Numero 66 febbraio 2006
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Numero 66 febbraio 2006
Rivista trimestrale della Società nazionale degli operatori della prevenzione Editore: Snop - Società nazionale operatori della prevenzione - Via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milano www.snop.it Numero 66 febbraio 2006 Le foto che illustrano questo numero sono state realizzate dall’Osservatorio sicurezza grandi opere. Per gentile concessione della Asl 10 di Firenze. Direttore responsabile: Claudio Venturelli Direttore: Alberto Baldasseroni Direttore editoriale: Eva Benelli Comitato scientifico di redazione: Alberto Baldasseroni, Maria Elisa Damiani, Sara Franchi, Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca Pietrantoni, Luigi Salizzato, Domenico Taddeo, Claudio Venturelli, Luciano Venturi Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna, Anna Maria Zaccheddu Editoriale Vent’anni (circa) di una rivista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Alberto Baldasseroni Vent’anni di prevenzione Stringiam’ci a coorte (ma superiamo la corte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Domenico Taddeo Noi, knowledge workers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Leopoldo Magelli La vera scommessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Leopoldo Magelli A quando un’Agenzia della prevenzione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Emilio Volturo Pensare globalmente, agire localmente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Luigi Salizzato Cara Snop, ti scrivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Graziano Frigeri Grafica e impaginazione: Corinna Guercini Copertina: Bruno Antonini Trent’anni dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Claudio Calabresi Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma tel. 068175644 e-mail: [email protected] Una storia come tante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Lalla Bodini Stampa: Tipografia Graffiti srl - Pavona (Roma) Il buratto grosso Abbonamento annuale per 4 numeri: 26,00 euro c/c postale n. 36886208 intestato a Snop Indicare la causale del versamento e l’indirizzo a cui spedire la rivista Singolo numero: 10,00 euro Autoriz. Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86 Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA sped. in abbonamento postale 70% DRCB Roma. L’editore Snop, titolare del trattamento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali degli abbonati non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricorda che gli interressati possono far valere i propri diritti ai sensi dell’articolo 7 del suddetto decreto. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, si rende nota l’esistenza di una banca dati personali di uso redazionale presso Zadigroma, via Monte Cristallo 6. Responsabile trattamento dati: Angelo Todone. I dati necessari per l’invio della rivista sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’editore Snop per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lettera C del DPR 26/10/1972 n. 633 e successive modificazioni e integrazioni, nonché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989). Finito di stampare nel mese di febbraio 2006 Sacrificio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Giorgio Ferigo Dossier: Salute e lavoro Rischio amianto: esposizioni di ieri, esposizioni di oggi . . . . . . . . . . . . 18 Stefano Silvestri Amianto a bordo: e la nave va… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Lorenzo Papa, Giorgio Sampaoli Un rischio vecchio con un nome nuovo: mobbing . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 Roberta Stopponi Le mani nel cemento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Alessandro Carella, Giorgio Papa Conosci tu il Paese dove non si fuma (a tavola?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Giacomo Mangiaracina Interventi efficaci per una comunità libera dal fumo . . . . . . . . . . . . . . . 39 Francesca Righi, Mauro Palazzi, Giampiero Battistini Focus on La sicurezza a scuola: reale o immaginaria? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 Mimmo Didonna Editoriale Vent’anni (circa) di una rivista Alberto Baldasseroni uesto numero della rivista giunge a (circa) vent’anni dal primo, pionieristico fascicolo che vide la luce a metà degli anni Ottanta. L’occasione non è canonica. Si festeggiano infatti il Giubileo, i cinquant’anni, il centenario, mentre noi abbiamo voluto richiamare adesso l’attenzione dei nostri lettori, molti dei quali nuovi della rivista. Vent’anni dunque, anno più anno meno, è l’arco di tempo durante il quale il bollettino Snop ha fatto sentire la sua opinione sui temi della prevenzione primaria in sanità. Poco o tanto che possa essere considerato, si tratta comunque di un periodo importante, durante il quale sono accaduti molti avvenimenti e molti processi relativi alla salute umana sono evoluti, cambiando di fatto Q prospettive e scenari nei quali via via ci siamo trovati a operare. Per parlare di questo, in particolare delle prospettive che ci troviamo di fronte, abbiamo pensato di ospitare in un’intera sezione i contributi dei past president della nostra associazione: coloro i quali hanno guidato e, in misura non trascurabile, orientato le principali scelte di politica sanitaria che la nostra associazione ha assunto nel corso del tempo. L’invito è stato accolto da tutti con favore e con espressioni di apprezzamento, saremmo tentati di dire di affetto, sia per il bollettino, sia per l’associazione. A completamento di una fase di transizione già annunciata nei precedenti numeri, la rivista si presenta in una nuova veste grafica ed editoriale, affidata La nostra rivista cresce e si rinnova: nel 2006 usciranno quattro numeri di Snop. È uno sforzo importante in cui crediamo. Aiuta e sostieni questo sforzo: rinnova il tuo 2 abbonamento e fallo rinnovare. alle cure di un gruppo di “addetti ai lavori”, i giornalisti dell’agenzia Zadigroma, specializzata nel settore dell’informazione e dell’editoria scientifica e