La Coppa di Licurgo

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La Coppa di Licurgo
Corso di Scienze Applicate ai Beni Culturali AA 2013-2014
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Docente Dr. Peana Massimiliano
La Coppa di Licurgo
Eleonora Masu; matr. 30029337; [email protected]
RIASSUNTO
La Coppa di Licurgo, in possesso del British Museum dal 1958 dopo l'acquisizione
dalla famiglia Rothschild, rappresenta un caso particolare della lavorazione del vetro
romana. Si tratta di una coppa diatreta, l'unica che presenta una raffigurazione di una
scena così elaborata come la scena mitica della morte del re Licurgo ricordata nel VI
libro dell'Iliade, ma presente in varie versioni nella tradizione mitologica. La
complessità della decorazione ha fatto dubitare del metodo di lavorazione delle
diatrete. L'analisi al microscopio elettronico ha affermato che essa avveniva
intagliando e molando piuttosto che attraverso una congiunzione della "gabbia"
soffiata e modellata separatamente.
Inoltre il vetro della Coppa è dicroico, cioè in luce riflessa diventa di un colore verde
giada, con tonalità opache sul giallastro, mentre in luce trasmessa si illumina di un
rosso rubino. Questa sua caratteristica ha fatto dubitare del materiale della coppa,
che poi attraverso analisi specifiche (diffrazione a raggi X nel 1959) fu confermato
essere effettivamente vetro, e quella sua particolare qualità rifrattoria della luce esser
dovuta alle nanoparticelle argento-oro presenti come colloide.
L
INTRODUZIONE
e prime notizie della Coppa risalgono al 1845, quando uno scrittore francese testimonia
di averla vista nelle mani di un certo M. Dubois; la famiglia Rothschild probabilmente
l'acquisì non molto dopo e la tenne nel suo possesso per circa un secolo, prima di
venderla al British Museum nel 1958 [1]. La provenienza della Coppa è quindi
sconosciuta, ma fu ipotizzata essere italica, anche se un'origine alessandrina non risulta
impossibile. Sulla base di caratteristiche stilistiche la Coppa fu datata al IV secolo dC. Però la base
della Coppa, in argento traforato, e l'orlo risultano databili al XVIII o XIX secolo: si tratta
probabilmente di un intervento di restauro dopo la rottura della base originale. Già nel 1950, a
richiesta di Lord Rothschild, fu sottoposta ad analisi da Harden e Toynbee, il che risultò
nell'articolo pubblicato in Archaeologia del 1959 [2]. Da allora la Coppa fu frequentemente
analizzata per capire la causa delle sue particolari caratteristiche ottiche, e come ciò potesse esser
raggiunto con i mezzi artigianali del IV secolo. Infine anche la sua lavorazione decorativa fu
oggetto di discussione; discussione risolta dopo un approfondita analisi scientifica. Ultimamente,
piuttosto che oggetto di discussione, fu fonte di ispirazione per lo sviluppo di strumenti nel campo
della risonanza plasmonica.
1. Il Vetro Antico
La composizione del vetro antico, che è praticamente la stessa utilizzata ancora oggi, consiste
in:
-silice – SiO2 (ca. 65%)
-ossido di sodio - Na2O (ca. 20%)
-ossido di calcio – CaO (ca. 7%)
-allumina Al2O3 (ca. 2%)
-tracce di altri ossidi
Queste percentuali possono variare dato che i vetri non devono rispettare le leggi della
stechiometria chimica, cioè cambiando la composizione si otterrebbe sempre un vetro, ma con
proprietà diverse. La silice, ottenuta dalla sabbia (a basso tenore in ossido di ferro), è l'elemento
principale, formatore di reticolo, ma ha come difetto una temperatura di fusione altissima, a
1730°C. Per abbassare il punto di fusione viene aggiunto un ossido fondente: l'ossido di sodio,
introdotto sotto forma di carbonato di sodio, che però comporta un altro difetto: la poca
resistenza agli attacchi d'acqua. Per rimediare viene quindi aggiunto l'ossido di calcio che funge
da stabilizzante.
