[1962], pp248 - Univirtual.it

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Titolo
Kuhn S. Thomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Biblioteca Einaudi, 1999[1962],
pp248
Autore della recensione
Recensione di Maria Antonietta Carrozza
Data della recensione
Luglio 2007
Abstract
In this book Kuhn presents his thesis on the development of scientific progress that he thinks not as a cumulative
process but as a biphasic process: the scientific revolution phase and the normal science phase. In the former the
research lines are going towards the analysis of “experimental anomalies” which are not in line with the paradigms.
The scientific revolutions in the history of science should not be designed according to Popper thought, as refutations
of single hypothesis, but as global changes of conceptual systems called by Kuhn paradigms
His thought was confirmed and further refined in the appendix "The structure of scientific revolutions" (1969) and in
the collection of essays of “The essential tension” (1977).
In questo libro Kuhn espone la tesi relativa allo sviluppo del progresso scientifico che concepisce non di carattere
cumulativo, per il fatto che nel percorso di sviluppo della scienza si delineano chiaramente sistemi concettuali che sono
tra loro «incommensurabili». Le rivoluzioni scientifiche, che cadenzano le diverse fasi della storia della scienza, non
devono essere concepite secondo il pensiero popperiano, cioè come confutazioni di singolari ipotesi prima sostenute in
precedenza dalla comunità scientifica, ma come mutamenti globali di concezioni della stessa comunità scientifica,
indicati da Kuhn come paradigmi.
Il suo pensiero è confermato e ulteriormente perfezionato nel Poscritto di “La struttura delle rivoluzioni scientifiche
(1969)” e nella raccolta di saggi contenuti in “La tensione essenziale” (1977, tr. it. 1985).
Recensione
A pagina 19 dell’introduzione del libro di Thomas Kuhn, “la struttura delle rivoluzioni
scientifiche”, nel titolo dell’introduzione…”un ruolo per la storia” e nella frase …”il suo scopo è
quello di abbozzare una concezione assai diversa della scienza, quale emerge dalla
documentazione storica della stessa attività di ricerca” l’autore esprime con chiarezza lo scopo
per cui egli scrive il saggio. Proprio l’introduzione diventa il fulcro del saggio di Kuhn poiché è
qui che l’autore pone le basi per renderci evidenti le concezioni del suo tempo relativamente al
procedere della scienza contro cui ergerà la sua argomentazione in tutto il suo saggio. Nelle
prime righe si evidenzia chiara la divergenza del suo pensiero, “ la storia se fosse considerata
come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia, potrebbe produrre una
trasformazione decisiva dell’immagine della scienza dalla quale siamo dominati” (pag 19).
Questa immagine, dice Kuhn, è quella che gli stessi scienziati che la praticano si creano,
sembra, infatti un controsenso che chi costruisce il sapere scientifico si crei o contribuisca a
creare una immagine contorta della “cosa creata” ma purtroppo questa immagine contorta
emerge quasi naturalmente “dallo studio dei risultati scientifici definitivi quali essi si trovano
registrati nei classici della scienza e più recentemente nei manuali scientifici, dai quali ogni
nuova generazione di scienziati impara il proprio pensiero” (pag 19).
Riflettendo sul carattere persuasivo e pedagogico di tali manuali, Kuhn propone la spiegazione
della inevitabilità che proprio essi contribuiscano a generare una concezione distorta
dell’attività che ha condotto alla loro stesura.
I manuali infatti recano sottintesa l’implicazione che “il contenuto della scienza sia
esemplificato unicamente dalle osservazioni, dalle leggi e dalle teorie descritte nelle loro
pagine”( pag 19) .
Sempre nell’introduzione viene già espressa l’idea che lo sviluppo del progresso scientifico non
è concepibile di carattere cumulativo, concezione che i manuali contribuiscono a fornirci, “se la
scienza è la costellazione di fatti teorie e metodi raccolti nei manuali correnti, allora gli
scienziati sono uomini che, con maggiore o minor successo, si sono sforzati di contribuire con
uno o l’altro elemento a quella costellazione. Lo sviluppo scientifico diventa così il processo
frammentario, nel corso del quale questi elementi sono stati aggiunti, singolarmente o a
gruppi, al deposito sempre crescente che costituisce la tecnica e la conoscenza scientifica. E la
storia della scienza diventa la disciplina che fa la cronologia di questi incrementi successivi, sia
degli ostacoli che hanno reso difficile la loro accumulazione”(pag 20). Ma sono questi i compiti
degli storici ed è questo il processo di sviluppo scientifico?
Nel saggio Kuhn delinea l fatto che proprio le domande relative al ruolo dello storico e ai dubbi
relativi sia al loro ruolo sia al processo dello sviluppo scientifico, ha condotto ad una
“rivoluzione storiografica nello studio della scienza” (pag.20) che ha generato negli storici “un
nuovo genere di domande” (pag.20) e concepito per la scienza un processo di sviluppo
tutt’altro che cumulativo.
Nella lettura del saggio emerge l’immagine nuova di scienza e di ruolo di storico della scienza
che la nuova storiografia nascente con il contributo di Kuhn ha esplicitamente delineato.
La concezione in vigore ai tempi di Kuhn relativa al processo di conoscenza scientifica era stata
delineata da Popper che aveva tracciato un fucus relativo al processo di crescita scientifico e
cioè quello centrato sul dualismo formulazione e critica delle teorie scientifiche. Secondo la
concezione di Khun per afferrare la vera natura della conoscenza scientifica non si deve
affrontare solo l’analisi della struttura logica profonda delle teorie, ma bisogna esplorare anche
la modalità con cui esse hanno spiazzato altre che sono state messe da parte nel corso della
storia. Kuhn con il suo pensiero, perciò, stabilisce il bisogno fondamentale che discipline come
l’epistemologia e la storia della scienza, elaborino una trama comune.