sanitaria. Non possiamo non rivolgere il nostro più sentito ringraziamento a Roberto Maremmani che ha curato la veste grafica e gli aspetti tipografici di tutti i precedenti 65 numeri. Quella di Roberto, operatore della prevenzione del Servizio di Sesto San Giovanni, è stata sempre molto di più che una semplice versione in stampa degli articoli e dei pezzi che giungevano. Tra l’altro, per molti anni ha anche curato la rubrica “Giallolimone” che commentava, in punta di penna, l’aria che si respirava tra gli operatori della prevenzione nei luoghi di lavoro. Nel momento di un passaggio di mano (organizzativo e, da qualche tempo, anche nei contenuti) della rivista è parso indispensabile dare una “rinfrescata” a tutto l’edificio. Ci auguriamo quindi che la nuova veste sia gradita ai lettori, ma ancor più che i nuovi contenuti, sui quali stiamo ancora lavorando, incontrino il favore di un numero sempre maggiore di operatori a vario titolo impegnati nel campo della prevenzione e della sanità pubblica. Stringiam’ci a coorte (ma superiamo la corte) Vent’anni di prevenzione Domenico Taddeo tamente quello di cui c’è meno bisogno. Solidi radici e sguardo al futuro Le radici infatti contano, ma vanno attualizzate e proiettate nel futuro. E mi fa piacere che alla nostalgia non indulgano affatto anche gli altri presidenti per quello che fanno oggi tutti i giorni e per le idee e i suggerimenti che propongono. Mi sembra quindi che ci sia ampia materia ell’archivio delle imprese Snop a cui della quale discutere, sia sulla rivista che sul sito ho dato un contributo, mi piace ricordare il web dell’associazione (www.snop.it). convegno del 1990 a Pisa sulla comunicazione e l’im- Leopoldo Magelli ed Emilio Volturo, per esempegno per lo sviluppo di pio, fanno cose coerenti rapporti con i colleghi europei. Le nostre storie ci con la nostra attenzione alla partecipazione dei fanno essere una coorte, per le esperienze (anche se Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (Rls) e differite) di impegno milialla globalizzazione. tante fin dal tempo dell’uGraziano Frigeri rappreniversità, ma anche per una comune visione critica senta quello che noi chianei confronti dei temi legati miamo una nuova figura alla tutela e alla promozio- professionale, nata in seguito all’approvazione ne della salute e dell’amdel decreto legislativo biente. 626/94 sulla sicurezza e Detto questo, però, non igiene nei luoghi di lavoro, voglio affatto evocare il sentimento di un nostalgi- e mi sembra che interpreti al meglio il proprio ruolo. co “come eravamo”: è cer- N Laura Bodini prosegue nel suo impegno quotidiano per il “ben fare” del suo Servizio e si impegna nella Ciip per la presidenza Snop. Claudio Calabresi incarna il nuovo e il futuro delle collaborazioni istituzionali centrate sul problema dei flussi informativi tra Inail, Ispesl e Regioni. Con Luigi Salizzato ho più frequentazione perché ancora attivo nell’ufficio di presidenza Snop, ma anche nel lavoro della rivista. Rispetto alla Snop delle origini, Salizzato rappresenta al meglio “il nuovo”, quella parte di operatori principalmente, ma non solo, appartenenti ai dipartimenti di prevenzione che intervengono su tutti gli altri temi della sanità pubblica. Mestiere difficile ma appa- gante, quello di presidente Snop: saper equilibrare gli interessi e i temi disciplinari con l’attenzione alla integrazione e allo sviluppo di tutte le aree disciplinari nella prevenzione pubblica e non. L’allargamento dei temi affrontati dalla rivista Snop, i contatti (anche istituzionali) che abbiamo attivato sono un segno che ci stiamo provando seriamente. Il nostro congresso che si terrà a Bari il 27 e 28 aprile 2006 vuole essere un ulteriore contributo in questa direzione. Si parlerà infatti di: prevenzione tra evidenza e devolution, leggi delega e direttive comunitarie, la difesa dei più deboli negli ambienti di vita e di lavoro, globalizzazione e sicurezza alimentare. Biografia Sono il più giovane del gruppo dei presidenti. Nato nel 1953 a Benevento, ho studiato medicina e specialità a Pisa, sono nei servizi dal gennaio 1979, nel coordinamento degli operatori della prevenzione dai primi anni Ottanta, presente alla fondazione di Snop. Ho lavorato sempre nel settore della medicina del lavoro, come responsabile del servizio territoriale dal 1987 a oggi, salvo una parentesi biennale (1995-1996) di direzione sanitaria. Sono presidente dell’associazione dal 2003. 3 Vent’anni di prevenzione Noi, knowledge workers Leopoldo Magelli Riproponiamo in forma sintetica l’editoriale di Leopoldo Magelli pubblicato sul secondo numero di questa rivista, in occasione del settimo congresso annuale degli operatori del Servizio di prevenzione nei luoghi di lavoro. Tema dell’incontro e di questo articolo (la cui versione completa è disponibile sul sito www.snop.it) è il sistema informativo di acquisizione dei flussi informativi nel territorio e, più in generale, le logiche e le criticità della comunicazione fra gli operatori della prevenzione. Una lettura ancora attualissima. Dentro e fuori Non intendo sostenere che gli operatori dei servizi debbano restarsene chiusi nelle loro sedi, attaccati a un terminale o a una stampante, per ricevere e interpretare dati, cessando di avere un rapporto diretto con i luoghi di lavoro e con gli uomini che vi operano, o riducendolo di molto. La valorizzazione che si deve grammazione - in singole attuare del sistema inforaziende al di fuori di una logica di comparto vengono mativo non va certo in ancora eseguiti (e ciò è giu- alternativa o a scapito delFare prevenzione oggi in una dimensione territoriale sto e corretto in molti casi), l’intervento diretto in fabvuol dire sempre più essere non c’è dubbio che la linea brica. Del resto, in questi dei knowledge workers, cioè di tendenza oggi prevalente ultimi anni siamo indubbiamente andati in questa sia, almeno come orientadegli operatori della conoscenza e dell’informazione. mento, quella dell’interven- direzione. Quando abbiamo individuato, per i nostri Credo che infatti sia tempo, to di comparto. […] servizi, le