2. La Coppa di Licurgo
Nell'antichità il carbonato di sodio veniva reperito da giacimenti in zone desertiche (il natron),
oppure dalle ceneri di salicornia. L'ossido di calcio si otteneva dalla decomposizione del marmo,
carbonato di calcio, nel forno di fusione. Diversamente si otteneva dalla decomposizione di rocce
carbonatiche come la dolomite. L'allumina è spesso presente nel composto come impurezza, ma
a volte anche aggiunta appositamente. L'ossido di ferro è invece un'impurezza della silice.
L'analisi fatta al General Electric Company nel 1959 [3] dimostrò che il vetro della Coppa di
Licurgo ha una composizione simile a quella appena descritta, contenendo inoltre un 0,5% di
manganese, e una quantità di elementi in tracce, includendo oro e argento che compongono il
rimanente 1%. Un 0,3% è costituito dall'antimonio. L'antimonio fu generalmente aggiunto al vetro
durante il periodo romano sia come agente ossidante e quindi decolorante sia come opacizzante.
Per quanto riguarda il processo di fabbricazione della Coppa, dato che si tratta di una coppa
diatreta, è stata prima creata una coppa dallo spessore ampio (ca. 15 mm) con la tecnica della
soffiatura (Fig. 1). Successivamente la Coppa è stata intagliata e molata in modo da ottenere la
"gabbia" tipica delle diatrete.
Figura 1: Replica della Coppa di Licurgo prima della lavorazione diatreta, fabbricata dal Corning Glassworks,
in luce riflessa (a) e in luce trasmessa (b).
Da Plinio (Naturalis Historia XXXVI, 193-194) sappiamo che la produzione del vetro nel mondo
antico avveniva in fasi distinte. Prima veniva creato un vetro "grezzo" con le materie prime
descritte sopra. I "lingotti" di vetro (le materie prime "seconde") così ottenuti venivano trasportati
e commerciati in officine diverse, che rifondevano il vetro per ottenere il vetro da soffiare. E' in
questa seconda fase che si aggiungevano gli agenti coloranti (nel nostro caso: l'oro e l'argento). La
creazione della "gabbia" e la decorazione avveniva in una terza fase, dato che gli artigiani
responsabili per la decorazione (diatretarii) erano diversi dai soffiatori (vitrearii). Per quanto
riguarda la Coppa di Licurgo, forse è da supporre una collaborazione tra l'officina dei vitrearii e
diatretarii, che hanno deciso di conferire le respettive expertises in un unico oggetto. E' possibile
anche che I diatretarii avessero commissionato un vetro proprio con quelle caratteristiche in vista
della scena da raffigurare.
La tecnica della soffiatura fu scoperta alla fine del I secolo aC. In Medio Oriente e in particolare
lungo la costa fenicia. Utilizzando un tubo di ferro (canna), Il vitrearius prelevava dal crogiolo nel
forno la quantità di vetro necessaria alla formatura, che sulla canna assume l'aspetto di una
grossolana goccia (bolo/pera/paraison). Il bolo viene fatto raffreddare parzialmente per non
colare troppo e poi fatto roteare su una piastra metallica, con la canna in posizione orizzontale.
Successivamente il soffiatore pone la canna in posizione verticale e inizia a insufflare aria dentro il
bolo che si gonfia gradualmente mentre le pareti si assottigliano. A volte la soffiatura avviene
dentro uno stampo metallico, assumendo la forma di quest'ultimo. Dopo la soffiatura si può
procedere all'aggiunta di altri elementi utilizzando piccoli boli che vengono saldati e sagomati
sulla forma principale.
