progresso scientifico e cultura forestale

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progresso scientifico e cultura forestale
ORAZIO CIANCIO (*)
PROGRESSO SCIENTIFICO E CULTURA FORESTALE
1. La fondazione dell’Accademia
Noi aspiriamo non ad una desolante
uniformità ma all’unità nella diversità.
Mahatma Gandhi
L’Accademia Italiana di Scienze Forestali è stata fondata il 21 giugno 1951,
grazie all’impegno di alcuni Padri della Repubblica. Amintore Fanfani volle costituire l’Accademia per dare sostegno scientifico e tecnico agli Enti che avrebbero
dovuto applicare la Legge per la montagna. Egli ne fu promotore e Socio fondatore
insieme a: Alberto Camaiti, Francesco Carullo, Francesco Carlo Palazzo,
Aldo Pavari, Generoso Patrone, Giulio Sacchi, Cesare Sibilia, Romualdo
Trifone.
La sede fu ottenuta per volere di Fanfani che fece destinare all’Accademia
tutto il primo piano di villa «La Favorita», di proprietà dell’Azienda di Stato per le
foreste demaniali.
L’allora Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi – Socio onorario di questa Istituzione – eresse l’Accademia in Ente morale con Decreto n. 4586 e partecipò
alla manifestazione di inaugurazione che avvenne a Firenze nella splendida cornice
di Palazzo Vecchio alla presenza del sindaco Giorgio La Pira, del Ministro dell’Agricoltura e Foreste Amintore Fanfani, del Ministro di Grazia e Giustizia Adone
Zoli, di oltre seicento partecipanti e di altre prestigiose personalità del mondo politico, accademico e forestale.
Il Presidente dell’Accademia Generoso Patrone nel discorso inaugurale,
dopo aver ricordato coloro – da Di Berenger a Francesco Piccioli, da Delpino a
Pampaloni, a Bechi, a Di Tella – che con la loro cultura, intelligenza e passione diedero lustro alla Scuola Forestale Italiana di Vallombrosa, afferma: «Questa nostra
Accademia ha già dunque iniziato a piantare i suoi alberi, ha già iniziato il suo
(*) Presidente Accademia Italiana di Scienze Forestali; [email protected]
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments
© 2011 Accademia Italiana di Scienze Forestali
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lavoro, che non sarà nè facile nè leggero; ma noi tutti, animati dalla certezza di contribuire al progresso delle scienze forestali e al bene dell’Italia, dedicheremo le nostre
energie ad assicurare un migliore avvenire alle nostre selve, che rappresentano uno
dei legami umani più saldi fra la generazione presente e quelle future».
Sin dalla nascita, l’Accademia ha inteso tutelare lo stretto e inscindibile legame
tra l’Uomo e la Natura, scegliendo come motto una massima di Petronio Arbitro che
sintetizza, in modo mirabile, i rapporti fra l’albero e l’uomo: serva me, servabo te.
I compiti istituzionali dell’Accademia sono indicati nell’art. 1 dello Statuto:
dare impulso e vitalità al progresso delle scienze forestali e delle loro applicazioni alla
selvicoltura e ai connessi problemi di tutela dell’ambiente al fine di un maggiore benessere della Collettività Nazionale.
Dopo Generoso Patrone, alla presidenza sono stati eletti Alessandro de
Philippis, Fiorenzo Mancini, ora presidente onorario, e chi parla. A Generoso
Patrone e Alessandro de Philippis va un sentito ringraziamento e un rispettoso
ricordo. A Fiorenzo Mancini il saluto deferente, la stima e l’ammirazione mia e di
tutti i Soci.
2. L’analisi delle problematiche del settore forestale
nell’Anno Internazionale delle Foreste
La teoria ci aiuta a sopportare
la nostra ignoranza dei fatti. George Santayana
Allo stato attuale, le problematiche che a scala mondiale caratterizzano il settore forestale dipendono in buona parte da questioni di ordine generale quali lo sviluppo demografico e la crescita dei consumi, che si ripercuotono sui processi di deforestazione e degradazione dei boschi, sui cambiamenti climatici, sulla perdita della biodiversità.
