Libri delle Cronache Nome Il titolo ebraico delle Cronache che
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Libri delle Cronache Nome Il titolo ebraico delle Cronache che
Libri delle Cronache Nome Il titolo ebraico delle Cronache che, come Samuele e Re, formavano originalmente un solo libro, significa, tradotto letteralmente "fatti dei giorni", cioè Annali. I traduttori della Bibbia in greco (detta dei Settanta), divisero le Cronache in due parti e le chiamarono Paraleipòmena, cioè "cose omesse", considerandole evidentemente come un completamento di Samuele e Re. La divisione ed il nome passarono poi nella Vulgata latina e, a partire dal 1448, la divisione in due libri fu adottata anche nella divisione della Bibbia ebraica. S. Gerolamo ha chiamato questi libri "una cronaca di tutta la storia divina" ("chronicon" da cui il nostro nome di Cronache) poiché offrono insieme con Esdra e Nehemia un compendio della storia sacra). Sono scritti in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata attorno al 330-250 a.C. in Giudea. Rappresentano una rielaborazione della storia degli Ebrei già narrata negli altri testi storici. Il primo libro è composto da 29 capitoli contenenti varie genealogie da Adamo a Davide e la descrizione del suo regno (fino al 970 a.C. circa). Il secondo libro è composto da 36 capitoli descriventi il regno di Salomone e la storia del regno di Giuda, la sua distruzione, l'esilio babilonese e il ritorno (dal 970 circa al 538 a.C.) Caratteristiche Lo scopo dell'opera non è il resoconto storico, ma l'edificazione. Ha un proposito distintivamente didattico ed esortativo, adatto eminentemente allo scriba sacerdotale o maestro. Confrontate con Samuele-Re, le Cronache presentano notevoli differenze. Il loro interesse è per il tempio di Gerusalemme ed il culto. Per questa ragione la storia prima di Davide, ad eccezione della morte di Saul, e la storia del Regno del Nord (dopo lo scisma del 926 o 922 a. C.) non sono narrate. Davide è presentato come il padre spirituale del Tempio. Altre figure principali sono Salomone (costruttore del Tempio), ed Ezechia (ca. 715.687), e Giosia (ca. 639-609) come re riformatori. Di Davide si tacciono il peccato e le sventure famigliari (cf. 2 Sa. 9:20) né si parla della poligamia di Salomone o dei suoi contrasti che precedettero la sua successione al trono. Cronache presenta un'interpretazione distintiva del carattere dei re davidici. Vengono messe in rilievo con grande dettaglio solo le qualità positive di Davide e Salomone. Questo contrasta nettamente con l'impostazione di Samuele-Re, che spesso descrive in dettaglio i peccati di questi re. Ciononostante, per i restanti re davidici, Cronache generalmente adotta una prospettiva più realistica. Re che senza equivoci hanno caratteristiche negative in Samuele-Re, possiedono attributi positivi in Cronache (es. Abijah - 2 Cr. 13); mentre i fallimenti dei buoni re in Samuele-Re vengono ancor più rilevati in Cronache (es. 2 Cr. 20:35-37; 24:17-25). Cronache, come la maggior parte dell'Antico Testamento, è ordinato per temi più che cronologicamente. Il tema di fondo del libro delle cronache è la legittimità della comunità di fede post-esilica. La storia è trattata dal punto di vista della rimunerazione divina che ha luogo già su questa terra in maniera quasi meccanica; ad ogni azione buona segue la ricompensa, mentre ogni disgrazia deve essere preceduta dalla colpa. Inoltre le cronache prediligono le genealogie e le statistiche con cifre spesso iperboliche (cf. 1 Cr. 29:4; 21:5; 22:14; 2 Cr. 13:3,17). C'è una forte sottolineatura in Cronache dell'unità della nazione. Il cronista omette regolarmente materiale che