2. La Decorazione
La scena raffigurata ricorda un motivo ricorrente nella mitologia greca: la resistenza opposta
dagli uomini all'introduzione del culto di Dioniso. Episodi analoghi sono rappresentati dalle
vicende di Penteo a Tebe (narrate da Euripide nelle Baccanti), delle figlie di Preto ad Argo e delle
figlie di Minia ad Orcomeno.
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Licurgo, re degli Edoni, aveva vietato il culto di Dioniso e poi lo aveva attaccato uccidendo con
un'ascia una delle sue ninfe nutrici: Ambrosia. Nelle varie versioni del mito si racconta come
Licurgo perse il senno o fu reso cieco, arrivando presto alla morte.
Nell'incontro tra Glauco e Diomede nel VI libro dell'Iliade la storia (vv.130-140) viene
raccontata come segue :
"Poiché nemmeno il figlio di Driante, il forte Licurgo,
sopravvisse a lungo, lui che si mise a competere con gli dei celesti;
lui che un giorno le nutrici del folleggiante Dioniso
inseguì per le pendici del bel monte di Nisa; quelle tutte insieme
a terra gettarono i tirsi, tormentate col pungolo
da Licurgo massacratore; spaventato Dioniso
si tuffò tra le onde del mare, e l'accolse Teti nel fondo
impaurito: lo prendeva un forte tremore alle grida dell'uomo.
Si adirarono quindi con lui gli dei che vivono lieti
cieco lo rese il figlio di Crono, né ancora per molto
visse, poiché agli dei immortali, a tutti, fu odioso"
Nel Pseudo-Hyginus, II secolo d.C (Fabulae 132), Licurgo cercò di fare violenza alla madre, ma
quando si rese conto di ciò che aveva cercato di fare, ordinò di tagliare tutte le viti del regno, dato
che secondo lui il vino gli aveva annebbiato la mente. La pazzia mandatogli da Liber/Dioniso gli
fece uccidere moglie e figlio, e infine si tagliò un piede pensando fosse una vite. Liber/Dioniso lo
fece sbranare dalle pantere su Monte Rhodope.
Nel Pseudo-Appolodorus (Biblioteca 3. 34-35) Licurgo uccise il figlio Dryas pensando che fosse
una vite. Il suo regno soffrì un lungo periodo di infertilità come punizione per i suoi misfatti. Infine
fu giustiziato dai propri sudditi che lo fecero
squartare dai suoi cavalli su monte Pangaeus.
In un frammento di un autore anonimo del III
secolo dC. (Vol. Select Papyri III, No.129) viene
raccontato come Licurgo colpito dalla pazzia
uccide i figli pensando di uccidere dei serpenti e
come infine morì strangolato da una vite. La
scena sulla coppa sembra fare riferimento a
questa tradizione del mito dipingendo Licurgo
avviluppato da una vite con alla sua sinistra
Ambrosia per terra e un satiro nell'atto di
scagliare una pietra contro Licurgo. Dioniso,
accompagnato dalla sua pantera e tirso, chiama
il suo servitore Pan (Fig. 2). Il cambiamento di
colore della coppa, messa in relazione con la
raffigurazione di Dioniso, e con i numerosi
riferimenti nel mito alla vite, sacra a questa
divinità, ha un alto valore simbolico. La
trasformazione di verde in rosso va infatti ad
indicare la maturazione dell'uva e quindi del
vino, tematica altamente dionisiaca e
adattissima per una coppa da banchetto.
Figura 2: Raffigurazione di Dioniso sulla Coppa di
Licurgo.
Esiste inoltre la possibilità che la coppa rappresentasse non solo l'episodio mitico, ma dovesse
commemorare un evento politico contemporaneo: la sconfitta dell'imperatore Licinio (308-324
dC.) da parte di Constantino nel 324. La ribellione di Licurgo a Dioniso funge quindi da specchio
metastorico per la ribellione di Licinio a Constantino. Anche se Constantino è più frequentemente
associato alla divinità del Sol Invictus/Appollo, una tale interpretazione corrisponderebbe al
periodo di fabbricazione della Coppa.
