Numero 66 febbraio 2006

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Numero 66 febbraio 2006
Rivista trimestrale della Società nazionale
degli operatori della prevenzione
Editore: Snop - Società nazionale operatori
della prevenzione - Via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milano
www.snop.it
Numero 66 febbraio 2006
Le foto che illustrano questo numero sono state realizzate
dall’Osservatorio sicurezza grandi opere.
Per gentile concessione della Asl 10 di Firenze.
Direttore responsabile: Claudio Venturelli
Direttore: Alberto Baldasseroni
Direttore editoriale: Eva Benelli
Comitato scientifico di redazione:
Alberto Baldasseroni, Maria Elisa Damiani, Sara Franchi,
Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca Pietrantoni,
Luigi Salizzato, Domenico Taddeo, Claudio Venturelli,
Luciano Venturi
Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna,
Anna Maria Zaccheddu
Editoriale
Vent’anni (circa) di una rivista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Alberto Baldasseroni
Vent’anni di prevenzione
Stringiam’ci a coorte (ma superiamo la corte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Domenico Taddeo
Noi, knowledge workers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Leopoldo Magelli
La vera scommessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Leopoldo Magelli
A quando un’Agenzia della prevenzione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Emilio Volturo
Pensare globalmente, agire localmente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Luigi Salizzato
Cara Snop, ti scrivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Graziano Frigeri
Grafica e impaginazione: Corinna Guercini
Copertina: Bruno Antonini
Trent’anni dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Claudio Calabresi
Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma
tel. 068175644 e-mail: [email protected]
Una storia come tante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Lalla Bodini
Stampa: Tipografia Graffiti srl - Pavona (Roma)
Il buratto grosso
Abbonamento annuale per 4 numeri: 26,00 euro
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Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989).
Finito di stampare nel mese di febbraio 2006
Sacrificio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
Giorgio Ferigo
Dossier: Salute e lavoro
Rischio amianto: esposizioni di ieri, esposizioni di oggi . . . . . . . . . . . . 18
Stefano Silvestri
Amianto a bordo: e la nave va… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
Lorenzo Papa, Giorgio Sampaoli
Un rischio vecchio con un nome nuovo: mobbing . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
Roberta Stopponi
Le mani nel cemento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Alessandro Carella, Giorgio Papa
Conosci tu il Paese dove non si fuma (a tavola?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Giacomo Mangiaracina
Interventi efficaci per una comunità libera dal fumo . . . . . . . . . . . . . . . 39
Francesca Righi, Mauro Palazzi, Giampiero Battistini
Focus on
La sicurezza a scuola: reale o immaginaria? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
Mimmo Didonna
Editoriale
Vent’anni
(circa)
di una rivista
Alberto Baldasseroni
uesto numero della
rivista giunge a
(circa) vent’anni
dal primo, pionieristico
fascicolo che vide la luce a
metà degli anni Ottanta.
L’occasione non è canonica.
Si festeggiano infatti il
Giubileo, i cinquant’anni, il
centenario, mentre noi
abbiamo voluto richiamare
adesso l’attenzione dei
nostri lettori, molti dei
quali nuovi della rivista.
Vent’anni dunque, anno
più anno meno, è l’arco di
tempo durante il quale il
bollettino Snop ha fatto
sentire la sua opinione sui
temi della prevenzione primaria in sanità. Poco o
tanto che possa essere considerato, si tratta comunque di un periodo importante, durante il quale sono
accaduti molti avvenimenti
e molti processi relativi
alla salute umana sono
evoluti, cambiando di fatto
Q
prospettive e scenari nei
quali via via ci siamo trovati a operare.
Per parlare di questo, in
particolare delle prospettive che ci troviamo di fronte, abbiamo pensato di
ospitare in un’intera sezione i contributi dei past president della nostra associazione: coloro i quali hanno
guidato e, in misura non
trascurabile, orientato le
principali scelte di politica
sanitaria che la nostra
associazione ha assunto nel
corso del tempo. L’invito è
stato accolto da tutti con
favore e con espressioni di
apprezzamento, saremmo
tentati di dire di affetto, sia
per il bollettino, sia per l’associazione.
A completamento di una
fase di transizione già
annunciata nei precedenti
numeri, la rivista si presenta in una nuova veste grafica ed editoriale, affidata
La nostra rivista cresce e si rinnova:
nel 2006 usciranno quattro numeri di Snop.
È uno sforzo importante in cui crediamo.
Aiuta e sostieni questo sforzo: rinnova il tuo
2
abbonamento e fallo rinnovare.
alle cure di un gruppo di
“addetti ai lavori”, i giornalisti dell’agenzia
Zadigroma, specializzata
nel settore dell’informazione e dell’editoria scientifica
e sanitaria.
Non possiamo non rivolgere il nostro più sentito ringraziamento a Roberto
Maremmani che ha curato
la veste grafica e gli aspetti tipografici di tutti i precedenti 65 numeri. Quella
di Roberto, operatore della
prevenzione del Servizio di
Sesto San Giovanni, è stata
sempre molto di più che
una semplice versione in
stampa degli articoli e dei
pezzi che giungevano. Tra
l’altro, per molti anni ha
anche curato la rubrica
“Giallolimone” che commentava, in punta di
penna, l’aria che si respirava tra gli operatori della
prevenzione nei luoghi di
lavoro.
Nel momento di un passaggio di mano (organizzativo
e, da qualche tempo, anche
nei contenuti) della rivista
è parso indispensabile dare
una “rinfrescata” a tutto
l’edificio. Ci auguriamo
quindi che la nuova veste
sia gradita ai lettori, ma
ancor più che i nuovi contenuti, sui quali stiamo ancora lavorando, incontrino il
favore di un numero sempre maggiore di operatori a
vario titolo impegnati nel
campo della prevenzione e
della sanità pubblica.
Stringiam’ci
a coorte
(ma superiamo la corte)
Vent’anni
di prevenzione
Domenico Taddeo
tamente quello di cui c’è
meno bisogno.
Solidi radici
e sguardo al futuro
Le radici infatti contano,
ma vanno attualizzate e
proiettate nel futuro. E mi
fa piacere che alla nostalgia non indulgano affatto
anche gli altri presidenti
per quello che fanno oggi
tutti i giorni e per le idee e
i suggerimenti che propongono. Mi sembra quindi
che ci sia ampia materia
ell’archivio delle
imprese Snop a cui della quale discutere, sia
sulla rivista che sul sito
ho dato un contributo, mi piace ricordare il web dell’associazione
(www.snop.it).
convegno del 1990 a Pisa
sulla comunicazione e l’im- Leopoldo Magelli ed
Emilio Volturo, per esempegno per lo sviluppo di
pio, fanno cose coerenti
rapporti con i colleghi
europei. Le nostre storie ci con la nostra attenzione
alla partecipazione dei
fanno essere una coorte,
per le esperienze (anche se Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (Rls) e
differite) di impegno milialla globalizzazione.
tante fin dal tempo dell’uGraziano Frigeri rappreniversità, ma anche per
una comune visione critica senta quello che noi chianei confronti dei temi legati miamo una nuova figura
alla tutela e alla promozio- professionale, nata in
seguito all’approvazione
ne della salute e dell’amdel decreto legislativo
biente.
626/94 sulla sicurezza e
Detto questo, però, non
igiene nei luoghi di lavoro,
voglio affatto evocare il
sentimento di un nostalgi- e mi sembra che interpreti
al meglio il proprio ruolo.
co “come eravamo”: è cer-
N
Laura Bodini prosegue nel
suo impegno quotidiano
per il “ben fare” del suo
Servizio e si impegna nella
Ciip per la presidenza
Snop. Claudio Calabresi
incarna il nuovo e il futuro
delle collaborazioni istituzionali centrate sul problema dei flussi informativi
tra Inail, Ispesl e Regioni.
Con Luigi Salizzato ho più
frequentazione perché
ancora attivo nell’ufficio di
presidenza Snop, ma anche
nel lavoro della rivista.
Rispetto alla Snop delle origini, Salizzato rappresenta
al meglio “il nuovo”, quella
parte di operatori principalmente, ma non solo,
appartenenti ai dipartimenti di prevenzione che intervengono su tutti gli altri
temi della sanità pubblica.
Mestiere difficile ma appa-
gante, quello di presidente
Snop: saper equilibrare gli
interessi e i temi disciplinari con l’attenzione alla
integrazione e allo sviluppo di tutte le aree disciplinari nella prevenzione pubblica e non. L’allargamento
dei temi affrontati dalla
rivista Snop, i contatti
(anche istituzionali) che
abbiamo attivato sono un
segno che ci stiamo provando seriamente.
Il nostro congresso che si
terrà a Bari il 27 e 28 aprile
2006 vuole essere un ulteriore contributo in questa
direzione. Si parlerà infatti
di: prevenzione tra evidenza e devolution, leggi delega e direttive comunitarie,
la difesa dei più deboli
negli ambienti di vita e di
lavoro, globalizzazione e
sicurezza alimentare.
Biografia
Sono il più giovane del gruppo dei presidenti.
Nato nel 1953 a Benevento, ho studiato medicina e specialità a Pisa, sono nei servizi dal gennaio 1979, nel coordinamento degli operatori della prevenzione dai primi anni
Ottanta, presente alla fondazione di Snop.
Ho lavorato sempre nel settore della medicina del lavoro,
come responsabile del servizio territoriale dal 1987 a
oggi, salvo una parentesi biennale (1995-1996) di direzione sanitaria.
Sono presidente dell’associazione dal 2003.
3
Vent’anni
di prevenzione
Noi, knowledge
workers
Leopoldo Magelli
Riproponiamo in forma sintetica l’editoriale di
Leopoldo Magelli pubblicato sul secondo numero
di questa rivista, in occasione del settimo congresso annuale degli operatori del Servizio di prevenzione nei luoghi di lavoro. Tema dell’incontro e di
questo articolo (la cui versione completa è disponibile sul sito www.snop.it) è il sistema informativo
di acquisizione dei flussi informativi nel territorio
e, più in generale, le logiche e le criticità della
comunicazione fra gli operatori della prevenzione.
Una lettura ancora attualissima.
Dentro e fuori
Non intendo sostenere che
gli operatori dei servizi
debbano restarsene chiusi
nelle loro sedi, attaccati a
un terminale o a una stampante, per ricevere e interpretare dati, cessando di
avere un rapporto diretto
con i luoghi di lavoro e con
gli uomini che vi operano,
o riducendolo di molto. La
valorizzazione che si deve
grammazione - in singole
attuare del sistema inforaziende al di fuori di una
logica di comparto vengono mativo non va certo in
ancora eseguiti (e ciò è giu- alternativa o a scapito delFare prevenzione oggi in
una dimensione territoriale sto e corretto in molti casi), l’intervento diretto in fabvuol dire sempre più essere non c’è dubbio che la linea brica. Del resto, in questi
dei knowledge workers, cioè di tendenza oggi prevalente ultimi anni siamo indubbiamente andati in questa
sia, almeno come orientadegli operatori della conoscenza e dell’informazione. mento, quella dell’interven- direzione. Quando abbiamo
individuato, per i nostri
Credo che infatti sia tempo, to di comparto. […]
servizi, le attività fondaper noi operatori dei servi- Individuare la centralità
mentali, e poi le abbiamo
zi di prevenzione nei luoghi del nostro operare in fabbrica vuol dire privilegiare, scomposte nelle attività
di lavoro, di compiere una
secondarie, abbiamo già
seconda rivoluzione coper- come momento chiave del
fatto una grossa operazionicana, dico “seconda” per- lavoro del servizio, l’agire
ne culturale: l’intervento in
ché la prima la compimmo direttamente, nel luogo di
lavoro, sui problemi: veder- fabbrica era individuato
anni fa quando superamcome una delle attività di
li, toccarli, misurarli. Vuol
mo il concetto dell’interdire, così crediamo, valoriz- servizio, accanto alla mapvento a pioggia, su richiesta, in singole aziende, per zare al massimo la compe- patura e costruzione del
imboccare la via dell’inter- tenza tecnica degli operato- sistema informativo, al
vento programmato, basa- ri; vuol dire ribadire il “pri- controllo sui nuovi insediamenti produttivi, al coordito sulle mappe di rischio e mato dell’autopsia” sulla
namento degli accertamencapacità di gestire e interorganizzato per comparto
ti sanitari per i lavoratori a
pretare informazioni.
produttivo.
Anche se questa scelta non Vuol dire, infine, ridurre il rischio, all’informazione,
sistema informativo a mero formazione ed educazione
è ancora dappertutto e
sistematicamente praticata, strumento di supporto del- alla salute. Già questo
l’agire diretto, che si esalta significa vedere nell’intere anche se interventi su
vento diretto in fabbrica
come il più autentico
richiesta - o anche su pro-
[…]
4
momento di espressione
del servizio.
Questa logica è, a mio
avviso, ormai superata dai
fatti e dalle cose, e occorre
prenderne atto, non nel
senso di smettere di andare
in fabbrica, ma nel senso di
ridefinire la centralità di
questa fase del lavoro
rispetto alle altre.
non “l’attività” per eccellenza del Servizio, ma
appunto, una delle attività,
anche se, implicitamente,
era sempre per noi la più
importante.
Oggi dobbiamo andare più
in là e considerare l’intervento diretto non solo una
delle diverse attività,
accanto alla costruzione e
all’aggiornamento del
sistema informativo. […]
Infatti, se fare prevenzione
significa da un lato trasformare gli ambienti e dall’altro formare gli uomini,
tutte le attività tese a questi obiettivi orbitano intorno a un nucleo centrale che
è il sistema informativo,
che permette l’acquisizione
di tutti i flussi informativi
che attraversano il territorio.[…]
Non possiamo illuderci di
governare la prevenzione
con la nostra presenza
diretta nelle fabbriche.
Quanti anni ci vorrebbero
prima di poter toccare tutte
le migliaia di aziende che
abbiamo sui nostri territori,
per poi accorgerci, appena
finito, di dover ricominciare
da capo? E come pensiamo
di poter garantire il controllo permanente degli
ambienti di lavoro, prescindendo dalla centralità del
sistema informativo? Porre
al centro della nostra attività il sistema informativo
non è dunque una fuga in
avanti, ma una scelta realistica obbligata per svolgere
al meglio il nostro lavoro.
Tre aspetti sono i punti critici del sistema informativo: l’intervento di comparto, la gestione dei dati sugli
infortuni, il controllo e
coordinamento degli accertamenti sanitari, periodici e
mirati. Ma, ancora una
volta, non possiamo parla-
re del nostro orticello, per
quanto diligentemente e
amorosamente curato,
senza tener conto di tutto il
contesto. Se l’anno scorso a
Caramanico Terme, nel
nostro VI convegno, ad agitare le acque era la proposta di una ricentralizzazione delle funzioni di prevenzione dei luoghi di lavoro e
di una fuoriuscita delle Usl,
oggi la situazione è definita
da due elementi. Da un lato
l’accavallarsi continuo di
proposte di “riforma della
riforma sanitaria” […], dall’altro la comparsa di
nuove normative sull’igiene
e la sicurezza del lavoro. Se
le prime stesure della legge
sul piombo e sull’amianto
destavano qualche perplessità, ma erano nel complesso un utile terreno di lavoro, non possiamo non
rimarcare l’involuzione che
le prime bozze hanno subito nel corso dei lavori del
Gruppo interministeriale
per il recepimento delle
direttive comunitarie (Gird)
e del confronto con le parti
sociali […].
E del resto, se si va a un
pesante attacco allo stato
sociale, perché mai si
dovrebbe andare a una
rigorosa normativa sulla
tutela della salute in fabbrica, che andrebbe esattamente nella direzione opposta, e non sarebbe certo
compatibile con la linea
che viene avanti a livello
governativo? Ecco perché è
necessario parlare della
normativa di legge: quello
che uscirà dal lavoro di
questi mesi condizionerà
pesantemente il modo di
operare dei servizi di prevenzione, e quindi è opportuno cominciare ufficialmente a occuparcene,
anche se non solo sarà
duro il confronto con gli
interlocutori esterni dei
servizi, ma anche al nostro
interno non ci sarà certo
una completa identità di
vedute. D’altra parte, è proprio partendo da una comprensibile pluralità di opinioni che si potrà giungere
a una posizione unitaria,
che consenta non solo di
poter incidere sul contenuto delle nuove normative,
ma anche di gestirle successivamente in modo coerente e omogeneo.
tempi migliori e di prospettive più felici, una qualsivoglia forma di delega per
la soluzione dei nodi in cui
siamo presi, un ritagliarsi
piccoli spazi personali per
esperienze esemplari,
magari gratificanti, ma di
scarsa incidenza sul contesto generale.
Invece la situazione è quanto mai dinamica e passibile
di sbocchi in diverse direzioni, pur all’interno di una
linea di tendenza del quadro politico-generale che
non sembra preludere a
sviluppi troppo positivi. È
quindi necessaria un
nostra presenza sulla scena
molto più costante, incisiva
e propositiva, valorizzando
in modo più accorto e diffuso quello che facciamo,
come un investimento di
energie e risorse per spendere meglio e valorizzare la
nostra immagine, con una
maggiore attenzione a
Andare in scena
come riusciamo a imporre
un modello operativo, cul[…] Se ci trovassimo di
turale e scientifico. Ma per
fronte a una situazione
bloccata, ingessata e irrigi- proporre un modello fundita in forme cristallizzate zionante e operativo di fare
prevenzione che stimoli
(penso da un lato all’ospedale, dall’altro ad altri set- partecipazione è necessaria
la presenza di un servizio
tori del pubblico impiego)
pubblico efficiente (e magaavremmo molti alibi per
giustificare una nostra lati- ri efficace), che sappia protanza sul piano culturale e durre nel peggiore dei casi
propositivo, un nostro iner- solo conoscenza e cultura,
nel migliore anche trasforte attendismo rispetto a
mazione.
quello che succederà nel
nostro settore e nella sanità Tutto ciò senza cadere nel
trionfalismo. C’è ancora
più in generale, uno stare
troppa disomogeneità da
alla finestra in attesa di
una regione all’altra, sia
come presenza dei servizi
sia come qualità e quantità
del loro operare, c’è ancora
una forbice troppo grande,
anche nelle realtà avanzate,
tra le potenzialità presenti
e quello che effettivamente
si realizza, c’è ancora una
sostanziosa distanza tra
quello che vorremmo essere e quello che in realtà
siamo. […]
A questo punto, il cerchio
si richiude: presentare proposte di ordine tecnico e
organizzativo non significa
solo riflettere sul nostro
operare e ipotizzare modi
per lavorare meglio, ma
anche essere in grado di
produrre cultura e informazione, dimostrando che
è possibile operare seriamente nel nostro settore,
che deve (o dovrebbe) pesare in modo più significativo
sul contesto generale.
Paradossalmente, nel
momento in cui abbiamo
scelto di costruire un’associazione per certi versi
chiusa, in quanto riservata
agli operatori del settore,
abbiamo scelto implicitamente di sviluppare e
potenziare in modo molto
più intenso i nostri rapporti con il contesto politico,
culturale, sociale ed economico in cui il nostro operare si inserisce, e con tutti
gli interlocutori che lo
popolano. Dobbiamo procedere coerentemente per
questa strada.
Vent’anni
di prevenzione
5
Vent’anni
di prevenzione
La vera
scommessa
Leopoldo Magelli
Le voci dei presidenti passati ripercorrono la storia della Snop, dipingendone entusiasmi e criticità, con un occhio al passato e una sbirciatina al futuro
della cultura della prevenzione. Ma soprattutto con una riflessione sugli operatori del presente, chiamati a rinnovare il proprio ruolo accanto ai governi
e alle diverse parti sociali.
nvece che lanciarmi in
analisi e riflessioni sul
mondo che verrà, preferisco partire da un’esperienza concreta di pochi
giorni fa, dalla quale tenterò di derivare qualche
ipotesi sul “che fare”.
Da quando ho lasciato il
Servizio sanitario nazionale, sono passati undici
anni. Non tantissimi in termini cronologici, molti di
più se li misuriamo dal
punto di vista dei cambiamenti normativi, sociali,
economici, antropologici,
contrattuali, motivazionali.
In questi anni il mondo del
lavoro, e di riflesso quello
della prevenzione, è cambiato sotto numerosi punti
di vista: normativo, sociale,
economico, antropologico,
contrattuale, motivazionale. Dal 1994 uno dei terreni
professionali e politici che
più mi ha impegnato è
infatti quello del rapporto
con i Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza
(Rls).
Da sette anni collaboro
all’attività del Servizio
informativo per i rappresentanti dei lavoratori per
la sicurezza (Sirs), istituito
dalla Provincia di Bologna,
l’Azienda Usl di Bologna
(ora anche di Imola), la
Cgil, la Cisl e la Uil.
Tra le attività del Sirs ci
I
6
sono l’assistenza ai Rls, la
risposta ai quesiti, il supporto nell’analisi di documentazione aziendale, la
fornitura di materiali e
documentazione, la redazione di un bollettino informativo bimestrale che
viene spedito a più di 2000
indirizzi e l’organizzazione
di seminari.
Almeno due volte l’anno,
infatti, i Rls delle aziende
della provincia di Bologna
sono invitati a partecipare
a un incontro su temi legati
al loro operare quotidiano:
un’occasione fondamentale
per capire il loro mondo
direttamente, senza mediazioni o interpretazioni soggettive di esperti veri o
presunti.
Un appuntamento
speciale
Nel novembre 2005 si è
tenuto a Bologna un seminario sul tema dei rapporti
tra Rls e medico competente: la partecipazione è stata
notevole, sia in termini di
numeri che di interventi,
esperienze, richieste di
informazioni e documentazione, osservazioni, proposte. Al momento della chiusura della giornata la sala
era ancora praticamente
piena (quasi 200 parteci-
panti), con la file di persone al tavolo che continuavano a chiedere cose, proporre ulteriori incontri, fissare appuntamenti per
approfondire meglio casi
particolari.
Questo racconto entusiasta
è il pretesto per ricordare
come il rapporto con i Rls
sia oggi una delle più
grandi scommesse che
abbiamo davanti come operatori della prevenzione.
Non voglio riaprire un
dibattito su vigilanza e
prevenzione, tema su cui
da sempre la Snop si è confrontata (a volte anche
divisa) e che fu anche il
titolo di un importante
convegno a Bologna negli
anni Ottanta.
Credo però che oggi fare
prevenzione voglia dire
soprattutto (ma non solo)
essere capaci di creare dei
rapporti costruttivi, forti
ed efficaci, con gli interlocutori sociali nel mondo
del lavoro, dai datori di
lavoro ai Rspp, dai medici
competenti ai consulenti,
ma soprattutto con i Rls.
Biografia
Dal 1994 opero in campo di formazione e consulenza per
la prevenzione, la sicurezza e la salute sul lavoro.
Ho lavorato e lavoro con Aziende Usl, Enti locali, centri di
formazione, organizzazioni sindacali e imprenditoriali,
singole imprese di produzione o servizi, in giro per tutta
l’Italia.
In particolare, ho coordinato la task-force dell’EmiliaRomagna per l’applicazione del 626 e delle altre normative comunitarie dal 1995 al 2004, anno in cui l’Assessorato
alla sanità ha deciso di scioglierla e sono stato responsabile scientifico del progetto nazionale di ricerca sull’applicazione del 626 in un campione di più di 8000 aziende.