Come procede allora il cammino della scienza? Nel suo sviluppo, dice Kuhn, è possibile una
generalizzazione distinguendo due fasi, la fase della “scienza normale” (pag. 29) e la fase delle
“rivoluzioni scientifiche”(pag 31). Per scienza normale Kuhn intende “una ricerca stabilmente
fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza, ai quali una comunità scientifica, per un
certo periodo di tempo , riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi
ulteriore” (pag. 29). La frase usata dall’autore all’inizio del capitolo secondo, fa riflettere su
due concetti fondamentali espressi da Kuhn e cioè la validità che soltanto la comunità
scientifica assegna alla prassi di ricerca nella scienza normale, questa prassi è cioè frutto di
accordo condiviso, e l’accento posto sulla inevitabile provvisorietà di validità assegnata a
questa prassi, non dalla comunità ma dall’autore, nell’argomentazione del suo pensiero.
Questo accordo sulla prassi comporta la costituzione, nella fase di scienza normale, di manuali
che argomentano il corpo della teorie che in questa fase si sviluppano e si potenziano grazie
alla esplicazione dei dati sperimentali che le confermano, agli strumenti con cui i dati
sperimentali vengono ottenuti, alle possibili applicazioni che le teorie trovano nel campo dei
fenomeni. Hanno avuto questo scopo infatti, per citare alcuni di quelli che Kuhn cita nel suo
saggio, La Fisica di Aristotele, L’ Almagesto di Tolomeo, i Principia di Newton. Durante la fase
della scienza normale la natura della condivisione di tutta la comunità scientifica manifesta
due caratteristiche universalmente rilevabili, la prima relativa al folto stuolo di sostenitori che
le teorie trovano e che sostenendole aprono a nuovi problemi di conoscenza risolvibili alla luce
dei fondamenti teorici che si sono condivisi, la seconda caratteristica riguarda il fatto che
l’ampliamento dell’ applicazione dei fondamenti della teoria distoglie da “forme di attività
scientifica contrastanti con essa” (pag.29). I risultati del processo scientifico che si origina in
questa fase è definito da Kuhn col termine di “paradigma” (pag.29).
Il significato che Kuhn assegna al termine riguarda la prassi scientifica e cioè le leggi, gli
strumenti di indagine, le applicazioni, le teorie, che si costituiscono come modelli coerenti che
generano particolari ed universali costumi di ricerca scientifica, questi particolari modelli
vengono contrassegnati dagli storici della scienza con specifici “termini concetto” che recano in
sé il significato profondo del paradigma. Tanto per fare un esempio tra quelli portati nel
saggio: “astronomia tolemaica”(pag.30), “dinamica newtoniana” (pag.30), e così via.
Nella fase di scienza normale, in definitiva, un paradigma insorto si consolida anche per mezzo
della comunicazione dei risultati fatta dagli stessi scienziati che hanno dato vita al paradigma
e alla formazione che alla luce di questi risultati essi disegnano per gli allievi futuri membri
della comunità scientifica. In queste circostanze nella fase di scienza normale i membri in
formazione e i loro formatori poiché costruiscono il loro percorso alla luce del paradigma
vigente svilupperanno poco o niente pensiero dissonante.
Per far comprendere al lettore in tutto il suo significato sia il concetto di scienza normale che
quello di paradigma ad esso strettamente associato, Kuhn, essendo innanzitutto un fisico,
ricorre ad esempi nel campo della fisica e ritraccia la storia dell’insorgenza del paradigma
relativo alla natura della luce e cioè del dualismo onda-corpuscolo, e quella della natura
dell’elettricità. Con straordinaria semplicità la ricostruzione delle linee, seppur generali, della
nascita dei due paradigmi, con l’illustrazione dei dibattiti dove punti di vista di diverse scuole
si confrontano intorno a temi comuni, fa intuire al lettore quanto sia difficoltoso e impegnativo
“il cammino verso un consenso duraturo nel campo della ricerca” cammino in cui “la tecnologia
ha giocato un ruolo vitale nella genesi di nuova scienza”. Riferendosi all’esempio della
concezione dell’elettricità come fluido, concezione sostenuta da Franklin, si arrivò all’idea di
poter “imbottigliare quel fluido elettrico” (pag.37), e la costruzione della bottiglia di Leyda che
coronò il successo di quella idea fornì l’argomentazione più efficace per creare consenso
intorno alla teoria e la possibilità a questa e alle sue applicazioni di strutturarsi come
paradigma anche se tutti i casi di repulsione non potevano essere spiegati facendo uso della
teoria, infatti “per venire accettata come un paradigma, una teoria…non deve necessariamente
spiegare tutti i fatti con cui ha a che fare, e di fatto non li spiega mai tutti”(pag 37).
Questa convinzione rende liberi gli studiosi di praticare una selezione dei fenomeni da
indagare, perciò la raccolta dei dati e la stessa strutturazione della teoria diventano azioni
dotate di prestabilito orientamento.
Ma un paradigma è veramente solo una sintesi o un modello di concezione del mondo? Cosa
vuol dire prassi scientifica orientata e qual è la natura della ricerca resa possibile dal
paradigma?