4. La Coppa di Licurgo
Figura 3: Coppa di Licurgo in luce riflessa (sin) e in luce trasmessa (dex).
3. La lavorazione Diatreta
Il termine “diatreta” deriva dal verbo greco διατραω, "forare" o "perforare". Il termine
diatretus si trova in vari luoghi letterari [4]. Marziale, in un epigramma menziona dei costosi vasi
potori, del quale però non specifica il materiale. (XXII, 52, 910). Lo stesso vale per Ulpiano (Dig.,
IX, 2930) quando nella esposizione della Lex Aquilia espone il casus di un artigiano cui calix
diatretus si era rotto durante la lavorazione a causa di una fessura nella forma grezza e quindi
secondo la legge non portava responsabilità. Probabilmente si trattò di cristallo di rocca o di
un'altra pietra dura, ma non si può escludere il vetro.
Le diatrete si diffondono nella produzione del vetro antico già dalla fine del I secolo dC. Ne
costituisce una prova la coppa diatreta rinvenuta a Nimega, in Olanda nel 1982, oltre al Bicchiere
del Faro di Begrām, sempre del I secolo dC [4]. Le coppe diatrete costituiscono degli oggetti di alto
prestigio e lusso, ovviamente destinati alle classi più alte della società. Tra esemplari completi e
frammenti se ne conservano ca. 50-100 pezzi. Consistono in un contenitore che ha attaccato al
suo esterno una gabbia o guscio, distanziato dal contenitore interno attraverso dei supporti sottili.
La maggioranza degli esemplari conservati presentano un disegno geometrico a cerchi.
Costituisce quindi un esemplare raro la Coppa di Licurgo, con la sua decorazione figurativa. Per
quanto riguarda la destinazione d'uso, esistono varie coppe che presentano iscrizioni con formule
conviviali sia in latino (Coppa Trivulzio) che in greco (Coppa Colonia Braunsfeld), testimoniando
quindi chiaramente che erano utilizzate per bere.
Come già ipotizzato da Winckelmann, la lavorazione delle diatrete avviene tagliando e
molando un vaso dallo spessore ampio per ottenere quell'altorilievo estremo che costituisce la
"gabbia" esterna del contenitore. Una teoria meno accreditata vuole che la gabbia sia lavorata
separatamente e poi congiunta a caldo. Tuttavia di questo procedimento non se ne sono ritrovate
tracce e non ne risultano dopo esame al microscopio, che invece sembra avvalorare la prima
teoria. Già negli anni '60 fu preso sotto esame un frammento di un vaso diatreta proveniente da
Corinto da parte del dott. Brill, che arrivò alla conclusione che supporto e parete erano intagliati
da un unico pezzo di vetro, rifiutando la teoria della congiunzione a caldo perché in tal caso i due
elementi avrebbero avuto tipi differenti di bolle e la giuntura sarebbe stata visibile.
Nel 1995 Scott suggerì che la coppa di Licurgo fu lavorata utilizzando dischetti abrasivi del
diametro di ca. 6-12 mm. In seguito Lierke cercò di portare la questione in tutt'altra direzione
supponendo che la gabbia fosse stata modellata. Il dibattito portò infine all'analisi di un
frammento facente parte della decorazione (ritrovato quando la base ottocentesca fu tolta) sotto
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un microscopio binoculare e SEM che rilevarono tracce di strumenti abrasivi a forma di
mezzaluna, non solo sulla superficie, ma anche ai lati e sul retro (Fig. 4). Il che suggerì quindi l'uso
di dischetti abrasivi e una tecnica simile alla lavorazione della pietra e delle pietre preziose. I
dischetti in bronzo, rame o ferro sarebbero stati attaccati ad un fuso, montati su un tornio e fatti
roteare con un trapano ad arco. Gli strumenti in metallo venivano coperti di una miscela abrasiva,
composta da sabbie fini (come quarzo o smeriglio) e acqua o olio. L'analisi sotto microscopio
elettronico mostrò inoltre come la lucidatura fosse avvenuta totalmente con mezzi meccanici (Fig.
