Antonio Carratta L`abilitazione all`esercizio dell

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Antonio Carratta L`abilitazione all`esercizio dell
Antonio Carratta
L’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva (*).
Sommario: 1. - Oggetto dell’azione collettiva e legittimazione ad agire. 2. - I limiti
dell’impostazione
tradizionale
con
riferimento
all’abilitazione
all’esercizio
dell’azione collettiva. 3. – L’individuazione dell’«interesse legittimante» a
prescindere dalla titolarità della situazione tutelanda. 4. - Criteri per la
determinazione
dell’«interesse
legittimante»
nell’esercizio
dell’azione
collettiva: class action e Verbandsklagen. 5. - I limiti del modello Verbandsklagen e
l’opportunità del suo superamento. 6. – Tentativi di superamento del
modello Verbandsklagen: la soluzione tedesca del Musterverfahren. 7. – Tentativi
di superamento del modello Verbandsklagen da parte del legislatore italiano: la
legittimazione allargata dell’art. 140 bis cod. consumo. 8. – I nuovi problemi
connessi alla legittimazione «allargata». 9. – Abilitazione all’esercizio dell’azione
collettiva delle associazioni «istituzionali» e teoria del c.d. doppio binario. 10. L’«adeguata rappresentatività» come interesse legittimante: i criteri per
determinarlo. 11. – Le modalità di determinazione del gruppo. 12. - L’optin mediante proposizione di domanda e l’intervento dei singoli consumatori o
utenti. 13. – L’opt-in mediante adesione unilaterale. 14. – Le complicazioni nascenti
dal «filtro» di ammissibilità dell’azione collettiva. 15. – Interesse legittimante ed
efficacia della sentenza collettiva nei confronti dei co-legittimati. 16. –
Considerazioni conclusive.
1. Il tema dei criteri o delle regole legittimanti o abilitanti all’esercizio dell’azione è
una costante della riflessione intorno alla tutela collettiva ed è strettamente
connesso alla circostanza che le situazioni sostanziali tutelabili con l’esercizio
dell’azione collettiva non sono pienamente coincidenti con le tradizionali situazioni
giuridiche individuali.
Pur nelle incertezze anche lessicali che spesso caratterizzano l’argomento ([1]), per
azione collettiva può convenzionalmente intendersi quella specifica attività
giurisdizionale diretta alla pronuncia di un provvedimento cognitivo di portata
collettiva o superindividuale. Così intesa, essa viene tradizionalmente richiamata con
riferimento a due fattispecie sostanzialmente diverse: a) la tutela di una situazione
giuridica superindividuale, dove l’interesse da tutelare assume una dimensione non
suscettibile di appropriazione e godimento individuali (come, ad es., l’ambiente o la
concorrenza, ecc.); b) la tutela di una situazione giuridica plurindividuale a carattere
omogeneo (un diritto soggettivo o una porzione dello stesso), che ricorre in termini
identici in capo a più individui (come, ad es., l’utilizzo delle clausole vessatorie o il
risarcimento di danni derivanti dal medesimo autore, ecc.) ([2]).
Questa distinzione, che coglie un profilo importante delle due categorie di situazioni
tutelabili attraverso l’azione collettiva, non pare rilevante in sede di abilitazione
all’esercizio dell’azione collettiva, in quanto facendo riferimento all’oggetto
dell’azione collettiva, si àncora la distinzione ad un elemento meramente esteriore,
che, certamente, non può in alcun modo incidere sulla possibile tutelabilità
giurisdizionale. In altri termini, la situazione superindividuale presenta sempre «una
doppia veste: soggettiva e oggettiva. Soggettivamente, è un interesse che pertiene
all’individuo, in quanto questi rivesta una particolare qualificazione o sia considerato
in una particolare dimensione, attinente al suo status: ad es. di consumatore, di
risparmiatore, di fruitore dell’ambiente, di utente di servizi pubblici, ecc.
Oggettivamente, si esprime e se ne può cogliere l’essenza, solo con riferimento ad un
gruppo, ad una categoria» ([3]).
Piuttosto, la distinzione impostata sull’oggetto della tutela collettiva consente di
svolgere alcune considerazioni preliminari al tema dell’abilitazione all’esercizio
dell’azione collettiva.
In primo luogo, la distinzione consente di avvicinare la struttura dell’azione collettiva
a quella di altre fattispecie, pure presenti nel nostro ordinamento, nelle quali si
prevede espressamente la tutela giurisdizionale individuale di diritti soggettivi a
struttura superindividuale ed a titolarità plurisoggettiva, come, ad es., nel caso della
tutela delle obbligazioni solidali e di quelle indivisibili, entrambe generalmente
ricondotte alla più ampia categoria delle obbligazioni soggettivamente complesse
([4]); o nel caso diritto all’annullamento delle delibere dell’assemblea delle società
per azioni (art. 2377 e 2378 c.c.) o ancora nel caso del diritto all’annullamento delle
deliberazioni dell’assemblea condominiale (art. 1137 c.c.) o, infine, nel caso del
diritto alla repressione della concorrenza sleale (art. 2601 c.c.) ([5]). Anche in queste
ipotesi, infatti, il «bene della vita» da tutelare appartiene ad una pluralità di titolari
(una sorta di diritto soggettivo «condiviso» o «collettivo»); e l’ordinamento,
prendendo atto di ciò, individua specifici criteri di determinazione dell’abilitazione
all’esercizio della relativa azione giurisdizionale.
In secondo luogo, la distinzione sopra avanzata impone di considerare che nell’azione
collettiva siamo in ogni caso in presenza di situazioni giuridiche, per la cui tutela in
giudizio si pone sempre e comunque un problema – di natura processuale - di non
coincidenza fra legittimazione ad agire e titolarità della situazione giuridica. E questo,
sia quando si tratti di situazioni propriamente superindividuali non appropriabili
individualmente, non essendo ipotizzabile che la presenza di un gruppo organizzato
determini in questo caso anche l’acquisizione da parte del gruppo organizzato della
titolarità della situazione tutelata, che continua ad essere estesa a tutti i fruitori; sia
quando si tratti di situazioni plurindividuali a carattere omogeneo ([6]).
E’ evidente, dunque, che il potenziamento dell’azione collettiva, che va diffondendosi
negli ultimi anni anche in Europa, non può non confrontarsi con l’individuazione di
meccanismi innovativi di legittimazione o abilitazione all’esercizio della stessa.
Ne sono evidente dimostrazione sia le iniziative legislative che di recente sono state
poste in essere in diversi Paesi dell’Unione europea ([7]), sia la sempre più pressanti
sollecitazioni del legislatore comunitario ad imboccare la strada della tutela collettiva
per perseguire proprio il rafforzamento della tutela dei consumatori. Significativo è,
in proposito, il recente «Libro bianco» della Commissione europea sul risarcimento
collettivo dei danni derivanti da violazione della normativa comunitaria antitrust del 2
aprile 2008 ([8]), dove la Commissione – proprio con riferimento alle forme di
legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva - suggerisce di combinare due
meccanismi complementari: le azioni rappresentative, intentate da soggetti
qualificati, quali associazioni dei consumatori, organismi statali o associazioni
commerciali, a nome di vittime identificate o, in casi piuttosto limitati, identificabili
([9]); e le azioni collettive con modalità opt-in, nelle quali le vittime decidono
espressamente di aggregare in una sola azione le proprie richieste individuali di
risarcimento del danno subito. E la stessa Commissione sottolinea la necessità «che
questi due tipi di azione si completino reciprocamente per garantire un sistema di
azione collettivo efficace per le vittime di violazioni delle norme antitrust» ed inoltre
che «è importante che le vittime non siano private del loro diritto di intentare
un'azione per danni individuale se lo desiderano».
2. E tuttavia, se spostiamo l’attenzione al nostro ordinamento, si ha l’impressione che
proprio con riferimento al tema dell’abilitazione dell’esercizio dell’azione collettiva
permanga – sia nella riflessione dottrinale, sia nella prassi giurisprudenziale - un
atteggiamento ed un’impostazione di tipo tradizionalistico, tendente ad adattare ad
essa modelli e schemi propri delle categorie fondamentali della dogmatica giuridica
([10]).
Si comprende bene, dunque, la ragione per la quale fin dall’inizio della riflessione sul
tema della legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva il nostro ordinamento si
sia orientato verso il riconoscimento legislativo di detta legittimazione a gruppi o enti
in possesso di determinati requisiti organizzativi qualificanti. Basti pensare, in
proposito, alle conclusioni - sostanzialmente coincidenti - alle quali pervennero, sul
finire degli anni ’70, sia le Sezioni Unite della Cassazione, nella famosa sentenza sulla
legittimazione di “Italia Nostra” ([11]), sia l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato,
circa la
necessità che,
per
ottenere
tutela
giurisdizionale
di situazioni
superindividuale, queste avrebbero dovuto essere riferibili ad una collettività ben
individuata ed essere espresse da enti collettivi ben organizzati e diffusi sul territorio
([12]).
Conclusioni, queste, che poi hanno inevitabilmente condizionato non solo la
successiva giurisprudenza
civile e amministrativa in materia di abilitazione
all’esercizio dell’azione collettiva, ma anche le scelte che il legislatore ha via via
operato nell’introdurre forme tipiche di azioni collettive. A partire dall’art. 28 st.
lavoratori, laddove si prevede che gli organismi locali delle associazioni sindacali
nazionali – configurate giuridicamente come associazioni private esenti da specifici
controlli governativi – possano agire per la repressione delle c.d. condotte
antisindacali del datore di lavoro; passando per la tutela dell’ambiente (art. 13 l. n.
349 del 1986) fino alle più recenti figure di azione collettiva a tutela dei consumatori
e utenti (art. 1469 sexies c.c.; art. 3 l. n. 281 del 1998; art. 140 cod. consumo), dove si
continua a riconoscere la legittimazione solo ad associazioni o enti collettivi
«istituzionali» ([13]).
3. Le scelte operate in materia di abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva ed il
suo riconoscimento solo in capo ad enti collettivi aventi determinati requisiti
organizzativi risentono inevitabilmente della tradizionale riflessione in tema di
legittimazione ad agire in giudizio.
Ed infatti, si ritiene generalmente che, come nel campo dell’autonomia privata la
legittimazione del soggetto agente sta ad indicare, sotto il profilo formale, la «sua
competenza ad ottenere o a risentire gli effetti giuridici del regolamento … avuto di
mira» ([14]), anche in campo processuale il trait d’union fra l’esercizio dell’azione e la
pronuncia giudiziale sul merito è dato dalla riscontrabilità in capo al soggetto agente
della legittimazione «ad ottenere o a risentire» gli effetti giuridici dell’azione
proposta.
Normalmente, i due profili risultano coincidenti, e dunque la titolarità del potere di
azione va di pari passo con la titolarità della situazione giuridica dedotta (art. 81
c.p.c.). Ed anzi l’art. 24, 1° co., Cost. impone di riconoscere il potere di azione a
chiunque affermi la violazione di un proprio diritto e ne chieda tutela in sede
giurisdizionale.
Proprio perché normalmente la legittimazione ad agire spetta a colui che si afferma
titolare della situazione giuridica dedotta, la distinzione fra legittimazione ed
esistenza della stessa situazione dedotta assume scarsa rilevanza. Perché assuma
rilevanza la distinzione occorrerebbe ipotizzare che colui che agisce affermi
esplicitamente di far valere una situazione giuridica di cui non è titolare ([15]).
In realtà, il problema della distinzione fra il profilo della legittimazione e quello
dell’effettiva esistenza della situazione dedotta emerge solo nelle ipotesi in cui la
legittimazione venga riconosciuta a prescindere dalla titolarità della situazione
dedotta.