Per far fronte alla molteplicità di devastazioni forestali e ambientali, gli organismi internazionali hanno promosso una serie di iniziative, tra cui si ricordano: la
Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), la Convenzione per la lotta alla desertificazione (UNCCD) e quella per la lotta ai cambiamenti climatici (UNFCCC), la
Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di
estinzione (CITES), la lotta contro il commercio illegale di legname (FLEGT), e l’attuale processo REDD+, che comporta investimenti per l’aumento e la conservazione
degli stock di carbonio.
Epperò, forse è necessario sottolineare che l’uso di tali strumenti, benché
importante, può non essere sufficiente o addirittura può avere effetti controversi
sulla biodiversità e la funzionalità ecosistemica. Un esempio: la realizzazione di
impianti forestali per produrre biomassa, se da un lato favorisce l’utilizzo di risorse
energetiche rinnovabili, dall’altro può comportare la creazione di estese monocolture
a scapito delle risorse naturali.
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Ciò fa tornare alla mente un paradosso degli anni sessanta del secolo scorso
di cui sembra tutti si siano dimenticati, ma che invero è un esempio eclatante.
Durante la «rivoluzione culturale» in Cina, fu attuato un grande piano di disboscamento che prevedeva l’abbattimento degli alberi considerati «inutili» – cioè quelli
delle foreste naturali – e la loro sostituzione con altri ritenuti «utili» – ovvero quelli piantati.
Un intellettuale cinese, Acheng, a tal proposito osserva che «L’unica cosa che
non capiva era perché mai si dovessero abbattere e bruciare delle foreste in così
buono stato per sostituire alberi utili con altri alberi utili: non aveva senso…». Ma
ciò non deve meravigliare più di tanto. È solo il segno tangibile di un periodo che ha
attraversato la Cina, dove, talvolta, sono sempre parole di Acheng, «basterebbe
descrivere realisticamente l’assurdo per ottenere la realtà».
In Europa, specialmente in alcune regioni centrosettentrionali, si assiste a un
regresso fisionomico e a una semplificazione dei boschi. Vi è la tendenza alla formazione di popolamenti monospecifici sviluppati nell’ottica di ottenere il massimo di
produzione legnosa. Lo sfruttamento eccessivo delle risorse e l’alterazione degli
equilibri ecosistemici hanno provocato e continuano a provocare una diminuzione
dell’efficienza funzionale dei sistemi forestali, con lacerazioni non facilmente rimarginabili.
Nel nostro Paese, il mutamento delle condizioni economiche e sociali, avvenuto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ha comportato un aumento
della superficie forestale. A seguito dello spopolamento delle aree montane conseguente ai processi di industrializzazione e urbanizzazione, il bosco ha infatti riconquistato lentamente i terreni dismessi dall’agricoltura o abbandonati dall’attività
umana, dando origine a quello che potremmo definire un «arcipelago forestale» che
dalle Alpi si sviluppa lungo tutta la Penisola attraverso i più svariati paesaggi.
L’abbandono della coltivazione dei boschi ha portato alla diffusione di fenomeni di degrado e deperimento – incendi, frane, attacchi di patogeni. Tutto ciò, sommato a una generalizzata crisi della selvicoltura, ha provocato un diffuso disinteresse
per i problemi forestali e a una mancanza di sistematicità nella politica di settore, con
interventi occasionali, spesso emergenziali e raramente preventivi.
Insomma, nonostante le laceranti ferite inflitte in passato all’ambiente, le cui
conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, e malgrado le buone intenzioni e le tante
dichiarazioni di intenti, purtroppo, per usare nuovamente le parole di Acheng,
«l’assurdo è ancora realtà».
Proprio in questi giorni, uno dei nostri più diffusi quotidiani ha riportato
quanto Vandana Shiva, intellettuale indiana, ricercatrice e filosofa, ha scritto a proposito della Giornata mondiale dell’Ambiente dedicata alle foreste: «Oggi guardiamo alla foresta solo in termini di quello che possiamo sfruttare da essa: non di quello
che può insegnarci. Bramiamo il suo legno, i suoi minerali, il suo ossigeno. La nostra
percezione di boschi e selve è ridotta alla sigla Redd, “Ridurre le emissioni da
deforestazione e degrado”, ovvero alla sua capacità di assorbire il nostro inquinamento. Una qualità vitale, senza dubbio. Ma la foresta è anche altro. Soprattutto, è
maestra. Per la varietà di specie che vi convivono, ha molto da insegnarci...».