Dal 1997 collaboro col Sirs di Bologna e dal 2004 sto coordinando un progetto di ricerca sulla valutazione dell’efficacia della formazione alla sicurezza dei lavoratori delle
imprese impegnate nei lavori della costruzione della
Variante autostradale di valico tra Bologna e Firenze.
Infine, a partire dal 2002 ho partecipato a progetti di cooperazione internazionale di medicina del lavoro con una
Ong di Bologna, in Vietnam (Bac-Giang e Hanoi) e in
Brasile (Belo Horizonte).
Un interlocutore privilegiato e determinante, che può
diventare il terminale più
intelligente, il sensore più
percettivo che possiamo
trovare nelle aziende, il
portatore di quelle esigenze di soggettività dei lavoratori per cui i Servizi si
sono costituiti in alternativa e concorrenza alle tradizionali strutture ispettive
d’antan.
Dico questo non per rivolgere un improbabile sguardo al mondo che fu, ma
perché sono profondamente convinto che proprio i
cambiamenti brutali del
mondo del lavoro in questi
anni ci propongono una
sfida che non si può affrontare soltanto con quello
strumento autarchico e
autoreferenziale che sono i
poteri della vigilanza. Che
pure vanno usati, anzi, con
più energia, incisività, lucida intelligenza di quanto
non si sia fatto fino a oggi.
Occorre però percorrere
con convinzione e tenacia
anche altre strade.
Un tris d’assi
Osservando il mondo del
lavoro dal punto di vista di
chi oggi si occupa di formazione e consulenza,
appare chiaro come la
mancata o carente qualità
della sicurezza non sia
dovuta soltanto a comportamenti illegali da parte di
molti datori di lavoro (cui
occorre rispondere, senza
mezzi termini, con la
durezza della sanzione).
Questa scarsa sicurezza,
infatti, dipende anche dall’esistenza di una vasta
zona grigia in cui regnano
ignoranza, scarsa attenzione, disinteresse, subalternità tecnica e culturale ai
consulenti, non conoscenza
e percezione delle proprie
responsabilità, modesta o
mediocre cultura organizzativa.
Su questa enorme zona grigia gli strumenti da usare
sono quelli della facilitazione, della promozione, dell’empowerment per dirla
con una parola di moda, o
dei sistemi premiali.
A questo proposito, qualche anno fa ho visto a
Hollywood che molte caffetterie esponevano in
vetrina, se era stato positivo, il voto ottenuto ai controlli sull’igiene della struttura preposta della contea:
una sorta di “eco-marchio”
che influiva notevolmente
sulla scelta dei locali in cui
mangiare e che potrebbe
essere riproposto alle
aziende come segno di qualità da spendere sul mercato per la loro immagine.
Oltre che sui datori di
lavoro e sui loro tecnici,
occorre agire con i Rls per
creare nelle aziende non
tanto un improbabile contropotere, ma quantomeno
una funzione di controllo,
stimolo, attenzione. È in
questa logica che a volte
uso con loro la metafora
del tris d’assi: A come
attenti, A come appropriati, A come assillanti. E per
realizzarlo, occorre disporre di strumenti, metodo,
conoscenze.
Contribuire oggi a fornire
questi elementi non è certo
una scelta romantica o
ideologica da vetero-operaista, quanto piuttosto
una delle ultime opportunità che sono rimaste a chi
vuole davvero fare ancora
prevenzione. Senza tuttavia contrarre la sindrome
dei combattenti giapponesi
nelle giungle dell’Asia che,
secondo la leggenda, continuavano a combattere
senza sapere che la guerra
era già finita, e per di più
anche perduta.
Vent’anni
di prevenzione
A quando un’Agenzia
della prevenzione?
Emilio Volturo
o squilibrio fra Nord
e Sud del mondo fa
sentire il proprio peso
schiacciante anche sulla
prevenzione.
È prioritario ribadire che
non è prevenzione lo spostamento nel tempo, e
soprattutto nello spazio, dei
rischi. Anche nel nostro
campo è possibile praticare
concretamente la parola
d’ordine «pensare globalmente, agire localmente».
Come ho avuto modo di
toccare con mano nelle mie
esperienze di cooperazione
internazionale, il “modello
italiano di prevenzione” è
ancora un punto di riferimento in alcune aree del
mondo, come per esempio il
Sud America. Come le stelle di cui si vede ancora la
luce secoli dopo la loro
estinzione, abbiamo delle
responsabilità quanto meno
sul piano storico.
L
Le scelte
dell’asino di Buridano
I paesi industrializzati
sono da tempo esportatori
di rischi e importatori di
esposti al rischio. A proposito di questo secondo
punto, la soluzione non sta
nella chiusura della frontiere, immorale, impraticabile e addirittura antieconomica secondo l’Ocse.
Il più frequentato binomio
dell’accoglienza, casa e
lavoro, deve essere però
declinato con i parametri
della salute e della sicurezza. Lo stato dell’arte non è
incoraggiante.
Neanche la versione più
misera e grottesca della
mediazione culturale, quella che la riduce alla produzione di stentati volantini
in diverse lingue, ha diritto
di cittadinanza in molti dei
nostri servizi e imprese. In
alcuni casi si prospetta
addirittura uno scenario di
discriminazione degno dell’asino di Buridano: se nei
miei corsi sul rischio da
amianto ammetto cittadini
stranieri che non capiscono bene l’italiano non riesco a trasmettere alcunché
e ne faccio delle vittime
predestinate, ma se non li
accetto o li boccio a fine
7
Vent’anni
di prevenzione
8
un ruolo che da tempo
definisco felicemente periferico: diventano, devono
necessariamente diventare
promotori, catalizzatori,
facilitatori, attivatori, regolatori di sistema. Anche
controllori, certo, ma solo
dopo una profonda revisio-
tro, oggi sempre più aleatorio, fra addetti ai lavori e
società civile, non limitandosi alla richiesta di sostegno. La parola d’ordine «ci
Una questione
vogliono più controlli, bisopolitica?
gna rafforzare i Servizi»
risulta ormai tanto parziale
È sorprendente come il
da apparire obsoleta, se
dibattito sulla legge Biagi
non si accompagna a un
non abbia sostanzialmente
rinnovamento.
toccato la questione della
Il futuro della prevenzione
salute occupazionale, salvo
dovrà necessariamente
rarissime e inascoltate
basarsi su questi pilastri:
eccezioni. Le cosiddette
formazione, informazione,
nuove forme di lavoro (la
sistemi informativi, comudecantata flessibilità) sono
nicazione.
di fatto il cavallo di Troia
Nella vigilanza non c’è
per nuove e più violente
futuro: rimane oggi, e
epidemie di infortuni,
dovrà necessariamente
malattie professionali e
rimanere a lungo, con
disagi, vecchi e nuovi. È
ne del significato della
buona pace dei sostenitori
necessario muoversi su
parola controllo. In altre
della deregulation, una
due piani: da una parte
condizione necessaria, ma
bisogna rivedere il sistema aree, il ragionamento non
cambia, entrano solo in
assolutamente non suffidelle flessibilità per ricongioco altri sistemi: la scuo- ciente. Molto dipende, inoldurle a quell’alveo fisiolotre, da come la si esercita:
gico da cui sono da tempo la, per esempio, e più in
generale la cittadinanza
occorre un grande sforzo
uscite (il fatto che sia un
attiva e consapevole, il
per completare il guado
compito sostanzialmente
sistema dei sistemi.
dallo stile anni ‘50 allo stile
politico non ci autorizza a
626. A questo proposito, va
chiamarci fuori), dall’altra
anche ripreso con forza il
rendersi conto che molti
discorso del testo unico,
strumenti preventivi fatico- La speranza
uscendo da una logica
samente costruiti in un
è nei cittadini
puramente difensiva. Non
quarto di secolo sono obsopossiamo accontentarci del
leti se applicati al lavoro
Uno spiraglio di speranza
precario.
si apre pensando alla sensi- recente scampato pericolo.
A mio sommesso parere, il
Il futuro della prevenzione, bilità ai temi della prevencomunque, non sta nelle
zione. Se è vero che gli ope- vero futuro dovrebbe essere la cultura della prevenmani dei tecnici, ma dei
ratori sono sempre meno
zione, la capacità di diffongoverni (europeo, naziona- un manipolo di eroi motile, locali) e delle parti
vati e inclini al sacrificio, e dere nella società valori e
principi da cui far discensociali. Il ruolo degli opera- somigliano sempre più,
tori della prevenzione,
come è naturale, a normali dere comportamenti e stili
di vita. La prevenzione di
però, se riveduto e corretto, operatori di un qualsiasi
può essere più importante
ente pubblico, è altrettanto cui si parla è un sistema
che mai. A patto che la
vero che il clima generale è unitario di valori e principi:
cogliere questa apparente
revisione sia profonda e
più favorevole rispetto al
banalità e declinarla quotispietata.
tempo degli eroi: cittadini,
dianamente è una delle
Dopo la legge 626, la censtudenti, lavoratori sono
tralità realizzativa (o
più sensibili alle tematiche chiavi del futuro, altro che
la strategia perdente dei
gestionale) della prevenzio- della qualità della vita.
mille rivoli e delle mille
ne nei luoghi di lavoro è
Basti guardare i mass
posta in capo al sistema
media per farsene un’idea. culture.
Pensando al mondo della
impresa. I servizi pubblici
Ed ecco allora un’altra
di prevenzione assumono
chiave per il futuro: l’incon- scuola, non c’è istituto che
corso metto a rischio il
loro lavoro.
non sia stato funestato
dalla giornata dell’educazione stradale, dall’incontro sull’educazione alimentare, dalla lezione sulla
sicurezza sul lavoro, dal
seminario sull’educazione
sessuale, promossi da tanti
soggetti diversi che stentano a parlarsi tra loro.
Piccole battaglie vinte e
Biografia
Dal 2003, dopo un’entusiasmante esperienza quinquennale come direttore
del Centro di documentazione e formazione (Cdf),
sono direttore dell’Osservatorio epidemiologico
della Asl Milano 2 e supervisore didattico di For,
Centro di formazione sulla
prevenzione negli ambienti di lavoro nato per
volontà del Sindacato milanese. Inoltre, sono vicepresidente del Ciip e
responsabile del Progetto
di cooperazione ItaliaBrasile in Medicina occupazionale per conto del
Centro di cooperazione
Oms operante presso la
Clinica del lavoro di
Milano. Infine, sono progettista di formazione e
formatore per imprese e
Asl sui temi della prevenzione in ambienti di vita e
di lavoro, con particolare
riferimento a comunicazione e sistemi informativi. A
breve avvierò inoltre una
nuova interessante esperienza, con un primo viaggio a Nuova Delhi: un
Progetto di collaborazione
fra Italia e India, promosso
per la parte italiana da
Ispels, in materia di informazione e formazione sui
temi della salute e sicurezza in ambiente di lavoro.
una guerra persa, almeno
finora.
La scelta del modello
Per quanto riguarda, infine, l’assetto, devo confessare di essere molto influenzato dalla situazione in
Lombardia. La mission del
sistema sanitario lombardo
è chiaramente indicata
nella clinical governance,
ovvero nella razionalizzazione della spesa sanitaria.
Al di là delle valutazioni
politiche sullo smantellamento della sanità pubblica attualmente in atto, le
Asl si stanno adeguando
lasciando sempre meno
spazio alla prevenzione, un
obbligo mal sopportato, un
compito accettato obtorto
collo perché sopravvivono
leggi regionali in merito. In
un assetto di questo tipo
non c’è futuro.
Spostandosi a livello nazionale, si danno solo due
possibilità: la Lombardia è
un’eccezione. In tal caso
l’eccezione andrebbe ricondotta alla norma. Anche
nelle altre Regioni, se pur
in diversa misura, si
riscontra questa tendenza.
In entrambi gli scenari il
futuro della prevenzione
dipende dalla capacità di
spostare il baricentro dell’incontro-scontro sul terreno regionale e dalla scelta
consapevole del luogo istituzionale in cui ospitare la
prevenzione pubblica. Per
quanto mi riguarda, sono
giunto alla sofferta conclusione che questo luogo non
può più essere rappresentato da queste Asl. Nel
futuro vedo un’Agenzia
della prevenzione, una
struttura fortemente
decentrata, probabilmente
iscritta ancora nell’ambito
del Servizio sanitario
nazionale, che possa contare su risorse umane e
materiali magari ancora
limitate, ma certe e chiaramente ed esclusivamente
dedicate alla prevenzione.
So che questa ipotesi
incontra molte resistenze,
ma credo sia giunto il
momento di affrontarla in
modo chiaro, senza reticenze e imbarazzi, ma senza
liquidarla sbrigativamente
come improponibile.
Vent’anni
di prevenzione
Pensare globalmente,
agire localmente
Luigi Salizzato
n occasione del ventennale della rivista della
Snop, il direttore ha
chiesto agli ex presidenti di
esprimere un punto di
vista attuale sugli sviluppi
delle politiche per la prevenzione.
Un tema complesso, che
peraltro ho avuto l’opportunità di approfondire
negli articoli regolarmente
pubblicati in questa stessa
rivista negli ultimi anni
(vedi nota biografica). Il
primo punto essenziale su
cui vorrei focalizzare l’attenzione sono le politiche
per la salute, un’espressione che definisce e valorizza
l’obiettivo dell’azione che ci
si propone per i nostri servizi, i possibili attori protagonisti, gli strumenti
disponibili e le azioni utili
per conseguirlo. Il presupposto è che la salute è uno
dei diritti fondamentali
della persona, espresso ed
esercitato attraverso comportamenti individuali
nella vita di tutti i giorni e
garantito dagli interventi
I
golo individuo e la comunità sono in grado di esprimere, che si inserisce l’azione dei professionisti di
prevenzione e sanità pubblica. Questi sono chiamati
a esercitare un ruolo di
supporto alle politiche per
la salute, attraverso la
capacità di promuovere e
agevolare la collaborazione
tra i diversi attori. Attori
che possono anche essere
orientati ad altri obiettivi
(economici, urbanistici,
sociali e ambientali), ma
che comunque possono
influire sulla tutela e la
promozione della salute.
Mi riferisco quindi anche
alle istituzioni che vi sono
preposte e alla loro componente politica e tecnica, alle
imprese e agli imprenditori, alle rappresentanze sindacali, alle organizzazioni
che rappresentano interessi
particolari o diffusi dei citUn gioco di ruoli
tadini.
Un secondo importante
È in questo contesto,
governato dall’autorevolez- contributo che i nostri operatori possono fornire è
za e dal conseguente controllo sulla salute che il sin- quello della propria compedella comunità di appartenenza. Stile e ambiente di
vita e di lavoro sono i due
elementi fondamentali che,
interagendo tra loro, determinano maggiore o minore
salute nelle persone. Lo
stile di vita dipende prevalentemente dalla scelta personale, anche se può essere
condizionato dall’ambiente.
Gli ambienti di vita e di
lavoro vengono invece
garantiti dalle politiche
sociali ed economiche, in
cui il ruolo decisionale
della comunità locale è a
sua volta influenzato dal
contesto economico e geopolitico. Per questo, è ancora attuale il motto «pensare globalmente, agire localmente» che ai nostri giorni
traduciamo nel concetto di
salute globale.
9
Vent’anni
di prevenzione
10
tenza professionale, della
conoscenza dei problemi di
salute, dei loro determinanti, delle azioni più efficaci
per contrastarli. In questo
senso, va sempre più perfezionata la capacità di contestualizzare, negli ambiti
locali di intervento, la
conoscenza scientifica e la
padronanza di strumenti
operativi aggiornati: l’epidemiologia descrittiva dei
bisogni e dei rischi, la
sanità pubblica basata su
prove di efficacia, la riprogettazione dei servizi finalizzata all’integrazione professionale e sociale, la percezione e comunicazione
del rischio, i processi per il
miglioramento della qualità professionale, tecnica e
relazionale. Un’ulteriore
competenza richiesta ai
professionisti di prevenzione e sanità pubblica è la
capacità di confrontarsi
con il sistema dell’autocontrollo, mantenendo un proprio ruolo di vigilanza e
controllo.
L’autocontrollo si è esteso
negli ultimi anni dalla tutela della sicurezza sul lavoro a quella della sicurezza
alimentare e, in generale,
rappresenta una politica in
espansione in diversi
campi governati dalla pubblica amministrazione. Si
fonda sul principio di riconoscere al titolare di un’attività la competenza nella
valutazione dei possibili
rischi per la salute legati a
quella specifica attività, e
la responsabilità nel relativo controllo. Il sistema di
sanità pubblica di vigilanza e controllo garantisce il
rispetto delle regole (di
legge, non del mercato o
della politica) per tutelare i
soggetti deboli dai rischi
per la salute presenti nel-
l’ambiente di vita e di lavoro.
Gli operatori dei servizi di
prevenzione si stanno
attrezzando per affrontare
questo nuovo percorso professionale, con situazioni
locali più o meno evolute a
seconda delle risorse
disponibili e dei contesti
politico-economici. Ritengo
comunque che nel nostro
ambito professionale la
transizione dall’adempimento burocratico al lavoro per obiettivi di salute
sia avviata in modo pressoché generalizzato. Inoltre,
si sta diffondendo sempre
di più la consapevolezza
che, in tempi di libero mer-
cato dominante e stato
sociale vacillante, la
sopravvivenza stessa e
quindi lo sviluppo della
Sanità pubblica dipendano
dalla capacità di assumere
un ruolo utile per lo sviluppo di politiche per la salute
socialmente condivise.
Professionisti integrati
Il secondo punto su cui
vorrei focalizzare l’attenzione è quello dell’integrazione professionale, condizione indispensabile che gli
operatori di prevenzione e
sanità pubblica devono
garantire per poter sviluppare azioni utili a perseguire obiettivi di salute.
Quello che intendo è un
modo di lavorare in cui i
diversi professionisti
potenziano le proprie competenze e capacità operative, condividendo conoscenze, obiettivi e azioni. Ne
deriva una visione globale
del proprio lavoro che li
porta a interagire, nell’ambito del proprio Servizio,
Dipartimento o Azienda
sanitaria, con professionisti
di altre amministrazioni (le
Agenzie per l’ambiente, gli
Enti locali) e con i vari
attori economici e sociali. Il
mio punto di osservazione
è naturalmente quello relativo alla mia esperienza
professionale in un
Dipartimento di sanità
pubblica, ma può essere
adattato a chiunque lo
voglia adottare nella propria organizzazione.
L’integrazione professionale è un argomento da sempre dibattuto nei nostri servizi e rappresenta, teoricamente, una delle ragioni
fondamentali dell’organizzazione del lavoro in
Dipartimenti, anche se
adesso si preferisce parlare
di clinical governance per
coinvolgere maggiormente
i settori sanitari dediti alla
cura della persona.
Tuttavia, la sua concreta
implementazione è ancora
gravemente inadeguata,
non coerente nella prassi
con teorie e ragionamenti
diffusamente condivisi.
Quello che manca, secondo
me, è la consapevolezza
che questo modo professionale di essere (prima ancora che di agire) consente di
adeguare le proprie conoscenze e capacità professionali specialistiche alla complessità dei problemi intersettoriali da affrontare. In
altre parole, questa visione
d’insieme della realtà non
sacrifica, ma esalta lo specialismo.
Ricordo ancora con grande
emozione una sera di tanti
anni fa quando, ancora studente in medicina, ebbi la
fortuna di ascoltare Giulio
Maccacaro, in particolare
la sua analisi lucida e
impietosa sulla frammentazione del sapere medico
occidentale. Su come ogni
specialista sia competente
della sua parte di un organismo che, nella sua complessità, può essere compreso e aiutato a guadagnare salute solo se ne
viene considerato il funzionamento d’insieme. È stata
una lezione profonda, di
quelle che possono indirizzare, se ascoltate, un intero
cammino professionale.
Personalmente cerco quindi di operare avendo in
mente questa visione, che
dal corpo umano si estende
ai rapporti con l’ambiente
in cui questo organismo
vive e lavora. Ambiente
che ai nostri giorni è sempre più globale e, per essere migliorato, ha bisogno
di analisi e azioni adeguate
alla sua complessità.
Biografia
Luigi Salizzato, medico
specialista in Igiene e
sanità pubblica è direttore
del Dipartimento di sanità
pubblica dell’Ausl di
Cesena e componente dell’ufficio di presidenza
Snop.
Altri approfondimenti di
quanto accennato in questo intervento sono disponibili sui siti www.snop.it
e www.ausl-cesena.emr.it/
DipPrev/Default.htm
Auspico quindi che noi
operatori di prevenzione
sappiamo capire meglio
assieme perché facciamo
tanta fatica a lavorare in
modo più integrato, riuscendo così a migliorarci
per svolgere più efficacemente il nostro lavoro. Un
bel lavoro, in cui vedo con
grande soddisfazione
impegnarsi anche colleghi
più giovani, dotati di una
consapevolezza professionale più matura di quella
che ho osservato in passato in altre generazioni di
professionisti. Vedo però
anche la precarietà che il
nostro Servizio sanitario
pubblico riserva ai giovani
professionisti, offrendo loro
anticipatori del cambiamento, in un momento in
cui la legislazione europea
cominciava a sostituire
quella nazionale e la sensibilità dell’opinione pubblica virava dalle tematiche
della salute sul lavoro alle
tematiche ambientali. Ma
Snop riuscì a tenere, continuando a tessere la tela
della riorganizzazione della
rizzato dall’impegno nella
rete nazionale dei servizi di
difesa e nel rilancio dei
Servizi di prevenzione delle prevenzione, proprio perché non eravamo più solo i
Usl di fronte alla minaccia
medici del lavoro difensori
di ritorno al passato.
a oltranza delle famigerate
Usl, ma gli operatori della
prevenzione. Rileggendo
Sfide vinte,
quegli scritti e anche altri
sfide perse
pezzi minori ho sentito perMa voglio ricordare in par- sonalmente la soddisfazioticolare il mio primo edito- ne di essere ancora capace
di guardare il mondo con
riale da Presidente, in cui
occhi diversi, non accettanaffrontavamo uno dei
cavalli di battaglia di allora do l’ineluttabilità dello
(non senza qualche contra- stato di cose presente.
Nel 1995, alla fine del mansto e mugugno interno):
dato e in coincidenza con
l’allargamento della Snop
oltre i confini della medici- l’entrata in vigore della
na del lavoro, per compren- legge 626, l’ultima battaglia ideale interna fu quella
dere l’intero mondo della
per l’allargamento della
prevenzione pubblica. Un
società ai nuovi soggetti
momento segnato anche
privati (Rspp, medici comdall’ingresso per la prima
petenti, Rls) ritenuti da
mio modo di pensare: da
volta negli organismi diri“Guai ai vinti!” del 1988
genti di colleghi dell’Igiene molti di noi come la futura
con cui lanciavamo l’indapubblica e dei Presidi mul- schiera dei nuovi operatori
gine nazionale “Operazione tizonali di prevenzione, ma della prevenzione.