5), e non previa lucidatura a fuoco, come era stato supposto precedentemente.
Figura 4: Il frammento della decorazione della base analizzato tramite SEM: sono visibili le tracce a forma di
mezzaluna lasciate dagli strumenti di lavorazione.
Figura 5: Tracce della lucidatura sotto SEM.
4. Il Vetro Dicroico
Se le caratteristiche della coppa di Licurgo come diatreta basterebbero già per conferirla un
alto valore di peculiarità, ciò viene ancora sottolineato dalle sue caratteristiche dicroiche. In
effetti, se di diatrete si sono conservate una cinquantina di esemplari, di oggetti dicroici ne
rimangono neanche una decina.
Esistono testimonianze letterarie del vetro dicroico che forniscono indicazioni sul suo carattere
altamente raro e di prestigio [5]. La vita di Saturnino di Vopisco (Historia Augusta, Quatt. tyr., VIII,
10) contiene una lettera che sarebbe stata scritta dall'imperatore Adriano (117-138) quando era
in Egitto. Nella lettera, l'imperatore descrive un dono al suo cognato Severiano che era a Roma:
“Calices tibi allassontes versicolores transmisi, quos mihi sacerdos templi obtulit, tibi et sorori
meae specialiter dedicatos; quos tu velim festis diebus conviviis adhibeas” (SHA, Firmus,
Saturninus, Proculus et Bonosus VIII.10).
Ovviamente la notizia ha più valore per il periodo di Vopisco piuttosto che di Adriano;
rappresenta comunque una testimonianza valida per la diffusione delle coppe dicroiche almeno
dal IV secolo. Nel caso che la lettera di Adriano fosse autentica, ciò permetterebbe una
retrodatazione alla prima metà del II secolo dC. Lo stesso vale per un frammento del Leucippe e
Clitofonte (XI, 3, 12), di Achille Tazio (II dC.), nel quale si parla di una coppa per le libazioni
raffigurante vite, uva e Dioniso che cambia colore dal verde al rosso quando viene riempito di
vino. E' possibile che Achille Tazio avesse sentito delle coppe versicolores, e senza averle viste, ne
descrisse il meccanismo in un modo che a lui sembra logico. La coppa non cambia colore grazie
6. La Coppa di Licurgo
alla luce, ma per via del vino. E' da notare che la decorazione di questa coppa si avvicina molto a
quella della Coppa di Licurgo.
Torniamo alla nostra Coppa. Quando negli anni cinquanta fu messa all'attenzione degli
studiosi, il cambiamento di colore fu subito oggetto di analisi [3]. Dopo un'analisi spettrografica
qualitativa al British Museum, nel 1959 un campione fu mandato presso il General Electric
Company Ltd a Wembley per un'analisi più approfondita per determinare il colorante del vetro.
Già allora fu notato (da B.S. Cooper) che la presenza di tracce di oro, argento ed altri inclusi
potrebbero essere la causa del effetto dicroico dato da una combinazione di una colorazione
ottico-fisica del metallo colloidale nel vetro e di una pigmentazione da elementi metallici. Fu
individuato un 0,5% di manganese e 1% di elementi in tracce includendo oro e argento.
Sottolinearono l'estrema difficoltà (e forse fortuna) necessaria nel processo di fabbricazione, che
dovette implicare una grande precisione nel controllo di un gran numero di variabili. L'estrema
difficoltà nel ricreare le stesse condizioni di fabbricazione spiegherebbe l'unicità della Coppa, dato
che a quell'epoca non era nota l'esistenza di altri oggetti dicroici.