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E conclude: «Tutti i valori possono derivare dalla vita della foresta, mentre
non è vero il contrario. Per questo oggi la sfida è restituire alla foresta la sua centralità. Che significa imparare a conoscerla, rispettarla – anche attraverso la disobbedienza civile contro il consumismo che la danneggia – e infine adottare leggi che riconoscano a Madre Natura i suoi diritti».
I diritti della Natura, dunque. Forse è bene ricordare che chi parla, insieme a
un gruppo di colleghi che hanno recentemente dato vita al «Manifesto per la selvicoltura sistemica», da anni promuove uno statuto agnitivo dei diritti del bosco. In
chiusura della Tavola Rotonda su «Il Bosco e l’uomo», svoltasi in questa sede il 23
maggio del 1995, fu approvata la mozione finale che testualmente recita: «Il bosco
è un sistema biologico complesso che svolge un ruolo determinante per il mantenimento della vita sul pianeta. Come tutti i sistemi viventi, il bosco è un’entità che ha
“valore in sé”. Un soggetto di diritti che va tutelato, conservato e difeso».
3. Le prospettive future per il progresso
delle scienze forestali nel terzo millennio
Ogni volta che insegni, insegna
a dubitare di ciò che insegni.
José Ortega y Gasset
Nell’Anno Internazionale delle Foreste, a sessant’anni dalla sua fondazione, la
giornata di oggi intende ribadire l’impegno dell’Accademia a sostenere la cultura
forestale. Dall’epoca della sua istituzione, l’Accademia ha rappresentato per i cultori
della materia forestale il fulcro del pensiero creativo. Per il mondo scientifico, essa ha
costituito un punto di riferimento in quanto le discipline applicate al bosco influiscono sullo sviluppo territoriale e, in definitiva, su quello del Paese. Per la società civile,
essa ha offerto uno spiraglio di luce in un campo poco conosciuto, in cui la scienza e
la tecnica forestale si uniscono all’economia e all’etica ambientale.
Negli anni, l’Accademia si è posta come organo di propulsione e di stimolo,
mezzo di coordinamento, di orientamento, d’incoraggiamento e di diffusione
delle scienze forestali e ne ha promosso lo sviluppo attraverso la ricerca scientifica, l’organizzazione di convegni e seminari di studio, la pubblicazione di periodici
e monografie, la gestione della preziosa biblioteca contenente buona parte del
sapere.
L’Accademia ha avuto tra i suoi Soci i maggiori esponenti della cultura forestale italiana: Generoso Patrone, Aldo Pavari, Alessandro de Philippis, Lucio
Susmel, Ezio Magini, Mario Cantiani, Germano Gambi, Umberto Bagnaresi,
Riccardo Morandini, ma molti altri si potrebbero citare. Essi hanno costituito la
classe accademica universitaria e concorso in modo significativo all’elaborazione
degli strumenti conoscitivi con risultati di assoluto valore nel campo della ecologia,
della selvicoltura e della gestione forestale.
Oggi più che mai, l’Accademia vuol essere un centro di studi e di esperienze
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innovativo e propositivo, allo scopo di contribuire al progresso delle scienze forestali
e ambientali.
Si deve prendere atto che siamo entrati in un mondo nuovo. La globalizzazione
è segnata da un nuovo ciclo tecnologico e da una straordinaria mobilità delle risorse.
Delineare i compiti che ne derivano dev’essere un impegno e un dovere. Si tratta di
compiti gravosi e ineludibili perché in gioco c’è l’identità stessa dei forestali. Compiti
che investono le politiche ambientali, economiche, giuridiche e sociali nelle loro
applicazioni alla selvicoltura, come elementi di prosperità nazionale. Sono temi e
problemi cruciali per il futuro dei forestali e dei quali l’opinione pubblica deve essere informata correttamente.
In società ricche ma insicure come le nostre, il consenso all’uso del bosco non
è legato solo al mercato, ma anche, e soprattutto, alla fiducia nella capacità di affrontare in prospettiva i problemi ambientali – che sono problemi strutturali – che generano disagio nella società.
Per ottenere il consenso è necessario il riorientamento dell’uso del bosco verso
i bisogni collettivi: la sicurezza nel lavoro, l’ambiente, la formazione, l’istruzione, le
infrastrutture aziendali ecc. Il che, a livello politico, si traduce nello spostamento
dell’onere su l’Unione Europea, che costituisce la nuova frontiera per il miglioramento e la valorizzazione del bosco.