attività fondaper noi operatori dei servi- Individuare la centralità mentali, e poi le abbiamo zi di prevenzione nei luoghi del nostro operare in fabbrica vuol dire privilegiare, scomposte nelle attività di lavoro, di compiere una secondarie, abbiamo già seconda rivoluzione coper- come momento chiave del fatto una grossa operazionicana, dico “seconda” per- lavoro del servizio, l’agire ne culturale: l’intervento in ché la prima la compimmo direttamente, nel luogo di lavoro, sui problemi: veder- fabbrica era individuato anni fa quando superamcome una delle attività di li, toccarli, misurarli. Vuol mo il concetto dell’interdire, così crediamo, valoriz- servizio, accanto alla mapvento a pioggia, su richiesta, in singole aziende, per zare al massimo la compe- patura e costruzione del imboccare la via dell’inter- tenza tecnica degli operato- sistema informativo, al vento programmato, basa- ri; vuol dire ribadire il “pri- controllo sui nuovi insediamenti produttivi, al coordito sulle mappe di rischio e mato dell’autopsia” sulla namento degli accertamencapacità di gestire e interorganizzato per comparto ti sanitari per i lavoratori a pretare informazioni. produttivo. Anche se questa scelta non Vuol dire, infine, ridurre il rischio, all’informazione, sistema informativo a mero formazione ed educazione è ancora dappertutto e sistematicamente praticata, strumento di supporto del- alla salute. Già questo l’agire diretto, che si esalta significa vedere nell’intere anche se interventi su vento diretto in fabbrica come il più autentico richiesta - o anche su pro- […] 4 momento di espressione del servizio. Questa logica è, a mio avviso, ormai superata dai fatti e dalle cose, e occorre prenderne atto, non nel senso di smettere di andare in fabbrica, ma nel senso di ridefinire la centralità di questa fase del lavoro rispetto alle altre. non “l’attività” per eccellenza del Servizio, ma appunto, una delle attività, anche se, implicitamente, era sempre per noi la più importante. Oggi dobbiamo andare più in là e considerare l’intervento diretto non solo una delle diverse attività, accanto alla costruzione e all’aggiornamento del sistema informativo. […] Infatti, se fare prevenzione significa da un lato trasformare gli ambienti e dall’altro formare gli uomini, tutte le attività tese a questi obiettivi orbitano intorno a un nucleo centrale che è il sistema informativo, che permette l’acquisizione di tutti i flussi informativi che attraversano il territorio.[…] Non possiamo illuderci di governare la prevenzione con la nostra presenza diretta nelle fabbriche. Quanti anni ci vorrebbero prima di poter toccare tutte le migliaia di aziende che abbiamo sui nostri territori, per poi accorgerci, appena finito, di dover ricominciare da capo? E come pensiamo di poter garantire il controllo permanente degli ambienti di lavoro, prescindendo dalla centralità del sistema informativo? Porre al centro della nostra attività il sistema informativo non è dunque una fuga in avanti, ma una scelta realistica obbligata per svolgere al meglio il nostro lavoro. Tre aspetti sono i punti critici del sistema informativo: l’intervento di comparto, la gestione dei dati sugli infortuni, il controllo e coordinamento degli accertamenti sanitari, periodici e mirati. Ma, ancora una volta, non possiamo parla- re del nostro orticello, per quanto diligentemente e amorosamente curato, senza tener conto di tutto il contesto. Se l’anno scorso a Caramanico Terme, nel nostro VI convegno, ad agitare le acque era la proposta di una ricentralizzazione delle funzioni di prevenzione dei luoghi di lavoro e di una fuoriuscita delle Usl, oggi la situazione è definita da due elementi. Da un lato l’accavallarsi continuo di proposte di “riforma della riforma sanitaria” […], dall’altro la comparsa di nuove normative sull’igiene e la sicurezza del lavoro. Se le prime stesure della legge sul piombo e sull’amianto destavano qualche perplessità, ma erano nel complesso un utile terreno di lavoro, non possiamo non rimarcare l’involuzione che le prime bozze hanno subito nel corso dei lavori del Gruppo interministeriale per il recepimento delle direttive comunitarie (Gird) e del confronto con le parti sociali […]. E del resto, se si va a un pesante attacco allo stato sociale, perché mai si dovrebbe andare a una rigorosa normativa sulla tutela della salute in fabbrica, che andrebbe esattamente nella direzione opposta, e non sarebbe certo compatibile con la linea che viene avanti a livello governativo? Ecco perché è necessario parlare della normativa di legge: quello che uscirà dal lavoro di questi mesi condizionerà pesantemente il modo di operare dei servizi di prevenzione, e quindi è opportuno cominciare ufficialmente a occuparcene, anche se non solo sarà duro il confronto con gli interlocutori esterni dei servizi, ma anche al nostro interno non ci sarà certo una completa identità di vedute. D’altra parte, è proprio partendo da una comprensibile pluralità di opinioni che si potrà giungere a una posizione unitaria, che consenta non solo di poter incidere sul contenuto delle nuove normative, ma anche di gestirle successivamente in modo coerente e omogeneo. tempi migliori e di prospettive più felici, una qualsivoglia forma di delega per la soluzione dei nodi in cui siamo presi, un ritagliarsi piccoli spazi personali per esperienze esemplari, magari gratificanti, ma di scarsa incidenza sul contesto generale. Invece la situazione è quanto mai dinamica e passibile di sbocchi in diverse direzioni, pur all’interno di una linea di tendenza del quadro politico-generale che non sembra preludere a sviluppi troppo positivi. È quindi necessaria un nostra presenza sulla scena molto più costante, incisiva e propositiva, valorizzando in modo più accorto e diffuso quello che facciamo, come un investimento di energie e risorse per spendere meglio e valorizzare la nostra immagine, con una maggiore attenzione a Andare in scena come riusciamo a imporre un modello operativo, cul[…] Se ci trovassimo di turale e scientifico. Ma per fronte a una situazione bloccata, ingessata e