Nel 1962 un campione fu inviato a Dott. Robert Brill del Corning Museum of Glass insieme ad
un campione di un'altra diatreta. Questi confermò che l'effetto dicroico era dovuto a minuscole
quantità di oro (40 ppm) e argento (300 ppm) in soluzione colloidale [6].
Un colloide è una sostanza che si trova in uno stato finemente disperso, intermedio tra la
soluzione omogenea e la dispersione eterogenea, consiste cioè di una sostanza di dimensioni
microscopiche (diametro da 1 nm a 1000 nm) dispersa in una fase continua. I sistemi colloidali
possono causare effetti di scattering della luce e quindi nel nostro caso l'effetto dicroico. I metalli
assorbono le radiazioni elettromagnetiche (e quindi possono riflettere un particolare colore)
quando queste corrispondono alla frequenza di plasma, cioè la frequenza di oscillazione degli
elettroni di valenza. Quando gli elettroni sono in sintonia con le radiazioni elettromagnetiche si
parla di modo plasmonico o plasmone. Nella maggior parte dei casi la frequenza di plasma cade
nella regione ultravioletto, e quindi i metalli appaiono totalmente riflettenti. Questa reazione vale
anche per le nanoparticelle metalliche, ma viene influenzato da un altro fattore: la forma e
grandezza delle particelle (Fig. 6) e l'ambiente in cui queste sono immerse. Questo perché
l'incidenza delle radiazioni elettromagnetiche causa un dipolo elettrico istantaneo spostando gli
elettroni lungo la direzione del campo. La nanoparticella sarà quindi da un lato caricata
negativamente, per la concentrazione di elettroni, e dall'altro positivamente, per via degli ioni
(Fig. 7). Questo sbilanciamento di carica causa una forza di richiamo per gli elettroni, in stato di
oscillazione. L'intensità della forza di richiamo dipende dalla densità di carica di superficie e,
perciò, dalla dimensione e dalla forma della superficie stessa. La propagazione delle frequenze
dipende infine dall'ambiente circostante che può renderle più alte o basse.
Figura 6: Interazione tra misura e forma di nanoparticelle
triangolari di argento (da sinistra a destra resp. 120 nm, 50 nm,
26 nm di lato) e nanoparticelle sferiche di oro (30 nm di
diametro).
Per quanto riguarda il nostro caso le nanoparticelle (50–100 nm) oro-argento, di forma diversa
rispetto alle nanoparticelle d'argento, causano il colore rosso, mentre le nanoparticelle d'argento,
causano le tonalità verdi-opachi. I due colloidi hanno indice di rifrazione diverso, causando la
visibilità del rosso in luce trasmessa e il colore verde opaco in luce riflessa. Per ottenere le
particelle in forma colloidale, sarebbe necessario trattarle in un ambiente termico e ossidoriduttivo, sempre considerando un gran numero di variabili come la concentrazione colloidale, il
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diametro delle particelle, e quindi le proporzioni e stati di ossidazione dei vari componenti sia i
tempi, la temperatura e l'atmosfera della ricottura.
Con le tecniche allora disponibili al Dott. Brill, non fu possibile dimostrare inequivocabilmente
la presenza delle particelle, se si trattasse di particelle separate di oro e argento oppure di leghe.
Figura 7: Rappresentazione della risonanza plasmonica
Alla fine degli anni '80 un altro campione fu esaminato da Barber e Freestone [7]. Tramite
microscopio elettronico a trasmissione (TEM) fu rilevata la presenza di minuscole particelle di
metallo con un diametro di ca. 50-100 nm (Fig 8). L'analisi a raggi X dimostrò che si trattava di una
lega argento-oro con un rapporto di 7:3 con inoltre un 10% di rame. Erano presenti anche
numerose particelle (15-100 nm) di cloruro di sodio, probabilmente derivato dai sali minerali
aggiunti nella produzione del vetro. Da notare è l'alto rapporto di oro nella lega in confronto al
rapporto dell'oro rispetto all'argento contenuto complessivamente nel vetro (1:7). Questo
significa che una grande quantità di argento rimase in forma libera nel composto vitreo.