potrebbe compromettere l'idea di un'accettazione unanime della dinastia davidica (1 Cr. 11:1). E' l'intera nazione che trasporta l'Arca a Gerusalemme (1 Cr. 13:5); ed è l'intera nazione che partecipa agli atti di culto e di intercessione (es. 2 Cr. 20:4). Autore Il libro delle cronache è strettamente associato a quelli di Esdra e Nehemia, in quanto questi libri hanno in comune una prospettiva "sacerdotale". Molti studiosi, infatti, ipotizzano che questi libri costituiscano un'unica "Storia del Cronista". La tradizione rabbinica sostiene che l'autore di Cronache è Esdra, ma quest'affermazione non può essere sostenuta da prove decisive. Possiamo solo notare come esso sia stato scritto da una persona con simpatie sacerdotali nel tempo della fede postesilica. Data di Composizione Anche difficili da trovare sono prove inconfutabili sulla data della sua composizione. Caratteristiche linguistiche e letterarie indicherebbero una data intorno al 425 a. C. Le sei generazioni dopo l'esilio, elencate in 1 Cr. 3:21 potrebbero adattarsi a questa data, anche se qualcuno ritiene che questo brano comprenda solo due generazioni. Il tempo della vita di Jaddua, il sommo sacerdote, (Ne. 12:11-22) è rilevante per la nostra discussione solo se Esdra e Nehemia formano un'unità letteraria con Cronache, e questo è contestabile. Seppure le prove non siano inconfutabili, una data del libro intorno al 400 a. C. è ragionevole. Fonti Il Cronista attinge spesso dai Libri di Samuele e dei Re (ciò dimostra che essi sono antecedenti al suo lavoro), talvolta riprendendo alcuni passi quasi alla lettera, ma in 1 Cr 29,29 sono citate anche le presunte fonti utilizzate dal Cronista per redigere il suo primo libro: gli Atti del Veggente Samuele, gli Atti del Profeta Natan e gli Atti del Veggente Gad. Bisogna far notare che i Profeti d'Israele si dividono in due gruppi, i "profeti scrittori" e i "non scrittori". Dei primi ci sono pervenuti lunghi testi: è il caso di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Dei secondi invece non ci è pervenuto nulla: Samuele, Natan, Elia ed Eliseo sono tra questi. Questo naturalmente non significa che il Cronista abbia inventato di sana pianta tutto ciò che racconta; egli poteva sicuramente consultare ottime fonti documentarie per noi perdute, in parte diverse da quelle dei Libri dei Re. Contenuto Suddivisione del testo Il Primo Libro delle Cronache descrive le vicende del popolo ebraico dalle origini leggendarie fino all'XI secolo a.C. attraverso delle genealogie, e poi dei re Saul e Davide in forma narrativa; il Secondo Libro parla solo in forma narrativa, parte dalla morte di Davide (circa 970 a.C.) e giunge fino alla distruzione del regno di Giuda nel 587 a.C. In tutto i due libri comprendono 65 capitoli (29 nel primo e 36 nel secondo) che si possono suddividere in diverse parti: La storia genealogica del Popolo Eletto (1 Cr 1-9); Il regno di Davide (1 Cr 9-21), comprendente sua ascesa al regno (1 Cr 9-12) e le sue imprese vittoriose (1 Cr 13-21); I preparativi per la costruzione del Tempio (1 Cr 22-28); Il regno di Salomone (1 Cr 29-2 Cr 9); La storia del regno meridionale (2 Cr 10-36), comprendente in particolare i regni di Giosafat (2 Cr 17-20), Ioas (2 Cr 23-24), Ezechia (2 Cr 29-32) e Giosia (2 Cr 35-36), cui il Cronista dedica ampio spazio perché riformatori del culto e nemici dell'idolatria. Le Genealogie Come si è detto, a differenza dei Libri di Samuele e dei Re, eminentemente narrativi, i Libri delle Cronache si aprono con 9 capitoli di genealogie nude e crude. Il primo versetto del Primo Libro comincia addirittura ex abrupto con una lista di tredici nomi: Adamo, Set, Enos, Kenan, Maalaleel, Iared, Enoch, Matusalemme, Lamech, Noè, Sem, Cam e Jafet. Sono i nomi dei patriarchi antidiluviani tratti dal capitolo 5 della Genesi, come ad indicare che il Cronista vuole ritornare alle origini più remote della storia, a partire dallo stesso primo uomo (anche il Vangelo di Luca, capitolo 3, riporterà la genealogia di Gesù fino ad Adamo). Quello genealogico era un vero e proprio genere letterario, in voga presso vari popoli dell'Oriente Antico. Le genealogie servono a far riscoprire l'identità stessa di un popolo come nazione, ma anche a legittimare l'accesso a determinate posizioni sociali. Ad esempio, chi voleva essere sacerdote in Israele doveva poter dimostrare, elenchi genealogici alla mano, di discendere da Levi, figlio di Giacobbe e fondatore della tribù sacerdotale. Da Dan a Bersabea Quest'espressione è usata in 1 Cr 21,2 per indicare la totalità del territorio di Israele, secondo un procedimento tipico delle culture semitiche e detto di « inclusione »: indicare le due estremità di una realtà significa indicarla nella sua interezza. Dan (oggi Tel Dan), in ebraico "giudizio", si trova all'estremità settentrionale della Terra di Canaan, presso la sorgente del fiume Giordano, mentre Bersabea (oggi Tell es Saba), in ebraico "pozzo del giuramento", si trova all'estremità meridionale della Giudea. È un luogo rinomato nell'Antico Testamento, essendo teatro di vari eventi all'epoca dei patriarchi (vedi Gen 21). Da notare che anche nell'Apocalisse Cristo definisce sé stesso « l'Alfa e l'Omega »: un evidente esempio di inclusione, giacché questa espressione viene ad indicare l'intero alfabeto greco, e quindi la totalità del Creato. L’esilio come Anno Sabbatico Il capitolo 36 del Secondo Libro delle Cronache parla, come il capitolo 25 del Secondo Libro dei Re, della caduta di Gerusalemme in mani babilonesi; ma, a differenza di quello, conosce la predicazione di Geremia, che rappresentò un vero e proprio punto di riferimento per i Giudei in esilio a Babilonia: « Il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: "Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo nella desolazione fino al compiersi di settanta anni." » (36, 20-21). Quasi sicuramente la durata di settant'anni non ha valore cronologico, visto che in effetti la deportazione durò 49 anni (dal 587 al 539 a.C.) Ne ha invece uno simbolico, rappresentando tipicamente un tempo compiuto, perfetto, essendo il risultato del prodotto di due numeri perfetti: 7 x 10. Ma perchè perfetto, se Israele era in esilio e privo del Tempio? Normalmente si ritiene che questo periodo di sofferenza e lontananza dalla patria fosse voluto da Dio per fortificare Israele e riportarlo alla fedeltà a Lui. Ciò è sostenuto dall'interpretazione di un passo del Levitico (26, 3435), evidentemente posteriore alla deportazione a Babilonia: « Allora la terra godrà i suoi sabati per tutto il tempo in cui rimarrà desolata e voi sarete nel paese dei vostri nemici; allora la terra si riposerà e si compenserà dei suoi sabati. Finché rimarrà desolata, avrà il riposo che non le fu concesso da voi con i sabati, quando l'abitavate. » L'anno sabbatico era quello durante il quale si lasciava riposare la terra, prima di procedere ad una nuova semina. Allo stesso modo, l'esilio del Popolo Eletto permette alla Terra d'Israele di godere del riposo sabbatico che i suoi abitanti le hanno negato, contraddicendo la volontà di Dio. Una vera interpretazione teologica della storia, lontana mille miglia dal concetto che noi oggi abbiamo di storiografia. Eppure è proprio questo che rende così peculiare i cosiddetti "Libri Storici" della Bibbia e, a modo loro, più affascinanti di qualunque opera.