Era necessario accoglierli
Prevenzione”, il primo vero anche dal lancio di operaorganicamente e a pieno
censimento dei Servizi di
zioni nuove come il
prevenzione in Italia, all’eProgetto agricoltura e igie- titolo nella Snop che, di
ditoriale successivo alla
ne degli alimenti, con i con- fronte al mondo che camsconfitta nel referendum
vegni di Bologna, Sondrio e biava, non poteva e non
doveva arroccarsi quale
del 1993 (“Hanno ucciso
Bari. Cominciava allora
l’uomo ragno”), in cui solo
anche l’impegno di presen- rappresentante organico
dei soli servizi pubblici. Il
noi ci eravamo apertamen- za europea di Snop, con la
riferimento era agli operate schierati per il no.
partecipazione alla rete
tori della tutela della salute
Tutti quegli editoriali sono europea Ewhn (European
dei lavoratori, ma valeva
stati improntati, anche nei
Work Hazard Network)
anche per i consulenti
titoli, al rilancio e al volare prima, e al Comitato peralto rispetto alla tentazione manente europeo (Cpe) poi. ambientali o della sicurezza alimentare.
di lasciarsi trascinare dalla L’operazione di allargaQuella battaglia è stata
corrente o di chiudersi nel
mento andava nella direproprio orticello in un
zione di voler essere prota- persa allora e oggi il risultato è che Snop, indipenperiodo (1985-1995) caratte- gonisti e possibilmente
solo contratti di lavoro a
termine, libero professionali o borse di studio.
Credo che questo sia un
ambito di responsabilità a
cui noi più anziani e
garantiti dirigenti non possiamo sottrarci. Non stanchiamoci quindi di operare, nel senso non di rivendicare ma di agire, perché
ai servizi pubblici di prevenzione sanitaria e
ambientale vengano
garantite le risorse economiche necessarie per lavorare nell’interesse della
comunità.
Vent’anni
di prevenzione
Cara Snop,
ti scrivo
Graziano Frigeri
er onorare l’invito
del direttore a scrivere un pezzo per il
ventennale della rivista, ho
voluto consultare i vecchi
numeri, dal numero zero
del 1986 al numero trentasei (in lettere, come di tradizione) del 1995, anno
della scadenza del mio
secondo mandato di
Presidente.
Rileggendo alcuni miei vecchi editoriali, oltre a un po’
di nostalgia per i tempi che
furono (non solo professionali!) ho scoperto piacevolmente che, al di là dei riferimenti a fatti e circostanze
dei tempi, molti sono ancora attuali, almeno per il
P
11
Vent’anni
di prevenzione
dentemente dal fatto che
chiunque vi può aderire,
per il mondo della prevenzione rappresenta organicamente solo gli operatori
dei servizi pubblici.
Migliaia di operatori della
prevenzione del privato (e
addirittura anche del pubblico, come gli Rspp, i
medici competenti e gli Rls
di ospedali, Asl, Comuni,
Province) che concretamente concorrono giorno
per giorno a “cambiare lo
stato di cose esistente” non
sono rappresentati da
Snop, ma da altri contenitori, fioriti ex novo o rinati
dalle proprie ceneri: associazioni nazionali e locali,
oppure società scientifiche,
che mancano di una visione globale del sistema e
tendono a difendere interessi accademici o di corporazione.
Riprovare, riprovarsi
Secondo me, la Snop aveva
geneticamente i caratteri
giusti, ma ha scelto diver-
Biografia
A beneficio dei vecchi soci e dei nuovi che non mi hanno
conosciuto, ecco dove “è andato a finire” Graziano Frigeri.
Nel gennaio del 1995 ho fatto il Direttore di distretto,
prima a Langhirano (PR), dove avevo lavorato come
medico del lavoro per dieci anni (in precedenza cinque
anni a Fidenza), poi a Parma, dal giugno dello stesso
anno. Nel 1997 ho assunto la direzione dell’Ospedale di
Fidenza.
Nel 2000 (la storia sarebbe lunga, la racconterò alla prossima cena sociale!) mi sono licenziato e ho fondato una
società di consulenza alle imprese, Euronorma, che
attualmente conta 12 tra dipendenti e collaboratori
(medici del lavoro, audiometristi, infermieri, ingegneri
architetti, geometri, amministrativi) e assiste oltre 800
aziende prevalentemente medio piccole, distribuite nel
centro-nord.
Ho proseguito il mio impegno politico e scientifico collaborando principalmente con Ambiente e Lavoro e, ultimamente, anche con la Simli nella Commissione nazionale per l’accreditamento d’eccellenza in medicina del lavoro. Ho curato, sempre in collaborazione con Ambiente e
Lavoro, varie pubblicazioni e dossier, non solo sui temi
della medicina del lavoro: l’ultima fatica, che dovrebbe
uscire in contemporanea con queste note, è il Dossier
Ambiente n. 72 “Haccp Pacchetto Igiene”, in collaborazione con Elsa Ravaglia.
Partecipo come docente o
relatore a convegni e corsi un
po’ in tutta Italia, e ogni tanto
rivedo con piacere vecchi soci
e amici, molti dei quali hanno
fatto una prestigiosa e meritata carriera.
12
samente: anziché organizzare il cambiamento ha
deciso di guardarne l’evolversi da una torre d’avorio,
fatalmente destinata prima
o poi a sgretolarsi sotto i
colpi del tempo.
In un mondo con nuovi
soggetti e protagonisti,
nuovi attori sociali e un
nuovo ruolo della pubblica
amministrazione, i servizi
pubblici, i soli che la
società rappresenta per
scelta, tendono invece sempre più a parlare a se stessi, a identificarsi come
ombelico del mondo attribuendosi compiti, funzioni
e competenze al di fuori e
al di sopra delle stesse
norme.
Dalla multireferenzialità,
gloriosa parola d’ordine di
allora, si è velocemente
passati all’autoreferenzialità. In un recente convegno, mi sono permesso, tra
lo sgomento di qualcuno e
il consenso di molti altri, di
criticare i servizi pubblici
nel momento in cui si autoconferiscono competenze
improprie, come il diritto e
la funzione di vigilare su
qualità ed efficacia delle
prestazioni rese da soggetti
terzi (pubblici e privati,
professionisti, strutture),
quando nessuna norma
assegna ai servizi questi
compiti. Né i servizi pubblici possono autocostituirsi legislatori o interpreti
delle leggi, compiti e funzioni che appartengono ad
altri organi dello Stato.
Nello specifico, il miglioramento della qualità e dell’efficacia delle prestazioni
di prevenzione non è (e non
potrà mai essere) oggetto
di vigilanza o di prescrizione, ma di ricerca del consenso e di sinergie collaborative in cui servizi pubbli-
ci, in particolare quelli di
vigilanza, e soggetti privati, o comunque non addetti
alla vigilanza, devono
occupare un ruolo assolutamente paritario.
Proprio per questo c’è bisogno di un soggetto in
grado di rappresentare l’intero mondo della prevenzione, un contenitore culturale e scientifico unico
all’interno del quale tutti
gli operatori, con pari
dignità, possano perseguire obiettivi di qualità ed
efficacia, che vadano oltre i
requisiti minimi imposti
dalle leggi (e oggetto, questi sì, di vigilanza). Nel
1995 pensavo che questo
contenitore potesse essere
proprio la Snop. Non lo è
stata e non lo è, ma penso
anche che non sia troppo
tardi per diventarlo!
Nel variegato mondo della
prevenzione, la domanda
di un riferimento forte e
autorevole è alta e le risposte disponibili sono settoriali e inadeguate alle sfide
del presente e del futuro. Ci
sono ancora possibilità
tempo e spazio per riempire quel vuoto. Occorre però
una nuova “Operazione
prevenzione”, più vasta e
radicale di quella del 1988,
che parta necessariamente
da una rivoluzione culturale interna, soprattutto nella
mente degli operatori, perché la mission è già quella
fin dal 1985.
Spero che non si ripeta lo
stesso errore e che non si
rinunci a essere protagonisti globali del presente: è
indispensabile per garantire un futuro alle idee rivoluzionarie che hanno caratterizzato la nostra nascita,
il nostro agire e i nostri
risultati in anni difficili e
tumultuosi.
servizi ho scelto nel 2000
una strada professionale
un po’diversa. Ho colto così
l’opportunità di lavorare
Claudio Calabresi
per la prevenzione da
un’altra postazione, quella
di un istituto centrale come
l’Inail, che ha anche un’articolazione territoriale in
tutto il Paese. Un Istituto
esperienza di Snop
tradizionalmente improntaè stata certamente
to alla tutela assicurativa,
molto positiva,
ma che negli ultimi anni si
anche se oggi è circoscritta
a un gruppo relativamente sentanze non hanno svolto sta sempre più lanciando
anche sulle strade della riaesiguo, che però ha percor- il ruolo che si poteva
immaginare dopo le lotte
bilitazione e della prevenso un bel po’ di strada
degli anni Settanta. Lo
zione. Mi è stato così proinsieme. Per molti di noi è
stata un modo di costruire stesso impatto delle norme posto di dare un contribuil futuro, almeno professio- di origine comunitaria non to, partendo dalla mia
esperienza e dal mio punto
nale, e di essere solidali su si è tradotto in un loro
nuovo protagonismo. La
di vista di operatore terriobiettivi di forte connotaprevenzione nei luoghi di
toriale e ispirandomi
zione civile e sociale. Per
lavoro non è tuttora una
all’antico assioma “conome sono stati anni fondaquestione su cui in Italia si scere per prevenire”, ma
mentali anche sul piano
della formazione individua- agisce concretamente e dif- anche ai due cardini “dal
fusamente. Ancora oggi il
sistema informativo alla
le, con momenti esaltanti
programmazione e pianificome l’Operazione preven- diritto alla salute e alla
sicurezza non sono una
cazione” del nostro modello
zione o come la svolta di
questione nazionale partitridimensionale. Era forte
Parma, quando la Società
colarmente sentita, o
la spinta ad attivare collanazionale degli operatori
comunque questi diritti
borazioni per aiutare le
della prevenzione negli
ambienti di lavoro scelse di non raggiungono allo stes- realtà di lavoro territoriale
so modo tutti i lavoratori
a innovare il proprio ruolo
divenire “semplicemente”
italiani, indipendentemente e a contribuire affinché le
la Società nazionale degli
dal posto in cui vivono e
iniziative di prevenzione
operatori della prevenziooccupazionale potessero
ne. Una scelta che, con l’in- lavorano. Del resto, la glogresso di varie professiona- balizzazione e l’esportazio- basarsi su strumenti conone dei rischi in tutto il
scitivi più organici.
lità, culture ed esperienze,
mondo, così come la diviDalla postazione Inail ho
significava l’impegno a
sione del pianeta in fasce
potuto lavorare soprattutto
occuparsi della prevenziosui flussi informativi e,
ne collettiva tutta, a partire profondamente diseguali,
fanno sembrare irrilevanti negli ultimi tempi, anche al
dalla scelta di mettere
persino le nostre ingiustizie Progetto d’indagine sugli
insieme gli aspetti legati
italiche. Questo non riguar- infortuni mortali, che
alla triade produzione,
da soltanto la prevenzione
hanno visto Inail, Ispesl e le
lavoro e ambiente.
destinata ai lavoratori, ma Regioni lavorare insieme
Certo, non tutte le nostre
la prevenzione tutta, di cui con un nuovo spirito collasperanze si sono tradotte
Snop ha cominciato a occu- borativo.
in realtà. La nostra prima
Credo che oggi siano tre gli
“casa comune”, i servizi di parsi faticosamente e con
aspetti su cui puntare:
prevenzione, non sono pro- pochi meritori contributi.
sinergie, sistema, cultura
babilmente oggi quelli che
della prevenzione e della
speravamo diventassero,
legalità sul lavoro. Sinergie
anche se costituiscono una Sinergie, sistema,
e sistema sono condizioni
realtà importante in molte cultura
strategiche sempre più
regioni. Negli ultimi anni, i
lavoratori e le loro rappre- Dopo 25 anni di lavoro nei indispensabili: la collabora-
Trent’anni dopo
L’
zione tra i vari soggetti che
hanno ruoli, responsabilità,
competenze diverse, in particolare sul versante delle
istituzioni ma anche, in
prospettiva, su quello delle
parti sociali, è determinante per realizzare un sistema
della prevenzione. Quello
che nei decenni precedenti
non è mai sostanzialmente
esistito e che negli ultimi
anni comincia a intravedersi come una nuova possibilità di giungere agli obiettivi che in molti abbiamo
cominciato a condividere
negli anni Settanta. Si tratta di sfruttare al massimo,
in una logica di sistema, le
poche risorse investite per
la prevenzione e la tutela
della sicurezza e salute sul
lavoro, facendole convergere, integrando le reciproche
conoscenze e competenze,
coordinando le azioni, evitando le duplicazioni.
Vent’anni
di prevenzione
Niente di nuovo?
Le iniziative per diffondere
meglio una cultura e dei
concetti di lavoro che non
rendano nello stesso tempo
implicito e ineluttabile
anche il sacrificio di sicurezza, dignità e talora salute e vita, rappresentano un
grande obiettivo, anche in
questo paese “devoluto” e
spesso apparentemente
incolto, in questa sanità un
po’ troppo aziendalizzata.
In un contesto dove i lavoratori sono diversi e sempre più flessibili, così come
lo è il mondo del lavoro,
con la sempre più spiccata
prevalenza di piccole e
microimprese, e dove sono
diversi la partecipazione e
il senso di giustizia e di
solidarietà sociale.
In questo mondo solo
13
Vent’anni
di prevenzione
apparentemente informato,
la diffusione tra cittadini e
lavoratori della cultura
della prevenzione e della
consapevolezza del diritto
a un lavoro giusto e sicuro
sono tuttora obiettivi fondamentali. Informazione e
comunicazione sono ancora
una volta aspetti di fondo
per impostare l’unico cambiamento che può consentire di andare oltre i risultati
ottenuti in questi anni e di
far diminuire quei numeri
che parlano di un contributo inaccettabile di vite e di
sacrifici. Conoscere la
realtà, individuare i problemi, analizzarne le cause,
impostare complessivamente e diffusamente iniziative risolutive, informare
e formare: niente di nuovo,
in effetti, ma di nuovo c’è
forse oggi una maggiore
collaborazione che, appunto, può consentire di conseguire insieme risultati che
singolarmente si sono
dimostrati negli scorsi
decenni alquanto difficili.
Biografia
Nato nel 1947, Claudio
Calabresi è medico del
lavoro e medico legale.
Ha lavorato nei Servizi di
prevenzione nei luoghi di
lavoro (Psal) della Liguria,
quasi sempre a Genova,
per 25 anni. Dal 2000 lavora all’Inail, dove sta contribuendo ai progetti di prevenzione occupazionale,
relativi in particolare al
sistema informativo.
Coordina per l’Istituto l’iniziativa dei nuovi flussi
informativi e il progetto
d’indagine sugli infortuni
mortali. È stato il terzo
presidente della Snop negli
anni Ottanta.
14
Le intese progressivamente
raggiunte tra le Regioni e
gli Istituti centrali, insieme
alla possibilità di un impegno condiviso anche dei
principali ministeri competenti (quello del Lavoro,
dopo e nonostante il passo
falso del Testo unico, e
quello della Salute, che per
tanti anni dalla fatidica 833
abbiamo atteso) inducono
concrete speranze anche in
uno come me, che di natura non è mai stato ottimista. È possibile che chi si
occuperà di prevenzione
nei prossimi anni trovi un
sistema meno disgregato e
maggiori possibilità di
lavorare per obiettivi concreti e verificabili, dispondendo di nuove collaborazioni, strumenti e risorse.
Il ricambio generazionale
nei servizi è stato certamente esiguo e il futuro dei
servizi territoriali è alquanto incerto. Credo comunque
che i nuovi operatori della
prevenzione dovranno essere un po’ meno pionieri, ma
il loro lavoro potrà essere
più efficace se si troveranno in un vero sistema e in
un Paese meno diseguale.
Quando ci chiediamo che
cosa lasciamo ai nostri colleghi più giovani, e soprattutto quale futuro per le
attività e le iniziative per
cui abbiamo lavorato e in
cui abbiamo creduto la
risposta non è facile, né
condivisa. Credo però che
sia doveroso conservare la
memoria di cos’è stata,
cosa potrebbe ancora essere, la prevenzione, la tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori e dei motivi etici che la ispiravano e
dovrebbero ispirarla tuttora, naturalmente con tutte
le “modernizzazioni” del
caso. Mi sento di invitare
almeno alla speranza, se
non alla fiducia, in una
continuazione di quello che
era un progetto collettivo
per nulla trascurabile e il
cui perseguimento potrebbe forse addirittura essere
rilanciato. Sta a noi fare in
questi anni quel che possiamo ancora fare e ai
nostri più giovani colleghi
raccogliere il testimone,
rinnovarlo e rilanciarlo.
Cerchiamo dunque di conservare la memoria, ma
anche di trovare la forza di
contribuire a innovare nella
prevenzione in un mondo
che ha ben poco di simile a
quello in cui ci muovevamo
trent’anni fa, ma dove
rimangono, forti seppur
spesso inespresse, le esigenze da cui siamo partiti.
Una storia come
tante
Lalla Bodini
artiamo dall’inizio
della nostra e mia
storia: i servizi territoriali di prevenzione nei
luoghi di lavoro nascono in
Italia durante anni di forte
contestazione in tutti i
campi (scuola, fabbriche,
società). Negli anni ’70
nelle facoltà di medicina
l’epidemiologia delle malattie degenerative (i tumori
per esempio), delle patologie da lavoro, degli infortuni, da merce rara divennero
punto fermo.
La parola prevenzione
entrò a pieno titolo nelle
aule accademiche scuotendo animi e camici.
Chi scrive ha vissuto da
protagonista quel periodo,
sia in università che nella
società civile. Molti di quelli che avevano scelto di
diventare medici si specializzarono in medicina del
lavoro e cercarono di lavorare dalla parte dei lavoratori o meglio studiando le
condizioni di lavoro e con-
P
frontandosi soprattutto con
i protagonisti del lavoro.
Così come molti studenti
dell’epoca lavoreranno
nella (nuova) psichiatria,
nei (nuovi) consultori (ultimamente sotto schiaffo), o
nella più lenta ma rinnovata sanità pubblica. Certo
questo è stato reso possibile dalla promozione dei servizi territoriali di prevenzione: agli inizi degli anni
settanta solo in alcuni
comuni e regioni, ovvero
quelli governati da giunte
di sinistra (ah, il collateralismo!).
I servizi territoriali di
medicina del lavoro nascono quindi come risposta
istituzionale fortemente
innovativa alle esigenze di
interdisciplinarietà, di
attenzione al territorio, di
partecipazione dei lavoratori. Sono gli anni del
boom economico e della
intensificazione della produzione, della meccanizzazione in tutti i campi,
anche definito un sistema
di servizi multidisciplinari,
o almeno la necessità di far
partecipare ai processi di
salute e sicurezza medici,
tecnici, ricercatori, lavoratori delle imprese.
Ma oggi il nostro modello
di intervento è ancora lento
e manca una legislazione
europea e internazionale
incisiva, che affronti il
legame che esiste tra salute
nel lavoro e rapporti sociali, cominciando dalla precarizzazione, dalla estrema
flessibilità dei rapporti professionali, dal fenomeno
degli appalti a cascata,
dalla presenza di lavoratori
stranieri nelle fasi di lavoro
più rischiose, dalla esportazione delle lavorazioni
più pericolose in paesi a
minore tutela.
Da oggi non esisterà più
Oggi il mondo
alcuna anamnesi lavoratiè cambiato
va di una riga: fonditore in
Falck dal 1958 al 1996
Il lavoro si è in parte ter(anno di chiusura). Il datoziarizzato, globalizzato,
re di lavoro responsabile
spersonalizzato. Il lavoro
andrà ripescato da una rete
non è più un valore, ma
per molti quasi tempo per- di appalti, global service e
affidi. Non basterà più un
duto. Certamente da dieci
po’ di bergamasco per
anni abbiamo dalla nostra
intendere l’idioma delparte le direttive europee
l’infortunato, ma occorrerà
che hanno allargato i
(giustamente) il mediatore
campi di intervento tradiculturale e linguistico.
zionale delle politiche di
prevenzione all’insieme dei Certamente l’informatizzafattori che hanno una inci- zione ha reso facile incrodenza sulla salute dei lavo- ciare dati Inps e schede di
dimissione ospedaliera e
ratori e a tutti i luoghi di
quindi far emergere tante
lavoro: dai controllori di
malattie perdute e formare
volo, ai gestori degli
registri di patologia più
impianti di compostaggio.
Le direttive europee hanno accurati. Certamente
formulato l’obbligo di sicu- l’informatizzazione ha reso
rezza a carico degli impren- più agile il rapporto con il
ditori in termini incondizio- sistema di prevenzione di
impresa. I servizi bravi
nati, ovvero l’obbligo di
hanno un sito, si occupano
garantire la sicurezza tecnicamente fattibile (fin che anche di formazione e
informazione.
dura) e stimolato (teoricaMi è rimasta sempre una
mente!) la partecipazione
certezza quotidiana: soladei lavoratori. Hanno
segnati anche da un accrescersi di infortuni e malattie professionali. Molto
spesso verifico (per documentare un tumore professionale, o partecipando a
una riunione del Museo del
lavoro e dell’industria di
Sesto san Giovanni, o cercando di dare una mano a
un lavoratore che deve
chiedere dei benefici previdenziali sull’amianto)
quanto di positivo e preciso è stato fatto allora:
grandi indagini, comparti
sezionati, documenti alla
portata di tutti, lavoratori e
operatori. Ho avuto la fortuna di conoscere leader
operai, sindacali, colleghi
bravissimi, magistrati
capaci, politici attenti.
mente un sistema informativo permette la programmazione di tutti gli altri
interventi, siano di informazione, assistenza, controllo, vigilanza. E solamente un suo aggiornamento sistematico permette il governo del mutamento continuo del mondo
delle imprese. Altrimenti è
giusto parlare di autoreferenzialità, soggettività,
casualità, e questo è ancora
più vero oggi nella velocità
del cambiamento.
Dopo il 1975, anno di fondazione a Milano del
Coordinamento degli operatori della prevenzione, il
1985, anno di fondazione di
Snop (associazione e rivista, entrambe vive e vegete), il 1990, anno di fondazione della Ciip, area di
lavoro comune tra diversissimi, non ancora capita
fino in fondo nella sua
potenzialità, oggi, nel 2006,
alla nostra maturità (21
anni come associazione e
33 anni come servizi !)
rimangono ancora differenze spaventose tra le regioni, lentezze esasperanti in
alcune istituzioni e soprattutto un sordo silenzio sindacale e politico. Le attuali
leggi del governo italiano
rischiano di determinare
una devolution (leggi regionalizzazione senza regole)
ancora più spinta dei sistemi sanitari e quindi un
acuirsi di quella dicotomia
tra servizi forti (organico,
strumenti) e servizi deboli.
Sui temi della sicurezza e
salute nel lavoro da 20 anni
commissioni parlamentari,
convegni e seminari hanno
ribadito questa ingiustizia
per i lavoratori, ma anche
per le imprese.
Carta 2000 a Genova rimane il momento più alto
degli ultimi decenni
Poiché io credo che un
sistema pubblico serva
ancora fino a prova contraria, occorre quindi un’altra
“operazione prevenzione”.
E subito. Ma anche la vecchia “operazione comunicazione”, che Claudio
Calabresi ha sempre cercato di farci capire, andrebbe
ripresa proprio in questi
mesi e anni non facili.
Vent’anni
di prevenzione
Biografia
Ho sempre lavorato in un
servizio territoriale di prevenzione e, alle soglie della
pensione, penso che continuerò, forse per pigrizia
atavica. Lo trovo sempre
un lavoro utile, umanamente gratificante, a volte
persino divertente. Ho conseguito le tre specialità
(medicina del lavoro, igiene
e sanità pubblica, igiene
degli alimenti a indirizzo
dietologico) che potrebbero
fare di me (dopo un credibile dimagrimento) l’ideale
direttore di un dipartimento di prevenzione. Ho fondato il Coordinamento
degli operatori della prevenzione (1975), Snop
(1985), Ciip (1990).