Ed infatti, non si può affatto escludere che, per particolari esigenze preventivamente
valutate dal legislatore (nei «casi espressamente previsti dalla legge», recita l’art. 81
c.p.c.), si rinvenga una separazione fra i due profili, e cioè che il soggetto titolare del
potere di azione non sia anche il titolare della situazione sostanziale dedotta, con
riferimento alla quale si produrranno gli effetti della decisione nel merito ([16]).
Diverse sono le rationes alla base della scelta del legislatore di riconoscere una
legittimazione ad agire pura o meramente processuale o straordinaria. Ma il dato
comune a tutte queste ipotesi è il fatto che sia sempre il legislatore a predeterminare
ed evidenziare un interesse legittimante in capo al soggetto agente non titolare della
situazione dedotta in giudizio, a volte in maniera puntuale, altre volte in maniera più
vaga, rimettendosi, di conseguenza, alla valutazione che in concreto farà il giudice.
E’ quel che accade anche con riferimento alla risoluzione del problema della
legittimazione o abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva. Anche in questo caso,
infatti, la presenza in capo a determinati soggetti di un interesse di rilevanza generale
porta il legislatore a riconoscere a questi la legittimazione ad agire per la tutela di
situazioni giuridiche a rilevanza collettiva, la cui titolarità non è comunque
coincidente con il potere di azione ([17]).
Ma, fin dove è opportuno che il legislatore si spinga nel riconoscimento di
questo interesse
legittimante all’esercizio
dell’azione
collettiva?
E’
questo
l’interrogativo che – inevitabilmente – emerge tutte le volte in cui si abbia a che fare
con forme nuove di tutela giurisdizionale collettiva.
4. Ebbene, con specifico riferimento ai criteri per determinare la legittimazione o
abilitazione ad esercitare l’azione collettiva sono note le alternative ipotizzabili: o
limitarla alle sole associazioni che abbiano determinate caratteristiche, individuate
dallo stesso legislatore, e dunque con esclusione della legittimazione per altre
associazioni e per il singolo, oppure riconoscere questa possibilità a qualunque
interessato, con conseguente riconoscimento al giudice del potere di valutare, caso
per caso, se chi eserciti l’azione collettiva abbia «adeguata rappresentatività» del
«gruppo» o della «classe» alla quale l’azione si riferisce ([18]).
Quest’ultimo modello risponde, evidentemente, al tipico meccanismo della class
action statunitense: un’azione esercitabile anche da un singolo individuo che deduce
in giudizio i diritti degli appartenenti alla classe e sottoposta ad un vaglio preventivo
di ammissibilità (la c.d. certification) del giudice. Il medesimo meccanismo di
legittimazione generalizzata si rinviene anche negli altri Paesi - dell’area europea e
non - che hanno improntato la tutela collettiva al modello della class
action statunitense, come, ad es., il Canada, l’Australia, Israele, la Svezia, la Norvegia
e, da ultimo, la Danimarca ([19]).
Il primo modello, invece, è senza dubbio preferito a livello europeo: azioni esercitabili
esclusivamente da associazioni nate e affermatesi come «centri di imputazione» di
interessi che fanno capo ad un insieme di utenti e consumatori ([20]).
E’, questa, la soluzione tipica del modello tedesco della Verbandsklage, che ha
trovato la sua attuazione nella legge tedesca sulle condizioni generali del contratto
del 1977 ed è stata ripresa sia dal legislatore francese del 1973 e dalla successiva l. n.
14 del 1988 in materia di illiceità delle clausole vessatorie, sia dalla stessa legge
tedesca per la tutela dei consumatori del 2000 e da quella sulla tutela ambientale del
2006 ([21]).
La medesima soluzione ha trovato l’adesione – come detto - del nostro legislatore. La
si ritrova, infatti, per l’azione collettiva sindacale di repressione della condotta
antisindacale (art. 28 st. lav.), per l’azione collettiva inibitoria in materia di tutela
ambientale (art. 13 della l. n. 349 del 1986, art. 4 l. n. 549 del 1993 e art. 309 d. legisl.
n. 152 del 2006), per l’azione collettiva inibitoria in materia di tutela dei consumatori
(art. 1469 sexies c.c., art. 3 della l. n. 281 del 1998 e artt. 139 e 140 cod. consumo),
per l’azione collettiva in materia di repressione delle condotte discriminatorie (art. 6
d.leg. n. 215 del 2003, art. 4, co. 1°, l. n. 67 del 2006, art. 309 d.leg. n. 152 del 2006 e
nell’art. 37 d.leg. n. 198 del 2006).
Tuttavia, è una scelta che, sebbene necessaria in una prima fase di attenzione per la
tutela giurisdizionale dei c.d. interessi collettivi e diffusi, nel corso del tempo ha
manifestato non pochi aspetti di insoddisfazione ed è probabilmente destinata ad
essere superata attraverso il ricorso a soluzioni combinatorie che allarghino l’ambito
dei titolari dell’interesse legittimante.
In effetti, è significativo in proposito il fatto che nel Libro bianco della Commissione
europea del 2 aprile 2008 si solleciti l’introduzione negli Stati membri di azioni
collettive rappresentative, intentate da soggetti qualificati, quali associazioni dei
consumatori, organismi statali o associazioni commerciali, a nome di vittime
identificate o comunque identificabili e azioni collettive con modalità opt-in, tipiche
del modello di class action.
5. Certamente, appare ragionevole che, quando si abbia a che fare con azioni
collettive dirette a tutelare situazioni giuridiche a carattere superindividuale non
individualmente soggettivabili, proprio al fine di rendere percorribile la strada della
loro tutela giurisdizionale, il legislatore predetermini i soggetti collettivi titolari della
legittimazione ad agire in giudizio. In questo caso, la particolare connotazione della
situazione giuridica da tutelare impone che – al fine di renderne possibile la tutela
giurisdizionale – sia lo stesso legislatore a predeterminare i soggetti in capo ai quali,
ricorrendo determinati presupposti, sia possibile individuare l’interesse legittimante.
Ma che questo implichi automaticamente l’esclusione della possibilità che la
medesima legittimazione vada riconosciuta anche ad altri soggetti (individuali o
collettivi) dal giudice che ne valuti sussistente l’«adeguatezza» della rappresentatività
della particolare situazione soggettiva (superindividuale o individuale omogenea) è
un salto logico difficilmente giustificabile. Se la scelta iniziale di consentire al
legislatore il riconoscimento dell’interesse legittimante ai fini dell’esercizio dell’azione
collettiva poteva apparire come la soluzione obbligata per superare i problemi di
accesso alla tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche superindividuali non
soggettivabili individualmente, oggi questa scelta potrebbe costituire un ostacolo
all’effettività di detta tutela ove venga intesa come escludente sempre e comunque il
potere del giudice di valutare sussistente l’interesse legittimante anche in capo ad
altri soggetti (individuali o collettivi) diversi da quelli predeterminati dal legislatore.
A maggior ragione queste considerazioni assumono rilevanza quando si abbia a che
fare con azioni collettive per la tutela di diritti soggettivi omogenei.
In questo caso la predisposizione di un’azione collettiva si giustifica non nella
possibilità di trattazione congiunta delle diverse azioni individuali omogenee, già
possibile in fondo attraverso il ricorso ad un istituto processuale come il litisconsorzio
facoltativo (ex artt. 103 e 274 c.p.c.), ma nel riconoscimento di una legittimazione più
ampia nella loro proposizione congiunta. E questo – giova sottolinearlo – al fine di
rendere più agevole l’esercizio di dette azioni individuali, soprattutto quando si tratti,
ad es., di azioni collettive risarcitorie o restitutorie e l’ammontare del risarcimento o
della restituzione spettante al singolo è tale da rendere non vantaggioso per lui
l’iniziativa giudiziaria.
Ma se così è, e dunque se il ricorso all’azione collettiva per l’esercizio di diritti
soggettivi omogenei risponde all’esigenza – costituzionalmente rilevante – di
assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto individuale quando la sua
praticabilità risulti economicamente svantaggiosa per il titolare, la scelta del
legislatore di limitare detta legittimazione solo ad alcune associazioni dei
consumatori e degli utenti che presentino determinate caratteristiche finisce per
incidere, indirettamente, proprio sull’effettività della tutela di queste situazioni
giuridiche.
Né, d’altro canto, va sottovalutata la circostanza che, proprio perché le associazioni
non hanno propri diritti soggettivi direttamente coinvolti nell’azione collettiva, siano
indotte ad utilizzare la legittimazione esclusiva in modo distorto, e dunque non per
conseguire l’effettiva tutela dei diritti soggettivi individuali, ma per rafforzare la
propria forza contrattuale e politica. In teoria, un simile problema potrebbe profilarsi
anche con riferimento al sistema di class action, dove può accadere che il soggetto
responsabile della difesa degli interessi della classe utilizzi questo compito per
anteporre i propri interessi personali a quelli dei soggetti che egli rappresenta. Ma è
evidente che nel contesto del sistema di class action, dove la legittimazione del
soggetto agente nasce dalla certification del giudice e non da un’investitura ex ante,
in pratica è difficile che ciò accada sia perché è rimessa al giudice non solo
l’individuazione del lead plaintiff, ma anche la determinazione del suo compenso e la
valutazione di corrispondenza all’interesse della classe di eventuali proposte
transattive.
Neppure si può giustificare il ricorso alla limitazione del diritto di accesso all’azione
collettiva semplicemente con il riferimento all’esigenza di economia dei giudizi. In
proposito, infatti, non va trascurato sia il fatto che – come ripetutamente evidenziato
dai giudici costituzionali - l’economia dei giudizi non è un valore costituzionalmente
garantito che possa «farsi valere a scapito dei diritti fondamentali» ([22]), tra i quali
va senz’altro annoverato quello d’azione di cui all’art. 24, 1° comma, Cost., sia la
considerazione che quanto più diffusa è l’abilitazione nell’esercizio dell’azione
collettiva
tanto
più
efficace
si
presenta
la
funzione
complementare
di enforcement privato che questa assolve, in aggiunta all’attività pubblica di
controllo sulla correttezza degli operatori del mercato ([23]).
6. Un primo tentativo di superare i limiti insiti nel sistema di legittimazione proprio
delle Verbandsklage mi pare emerga dalla recente legge tedesca per la tutela dei
risparmiatori per responsabilità da false informazioni sui mercati finanziari (Gesetz
zur Einfuhrung von Kapitalnleger-Musterverfahren) del 19 agosto 2005, vale a dire
quella del Musterverfahren o del «processo modello» ([24]), finalizzato alla
definizione di una questione di fatto e/o di diritto comune meritevole di trattazione
collettiva, che sorge incidentalmente all’interno delle cause individuali risarcitorie o
restitutorie ([25]).
La soluzione per alcuni aspetti (ed in particolare, per quelli della legittimazione ad
attivare il Musterverfahren) sembra ispirata al modello inglese della group
litigation ([26]), ma da questo se ne allontana per tutta una serie di elementi (in
primis, i poteri discrezionali del giudice nel case management del processo collettivo).
Nella soluzione tedesca, infatti, l’iniziativa per l’instaurazione un «processo modello»
spetta ad una delle parti del processo «individuale» pendente; per effetto dell’istanza
il processo «individuale» pendente viene sospeso in attesa che – entro quattro mesi –
vi siano altre adesioni, fino ad un numero minimo di nove. Se si raggiunge questo
risultato minimo la causa viene rimessa alla Corte d’appello, la quale provvederà a
nominare d’ufficio un «attore modello» (Musterkläger) e un «convenuto modello»
(Musterbeklager), individuandoli sulla base del criterio della «migliore convenienza»
(nach billigem Ermessen). Dal momento della pendenza del «processo modello»
dinanzi alla Corte di appello, infatti, i giudici a quibus sospendono i processi pendenti
dinanzi a loro e il provvedimento di sospensione vale contemporaneamente come
chiamata in causa delle parti per ordine del giudice (Beiladung) nel «processo
modello».