irrigi- proporre un modello fundita in forme cristallizzate zionante e operativo di fare prevenzione che stimoli (penso da un lato all’ospedale, dall’altro ad altri set- partecipazione è necessaria la presenza di un servizio tori del pubblico impiego) pubblico efficiente (e magaavremmo molti alibi per giustificare una nostra lati- ri efficace), che sappia protanza sul piano culturale e durre nel peggiore dei casi propositivo, un nostro iner- solo conoscenza e cultura, nel migliore anche trasforte attendismo rispetto a mazione. quello che succederà nel nostro settore e nella sanità Tutto ciò senza cadere nel trionfalismo. C’è ancora più in generale, uno stare troppa disomogeneità da alla finestra in attesa di una regione all’altra, sia come presenza dei servizi sia come qualità e quantità del loro operare, c’è ancora una forbice troppo grande, anche nelle realtà avanzate, tra le potenzialità presenti e quello che effettivamente si realizza, c’è ancora una sostanziosa distanza tra quello che vorremmo essere e quello che in realtà siamo. […] A questo punto, il cerchio si richiude: presentare proposte di ordine tecnico e organizzativo non significa solo riflettere sul nostro operare e ipotizzare modi per lavorare meglio, ma anche essere in grado di produrre cultura e informazione, dimostrando che è possibile operare seriamente nel nostro settore, che deve (o dovrebbe) pesare in modo più significativo sul contesto generale. Paradossalmente, nel momento in cui abbiamo scelto di costruire un’associazione per certi versi chiusa, in quanto riservata agli operatori del settore, abbiamo scelto implicitamente di sviluppare e potenziare in modo molto più intenso i nostri rapporti con il contesto politico, culturale, sociale ed economico in cui il nostro operare si inserisce, e con tutti gli interlocutori che lo popolano. Dobbiamo procedere coerentemente per questa strada. Vent’anni di prevenzione 5 Vent’anni di prevenzione La vera scommessa Leopoldo Magelli Le voci dei presidenti passati ripercorrono la storia della Snop, dipingendone entusiasmi e criticità, con un occhio al passato e una sbirciatina al futuro della cultura della prevenzione. Ma soprattutto con una riflessione sugli operatori del presente, chiamati a rinnovare il proprio ruolo accanto ai governi e alle diverse parti sociali. nvece che lanciarmi in analisi e riflessioni sul mondo che verrà, preferisco partire da un’esperienza concreta di pochi giorni fa, dalla quale tenterò di derivare qualche ipotesi sul “che fare”. Da quando ho lasciato il Servizio sanitario nazionale, sono passati undici anni. Non tantissimi in termini cronologici, molti di più se li misuriamo dal punto di vista dei cambiamenti normativi, sociali, economici, antropologici, contrattuali, motivazionali. In questi anni il mondo del lavoro, e di riflesso quello della prevenzione, è cambiato sotto numerosi punti di vista: normativo, sociale, economico, antropologico, contrattuale, motivazionale. Dal 1994 uno dei terreni professionali e politici che più mi ha impegnato è infatti quello del rapporto con i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Da sette anni collaboro all’attività del Servizio informativo per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Sirs), istituito dalla Provincia di Bologna, l’Azienda Usl di Bologna (ora anche di Imola), la Cgil, la Cisl e la Uil. Tra le attività del Sirs ci I 6 sono l’assistenza ai Rls, la risposta ai quesiti, il supporto nell’analisi di documentazione aziendale, la fornitura di materiali e documentazione, la redazione di un bollettino informativo bimestrale che viene spedito a più di 2000 indirizzi e l’organizzazione di seminari. Almeno due volte l’anno, infatti, i Rls delle aziende della provincia di Bologna sono invitati a partecipare a un incontro su temi legati al loro operare quotidiano: un’occasione fondamentale per capire il loro mondo direttamente, senza mediazioni o interpretazioni soggettive di esperti veri o presunti. Un appuntamento speciale Nel novembre 2005 si è tenuto a Bologna un seminario sul tema dei rapporti tra Rls e medico competente: la partecipazione è stata notevole, sia in termini di numeri che di interventi, esperienze, richieste di informazioni e documentazione, osservazioni, proposte. Al momento della chiusura della giornata la sala era ancora praticamente piena (quasi 200 parteci- panti), con la file di persone al tavolo che continuavano a chiedere cose, proporre ulteriori incontri, fissare appuntamenti per approfondire meglio casi particolari. Questo racconto entusiasta è il pretesto per ricordare come il rapporto con i Rls sia oggi una delle più grandi scommesse che abbiamo davanti come operatori della prevenzione. Non voglio riaprire un dibattito su vigilanza e prevenzione, tema su cui da sempre la Snop si è confrontata (a volte anche divisa) e che fu anche il titolo di un importante convegno a Bologna negli anni Ottanta. Credo però che oggi fare prevenzione voglia dire soprattutto (ma non solo) essere capaci di creare dei rapporti costruttivi, forti ed efficaci, con gli interlocutori sociali nel mondo del lavoro, dai datori di lavoro ai Rspp, dai medici competenti ai consulenti, ma soprattutto con i Rls. Biografia Dal 1994 opero in campo di formazione e consulenza per la prevenzione, la sicurezza e la salute sul lavoro. Ho lavorato e lavoro con Aziende Usl, Enti locali, centri di formazione, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, singole imprese di produzione o servizi, in giro per tutta l’Italia. In particolare, ho coordinato la task-force dell’EmiliaRomagna per l’applicazione del 626 e delle altre normative comunitarie dal 1995 al 2004, anno in cui l’Assessorato alla sanità ha deciso di scioglierla e sono stato responsabile scientifico del progetto nazionale di ricerca sull’applicazione del 626 in un campione di più di 8000 aziende. Dal 1997 collaboro col Sirs di Bologna e dal 2004 sto coordinando un progetto di ricerca sulla valutazione dell’efficacia della formazione alla sicurezza dei lavoratori delle imprese impegnate nei lavori della