Ho organizzato molti convegni e seminari.
Immodestamente credo di
avere dato un contributo
decisivo a molte cose,
anche dal punto di vista
economico, con il lavoro di
divulgazione scientifica
per Ambiente e lavoro.
Attualmente sto cercando
di fare funzionare il mio
Servizio: non è molto. Ma si
sa, continuo a stare ostinatamente dove mi sono
messa, sono sempre stata
nostalgica, stanziale e con
pochissimo acume, o forse,
interesse per la carriera.
15
evenienze e il norcino è
disponibile, allora si macella. Il veterinario non fa in
tempo ad arrivare in tutte
le case. E se arriva, spesso
arriva a cose fatte. Se arriva a cose ancora da fare,
il buratto grosso
non riscontra mai alcun
problema. La sua è una
visita pro forma e non
Giorgio Ferigo
serve a nulla.
Intanto, i norcini lavorano.
Sanno benissimo quando
una carne è buona per
farne insaccati e quando è
da gettare ai porci (è il caso
di dirlo). Sanno benissimo
che fare di una carne
maculata, di una cisti, di
un ascesso cronico. È nel
loro interesse che i prodotti
riescano gustosi, conservagettate sulle braci, il fumo
n quelle interminabili
bili, commestibili, che la
acre saliva al cielo, di esso
(ma ahinoi terminate)
quantità di sale sia adeguasi pascevano i superni.
ore di latino e greco, i
ta e che la pulizia sia masprofessori ci raccontavano Cosicché quei preti erano
sima. Se una partita va
anche macellai, e, ci fosseche gli antichi offrivano
storta, il padrone del maiaro ancora, i tetti di quei
sacrifici di animali ai loro
le non li chiama più, li
templi mostrerebbero un
dei. Non approfondivano
affronta all’osteria, gli
più di così, né ci aiutavano foro o camino per lasciar
canta «la porca» (è il caso
uscire il fumo, fino al pala- Il purcit su pa brea
a capire di più i peplum di
di dire anche questo).
to degli dei. Le carni arroHollywood o di Cinecittà,
C’è una cultura tradizionaDal 1928 anche un vetericon i loro templi candidi di stite sullo spiedo, bollite
le del saper fare, frutto di
nario partecipa (o dovrebmarmo pario, appena lava- nel pentolone, venivano
sperimentazione e di attencondivise tra i fedeli, che se be) all’ammazzamento del
ti col Bref.
zione, di errore e prova, di
porco di famiglia. Fa la
ne cibavano ritualmente.
Se l’avessero fatto, avrebvisita ante mortem; la visi- innovazione e spiegazione
Chi vuole, può leggersi in
bero dovuto raccontarci
(non scientifica, ma provata post mortem; incassa i
proposito Homo necans, il
che “sacrificare” significadiritti di accesso (recte: pre- ta, questa sì evidence
grande libro di Walter
va macellare. Dunque, nel
based) che la nostra cultura
stazione nell’interesse dei
Burkert sul sacrificio
giorno delle Bufonie il
del sapere non tiene in
cruento nell’antica Grecia). privati, che di interesse
Partenone diventava una
beccaria nella quale i preti Il clima tragico e festevole non ne hanno alcuno, e che alcuna considerazione. La
salatura delle carni si facenon chiederebbero alcundi quei riti ci rimane inate gli accoliti dell’epoca
va prima di scoprire che il
ché, se potessero). Ripone
tingibile. E tuttavia non
jugulavano, squartavano
evisceravano, dissezionava- doveva essere troppo diver- nel bagagliaio il dono di sei sale è un batteriostatico.
rocchi di salsicce e quattro L’essicazione si faceva
no il manzo dedicato al dio. so dal clima che si respira
prima di scoprire l’attività
braciole.
ancora oggi nel giorno in
Per il suovetaurilia, i temdell’acqua. Questa cultura
L’uccisione del maiale si
cui, presso le famiglie che
pli dorici e dorati di
tradizionale ha garantito la
concentra in un tempo
Paestum si trasformavano ancora lo ingrassano, si
molto breve. Da noi si dice: sopravvivenza a milioni di
in macello per il manzetto, uccide il maiale.
Ammazzare una bestia “di «Sant’Andrea / il purcit su persone, per millenni,
la pecora, il porco rituali.
senza troppi incidenti. Un
pa brea» (30 novembre, il
famiglia” è un evento
Sulle aie e nei cortili si
giorno bisognerà riflettere
denso di grumi di colpa: il maiale sull’asse); altri
ammazzava l’asinello, in
davvero sul denominatore
porco scappa nella neve, le aspettano il vecchio di
onore del mentulatior
sue urla stridono acute nel- luna; altri, che il freddo sia delle cosiddette tossinfezioPriapo, dio degli orti e dei
ni alimentari (il numero dei
pungente, e così via.
l’aria novembrina, il sanfrutteti. Le exta (interiora)
pasti per nazione? per tre
Quando si danno queste
di questi animali venivano gue sprizza nel bacile,
Sacrificio
I
16
fuma la pignatta di acqua
bollente che servirà a
togliere le setole e a lavare
le budella mentre affilatissime lame disossano e tritano le carni. Poi la tragedia si scioglie nel sentimento dell’abbondanza procurata, mentre si srotolano le
ghirlande di salsicce, si
appendono i cotechini, si
portano a fumare i salami
sulla pertica. Certo, i numerosi boccali di vino e i bicchierini di grappa aiutano.
A sera, uno sbracamento
eccitato e ilare prende tutti.
(Chi non vi ha mai partecipato può andare a riguardarsi l’intensa ricostruzione che i contadini emiliani
hanno allestito per
Novecento di Bernardo
Bertolucci, o che i contadini lombardi hanno ricreato
per L’albero degli zoccoli di
Ermanno Olmi).
con eccezionale onestà
intellettuale e rigore scientifico dai nostri colleghi di
Gorizia, si può leggere sul
sito EpiCentro.
Naturalmente, ci sono stati
mugugni da parte di un
gruppo minoritario di veterinari e una raccolta di
firme per abolirla.
I promotori della raccolta
di firme non hanno uno
straccio di argomento da
opporre alle dimostrazioni
dei colleghi goriziani e un
Norcini e mugugni
ragionevole motivo per
continuare questa pratica
In Friuli Venezia Giulia,
una delibera di Giunta del- manca, salvo l’introito, che
è motivo potente.
l’agosto 2005 ha praticamente abolito la visita vete- Si tratta di un classico
esempio della credenza
rinaria prevista dal Regio
generale che la gente esiDecreto del 1928. La relazione tecnica che la sostan- sta per giustificare i prezia, un davvero importante sunti servizi che la burocrazia pretende di darle,
lavoro di Ebp, costruito
volte al giorno? per il
numero di pietanze a
pasto?) onde ricalibrare
quei pochi casi rilevati, e
concludere: che il mondo
intero si è nutrito prima e
senza di noi e che in queste
pratiche noi abbiamo introdotto soltanto cautele marginali, procedure idiosincrasiche, superfetazioni e
pleonasmi.
nel suo interesse e per
legge, ovviamente dietro
compenso.
Un passo soltanto di questa delibera non convince.
Ed è là dove si prescrive
che il norcino debba «essere formato» per continuare
a fare quello che ha sempre
fatto, ieri senza la tutela
sostanziale, oggi senza la
tutela formale, del veterinario.
Cosicché, sono partiti i
corsi di formazione (nuova
panacea della prevenzione),
dove colui che sa ma non
sa fare (il veterinario) insegna a colui che sa fare (il
norcino) cose che colui che
sa fare non ha alcuna
intenzione di imparare (il
norcino non vuole diventare un veterinario).
E quando finalmente colui
che sa fare dimostra di
sapere ciò che colui che sa
ma non sa fare ritiene indispensabile per fare, allora
con gran giubilo viene
iscritto all’Albo regionale
dei norcini.
Servirà, non servirà tutta
questa formazione?
E prima, al tempo delle
non-visite, serviva? Tutti lo
ignorano, a nessuno importa dimostrarlo.
Così, ancora una volta, un
mantello che ha per trama
la finzione scientifica e per
ordito un vero autoritarismo, viene steso sulle culture popolari, che non sono
ormai culture da capire e
dalle quali imparare, ma
soltanto culture minori da
sradicare il prima possibile, e intanto da tenere sotto
rigida pupillanza.
Il buratto
grosso
17
RISCHIO AMIANTO: ESPOSIZIONI
DI IERI, ESPOSIZIONI DI OGGI
I possibili danni alla salute indotti dall’ambiente sono molteplici e hanno cause diverse. Questo dossier “Salute e lavoro”
ne esplora alcune. Nel settore edile e in quello navale i pericoli vengono ancora dall’amianto, come ci ribadisce il lavoro del Cspo di Firenze e le esperienze della Egitto Express e
della Clemenceau. Sostanze più innocue, come il calcestruzzo, possono causare danni alla pelle, soprattutto se l’esposizione è prolungata: lo conferma uno studio della Regione
Marche. Un problema antico che solo di recente ha avuto il
giusto riconoscimento è il mobbing: lo mette in luce una
panoramica che fa il punto della situazione in Italia.
Contro i danni del fumo passivo negli ambienti di lavoro, nel
2005 è entrata in vigore in Italia la legge Sirchia, un successo. Ma già da tempo alcune realtà locali, come l’Ausl di
Cesena, avevano mdelle contromisure.
esposizione professionale ad amianto ha riguardato un altissimo numero di lavoratori per
buona parte del secolo scorso. In
particolare, dalla fine della seconda guerra mondiale a tutti gli
anni Ottanta si sono verificate
esposizioni importanti in numerosi comparti produttivi. Un dato
indicativo è rappresentato dal
numero di richieste di benefici
previdenziali all’Inps, che arriva
intorno a 150 mila. Il Registro
nazionale mesoteliomi e i registri
regionali raccolgono la casistica
della principale patologia asbesto
correlata. Casistica da cui emerge
L’
Salute
e lavoro
dossier
18
con crescente chiarezza quali
siano i comparti produttivi a
rischio, sia per l’intensità che per
la qualità dell’esposizione. La
legislazione attuale vieta l’utilizzo dell’amianto nei nuovi prodotti
e consente anche un controllo
delle operazioni a rischio, che
sono costituite soprattutto da
lavori di manutenzione o di rimozione dell’amianto ancora in
opera. Le esposizioni attuali all’amianto sono quindi diminuite
rispetto al passato, sia per numero di esposti totali che per intensità, ma solo con la dismissione
totale dell’uso di questo minerale
e dei materiali che lo contengono
potremo avere la certezza che
siano cessate. In questo contributo si presentano i dati relativi ai
comparti a maggior rischio, ricavati dall’analisi della casistica
toscana di mesoteliomi e quelli
relativi agli attuali esposti ad
amianto ricavati dalle relazioni
annuali ex articolo 9, legge 257.
Gli esposti del passato…
Gli archivi dei mesoteliomi rappresentano oggi un valido punto
di osservazione delle esposizioni
ad amianto avvenute in passato.
Come risulta dalla tabella 2, vi è
sufficiente sovrapponibilità tra il
numero di casi osservati e i comparti in cui l’amianto veniva diffusamente utilizzato.
Emergono infatti l’edilizia, la cantieristica navale e la costruzione e
manutenzione dei rotabili ferroviari che, per quanto riguarda la
frequenza dei casi, hanno un
andamento parallelo tra la casistica toscana e quella nazionale.
Per le difformità tra le due casistiche devono tenersi in considerazione le diverse caratteristiche
produttive delle singole aree e il
fatto che la casistica nazionale
considerata si riferisce soltanto a
5 regioni su 20, tanti sono i Cor
che hanno inviato i dati utilizzati
nel primo rapporto Ispesl. La cernita di stracci e il tessile, per
esempio, sono caratteristiche
della zona di Prato, noto centro
tessile di importanza nazionale.
Interessante risulta anche l’andamento della frequenza dei casi
suddivisa per periodo di prima
esposizione (grafico 1), dalla
quale possono ricavarsi importanti informazioni. Il periodo a
maggior frequenza, 1955-59, è
sicuramente caratterizzato dalla
forte ripresa produttiva del dopoguerra, ma anche dall’inizio dell’impiego di amianto per la coibentazione di rotabili ferroviari
avvenuto nel 1956-57. È aumentato così anche il numero di lavoratori esposti per le esposizioni
avvenute nel periodo compreso
tra le due guerre, quando verosimilmente le condizioni di lavoro
erano pessime dal punto di vista
igienico. È possibile ipotizzare
che il numero di casi sia stato
sicuramente più elevato di quello
descritto, dato che fino a non
molto tempo fa la definizione diagnostica era decisamente meno
accurata, e dato che la registra-
zione puntuale dei casi è iniziata,
con ragionevole precisione, soltanto dall’inizio degli anni
Novanta. Su queste esposizioni,
quindi, si sono osservati solo i
casi con una latenza particolarmente lunga.
I dati epidemiologici iniziano a
dare precise indicazioni anche
sulla qualità dell’esposizione a
diverse varietà mineralogiche di
amianto. In particolare, laddove
sia possibile individuare come
prevalente l’esposizione a un solo
tipo di amianto, le esposizioni
pregresse ad anfiboli risultano di
gran lunga più pericolose che
quelle avvenute prevalentemente
a crisotilo. Da citare ad esempio
lo studio di coorte sui vetrai della
zona di Empoli (4), che non evidenzia alcun caso di mesotelioma
nonostante l’uso diffuso di amianto di tipo crisotilo. In questo comparto della medesima zona sono
comunque presenti due casi di
mesotelioma (uno pleurico e un
altro peritoneale) non descritti
nella coorte in quanto non rientranti nei criteri di selezione della
popolazione in studio. Da una
stima degli addetti complessivi
che si attesta intorno a 7 mila
unità per complessivi 200 mila
19
Salute
e lavoro
dossier
anni/uomo, risulta un tasso di
mortalità per mesotelioma di
1/100 mila: un dato inferiore a
quello regionale per la popolazione maschile (1,5/100 mila).
Per contro, in una coorte di addetti a una industria metalmeccanica
che faceva largo uso di lastre di
cemento amianto con un contenu-
to di crocidolite intorno al 20%, si
osservano 4 casi su 160 addetti
per circa 6400 anni/uomo di
osservazione dal 1960 a oggi. In
questo caso, il tasso risulterebbe
essere 62,5/100 mila, ben 40 volte
superiore a quello regionale.
Nelle altre coorti toscane di ex
esposti ad amianto, l’incidenza dei
casi di mesotelioma è rilevante
negli addetti alla costruzione di
rotabili ferroviari e nei cantieri
navali. In entrambi i comparti,
infatti, veniva fatto largo uso di
crocidolite. Nel contempo, livelli
anche contenuti di esposizione
(che non hanno comportato insorgenze di patologie dose correlate,
Sesso
N° casi
Con esposizione
%
Maschi
503
407
80,8
Femmine
117
33
28,2
Totale
620
440
70,9
Tabella 1 - Casistica mesoteliomi (1970-2003, Cor Toscana)
Comparto
Edilizia e coibentazione
Cantieristica navale
Costruzione riparazione rotabili
Cernita stracci
Metalmeccanica
Trasporti marittimi
Chimica
Tessile
Vetro
Zuccherifici e industria alimentare
Termoidraulica
Cemento amianto
Siderurgia
Produzione energia elettrica
Forze armate
Portuali
Trasporti ferroviari
Concia
Manutenzione acquedotti
Impianti elettrici
Altri comparti
Totale
N° casi Toscana % Cor Toscana
60
13,6
57
13,0
41
9,3
37
8,4
32
7,3
15
3,4
15
3,4
22
5,0
13
3,0
12
2,7
11
2,5
11
2,5
10
2,3
13
3,0
10
2,3
9
2,0
6
1,4
4
0,9
4
0,9
3
0,7
55
12,5
440
100,0
% Re.Na.M
10,3
20,6
4,9
2,8
8,2
Nd*
5,1
0,8
0,5
2,6
2,1
6,2
7,2
2,1
Nd*
4,6
1,3
Nd*
Nd*
1,5
Nd*
Nd*
*Nd = non determinabile per diversità di accorpamento di comparti produttivi
20
Tabella 2 - Casistica mesoteliomi (1970-2003, Cor Toscana e ReNaM)
Salute
e lavoro
dossier
Grafico 1 - Distribuzione di frequenza del periodo di prima esposizione ad amianto (Cor, Toscana)
come asbestosi parenchimali)
sono state comunque sufficienti a
causare numerosi casi di mesotelioma. Dai dati forniti dall’Inail
sulle richieste di benefici previdenziali, si ricava un numero
intorno a 150 mila unità (marzo
2002). Hanno ottenuto il riconoscimento circa 60 mila, con il 10%
delle domande ancora da esaminare. I riconoscimenti vengono
assegnati a chi ha avuto un’esposizione ponderata di 100 ff/l
(numero di fibre contenute in un
litro di volume) per almeno dieci
anni: criteri quindi molto diversi
da quelli utilizzati nell’ambito del
registro nazionale, che considera
esposti tutti coloro che hanno
avuto un’esposizione superiore,
anche se di poco, a quella della
popolazione generale. Il riconoscimento risulta comunque influenzato da fattori politici e sociali che
possono comportare importanti
misclassificazioni, tanto da rendere difficilmente utilizzabili i dati
per scopi scientifici.
… e quelli attuali
Non esistono al momento dati
epidemiologici su patologie asbesto correlate per gli attuali esposti ad amianto. Si tratta in massima parte di lavoratori giovani
che hanno iniziato l’attività circa
dieci anni fa, da quando cioè è
entrata in vigore la legge di
messa al bando dell’amianto.
Tuttavia nella lista toscana ricavata dalle relazioni ex articolo 9
sono presenti anche i dipendenti
delle ferrovie che prestano la loro
opera nelle officine delle ferrovie
stesse. Per una errata interpretazione della legge, molte aziende
che tuttora utilizzano indirettamente amianto nei processi produttivi non inviano la relazione
annuale. Risulta pertanto difficile
avere una visione panoramica
reale dell’attuale uso dell’amianto. Si tratta verosimilmente di
lavorazioni in grandi impianti
chimici, petrolchimici, siderurgici
e di opere di manutenzione navale su naviglio vecchio che ancora
presenta particolari meccanici
con coibentazioni in amianto.
L’altro problema, che riguarda
principalmente gli addetti a rimozioni di amianto friabile, è quello
della scarsa diffusione tra le
aziende di una metodologia cor-
retta di valutazione del rischio. La
stragrande maggioranza delle
relazioni indica “uguale a zero”
l’esposizione degli addetti, ma è
ragionevole pensare che i cosiddetti “infortuni igienistici” comportino invece esposizioni, se pur
minime, ad amianto.
Malfunzionamento degli impianti
di estrazione dell’aria, contaminazioni accidentali delle aree di cantiere frequentate da addetti senza
le protezioni individuali, non corretta applicazione delle procedure
di lavoro che si verificano spesso
anche per la necessità di effettuare interventi in ambienti molto
ostili con posizioni disagevoli,
sono le principali cause delle
esposizioni accidentali. Una
osservazione che è doveroso rilevare riguarda l’adeguatezza delle
protezioni respiratorie individuali
utilizzate in queste operazioni. Il
l’autore
Stefano
Silvestri
U.O. Epidemiologia
ambientale-occupazionale
Cspo Firenze
21
Salute
e lavoro
dossier
decreto del ministero della Sanità
del 20 agosto 1999 indica i criteri
di scelta delle protezioni respiratorie individuali, calcolando il fattore di protezione (sia nominale
che operativo per le varie tipologie di maschere) sul livello di azione del decreto legislativo 277/91, e
cioè su 100 fibre/litro. Va da sé che
è consentito utilizzare protezioni
respiratorie per concentrazioni
ambientali di una certa rilevanza,
come di solito si verificano nei
cantieri di scoibentazione, che
possono “lasciar filtrare” nell’apparato respiratorio fino a 100
ff/litro. Questo risulta essere in
palese contraddizione con i dettami del controllo del rischio ad
agenti cancerogeni, come ben
esplicitato nel titolo VII del decreto 626/94. È dunque ragionevole
assegnare a questi lavoratori una
esposizione ad amianto complessivamente superiore a quella della
popolazione generale.
Risultati ex esposti
22
La Toscana ha istituito il proprio
registro mesoteliomi già nel 1988
e ad oggi ha archiviato 620 casi
istologicamente diagnosticati
insorti tra i residenti in Regione
dal 1970. Nella tabella 1 viene sinteticamente riportata la casistica
con la frazione per la quale è stata
individuata esposizione ad
amianto. La tabella 2 riporta invece la distribuzione dei casi nei
singoli comparti produttivi sia
della casistica toscana per gli
anni 1970-2003 che di quella raccolta nei 5 Cor (Piemonte,
Liguria,
Emilia
Romagna,
Toscana, Puglia) del Registro
nazionale mesoteliomi negli anni
1993-1996. Nel grafico 1 è riportata, invece, la distribuzione di frequenza del periodo di prima esposizione ad amianto della casistica
toscana.
Il dato è ricavato dalle anamnesi
lavorative dei casi; come prima
esposizione viene individuata
Attività
Impianti elettrici
Riparazione di rotabili
Produzione energia elettrica
Edilizia
Scoibentazione
Autotrasportatori
Smaltitori
% sul totale delle relazioni
3
5
5
46
22
9
6
Concentrazione
0∏2
>2 ∏ 10
>10 ∏ 100
>100 ∏ 600
>600 ∏ 2000
>2000 ∏ 10000
> 10000
Livello
ambientale
molto basso
basso
medio
medio alto
alto
molto alto
Concentrazione
0∏2
>2 ∏ 10
>10 ∏ 100
>100 ∏ 200
>200 ∏ 600
>600 ∏ 3000
> 3000
Livello
ambientale
molto basso
basso
medio
medio alto
alto
molto alto
In alto tabella 3 - Frequenza delle relazioni per comparto
Al centro tabella 4 a - Contaminazioni dovute a fibre di amianto
crisotilo (valori in fibre/litro)
In basso tabella 4 b - Contaminazioni ambientali dovute
ad anfiboli miscela crisotilo/anfiboli (valori in fibre/litro)
quella cronologicamente più lontana dall’anno di diagnosi oppure
quella a maggior livello di certezza, nel caso di esposizioni avvenute in più periodi lavorativi.
Risultati attuali esposti
Per quanto riguarda gli esposti
attuali, sono state registrate complessivamente 1282 relazioni
inviate da 1152 ditte, dal 1988 a
tutto il 1999. In totale, la lista
degli addetti comprende 4491
lavoratori. Nella tabella 3 si riporta la frequenza media sul totale
delle relazioni dei comparti più
rappresentativi.
Le relazioni non riportano dati
quantitativi sull’esposizione, in
quanto presuppongono che le
protezioni collettive e individuali
siano sufficienti a eliminare qualsiasi, anche minimo, rischio di
inalazione di fibre.
La letteratura fornisce stime
quantitative sui livelli di contaminazione ambientale di fibre aerodisperse, misurate in varie condizioni di lavoro e con operazioni
svolte su materiali contenenti
amianto di diversa natura.