L’individuazione dell’attore e del convenuto «modello» non preclude alle altre parti
chiamate in causa di esercitare il proprio diritto di difesa, facendo valere mezzi di
attacco e di difesa, e, conseguentemente, giustifica l’efficacia vincolante estesa anche
ai chiamati della «decisione modello» (Musterentscheid). In effetti, una volta
pronunciata la «decisione modello», i singoli processi «individuali» nel frattempo
sospesi riprendono il loro corso al fine di determinare le singole pretese risarcitorie,
ma sulla base dell’accertamento vincolante contenuto nella decisione della Corte
d’appello, il quale può essere contestato solo dimostrando che la parte principale del
«processo modello» ha mal gestito la controversia, o perché, a causa di dichiarazioni
e atti della parte principale, i chiamati siano stati impediti di far valere mezzi di
attacco e di difesa, o perché la parte principale non ha fatto valere, volontariamente
o per colpa grave, mezzi di attacco e di difesa che a loro erano ignoti.
L’obiettivo di questo intervento legislativo è evidente: risolvere in modo identico e
vincolante, sia sotto il profilo fattuale che giuridico, una questione controversa sorta
in processi di identico contenuto, attraverso una decisione che valga per il maggior
numero di essi. Ma parimenti evidenti sono le differenze rispetto al tradizionale
modello di Verbandklage: in primo luogo, per il profilo dell’abilitazione ad instaurare
il «processo collettivo modello», essa segue l’ordinario criterio del «processo
individuale», mentre non assume alcun ruolo l’iniziativa di associazioni o enti
rappresentativi degli interessi da tutelare; in secondo luogo, viene riconosciuto un
potere giudiziale di valutazione dell’ammissibilità dell’istanza di «processo collettivo
modello», diretto a vagliare la sussistenza del presupposto fondamentale per
l’utilizzazione di un tale meccanismo processuale, e cioè l’emergere di questioni
giuridiche o di fatto comuni anche ad altri giudizi «individuali»; in terzo luogo, viene
attribuito al giudice il potere di individuare – in base al criterio della «migliore
convenienza» - l’attore ed il convenuto del «processo modello»; infine, l’oggetto del
giudizio e del relativo giudicato viene correlato non all’accertamento dell’esistenza o
meno di una situazione sostanziale (a rilevanza collettiva), ma alla sola risoluzione di
una o più questioni giuridiche o fattuali comuni a più processi.
7. Un tentativo di superare il modello di legittimazione tipico del sistema
di Verbandsklage sembra emergere anche dal nostro art. 140 bis cod. consumo ([27]),
laddove estende la legittimazione ad agire in via collettiva anche ad associazioni o
comitati dotati di «adeguata rappresentatività» rispetto agli «interessi collettivi fatti
valere». Da una parte, dunque, ai fini della legittimazione ad agire per la nuova
azione collettiva risarcitoria continueranno a valere le stesse regole stabilite dall’art.
139 cod. consumo: la legittimazione per l’esercizio dell’azione collettiva risarcitoria
viene riconosciuta a quelle stesse associazioni dei consumatori e degli utenti inserite
nell’elenco di cui all’art. 137 del medesimo cod. consumo. Viene riproposta, dunque,
la soluzione tipica del modello tedesco della Verbandsklage, già nel passato – come
detto - utilizzata dal nostro stesso legislatore per altri tipi di azioni collettive.
Ma il nuovo art. 140 bis va oltre questo meccanismo di legittimazione ed ammette la
possibilità che l’azione collettiva sia esercitata anche da associazioni e comitati
«adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere». In questo caso,
dunque, viene rimessa direttamente al giudice la possibilità di valutare caso per caso
l’«adeguatezza» della rappresentatività dell’associazione o del comitato che esercita
l’azione.
Va anche aggiunto, però, che se attraverso l’azione collettiva risarcitoria si tutelano i
diritti al risarcimento e alla restituzione dei singoli, non v’è dubbio che la soluzione di
riconoscere la legittimazione anche in capo ai singoli danneggiati, unitamente, se del
caso, con l’associazione, sarebbe stata la soluzione più opportuna.
In altri termini, una volta che il legislatore si sia orientato a superare il sistema
di Verbandsklage e ad avvicinarsi di più al sistema di class action, ammettendo che la
legittimazione ad agire non sia riservata alle sole associazioni predeterminate dallo
stesso legislatore, ma anche ad enti dotati di «adeguata rappresentatività» secondo
la valutazione compiuta dal giudice, non si vede cosa avrebbe impedito di rimettere
allo stesso giudice la valutazione di «adeguata rappresentatività» anche con
riferimento all’azione collettiva esercitata dal singolo consumatore o utente. O cosa
avrebbe impedito – ed è un’alternativa che condurrebbe ai medesimi risultati pratici
– di consentire anche nel nostro ordinamento ciò che è ammesso in quello inglese e
tedesco, ovvero nelle materie nelle quali sia emersa l’esigenza di tutela collettiva la
«trasformabilità» del giudizio individuale in «processo modello», quando una delle
parti lo chieda ed il giudice valuti la sussistenza di questioni di fatto e/o di diritto
comuni anche ad altri giudizi già pendenti.
Certamente, occorre essere consapevoli delle concrete difficoltà (economiche, ma
non solo) che incontra il singolo ad agire in giudizio per la tutela di situazioni
superindividuali, tutte le volte che non sia direttamente coinvolto (oltre che come
appartenente alla categoria alla quale si riferisce l’interesse tutelando, anche) come
titolare di individuali diritti soggettivi da tutelare (ad es., all’eliminazione di una
specifica clausola contrattuale o al risarcimento dei danni conseguenti ad una
condotta plurioffensiva, ecc.). Ma, pur nella consapevolezza di simili difficoltà, il cui
superamento evidentemente giustifica l’attribuzione della legittimazione ad agire ad
enti e associazioni «istituzionali», si deve anche ammettere che, nell’inerzia di questi
ultimi o comunque in concomitanza con l’azione esperita da essi, non si rinvengono
plausibili ragioni per negare il diritto ad agire in giudizio (costituzionalmente
garantito) all’appartenente al gruppo al quale pertiene la tutelanda situazione
superindividuale ([28]).
8. - E’ evidente, d’altro canto, che la scelta di superare il modello tradizionale della
legittimazione ad agire legato alla sua pre-attribuzione legale in via esclusiva alle sole
associazioni «istituzionali», estendendola anche ad altri enti collettivi dotati di
«adeguata
rappresentatività»
degli
interessi
collettivi
da
tutelare,
rende
indispensabile affrontare gli ulteriori problemi connessi alla valutazione giudiziale di
sussistenza o meno in capo all’attore dell’interesse legittimante.
Volendo schematizzare, possiamo ricondurre questi problemi a cinque diversi profili:
a) quello dei limiti di valutazione del giudice con riferimento alla sussistenza
dell’interesse legittimante in capo alle associazioni «istituzionali»;
b) quello dell’individuazione dei requisiti di «adeguata rappresentatività» del
soggetto agente diverso dalle associazioni «istituzionali»;
c) quello del c.d. filtro di ammissibilità e del suo rapporto con la valutazione di
sussistenza della legittimazione ad agire in capo all’ente che esercita l’azione;
d) quello della determinazione del gruppo al quale l’azione collettiva fa riferimento e
del suo rapporto con la valutazione del giudice di «adeguata rappresentatività»
dell’attore;
e) infine, quello degli effetti della sentenza collettiva per gli altri soggetti colegittimati (istituzionali e non).
11. In primo luogo, occorre chiedersi se ed entro quali limiti assuma rilevanza la
valutazione giudiziale di «adeguata rappresentatività» degli interesse tutelati anche
con riferimento alle associazioni «istituzionali».
In effetti, già con riferimento all’azione collettiva inibitoria, di cui all’art. 139 cod.
consumo, si è rilevato che, mentre nel caso dell’azione collettiva esercitata dalle
associazioni inserite nell’elenco ministeriale il giudice sarebbe vincolato a riconoscere
l’esistenza della legittimazione ad agire, negli altri casi egli sarebbe pienamente libero
di valutare se sussistano o meno i requisiti di adeguata rappresentatività ([29]). Alla
medesima
conclusione,
del
resto, è
pervenuta
anche
la
giurisprudenza
amministrativa quando è stata chiamata a sciogliere l’identico dubbio con riferimento
alla tutela ambientale, ribadendo la teoria del c.d. doppio binario, in forza del quale
l’accertamento dell’idonea «rappresentatività» dell’associazione che agisca a tutela
dell’ambiente e non sia iscritta nell’elenco ministeriale vada condotto caso per caso,
in sede giudiziale, non potendo la valutazione ministeriale sostituirsi al potere del
giudice di verificare in concreto la sussistenza della legittimazione in capo
all’organismo collettivo agente ([30]).
Se ne dovrebbe dedurre che, mentre nel caso delle associazioni inserite nell’elenco
ministeriale vi sarebbe un vincolo per il giudice a riconoscere la legittimazione, negli
altri casi, invece, l’esercizio dell’azione collettiva passerebbe attraverso la preventiva
valutazione giudiziale della sussistenza dei requisiti dell’«adeguata rappresentatività»
in capo a chi agisce ([31]).
Ma proprio con riferimento ad una simile conclusione è da chiedersi se possa
ammettersi – sul piano dei principi costituzionali ed anche dell’opportunità - che, per
il profilo della legittimazione ad esercitare l’azione collettiva il giudice sia vincolato a
riconoscerne l’esistenza in capo alle associazioni inserite nell’elenco ministeriale e
non possa, invece, sia sindacare (eventualmente disapplicandolo) lo stesso
provvedimento amministrativo di inserimento nell’elenco ministeriale, sia valutare
anche con riferimento alle associazioni «istituzionali» la sussistenza del requisito
dell’«adeguata rappresentatività» rispetto agli interessi collettivi dedotti in giudizio.
Tenendo presente che, mentre nel caso della associazioni «istituzionali» la
sussistenza in generale dei requisiti per la legittimazione ad agire con l’azione
collettiva deve considerarsi coperta da presunzione relativa ed all’associazione
agente incombe soltanto l’onere di dimostrare il collegamento fra questi requisiti e
l’interesse collettivo dedotto in giudizio, in caso di ente «non istituzionale» la
sussistenza
del
requisito
dell’«adeguata
rappresentatività»
va
comunque
comprovata da parte di chi esercita l’azione.
12. Un secondo problema attiene all’individuazione dei requisiti per la corretta
legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva con riferimento alle associazioni o
comitati dotati di «adeguata rappresentatività». E’ da chiedersi, cioè, a quali criteri
debba ispirarsi il giudice nella valutazione dell’«adeguata rappresentatività» dell’ente
collettivo agente.
Ora, il silenzio dell’art. 140 bis sul punto induce ad escludere qualsiasi tentativo di
«legare le mani» al giudice richiamando i criteri oggettivi che vengono utilizzati ai fini
dell’inserimento delle associazioni «istituzionali» nell’elenco ministeriale di cui all’art.
137 cod. consumo (scopo statutario, consistenza numerica e diffusione degli
associati, ecc.). Semmai, la volontà del legislatore sembra essere tutt’altra: quella di
consentire il riconoscimento della legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva
anche a comitati ed associazioni formatesi temporaneamente per la tutela di
specifiche e limitate situazioni di rilevanza superindividuale. Non è un caso, infatti, se
lo stesso art. 140 bis, riconoscendo la sussistenza dell’interesse legittimante anche ad
enti collettivi diversi dalle associazioni «istituzionali», ponga in relazione la «adeguata
rappresentatività» di tali enti con gli «interessi collettivi fatti valere». In altri termini,
a differenza delle associazioni «istituzionali», nel caso degli altri comitati ed
associazioni la configurazione dell’interesse legittimante è strettamente legata alla
specifica situazione giuridica superindividuale tutelanda. Si tratta, cioè, di
«formazioni sociali» sorte in maniera estemporanea – anche su iniziativa di qualche
studio professionale - in forma di associazioni o comitati per tutelare collettivamente
l’interesse fatto valere, e dunque successivamente al sorgere di tale interesse ([32]).