La concezione che Kuhn ha di “paradigma”, supera il semplice significato di schema o modello
e si manifesta non come strumento di riproduzione alla guisa dei paradigmi latini come amoamas-amavi che mostrano lo schema di coniugazione valido per molti altri verbi latini, ma
come ” uno strumento per una ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove o più
restrittive condizioni”(pag 43) ottenuta “estendendo la conoscenza di quei fatti che il
paradigma indica come particolarmente rivelatori”(pag 43). Poiché un punto di vista di un
fenomeno si impone su un altro perché un gruppo di ricercatori impegnati in un problema
ritenuto importante dall’intera comunità scientifica riesce tra tutti a fornire più convincenti dati
e prove di un altro gruppo e perciò a risolvere il problema meglio degli altri, la via di
risoluzione e lo stesso processo mentale seguito per la spiegazione diventano una “promessa di
successo che si può intravedere in alcuni esempi scelti ed ancora incompleti…. la scienza
normale consiste nella realizzazione di quella promessa ”(pag 44). Kuhn fa comprendere con
estrema chiarezza proprio nel capitolo terzo, sia il significato di paradigma, sia quello di prassi
orientata e della natura della ricerca nella scienza normale, dove appunto natura della ricerca e
la sua prassi puntano alla costruzione dell’accordo dei fatti con le previsioni del paradigma. In
tal senso dopo l’accettazione di un paradigma la comunità scientifica si prodiga verso
l’incasellamento della “natura entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal
paradigma” (pag 44). Quindi ciò che caratterizza la ricerca scientifica nella scienza normale
sono tre particolarità, una è la ristrettezza dell’ambito di ricerca e l’approfondimento dello
studio nell’ambito particolare determinato dal nuovo paradigma, atteggiamento scientifico che
consente la specializzazione e lo sviluppo della scienza. Nel periodo della scienza normale ciò
che caratterizza la ricerca sarà infatti, la ricerca di precisione, la messa a punto di metodi
attendibili e di grande portata per ri-misurare un genere di fatti già conosciuti, molti scienziati
nella fase di scienza normale diventano famosi non per la scoperta di nuove teorie ma per la
messa a punto di metodi e procedure di indagine. La seconda particolarità è la ricerca di un
accordo in nuovi settori fra ” natura e teoria” (pag 47), in cui un nuovo lavoro sperimentale si
puntualizza alla luce del nuovo paradigma. La terza particolarità si delinea con un terzo tipo di
lavoro sperimentale che mira ad articolare la teoria del paradigma, questa particolarità è più
evidente nelle scienze che usano il formalismo matematico le quali organizzano un lavoro
sperimentale nella determinazione di costanti o di leggi quantitative, tutte le altre cioè quelle
che sono più rivolte verso uno studio qualitativo dei fenomeni, concentrano il lavoro
sperimentale nella ricerca di regolarità tra fenomeni in altri campi strettamente collegati a
quelli in cui essi sono stati per la prima volta spiegati. Il lavoro sperimentale che ne deriva
mira a determinare “i modi alternativi di applicare il paradigma alla nuova area di
interesse”.(pag 50). Queste tre particolarità caratterizzano la natura della ricerca alla luce di
un determinato paradigma, l’abbandono di un paradigma significa l’abbandono della prassi di
ricerca che esso delinea.
Ma allora, l’attività di scienza nella fase di scienza normale consiste solo nella ricerca di
precisione, la messa a punto di metodi attendibili per la ridefinizione di fatti già noti? Kuhn
specifica maggiormente nel suo saggio il significato di ciò che intende sottolineando la
differenza tra semplice ripetizione di procedimenti che portano a una soluzione di un problema
e la ricerca di vie alternative per arrivare alla soluzione dello stesso rompicapo. E’ questo il
punto cruciale della ricerca normale, quel punto che cattura i gruppi di scienziati impegnanti
nella fase della ricerca normale. Normalmente il risultato di un problema, dice Kuhn, nella fase
di ricerca normale è previsto dal paradigma ed è il solo aspetto di “non novità”, la via per
arrivare al risultato è invece del tutto ignota e quindi arrivare con modalità inedite al risultato
previsto significa risolvere un “rompicapo”, è la ricerca di una nuova via per la sua soluzione ad
appassionare gli scienziati che indagano alla luce di un determinato paradigma.
“La scienza normale”(pag 75) quindi è “l’attività risolutrice di rompicapo….è un’impresa
altamente cumulativa”(pag 75). Il suo scopo non è quello di trovare fatti nuovi o formulare
nuove teorie, ma nella sua normale prassi comunque vengono alla luce fatti nuovi e
insospettati, vere e proprie sorprese che si determinano inavvertitamente in seno a una prassi
che comunque risponde a regole astratte e modellatrici della ricerca stessa.