Figura 8: Nanoparticella lega oro-argento sotto TEM.
La ricerca fatta da Wagner et al. [8] indica che l'oro si dissolve in vetro nella forma
monovalente. La riduzione delle quantità di oro e argento già in stato fuso, durante il trattamento
al calore del vetro della Coppa, probabilmente ha causato la dispersione delle nanoparticelle
argento-oro. Un ruolo principale in questa riduzione lo ha avuto l'antimonio, presente nel vetro a
0,3%. Le particelle di cloruro di sodio probabilmente si sono formate nel vetro durante il
trattamento a calore che ha causato la cristallizzazione delle particelle in lega. Tuttavia non
devono aver contribuito direttamente al colore del vetro visto che le particelle sono incolore e la
loro indice di rifrazione vicina a quella del vetro.
Le proprietà dicroiche della Coppa sono state una grande ispirazione per lo sviluppo di
strumenti scientifici [9,10]. I Ricercatori (M. Gartia, L. Liu et al.) dell'università dell'Illinois a
Urbana-Champaign hanno utilizzato la tecnologia della Coppa per sviluppare un metodo di analisi
chimica basata sulla risonanza plasmonica. Il concetto si basa sul fatto che l'indice di rifrazione (e
quindi il colore) della Coppa cambia in base al liquido che essa contiene. Si è quindi proceduto nel
creare una versione su scala nanometrica della Coppa. Sono stati creati circa un miliardo di
“pozzi” nanometrici su cui pareti interni sono state applicate delle nanoparticelle di oro o
argento. Versando diverse soluzioni nei pozzi, essi cambiavano colore, trasformando l'analisi
8. La Coppa di Licurgo
chimica in una semplice analisi colorimetrica. Il prototipo era 100 volte più sensibile ad alterazioni
del livello di sale in soluzioni rispetto ad altri sensori che si basano su metodi simili, ma che
necessitano del processo problematico di fluorescence tagging di molecole di DNA/proteiche. La
semplicità e basso costo del metodo offre delle grandi possibilità di applicazione nello sviluppo di
sensori di patogeni per contesti poveri di risorse mediche e addirittura si prospetta lo sviluppo di
un sensore come applicazione sui telefoni cellulari.
Figura 8: Rappresentazione della
Risonanza Plasmonica Colorimetrica.
CONCLUSIONI
La Coppa di Licurgo rimane un caso unico della produzione del vetro romano, il cui carattere
speciale vale molto di più della somma di tutte le sue caratteristiche peculiari. La sua decorazione,
altamente sofisticata e complessa, ne fa un oggetto di alto valore artistico. La complessità della
raffigurazione ne fa un esemplare unico anche nel campo della lavorazione artigianale delle coppe
diatrete e forse può suggerire una collaborazione tra due officine di vitrearii e diatrearii distinte
che hanno deciso di conferire al suggestivo vetro dicroico una decorazione altrettanto sofisticata.
Infine, le sue caratteristiche dicroiche ci dimostrano come la lavorazione del vetro in periodo
romano potesse raggiungere livelli di expertise artigianale e "scientifica" difficilmente da
immaginare in quei tempi, almeno per noi moderni, ma forse anche per un autore come Achille
Tazio. Senza saperlo, gli artigiani della Coppa ci hanno fornito degli strumenti essenziali nel campo
della risonanza plasmonica e quindi per lo sviluppo di strumenti scientifici e chimici.
RIFERIMENTI
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Whitehouse D., “Diatreti, Vasi” in Enciclopedia dell'Arte Antica – Treccani, 1994
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Eleonora Masu
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