costruzione della Variante autostradale di valico tra Bologna e Firenze. Infine, a partire dal 2002 ho partecipato a progetti di cooperazione internazionale di medicina del lavoro con una Ong di Bologna, in Vietnam (Bac-Giang e Hanoi) e in Brasile (Belo Horizonte). Un interlocutore privilegiato e determinante, che può diventare il terminale più intelligente, il sensore più percettivo che possiamo trovare nelle aziende, il portatore di quelle esigenze di soggettività dei lavoratori per cui i Servizi si sono costituiti in alternativa e concorrenza alle tradizionali strutture ispettive d’antan. Dico questo non per rivolgere un improbabile sguardo al mondo che fu, ma perché sono profondamente convinto che proprio i cambiamenti brutali del mondo del lavoro in questi anni ci propongono una sfida che non si può affrontare soltanto con quello strumento autarchico e autoreferenziale che sono i poteri della vigilanza. Che pure vanno usati, anzi, con più energia, incisività, lucida intelligenza di quanto non si sia fatto fino a oggi. Occorre però percorrere con convinzione e tenacia anche altre strade. Un tris d’assi Osservando il mondo del lavoro dal punto di vista di chi oggi si occupa di formazione e consulenza, appare chiaro come la mancata o carente qualità della sicurezza non sia dovuta soltanto a comportamenti illegali da parte di molti datori di lavoro (cui occorre rispondere, senza mezzi termini, con la durezza della sanzione). Questa scarsa sicurezza, infatti, dipende anche dall’esistenza di una vasta zona grigia in cui regnano ignoranza, scarsa attenzione, disinteresse, subalternità tecnica e culturale ai consulenti, non conoscenza e percezione delle proprie responsabilità, modesta o mediocre cultura organizzativa. Su questa enorme zona grigia gli strumenti da usare sono quelli della facilitazione, della promozione, dell’empowerment per dirla con una parola di moda, o dei sistemi premiali. A questo proposito, qualche anno fa ho visto a Hollywood che molte caffetterie esponevano in vetrina, se era stato positivo, il voto ottenuto ai controlli sull’igiene della struttura preposta della contea: una sorta di “eco-marchio” che influiva notevolmente sulla scelta dei locali in cui mangiare e che potrebbe essere riproposto alle aziende come segno di qualità da spendere sul mercato per la loro immagine. Oltre che sui datori di lavoro e sui loro tecnici, occorre agire con i Rls per creare nelle aziende non tanto un improbabile contropotere, ma quantomeno una funzione di controllo, stimolo, attenzione. È in questa logica che a volte uso con loro la metafora del tris d’assi: A come attenti, A come appropriati, A come assillanti. E per realizzarlo, occorre disporre di strumenti, metodo, conoscenze. Contribuire oggi a fornire questi elementi non è certo una scelta romantica o ideologica da vetero-operaista, quanto piuttosto una delle ultime opportunità che sono rimaste a chi vuole davvero fare ancora prevenzione. Senza tuttavia contrarre la sindrome dei combattenti giapponesi nelle giungle dell’Asia che, secondo la leggenda, continuavano a combattere senza sapere che la guerra era già finita, e per di più anche perduta. Vent’anni di prevenzione A quando un’Agenzia della prevenzione? Emilio Volturo o squilibrio fra Nord e Sud del mondo fa sentire il proprio peso schiacciante anche sulla prevenzione. È prioritario ribadire che non è prevenzione lo spostamento nel tempo, e soprattutto nello spazio, dei rischi. Anche nel nostro campo è possibile praticare concretamente la parola d’ordine «pensare globalmente, agire localmente». Come ho avuto modo di toccare con mano nelle mie esperienze di cooperazione internazionale, il “modello italiano di prevenzione” è ancora un punto di riferimento in alcune aree del mondo, come per esempio il Sud America. Come le stelle di cui si vede ancora la luce secoli dopo la loro estinzione, abbiamo delle responsabilità quanto meno sul piano storico. L Le scelte dell’asino di Buridano I paesi industrializzati sono da tempo esportatori di rischi e importatori di esposti al rischio. A proposito di questo secondo punto, la soluzione non sta nella chiusura della frontiere, immorale, impraticabile e addirittura antieconomica secondo l’Ocse. Il più frequentato binomio dell’accoglienza, casa e lavoro, deve essere però declinato con i parametri della salute e della sicurezza. Lo stato dell’arte non è incoraggiante. Neanche la versione più misera e grottesca della mediazione culturale, quella che la riduce alla produzione di stentati volantini in diverse lingue, ha diritto di cittadinanza in molti dei nostri servizi e imprese. In alcuni casi si prospetta addirittura uno scenario di discriminazione degno dell’asino di Buridano: se nei miei corsi sul rischio da amianto ammetto cittadini stranieri che non capiscono bene l’italiano non riesco a trasmettere alcunché e ne faccio delle vittime predestinate, ma se non li accetto o li boccio a fine 7 Vent’anni di prevenzione 8 un ruolo che da tempo definisco felicemente periferico: diventano, devono necessariamente diventare promotori, catalizzatori, facilitatori, attivatori, regolatori di sistema. Anche controllori, certo, ma solo dopo una profonda revisio- tro, oggi sempre più aleatorio, fra addetti ai lavori e società civile, non limitandosi alla richiesta di sostegno. La parola d’ordine «ci Una questione vogliono più controlli, bisopolitica? gna rafforzare i Servizi» risulta ormai tanto parziale È sorprendente come il da apparire obsoleta, se dibattito sulla legge Biagi non si accompagna a un non abbia sostanzialmente rinnovamento. toccato la questione della Il futuro della prevenzione salute occupazionale, salvo dovrà necessariamente rarissime e inascoltate basarsi su questi pilastri: eccezioni. Le cosiddette formazione, informazione, nuove forme di lavoro (la sistemi informativi, comudecantata flessibilità) sono nicazione. di fatto il cavallo di Troia Nella vigilanza non c’è per nuove e più violente futuro: rimane oggi, e epidemie di infortuni, dovrà necessariamente malattie professionali e rimanere a lungo, con