Nella storia delle scoperte scientifiche si trova testimonianza del fatto che una nuova scoperta
è saldamente connessa alla presa di coscienza dell’esistenza di anomalie, cioè che per alcuni
fenomeni non valgono le previsioni del paradigma fondante, questa presa di coscienza
comporta una perlustrazione più approfondita “dell’area della anomalia”(pag76) che si chiude
solo quando è disponibile una nuova teoria che possa ergersi a nuovo paradigma sostituendo
quello vigente. Nelle parole seguenti Kuhn espone al lettore ciò che intende per abbandono di
un paradigma e adozione di uno nuovo, non certo è azione possibile da oggi al domani poiché
“l’assimilazione di un nuovo genere di fatti richiede un adattamento, non semplicemente
additivo della teoria; finché tale adattamento non è completo, finché la scienza non ha
imparato a guardare alla natura in maniera differente, i fatti nuovi messi in luce non possono
in alcun modo essere considerati fatti scientifici”(pag76). Le implicazioni contenute in questa
affermazione sono che il cambiamento di paradigmi comporta una trasformazione dell' intera
struttura concettuale con la quale gli scienziati guardano il mondo e l' idea che una teoria non
viene confutata dal confronto diretto con fatti o osservazioni, non è il confronto che realizza il
suo abbandono, infine che ogni nuova scoperta con cui un paradigma vigente può essere
minato è un processo difficile che richiede tempo, è, inoltre, un processo caratterizzato da un
palese atteggiamento di resistenza al cambiamento. Perciò nella fase di scienza normale, un
paradigma produce nella comunità scientifica una fede nella prassi scientifica e cioè nelle leggi,
negli strumenti di indagine, nelle applicazioni che producono una notevole messe di risultati in
accordo con le previsioni, la fede in un paradigma diventa lo strumento concettuale attraverso
il quale gli scienziati realizzano la progettazione di esperimenti e di tecniche per analizzare dei
fenomeni nei campi della loro specializzazione. Paradossalmente questa operosità e
accuratezza analitica comporta costruzione di accurate conoscenze tanto che esse arrivano a
inficiare le esperienze stesse di laboratorio fino a rendere i ricercatori incapaci di rendere
intelligibili i risultati alla luce della loro stessa visione del mondo. In queste circostanze è
possibile rintracciare, nelle vicende storiche, il proliferare di differenti versioni della teoria
relativa ad un determinato fenomeno, questo fatto è indicativo di una crisi. Il fallimento del
tentativo di risoluzione di problemi nella fase di scienza normale porta alla formulazione di
nuove teorie che si presenta come una risposta alla crisi insorta dopo la presa di coscienza
delle anomalie sperimentali e teoriche nella fase di scienza normale. Ma come gli scienziati
reagiscono alla crisi? Il fallimento della risoluzione dei rompicapo viene accolto con disappunto,
è comune infatti, durante la fase di crisi, più un atteggiamento di resistenza agli attacchi che di
sorpresa per il fallimento dell’attività. Gli scienziati infatti, dice Kuhn “decidono di respingere
una teoria precedentemente accettata”(pag. 104) non per “semplice confronto di quella teoria
col mondo”(pag. 104) ma per “confronto sia dei paradigmi con la natura sia di un paradigma
con l’altro” (pag. 104). Kuhn per far comprendere al lettore la natura della crisi e soprattutto la
necessaria presa di coscienza degli scienziati nei confronti di anomalie documentate quasi
universalmente da vari gruppi di ricerca in quel campo, riporta alcune frasi prese da scritti di
scienziati come ad esempio Einstein, Pauli, che come fisici hanno vissuto periodi di transizioni
tra un paradigma ed un altro. Il lettore nel leggere queste poche frasi riceve documentazione
di profondi scoramenti, e persino di angoscia o contrastanti stati d’animo di gioia o confusione
che si possono leggere, rispettivamente, dalle parole di Copernico, Einstein e Pauli per la
consapevolezza della necessità di dover indossare nuovi occhiali per rendere intelligibile ciò che
al loro tempo era dissonante, non si tratta infatti dell’abbandono del noto per l’ignoto, ma della
consapevolezza di affinare nuovi strumenti mentali per la risoluzione dei nuovi rompicapo. Dice
Kuhn, la transizione da un paradigma in crisi ad uno nuovo è un processo di rimodellamento
delle teorie, metodi e applicazioni del proprio campo di studio che prima era governato dal
vecchio paradigma, spesso i periodi di transizione sono caratterizzati dalla “sovrapposizione di
problemi che possono essere risolti con il vecchio o con il nuovo paradigma”(pag 111), ma non
si creerà mai sovrapposizione nei modi per risolvere i problemi, infatti la definizione del nuovo
paradigma sancisce mutamento di metodi e di scopi e favorisce sempre nuove specializzazioni.
Kuhn usa il termine di “ricerca straordinaria”(pag.113), per rendere ragione di ciò che succede
durante la fase di transizione da un paradigma ad un altro e ripete, quasi in modo ossessivo
ma facendo uso di altre parole, che vedere il mondo attraverso un paradigma o l’altro significa
maneggiare “lo stesso insieme di dati di prima, ma ponendoli in un nuovo sistema di relazioni
reciproche e dando quindi loro una diversa struttura”(pag.112). Non è d’accordo Kuhn con chi
ha interpretato il cambiamento di paradigma come un semplice cambiamento della Gestalt
visiva, con la motivazione che “questo parallelo può essere fuorviante, gli scienziati non
vedono qualcosa come qualcos’altro; al contrario semplicemente lo vedono….lo scienziato è
privo della libertà” (pag.112); e qui, con questa frase finale Kuhn manifesta chiaro il
riferimento al fatto che gli scienziati sono vincolati a un sistema di regole appartenenti al
paradigma vecchio o a quello in embrione che governano le teorie e i modi delle indagini, e poi
aggiunge “ …che il soggetto della Gestalt possiede di muoversi avanti e indietro tra i diversi
modi di vedere” (pag.112), il parallelo con la libertà di movimento della Gestalt è utile
soltanto a far comprendere “quello che succede quando un paradigma muta su vasta scala”
(pag.112).
Che succede allora in fase di scienza straordinaria, qual è il comportamento degli scienziati di
fronte ad anomalie che minano le fondamenta del loro apparato conoscitivo?