In assenza di dati ambientali
misurati, un utile riferimento per
la stima dei livelli di esposizione
può essere rappresentato dalla
tabella 4 (4a e 4b), che associa
Salute
e lavoro
IL REGISTRO NAZIONALE MESOTELIOMI
Il Registro nazionale mesoteliomi (ReNaM) e i relativi registri regionali (Cor), istituiti formalmente nel
dicembre 2002, hanno il compito di raccogliere tutti
i casi di mesotelioma diagnosticati istologicamente
e di ricostruire, per ogni singolo caso, la storia di
lavoro e di vita: lo scopo è accertare un’eventuale
esposizione ad amianto. La procedura di lavoro è
unificata su tutto il territorio nazionale secondo le
linee guida pubblicate dall’Ispesl. A ogni soggetto
viene somministrato un questionario, valutato successivamente per stabilire se e quando vi sia stata
esposizione ad amianto. Gli archivi registrano e
codificano i comparti lavorativi frequentati nonché
le mansioni svolte. Dai dati raccolti è possibile risalire alle condizioni di esposizione del passato: un
punto particolarmente importante, dato che la
latenza media per i mesoteliomi è di circa 40 anni.
Oggi esposizioni ad amianto si possono verificare
nei comparti in cui si procede alla rimozione e allo
smaltimento di materiali contenenti amianto e nelle
intervalli quantitativi a una scala
nominale semi-quantitativa.
Prevenzione, prima di tutto
Gli strumenti oggi disponibili
permettono dunque di sviluppare
un’attività di sorveglianza epidemiologica sugli esposti ad amianto, sia per approfondire alcuni
aspetti di ricerca che per favorire
interventi di prevenzione.
In particolare, la raccolta di coorti di ex esposti ad amianto potrà
permettere di fare stime di rischio
per il mesotelioma (e anche per il
tumore polmonare) in relazione ai
tempi di latenza, al tipo di fibra,
alla durata dell’esposizione.
Per gli attuali addetti a lavorazioni su amianto è da rilevare una
scarsa attenzione da parte delle
aziende del settore alle corrette
procedure per la valutazione del
rischio. L’insistenza con la quale
viene valutato “zero” il livello di
esposizione potrebbe indurre a
pensare, nel caso in cui si verifichi una patologia asbesto correla-
aziende che tuttora lo utilizzano indirettamente nei
processi produttivi. La legge 257/92 prevede, all’articolo 9, che le aziende che operano in questi comparti inviino ogni anno alle Regioni una relazione
dettagliata con le informazioni sulle attività svolte,
l’elenco nominativo degli addetti e le relative esposizioni ricavate dalla valutazione del rischio, (decreto
legislativo 277/91). L’U.O. di Epidemiologia del
Cspo effettua per la Regione Toscana il controllo e
l’archiviazione di queste relazioni costruendo così
anche una lista nominativa di addetti. La protezione degli attuali lavoratori dal rischio di inalazione
di fibre è affidata a presidi di prevenzione collettiva
e individuale. Negli ultimi dieci anni la legislazione
inerente il controllo di questo rischio si è arricchita
di numerosi decreti tecnici che indicano precise
metodologie da attuare per un lavoro “sicuro”.
In particolare il decreto del ministero della Sanità
del 20 agosto 1999 indica i criteri di scelta delle
protezioni respiratorie individuali.
ta tra questi addetti, che anche
soltanto la manipolazione senza
inalazione delle fibre possa essere
dannosa. Ma soprattutto questo
atteggiamento risulta fuorviante
per le attività di sorveglianza
sanitaria affidate ai medici competenti. L’identificazione degli
attuali esposti ad amianto fornisce un’importante opportunità
per sviluppare programmi di prevenzione primaria, sia per quanto
riguarda il controllo sulle esposizioni lavorative da parte dell’organo di vigilanza, sia per quanto
riguarda interventi mirati all’individuo (come gli interventi per la
cessazione del fumo, o quelli per
una corretta alimentazione).
È quindi importante che a livello
regionale siano individuate le
strutture competenti per sviluppare simili interventi di studio,
sorveglianza epidemiologica e
prevenzione primaria.
BIBLIOGRAFIA
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dossier
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addetti di un’azienda di produzione di rotabili ferroviari” La
Medicina del lavoro Vol 91, n°1
Gen Febb 2000
Silvestri S. “Gli attuali esposti
ad amianto” Atti conferenza
nazionale amianto Roma 1999
23
AMIANTO A BORDO:
E LA NAVE VA…
Salute e lavoro
l problema della presenza di
amianto a bordo di imbarcazioni ancora in esercizio è stato
riportato alla luce dalla vicenda
dell’Egitto Express, nave passeggeri italiana posta sotto sequestro
per inquinamento da fibre di
amianto. Nonostante i noti rischi
per la salute, si tratta di una questione spesso sottovalutata, a
fronte di una carenza o addirittura di una mancanza generale di
controlli e ispezioni adeguate.
L’Egitto Express, traghetto della
“Adriatica
di
navigazione”
(società a partecipazione statale,
oggi assorbita dalla Tirrenia),
operava principalmente tra le due
sponde dell’Adriatico, in particolare tra Italia, Croazia e Albania.
A seguito di un esposto che
segnalava lavori di manutenzione
a bordo in zone trattate con
amianto, la Asl di Ancona è intervenuta con personale ispettivo del
Servizio prevenzione e sicurezza
ambienti di lavoro. Dal controllo
effettuato è emerso che da una
paratia era stato rimosso materiale che sembrava essere costituito
da amianto. Gli ispettori hanno
quindi prelevato il materiale e
sospeso i lavori, imponendo l’isolamento delle aree interessate dall’intervento. Le analisi effettuate
hanno poi confermato i sospetti: il
materiale prelevato conteneva
amianto, precisamente amosite.
Lorenzo Papa
Giorgio Sampaoli
I
24
La recente vicenda del traghetto Egitto Express, nave passeggeri italiana che operava principalmente tra le due sponde dell’Adriatico, ha
riportato alla luce il problema della presenza di amianto a bordo di
imbarcazioni ancora in esercizio. Ancora oggi sono moltissime le navi
in circolazione costruite prima della messa al bando dell’amianto.
Nonostante i noti rischi per la salute, primo fra tutti l’insorgenza di
tumori polmonari, i controlli sono scarsi o inadeguati, se non del
tutto assenti. Viene quindi da chiedersi quali tutele abbiano i marittimi e le altre persone, siano esse passeggeri o lavoratori che a vario
titolo salgono a bordo di vecchie navi.
Dalle verifiche al sequestro
La verifica dei documenti di
bordo ha messo in evidenza come
la mappatura relativa alla presenza di “materiali contenenti amianto”, redatta in conformità al
decreto ministeriale del 20 agosto
1999, non rappresentasse la
realtà: da questo documento,
infatti, la zona alloggi equipaggio
di prora risultava esente da
amianto. Va precisato, poi, che i
ponti destinati ai passeggeri
erano già stati oggetto di bonifica. Nei giorni successivi sono
stati effettuati lavaggi di aria e
pulizia a umido, per abbattere l’eventuale presenza di fibre aerodi-
sperse. Sono stati effettuati anche
campionamenti dell’aria, sia nelle
zone segregate di prora sia negli
alloggi equipaggio di poppa. I
risultati hanno mostrato un valore di 2,56 ff/l (quantità di fibre
contenute nel volume di un litro),
superiore a quello indicato dal
decreto ministeriale del 6 settembre 1994 per il rilascio di un cantiere di bonifica (2 ff/l). Sono stati
quindi effettuati ulteriori campionamenti: i dati rilevati, sia prima
che dopo la pulizia, indicavano in
ben cinque dei sei punti di prelievo valori superiori a 2 ff/l, con un
valore massimo di 13,5 ff/l: era
dunque chiara una situazione di
inquinamento già presente e
gli autori
Lorenzo Papa
Giorgio Sampaoli
Servizio prevenzione e sicurezza
negli ambienti di lavoro
Asur Zona territoriale 7, Ancona
ancora in corso.
Mentre la nave continuava a svolgere regolarmente il proprio servizio, tutte le attività disposte per
risolvere l’inquinamento (incontri
con la società armatrice, atti di
prescrizione e disposizione) non
hanno portato a una soluzione
concreta. E per questo è stato
richiesto il sequestro della nave,
disposto dalla Procura. Sequestro
che si è protratto fino all’esecuzione degli interventi necessari,
effettuati nel porto di Trieste.
Quali tutele
per i lavoratori?
A causa delle sue caratteristiche
tecniche e dei suoi bassi costi, l’amianto ha trovato per lungo
tempo ampio impiego in numerosi settori dell’industria. Tra questi, appunto quello delle costruzioni navali, dove è stato utilizzato massicciamente per le particolari qualità di isolante termico
(coibentazioni di tubature, guarnizioni, pannelli) e di resistenza al
fuoco (spruzzato sulle strutture
metalliche e a protezione degli
impianti).
Simili applicazioni nel tempo possono provocare dispersione in
aria di fibre, in particolare a
causa dell’usura dei materiali o
degli interventi demolitivi che si
rendono necessari per intervenire
sugli impianti “protetti” da
amianto. Tutto questo, inoltre, in
un ambiente caratterizzato da
forte presenza di vibrazioni e ventilazione forzata.
Sono moltissime le navi in circolazione costruite prima della
messa al bando dell’amianto. E
sono numerosi anche gli studi
che hanno dimostrato un significativo aumento di tumori a carico
dell’apparato respiratorio nei
lavoratori marittimi. È un fatto,
per esempio, che tra gli addetti ai
cantieri navali si registrino molti
casi di mesotelioma pleurico.
Il fatto che in una nave battente
bandiera italiana, appartenente a
una società a capitale pubblico,
che aveva effettuato il censimento
previsto dalla legge, il problema
amianto fosse tutt’altro che sotto
controllo può essere indicativo
dell’attenzione che viene posta a
questi aspetti.
Viene quindi da chiedersi: quali
tutele hanno i marittimi e le altre
persone, passeggeri o lavoratori
che a vario titolo salgono a bordo
di vecchie navi?
Il decreto legislativo 271/99, che
pone come obiettivo il rispetto
delle norme a tutela della sicurezza e della salute nelle navi, risente della mancanza di strumenti,
come per esempio le circolari
attuative, che lo rendano operativo a pieno titolo e definiscano i
ruoli dei vari organi di vigilanza
(autorità e sanità marittime, Asl).
La sezione Marche di Snop è
disponibile a raccogliere contributi per affrontare in concreto la
questione partendo dall’attuale
quadro normativo, e proponendo
il coinvolgimento di altri soggetti
(associazione di tutela dei lavoratori, passeggeri, ambientalisti
ecc) interessati al problema.
Salute
e lavoro
dossier
CLEMENCEAU: NESSUNO LA VUOLE
Dopo mille peripezie, torna in Francia la
Clemenceau, la portaerei di 27 mila tonnellate salpata lo scorso 31 dicembre dal porto di Toulon per
essere smantellata in India. Dopo essere stata bloccata nelle acque territoriali egiziane, il 13 febbraio
la Corte suprema dell’India aveva disposto un supplemento di indagini per determinare quantità e
natura dei materiali pericolosi a bordo.
La portaerei, un tempo orgoglio della marina
nazionale transalpina, secondo l’organizzazione
ambientalista Greenpeace sarebbe stata infatti
piena di amianto, Pcb, piombo, mercurio e altre
sostanze chimiche pericolose. Inoltre, nessuno era in
grado di garantire che venisse smantellata tutelando la salvaguardia dell’ambiente e la salute degli
operai che lavorano nei numerosi cimiteri navali
dislocati tra India, Pakistan e Bangladesh.
Il 15 gennaio scorso il governo egiziano ne ha consentito il transito attraverso il canale di Suez, dopo
aver accertato che, in quanto nave da guerra, non
rientrava nella Convenzione di Basilea sui carichi
pericolosi. La nave ha così ripreso il suo viaggio che
avrebbe dovuto portarla nel deposito indiano di
Alang per essere smontata e dismessa. Ma, ancora
una volta, lo stop imposto dalle autorità indiane l’ha
costretta a tenersi al largo delle acque territoriali.
Alla fine è arrivata la decisione del presidente Chirac
di farla rientrare in Francia. La Clemenceau era
stata disarmata e dichiarata in disuso nel 1997.
Dopo una prima ipotesi di affondamento nel
Mediterraneo, è poi prevalsa l’opzione dello smantellamento. La portaerei è stata anche “deamiantizzata” in parte, ma al momento resterebbero a bordo
ancora ben 115 tonnellate di fibra cancerogena.
25
UN RISCHIO VECCHIO
CON UN NOME NUOVO: MOBBING
Salute e lavoro
Roberta Stopponi
a globalizzazione e altre
motivazioni di carattere
macroeconomico (fusioni,
recessioni ecc), insieme al cambiamento delle tipologie di lavoro e
dei relativi rischi (aumento della
conflittualità, diminuzione della
stabilità, frequenti tentavi aziendali di espulsioni “spurie”) hanno
contribuito a incrementare il fenomeno mobbing. Questa forma di
violenza morale sul lavoro, che
nelle sue componenti psicosociali
è sempre esistita, solo ultimamente ha assunto un suo rilievo e un
suo proprio riconoscimento scientifico. Il tema del mobbing ha
conosciuto anche in Italia, se pur
in ritardo rispetto ad altri Paesi
europei, un’enorme diffusione
anche se non è purtroppo ancora
accompagnato da un’adeguata
conoscenza scientifica, da un
approccio e da una gestione multidisciplinare con il coinvolgimento di medici del lavoro, legali, psichiatri e psicologi.
Allo stato attuale non esiste una
definizione univoca né tantomeno
un termine universalmente utilizzato per definire il fenomeno.
Nella più recente, Harald Ege
descrive il mobbing come una
«situazione lavorativa di conflittualità sistemica, persistente e in
costante progresso, in cui una o
più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto per-
L
26
Il mobbing è una forma di violenza morale sul luogo di lavoro. È sempre esistito, ma solo da poco è studiato e considerato un problema
serio. Può assumere varie forme (emarginazione, critiche continue,
calunnie), ma è caratterizzato dalla ripetitività degli attacchi. Le conseguenze sono principalmente disagi psicologici, ma in alcuni casi si
può arrivare anche a malattie psicosomatiche. I danni si ripercuotono anche sull’azienda, in termini di minore produttività e perdita di
giornate lavorative. Dal punto di vista giuridico, in Italia la tutela
non è ancora sufficiente, ma le vittime del mobbing, con l’aiuto del
proprio medico, ora possono chiedere risarcimenti.
secutorio da parte di uno o più
aggressori in posizione superiore,
inferiore o di parità, con lo scopo
di causare alla vittima danni di
vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nella impossibilità di
reagire adeguatamente a tali
attacchi e a lungo andare accusa
disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisica
permanente».
Dal mobbing al bossing
È molto importante chiarire che
il mobbing non è una malattia,
ma una situazione lavorativa
conflittuale patologica e patogena che può incidere direttamente
anche sullo stato di salute della
vittima, sia dal punto di vista psichico che fisico. Il mobbing viene
esercitato sul posto di lavoro
attraverso attacchi ripetuti da
parte di colleghi o datori di lavoro e può assumere molteplici
forme, che vanno dalla semplice
emarginazione, fino alla diffusione di maldicenze e alle critiche
continue. Gli attacchi vengono
reiterati nel tempo, con lo scopo
di eliminare una persona che è, o
è diventata, in qualche modo scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo
da provocarne il licenziamento o
da indurla alle dimissioni.
Il diverso rapporto tra mobber e
mobbizzato dà luogo a tre diverse
direzioni del fenomeno, individuate con nomi diversi a seconda
degli autori: dall’alto (dal capo al
sottoposto), dal basso (dal sottoposto al capo), e tra pari (tra colleghi). Un mobber-capo può decidere di mobbizzare un sottoposto
per vari motivi, come per esempio raccomandazioni, antipatie
personali, invidia, motivi politici.
Quando il mobber è il datore di
lavoro o l’azienda nel suo complesso e la strategia persecutoria
assume i contorni di una vera e
propria strategia aziendale di
riduzione, ringiovanimento o
razionalizzazione del personale o
di semplice eliminazione di una
persona indesiderata, allora si
parla di bossing. Il bossing è una
vera e propria politica di mobbing, compiuta dai quadri o dai
dirigenti con lo scopo preciso di
indurre il dipendente “scomodo”
alle dimissioni, al riparo da qualsiasi problema di tipo sindacale
(mobbing pianificato).
Occorre tenere presente che in
ambito lavorativo esiste un vasto
insieme di disturbi psichiatrici
classificabili come “reazioni a
eventi” e identificabili, per nesso
eziologico, come malattie professionali o malattie correlate al
lavoro (work related), che nulla
hanno a che vedere con la condizione di mobbing. La messa in
cassa integrazione, il licenziamento dovuto a cause strutturali
di crisi aziendale, una fase di
forte conflitto aziendale, e tutta
una serie di eventi analoghi che
possono realizzarsi in ambito
lavorativo, senza alcun elemento
di intenzionale violenza psicologica, possono ugualmente determinare quadri di patologia, senza
per questo essere però inquadrabili all’interno di una sindrome
provocata da una condizione di
mobbing.
Non si deve parlare di mobbing
quando sussiste una singola azio-
ne (per esempio, il demansionamento), un conflitto generalizzato
(conflitto “fisiologico” per la tipica azienda italiana che vede tutti
contro tutti), una malattia (è una
situazione lavorativa conflittuale
che può portare a malattia), una
molestia sessuale (se finalizzata a
se stessa), casi di bullismo. Si raccomanda inoltre di distinguere il
fenomeno mobbing dagli stressors che si ritrovano sul lavoro, e
che sono dovuti a vari tipi di
“carichi”. Questi stressors si possono distinguere in carichi sociali
(sovralavoro, sottocupazione ecc),
carichi fisici (fatica muscolare),
carichi organizzativi (ritmo del
lavoro), carichi oggettivi (luce,
temperatura, rumore ecc), carichi
psichici (paura di fallire, di essere
criticato ecc).
Effetti sanitari e sociali
I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti sul singolo
individuo si evidenziano, dopo un
intervallo di tempo variabile, con
manifestazioni nella sfera neuropsichica. I segnali di allarme psicosomatico (cefalea, tachicardia,
gastroenteralgie, dolori osteoarticolari, mialgie, disturbi dell’equilibrio), emozionale (ansia, tensione, disturbi del sonno e dell’umore), comportamentale (anoressia,
bulimia, dipendenze) sono precoci. Se lo stimolo avverso è duraturo è possibile che si evidenzino
patologie d’organo.
Alcuni autori contestualizzano i
sintomi psicosomatici descritti in
due quadri sindromici principali
che rappresentano le risposte psichiatriche a condizionamenti o
situazioni esogene: il disturbo
dell’adattamento e il disturbo
post traumatico da stress.
Gli effetti derivanti da situazioni
mobbizzanti non si evidenziano
soltanto sul singolo individuo,
ma coinvolgono anche il sistema
aziendale e quello sociale. I costi
delle conseguenze del mobbing si
riflettono a livello aziendale sia in
termini di ore lavorative perse e
scadimento della qualità del lavoro, sia in termini di produttività.
Con effetti negativi anche sull’organizzazione, la produttività, il
lavoro e addirittura la reputazione. Anche le conseguenze sociali
possono essere deleterie, in quanto le assenze dal lavoro sempre
più prolungate, che derivano
dalla persistenza dei disturbi psicofisici, possono portare alla
cosiddetta “sindrome da rientro
al lavoro” sempre più marcata,
fino alle dimissioni o al licenziamento. La perdita dell’autostima
e del ruolo sociale provocano a
loro volta insicurezza, difficoltà
relazionali e, in alcuni casi come
per esempio nelle fasce d’età più
avanzate, l’impossibilità di trovare un nuovo lavoro.
È notevole anche l’onere economico sostenuto dalla vittima del
mobbing, a causa dei costi del
prepensionamento, delle spese
sanitarie o delle spese legali
necessarie. Non si deve inoltre
tralasciare che il profondo stato
di disagio è spesso causa di separazioni e divorzi, disturbi nello
sviluppo psicofisico dei figli e
disturbi nelle relazioni sociali.
Salute
e lavoro
dossier
Più formazione,
più informazione
Il mobbing non è attualmente
regoalto (vedi box) e, anche per
questo, è difficile gestirlo. Al
momento, le uniche armi concrete
a nostra disposizione per risolvere o limitare il problema sono la
formazione e l’informazione. A
livello aziendale, infatti, è possibile affrontare il mobbing puntando sull’incidenza su costi e
produttività, instaurando la “cultura del litigio” (per esempio,
l’autodifesa verbale) e organizzando un conflict management
preparato per una gestione produttiva del conflitto. A livello
sociale, invece, è possibile affron-
27
tare il problema a partire dalla
promozione della sensibilizzazione e dalla divulgazione corretta
del problema, passando per la
preparazione di professionisti e
operatori del sociale. Il decreto
legislativo 626 del 1994 prevede
che il medico competente collabori con il datore di lavoro e con il
servizio di prevenzione e protezione, per prendere tutte le misure necessarie a tutelare la salute e
l’integrità psicofisica e la dignità
dei lavoratori. In questo caso, è
necessario richiamare l’attenzione sui fattori di rischio meno tradizionali (organizzativi e psicosociali) e partecipare ai progetti di
informazione e di formazione,
soprattutto quella manageriale,
che rappresenta uno strumento
di prevenzione fondamentale.
Prevenzione, controllo,
indagini
In situazioni di mobbing, al medi-
co del lavoro sono richiesti diversi tipi di impegno: prima di tutto
un ascolto qualificato, cui segue
una diagnosi di una patologia che
possa riconoscere come causa o
come concausa l’occasione di
lavoro (“diagnosi di compatibilità
causale”), una certificazione
medico-legale a fini risarcitori di
danno subìto a opera dell’autore
dell’aggressione morale, un indirizzo di carattere sanitario nella
gestione e nel superamento dei
disturbi provocati dalla violenza
QUALE TUTELA GIURIDICA?
28
Purtroppo nella nostra realtà giuridica a tutt’oggi
non vi è ancora alcuna norma che possa assicurare
tutela certa, sia per quello che riguarda la definizione teorica del mobbing che per la risarcibilità dell’eventuale danno arrecato.
Anche quando si parla di mobbing non si può prescindere dal citare i principi che sono alla base di
quella che è il fondamento della vita normativa, e
cioè la Costituzione, in particolare gli articoli 1 e
32. Principi recepiti dal Codice civile sia nell’articolo
2043 («Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno»), che nell’articolo 2087, che pone l’equivalenza tra responsabilità contrattuale e danno alla persona quale lavoratore («L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»).
La legge tutela quindi il diritto del lavoratore a non
essere dequalificato e a svolgere effettivamente le
mansioni formalmente spettanti. In caso di mobbing, non si è in presenza solo di una dequalificazione, ma di un comportamento vessatorio e illecito
nei confronti del lavoratore. A fronte di questa
situazione, il responsabile ha il preciso dovere di
intervenire per rimuovere una situazione non più
tollerabile e di evitare ulteriori lesioni alla personalità fisica e morale del lavoratore.
Per “danno esistenziale” si intende qualsiasi danno
che l’individuo subisce alla realizzazione della propria persona. In particolare, il danno da mobbing,
non essendo sempre causa di danno biologico, ma
anzi spesso causando “soltanto” nocumenti di
natura più che altro esistenziale e professionale, è
qualificabile fra quelli di natura esistenziale. A
questo proposito, anche le recenti sentenze
(Tribunali di Pistoia, Pisa, Tempio Pausania)
hanno qualificato il danno da mobbing come un
nocumento di natura “esistenziale”, ossia come
pregiudizio all’esistenza stessa del soggetto, potenzialmente idoneo a peggiorare la qualità e la quiete
della vita della vittima, indipendentemente da qualsiasi altra ripercussione si possa avere avuto sulla
salute o sulla professionalità.