disagi, vecchi e nuovi. È ne del significato della buona pace dei sostenitori necessario muoversi su parola controllo. In altre della deregulation, una due piani: da una parte condizione necessaria, ma bisogna rivedere il sistema aree, il ragionamento non cambia, entrano solo in assolutamente non suffidelle flessibilità per ricongioco altri sistemi: la scuo- ciente. Molto dipende, inoldurle a quell’alveo fisiolotre, da come la si esercita: gico da cui sono da tempo la, per esempio, e più in generale la cittadinanza occorre un grande sforzo uscite (il fatto che sia un attiva e consapevole, il per completare il guado compito sostanzialmente sistema dei sistemi. dallo stile anni ‘50 allo stile politico non ci autorizza a 626. A questo proposito, va chiamarci fuori), dall’altra anche ripreso con forza il rendersi conto che molti discorso del testo unico, strumenti preventivi fatico- La speranza uscendo da una logica samente costruiti in un è nei cittadini puramente difensiva. Non quarto di secolo sono obsopossiamo accontentarci del leti se applicati al lavoro Uno spiraglio di speranza precario. si apre pensando alla sensi- recente scampato pericolo. A mio sommesso parere, il Il futuro della prevenzione, bilità ai temi della prevencomunque, non sta nelle zione. Se è vero che gli ope- vero futuro dovrebbe essere la cultura della prevenmani dei tecnici, ma dei ratori sono sempre meno zione, la capacità di diffongoverni (europeo, naziona- un manipolo di eroi motile, locali) e delle parti vati e inclini al sacrificio, e dere nella società valori e principi da cui far discensociali. Il ruolo degli opera- somigliano sempre più, tori della prevenzione, come è naturale, a normali dere comportamenti e stili di vita. La prevenzione di però, se riveduto e corretto, operatori di un qualsiasi può essere più importante ente pubblico, è altrettanto cui si parla è un sistema che mai. A patto che la vero che il clima generale è unitario di valori e principi: cogliere questa apparente revisione sia profonda e più favorevole rispetto al banalità e declinarla quotispietata. tempo degli eroi: cittadini, dianamente è una delle Dopo la legge 626, la censtudenti, lavoratori sono tralità realizzativa (o più sensibili alle tematiche chiavi del futuro, altro che la strategia perdente dei gestionale) della prevenzio- della qualità della vita. mille rivoli e delle mille ne nei luoghi di lavoro è Basti guardare i mass posta in capo al sistema media per farsene un’idea. culture. Pensando al mondo della impresa. I servizi pubblici Ed ecco allora un’altra di prevenzione assumono chiave per il futuro: l’incon- scuola, non c’è istituto che corso metto a rischio il loro lavoro. non sia stato funestato dalla giornata dell’educazione stradale, dall’incontro sull’educazione alimentare, dalla lezione sulla sicurezza sul lavoro, dal seminario sull’educazione sessuale, promossi da tanti soggetti diversi che stentano a parlarsi tra loro. Piccole battaglie vinte e Biografia Dal 2003, dopo un’entusiasmante esperienza quinquennale come direttore del Centro di documentazione e formazione (Cdf), sono direttore dell’Osservatorio epidemiologico della Asl Milano 2 e supervisore didattico di For, Centro di formazione sulla prevenzione negli ambienti di lavoro nato per volontà del Sindacato milanese. Inoltre, sono vicepresidente del Ciip e responsabile del Progetto di cooperazione ItaliaBrasile in Medicina occupazionale per conto del Centro di cooperazione Oms operante presso la Clinica del lavoro di Milano. Infine, sono progettista di formazione e formatore per imprese e Asl sui temi della prevenzione in ambienti di vita e di lavoro, con particolare riferimento a comunicazione e sistemi informativi. A breve avvierò inoltre una nuova interessante esperienza, con un primo viaggio a Nuova Delhi: un Progetto di collaborazione fra Italia e India, promosso per la parte italiana da Ispels, in materia di informazione e formazione sui temi della salute e sicurezza in ambiente di lavoro. una guerra persa, almeno finora. La scelta del modello Per quanto riguarda, infine, l’assetto, devo confessare di essere molto influenzato dalla situazione in Lombardia. La mission del sistema sanitario lombardo è chiaramente indicata nella clinical governance, ovvero nella razionalizzazione della spesa sanitaria. Al di là delle valutazioni politiche sullo smantellamento della sanità pubblica attualmente in atto, le Asl si stanno adeguando lasciando sempre meno spazio alla prevenzione, un obbligo mal sopportato, un compito accettato obtorto collo perché sopravvivono leggi regionali in merito. In un assetto di questo tipo non c’è futuro. Spostandosi a livello nazionale, si danno solo due possibilità: la Lombardia è un’eccezione. In tal caso l’eccezione andrebbe ricondotta alla norma. Anche nelle altre Regioni, se pur in diversa misura, si riscontra questa tendenza. In entrambi gli scenari il futuro della prevenzione dipende dalla capacità di spostare il baricentro dell’incontro-scontro sul terreno regionale e dalla scelta consapevole del luogo istituzionale in cui ospitare la prevenzione pubblica. Per quanto mi riguarda, sono giunto alla sofferta conclusione che questo luogo non può più essere rappresentato da queste Asl. Nel futuro vedo un’Agenzia della prevenzione, una struttura fortemente decentrata, probabilmente iscritta ancora nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, che possa contare su risorse umane e materiali magari ancora limitate, ma certe e chiaramente ed esclusivamente dedicate alla prevenzione. So che questa ipotesi incontra molte resistenze, ma credo sia giunto il momento di affrontarla in modo chiaro, senza reticenze e imbarazzi, ma senza liquidarla sbrigativamente come improponibile. Vent’anni di prevenzione Pensare globalmente, agire localmente Luigi Salizzato n occasione del ventennale della rivista della Snop, il direttore ha chiesto agli ex presidenti di esprimere un punto di vista attuale sugli sviluppi delle politiche per la prevenzione. Un tema complesso, che peraltro ho avuto l’opportunità di approfondire negli