Prima Kuhn ha parlato di resistenza, nelle pagine del capitolo ottavo rende evidente che
resistenza non vuol dire rifiuto, nella scienza normale le anomalie se si verificano vengono
semplicemente tralasciate non volutamente ma dall’orientamento della ricerca a realizzare la
previsione del paradigma. L’ampliamento del campo, l’approfondimento delle conoscenze e la
conseguente specializzazione che l’approfondimento comporta, attività prioritarie nella fase di
scienza normale, determinano spesso involontariamente la non considerazione dell’anomalia,
sono pertanto gli scopi della ricerca che nella fase di scienza normale caratterizzano la ricerca
stessa. Cosa significa, allora, resistere al crollo delle fondamenta della teoria? Significa, nella
propria attività di ricerca specializzata, incontrare con più frequenza l’anomalia e sentirsela
comunicare da più parti, significa isolare l’anomalia, precisarla maggiormente allo scopo di
strutturarla. Perciò nell’area in cui si manifestano le prime anomalie persistenti e l’esattezza
delle regole della scienza normale comincia a vacillare, due atteggiamenti universali si
ritrovano nell’attività degli scienziati; da un lato essi cercheranno con puntigliosità di applicare
rigidamente quelle regole, quasi a voler tastare con pienezza il campo di applicabilità nell’area
dell’anomalia, dall’altro lato testeranno e amplieranno lo scontro tra previsione e risultati
sperimentali che diventerà sempre più chiaro. Nella fase di scienza straordinaria è possibile che
si cerchi a caso, che si cerchi un “non noto per mezzo dell’ignoto”?
Kuhn risponde di no, dal momento che alcun esperimento può essere pensato senza il
sostegno di una teoria, nella fase di scienza straordinaria si assiste al proliferare di tantissime
teorie che vengono formulate facilmente e con altrettanta facilità abbandonate se segnate da
insuccesso, mentre possono via via strutturarsi se segnate da successo. Molti esempi di questi
fatti sono documentati nella fisica, nell’astronomia e nella chimica, le ricerche di Keplero,
Prietsley, Lavoisier o quelle sulla scoperta del neutrino sono attività da annoverarsi tra la
ricerca straordinaria per ”definire la fonte di un insieme ancora indefinito di anomalie”
(pag.113). La crisi, dice Kuhn, funziona come propellente per abbattere gli stereotipi e per
ampliare i dati da cui inizierà l’articolazione del nuovo paradigma. Spesso la struttura della
ricerca straordinaria disegna il nuovo paradigma che pertanto viene anticipato da essa, altre
volte invece non è possibile documentare nessuna forma di consapevole anticipazione ed esso
affiora all’improvviso e generalmente essi emergono da menti giovani perché “scarsamente
condizionati alle regole tradizionali della scienza normale da parte della precedente attività,
hanno maggiore probabilità di vedere che quelle regole non servono più a definire problemi
risolvibili e di concepire un altro insieme i regole che possono sostituirle. Il conseguente
passaggio a un nuovo paradigma costituisce la rivoluzione scientifica” (pag.117).
Perché un mutamento scientifico deve essere chiamato rivoluzione? Perché un cambiamento
nella struttura concettuale con cui si concepiscono e si indagano i fenomeni comporta un
cambiamento nei modi di fare scienza e nella tipologia di problemi considerati scientifici che è
proibito dalla comunità scientifica. Kuhn con il termine “proibito” (pag.120) intende che non è
considerato scientifico il modo o addirittura è considerato un falso problema ciò che è svolto o
posto con il nuovo paradigma. Il successo della sua risoluzione richiede l’abbandono di una o
più regole accreditate e perciò “istituzionalizzate” dalla comunità che adotta il paradigma
vigente, in favore di altre regole non ancora ben precisate. In questo clima la comunità
scientifica si mostra divisa in gruppi che si aggregano intorno a proposte concrete per la
ricostruzione di nuove regole e di gruppi che si addensano intorno alla vecchia struttura
concettuale tentando di rafforzarne le fondamenta.
In questo periodo si assiste allo scontro dialettico di fazioni avverse che spesso fanno ricorso
alla tecnica della persuasione per accaparrarsi seguaci e sostenitori. Si verifica, per la scienza,
il periodo che Kuhn chiama “la scelta dei paradigmi contrastanti” (pag.121), in cui forme
incommensurabili di paradigmi si contrastano. In queste circostanze il ruolo dei paradigmi è
circolare, ciascun gruppo usa nell’argomentazione il proprio paradigma. La scelta tra due
paradigmi, si verifica sia sulla base della coerenza nella sua struttura logica e del valore degli
esperimenti addotti, sia sulla base della capacità di persuasione che la nuova scuola di
pensiero è in grado di esercitare sulla comunità a scapito dell’altra contrastante.