Ed in una simile soluzione può intravedersi anche il tentativo di eludere il rischio di un
possibile conflitto fra gli interessi delle associazioni dei consumatori «istituzionali» e
quelli dei singoli appartenenti al gruppo o alla classe.
Ma se così è, la vicinanza con l’«adeguata rappresentatività» dell’attore nel sistema
nordamericano di class action emerge con nitidezza. In effetti non può essere
trascurata l’evocazione, anche lessicale, dellasubdivision (a) della Rule 23, laddove
sottopone l’ammissibilità dell’azione esercitata in rappresentanza dei membri della
classe alla preventiva certification del giudice circa l’idoneità dei rappresentanti a
tutelare correttamente ed adeguatamente («fairly and adequately») gli interessi della
classe ([33]).
13. Va, inoltre, aggiunto che la valutazione della sussistenza dell’interesse
legittimante nei termini dell’«adeguata rappresentatività» del soggetto agente
presuppone inevitabilmente la determinazione del gruppo o classe dei soggetti
interessati dall’esercizio dell’azione collettiva. E questo, tanto più quando si abbia a
che fare con l’esercizio di azioni collettive di natura risarcitoria. Non a caso, infatti, la
riforma della class action statunitense introdotta con il Private Securities Litigation
Reform Act del 1995, proprio con l’intento di fissare uno stretto legame fra il
«rappresentante» della classe e gli altri appartenenti alla classe, ha stabilito che
il lead plaintiff sia membro della classe e che, al fine di stabilire se sia in grado di
tutelare nel modo più adeguato gli interessi della classe, vi sia una presunzione
relativa, che il soggetto più adeguato a divenire lead plaintiff, tra quelli che ne fanno
richiesta, sia il componente della classe che risulta titolare del più rilevante interesse
finanziario nella causa.
Anche a questo proposito vanno registrate interessanti innovazioni nel panorama sia
europeo che italiano. Dal punto di vista del diritto comunitario, ad es., è significativo
il riferimento che il già citato libro bianco della Commissione dell’aprile 2008
all’opportunità che si introducano – accanto alle tradizionali azioni collettive
rappresentative – meccanismi di opt-in, tesi appunto alla determinazione del gruppo
beneficiario dell’azione collettiva risarcitoria. Parimenti significative appaiono le
scelte operate per i nuovi modelli di azione collettiva risarcitoria adottati di recente
nei Paesi nordeuropei, ed in particolare in Danimarca e in Svezia, dove ritroviamo
utilizzato – sempre per la determinazione del gruppo dei beneficiari - sia il sistema
di opt-out (nel primo caso), sia quello di opt-in (nel secondo) ([34]).
Non lontana dal meccanismo dell’opt-in appare, poi, la soluzione tedesca
del Musterprozess adottata nella KapMuG del 2005. Come abbiamo visto, il ricorso
al Musterverfahren è ammesso dal giudice soltanto se, entro quattro mesi dalla prima
richiesta, vi siano almeno altre nove richieste di decisione delle medesime questioni,
vi siano, cioè, almeno altri nove titolari di situazioni sostanziali omogenee che
aderiscano alla richiesta di risoluzione giudiziale delle questioni poste dal primo
istante ([35]). In questo modo viene definito il gruppo rispetto al quale si
manifesteranno gli effetti della «decisione modello».
Discorso sostanzialmente non dissimile vale anche per il nostro art. 140 bis cod.
consumo e l’utilizzazione degli istituti dell’intervento e dell’adesione come
meccanismi di opt-in per la determinazione del gruppo di consumatori o utenti nei
confronti dei quali si produrranno gli effetti del giudicato collettivo ([36]). Ed infatti,
una volta esercitata l’azione collettiva i consumatori o utenti appartenenti alla classe
o al gruppo cui si riferisce l’azione possono: a) o comunicare (anche in appello, fino
all’udienza di precisazione delle conclusioni) al proponente la propria adesione
all’azione collettiva ([37]), se intendono «avvalersi della tutela prevista» dall’art.
140 bis, nel senso di subire gli effetti della sentenza che definisca il processo
«collettivo»; b) oppure intervenire (entro i normali termini preclusivi) «per proporre
domande aventi il medesimo oggetto». A tal fine il giudice che ammette l’azione
determina anche le modalità attraverso le quali deve essere data idonea pubblicità
dei contenuti dell’azione proposta.
14. Il richiamo dell’intervento dei singoli consumatori o utenti non fa altro che
estendere al giudizio collettivo un tradizionale istituto del processo di cognizione.
Peraltro, trattandosi di un istituto appositamente disciplinato dall’art. 105 c.p.c., la
specificazione dell’art. 140 bis, 2° co., che l’intervento può essere utilizzato dai singoli
consumatori o utenti «per proporre domande aventi il medesimo oggetto» va
interpretata nell’unico modo che consenta il coordinamento con la disciplina
codicistica. E cioè, nel senso che il singolo interventore possa esercitare l’azione
individuale di risarcimento, connessa oggettivamente con l’azione collettiva ([38]).
Non sembra condivisibile, invece, la soluzione secondo cui i singoli consumatori o
utenti potrebbero attraverso l’intervento proporre la medesima azione collettiva già
esercitata ([39]).
E non lo sembra, in primo luogo, perché il riferimento letterale al «medesimo
oggetto» della domanda avanzata dall’interveniente andrebbe coordinato con il
tenore letterale del 1° co. dell’art. 140 bis laddove lo stesso legislatore individua
l’oggetto dell’azione collettiva nell’«accertamento del diritto al risarcimento del
danno e alla restituzione spettanti ai singoli consumatori o utenti». Se effettivamente
fosse questo l’oggetto dell’azione collettiva (e nelle intenzioni del legislatore questo
avrebbe dovuto essere), anche la domanda di risarcimento o di restituzione
dell’interveniente rientrerebbe nel «medesimo oggetto» della prima. Ma una volta
che l’oggetto dell’azione collettiva venga – nelle opinioni prevalenti ([40]) opportunamente limitato all’accertamento (non del diritto dei singoli consumatori o
utenti, ma) della responsabilità del convenuto, è evidente che anche il riferimento
letterale all’oggetto della domanda dell’interveniente finisce per assumere una
connotazione ben diversa e l’identità con l’oggetto dell’azione collettiva finisce per
ridursi alla sola causa petendi.
In secondo luogo, se l’interveniente potesse esercitare soltanto la medesima azione
già esercitata dall’associazione o dal comitato non si riuscirebbe a comprendere per
quale ragione la legittimazione dei singoli, negata in sede di introduzione del
processo «collettivo», verrebbe riconosciuta in sede di esperimento dell’intervento.
Soprattutto non si comprenderebbe per quale ragione, mentre per esercitare la
domanda
iniziale
il
legislatore
opportunamente
richiama
il
presupposto
dell’«adeguata rappresentatività» degli interessi fatti valere quando l’attore sia un
ente diverso da quelli «istituzionali», in caso di esercizio della medesima azione con
l’intervento ne prescinda, sebbene all’interveniente – una volta che si identifichi la
sua domanda con l’azione collettiva – debba riconoscersi i medesimi poteri
dell’attore collettivo.
In terzo luogo, se la volontà del legislatore fosse stata effettivamente quella di
consentire all’interveniente il solo esercizio della medesima azione già esercitata
dall’associazione o dal comitato, non si riuscirebbe a comprendere per quale ragione
il 5° comma dello stesso art. 140 bis, all’esito della sentenza collettiva, fa salva
soltanto l’azione individuale dei singoli che non siano intervenuti o non abbiano
aderito: tanto l’aderente quanto l’interveniente intendono «avvalersi» della tutela
collettiva per ottenere il soddisfacimento del proprio diritto individuale al
risarcimento o alla restituzione. Ma, mentre l’aderente non potrà esercitare l’azione
individuale in quanto la sentenza collettiva «fa stato» anche nei suoi confronti,
ovvero nei confronti del proprio diritto individuale, l’interveniente, invece, non potrà
esercitare l’azione individuale in quanto ha già esercitato la medesima azione
attraverso l’intervento.
Se così è, non si può affatto escludere che la sentenza «collettiva», oltre ad accertare
la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni o alla restituzione delle somme
spettanti ai singoli consumatori o utenti, possa anche contenere la liquidazione
del quantum di risarcimento o restituzione degli intervenuti, con conseguente
condanna del convenuto ed immediata formazione di un idoneo titolo esecutivo.
15. Del tutto innovativa per il nostro ordinamento è, invece, la scelta di formazione
del gruppo mediante l’adesione. Si è parlato, in proposito, di un «negozio sui
generis fondato su una volontà di inclusione nel “gruppo” (o “classe attiva”) ai fini
della definitiva fissazione della sua domanda», un negozio che si porrebbe a metà fra
il mandato ed il contratto d’opera ed avrebbe ad oggetto l’accettazione dell’offerta al
pubblico contenuta nella pubblicità dei contenuti dell’azione esercitata ([41]). Altri
ancora ha individuato nell’adesione un mandato con rappresentanza a favore
dell’ente attore.
In realtà, la configurazione di un negozio nell’atto di adesione presupporrebbe il
raggiungimento di un accordo fra aderente e ente attore che, in realtà, l’art.
140 bis non sembra richiamare affatto, limitandosi a prevedere che l’aderente debba
semplicemente comunicare all’ente attore (ed al convenuto) il suo atto di adesione.
Peraltro, la riconduzione alla figura negoziale del mandato con rappresentanza
dovrebbe anche consentire al mandante di determinare l’ambito dei poteri del
mandatario e la specificazione del diritto individuale nell’esercizio del quale viene
conferito il mandato: tutti elementi che il 2° co. dell’art. 140bis non richiama.
Non solo. Dovrebbe anche portare a ritenere che, per effetto dell’adesione, l’oggetto
del giudizio collettivo si estenda anche al tutela del diritto individuale dell’aderente e
che dunque l’ente attore agisca anche n nome e per conto dell’aderente avanzando
in giudizio la sua domanda risarcitoria o restitutoria ([42]). Se così fosse, si dovrebbe
anche ammettere che con l’adesione venga esercitata – ad opera dell’ente attore, ma
in nome e per conto dell’aderente - la domanda individuale avente il «medesimo
oggetto» di quella collettiva, circostanza, questa, che sembra esclusa dallo stesso art.
140 bis sia nel momento in cui differenzia la posizione processuale dell’aderente da
quella dell’interventore, sia nel momento in cui prevede la possibilità che l’adesione
sopraggiunga anche in appello.
Queste considerazioni inducono a ritenere che l’adesione sia molto più
semplicemente l’esercizio dell’opt-in da parte dei singoli consumatori e utenti
attraverso un atto unilaterale stragiudiziale doppiamente recettizio (sia nei confronti
dell’attore che del convenuto), dagli effetti predeterminati dal legislatore. Vale a dire
un atto con il quale l’aderente manifesta la volontà di «avvalersi della tutela prevista
dal presente articolo» (come recita il 2° co. dell’art. 140 bis) e dunque accetta –
senza divenire parte del processo e senza avere all’interno del giudizio collettivo
alcun rappresentante processuale - la sottoposizione agli effetti (favorevoli e non)
della sentenza «collettiva» con riferimento all’accertamento della responsabilità del
convenuto ([43]).
Questo sta a significare che la sentenza collettiva sarà vincolante, anche se negativa,
sia nei confronti dell’aderente che, ovviamente, dell’interventore. Con la
conseguenza che, se dovesse essere positiva e non ci fosse la possibilità di
determinare, allo stato degli atti, la somma minima da corrispondere a ciascun
consumatore o utente, né avesse esito positivo il successivo procedimento
conciliativo, al singolo consumatore o utente aderente non resterebbe altra soluzione
che quella dell’introduzione di un giudizio autonomo (anche di tipo ingiuntivo) per la
determinazione del quantum del proprio diritto al risarcimento o alla restituzione.