articoli regolarmente pubblicati in questa stessa rivista negli ultimi anni (vedi nota biografica). Il primo punto essenziale su cui vorrei focalizzare l’attenzione sono le politiche per la salute, un’espressione che definisce e valorizza l’obiettivo dell’azione che ci si propone per i nostri servizi, i possibili attori protagonisti, gli strumenti disponibili e le azioni utili per conseguirlo. Il presupposto è che la salute è uno dei diritti fondamentali della persona, espresso ed esercitato attraverso comportamenti individuali nella vita di tutti i giorni e garantito dagli interventi I golo individuo e la comunità sono in grado di esprimere, che si inserisce l’azione dei professionisti di prevenzione e sanità pubblica. Questi sono chiamati a esercitare un ruolo di supporto alle politiche per la salute, attraverso la capacità di promuovere e agevolare la collaborazione tra i diversi attori. Attori che possono anche essere orientati ad altri obiettivi (economici, urbanistici, sociali e ambientali), ma che comunque possono influire sulla tutela e la promozione della salute. Mi riferisco quindi anche alle istituzioni che vi sono preposte e alla loro componente politica e tecnica, alle imprese e agli imprenditori, alle rappresentanze sindacali, alle organizzazioni che rappresentano interessi particolari o diffusi dei citUn gioco di ruoli tadini. Un secondo importante È in questo contesto, governato dall’autorevolez- contributo che i nostri operatori possono fornire è za e dal conseguente controllo sulla salute che il sin- quello della propria compedella comunità di appartenenza. Stile e ambiente di vita e di lavoro sono i due elementi fondamentali che, interagendo tra loro, determinano maggiore o minore salute nelle persone. Lo stile di vita dipende prevalentemente dalla scelta personale, anche se può essere condizionato dall’ambiente. Gli ambienti di vita e di lavoro vengono invece garantiti dalle politiche sociali ed economiche, in cui il ruolo decisionale della comunità locale è a sua volta influenzato dal contesto economico e geopolitico. Per questo, è ancora attuale il motto «pensare globalmente, agire localmente» che ai nostri giorni traduciamo nel concetto di salute globale. 9 Vent’anni di prevenzione 10 tenza professionale, della conoscenza dei problemi di salute, dei loro determinanti, delle azioni più efficaci per contrastarli. In questo senso, va sempre più perfezionata la capacità di contestualizzare, negli ambiti locali di intervento, la conoscenza scientifica e la padronanza di strumenti operativi aggiornati: l’epidemiologia descrittiva dei bisogni e dei rischi, la sanità pubblica basata su prove di efficacia, la riprogettazione dei servizi finalizzata all’integrazione professionale e sociale, la percezione e comunicazione del rischio, i processi per il miglioramento della qualità professionale, tecnica e relazionale. Un’ulteriore competenza richiesta ai professionisti di prevenzione e sanità pubblica è la capacità di confrontarsi con il sistema dell’autocontrollo, mantenendo un proprio ruolo di vigilanza e controllo. L’autocontrollo si è esteso negli ultimi anni dalla tutela della sicurezza sul lavoro a quella della sicurezza alimentare e, in generale, rappresenta una politica in espansione in diversi campi governati dalla pubblica amministrazione. Si fonda sul principio di riconoscere al titolare di un’attività la competenza nella valutazione dei possibili rischi per la salute legati a quella specifica attività, e la responsabilità nel relativo controllo. Il sistema di sanità pubblica di vigilanza e controllo garantisce il rispetto delle regole (di legge, non del mercato o della politica) per tutelare i soggetti deboli dai rischi per la salute presenti nel- l’ambiente di vita e di lavoro. Gli operatori dei servizi di prevenzione si stanno attrezzando per affrontare questo nuovo percorso professionale, con situazioni locali più o meno evolute a seconda delle risorse disponibili e dei contesti politico-economici. Ritengo comunque che nel nostro ambito professionale la transizione dall’adempimento burocratico al lavoro per obiettivi di salute sia avviata in modo pressoché generalizzato. Inoltre, si sta diffondendo sempre di più la consapevolezza che, in tempi di libero mer- cato dominante e stato sociale vacillante, la sopravvivenza stessa e quindi lo sviluppo della Sanità pubblica dipendano dalla capacità di assumere un ruolo utile per lo sviluppo di politiche per la salute socialmente condivise. Professionisti integrati Il secondo punto su cui vorrei focalizzare l’attenzione è quello dell’integrazione professionale, condizione indispensabile che gli operatori di prevenzione e sanità pubblica devono garantire per poter sviluppare azioni utili a perseguire obiettivi di salute. Quello che intendo è un modo di lavorare in cui i diversi professionisti potenziano le proprie competenze e capacità operative, condividendo conoscenze, obiettivi e azioni. Ne deriva una visione globale del proprio lavoro che li porta a interagire, nell’ambito del proprio Servizio, Dipartimento o Azienda sanitaria, con professionisti di altre amministrazioni (le Agenzie per l’ambiente, gli Enti locali) e con i vari attori economici e sociali. Il mio punto di osservazione è naturalmente quello relativo alla mia esperienza professionale in un Dipartimento di sanità pubblica, ma può essere adattato a chiunque lo voglia adottare nella propria organizzazione. L’integrazione professionale è un argomento da sempre dibattuto nei nostri servizi e rappresenta, teoricamente, una delle ragioni fondamentali dell’organizzazione del lavoro in Dipartimenti, anche se adesso si preferisce parlare di clinical governance per coinvolgere maggiormente i settori sanitari dediti alla cura della persona. Tuttavia, la sua concreta implementazione è ancora gravemente inadeguata, non coerente nella prassi con teorie e ragionamenti diffusamente condivisi. Quello che manca, secondo me, è la consapevolezza che questo modo professionale di essere (prima ancora che di agire) consente di adeguare le proprie conoscenze