Si assiste con frequenza più elevata, nella fase di scelta di un paradigma, alla conflittualità che
quindi normalmente accompagna l’insediamento di un nuovo paradigma. Kuhn prende in
considerazione la possibilità che una nuova teoria non entri in conflitto con una precedente, ma
sottolinea che la possibilità si verifica solo quando la teoria riguarda fenomeni la cui
conoscenza era ignota precedentemente. Infatti dice, “la nuova teoria può semplicemente
trovarsi a un livello superiore rispetto alle teorie conosciute in precedenza, a un livello che
permette di collegare un intero gruppo di teorie del livello inferiore senza mutarne
sostanzialmente nessuna”(pag.123), di seguito a questa affermazione egli sostiene che questo
è però una consapevolezza solo successiva, infatti con l’esempio della teoria della
conservazione dell’energia mostra al lettore come essa faccia da collante e non da invalidante
tra le conoscenze teoriche sull’energia nel campo della dinamica, chimica, elettricità, ottica e la
teoria del calore e come la teoria in realtà sia emersa dalla incompatibilità tra la teoria di
Newton e quella del calorico. Solo dopo l’abbandono della teoria del calorico, quella della
conservazione ha spianato la strada per la risoluzione di problemi nelle differenti scienze e
branche della scienza prima menzionate, solo molto dopo ha potuto essere riconosciuta come
teoria di tipo logico superiore e cioè trasversale e fondamentale per la spiegazione di molti
fenomeni in campi diversi. Con questa tesi Kuhn liquida la visione positivista che considera il
progresso della conoscenza come un processo additivo, ed afferma la visione che il progresso
scientifico consiste in una trasformazione, non certo indolore, della struttura concettuale
attraverso cui le giovani generazioni di scienziati adottano un modo diverso di guardare il
mondo. È questa l’essenza delle rivoluzioni scientifiche. Quando una rivoluzione scientifica si è
compiuta il nuovo paradigma ci dirà ”cose differenti sugli oggetti che popolano l’universo e sul
comportamento di tali oggetti” (pag.131), e non solo, Kuhn si affanna a ripetere che un nuovo
paradigma determinerà nuovi metodi, orienterà gli scienziati a rideterminare i problemi e i
modelli di soluzione accreditati dalla comunità; persino i criteri con cui si decreta la differenza
tra una soluzione scientifica e una soluzione metafisica mutano; “La tradizione della scienza
normale che emerge dopo una rivoluzione scientifica è non solo incompatibile, ma spesso
incommensurabile con ciò che l’ha preceduta” (pag.132).
In conclusione, le rivoluzioni scientifiche conducono a nuovi paradigmi incommensurabili con
quelli vecchi e i nuovi paradigmi producono mutamenti nella concezione del mondo. Ma cosa
vuol dire mutare la concezione del mondo? Kuhn dedica il capitolo decimo del suo saggio per
fornire la risposta a questa domanda. Sottolinea, nell’articolazione della risposta, un punto
essenziale, cioè non sono l’adozione di nuovi strumenti e il guardare a nuove direzioni fatti
fondamentali per risolvere il problema posto, poiché gli scienziati vedono cose nuove anche
quando usano gli strumenti tradizionali nella direzione in cui avevano guardato prima. Kuhn
accoglie nella sua argomentazione i nuovi orientamenti della ricerca proveniente dai dati
sperimentali della Gestalt “scorrendo i quali si ha il sospetto che la percezione visiva stessa
richieda qualche cosa di simile ad un paradigma” (pag.141), secondo i quali l’esperienza
precedente veicola la percezione del mondo, “ciò che uno vede dipende da ciò a cui uno
guarda, sia anche da ciò che la sua esperienza precedente gli ha insegnato a vedere(pag.141),
ma usa questi dati come punto di partenza per una analisi più approfondita del significato nelle
scienze di mutamento della concezione del mondo. Kuhn si rivolge, infatti, ad analizzare quali
comportamenti sono consoni ad uno scienziato dotato di un nuovo paradigma mentre guarda
gli stessi “oggetti” che aveva visto prima. Attingendo sempre alla storia della fisica ed in
particolare a quella dell’astronomia e della scoperta di Urano fatta da Hershel, mostra al lettore
come astronomi formatisi prima del copernicanesimo avevano concepito Urano come una stella
sulla base della posizione come parametro fisico di identificazione. Poiché il paradigma
copernicano, considerava altre categorie di identificazione come ad esempio il movimento, ecco
che Hershel osservando l’oggetto, concepito prima come stella, con lo stesso strumento, il
telescopio, solo più potente tanto da poter rilevare la forma dell’oggetto e poiché questa si
rivelò insolitamente ellittica, affiancò, secondo il nuovo paradigma il parametro movimento,
sulla base del quale, dati alla mano, sostenere che l’oggetto non fosse una stella ma una
cometa. Fu lo stesso parametro a rendere ragione dell’impossibilità di ridurre il moto di quel
corpo, concepito come una stella, ad una cometa e a far sorgere l’ipotesi, poi confermata, che
esso fosse un pianeta. Perciò, non il diverso strumento di osservazione ma i differenti
parametri fisici secondo cui i paradigmi dirigono i modi di fare ricerca fanno vedere in un altro
modo ciò che prima veniva visto in modo diverso. La portata del nuovo modo di “vedere” è di
solito molto vasta, infatti cambiando il loro modo di vedere gli astronomi riuscirono a scoprire
pianetini e asteroidi. Afferma Kuhn, “Dopo Copernico, gli astronomi vissero in un mondo
differente” (pag.145).
Pertanto sono le categorie concettuali impiegate nell’osservazione o nella misura di un
fenomeno e guidate dai differenti paradigmi che permettono una visione differente del mondo.
Ad esempio, nella scoperta di Urano i nuovi parametri degli astronomi furono movimento e
forma invece che soltanto la posizione; il peso dell’oggetto, l’altezza e il tempo di
raggiungimento dello stato di quiete sono categorie aristoteliche nella caduta dei gravi, che
sono diverse dalle categorie concettuali usate da Galileo per lo stesso fenomeno; così come
diverse furono quelle usate da Archimede nello studio del galleggiamento dei corpi che, nella
categorizzazione del fenomeno, scartò il parametro “mezzo” come fondamentale per lo studio
del fenomeno. Ciò che caratterizza molto spesso scienziati in grado di imporre un modo diverso
di “vedere le cose” è la loro formazione che si è compiuta non solo alla luce di un paradigma,
ad esempio Galileo era stato educato nell’osservazione scientifica non solo secondo la fisica di
Aristotele, ma anche ad analizzare i moti secondo la teoria dell’impetus sorta nel tardo
medioevo.