Se le modalità di esercizio dell’opt-in sono quelle indicate, residua, tuttavia, un
dubbio che nasce proprio dalle scelte operate a proposito dell’allargamento
dell’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva risarcitoria anche a comitati o
associazioni «adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi da tutelare». Se
l’adeguatezza della rappresentatività va valutata ai fini della determinazione
dell’interesselegittimante nella fase iniziale del giudizio, in rapporto agli interessi
collettivi tutelati ed al gruppo al quale essi si riferiscono, è difficile ipotizzare che già
in quel momento siano stati effettuati gli interventi e le adesioni e dunque sia
possibile avere chiara l’individuazione del gruppo. E’ più ragionevole ritenere, perciò,
che la «adeguata rappresentatività» degli enti «non istituzionali» che abbiano
esercitato l’azione vada valutata dal giudice in via potenziale, anche tenendo conto
della determinazione del gruppo che può derivare nel corso del processo
dall’esercizio dell’intervento o dell’adesione da parte dei singoli consumatori e utenti.
16. Ulteriore problema, strettamente connesso alla legittimazione all’esercizio
dell’azione collettiva, è poi quello della previsione di un «filtro» di ammissibilità
dell’azione proposta. Anche questo si presenta come un elemento di somiglianza con
la certification del sistema di class action [art. 23 (c) (1) delle FRCPR nordamericane].
Una volta intrapresa la strada dell’allargamento della legittimazione anche a soggetti
diversi dalle associazioni dei consumatori «istituzionali» con il riconoscimento
dell’interesse legittimante anche in capo a comitati o associazioni dotate di
«adeguata rappresentatività» degli interessi tutelati quanto mai opportuno appare –
ancora una volta sul modello della class action - riconoscere al giudice il potere di
valutare la sussistenza dell’interesse legittimante nelle fasi iniziali del giudizio.
Sennonché, anche nell’introduzione del «filtro» di ammissibilità il modello di
riferimento della certification della class action viene solo parzialmente recepito dal
nostro legislatore.
In proposito, infatti, il nuovo art. 140 bis cod. consumo, che per la prima volta
introduce appunto il «filtro» di ammissibilità dell’azione collettiva, si limita a
richiamare tre condizioni che possono determinare l’inammissibilità della domanda:
manifesta infondatezza, conflitto di interessi, inesistenza di un interesse collettivo.
Per come strutturato il c.d. giudizio di ammissibilità, la volontà del legislatore sembra
essere quella di imporre al giudice, alla prima udienza, la decisione sull’ammissibilità
della domanda mediante un provvedimento a cognizione sommaria, provvisorio e ad
efficacia meramente endoprocessuale, avente ad oggetto la valutazione prima
facie di insussistenza di qualcuna delle condizioni di inammissibilità (manifesta
infondatezza, conflitto di interessi, inesistenza di un interesse collettivo). Lo
testimoniano sia la forma indicata per il provvedimento (ordinanza), sia le modalità
attraverso le quali si arriva alla sua pronuncia («sentite le parti e assunte quando
occorre sommarie informazioni»), sia il rimedio esperibile (reclamo alla corte
d’appello, che pronuncia in camera di consiglio) ([44]). Ne deriva che, a prescindere
dal contenuto dell’ordinanza sull’ammissibilità della domanda, essa non sembra
destinata a produrre effetti al di fuori del processo nel corso del quale è stata
pronunciata, e dunque: se di ammissibilità, sarà sostituita dalla successiva sentenza;
se di inammissibilità, non impedirà la riproposizione della medesima azione anche ad
opera della stessa associazione o comitato e sulla base dei medesimi fatti ([45]).
Ma se così è il «filtro» finisce per far sorgere molti più problemi di quelli che intenda
risolvere. Da un lato, infatti, la specifica individuazione delle questioni che possono
formare oggetto del c.d. giudizio di ammissibilità esclude che in esso possano farsi
rientrare tutte le altre questioni (come, ad es., l’assenza di «adeguata
rappresentatività» nell’ente attore) ([46]), che ugualmente potrebbero determinare
la dichiarazione di inammissibilità. Se così è, sembra inevitabile ritenere che
l’emergere di questioni diverse da quelle espressamente richiamate come oggetto
del c.d. giudizio di ammissibilità fa sorgere un’ordinaria questione pregiudiziale di rito
o preliminare di merito risolvibile nei consueti modi di cui all’art. 187 c.p.c. (e
dunque, con sentenza, definitiva o non a seconda che il giudice valuti sussistente o
meno l’«adeguata rappresentatività»).
Dall’altro lato, se la funzione del «filtro» è quella di far emergere nelle fasi iniziali del
giudizio questioni litis ingressum impedientes con riferimento alla particolare azione
collettiva proposta non si vede per quale ragione predisporre un meccanismo ad
hoc come quello del c.d. giudizio di ammissibilità, che approda ad un’ordinanza,
sommaria, reclamabile e ad efficacia meramente endoprocessuale, e non seguire,
piuttosto, la strada «maestra» degli artt. 187 e 279 c.p.c., che il legislatore individua
per i processi ad azione individuale tutte le volte che sorga una questione
pregiudiziale o preliminare idonea a chiudere il processo in corso.
17. Infine, strettamente connesso al profilo dell’abilitazione all’esercizio dell’azione
collettiva – stante il suo riconoscimento in capo a diversi soggetti – è quello
dell’efficacia della pronuncia collettiva nei confronti degli altri co-legittimati.
Ovviamente, il discorso è abbastanza semplice con riferimento alla sentenza di
accoglimento dell’azione collettiva. E’ evidente, infatti, che se l’azione collettiva
(inibitoria o risarcitoria o restitutoria che sia) è stata accolta, ciò impedisce l’esercizio
della medesima azione collettiva ad opera di altri co-legittimati, in quanto
mancherebbe in capo a questi il presupposto fondamentale l’interesse ad agire in
giudizio. Diverso, invece, il discorso da fare con riferimento alla pronuncia di rigetto
dell’azione collettiva, in quanto in tal caso l’interesse degli altri ad esercitare l’azione
collettiva dovrebbe ritenersi permanente.
In effetti, il nostro legislatore non ha mai chiarito, neanche nel passato, il rapporto fra
la sentenza «collettiva» di rigetto e l’esperibilità della medesima azione da parte di
altri co-legittimati.
Ebbene, se si tiene conto dell’oggetto dell’azione collettiva, e cioè l’accertamento
della
responsabilità
del
convenuto
con
riferimento
ad
un
determinato
comportamento illecito (azione collettiva inibitoria) o ai danni dei singoli derivanti dal
comportamento illecito del convenuto (azione collettiva risarcitoria o restitutoria),
sembra difficile ammettere che, una volta rigettata nel merito l’azione esercitata da
una delle associazioni o dei comitati legittimati, vi possa essere la riproposizione
della medesima azione ad opera di altri co-legittimati: anche il rigetto nel merito
dell’(unica) azione collettiva determina il venir meno dell’interesse ad agire degli altri
co-legittimati (già esistenti o che potrebbero costituirsi successivamente) in
conseguenza dell’accertata inesistenza della responsabilità del convenuto nella
fattispecie dedotta ([47]). La concorrente legittimazione nell’esercizio della
medesima azione – quella di accertamento della responsabilità del convenuto – non
significa anche automatica configurabilità di plurimi diritti di azione, quanto più
semplicemente possibilità che uno dei molteplici co-legittimati si attivi per esercitare
l’azione, salvo comunque il potere di intervenire nel giudizio instaurato da altro colegittimato.
Peraltro, anche ammettendo la riproponibilità della medesima azione ad opera degli
altri co-legittimati, di fatto l’impresa convenuta potrebbe facilmente impedirla
avanzando a sua volta domanda riconvenzionale di accertamento nei confronti di
tutti i possibili co-legittimati con conseguente chiamata in causa di quest’ultimi.
Solo l’esclusione della riproponibilità, infine, consente di risolvere anche il
più rilevante problema che inevitabilmente si proporrebbe in caso contrario.
Vale a dire la possibilità che, dopo la pronuncia della sentenza che definisca
il processo rigettando la domanda, la stessa associazione che abbia esperito
la prima azione collettiva agisca nuovamente in modo collettivo, fondando
un comitato ad hoc ovvero rivolgendosi ad una associazione dei consumatori
diversa da quella che ha agito nel primo processo. Eventualità, questa, non
ipotizzabile una volta che si escluda la riproponibilità della medesima azione
collettiva a seguito della sentenza di rigetto nel merito.
Si è criticata una simile soluzione «sia per la violazione del diritto di azione
cui andrebbero incontro le associazioni estranee al giudizio, concluso con il
rigetto della domanda …, sia per l’incoraggiamento che ne deriverebbe alla
costituzione di associazioni “gialle”, amiche degli imprenditori, per la
promozione di azioni così mal gestite da condurre al rigetto di domande
fondate» ([48]). In realtà, la presunta violazione del diritto di azione che ne
deriverebbe per gli altri co-legittimati presupporrebbe che, nel caso di specie,
effettivamente alla pluralità di legittimati corrisponda una pluralità di azioni,
mentre è il medesimo legislatore a puntualizzare che le associazioni e i
comitati sono tutti legittimati ad avanzare la medesima domanda giudiziale:
di accertamento del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione delle
somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’azione collettiva
risarcitoria; di accertamento del diritto ad impedire un determinato
comportamento illecito nei confronti dei consumatori o utenti nell’azione
collettiva inibitoria.
Quanto, poi, al rischio derivante dalle c.d. associazioni «gialle» potrebbe
richiamarsi il noto brocardo adducere inconveniens non est solvere
argumentum. Peraltro, si tratta di inconveniente che può essere agevolmente
eluso dalle altre associazioni o comitati sia attraverso l’intervento o
l’adesione dei singoli consumatori o utenti, sia attraverso l’intervento in
causa degli altri co-legittimati all’esercizio della medesima azione collettiva.
18. Il dato comune alle novità che si profilano con riferimento al tradizionale
problema dell’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva, nei diversi
settori nei quali si manifesta, è dato dalla circostanza che con esse si cerca di
rispondere ad esigenze emergenti nella società, esigenze alle quali, però, non
corrispondono sempre situazioni giuridiche soggettive tutelabili mediante la
tradizionale azione giudiziaria.
Esse, da un lato, confermano l’opportunità che, sebbene indirettamente
salvaguardate mediante la predisposizione di mezzi diversi dall’azione
giudiziaria per la loro effettiva soddisfazione (si pensi, ad es., al ruolo
riconosciuto alle c.d. autorities) ([49]), queste nuove esigenze di tutela
abbiano comunque un’efficace e pronta protezione giurisdizionale. Tenendo
conto che il ricorso alla tutela giurisdizionale collettiva assolve – come detto
- anche un’indubbia funzione di interesse pubblico, in quanto consente la
realizzazione di un sistema di enforcement privato, complementare rispetto
all’azione pubblica di controllo. Dall’altro, sollecitano l’interprete ad una
«rivisitazione» e, per quanto possibile, ad un «adattamento» dei tradizionali
strumenti giurisdizionali, nella consapevolezza che egli deve avere «il
buonsenso di guardare al di là del diritto formale» ([50]). Soprattutto, quando
si tratti di superare i molti «impedimenti» processuali che continuano a
frapporsi all’effettiva tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche a
rilevanza collettiva.
*) Testo della Relazione al Convegno «La conciliazione collettiva» (Università degli studi di
Milano, 26 settembre 2008).
[1]) In proposito v., soprattutto, Taruffo, Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi, in Aa.Vv., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L.