Deve quindi potersi riconoscere una tutela risarcitoria anche quando il nocumento di una prerogativa
costituzionale (dignità, serenità sul luogo di lavoro,
professionalità, libertà di pensiero e di parola) ha
provocato un danno effettivo, ma non abbia comportato una patologia accertabile clinicamente. Da
qui, appunto, la definizione di natura complessa del
danno da mobbing come danno esistenziale.
l’autore
Roberta
Stopponi
Medico specialista in medicina
del lavoro. Dirigente medico del
Servizio prevenzione sicurezza
ambienti di lavoro, zona territoriale 8 - Civitanova Marche (MC)
subita (espressione del giudizio di
idoneità qualora il lavoratore in
esame sia fra i soggetti sottoposti
a sorveglianza sanitaria), la certificazione all’Inail e le segnalazioni all’Organo di vigilanza e alla
Magistratura dei casi di patologie
riconducibili a situazioni di mobbing o sospetto di eziologia lavorativa. L’Inail ha infatti inserito le
patologie
mobbing-correlate
all’interno delle malattie professionali per le quali vige l’obbligo
di denuncia, (ai sensi dell’articolo
39 del testo unico approvato con
decreto presidenziale numero
1124 del 30 giugno 1965).
Anche il ruolo del Dipartimento
di prevenzione della Asl è decisivo. Una volta venuti a conoscenza di eventuali problematiche
relative a casi di violenza morale
sul lavoro, gli operatori del
Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro si trovano ad affrontare il problema
dal punto di vista preventivo, di
inquadramento clinico-diagnostico e di polizia giudiziaria.
La segnalazione all’Organo di
vigilanza e alla Magistratura di
casi di sospette violenze morali
nei luoghi di lavoro (associate o
meno a patologie riconducibili) fa
scattare l’indagine di reato a partire dall’accesso ai luoghi di lavoro, l’assunzione di sommarie
informazione da testimoni o dallo
stesso interessato e l’analisi delle
modalità organizzative e procedurali presenti nel luogo di lavoro. Come per ogni indagine di
malattia professionale, anche in
questo caso si deve procedere
prima di tutto a verificare l’attendibilità della diagnosi. A meno
che non sia lo stesso Servizio prevenzione sicurezza ambienti di
lavoro (SPreSAL) ad averla
posta.
Si procede poi all’assunzione di
informazioni sommarie da testimoni o dallo stesso interessato: in
questa fase risulta fondamentale
la ricerca di diffide in forma scritta da parte del mobbizzato, rivolte alla direzione aziendale, al
medico competente o al mobber.
Per proseguire poi con gli atteggiamenti lesivi, i provvedimenti
disciplinari, i trasferimenti o i
cambi di mansione. È utile che
colui che si ritiene mobbizzato
prepari un resoconto scritto in cui
descriva la vicenda dal proprio
punto di vista. Saranno utili
anche eventuali resoconti preparati da altri soggetti in qualche
maniera coinvolti.
L’ultimo passaggio è la valutazione del nesso di causalità e la formulazione di ipotesi di violazione
di articoli del Codice penale da
parte delle figure aziendali.
Bisogna quindi evitare attentamente ogni forma di improvvisazione: l’assistenza di un consulente esperto in tema di mobbing e
di medici legali, medici del lavoro,
neurologi, psichiatri, psicologi e
avvocati si rende indispensabile
per un approccio corretto e un
esito efficace.
Un problema di tutti
Il ministro per la funzione pubblica, con un decreto del 19 settembre 2002, ha istituito una commissione di analisi e studio sulle politiche di gestione delle risorse
umane e per lo studio delle cause
e delle conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti
dei lavoratori.
La commissione deve individuare
i provvedimenti da predisporre
ed elaborare le proposte, anche di
carattere normativo, per miglio-
rare l’ambiente di lavoro e le condizioni generali del lavoratore.
Nella bozza di legge preparata si
assegna al rappresentanye per la
sicurezza anche un incarico di
vigilanza per la prevenzione o la
segnalazione di situazioni mobbizzanti. Viene anche proposta la
costituzione di una rete diffusa di
ascolto (“centri pubblici o istituti
specializzati”), gestita da un
gruppo di esperti a cui gli operatori possono ricorrere, lavorando
con protocolli unici e uniformi a
livello nazionale.
Ma ancor prima di arrivare a questo grado di elaborazione, si consiglia al mobbizzato di comunicare, in un primo momento verbalmente e successivamente in
forma scritta, al medico competente, alla direzione aziendale e al
mobber stesso di desistere con gli
atteggiamenti lesivi.
La diffida scritta può infatti costituire un utile strumento per l’autotutela, oltre che per dar vita a
una valida e ampia documentazione, con la descrizione della
terapia prescritta dal medico, l’elenco di tutti i provvedimenti
disciplinari, i trasferimenti, i
cambi di mansione e le testimonianze da parte dei colleghi.
Tutto materiale utilissimo per
definire le responsabilità in sede
legale.
Tutti possono essere vittime di
mobbing. E tutti possono contribuire a un clima che ne consente
l’esistenza. Un problema che ci
deve mettere di fronte alle nostre
e altrui responsabilità, che ci
costringe a riesaminare i rischi
dell’attuale mondo del lavoro e di
uno sviluppo troppo disordinato,
diseguale e veloce.
Un’altra conseguenza della globalizzazione che, come alcuni letterati amano dire, non è altro che
un termine politico-economico
per esprimere la frase latina nihil
humanum a me alienum est: il
mondo è uno, e tutto quello che vi
accade ci riguarda tutti.
Senza eccezioni.
Salute
e lavoro
dossier
29
LE MANI NEL CEMENTO
LE MANI NEL CEMENTO
editoriale
Salute e lavoro
Alessandro Carella
Giorgio Papa
ra i settori produttivi, la cantieristica edile è certamente
tra quelli caratterizzati non
solo da un elevato numero di
infortuni, ma anche da un rischio
non trascurabile di sviluppare
malattie professionali di tipo
cutaneo. Queste malattie derivano dall’impiego di sostanze come
il cemento o il calcestruzzo che
possono avere effetti irritanti o
allergici per la cute, soprattutto
per la presenza di piccole quantità di cromo all’interno di queste
materie prime.
Una prevenzione efficace di questi effetti si basa sull’aggiunta di
specifiche sostanze in grado di
neutralizzare l’azione del cromo a
valle del processo produttivo del
cemento, ma anche sull’adozione
di specifiche misure igieniche e
protettive sul luogo di lavoro.
T
Se la pelle si ribella
30
In campo edile le malattie cutanee derivano principalmente dal
contatto diretto con i diversi prodotti chimici utilizzati, direttamente o indirettamente, durante
l’attività: resine epossidiche, solventi, acidi, basi, prodotti derivati
della gomma, detergenti aggressivi, coloranti, asfalto, legno, oli.
In particolare, il contatto diretto
con il cemento bagnato (o calce-
Le dermatiti da cemento sono una malattia professionale molto comune nel settore della cantieristica edile, un comparto produttivo caratterizzato da un rischio elevato di malattie cutanee, oltre che di infortuni. Materie prime come cemento o calcestruzzo contengono infatti
piccole quantità di cromo, che può avere effetti irritativi o allergici
sulla cute umana. Una prevenzione efficace per i lavoratori esposti a
questi materiali consiste soprattutto nell’impiego di sostanze capaci
di neutralizzarne l’azione allergica nel corso del processo produttivo
del cemento, ma anche nell’adozione di opportune misure igieniche e
protettive a livello individuale.
struzzo) dà origine a malattie
note come “eczemi da cemento”,
che possono essere di origine tossico-irritativa o allergica.
Gli eczemi tossico-irritativi derivano essenzialmente dalle proprietà alcaline, abrasive e igroscopiche (in grado cioè di assorbire l’acqua) del cemento. Infatti, a
causa della dissoluzione in acqua
di alcuni suoi componenti alcalini
come gli ossidi di calcio, magnesio, sodio e potassio, il cemento
umido e le acque che lo contengono possono raggiungere valori di
pH fortemente basici, dell’ordine
di 10-13 unità. L’elevata alcalinità
può indurre sulla pelle delle vere
e proprie ustioni, aggravate
anche da altre reazioni che si verificano quando alcune componenti
del cemento, come ad esempio gli
ossidi di calcio, vengono mescolate all’acqua. L’irritazione della
pelle è aggravata anche dalla
costante azione abrasiva esercitata da piccole particelle solide
durante la manipolazione del
cemento, che provoca la formazione di microlesioni, peraltro
influenzate dalle particolari condizioni climatiche degli ambienti
di lavoro.
Gli eczemi allergici derivano invece dalla sensibilizzazione cutanea
provocata da sostanze allergizzanti (allergeni) contenute nel
cemento bagnato, come i sali di
cromo, nichel e cobalto. Questo
fenomeno, inoltre, è ulteriormente
amplificato in presenza di un
eczema di tipo irritativo. L’azione
tossica del cromo dipende dalla
sua capacità di combinarsi con le
proteine dell’epidermide trasformandosi in cromo trivalente, in
grado di indurre sensibilizzazione. Tra i diversi stati di ossidazione, quelli potenzialmente allergenizzanti sono il cromo trivalente e
quello esavalente, mentre il
cromo metallico non sembra presentare questa caratteristica. In
ogni caso, la forma più attiva dal
punto di vista della sensibilizzazione cutanea è quella esavalente,
perché grazie alla sua maggiore
solubilità in acqua può essere
assorbita più facilmente attraverso la pelle.
Malattie cutanee settore costruzioni
riconosciute dall’Inail in Italia
Salute
e lavoro
dossier
Grafico 1 - Malattie professionali di natura cutanea indennizzate
dall’Inail in Italia (1999-2003)
Malattie cutanee settore costruzioni
riconosciute dall’Inail nella Regione Marche
Sensibilità eccessiva
Il contenuto di cromo nei cementi
può oscillare tra i 7 e i 100 g per
grammo di materiale. In genere,
la frazione responsabile dell’effetto allergico-irritativo è quella
solubile, di percentuale variabile.
La presenza del cromo nei cementi dipende essenzialmente dalle
Grafico 2 - Malattie professionali cutanee indennizzate dall’Inail
nella Regione Marche (1999-2003)
LE STATISTICHE INAIL
Le malattie cutanee rappresentano circa il 18%
delle malattie professionali riconosciute dall’Inail
nel settore delle costruzioni, seconde in ordine di
importanza soltanto alle ipoacusie, che sono circa il
30%. Un risultato ampiamente confermato anche
dai dati relativi agli altri Paesi europei.
Da uno studio condotto su 5000 lavoratori impiegati nella costruzione del tunnel della Manica è
risultato che circa la metà hanno manifestato alterazioni di tipo cutaneo.
In Italia, i dati Inail relativi al settore delle costruzioni mostrano come le malattie cutanee riconosciute dall’Istituto assicuratore pubblico rappresentino circa il 24% delle malattie cutanee totali indennizzate, a testimonianza dell’elevata incidenza di
questa patologia in questo specifico settore.
Per quanto riguarda le Marche, invece, l’incidenza
delle malattie cutanee nel settore delle costruzioni
edili è circa il 35% di tutte le malattie cutanee
indennizzate nella Regione.
Questa maggiore incidenza può dipendere dal fatto
che il settore produttivo marchigiano è ricco di
aziende di piccole dimensioni (circa l’82% delle
ditte del settore sono di tipo prevalentemente artigianale) nelle quali opera il 68-69% dell’intera
forza lavoro.
Tuttavia, a partire dal 1999, il numero di malattie
cutanee indennizzate relative a questo settore è in
progressiva diminuzione, sia a livello nazionale che
regionale, anche se è opportuno segnalare che i
casi registrati nella Regione Marche rappresentino
circa il 6-7 % dei casi nazionali (vedi grafici 1 e 2).
31
Salute
e lavoro
dossier
impurezze naturali delle materie
prime, soprattutto le argille, ma
anche dai vari processi di produzione. A questo proposito, secondo alcuni studi potrebbero essere
determinanti i residui di combustione dei carburanti impiegati
nei cementifici per il riscaldamento dei forni di cottura, il rilascio dai materiali refrattari
impiegati nei forni di cottura o
dagli acciai di cui sono costituiti i
frantoi e i molini a sfera, l’utilizzo
di additivi in cui sono presenti
piccole quantità di sali di cromo,
come per esempio le loppe di
altoforno.
Oltre al cromo, i cementi possono
contenere anche altri agenti sensibilizzanti, tra cui il cobalto o il
nichel: infatti la dermatite allergica al cromo è spesso associata a
un’allergia a questi metalli.
In genere, i cementi contengono
cobalto prevalentemente in forma
insolubile e il rischio di sensibilizzazione è quindi piuttosto basso.
Alcuni studi, però, ipotizzano la
formazione di sali o altri complessi solubili di questo metallo (per
esempio con gli amminoacidi
della pelle) che possono superare
la barriera dell’epidermide e provocare l’irritazione. Il nichel, invece, è presente nei cementi come
contaminante delle materie prime
e viene generalmente convertito a
ossido di nichel durante la cottura del clinker a 1450 °C.
Nel settore delle costruzioni, le
persone che corrono il rischio
maggiore di venire a contatto con
il cemento bagnato sono muratori, piastrellisti e manovali, ma
anche gli operai impiegati nelle
costruzioni delle gallerie, a causa
del calcestruzzo spruzzato, e gli
addetti alla produzione dei
cementi stessi.
Abbasso il cromo
Per ridurre il rischio di esposizione ad agenti irritanti e allergizzanti durante l’impiego del
cemento, uno dei principali interventi di prevenzione è l’utilizzo di
cementi a basso tenore di cromo,
che ne contengono cioè quantità
non superiori ai 2 g/g (soglia
alla quale si può ritenere trascura-
bile il suo effetto sensibilizzante).
Il controllo della natura delle
materie prime impiegate nella
produzione del cemento è importante, ma non basta. Per questo è
stato proposto il metodo del trattamento del cemento con il solfato ferroso, che porta alla riduzione del cromo esavalente a cromo
trivalente, consentendo così di
ridurre il tenore di cromo esavalente a una quantità inferiore alla
soglia. Questo intervento ha già
dato risultati soddisfacenti in
alcuni paesi, come la Danimarca e
la Finlandia, dove negli ultimi
anni è stata registrata una sensibile riduzione delle malattie cutanee riconducibili al cemento (dal
9% all’1,3%).
Recentemente, anche la Commissione europea (attraverso il
Comitato scientifico di tossicità,
ecotossicità e ambiente) ha proposto la riduzione del tenore di
cromo esavalente idrosolubile nei
cementi: «Non può essere commercializzato o impiegato quale
sostanza o componente di preparati se contiene oltre lo 0,0002%
di cromo esavalente idrosolubile
IL PROCESSO DI PRODUZIONE DEI CEMENTI
32
Il cemento si ottiene mescolando opportunamente
alcuni materiali grezzi estratti da cave, che vengono successivamente cotti.
Il processo di produzione del cemento comporta
una prima fase di miscelazione a freddo delle
materie prime, soprattutto argille, che apportano
alla miscela la giusta quantità di silice e di calcari.
La miscela ottenuta viene frantumata ed essiccata,
quindi macinata in due momenti: prima il materiale viene ridotto in piccoli granelli attraverso dei
molini a sfere, poi viene sminuzzato ulteriormente
dai molini di raffinazione fino a ottenere la cosiddetta “farina cruda”.
Il cemento crudo è pronto per la successiva fase di
cottura (clinkerizzazione), che avviene in forni rotatori orizzontali. Questi sono costituiti da un tubo
cilindrico di ferro rivestito internamente da materiale refrattario, che contiene anche piccole quantità di cromo. I forni di cottura vengono riscaldati
grazie a combustibili fossili (carbone polverizzato,
gasolio o gas naturale), con aggiunta controllata di
aria. La miscela del crudo viene sottoposta a un
primo gradiente di temperatura fino al limite di
circa 1000 °C, dove il calcare perde anidride carbonica e si converte in calce viva.
Un secondo gradiente di temperatura induce quindi la reazione tra la calce viva e le altre componenti
della miscela. A 1450 °C circa si ha l’agglomerazione completa e si ottiene il cosiddetto “clinker”.
Al clinker, opportunamente raffreddato, vengono
aggiunti degli additivi per modificare alcune caratteristiche del cemento, come il tempo di presa o la
resistenza chimica agli agenti esterni. Tra gli additivi utilizzati ci sono le loppe di altoforno, costituite
da scorie provenienti da processi metallurgici non
ferrosi e che possono contenere, a seconda della
provenienza, piccole quantità di metalli pesanti tra
cui zinco, piombo e cromo.
gli autori
Alessandro Carella
Giorgio Papa
Inail, Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione
(Contarp) della Regione Marche
sul peso totale del cemento, per
attività manuali, laddove vi sia
un rischio di contatto cutaneo».
Tuttavia, va sottolineato che l’attività riducente del solfato ferroso è limitata soltanto a un determinato periodo di tempo. Per
questo, l’industria del cemento
danese garantisce soltanto per
due mesi un tenore di cromo esavalente inferiore allo 0,0002% in
peso nel cemento addizionato di
solfato ferroso. Inoltre, poiché
questo periodo risulta a sua volta
influenzato anche dalle condizioni generali di conservazione del
cemento (come ad esempio le condizioni climatiche, l’umidità o la
temperatura) il periodo di garanzia può ridursi anche a poche settimane.
Un contatto da evitare
Accanto alla prevenzione, è necessario attuare anche misure di protezione individuale per ridurre i
rischi che derivano dal contatto
con il cemento, che prevedano
anche interventi informativi e formativi su quali siano le procedure
di lavoro corrette.
Per esempio, bisogna eliminare i
vestiti sporchi di cemento fresco
ed evitare di manipolare il cemento a mani nude o di lisciarlo con le
dita, perché può provocare l’abrasione della pelle e favorire l’assorbimento di sostanze irritanti.
A fini protettivi, è importante
anche l’impiego di guanti idonei
che permettano un’elevata protezione meccanica e chimica, senza
però provocare a loro volta delle
allergie particolari, come accade
per esempio nel caso dei guanti
ottenuti da pelli conciate con
cromo o dei guanti in gomma a
base di lattice. I guanti in pelle
non sono sempre i più adatti per i
lavori che comportano un contatto con cemento bagnato, perché si
bagnano presto, aumentando così
il contatto della pelle con gli allergeni e le sostanze nocive del
cemento. In questi casi è meglio
usare guanti di cotone con uno
strato sintetico a base di nitrile o
neoprene e con un’impermeabilità di almeno otto ore. In aggiunta, possono essere utili anche
creme protettive a base di silicone, ma anche di sostanze chelanti
o riducenti, in grado di limitare
l’assorbimento cutaneo del cromo
esavalente. Tuttavia l’efficacia di
questi sistemi non è stata ancora
del tutto dimostrata.
Anche l’igiene personale è molto
importante: per questo è necessario che i vari operatori abbiano a
disposizione docce, spogliatoi e
lavabi che permettano di evitare
contaminazioni accidentali e un’igiene scrupolosa della persona al
termine del turno di lavoro.
In particolare, va suggerito,
anche attraverso opportuni interventi di formazione e informazione, l’impiego di detergenti non
aggressivi e di prodotti dermatologici per idratare e nutrire la
pelle. D’altro canto, creme o
pomate non appropriate possono,
in alcuni casi, peggiorare una
situazione già compromessa: da
qui la necessità di ricorrere all’intervento del medico, e non all’automedicazione, nel caso compaiano sulla pelle lesioni o macchie
sospette.
Il problema delle dermatiti da
cemento nel settore edile è ancora attuale, nonostante negli ultimi anni i continui interventi, sia
di informazione e formazione che
di prevenzione e protezione,
abbiano ridotto significativamente i casi denunciati. È necessario
un ulteriore sforzo da parte delle
varie aziende, degli organismi di
controllo, dei consulenti, delle
rappresentanze sindacali per
migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori attraverso
interventi informativi e formativi, dispositivi di protezione idonei e ambienti per la cura e l’igiene personale.
Salute
e lavoro
dossier
BIBLIOGRAFIA
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ciment - Crepy - Documents pour
le médecin du travail - n.88 - 4me
trimestre 2001
Dermatitis de contacto por
cemento:
fisiopatologia
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VI in Cement - Cstee - 2002
Parere del Comitato economico
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“Proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del
Consiglio relativa a restrizioni
alla commercializzazione e all’impiego di nonifenolo, nonilfenolo
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Cembureau’s position regarding the Reduction of chromate
eczema in the costruction indutry
- The European Cement
Association - 2002
Prévention des dermatoses chez
les utilisateurs de ciment Geraut, Tripodi - Documents
pour le médecin du travail - n. 90
- 2me trimestre 2002
Dermatitis de contacto por
cemento: pronostico y prevenciòn
- Tocados, Plaza, Vozmedino Actualidad
33
Le foto che illustrano questo numero della rivista Snop sono state scattate direttamente da alcuni operatori della Asl 10 di Firenze, e poi raccolte su www.infomonitor.it, il sito dell’Osservatorio
sicurezza grandi opere. Le attività dell’osservatorio, istituito dalle Regioni Emilia-Romagna e
Toscana, sono affidate e coordinate dagli operatori dei Servizi di prevenzione delle aziende Usl
di Firenze, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza.
Ringraziamo l’osservatorio che ci ha concesso l’utilizzo delle immagini.
34
CONOSCI TU IL PAESE
DOVE NON SI FUMA (A TAVOLA?)
Salute e lavoro
Giacomo Mangiaracina
ragionevolmente incredibile: l’Italia è uno dei pochi
paesi al mondo ad avere una
legge che vieta di fumare nei luoghi di lavoro e di svago, pubblici
e privati. Altri governi stanno
prendendo in giusta considerazione le stesse norme e guardano al
nostro Paese come se fosse il
modello ispiratore. D’altronde,
abituati come siamo a leggi complicate, pervase di commi e sottoparagrafi intricati, ce ne meravigliamo noi stessi. Dal 10 gennaio
2005 viviamo una realtà che ha
letteralmente sconvolto il costume di una nazione, grazie all’entrata in vigore della cosiddetta
“legge Sirchia”, che per la precisione è un articolo, il n° 51, di una
legge, la 3/2003 sulla Pubblica
amministrazione. Poche righe,
toste, che dopo l’approvazione
hanno dato luogo a reazioni
immediate. La norma, infatti, prevede testualmente che si possa
fumare nei luoghi appositamente
realizzati per fumatori e nei luoghi di lavoro privati dove non sia
previsto l’accesso di pubblico o
utenti.
È
Un cammino tortuoso
A pochi giorni di distanza dall’emanazione della legge, il 16 gennaio 2003, la Società italiana di
Dal 10 gennaio 2005 vige in Italia la legge Sirchia, che vieta il fumo in
tutti i luoghi chiusi dov’è previsto l’accesso del pubblico o di utenti.
È una legge all’avanguardia, che una volta tanto mette l’Italia nella
posizione di un modello da studiare e imitare nel resto d’Europa. Lo
scopo dichiarato della legge, visto anche il sempre crescente numero
di studi sui danni da fumo passivo, è quello di tutelare la salute dei
non fumatori. Un’altra conseguenza positiva però è stata il calo sensibile del numero dei fumatori, soprattutto fra le donne e i laureati.