La strenua lotta tra paradigmi che si verifica nel periodo di transizione che segna le rivoluzioni
scientifiche porta all’esilio del vecchio paradigma rispetto a quello nuovo o al soccombere di
differenti vedute della nuova concezione in favore di una che rifonderà la nuova fase di scienza
normale. Nel delineare il modo in cui si risolvono le rivoluzioni Kuhn sviluppa una idea differente
da Popper relativamente all’invalidazione di una teoria per mezzo di un solo fatto contrario, perché
“tutte le teorie storicamente significative si sono accordate con i fatti, ma soltanto più o meno”
(pag.179) per cui le anomalie non devono intendersi come falsificazioni che possono provvedere al
rigetto di un paradigma, la cosa è più complicata. L’esito della lotta non è dovuto alla produzione
di prove o dimostrazioni inconfutabili, poiché ciascuna fazione in lotta si prodiga non per
confrontarsi con l’altra né per ascoltarne le ragioni ma per sostenere la propria interpretazione del
paradigma come l’unica valida. “Ma allora come vengono indotti gli scienziati a realizzare questo
passaggio?”(pag.182). Kuhn risponde alla domanda con le parole di Darwin tratte da un passo
finale dell’Origine delle Specie e con le parole di Plank tratte dalla sua Autobiografia Scientifica.
Rispettivamente, “sebbene sia completamente convinto della verità delle idee presentate in questo
volume…..non mi aspetto affatto di convincere gli sperimentati naturalisti, la cui mente è affollata
da una moltitudine di fatti considerati tutti per un lungo periodo di anni diametralmente opposto al
mio. Ma guardo con fiducia all’avvenire, ai giovani naturalisti che stanno nascendo i quali
saranno in grado di considerare con imparzialità entrambi i lati della questione”(pag182-183);
“una nuova verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori e facendo loro vedere la
luce, ma piuttosto perché i suoi oppositori alla fine muoiono, e cresce una nuova generazione che è
abituata ad essa” (pag 183). La sensazione che si prova dinanzi alla lettura di queste frasi è forse
proprio quella che Kuhn voleva sollevare nel lettore e che per tutto il libro minuziosamente si
affanna a sostenere; quando in seno alla scienza matura comincia una rivoluzione scientifica chi la
inizia raggiunge prima la consapevole certezza che qualsiasi prova prodotta del contenuto della sua
rivoluzione non servirà a dargli ragione. L’articolazione particolareggiata della sua teoria servirà a
fornire, però, un trampolino di lancio diverso da cui, accanto a quella tradizionale, partirà la
formazione delle giovani generazioni di scienziati e risiede nella modificazione che la struttura delle
loro menti è in grado di apportare tra il vecchio sistema di conoscenza di cui raccoglie alcuni
elementi teorici pur discostandosene. Le nuove categorie concettuali impiegate nello studio di un
fenomeno e imposte dal nuovo paradigma accanto ad una struttura mentale forgiata sull’una e l’altra
visione a fornire la possibilità di venir a far parte di un differente mondo.
Indice
Prefazione
1 – Introduzione: un ruolo per la storia
2 –La via verso la scienza normale
3 – La natura della scienza normale
4 – La scienza normale come soluzione di rompicapo
5 – La priorità dei paradigmi
6 – L’anomalia e l’emergere delle scoperte scientifiche
7 – La crisi e l’emergere di teorie scientifiche
8 – la risposta alla crisi
9 – La natura e la necessità delle rivoluzioni scientifiche
10 – La rivoluzione come mutamenti della concezione del mondo
11 – La invisibilità delle rivoluzioni
12 –La soluzione delle rivoluzioni
13 –Progresso attraverso le rivoluzioni
Proscritto 1969
1 –I paradigmi e la struttura comunitaria
2 –Paradigmi come costellazioni di credenze condivise da un gruppo
3 –Paradigmi come esempi condivisi da un gruppo
4 –Tacita conoscenza e intuizione
5 – Esemplari, incommensurabilità e rivoluzioni
6 –Rivoluzioni e relativismo
7 –La natura della scienza
Autore
Kuhn è stato uno dei maggiori epistemologi del suo tempo e ci ha lasciato parecchi saggi sulla
storia della scienza, contribuendo allo sviluppo di alcuni importantissimi concetti della filosofia
della scienza. Il suo pensiero si pose in opposizione a quello di Popper fondatore
dell'empirismo logico. Storico e filosofo della scienza, la sua formazione ha avuto inizio
nell'ambito di studi scientifici ed in particolare di fisica ed è in questo campo che ottenne il suo
primo dottorato all'Università di Harvard; il suo ingresso nella storia della scienza è segnato
dalla pubblicazione di La rivoluzione copernicana( 1957, tr. it. 1972), una importante
monografia sulla nascita dell'astronomia moderna e un articolo su La conservazione
dell'energia come esempio di scoperta simultanea (1959). La collaborazione e le frequenti
discussioni con Paul Feyerabend, suo collega all'Università di Berkeley, portarono Kuhn alla
maturazione delle concezioni sviluppate nel volume La struttura delle rivoluzioni scientifiche
(1962, tr. it. 1969), dove, partendo dal pensiero già comunicato dall'epistemologo Ludwig
Fleck in Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, 1935, porta avanti la sua tesi che si pone in
alternativa appunto a quella di Karl Popper.