Lanfranchi, Torino, 2003, 53 ss.; Id., La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a
confronto, in Aa.Vv., Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti applicativi, a cura
di Belli, Milano, 2007, 13 ss.; Chiarloni, Per la chiarezza delle idee in tema di tutele collettive
dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 567 ss.; Giussani, voce Azione collettiva,
in Enc. dir., Annali I, Milano, 2007, 132 ss.; Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi, Napoli, 2008, 222 ss.; cfr. anche, sulla questione terminologica e per ulteriori
riferimenti, Gidi, Class Actions in Brazil: A Model for Civil Law Countries, in American
Journal of Comparative Law, 2003, 334 ss.; Koch, Die Verbandsklage in Europa, in
113 Z.Z.P., 2000, 413 ss.; Id., Prozessführung bei complexen Verfahren in Europa, in The
Coming Together of Procedural Laws in Europe, a cura di M. Storme, Antwerpen-Apeldoorn,
2003, 373 ss.; in argomento v. anche il testo classico di M. Olson, The Logic of Collective
Action. The Public Goods and the Theory of Groups, Cambridge 1965, 9 ss. (trad. it., Logica
dell’azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi, Milano 1983), dove – in relazione
alla teoria delle organizzazioni – si ritrova la definizione di azione collettiva come
cooperazione di un gruppo di attori al fine di conseguire scopi comuni.
[2]) In argomento, Lanfranchi, Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in
Aa. Vv., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi,
Torino, 2003, XIX ss.; da ultimo, diffusamente Donzelli, La tutela, cit., spec. 397 ss.; rinvio
anche al mio Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, in Aa.Vv., La
tutela giurisdizionale, cit., 79 ss.
L’art. 11 della Ley de Enjuiciamiento Civil spagnola, introdotta nel 2000, distingue
fra intereses colectivos e intereses difusos dei consumatori e utenti. I primi sarebbero quelli
che afferiscono ad un numero di soggetti individuali determinati o facilmente determinabili, i
secondi, invece, quelli che afferiscono ad un numero di soggetti individuali indeterminati o
non facilmente determinabili. La diversa natura della situazione da tutelare incide anche sulla
legittimazione ad esercitare l’azione collettiva: nel caso degli intereses colectivos la
legittimazione viene riconosciuta alle associazioni dei consumatori o utenti o ai membri del
gruppo che rappresentino la maggioranza degli appartenenti al gruppo stesso (art. 11.2 LEC);
invece, nel caso degli intereses difusos la legittimazione spetta soltanto alle associazioni dei
consumatori o utenti individuate dalla legge. La La Ley organica n. 3 del 2007
sull’uguaglianza fra uomini e donne ha introdotto nella LEC – sempre a proposito della
legittimazione ad agire nell’ambito della tutela collettiva – l’art. 11 bis, il quale prevede che,
insieme all’interessato e sempre su sua autorizzazione, sono legittimati ad agire a tutela del
diritto al paritario trattamento fra uomini e donne – rispettivamente a favore dei propri affiliati
e associati - i sindacati e le associazioni legalmente costituite la cui finalità primaria sia la
difesa della parità fra uomini e donne. Lo stesso art. 11 bis, al 2° co., aggiunge che, quando
gli interessati siano una pluralità di persone indeterminata o di difficile determinazione, la
legittimazione per la tutela in giudizio di questi «interessi diffusi» spetterà esclusivamente agli
organismi pubblici con competenza in materia, ai sindacati maggiormente rappresentativi e
alle associazioni di rilevanza statale il cui fine primario sia la difesa del paritario trattamento
fra uomini e donne, ma questo «sin perjuicio, si los afectados estuvieran determinados, de su
propia legitimación procesal». Gonzalez Cano, La tutela colectiva de consumidores y
usuarios en el proceso civil, Valencia, 2002, 10 ss.; Di Salvo, Le azioni collettive in Spagna
alla luce della riforma processuale del 2000, in Annali del seminario giuridico, VII, Milano,
2007, 151 ss.
[3]) Così Alpa, voce Interessi diffusi, in Dig. civ., IX, Torino, 1993, 609 ss., 610. In argomento
v., ora, in maniera approfondita Donzelli, La tutela giurisdizionale, cit., 162 ss., 273 ss. e 302
ss.; v. anche, di recente, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7036, in Corr. giur. 2006, 785 ss.,
con nota di Di Majo.
[4]) Ed infatti, gli elementi costitutivi delle c.d. obbligazioni soggettivamente complesse
vengono identificati, dalla dottrina civilistica, nell’esistenza di una pluralità di soggetti dal lato
passivo e/o attivo, nell’unicità della prestazione per tutti i creditori o debitori (eadem res
debita), nell’unicità della fonte dell’obbligazione (eadem causa obligandi): così, in
particolare, Busnelli, L’obbligazione soggettivamente complessa. Profili sistematici, Milano,
1974, 5 ss. e 21 ss.; Id., voce Obbligazioni soggettivamente complesse, in Enc. dir., XXIX,
Milano, 1979, 329 ss.; Id., voce Obbligazione: IV) Obbligazioni divisibili, indivisibili e
solidali, in Enc. Giur. Treccani, XXI, 1990, 1 ss.; Di Majo, voce Obbligazioni solidali (e
indivisibili), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 298 ss.
[5]) Per l’accostamento delle ipotesi indicate nel testo alla fattispecie della tutela
giurisdizionale di situazione giuridiche superindividuali o comunque collettive v., in
particolare, Carpi, Cenni sulla tutela degli interessi collettivi, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1974, 544 ss.; Id., Intervento, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, (Atti del Convegno
di studio, Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, 306 s.; Id.,L’efficacia ultra partes della
sentenza civile, Milano, 1974, 34 ss.; Proto Pisani, Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi
di efficacia della sentenza civile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, in Riv. trim.
dir. e proc. civ., 1971, 1216 ss., spec. 1245 ss.; Id., Appunti preliminari per uno studio sulla
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi (o più esattamente: superindividuali) innanzi al
giudice ordinario, in Le azioni, cit., 263 ss., 278 ss. e 284 ss. (anche in Dir. e giur., 1974, 801
ss.); Costantino, Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al
giudice civile, in Le azioni, cit., 223 ss. (anche in Dir. giur., 1974, 817 ss.).
[6]) Significativa, in proposito, la conclusione alla quale perviene Corte giustizia Ce, 1°
ottobre 2002, C 167/00, Verein für Konsumenteninformation c. Henkel, in Foro it., 2002, IV,
501 ss., con nota di Palmieri,L’inibitoria di clausole abusive oltre i confini nazionali.
[7]) In proposito v. anche Pellegrini Grinover, New Trends in Standing and Res Judicata in
Collective Suits, in Direito processual comparado. XIII World Congress of Procedural Law, a
cura di A. Pellegrini Grinover e P. Calmon, Brasilia, 2007, 319 ss.; Aa.Vv., Class Actions:
comparative study (Journée d’études du 27 jan 2006), Paris, 2006; Hodges, Multi-Party
Actions: An European Approach, in 11 Duke Journal of Comparative & International Law,
2001, 332 ss.; Koch, Die Verbandsklage in Europa, cit., 413 ss.
[8]) COM(2008) 165 def. Il Libro bianco, facendo seguito al Libro verde del 2005, ad una
consultazione pubblica ed al voto espresso nel 2007 dal Parlamento europeo, ha portato ad una
consultazione pubblica (chiusasi il 15 luglio 2008), dalla quale dipenderà un’eventuale
legislazione comunitaria.
[9]) Lo stesso Libro bianco aggiunge che tali soggetti: (i) vengono designati ufficialmente in
anticipo, oppure (ii) sono abilitati ad hoc da uno Stato membro, in relazione ad una particolare
violazione delle norme antitrust, per intentare un'azione a nome di alcuni o di tutti i propri
membri.
[10]) Così Giuliani, Giustizia ed ordine economico, Milano, 1997, 174. Per una valutazione
sostanzialmente identica sul versante processual-civilistico, v. Denti, Relazione introduttiva,
in Le azioni, cit., 18; Lanfranchi, Costi sociali della crisi della giustizia civile e
degiurisdizionalizzazione neoliberista, in Giur. it., 1996, IV, 165 ss.
[11]) V. Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, in Foro it., 1978, I, 1090 ss., con nota di
Barone e in Giust. civ., 1978, 1208 ss., con nota di Postiglione, con la quale venne annullata la
precedente sentenza del Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, in Foro it., 1974, III, 33 ss.,
con nota di Romano e Zanuttigh, il quale aveva giudicato ammissibile l'azione intentata
dall'associazione riconosciuta «Italia nostra» a tutela di un «interesse pubblico diffuso» volto
alla salvaguardia di bellezze naturali (nel caso di specie, appunto, il lago di Tovel).
[12]) Cons. Stato, ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro it., 1980, III, 1 ss., con nota di
Romano, e in Foro amm., 1979, I, 2417 ss., con nota di Biagini, e in Le Regioni, 1980, 733 ss.,
con nota di Berti.
[13]) D’altra parte, nelle diverse occasioni nelle quali è stata sollecitata ad intervenire sulla
legittimità costituzionale di questa scelta operata con riferimento all’art. 28 st. lav., la Corte
costituzionale – rinvenendo alla base della procedura speciale ex art. 28 st. lav. l’esigenza di
tutela dei principi costituzionali sulla libertà sindacale nelle ipotesi di violazione delle norme
ordinarie di attuazione di detti principi - ha giustificato la scelta operata dal legislatore
ordinario nell’attribuzione della legittimazione ad agire in capo alla associazioni sindacali
nazionali non nell’ottica della titolarità dell’interesse tutelato da parte di dette associazioni, ma
nell’ottica della maggiore rappresentatività nel campo del lavoro di queste associazioni, che le
renderebbe idonee a tutelare nel modo più opportuno gli interessi collettivi della categoria,
ammettendo – implicitamente – che detta legittimazione ad agire sia comunque riconducibile
ad una legittimazione di natura non ordinaria. In proposito v., anzitutto, Corte cost., 6 marzo
1974, n. 54, in Foro it., 1974, I, 963 ss., con nota di Pera; successivamente, sostanzialmente
sulle stesse posizioni Corte cost., 24 marzo 1988, n. 334, ivi, 1988, I, 1774 ss., con nota di
Greco, Sindacato confederale e sindacato di mestiere: verso una diversificazione dei modelli
di rappresentanza; Corte cost., 21 luglio 1988, n. 860, ivi, 1989, I, 623 ss.; Corte cost. 26
gennaio 1990, n. 30, ivi, 1992, I, 30 ss.; Corte cost., 17 marzo 1995, n. 89, ivi, 1995, I, 1735
ss., con nota di Cerri, Una risposta disattenta della Corte sul requisito del carattere nazionale
del sindacato per la legittimazione al ricorso ai sensi dell’art. 28 del c.d. «statuto dei
lavoratori»?
[14]) Betti, Teoria generale del negozio giuridico (1960), ristampa, a cura di G. Crifò, Napoli,
1994, 221; in termini non dissimili, Allorio, Per la chiarezza delle idee in tema di
legittimazione ad agire, in Id.,Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 195 ss.; Carnelutti, Teoria
generale del diritto, Roma, 1951, 182 ss.; in tempi più recenti Rescigno, voce Legittimazione,
in Dig. civ., X, Torino, 1993, 518 ss.; Di Majo, voceLegittimazione negli atti giuridici, in Enc.
dir., XXIV, Milano, 1974, 52 ss.; Costantino, voce Legittimazione ad agire (dir. proc. civ.),
in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, 1 ss.; Palermo, voceLegittimazione, ivi, XVIII,
Roma, 1996, dove anche altri riferimenti. Per la dottrina tedesca v. J. Blomeyer, Die
unterscheidung von Zulässigkeit und Begründetheit bei der Klage und beim Antrag auf
Anordnung eines Arrestes oder einer einstweiligen Verfügung, in Z.Z.P., 1968, 24 ss., spec. 32
ss.; K. Hellwig, Klagerecht und Klagemöglichkeit, Leipzig, 1905, 53 ss.; Id., Ansrpuch und
Klagerecht, Leipzig, 1924, 480.
