italiani che durante il grande massacro 14
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italiani che durante il grande massacro 14
ITALIANI CHE DURANTE IL GRANDE MASSACRO 14-18 COMATTERONO CON UN’ ALTRA DIVISA, SOTTO UN’ ALTRA BANDIERA. Francesco Cecchini Quando nel 1914 iniziò il grande massacro Trento, Trieste ed i loro territori erano parte dell’ Impero Austro-Ungarico e giovan di lingua italiana, trentini e triestini, furono inviati a combattere contro la Russia zarista. Circa 100mila. l’Austria lo fece perchè aveva paura di defezioni, di diserzioni, di cameratismo e fratellanza per ragioni etniche, culturali in genere, se avessero combattuto sul fronte italiano. Una vicenda dimenticata o poco conosciuta. Il merito dell’ ultimo libro di Paolo Rumiz*, COME CAVALLI CHE DORMONO IN PIEDI, edito da Feltrinelli ha il merito di raccontarla. Rumiz lo fa con una scrittura potente e visitando a partire dal Carso i luoghi che videro questa avventura. Copertina del libro di Rumiz Questi italiani andarono al fronte russo quando ancora ci si illudeva che “prima che le foglie cadano” il conflitto sarà finito. Ma non sarà così La il grande massacro dilagò in tutta Europa e quel fronte, quello orientale, scivolò nella dimenticanza, offuscato da altre battaglie quelle, di Verdun,e del Piave e di altre. Paolo Rumiz comincia da lì, da quella rimozione e da un nonno, Ferruccio , non conosciuto perché morto prima che lui nascesse, che combattè in divisa austroungarica, giallonera. E da lì continua in forma di viaggio verso la Galizia confine dell’Impero , oggi compresa fra Polonia e Ucraina. Non racconto il viaggio, ma il messaggio almeno come l’ho capito, riportando le parole più significative dello scrittori . Di questi italiani chi comatterono in giallonero si sa poco ed anche meno di poco. A scuola nessuno insegna questo imprtante pezzo di storia. Quanti erano, cosa pensavano e in cosa credevano? Domande senza risposta, anz domandei mai poste. A scuola si insegna le storie di Cesare Battisti, di Filzi, di Slataper, di Rismondo; di Nazario Sauro, di Carlo 1 Stuparich,.quasi queste morti o martirii, rappresentassero tutti i trentini, triestini, istriani e dalmati di lingua italiana. Paolo Rumiz racconta: “I trentini, n cinquantamila erano partiti per il fronte russo, contro le poche centinaia che avevano disertato per andare a combattere con l’Italia” [p. 158]. Ora si sa che in totale partirono circa in centoimila a combattere per l’Austria contro la Russia e la Serbia e morironoti almeno in venticinquemila. Ma la contabilità non è precisa. Sempre Rumiz racconta che , “... a Trieste dopo il 1918 sono state deliberatamente occultate le liste dei morti messe a disposizione da Vienna. Si è fatto sparire tutto, e oggi non abbiamo né i numeri né i nomi. .;La damnatiomemoriae ha cancellato anche l’anagrafe. Non uno straccio di lista, non un miserabile elenco, niente di niente. Nulla per risalire ai cimiteri di guerra registrati dagli archivi austriaci” [p. 26]. In Trentino, qualche segno è rimasto: ci sono cimiteri di paese con monumenti “ai Caduti”, con l’indicazione “1914–18” e non “1915–18”. Nella Venezia Giulia , Gorizia e Trieste “tutto è scomparso fino agli anni Novanta per via della Guerra Fredda” [p. 27]. “Ma il peggio venne dopo, quando i vincitori, nel 1918, invece di restituire l’onore a quei ragazzi, adottarono la menzogna del nemico e confermarono la degradazione. Non si doveva sapere che migliaia di italiani avevano combattuto per l’Austria con onore. E così accadde che a guerra finita, al ritorno dal fronte o dalla prigionia in Russia, i nostri furono non solo diffidati dai carabinieri a raccontare ciò che avevano vissuto, ma addirittura spediti in campi di rieducazione nell’Italia del Centro-Sud. Dopo essere stati troppo italiani per i tedeschi, erano diventati troppo tedeschi per gli italiani” [pp. 24–25]. “Appena messo piede nelle terre loro, trentini e adriatici vengono internati e non fanno nemmeno in tempo a riabbracciare le famiglie. Molti di quelli che sono già tornati individualmente via terra sono invitati