Alla legge, ovviamente osteggiata della lobby del tabacco, è invece
favorevole l’80% degli italiani.
tabaccologia protestò in modo
deciso, non solo con una manifestazione a Roma davanti al
Senato, ma anche con interventi
televisivi al Tg3 e su La7. La protesta si basava sulla semplice
considerazione che il 90% dei
luoghi di lavoro nel nostro Paese
sono privati e che non c’era quindi alcuna ragione sostenibile per
differenziare i lavoratori del pubblico da quelli del privato.
La legge sarebbe dovuta entrare
in vigore a un anno dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale,
cosa che avvenne con molto ritardo, perché le Regioni sollecitarono il Governo a emanare un
necessario regolamento attuativo.
L’accordo chiariva inequivocabilmente che «la predisposizione di
locali per fumatori non è considerata dalla legge adempimento
obbligatorio, mentre è obbligatorio il divieto di fumo in tutti i
locali contemplati dalla legge» e
che «permane il divieto di fumo
in presenza di un unico locale e di
impossibilità di assicurare idonea separazione degli ambienti».
Sul piano temporale l’entrata in
vigore slittò di un altro anno, ma
i “chiarimenti” si rivelarono provvidenziali in quanto fissarono
precisi aspetti tecnici e giuridici
che non hanno consentito il
saprofitismo di gramigne interpretative. In particolare, emerge
35
Salute
e lavoro
dossier
Post 1
Pre
Perdita significativa
Perdita lieve
Post 2
Nessuno/aumento
Non so
Figura 1 - Gli effetti economici della legge “antifumo” emersi
dallo studio del Gruppo Enfasi nei primi mesi dall’entrata
in vigore della legge (Post1) e nel periodo successivo (Post2)
che non si potrà fumare non solo
nei locali pubblici, ma anche nei
luoghi di lavoro privati dove coesistano più lavoratori. Questa
mirabile alchimia è stata resa
possibile
dall’interpretazione
estensiva del concetto di “utente”.
In assenza dell’obbligo di istituire
appositi spazi per fumatori, la
legge ha consentito al datore di
lavoro di «istituire il divieto generalizzato di fumare in ogni luogo
dell’azienda». Quanto all’eventuale predisposizione di locali per
fumatori, veniva precisato che
questo adempimento doveva
essere realizzato in coerenza con i
requisiti indicati dal citato decreto, fermo restando l’obbligo inde-
rogabile di istituire il divieto di
fumo in presenza di un unico
locale e di impossibilità di assicurare un’opportuna separazione
degli ambienti.
Alla fine del 2004 intervenivano
però due importanti interventi
applicativi e attuativi: l’Accordo
Stato-Regioni del 16 dicembre
2004, che regolava la procedura
di rilevazione e sanzionamento
delle infrazioni al divieto, e la circolare del ministero della Salute
del 17 dicembre 2004, che ha precisato in modo inequivocabile che
«la norma è volta fondamentalmente a tutelare la salute dei non
fumatori», ponendosi come obiettivo la massima estensione possi-
bile del divieto di fumare, con la
sola esclusione delle «eccezioni
espressamente previste». Nel
passo conclusivo della medesima
circolare il ministero chiariva
come le uniche eccezioni al divieto di fumo nei locali chiusi fossero costituite dalle abitazioni private e dai «locali riservati ai
fumatori, se esistenti», purché
dotati delle dimensioni e dei
requisiti tecnici previsti dal Dpcm
del 23 dicembre 2003. La circolare
ribadiva che il divieto dev’essere
applicato «non solo nei luoghi di
lavoro pubblici, ma anche in tutti
quelli privati, che siano aperti al
pubblico o a utenti».
Dall’estensione del divieto a tutti
i luoghi di lavoro, con cui di fatto
veniva a cadere la distinzione tra
locali aperti alla clientela e non,
scaturiva una lettura estensiva
del termine “utente”, nel quale
andavano compresi nuovamente
gli stessi lavoratori dipendenti,
«in quanto utenti dei locali nell’ambito dei quali prestano la loro
attività lavorativa». Con la conseguenza, energicamente rimarcata
dal ministero, che il divieto doveva essere applicato in ogni luogo,
pubblico e privato. Questi aspetti
sostanziali hanno creato l’attuale
“legge anti-fumo”, ferma nelle sue
intenzioni e decisa nelle sue applicazioni. Le aspettative si erano
tinte di rosa e i risultati erano
diventati prevedibili, dando
anche una spiegazione della forte
controffensiva dei colossi del
tabacco, la neonata Bat Italia, che
aveva appena acquistato l’Ente
I dati contenuti nelle tabelle1-9, pubblicate da pagina 36 a pagina 44, sono stati tratti
dall’articolo “Effetti del fumo passivo sulla salute” di Francesco Barone-Adesi e Lorenzo Richiardi
(Epidemiologia dei tumori, Cerms, Cpo Piemonte e Università di Torino).
La versione integrale dell’articolo è disponibile on line sul sito della Snop, www.snop.it
36
1. Esposizione al fumo passivo
1983
Dimostrata in ambiente domestico, se almeno un familiare è fumatore
1989
Dimostrata nei locali pubblici
1991
Dimostrata nell’ambiente di lavoro
l’autore
Giacomo
Mangiaracina
Dipartimento di Scienze di sanità
pubblica dell’Università di Roma
La Sapienza - Agenzia nazionale
per la prevenzione. Presidente
della Società italiana di tabaccologia (Sitab), coordinatore dell’Area
tabagismo della Lega italiana per
la lotta contro i tumori.
tabacchi italiano, e la Philip
Morris, che di fatto deteneva (e
detiene tuttora) il 60% del mercato del tabacco italiano.
Pro e contro
Che la legge funzioni è scientificamente provato da varie indagini,
sia nazionali (come quelle
dell’Istat, della Doxa e del Profea,
o gli studi Enfasi e Passi) sia locali, nell’ambito delle diverse
Regioni e Asl. Nell’insieme, infatti, i dati raccolti indicano che oltre
l’80% degli italiani sono favorevoli alla legge. Alla scarsa resistenza nella popolazione si asso-
cia un’ottima adesione degli esercenti, anche per il miglioramento
dei profitti (vedi figura 1). Sono
migliorati i comportamenti sia
dei fumatori che dei gestori dei
locali pubblici e si è ridotto il consumo di tabacco (fatta eccezione
soltanto per i trinciati, il cui consumo è aumentato del 20%).
Dall’indagine
multiscopo
dell’Istat è emerso che il numero
dei fumatori si è ridotto sia tra i
gestori dei locali, sia nella popolazione
generale
(riduzione
dell’1,6% per i maschi e del 2,1%
fra le femmine). In particolare, il
numero di fumatori è sceso
dell’8,2% fra i laureati e del 4,8%
al Sud. Il dato è rafforzato anche
da valutazioni indirette come la
crescita della vendita di prodotti
antifumo e della domanda di
aiuto da parte di chi vuole smettere di fumare. Last but not least,
si è osservata una riduzione
significativa di alcune patologie
correlate al fumo.
Ci sono però anche alcuni aspetti
critici della legge “antifumo”,
come per esempio le difficoltà
oggettive nel farla applicare in
alcuni contesti, come gli ospedali,
gli uffici pubblici e le discoteche:
sono costanti le richieste di aiuto
per mobbing tabagico che arrivano al servizio “Smokebusters”
(www.smokebusters.it, organizzato da Codacons, Gea, Sitab,
Agenzia nazionale per la prevenzione), da parte di ospedali, università, tribunali e redazioni giornalistiche, Rai compresa. Gli stessi problemi si pongono in alcuni
luoghi definiti “problematici”
(carceri, comunità terapeutiche,
case di riposo, reparti psichiatrici)
e “particolari” (gazebo e patii, edicole, centri commerciali e mercati
rionali, cortili, aree condominiali,
stadi, club per soli fumatori).
Inoltre, si teme che a causa del
sovraccarico di lavoro la vigilanza da parte dei Nas risulti disomogenea e discontinua. Ma
soprattutto, il timore principale è
lo spostamento dell’attenzione
dalle strategie globali di intervento, aspetto che merita il giusto
rilievo. Infatti, se da parte sua la
legge può mutare favorevolmente
gli atteggiamenti, i comportamenti e pure il costume sociale di
una popolazione, c’è anche una
controparte, uno schieramento
contrapposto, che promuove la
vendita del prodotto con eccellen-
Salute
e lavoro
dossier
2. Tumore polmonare
1981
Associazione tra esposizione a fumo passivo e neoplasie polmonari
1985
Risultati confermati da diversi autori
1986-1992
Revisioni concludevano per una relazione di tipo causale
1997
Per le donne non fumatrici esposte al fumo del coniuge un eccesso di rischio del 24%.
Eccesso di rischio del 23% per ogni 10 sigarette fumate al giorno dal marito
e dell’11% ogni 10 anni di esposizione
1994-1998
Confermata associazione tra neoplasie polmonari ed esposizione in ambito domestico
1998
Esposizione occupazionale a fumo passivo: rischio relativo di 1,14 o di 1,39
2004
Confermata associazione tra neoplasie polmonari ed esposizione dovuta alla
frequentazione di locali pubblici fumosi
2004
Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato questa esposizione come
cancerogeno certo per l’uomo. Eccesso di rischio complessivo del 19% per le donne
e del 12% negli uomini per esposizione in ambiente di lavoro
37
Salute
e lavoro
dossier
ti strategie aziendali. Se ogni
anno in Italia 90.000 persone
muoiono a causa del tabacco, l’azienda dovrà reclutare almeno
90.000 nuovi acquirenti, non tra i
quarantenni, ma tra i giovanissimi. E ce la fa. Questo deve preoccupare e mettere in allarme gli
operatori della salute.
L’approccio al problema è complesso e deve mirare al trattamento e alla prevenzione, passando per la formazione. La
Società italiana di tabaccologia e
la Lega italiana contro i tumori
organizzeranno quindi a Roma
un congresso il 12 e 13 maggio
2006 sul tema “Tabagismo:
Prevenzione e Terapia”, per una
politica sanitaria di incentivazione dei Centri tabagismo in Italia,
e per responsabilizzare gli opera-
tori a sviluppare progettualità in
prevenzione che garantiscano
l’efficacia.
Marini C. Legge antifumo: cronistoria di un tentato golpe.
Tabaccologia, pag. 7, n. 4/2005.
Mura M. Il divieto di fumo nei
locali pubblici in Italia ha ridotto
il consumo di sigarette dell’8%.
Tabaccologia, pag. 7, n. 4/2005.
BIBLIOGRAFIA
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Research on Cancer (Iarc),
“Tobacco Smoke and Involuntary
Smoking”. Lyon: 2004. Iarc
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the Carcinogenic Risk to
Humans, vol 83.
Tominz R, Poropat C. Effetti
della Legge 3/03 sul divieto di
Fumo nei locali pubblici.
Tabaccologia, pag. 5, n. 4/2005.
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tumori, pagg 400. Roma, 2005.
Mangiaracina G. Coraggio
sostenibile. Tabaccologia, pag. 3,
n. 4/2005.
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dependence: The Tobacco Use
and Dependence Clinical Practice
Guideline Panel, Staff, and
Consortium
Representatives.
Jama 2000; 283: 3244-3254.
3. Morte improvvisa neonatale (Sudden Infant Death Sindrome, o Sids)
1997
Il fumo materno raddoppia il rischio di Sids
4. Malattie cardiovascolari
1986
Associazione tra fumo passivo e rischio cardiovascolare “biologicamente plausibile,
anche se ancora non suffragata da una sufficiente evidenza epidemiologica”
1989-1990
Conferma
1992
1997
38
Rapporto dell’American Heart Association. I non fumatori esposti a fumo passivo
hanno un eccesso di rischio di malattia ischemica cardiaca del 30 per cento.
Gli autori considerano l’esposizione a fumo ambientale una delle più importanti cause
prevenibili di patologia cardiovascolare negli Stati Uniti
I non fumatori hanno un eccesso di rischio complessivo di malattia ischemica cardiaca
del 23 per cento se vivono con un fumatore. L’eccesso di rischio è simile a quello stimato
per il fumo attivo di una sigaretta al giorno (39 per cento) e circa la metà di quello associato al fumo di 20 sigarette al giorno (78 per cento)
1998
Rischio relativo di 1,18 per esposti a fumo passivo occupazionale rispetto ai non esposti
1999
Relazione tra fumo passivo ed eventi cerebrovascolari. Eccesso di rischio per esposizioni
domestiche del 72 per cento e 159 per cento rispettivamente per mogli di fumatori
“leggeri” e “pesanti” e aumento del rischio dell’80 per cento per esposizioni lavorative
1999
Confermati i risultati. I non fumatori esposti a fumo ambientale hanno un rischio
relativo di malattia coronarica pari a 1,25
1999
L’Epa della California e il National Cancer Institute riconoscono che l’esposizione
a fumo ambientale è un fattore causale per le patologie cardiovascolari
2004
“Esperimento naturale” osservato a Helena, nel Montana. Durante i sei mesi nei quali è
stato in vigore il divieto di fumo nei locali pubblici e sul luogo di lavoro c’è stata una
riduzione del 40 per cento della frequenza dei ricoveri per infarto acuto del miocardio.
Dopo la sospensione del divieto, la frequenza dei ricoveri è di nuovo aumentata
INTERVENTI EFFICACI
PER UNA COMUNITÀ LIBERA DAL FUMO
Salute e lavoro
Francesca Righi,
Mauro Palazzi,
Giampiero Battistini
i sono quattro ingredienti che portano al
successo gli sforzi
della Sanità pubblica nel ridurre
l’esposizione al fumo passivo:
prove scientifiche altamente credibili, difensori appassionati,
campagne informative con i
media, leggi e regolamenti». Sono
le parole con cui si conclude un
rapporto speciale sugli interventi
efficaci per la riduzione dell’esposizione al fumo e al fumo passivo
apparso nel 2004 sul New
England Journal of Medicine, che
sottolineava il ruolo fondamentale della Sanità pubblica nella prevenzione del problema fumo e
l’importanza di un approccio
multidimensionale di intervento.
Il fumo di tabacco rappresenta
ancora oggi la più importante
causa di mortalità evitabile e di
disabilità nel mondo. La riduzione del consumo di tabacco e dell’esposizione al fumo passivo rappresentano quindi obiettivi fondamentali per la Sanità pubblica.
Per contrastare questo importante fattore di rischio per la salute è
necessario adottare strumenti di
intervento globali che prevedano
la partecipazione attiva di tutti
quegli attori che hanno competenze e responsabilità in ambito
educativo, sanitario, politico, economico, nel volontariato e nell’informazione. Al riguardo esi-
«C
Nel 1992 il Dipartimento di sanità pubblica dell’Azienda unità sanitaria di Cesena ha varato il progetto “Liberi dal fumo”, per cercare
di affrontare efficacemente il problema del tabacco, in linea con le
raccomandazioni elaborate da istituzioni sanitarie italiane e internazionali. Il progetto è oggi costituito da vari sottoprogetti, che si prefiggono lo scopo di ridurre l’esposizione al fumo passivo
e di scoraggiare dall’abitudine del fumo. I sottoprogetti sono rivolti a
diversi ambienti o figure professionali: ospedali, locali pubblici, scuole, medici generici. Altri invece hanno obiettivi più specifici: tutelare
i bambini e aiutare chi vuole smettere di fumare.
stono numerose linee guida rivolte agli operatori dei servizi di prevenzione, sia a livello comunitario (per ridurre l’esposizione al
fumo passivo e il consumo di
tabacco), che a livello individuale
(per favorire la disassuefazione
dal fumo).
Queste strategie hanno ispirato il
Dipartimento di Sanità pubblica
dell’Ausl di Cesena nella realizzazione del progetto “Liberi dal
Fumo” per ridurre l’esposizione
al fumo di tabacco e il numero di
persone che iniziano a fumare,
aumentando invece il numero di
persone che smettono di fumare.
Questo programma, da attuare in
contesti comunitari e presso
strutture del sistema sanitario, si
colloca all’interno di un progetto
regionale più ampio, il Progetto
regionale tabagismo, mirato a
valorizzare e coordinare le diverse esperienze regionali in tema di
prevenzione e cura del tabagismo.
L’esperienza di Cesena
L’esperienza realizzata nel territorio dell’Azienda sanitaria di
Cesena è nata nel 1992, quando il
Dipartimento di sanità pubblica
ha promosso e coordinato un progetto di promozione della salute
finalizzato alla prevenzione delle
malattie legate al fumo di tabacco
39
Salute
e lavoro
dossier
Forza delle prove di efficacia
Raccomandazione intervento
Forti
Fortemente raccomandato
Sufficienti
Dati empirici insufficienti integrati
da parere di esperti
Raccomandato
Raccomandato sulla base di parere di esperti
Insufficienti
Prove forti o insufficienti attestano l’inefficacia
Gli studi disponibili non forniscono evidenze
sufficienti ai fini della valutazione
Sconsigliato
Tabella 1 - Corrispondenza tra forza delle prove di efficacia e forza delle raccomandazioni
Evidenza A
Sostenuta da molti studi randomizzati controllati. Sono studi direttamente rilevanti per la
raccomandazione e costituiscono una base evidente di risultati
Evidenza B
Sostenuta da alcuni studi randomizzati controllati ma non ottimali. Sono studi che hanno
richiesto una maggiore interpretazione
Sostenuta da nessuno studio randomizzato controllato. L’argomento è però sufficienteEvidenza C mente importante da meritare una raccomandazione; basata su dati pubblicati e l’opinione di esperti
Tabella 2 - Tipo di evidenza scientifica
e alla conseguente riduzione della
morbosità e mortalità correlate.
Il progetto “Liberi dal Fumo” si è
sviluppato negli anni anche grazie alle numerose collaborazioni
create e alle evidenze scientifiche
in grado di supportare l’efficacia
degli
interventi
proposti.
Attualmente è articolato in una
serie di sottoprogetti rivolti a target specifici. Tutti i programmi
coinvolgono attivamente diversi
attori sociali della comunità: organizzazioni del volontariato, scuole,
società scientifiche, aziende priva-
te, rappresentanze sindacali, attività commerciali, organi di stampa, emittenti radio e televisive.
Gli interventi, di tipo normativo,
educativo e di supporto alla
disassuefazione, sono finalizzati
a promuovere politiche locali contro il fumo, favorire la creazione
di ambienti liberi dal fumo, aiutare chi vuole smettere di fumare,
aumentare nella popolazione la
conoscenza sui rischi legati all’abitudine al fumo e sui metodi per
la disassuefazione e formare
medici e altri operatori sanitari
sulle tecniche di counselling
rivolto al fumatore.
Questi interventi di prevenzione
del tabagismo e delle malattie
correlate realizzati sono stati sviluppati seguendo le principali
raccomandazioni evidence based
e i rispettivi aggiornamenti, strumento fondamentale per la programmazione sanitaria e la formulazione degli interventi clinici
e preventivi.
Le revisioni sistematiche e le raccomandazioni collegate possono
essere orientate allo studio di
5. 1999: eventi associati in maniera causale con il fumo passivo
Bambini
Adulti
40
Basso peso alla nascita, morte improvvisa del lattante, infezioni acute delle basse vie
respiratorie, asma (induzione ed esacerbazione), sintomi respiratori cronici, otite media
Irritazione degli occhi e delle vie nasali, tumore polmonare, tumore dei seni nasali, mortalità per malattie cardiache, malattia coronaria acuta e cronica
interventi di sanità pubblica
oppure alla valutazione dell’efficacia dei servizi clinici e di assistenza sanitaria.
La Task Force on Community
Preventive Service ha elaborato
una guida che si propone di fornire valutazioni e raccomandazioni
relative a interventi di popolazione e nel settore della sanità pubblica, basate su revisioni sistematiche delle evidenze scientifiche e
finalizzate a mostrare il nesso tra
l’intervento e determinati esiti. In
generale la forza delle prove di
efficacia è correlata direttamente
con la forza delle raccomandazioni (tabella 1).
Esistono, inoltre, una serie di raccomandazioni, frutto di revisioni
sistematiche e metanalisi condotte dal Cochrane Tobacco
Addiction Rewiew Group (Ctarg,
Gran Bretagna) e dal Department
of Health and Human Service
(Usa), ora chiamato Agency for
Health-care Research Quality
(Ahrq), finalizzate alla stesura
delle linee guida per il trattamento della dipendenza da tabacco.
Queste revisioni verificano l’efficacia degli interventi di cessazione dell’abitudine al fumo, testata
tramite studi clinici randomizzati
e controllati. La classificazione
delle raccomandazioni è basata su
tre livelli di evidenza (tabella 2).
Salute
e lavoro
dossier
In linea
con le raccomandazioni
L’articolazione del progetto
“Liberi dal fumo” è l’espressione
di un intervento di sanità pubbli-
6. Malattie dell’apparato respiratorio e dell’orecchio medio
Infezioni delle basse vie respiratorie
1967
L’esposizione a fumo passivo in età pediatrica (in particolare per quanto riguarda il fumo
materno) è associata a un aumento dell’incidenza di infezioni delle basse vie respiratorie
1988
Bronchiti e polmoniti sono più comuni durante il primo anno di vita per i figli di fumatori.
Il rischio di ospedalizzazione per malattie respiratorie è più alto
1997
Aumento di rischio del 57 per cento di contrarre infezioni respiratorie per i bambini che
vivono con un genitore fumatore. L’eccesso sale a 72 per cento se è la madre a fumare
1997
Il fumo materno durante la gravidanza sembra costituire un rischio aggiuntivo a quello
associato al fumo passivo postnatale
1999
L’Oms e l’Epa della California concludono che l’esposizione a fumo passivo costituisce un
fattore di rischio per le infezioni respiratorie nei primi anni di vita del bambino
Otite media
1998
I bambini esposti hanno un rischio maggiore di avere otiti ricorrenti e otiti medie secretive e
di dover ricorrere più frequentemente all’ospedalizzazione o a visite ambulatoriali a causa di
questo tipo di patologie
1999
Relazione tra esposizione domestica al fumo passivo e otite media acuta, in particolare
tra i bambini sotto i 2 anni
Asma
1997
Prevalenza di sintomi respiratori o asma in bambini in età scolare nel caso uno dei genitori
sia un fumatore. Eccesso di rischio del 21 per cento per l’asma, del 24 per cento per la presenza di sibili, del 40 per cento per la tosse e del 31 per cento per episodi di dispnea
1999
Nci ed Epa della California concludono che il fumo passivo è un fattore di rischio sia per lo
sviluppo di nuovi casi di asma che per l’aggravamento dei sintomi
41
Salute
e lavoro
gli autori
Francesca Righi
Mauro Palazzi
Giampiero Battistini
dossier
Dipartimento di sanità pubblica
Ausl di Cesena
ca basato su percorsi di prevenzione multifattoriali e multidisciplinari, inquadrabili tra quelli di
provata efficacia in tema di tabagismo.
Analizzando gli interventi illustrati nella Community Guide e
attuabili in contesti comunitari
per ridurre l’esposizione al fumo
passivo e il consumo di tabacco, è
possibile identificare alcune aree
in cui trovano una collocazione
appropriata gli interventi realizzati nel nostro territorio.