[15]) Osservava Satta, Commentario del c.p.c., I, Milano, 1966, 355, che «gli autori, quando
vogliono trovare un caso di legittimazione distinto dall’esistenza del diritto sono costretti a
formulare risibili ipotesi, come quella di chi agisca per un rapporto dichiaratamente altrui».
[16]) Nel senso che la legittimazione ad agire vada correlata all’ambito di manifestazione degli
effetti del provvedimento richiesto v., nella dottrina tedesca, W. Lux, Die Notwendigkeit der
Streitgenossenschaft, München, 1906, 30 ss.; nella nostra dottrina, Redenti, Il giudizio civile
con pluralità di parti, Milano, 1936, 252 ss.; Segni, L’intervento adesivo, Roma, 1919, 152
ss.; Andrioli, La legittimazione ad agire, in Riv. it. sc. giur., 1935, 273 ss.; Costantino,
voce Legittimazione ad agire, cit., 5, dove anche altre indicazioni.
[17]) Invece, nel senso che la certification del giudice porti ad una sorta di entificazione della
classe ed il class representative agisca come «rappresentante paraorganico» della stessa classe
v. Consolo, Class actions fuori dagli USA?, in Riv. dir. civ., 1993, I, 609 ss.; CappalliConsolo, Class actions for continental Europe?, in 6 Temple Int’l and Comp. L J., 213 (1992).
[18]) Cappelletti, The Judicial Process in Comparative Perspective, Oxford, 1989, 279
ss.; Taruffo, Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Aa.Vv., La tutela,
cit., 53 ss.; Id., La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Aa.Vv., Le
azioni, cit., 13 ss.; Marotzke, Von der schutzgesetzlichen Unterlassungsklage zur
Verbandsklage, Tübingen, 1992, 81 ss.; Giussani,Studi sulle class actions, Padova, 1996, 349
ss.; Costantino, Note sulle tecniche di tutela collettiva (disegni di legge sulla tutela del
risparmio e dei risparmiatori), in Riv. dir. proc., 2004, 1009 ss.; Chiarloni,Appunti sulle
tecniche di tutela collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 385 ss.;
Mulheron, Some difficulties with group litigation and why a class action is superior, 24 Civil
Justice Q, 40 (2005); Donzelli, La tutela giurisdizionale, cit., 185 ss.
[19]) In proposito, anche per le indicazioni, v. Marengo, Garanzie processuali e tutela dei
consumatori, Torino, 2007, 83 ss. Una diversa soluzione si rinviene, invece, nel caso dell’ação
colectiva brasiliana, dove la legittimazione dei singoli appartenenti alla classe viene esclusa
per essere attribuita al Pubblico ministero, allo Stato federale e alle amministrazioni locali,
agli enti e organi della pubblica amministrazione, alle associazioni dei consumatori costituite
da almeno un anno (art. 82 Código brasileiro do consumidor). In proposito v. Pellegrini
Grinover, Mandado de seguranca collettivo: legittimazione, oggetto e cosa giudicata, in Studi
in onore di V. Denti, III, Padova, 1994, 391 ss.; Gidi, Class action in Brazil, cit., 363 ss.;
Marengo, Garanzie processuali, cit., 95 ss. La soluzione brasiliana si è, poi, diffusa nell’area
ibero-americana (come, ad es., in Perù, Uruguay, Costa Rica): per informazioni v. Pellegrini
Grinover, Le azioni collettive ibero-americane: nuove questioni sulla legittimazione e la cosa
giudicata, in Riv. dir. proc., 2002, 10 ss.
[20]) Sulla possibilità di introdurre anche nel nostro sistema forme di tutela assimilabili a
quelle delle class actions americane v., in particolare, Denti, Relazione introduttiva, cit., 20
ss.; Giussani, Le «mass tort class actions» negli Stati Uniti, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 331
ss.; Id., Un libro sulla storia della class action, in Riv. crit. dir. priv., 1989, 171 ss.; Id., Studi
sulle class actions, cit., 350 ss.; Consolo, Class action fuori dagli USA?, cit., 609 ss.;
Gambaro, Danno ambientale e tutela degli interessi diffusi (una rivisitazione critica del tema
delle class actions ed uno studio comparativo delle esperienze occidentali degli anni ’90), in
AA.VV., Per una riforma della responsabilità civile per danno all’ambiente, a cura di
Trimarchi, Milano, 1994, 43 ss.; Rescigno, Sulla compatibilità tra il modello processuale delle
class action ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000,
2224 ss. Per la discussione sull’identico problema in altri ordinamenti europei v., in generale,
Hopt-Baetge, Rechtsvergleichung und Reform des deutschen Rechts – Verbandsklage und
Gruppenklage, in Basedow-Hopt-Kötz-Baetge, Die Bündelung gleichgerichteter Interessen im
Prozess, Tübingen, 1999, 11 ss., spec. 23 ss.; Taruffo, Some remarks on group litigation in
comparative perspective?,. in 11 Duke J. Comp. Int’l Law, 2001, 405 ss.; per il sistema
svedese, Nordh, Group actions in Sweden: reflections on the purpose of civil litigation, the
need for reforms and a forthcoming proposal, in 11 Duke J. Comp & Int’l L., 381 (2001);
Stengel-Hakeman, Gruppenklage – Ein neues Institut im schwedischen Zivilverfahrensrecht,
in RIW, 2004, 221; per quello tedesco, Koch, (Non-Class) Group litigation under EU and
German Law, in 11 Duke J. Comp. Int’l L., 355 (2001); Eichholtz, Die US-amerikanische
Class Action und ihre deutschen Funktionsäquivalente, Tübingen, 2002, spec. 225 ss., dove
anche altre indicazioni; per quello austriaco, Eccher, Sulla legge austriaca per la tutela dei
consumatori, in Riv. dir. civ., 1980, I, 275 ss.; Kodek, Massenverfahren – Reformbedarf für
die ZPO, in AnwBl, 72 (2006); Stadler-Mom, Tu felix Austria? – Neue Entwicklungen im
kollektiven Rechtsschutz im Zivilprozess in Österreich, in RIW, 199 (2006). Invece,
sull’evoluzione del medesimo confronto con riferimento ai Paesi latino-americani v. Pellegrini
Grinover, Le azioni collettive ibero-americane, cit., 10 ss.; Marengo, Garanzie processuali,
cit., 100 ss., dove anche le opportune indicazioni bibliografiche.
[21]) In proposito v. Taruffo, Modelli di tutela, cit., 53 ss.; Walter, Mass Tort Litigation In
Germany and Switzerland, in 11 Duke J. Comp. Int’l L., 369 (2001); Koch, Die
Verbandsklage in Europa, cit., 413 ss.; Id., Prozessführung bei complexen Verfahren in
Europa, in Aa. Vv., The Coming Together of Procedural Laws in Europe, a cura di M.
Storme, Antwerp 2003, 373 ss.; Id., Die Verbandsklage im Umweltrecht, in NVwZ, 2007, 370.
[22]) Corte cost., 22 marzo 1971, n. 55, in Foro it. 1971, I, 824 ss.; v. anche Corte cost., ord.,
5 febbraio 1999, n. 18, in Giur. cost., 1999, 152 ss.; Corte cost., 23 maggio 1997, n. 146,
in Cass. pen., 1997, 2662 ss.
[23]) In proposito, v. J.C. Coffee, Understanding the Plaintiff's’Attorney: the Implication of
Economic Theory for Private Eenforcement of Law through Class and Derivative Actions, in
86 Columbia Law Review, 682 (1986); Amatucci, L’azione collettiva nei mercati finanziari
come strumento di governo societario (divagazioni in tema di trasparenza obbligatoria e di
effettività dell’art. 2395 c.c.), in Riv. soc., 2005, 1348 ss.; Basedow (a cura di), Private
Enforcement of EC Competition Law, Kluwer, 2007; Carpagnano, Prove tecniche di private
enforcement del diritto comunitario della concorrenza, in Danno e resp., 2007, 23 ss.
[24]) In proposito v., per tutti, M. Stürner, Model Case Proceedings in the Capital Markets –
Tentative Steps Towards Group Litigation in Germany, in Civil Justice Quarterly 26 (2007),
250 ss.; Consolo-Rizzardo, Class actions «fuori dagli Usa»: qualcosa si muove anche alle
nostre (ex-) frontiere settentrionali almeno quanto al case management., in Int’l Lis, 2006, 38;
Stadler, Das neue Gesetz über Musterfeststellungsverfahren im deutschen
Kapitalanlergerschutz, in Festschrift für Rechberger, New York, 2005, 663; Lüke, Der
Musterentscheid nach dem neuen Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz:
Entscheidungsmuster bei gleichgerichteten Interessen? in ZZP 119 (2006), 131;
Gebauer, Zur Bindungswirkung des Musterentscheids nach dem KapitalanlegerMusterverfahrensgesetz (KapMuG), in ZZP 119 (2006), 159; Poncibò, La controriforma
delle class actions, in Danno e resp., 2006, 124 ss.; Caponi, Strumenti di tutela collettiva nel
processo civile: l’esempio tedesco, in AA.VV., Le azioni collettive in Italia, cit., 55 ss.
[25]) Un meccanismo molto simile, peraltro, è stato elaborato a livello giurisprudenziale in
Austria, dove si rinviene sia il «processo modello» (Musterklage) introdotto da una delle parti
tradizionali, sia il «processo modello» introdotto da un ente qualificato fra quelli indicati dalla
par. 29 del Konsumentenschutzgesetz – KSchG (Verbands-Musterklage). V., in proposito,
Kodek, Massenverfahren – Reformbedarf für die ZPO, cit., 72 ss.; Stadler-Mom, Tu felix
Austria? – Neue Entwicklungen im kollektiven Rechtsschutz im Zivilprozess in Österreich, cit.,
199 ss.; Rechberger, Verbandsklagen, Musterprozess und “Sammelklagen”, in Festschrift
Welser, 871 ss., 888.
[26]) La disciplina inglese dei group litigation orders – come noto – è stata introdotta nel 2000
dal The civil procedure (amendment) rules 2000. Su questa riforma v., in particolare, ConsoloRizzardo, Due modi di mettere le azioni collettive alla prova: Inghilterra e Germania, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2006, 894 ss.; Andrews, Multi-Party proceedings in England:
representative and group actions, inDuke Journ. Comp. Int. Law, 249 (2001);
Marengo, Garanzie processuali, cit., 74 ss.
[27]) Le nuove disposizioni diventeranno efficaci solo dopo che sia decorso un anno dalla data
di entrata in vigore della legge n. 244/2007, e dunque il 1° gennaio 2009. Come noto, lo
«slittamento» dell’entrata in vigore (originariamente prevista per il 30 giugno 2008) si è avuta
per effetto dell’art. 36 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e ciò «anche al fine di individuare e
coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica, nei
confronti delle pubbliche amministrazioni». In argomento rinvio, anche per le indicazioni
bibliografiche, a Carratta, Azione collettiva risarcitoria e restitutoria: presupposti ed effetti,
in Riv. dir. proc., 2008, 722 ss., mentre per una panoramica e un’analisi dei progetti di legge
presentati nel corso della XIV legislatura v. Id., Dall’azione collettiva inibitoria a tutela di
consumatori e utenti all’azione collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in
discussione, in Giur. it. 2005, 662 ss.
[28]) L’individuazione della rilevanza dell’interesse anche del singolo appartenente alla
categoria dei c.d. interessi collettivi e diffusi, emersa già in relazione all’art. 28 st. lav., si
colora di nuove e più interessanti prospettive soprattutto in relazione alla nuova disciplina in
materia di tutela di consumatori ed utenti: v., anche per le opportune indicazioni, Donzelli, La
tutela, cit., 785 ss. Per l’identico problema nel dibattito dottrinale tedesco, v.