A tal proposito mi piace ricordare le parole di Luigi Luzzatti che a distanza
di oltre un secolo sono sempre attuali: «I figli dei nostri figli ci benediranno perché
avremo dato loro una Italia salvata dalle inondazioni, dal disboscamento, dagli
incendi, perché oggigiorno, gli esploratori del bilancio hanno chiarito l’enorme
somma che si spende in media ogni anno per liberarci dalle inondazioni e per spegnere gli incendi delle nostre selve».
Epperò, se è vero che la soluzione delle problematiche in campo forestale risiede in primo luogo nella volontà politica, è pur vero che un tale impegno ha una reale
possibilità di concretarsi se è affiancato e sostenuto da una moderna e coerente cultura forestale nella unanime consapevolezza che il bosco rende vivibile il presente e
possibile il futuro.
4. Il ruolo dei giovani e della ricerca per il progresso scientifico
Il vero nemico del pensiero genuino non è
un sano disaccordo ma uno sterile dogmatismo.
Platone
La vitalità di una scienza a carattere biologico, qual è la selvicoltura e la gestione forestale, dipende dalla sua storia e dalla capacità di affrontare e risolvere su basi
scientifiche le sfide che il cambiamento costantemente propone.
Secondo il biologo evoluzionista Ernst Walter Mayr i caratteri specifici che
rendono la biologia una scienza autonoma sono:
a)la complessità dei sistemi viventi, incomparabilmente maggiore della complessità
di qualsiasi sistema non vivente;
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b)l’organizzazione in popolazioni di individui – la popolazione umana, la popolazione delle querce ecc. – l’una diversa dall’altra tra tutte le entità biologiche;
c)il possesso di un programma genetico;
d)l’analisi comparativa che in biologia prevale anche sul metodo sperimentale;
e)la presenza forte della storia, che rende i processi biologici perfettamente comprensibili a posteriori ma difficilmente prevedibili a priori.
Egli sostiene, e su questo non si può non essere d’accordo, che riconoscere
l’autonomia della biologia è il primo passo verso l’unificazione e la riconciliazione tra
le scienze fisiche e le scienze umanistiche.
Il mondo della ricerca, così degnamente rappresentata in questo incontro, ha
avuto un grande peso per lo sviluppo delle scienze forestali. L’Accademia non dispone di laboratori e non ha personale specializzato per effettuare ricerca in campo.
Essa si pone piuttosto come un laboratorio di idee. Un laboratorio di idee innovative,
naturalmente. E poiché in campo scientifico, come da sempre avviene nella scienza,
le idee nuove generano dibattito e, spesso, dissensi, l’Accademia diviene il luogo ove
si promuove e si stimola sul piano dialogico l’evoluzione del pensiero forestale.
A chi si meraviglia di alcune controversie scientifiche sviluppatasi nel corso del
tempo, ricordo che il dissenso produce sapere. Se tentiamo di costringere a forza la
scienza all’interno di un’unica visione filosofica come il riduzionismo, ci comportiamo come Procuste che ai suoi ospiti troncava le gambe se sporgevano dal letto. Né
c’è da stupirsi se talune dispute talvolta provocano, per dirla con Antonio Tabucchi, la «Gastrite di Platone». Tutto ciò è l’essenza della scienza.
Si fa osservare che allorché si tratta di cambiamenti concettuali, l’affermazione
di una nuova teoria e di un inedito paradigma scientifico determinano il cambiamento del linguaggio e del modo di pensare. Nella fattispecie un tale cambiamento avviene in un tempo spesso lungo come si conviene in campo forestale. Tant’è che il premio Nobel per la fisica Max Plank, riprendendo un’affermazione di Galileo,
osservava che il trionfo di una nuova verità scientifica non si deve al fatto che essa
riesce a convincere i suoi oppositori e a far loro vedere la luce, ma solo al fatto che
infine i suoi oppositori scompaiono e cresce una nuova generazione che ha familiarità con essa. Come sempre, i cambiamenti radicali sono patrimonio dei giovani. A essi
è affidato il progresso scientifico.