I progetti “Ospedale e Servizi
sanitari senza fumo” e “Locali
pubblici liberi dal fumo” realizzano strategie fortemente raccomandate che prevedono di ridurre l’esposizione al fumo passivo
attraverso il rispetto di divieti e di
restrizioni di fumare in luoghi
pubblici.
L’intervento in ospedale e nei
Servizi sanitari si è concretizzato
in una prima fase in cui è stato
stilato un regolamento aziendale
per l’applicazione della normativa anti-fumo negli ospedali e nei
vari locali dell’Azienda sanitaria
e sono stati nominati gli “agenti
accertatori-educatori alla salute”.
Sono stati esposti in tutti gli
ambienti sanitari cartelli di divieto di fumo con l’opportuno
aggiornamento legislativo e, a
distanza di alcuni mesi, è stata
fatta una valutazione qualitativa
attraverso un questionario su un
campione di utenti dei servizi. La
cartellonistica è stata valutata
come sufficientemente chiara e la
maggioranza degli utenti è risultata favorevole alla promozione
di iniziative contro il fumo.
In una seconda fase del progetto
sono stati avviati dei corsi di formazione (intervento raccomandato) rivolti agli agenti accertatori
ed estesi successivamente a tutto
il personale sanitario, per fornire
agli operatori gli strumenti adeguati per sostenere il paziente nel
percorso di disassuefazione dal
fumo (per esempio, il counselling
motivazionale).
Il successo del progetto, in termini di obiettivi raggiunti, è legato
al notevole coinvolgimento del
personale dei servizi e alla predisposizione di una segnaletica
chiara e diffusa in modo capillare.
Gli agenti accertatori hanno rilevato una riduzione dei trasgressori del divieto di fumo all’interno degli ambienti sanitari e
segnalato un alto gradimento
della formazione ricevuta e una
sua notevole ricaduta pratica.
Le attività di controllo in locali
pubblici come bar, ristoranti, pub
e negli istituti scolastici hanno
mostrato il rispetto della normativa sul divieto di fumo, addirittura oltre le aspettative. Infatti non
sono state rilevate infrazioni, né
sono giunte segnalazioni di mancato rispetto della normativa per
le quali ci eravamo preparati a
intervenire.
Le attività educative in ambito
scolastico rappresentano una
delle strategie per scoraggiare i
bambini e gli adolescenti dall’iniziare a fumare e si realizzano
all’interno del progetto “Lasciateci puliti” rivolto agli studenti
della
scuola
dell’obbligo.
L’intervento prevede una formazione, condotta da medici e psicologi e rivolta agli insegnanti delle
scuole medie, responsabili delle
attivazioni successive all’interno
della classe. L’Istituto oncologico
romagnolo ha proposto e utilizzato una serie di indicatori per il
monitoraggio di programmi di
prevenzione dell’abitudine al
fumo: questa valutazione dimostra l’efficacia dell’intervento
sugli studenti raggiunti rispetto a
coloro che non hanno ricevuto
alcun intervento (18 per cento di
fumatori tra i primi contro 31 per
cento tra i secondi).
L’efficacia di interventi educativi
in ambito scolastico, tuttavia, è in
corso di valutazione a livello
internazionale, in quanto ci non
sono ancora abbastanza studi. I
programmi educativi hanno
comunque un ruolo importante
nel ridurre il consumo di tabacco,
se integrati in programmi di azione multifattoriali.
Il progetto “Il Medico di Medicina
Generale contro il fumo” ha l’obiettivo di fornire ai medici di
famiglia strumenti efficaci per
individuare i pazienti fumatori e
offrire consiglio e assistenza nell’intento di smettere di fumare.
Inoltre, fornisce al medico gli
strumenti per attuare un’attività
di counselling antifumo (linee
guida Ahrq, evidenza A), caratterizzata dallo sviluppo di strategie
personalizzate per informare sui
7. Effetti sulla crescita intrauterina
42
1957
Il fumo attivo materno in gravidanza è un fattore di rischio per basso peso alla nascita,
il quale a sua volta è fattore di rischio per numerose malattie del bambino e dell’adulto
1999
Anche le esposizioni materne a fumo passivo hanno un effetto sullo sviluppo fetale. Nei figli di
donne esposte a fumo passivo sono associate a una riduzione media del peso alla nascita di 28 gr.
danni da fumo e i benefici dello
smettere: dal consiglio ai pazienti
fumatori di smettere di fumare
alla proposta di un intervento farmacologico, dall’offerta di un servizio specialistico alla registrazione dell’intenzione del paziente
e relativo follow-up.
Il progetto si è sviluppato in un
primo momento di formazione
obbligatoria rivolta a tutti i medici di base per aggiornare le cono-
scenze epidemiologiche sul fumo
e sulle tecniche di disassuefazione. Prima della formazione è
stato compilato dai medici un
questionario per raccogliere
informazioni sugli atteggiamenti
e le conoscenze dei medici sul
tema del tabagismo.
Ne è emersa una diffusa sensibilizzazione in proposito e una concreta disponibilità a sostenere i
propri assistiti nel percorso di
disassuefazione (il 93 per cento
dei medici si dichiara disponibile
ad aiutare chi vuole smettere di
fumare). Tuttavia non appare così
diffusa la consapevolezza dell’efficacia dell’intervento del medico
nel motivare e sostenere i pazienti in questo percorso (solo il 20
per cento ritiene il proprio consiglio utile nell’aiutare il fumatore a
smettere di fumare).
Ai medici è stato distribuito
Salute
e lavoro
dossier
8. 2002: impatto annuale sulla salute dell’esposizione a fumo passivo in Italia
Basso peso (<2500 gr)
alla nascita
2033 casi in Italia (8 per cento del totale) sono stati attribuiti
al fumo passivo della madre in ambiente di lavoro
Morte improvvisa
del lattante
87 casi in Italia (17 per cento del totale) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (genitori)
Infezioni acute delle basse
vie respiratorie (0-2 anni)
76954 casi in Italia (21 per cento del totale) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (genitori)
Asma bronchiale
(prevalenza, 6-14 anni)
27048 casi in Italia (9 per cento del totale) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (genitori)
Sintomi respiratori cronici
(incidenza, 6-14 anni)
48183 (10 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo
in ambiente domestico (genitori)
Otite media
(incidenza, 6-14 anni)
64130 casi in Italia (14 per cento del totale) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (genitori)
Morte per tumore
del polmone (uomini)
21 casi in Italia (3 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge).
123 casi in Italia (20 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente di lavoro
Morte per tumore
del polmone (donne)
200 casi in Italia (13 per cento delle non fumatrici) sono stati
attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge).
200 casi in Italia (13 per cento delle non fumatrici) sono stati
attribuiti al fumo passivo in ambiente di lavoro
Morte per malattie
ischemiche
del cuore (uomini)
487 casi in Italia (3 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge).
172 casi in Italia (6 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente di lavoro
Morte per malattie
ischemiche
del cuore (donne)
1410 casi in Italia (6 per cento delle non fumatrici) sono stati
attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge).
63 casi in Italia (4 per cento delle non fumatrici) sono stati attribuiti
al fumo passivo in ambiente di lavoro
43
Salute
e lavoro
dossier
materiale informativo da consegnare al paziente fumatore in
ambulatorio (linee guida Ahrq,
evidenza A).
A distanza di sei mesi è stato realizzato un secondo momento di
formazione, incentrato sull’apprendimento di tecniche di counselling breve rivolto al paziente
fumatore e ai medici interessati
ad approfondire l’argomento. Il
corso, a cui ha partecipato il 10%
dei medici di famiglia presenti nel
territorio, è stato giudicato efficace da più del 90% dei presenti.
Dopo un anno, oltre il 50% dei
medici ha realizzato interventi
rivolti ai propri assistiti: in particolare i Mmg si sono impegnati a
individuare i propri pazienti
fumatori registrando le loro abitudini rispetto al fumo e attivando
nel 60% circa dei pazienti contattati un intervento di minimal
advise (intervento breve per sostenere il paziente fumatore nell’intento di smettere di fumare).
Fornire ai fumatori un aiuto a
smettere di fumare rappresenta,
nella pratica clinica, uno degli
interventi più efficaci in termini di
rapporto costi-benefici. Le raccomandazioni (linee guida Ahrq,
evidenza A) prevedono per i
fumatori l’accesso a centri specia-
listici con personale specificatamente formato a offrire trattamenti individuali e di gruppo. Nel
territorio dell’Azienda Usl di
Cesena, questo percorso è garantito attraverso alcuni operatori del
Centro antifumo (medici di sanità
pubblica, psicologi esperti in
dipendenze, uno pneumologo,
un’assistente sanitaria) che concretamente programmano e realizzano i “Corsi per smettere di
fumare”. Per questo progetto è
stata realizzata una valutazione di
risultato sui partecipanti ai corsi
dal 1997 al 2005 ed è stata osservata un’efficacia dell’intervento
paragonabile a quella della letteratura scientifica: gli astinenti a
fine corso erano l’80% del totale
dei partecipanti, dopo sei mesi il
38% e dopo 12 mesi il 35%.
Un altro progetto basato sulle evidenze (linee guida Ahrq, evidenza
A) è “Cuccioli senza fumo”, per
fornire alle donne in gravidanza e
ai loro familiari informazioni
chiare, accurate e specifiche sugli
effetti del fumo sul feto, sul bambino e su loro stessi, e proporre
consigli per smettere di fumare. Il
percorso è stato avviato nel maggio del 2002 con un corso di formazione, rivolto ai pediatri di
famiglia e di comunità, ai gineco-
logi, alle ostetriche, alle assistenti
sanitarie, agli infermieri professionali, per presentare dati epidemiologici e problematiche sanitarie legate al fumo e fornire gli
strumenti per favorire la disassuefazione dal fumo.
È stato prodotto e distribuito
materiale educativo e informativo
rivolto alla donna in gravidanza e
al suo bambino da esporre o consegnare ai genitori nei servizi
ospedalieri e territoriali. Il materiale è stato distribuito anche nei
negozi di articoli per l’infanzia,
negli asili nido e nelle biblioteche
per ragazzi. È prevista l’elaborazione a cadenza annuale di alcuni
dati epidemiologici relativi all’abitudine al fumo delle gravide,
raccolti attraverso una scheda
compilata dai genitori dopo il
parto e un questionario somministrato dagli operatori della pediatria di comunità ai genitori
durante le visite prevaccinali del
bambino a 10 e 24 mesi di età.
Il fumo di tabacco rappresenta un
importante problema di Sanità
pubblica nel nostro Paese e la
riduzione del consumo di tabacco
e dell’esposizione al fumo passivo
dovrebbero costituire un obiettivo di massima importanza per le
comunità. Oltre alle dimensioni
9. Impatto sulla salute dell’esposizione a fumo passivo
44
1999
I non fumatori che vivono in famiglia con fumatori, e quindi potenzialmente esposti
a fumo passivo domestico, sono il 26 per cento della popolazione italiana
1995
Nel Centro-Nord il 56 per cento dei bambini (6-7 anni) e il 56 per cento degli adolescenti
(13-14 anni) ha almeno un genitore fumatore
2002
Seconda fase dello studio. Il 50 per cento dei bambini e il 53 per cento degli adolescenti
ha almeno un genitore fumatore. Il 13 per cento dei bambini di 6-7 anni e il 14 per cento
degli adolescenti di 13-14 anni è stato esposto al fumo della madre durante il periodo fetale
2002
Il 15 per cento degli uomini e il 62 per cento delle donne non fumatori sono stati esposti
nella vita a fumo del coniuge, mentre il 62 per cento degli uomini e il 38 per cento delle
donne sono stati esposti a fumo passivo sul lavoro
1993-1998
La probabilità di esposizione negli adulti è associata allo stato socioeconomico, con una
minore prevalenza nelle persone con un più elevato livello di istruzione
dell’impatto sulla salute è importante considerare che per questo
problema esistono, cosa poco frequente nell’ambito della prevenzione, interventi di provata efficacia come divieti e restrizioni,
aumento del prezzo dei prodotti
del tabacco, campagne di educazione attraverso i mass media. La
scelta di interventi efficaci e adeguati alle esigenze e capacità a
livello locale, così come la loro
attuazione, risulta fondamentale
per contrastare la dipendenza da
tabagismo, promuovere l’adozione di uno stile di vita sano e
orientare nuovamente le attività
dei Dipartimenti verso un settore
di intervento che tradizionalmente è stato molto trascurato.
La scarsa attenzione da parte
degli operatori dei servizi della
prevenzione è di natura prevalentemente culturale: la prevenzione
dei danni da fumo è sempre stata
subordinata a quella rivolta ad
altri fattori di rischio presenti nell’ambiente di vita e di lavoro.
Le attività di vigilanza rappresentano un importante (ma non
esclusivo) settore di intervento
per gli operatori dei servizi di
prevenzione; altri ambiti, come
per esempio la descrizione epidemiologica del problema, l’organizzazione di iniziative di comunicazione ed educazione alla salute e la valutazione dell’impatto
ottenuto dagli interventi di lotta
al tabagismo, devono trovare
maggiore spazio all’interno della
programmazione dei Dipartimenti di sanità pubblica.
Questa esperienza dimostra come
sia possibile realizzare, a livello
della comunità locale, un intervento di prevenzione intersettoriale, evidence based e coordinato
dal Dipartimento di sanità pubblica. I servizi di prevenzione possono svolgere un ruolo rilevante
nella lotta al fumo di tabacco,
grazie, in particolare, alle professionalità ed esperienze maturate
nell’organizzazione di interventi
di comunità.
Purtroppo sono ancora pochi i
Servizi di prevenzione che si occupano del problema, e la maggioranza delle attività è attualmente
assorbita da interventi che non
hanno nessuna evidenza di efficacia. È auspicabile lo sviluppo
dell’Ebp per eliminare le attività
inutili e riorientare le risorse
verso interventi efficaci per la
tutela della salute pubblica.
Piano Sanitario Nazionale
2003-2005 DPR 23 maggio 2003
Salute
e lavoro
Deliberazione della Giunta regionale Emilia-Romagna n.785/ 1999:
Progetto regionale tabagismo
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45
Focus
on
La sicurezza a scuola:
reale o immaginaria?
sono in vigore ai sensi dell’articolo 5, comma 3 della
legge 23 del 1996.
L’applicazione nelle scuole
delle norme di esercizio e
di prevenzione relative al
decreto legislativo 626 del
Mimmo Didonna
1994, alla luce dell’ultimo
monitoraggio effettuato,
risulta ampiamente disatteStudenti di oggi, lavoratori di domani: la sicurezza sul lavoro passa anche per i
sa. Un inadempimento difbanchi di scuola. Nonostante le normative, però, in molti istituti la promozione
fuso, nonostante l’articolo
di norme igieniche e della sicurezza è ancora una chimera. Situazione che
31 comma 3 della 626
rischia di vanificare le attività istituzionali per ridurre gli infortuni sul lavoro.
obblighi il datore di lavoro
(dirigente scolastico) ad
adottare misure alternative
che garantiscano un equili alunni e gli stuobbligo di inserire la mate- zioni per il prossimo anno
valente livello di sicurezza
scolastico. Alle scuole eledenti di oggi
ria “prevenzione e tutela
saranno lavoratori della salute e della sicurez- mentari sta arrivando l’on- in attesa dell’esecuzione da
da lunga del piccolo boom parte dell’ente obbligato
e datori di lavoro di doma- za sul lavoro” nell’offerta
demografico del 2000, men- (comune o provincia) degli
ni. Tutta l’attività che le
formativa.
istituzioni preposte (dalle
La triste realtà è che, nella tre nei licei classici e scien- opportuni lavori di adeguaAsl all’Ispesl, passando per maggior parte delle scuole, tifici iniziano a farsi sentire mento. È bene precisare
alcuni degli effetti negativi che le deroghe che si sono
i Vigili del fuoco) intratutto questo è ancora una
via via succedute negli
prendono per ridurre il
chimera. E l’imperativo «il della riforma del secondo
anni riguardano solo l’eseciclo voluta dal ministro
numero e la gravità degli
rischio: se lo conosci, lo
cuzione dei lavori di adeinfortuni sul lavoro rischia eviti» non viene applicato, Letizia Moratti.
però di essere vanificata, se nonostante il ruolo centrale Praticamente è in atto una guamento, non l’applicazione delle norme di esercizio
vera e propria fuga, dagli
i programmi didattici non
dell’istituzione scolastica
che non richiedono sforzi
vengono integrati organinella formazione della cul- istituti professionali e tececonomici da parte delle
nici verso i licei. Una fuga
camente con la materia
tura. Così come nella promaturata dalla convinzione scuole. Pertanto, i dirigenti
“igiene e sicurezza sul lavo- mozione della sicurezza,
che la separazione del per- scolastici nella formazione
ro”. D’altronde, l’impegno
come previsto dalla terza
d’inserire la sicurezza nei
parte della carta dei servizi corso liceale da quello del- delle classi devono tener
conto della reale dimensiol’istruzione e della formaprogrammi didattici è stato scolastici e dall’articolo 1
ne delle aule in relazione
già assunto dal Governo e
del decreto ministeriale 382 zione professionale serva
all’indice applicabile e
soprattutto a stabilire a
dal ministro della pubblica del 1998 (per quanto attieistruzione con la firma di
ne a un ambiente conforte- priori, e a un’età di appena quindi ridurre proporzionalmente il numero degli
Carta 2000 (capitolo 3,
vole, igienico e sicuro e alle 13 anni, il futuro percorso
professionale. Questa situa- alunni.
paragrafo 3) avvenuta a
particolari esigenze delle
zione, se le autorità prepo- Sulla base degli indici citadicembre del 2000 a
scuole in questa materia).
ste non interverranno tem- ti, il numero di 25 alunni
Genova. Malgrado l’impeLa necessità di inserire l’iper classe è imposto dalle
pestivamente, peggiorerà
gno, in attesa di precise
giene e sicurezza nei pronorme specifiche e di eserulteriormente la tendenza,
indicazioni da parte del
grammi didattici è stata
cizio in materia di edilizia
Miur, la maggior parte
peraltro evidenziata anche già in atto da alcuni anni,
scolastica e sicurezza quali
di costituire illegalmente
delle scuole non affronta
dall’Unione europea, in
il decreto del ministero dei
questo problema, fondaparticolare nella scheda 52 classi con oltre 25 alunni.
Lavori pubblici del 18
mentale invece per la cultu- dell’Agenzia per la sicurez- 25 alunni, ovviamente,
sempre che l’aula sia gran- dicembre 1975 (edilizia scora della sicurezza.
za e la salute sul lavoro.
lastica, urbanistica e funde almeno 50 mq netti,
Troviamo solo un accenno
zionalità didattica) e il
valore stabilito sulla base
nell’articolo 1, comma 3 del
dell’indice di edilizia scola- decreto del ministero degli
decreto presidenziale 257
Aule o pollai?
Interni del 26 agosto 1992
stica di 1,80 mq netti per
del 2000 (regolamento sul(antincendio nelle scuole).
materne, elementari e
l’obbligo formativo fino al
Il 25 gennaio 2006, così
L’articolo 12 della legge
medie e 1,96 mq netti per
diciottesimo anno di età),
come avviene ogni anno,
820 del 24 settembre 1971
le superiori. Questi indici
che prevede un generico
sono state chiuse le iscri-
G
46
norme. Le scuole generalmente utilizzano il decreto
del ministero dell’Istruzione numero 331 del 24
Mimmo Didonna
Codacons, area tematica luglio 1998 (formazione
delle classi) – un provvedi“scuola sicura”
mento, questo, di stampo
meramente amministrativo
– per giustificare la presenza dei 25 alunni in aule
(ordinamento scuola elestriminzite. Chissà cosa
mentare e materna) vieta
potrebbe succedere in caso
l’affidamento di più di 25
di evacuazione d’emergenalunni a ogni insegnante.
za o di trasmissione di
malattie infettive (a causa
di virus, batteri e funghi) e
Scuole fuorilegge
parassiti (pediculosi) in
ambienti così ristretti.
Il superamento di questo
Eppure, lo stesso decreto
limite (anche del 10%) è
ministeriale 331 del 1998
una pratica illegale che
all’articolo 18, comma 5
quasi tutte le scuole praticano, basandosi sulla erro- stabilisce che è compito del
nea convinzione che quan- dirigente scolastico verificare la reale grandezza
to indicato dal Miur sia
delle aule e stabilirne il
applicabile indipendentemente dalla gerarchia delle numero degli alunni, tenuto
l’autore
conto delle norme in materia di sicurezza e igiene.
Se a questo aggiungiamo a
titolo esemplificativo che la
maggior parte delle scuole
italiane non sono provviste
del certificato di agibilità (e
la scuola di San Giuliano di
Puglia ne è un clamoroso e
drammatico esempio) e del
certificato prevenzione
incendi, che non effettuano
con regolarità e con professionalità le prove di evacuazione e di addestramento contro gli incendi, che
non istituiscono e non formano le squadre di emergenza e di primo soccorso,
che la medicina scolastica
dopo l’entrata in vigore
della 626 nelle scuole risulta di fatto latitante, è evidente quanto sia grave la
situazione sia sotto l’aspetto dell’igiene e sicurezza
che del rendimento scolastico legato al numero di
alunni per ogni classe.
Del resto, esaminare le
aeree logistiche (aule comprese), così come disposto
dalla scheda 45
dell’Agenzia europea per la
sicurezza e la salute sul
lavoro, dovrebbe essere un
preciso obbligo del dirigente scolastico. La 626 obbliga il datore di lavoro ad
applicare le norme tecniche
degli enti normatori in
quanto ritenute “pratiche
di buona tecnica”: ma le
scuole sono tenute ad
applicare, sia nei confronti
degli alunni che degli insegnanti, la norma tecnica
En Iso 10075-1 ed En Iso
10075-2 (“Il carico di lavoro
mentale: come definirlo,
gestirlo e valutarlo”)?
Io credo proprio di sì.
Focus
on
RISORSE IN RETE
Carta 2000 e inserimento del tema della sicurezza nei programmi didattici:
http://www.ispesl.it/informazione/rassegna/carta2000.htm
Carta dei servizi scolastici: http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dpcm7695.html
Articolo 1 del decreto ministeriale 382 del 1998: http://www.edscuola.it/arch ivio/norme/decreti/regl626_94.html
Scheda 52 redatta dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro sulla necessità di inserire l’igiene e
sicurezza nei programmi didattici: http://agency.osha.eu.int/publications/factsheets/52/it/FACT52_IT.PDF
Affollamento aule: http://www.codacons.it/scuola/massimo_affollamento_aule.html
Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del decreto legislativo 626 del 1994:
http://www.epicentro.iss.it/focus/piano_prevenzione/report-nazionale.pdf
Per gli approfondimenti sul rendimento scolastico, si veda l’articolo di Nico Hirtt in:
http://www.edscuola.it/archivio/famiglie/star.html
Scheda 45 redatta dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro sull’obbligo del dirigente scolastico di
esaminare le aeree logistiche, aule comprese: http://agency.osha.eu.int/publications/factsheets/45/it/FACT-45_IT.PDF
Norma tecnica En Iso 10075-1 ed En Iso 10075-2 (“Il carico di lavoro mentale: come definirlo, gestirlo e valutarlo”):
http://www.uni.com/uni/controller/it/comunicare/come_comunica/uec/uec_1_2006/lavoromentale_gen2006.htm
Codacons, area tematica “scuola sicura”: http://www.codacons.it/scuola/scuola.asp
Lista di discussione: http://it.groups.yahoo.com/group/igiene_sicurezza-scuole/
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