Basedow, Kollektiver Rechtsschutz und individuelle Rechte, in Arch. civ. Praxis, 1982, 335 ss.,
spec. 345 ss.; Greger, Verbandsklage und Prozessrechtsdogmatik – Neue Entwicklungen in
einer schwierigen Beziehung, in Z.Z.P., 2000, 399 ss.; Koch, Die Verbandsklage, cit., 413 ss.;
Eichholtz, Die US-amerikanische Class Action, cit., 228 ss.
[29]) In proposito rinvio al mio Profili processuali, cit., 116 ss.; v. anche Cons. Stato, ad. pl.,
11 gennaio 2007, n. 2, in Foro it., 2007, III, 113 ss..
[30]) Per le opportune indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali rinvio ancora al
mio Profili processuali, cit., 129, in nota 103. Adde C. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n.
5760, Giur. amm., 2006, I, 1419 ss.; T.a.r. Puglia, sez. Lecce, 5 aprile 2005, n. 1847, in Giur.
it., 2006, 408 ss.; T.a.r. Liguria, 18 marzo 2004, n. 267, in Riv. giur. ed., 2004, I, 1444 ss.
[31]) In generale sui criteri seguiti dalla giurisprudenza di merito per individuare il
presupposto della «rappresentatività» nelle associazioni che agiscono ai sensi dell’art.
1469 sexies c.c. rinvio al mio Profili processuali, cit., 129 ss.
[32]) Nello
stesso senso S. Menchini, La nuova azione collettiva risarcitoria e
restitutoria, in www.judicium.it, § 2; G. Costantino, La tutela collettiva risarcitoria: nota
a prima lettura dell’art. 140 «bis» cod. consumo, in Foro it. 2008, V, 17 ss.; S.
Chiarloni, Il nuovo art. 140 bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?,
in Giur. it. 2008, 1842 ss.; M. Bove, Azione collettiva: una soluzione all’italiana lontana
dalle esperienze europee più mature, in Guida dir. 2008, n. 4, 11 s.; G.
Ruffini, Legittimazione ad agire, adesione ed intervento nella nuova normativa sulle azioni
collettive risarcitorie e restitutorie di cui all’art. 140 bis del codice del consumo, in Riv. dir.
proc. 2008, 713 ss.; A. Briguglio, L’azione collettiva risarcitoria, Torino 2008, 14 s.;
P. Buzzelli, in C. Consolo, M. Bona e P. Buzzelli, Obiettivo class action: l’azione
collettiva risarcitoria, Milano 2008, 86 ss.; R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato».
L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2008;
A. D. De Santis, L’azione risarcitoria collettiva, in Aa.Vv., “Class action” e tutela
collettiva dei consumatori, a cura di G. Chinè e G. Miccolis, Roma 2008, 124 ss.; D.
Amadei, L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei,
inwww.judicium.it.; R. Donzelli, op. cit., 851 ss.; A. Palmieri, Campo di applicazione,
legittimazione ad agire e vaglio di ammissibilità, in Foro it. 2008, V, 189 s.; V. Vigoriti,
Class action e azione collettiva risarcitoria. La legittimazione ad agire ed altro, in Contr. e
impr. 2008, 748 ss., il quale parla di «un’apertura rinfrescante, che merita valorizzazione
perché di rottura con l’impostazione burocratica».
[33]) Come noto, ai fini del rilascio della certification occorre dimostrare – oltre al profilo
della typicality e adequacy of representation - la sussistenza
della numerosity (coinvolgimento di un numero di parti tale da rendere non conveniente il
ricorso ad altre forme di aggregazione) e della commonality (presenza di una o più questioni
di fatto o di diritto che coinvolgano tutti i componenti della classe),.Solo dopo che è stata
accertata la ricorrenza di tali requisiti, la Corte verifica la riconducibilità dell’azione proposta
ad una delle categorie di class action indicate dalla subdivision (b) della Rule 23.
[34]) V. J.C. Coffee Jr., Class Action Accountability: Reconciling Exit, Voice, and Loyalty in
Representative Litigation, in 100 Colum. L. Rev., 370 (2000); sullo scarso ricorso a tale
rimedio v. anche Th.Eisenberg e G.P. Miller, The Role of Opt-Outs and Objectors in Class
Action Litigation: Theoretical and Empirical Issues, in 57 Vanderbilt Law Review, 1529
(2004).
[35]) Con la conseguenza che eventuali processi singoli pendenti o comunque iniziati prima
che sia intervenuta la decisione sulla questione comune sono sospesi dal giudice di fronte al
quale essi pendono e il provvedimento di sospensione ha anche l’effetto di chiamata in
giudizio di fronte al giudice competente per il Musterverfahren (la Corte di appello) delle parti
del giudizio individuale, che, dunque, non possono autoescludersi e diventano
automaticamente parti anche del «processo modello».
[36]) E’ stato escluso, invece, il ricorso all’opt-out da parte dei singoli aderenti al gruppo, ma
probabilmente perché una simile soluzione imporrebbe la preliminare determinazione da parte
del giudice del gruppo e degli appartenenti ad esso e dunque una ulteriore complicazione
processuale. Peraltro, una previsione come questa non sembra contrastare con alcun principio
di rilevanza costituzionale (così, invece, Rescigno,Sulla compatibilità, cit., 2228), purché sia
accompagnata dalla predisposizione di adeguati strumenti di tutela a favore dei terzi ai quali il
giudicato si estende. Vale a dire sia della possibilità per i terzi di sottrarsi agli effetti del
giudicato mediante l’opting out, sia della adeguata pubblicizzazione dell’esercizio dell’azione
collettiva. In proposito v. anche Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile,
Bologna 2008, 168 ss.; Vigoriti, Impossibile la class action in Italia? Attualità del pensiero di
Mauro Cappelletti, in Resp. civ. e prev. 2006, 38 ss.
[37]) Ma, evidentemente, anche al convenuto, per consentire la produzione dell’effetto
interruttivo della prescrizione di cui all’art. 2945 c.c.
[38]) Così Consolo, È legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la
via svedese dello “opt-in” anziché quella danese dello “opt-out” e il filtro (“L’inutil
precauzione”), in Corr.giur. 2008, 5 ss., 6; Id., in Consolo-Bona-Buzzelli, Obiettivo class
action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano, 2008, 186 ss.; Menchini, op. cit., § 2;
Caponi, op. ult. cit., § 3.
[39]) In questo senso, Costantino, op. cit., § 5; Ruffini, op. cit., § 2; De Santis, op. cit., 236 s.;
Bove, op. cit., 11 s.
[40])
Rinvio, in proposito, a A. Carratta, L’azione collettiva, cit., 723 ss.; Id., Effetti
del giudicato e tutela collettiva, in Aa. Vv., Le azioni collettive, cit., 100 ss., dove altre
indicazioni; adde, nello stesso senso, C. Consolo, L’art. 140 bis: nuovo congegno dai
chiari contorni funzionali seppur, processualcivilisticamente, un po’ «Opera aperta», in Foro
it. 2008, V, 205 ss.; S. Chiarloni, Il nuovo art. 140 bis, cit., 1844 ss.; M.
Bove, L’oggetto del processo «collettivo» dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria (art.
140 e 140 bis cod. consumo)», in www.judicium.it, § 4; R. Caponi, Oggetto del processo e
del giudicato «ad assetto variabile», in Foro it. 2008, V, 200 ss.; diversamente
orientato D. Dalfino, Oggetto del processo e del giudicato (e altri profili connessi), ibidem,
192 ss., per il quale l’oggetto dell’azione collettiva risarcitoria sarebbero gli
interessi collettivi dei consumatori.
[41]) Consolo, op. cit., 6; Id., in Consolo-Bona-Buzzelli, Obiettivo class action: l’azione
collettiva risarcitoria, Milano, 2008, 186 ss.
[42]) Ed in effetti è questa la conclusione alla quale sembra pervenire Caponi, op. cit., § 6 ss.;
comunque, nel senso che l’aderente diventi una parte solo in senso sostanziale, Menchini, op.
cit., § 4; Consolo, in Consolo-Bona-Buzzelli, op. cit., 185, 204; nel senso, poi, che
l’aderente diventi anche parte in senso processuale A. Giussani, L’azione collettiva
risarcitoria nell’art. 140 bis cod. cons., in Studi in onore di M. Acone, in corso di
pubblicazione, § 6, e questo in conseguenza della qualificazione dell’adesione
come atto processuale, qualificazione che mi pare si debba escludere proprio
alla luce delle considerazioni svolte nel testo.
[43]) Nel senso del testo anche Chiarloni, Il nuovo art. 140 bis, cit., 1846; v. anche
Caponi, op. cit., § 6.
[44]) Per la medesima conclusione Menchini, op. cit., § 4; C.
Consolo, E’ legge, cit., 6; Id.,
in C. Consolo, M. Bona e P. Buzzelli, Obiettivo, cit., 162 s.; invece, nel senso della
natura decisoria e definitiva dell’ordinanza, e dunque della sua ricorribilità per
cassazione ex art. 111, comma 7°, Cost., Costantino, op. cit., § 4; De Santis, op. cit., 251;
Vigoriti, op. cit., 751.
[45]) Osserva Menchini, op. cit., § 4 che «l’ordinanza non ha la stabilità del giudicato e non
produce l’efficacia preclusiva del dedotto e del deducibile».
[46]) Secondo alcuni, tuttavia, un appiglio per far rientrare anche la valutazione di «adeguata
rappresentatività» nel «filtro» di ammissibilità potrebbe individuarsi nella valutazione di
«esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi del presente
articolo»: così Menchini, op. cit., § 2; Ruffini, op. cit., § 1; Briguglio, op. cit., § 1. In realtà, il
riferimento del legislatore sembra essere orientato al profilo sostanziale e plurioffensivo della
situazione giuridica dedotta in giudizio e non al profilo della valutazione di sussistenza
dell’interesse legittimante in capo all’attore.
[47]) Nel
senso del testo anche C. Consolo, in C. Consolo, M. Bona e P.
Buzzelli, Obiettivo, cit., 166 ss., per il quale l’azione risarcitoria, configurandosi
come azione di classe, sia pure in nuce, induce a ritenere l’unicità del giudizio; in
senso opposto Menchini, op. cit., § 3. Invece, esclude la riproponibilità dell’azione da parte dei
co-legittimati Caponi, op. cit., § 24, ma dando rilevanza al comma 5° dell’art. 140bis laddove
fa salva l’azione individuale dei consumatori e utenti che non abbiano aderito all’azione
collettiva proposta. In realtà, l’argomento non pare decisivo nel senso di escludere la
riproposizione della medesima azione collettiva ad opera di altri co-legittimati, in quanto nel
caso di specie il legislatore si limita ad estendere all’azione collettiva risarcitoria quanto già
previsto per quella inibitoria dal comma 9° dell’art. 140 cod. consumo.
[48]) Chiarloni, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv.
dir. proc. 2007, 567 ss.; v. anche Menchini, op. cit., § 3; Donzelli, op. cit., 882;
Giussani, op. ult. cit., § 12.
[49]) Per simili rilievi v. Cassese, Interessi di massa, in Corriere della sera, 26 febbraio 2004,
1; Id., Gli interessi diffusi e la loro tutela, in La tutela giurisdizionale, cit., 569 s.
[50]) Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento
metodologico, in Quad. fiorentini, n. 32, 2003, 25 ss., spec. 49. V. anche, nella prospettiva di
superare la tradizionale impostazione del codice di rito civile, con riferimento a specifici
profili, Andrioli, Un po’ di «Materiellesjustizrecht», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 959
ss.; Id., Giustizia civile e inquinamento atmosferico, in Ecologia e disciplina del territorio
(Convegno di Pontremoli, 29-31 maggio 1975), Milano, 1976, 51 ss.; Greger, Verbandsklage
und Prozessrechtsdogmatik, cit., 399 ss.