a presentarsi ai carabinieri ‘per comunicazioni che li riguardano’ e lì sono impacchettati a tradimento e spediti sotto scorta nei più remoti villaggi d’Appennino, a scopo rieducativo. Svernano nei dintorni di Isernia o Campobasso, con intorno la febbre spagnola che fa strage, blindati in chiese sconsacrate o scuole chiuse, dove vengono comunque a contatto con un’umanità povera e compassionevole, ma infinitamente meno istruita di loro. Spesso gli italiani austroungarici di ritorno sulle tradotte finiscono col fare un viaggio parallelo a quello degli italiani del Regno […]. Centinaia di migliaia di uomini su cui pesa l’ombra del ‘tradimento’ di Caporetto […]. Una crudeltà che provoca decine di migliaia di morti” [p. 224]. Un libro, COME CAVALLI CHE DORMONO IN PIEDI? intenso dai i toni del reportage, ricco di immagini, luci, odori, voci e ricordi. Paolo Rumiz narra una storia che in tempo di celebrazioni retoriche del grande massacro va ricordata dentro un quadro 2 che smitizza la retorica ufficiale , raccontandola come è stata. Anche per promuovere azioni riparatrici come la riabilitazione di coloro che furono fucilati o decimati per averla rifiutata. Per una visione generale di questo fatto la storica triestina Marina Rossi** ha scritto GLI ITALIANI AL FRONTE RUSSO. UNA STORIA RIMOSSA, edito recentemente Editrice Storica Treviso, di propietà di ISTRIT, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Un lavoro scientifico basata su documenti d’epoca e sulla corrispondenza, lettere e diari in linguia dal fronte russo di coloro di lingua italiana che vi comatterono nel1914 e nel 1915. L’ opera racconta gli eventi bellici, i movimenti politici e l’ opinione pubblica triestina e trentina di fronte alla guerra con particolare evidenza della posizione dei socialisti di Trieste di fonte alla guerra. E’ descritta la mobilitazione e la paretnza per la Galizia dove le armi austro-ungariche e zariste si incrociarono, nella linea del fuoco; la pesante sconfitta degli austriaci, pagata duramente anche con sangue italiano e le conseguenze: prigionia disumana nei campi siberiani o del Turkestan. Il libro si chiude con testimonianze di soldati triestini dal fronte serbo-albanese e con una bibliografia storica e letteraria sull’ avvenimento. La lista dei libri si conclude con Il Mondo di Ieri. Ricordi di un europeo di Stephan Zweig, Milano 1979. Zweig, austriaco, racconta nella sua autobiografia il crollo dell’ impero ed è d’ aiuto dando una visione generale a comprendere la vicenda degli italiani che combatterono all’ inizio del grande massacro dalla parte di Francesco Giuseppe. Concludo ricordando che nella Tribuna di Treviso del il giornalista Joris, in un articolo un’ altra vicenda che” coinvolse i trentini durante il grande massacro. Come abbiamo visto coloro che avevano tra 18 e 50 anni furono spediti in Galizia e sul Fronte Orientala, i civili, a decine di migliaia dovettero lasciare i propri paesi e si trovarono a vivere in condizioni precarie per anni nelle provincie centrali dell’ impero, nelle “città di legno”, veri e propri lager. Quelli fatti evacuare dagli italiani furono dispersi in 69province, in tendopoli.Male accolti dalle popolazioni locali e con la fama come regola di vita. Un solo episodio significativo del dramma vissuto: una ragazza di 16 anni che ha raccolto una mela da terra viene assalita dai cani aizzati dai contadini e pochi giorni dopo muore per idrofobia. Il dramma dei trentini durante il grande massacro viene raccontato da Quinto Antonelli e Diego Leoni, IL POPOLO SCOMPARSO-IL TRENTINO, I TRENTINI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE ( 1914-1920), edito da Nicolodi Paolo Rumiz è giornalista de "la Repubblica" e "Il Piccolo" di Trieste. Tra i suoi libri: "La secessione leggera" (2001), "Tre uomini in bicicletta" (con Francesco Altan; 2002), "È Oriente" (2003), "La leggenda dei monti naviganti" (2007), "Annibale" (2008), "Il bene ostinato" (2011), la riedizione di "Maschere per un massacro. Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia" (2011), "A piedi" 3 (2012), "Trans Europa Express" (2012), "Morimondo" (2013), "Come cavalli che dormono in piedi" (2014). Marina Rossi. Più volte docente a contratto presso le cattedre di Storia dei Paesi Slavi delle Università di Trieste e Venezia, con cui continua a collaborare attivamente, ricercatrice presso l'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste. Autrice di numerosi saggi ed articoli riguardanti la storia del lavoro e del movimento operaio organizzato nelle provincie meridionali dell'impero asburgico e la lotta politica nel Nord-est d'Italia dal primo dopoguerra alla fine della seconda guerra mondiale, è particolarmente nota, anche all’estero, per gli studi riguardanti il fronte orientale e le prigionie in Russia nel corso dei due conflitti mondiali. Tra i volumi più importanti, legati alle ricerche russe: I prigionieri dello zar (Mursia, Milano 1997),Irredenti giuliani al fronte russo (Udine 1999), Le Streghe della notte. Storia e testimonianze dell'aviazione femminile in URSS (19411945)(ed. Unicopli, Milano 2003), Evghenij Chaldej, un grande fotografo di guerra (Ed. La Stampa, Torino, 2006). Dal 1994 ha collaborato con Umberto Asti, come consulente storica, in tutti i documentari d'argomento russo da lui realizzati: L'altra riva del Don,1995, L'uomo del Volga, 2000, La Vittoria non ha le ali, 2002. Come co-sceneggiatrice ha collaborato con lo stesso autore per I naviganti, 2006 e Chapiteau, 2007. Per le ricerche filmiche e la cura dei testi riguardanti il fronte orientale e la frontiera giuliana, ha partecipato ai documentari I prigionieri di guerra, di J. Gianichian e A. Ricci, Museo Rovereto 1995; Cronache militari dei fronti galiziano e balcanico, Museo Rovereto 1996; Passano i soldati, di L. Gasperini, Roma 2001; Trieste sotto, Rai international, Roma 2002. Francesco Jori, giornalista e storico ha pubblicato recentemente Ne uccise dove più la fame, dove racconta la guerra vissuta dalla popolazione civile lontano dalle trincee, dove arrivò la fame che fece forse piu morti che in prima linea. “ Ne ha amazzati più la fame che le pallottole”, dicevano nel 1915-1918 nelle retrovie. Quinto Antonelli è ricercatore presso il Museo Storico del Trentino. È stato tra i fondatori della rivista storica "Materiali di lavoro" e dell'Archivio della scrittura popolare, di cui ora è responsabile. Ha curato (con Diego Leoni e Gianluigi Fait) la collana Scritture di guerra (10 volumi dal 1994 al 2004); con Diego Leoni il volume Il popolo scomparso. Il Trentino, i Trentini nella Prima guerra mondiale 1914-1920 (2003). Ha collaborato alla recente opera La Grande Guerra, della Utet, con un saggio sul Trentino. Si occupa prevalentemente delle narrazioni autobiografiche della gente comune, dei processi di istruzione e di educazione, della storia delle guerre del Novecento. In questo ambito nel 2008 ha pubblicato con Il Margine I dimenticati della grande guerra. La 4 memoria dei combattenti trentini (1914-1920). È autore di numerosi contributi sulla storia della scuola trentina, tra cui si segnala la storia del liceo di Rovereto. Diego Leoni ha svolto molte e diverse ricerche sulla storia sociale del Trentino, studiando in particolare le due guerre mondiali. Con Camillo Zandra ha pubblicato La città di legno: profughi trentini in Austria 1915-1918 (Trento 1981) e ha curato il volume La Grande Guerra: esperienza, memoria, immagini (Bologna 1986). Con Fabrizio Rasera ha curato Rovereto 1949-1945: frammenti di un’autobiografia della città (Rovereto 1993) e con Quinto Antonelli e Fabrizio Rasera, La città mondo: Rovereto 1914-1918 (Rovereto 1998). Per i tipi del Museo storico ha curato con Patrizia Marchesoni i volumi Le ali maligne, le meridiane di morte: Trento 19431945: i bombardamenti (Trento 1995), Lo sguardo del sapiente glaciale: la ricognizione aerofotografica anglo-americana sul Trentino (1943-1945) (Trento 1997), La macchinadi sorveglianza: la ricognizione aerofotografica italiana e austriaca sul Trentino: 1915-1918 (Trento 2001) e, ultimo in ordine di tempo, con Quinto Antonelli, Il popolo scomparso (Trento 2002). AUTORI ED EDITORI 5