversali incise, probabile indice di un regime di offerte a carattere, per così dire, ‘quotidiano’, deposte presso la fonte perenne che sgorga nella località in oggetto 43. Concludendo, durante l’età del Bronzo Finale, nel comprensorio tarquiniese e in tutta l’Etruria meridionale si manifesta una fenomenologia in rapida evoluzione che, in breve tempo, porterà da un’organizzazione territoriale basata su una serie di villaggi sparsi a un più ridotto insieme di testimonianze dipendenti da un grande abitato centrale, sede del potere politico e fulcro dello sviluppo della comunità 44: i piccoli centri dislocati lungo la valle del Marta e attorno al massiccio tolfetano hanno infatti avuto modo, data la loro reciproca vicinanza, «di stabilire un ambiente favorevole all’incontro e alla solidarietà fra gruppi umani, topograficamente distinti» 45. È possibile che una progressiva stratificazione sociale e l’emergere di embrionali organizzazioni a livello comunitario rappresentassero la premessa per una sempre più articolata delineazione della primitiva comunità. (SEGUE) position de réflexions (ivi, pp. 117-127). 43 Leopoli - Cencelle II, pp. 117-118, n. 36; cfr. supra, pp. 168-169. 44 Sull’evoluzione del popolamento e dell’organizzazione territoriale durante la tarda età del Bronzo e per una panoramica generale sulla situazione della Penisola: Pacciarelli 2000; su Tarquinia in particolare: Fugazzola Delpino 1986; Mandolesi 1999a, pp. 179-194; Bonghi Jovino Città e territorio. 45 Mandolesi 1999a, p. 186. P. Tav. I. – Orizzonte protovillanoviano. 279