Bibliografia essenziale dell’ autore
Thomas Samuel Kuhn nacque il 18 luglio 1922 a Cincinnati nello stato dell’Ohio, e morì il 17
giugno 1996 a Cambridge, Massachusetts. Nel 1943 conseguì la laurea in fisica all'Università di
Harvard e nel 1946 la specializzazione e poi il dottorato nel 1949. Ad Harvard a partire dal
1948 al 1956 per volere di James Conant, presidente di Harvard, accettò l’insegnamento in
corsi come assistente di Storia della scienza. Dopo Harvard nel 1961, Kuhn ebbe l’incarico di
Professore all'Università di Berkeley in California dove insegnò Storia della Scienza tre anni più
tardi per interesse di M. Taylor Pyne si trasferì all’Università di Princeton con l’incarico di
Professore di Filosofia e Storia della Scienza, mentre nel 1979 su invito di Laurance S.
Rockefellersi si trasferì al M.I.T di Boston dove ebbe l’incarico di Professore di Filosofia
fermandosi presso quella sede fino al 1991. Nel 1982 conseguì un elevato riconoscimento per il
suo contributo alla conoscenza nella Storia della Scienza, la Medaglia George Sarton. I suoi
scritti:
La rivoluzione copernicana. L'astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale
[1957], Einaudi, Torino, 1972.
- La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee nella scienza [1962], Einaudi,
Torino, 1969.
In quest'opera, Kuhn sostiene che il progresso scientifico non si sviluppa in maniera graduale,
accumulando progressivamente scoperte e teorie, bensì attraverso rivoluzioni scientifiche che
segnano il passaggio da un paradigma all'altro.
- Logica della scoperta o psicologia della scoperta", in I. Lakatos e A. Musgrave (a cura di),
Critica e crescita della conoscenza [1970], Feltrinelli, Milano, 1976
- Riflessioni sui miei critici", in I. Lakatos e A. Musgrave (a cura di), op. cit., pagg. 313-365
- Note su Lakatos", in I. Lakatos e A. Musgrave (a cura di), op. cit., pagg. 409-418
- R. Boyd - Thomas Kuhn, La metafora della scienza, Feltrinelli, Milano, 1983
- La tensione essenziale. Cambiamenti e continuità nella scienza [1977], Einaudi, Torino, 1985,
- Alle origini della fisica contemporanea. La teoria del corpo nero e la discontinuità quantica
[1981], Il Mulino, Bologna, 1978.
Link
http://www.marxists.org/reference/subject/philosophy/works/us/kuhn.htm
http://www.des.emory.edu/mfp/Kuhn.html
http://www.filosofico.net/kuhn.htm
commenti
Cosa dire riguardo alla lettura della struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn? Il libro ha
ricevuto numerose critiche, da quelle di irrazionalismo a quella di proporre una visione
relativistica nella scienza; lasciando il merito delle critiche a persone più esperte, mi voglio
soffermare su ciò che ho trovato affascinante nella lettura. Esso è affascinante per alcuni
motivi, uno tra tutti è l’articolazione scandita da Kuhn minuziosamente del suo punto di vista.
Egli espone, come fanno gli scienziati, la sua teoria in merito a ciò che è la natura della scienza
e lo sviluppo scientifico. Quello che ho ricavato dalla minuziosa esposizione è la sensibilità
mostrata da Kuhn nell’aiuto da fornire al lettore per la comprensione del suo punto di rifiuto
della concezione delle scienze come linguaggi di stampo positivista e dell’adozione della
concezione che vede la scienza come tentativo di comprensione della realtà attraverso l’utilizzo di
apparati concettuali legati a concezioni del mondo, a condizioni storico-culturalì, a convenzioni
metodologiche e a procedimenti di lavoro accreditatidalla comunità scientifica, senza che la
coerenza logica, o la fede nell'esperienza siano criteri ultimi e unici per l'accettazione o il rifiuto
delle teorie, l’approfondita consapevolezza del carattere storico della scienza si ritrova pienamente
in quest’opera di T. Kulm e per articolare la comprensione della sua teoria al lettore l’arricchisce
di esempi tratti nei campi delle scienze come quelli della fisica e della chimica, campi noti a
tutti coloro che hanno scelto un percorso formativo scientifico e che dopo la lettura del testo
sembrano incasellarsi tutti in una struttura logica e diversa da quella in cui vengono comunicati
e appresi nel periodo dello studio dei risultati della ricerca scientifica. Ecco che torna in un
quadro concettuale non lineare e cumulativo, il motivo dello scontro ideologico tra scienziati
contemporanei ma non coetanei, la formazione avvenuta in linea diretta presso un caposcuola
di un dato paradigma o alla luce di due diversi paradigmi uno tradizionale e uno emergente fa
quadrare perché alcuni scienziati prendono in considerazione parametri o categorie concettuali
diffrenti fornendo una immagine differente da quella tradizionale che li inquadrava solo come
“diversi” o “geni incompresi”. Lo sviluppo e il progresso scientifico visti come periodi di stabilità
alla luce della tradizione e periodi di instabilità e di rottura con essa è un altro punto
affascinante dell’opera dove emerge forte la tesi dell'inconfrontabilità fra teorie scientifiche, da
cui consegue l'impossibilità di parlare di un progresso scientifico.
Ma ancora più affascinante è il fatto che nessuna teoria o fatto sperimentale è concepibile di
per sé e che ogni conoscenza scientifica è segnata dalla “costellazione di credenze condivise da
un gruppo”(pag.219), chi ancora basasse la sua concezione di scienza come processo
oggettivo di osservazione dei fatti, isolamento di variabili, misura e interpretazione del
fenomeno, formulazione di una teoria, dopo la lettura di questo libro è seriamente “costretto” a
cambiare paradigma.