Siamo consapevoli che dai giovani abbiamo molto da apprendere. Da parte
nostra possiamo aiutarli nella presa di coscienza della rilevanza della ricerca scientifica nel settore forestale. Possiamo aiutarli a rendersi conto che per accrescere la conoscenza occorre essere educati a una virtù che fa parte del patrimonio genetico di tutti
i ricercatori: l’umiltà, che poi è la chiave per aprire le porte a nuove scoperte scientifiche.
Di più: possiamo educarli alla creatività e all’autonomia culturale. La creatività è
la dote che possiedono i giovani, ma essi devono sapere che tale dote li sorregge solo
per un breve periodo della loro vita lavorativa. Guai a non approfittarne. Disperdere
questa facoltà significa danneggiare non solo se stessi, ma anche tutto il settore in cui
operano. La creatività si esplica in tutta la sua ampiezza se si sta a contatto con chi
dell’autonomia culturale ne ha fatto una fede e ne sa apprezzare il valore.
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Queste sono alcune delle tante regole che i giovani devono rispettare, apprendendo da chi prima di loro ne ha fatto tesoro. Se ciò che da sempre ha guidato i
ricercatori non si accetta con lealtà, se non si ha la consapevolezza dell’importanza
del lavoro che si svolge, se non si accede a percorsi basati sullo studio e sul lavoro di
eccellenza, talvolta anche senza riconoscimenti – e il rischio a dire il vero sussiste –,
allora in queste condizioni di «mercato» sarà la moneta cattiva a scacciare quella
buona.
Se, invece, i ricercatori si riconoscono in tali regole, di certo nessun obiettivo
sarà loro precluso e il successo sarà alla loro portata. D’altra parte, i ricercatori anziani devono consentire il ricambio generazionale. La mancanza o il blocco di tale
ricambio in primo luogo sarebbe letale per le discipline scientifiche – dove, come
prima detto, la creatività appartiene più ai giovani che agli anziani – e, in secondo
luogo, non consentirebbe la selezione dei leader scientifici del futuro.
5. Conclusioni
Ama gli scogli, nonché il sapere,
per gli abissi immensi sui quali si affacciano.
Elias Canetti
È giunto il momento di considerare il presente non in base al passato, ma in
relazione al futuro. Il mondo forestale si deve adeguare a questi mutamenti attraverso la proposizione di idee innovative e l’elaborazione di progetti coerenti con tali
cambiamenti.
Mettere l’innovazione al centro del proprio credo costituisce una delle ragioni
della cultura forestale che si è formata negli ultimi tempi. Parliamo di un concetto
più ampio, che va oltre la tradizionale ricerca e sviluppo e include la sfera legata alla
cultura umanistica. E in quanto tale va a toccare la qualità degli individui che oggi
devono essere al centro del sistema foresta.
Il bosco – malgrado l’uomo – è sopravvissuto nel passato e si presume sopravviverà nel futuro. Oggi più che mai il rapporto uomo-bosco deve essere interpretato
in modo evolutivo e sinergico. E poiché la cultura fa parte della storia evolutiva, è il
contesto culturale delineato da tale rapporto che determina la reificazione del «pensiero forestale».
Bisogna mutare atteggiamento nei confronti del bosco. Occorre rinnovare
costantemente il dibattito sulla gestione forestale, altrimenti si finisce con il governare il passato: si trascrive o si ripete quanto acquisito in condizioni ambientali e in
situazioni socio-economiche diverse da quelle attuali.
Se, come spesso avviene, di fronte a idee nuove vi è la tentazione di metter in
soffitta il termine dialettica e il filosofo che lo ha tramandato e più di ogni altro lo ha
utilizzato, allora a farne le spese, manco a dirlo, sarà sempre e comunque il sistema
biologico complesso bosco. Un punto di vista questo che porta all’inaridimento della
ricerca e di conseguenza non consente il progresso scientifico. E, appunto perciò,
assolutamente inaccettabile.
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Seguendo gli itinerari tracciati dai miei predecessori, confermo l’impegno
dell’Accademia per la tutela della biodiversità e la difesa dei boschi la cui conservazione, oggi più che mai, corrisponde ad un’altissima esigenza di carattere regionale,
nazionale, mondiale.
Concludo con l’aforisma di Petronio che è parte integrante del logo dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali: Serva me, servabo te.
Grazie.