e capacità professionali specialistiche alla complessità dei problemi intersettoriali da affrontare. In altre parole, questa visione d’insieme della realtà non sacrifica, ma esalta lo specialismo. Ricordo ancora con grande emozione una sera di tanti anni fa quando, ancora studente in medicina, ebbi la fortuna di ascoltare Giulio Maccacaro, in particolare la sua analisi lucida e impietosa sulla frammentazione del sapere medico occidentale. Su come ogni specialista sia competente della sua parte di un organismo che, nella sua complessità, può essere compreso e aiutato a guadagnare salute solo se ne viene considerato il funzionamento d’insieme. È stata una lezione profonda, di quelle che possono indirizzare, se ascoltate, un intero cammino professionale. Personalmente cerco quindi di operare avendo in mente questa visione, che dal corpo umano si estende ai rapporti con l’ambiente in cui questo organismo vive e lavora. Ambiente che ai nostri giorni è sempre più globale e, per essere migliorato, ha bisogno di analisi e azioni adeguate alla sua complessità. Biografia Luigi Salizzato, medico specialista in Igiene e sanità pubblica è direttore del Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl di Cesena e componente dell’ufficio di presidenza Snop. Altri approfondimenti di quanto accennato in questo intervento sono disponibili sui siti www.snop.it e www.ausl-cesena.emr.it/ DipPrev/Default.htm Auspico quindi che noi operatori di prevenzione sappiamo capire meglio assieme perché facciamo tanta fatica a lavorare in modo più integrato, riuscendo così a migliorarci per svolgere più efficacemente il nostro lavoro. Un bel lavoro, in cui vedo con grande soddisfazione impegnarsi anche colleghi più giovani, dotati di una consapevolezza professionale più matura di quella che ho osservato in passato in altre generazioni di professionisti. Vedo però anche la precarietà che il nostro Servizio sanitario pubblico riserva ai giovani professionisti, offrendo loro anticipatori del cambiamento, in un momento in cui la legislazione europea cominciava a sostituire quella nazionale e la sensibilità dell’opinione pubblica virava dalle tematiche della salute sul lavoro alle tematiche ambientali. Ma Snop riuscì a tenere, continuando a tessere la tela della riorganizzazione della rizzato dall’impegno nella rete nazionale dei servizi di difesa e nel rilancio dei Servizi di prevenzione delle prevenzione, proprio perché non eravamo più solo i Usl di fronte alla minaccia medici del lavoro difensori di ritorno al passato. a oltranza delle famigerate Usl, ma gli operatori della prevenzione. Rileggendo Sfide vinte, quegli scritti e anche altri sfide perse pezzi minori ho sentito perMa voglio ricordare in par- sonalmente la soddisfazioticolare il mio primo edito- ne di essere ancora capace di guardare il mondo con riale da Presidente, in cui occhi diversi, non accettanaffrontavamo uno dei cavalli di battaglia di allora do l’ineluttabilità dello (non senza qualche contra- stato di cose presente. Nel 1995, alla fine del mansto e mugugno interno): dato e in coincidenza con l’allargamento della Snop oltre i confini della medici- l’entrata in vigore della na del lavoro, per compren- legge 626, l’ultima battaglia ideale interna fu quella dere l’intero mondo della per l’allargamento della prevenzione pubblica. Un società ai nuovi soggetti momento segnato anche privati (Rspp, medici comdall’ingresso per la prima petenti, Rls) ritenuti da mio modo di pensare: da volta negli organismi diri“Guai ai vinti!” del 1988 genti di colleghi dell’Igiene molti di noi come la futura con cui lanciavamo l’indapubblica e dei Presidi mul- schiera dei nuovi operatori gine nazionale “Operazione tizonali di prevenzione, ma della prevenzione. Era necessario accoglierli Prevenzione”, il primo vero anche dal lancio di operaorganicamente e a pieno censimento dei Servizi di zioni nuove come il prevenzione in Italia, all’eProgetto agricoltura e igie- titolo nella Snop che, di ditoriale successivo alla ne degli alimenti, con i con- fronte al mondo che camsconfitta nel referendum vegni di Bologna, Sondrio e biava, non poteva e non doveva arroccarsi quale del 1993 (“Hanno ucciso Bari. Cominciava allora l’uomo ragno”), in cui solo anche l’impegno di presen- rappresentante organico dei soli servizi pubblici. Il noi ci eravamo apertamen- za europea di Snop, con la riferimento era agli operate schierati per il no. partecipazione alla rete tori della tutela della salute Tutti quegli editoriali sono europea Ewhn (European dei lavoratori, ma valeva stati improntati, anche nei Work Hazard Network) anche per i consulenti titoli, al rilancio e al volare prima, e al Comitato peralto rispetto alla tentazione manente europeo (Cpe) poi. ambientali o della sicurezza alimentare. di lasciarsi trascinare dalla L’operazione di allargaQuella battaglia è stata corrente o di chiudersi nel mento andava nella direproprio orticello in un zione di voler essere prota- persa allora e oggi il risultato è che Snop, indipenperiodo (1985-1995) caratte- gonisti e possibilmente solo contratti di lavoro a termine, libero professionali o borse di studio. Credo che questo sia un ambito di responsabilità a cui noi più anziani e garantiti dirigenti non possiamo sottrarci. Non stanchiamoci quindi di operare, nel senso non di rivendicare ma di agire, perché ai servizi pubblici di prevenzione sanitaria e ambientale vengano garantite le risorse economiche necessarie per lavorare nell’interesse della comunità. Vent’anni di prevenzione Cara Snop, ti scrivo Graziano Frigeri er onorare l’invito del direttore a scrivere un pezzo per il ventennale della rivista, ho voluto consultare i vecchi numeri, dal numero zero del 1986 al numero trentasei (in lettere, come di tradizione) del 1995, anno della scadenza del mio secondo mandato di Presidente. Rileggendo alcuni miei vecchi editoriali, oltre a un po’ di nostalgia per i tempi che furono (non solo professionali!) ho scoperto piacevolmente che, al di là dei riferimenti a fatti e circostanze dei tempi, molti sono ancora attuali, almeno per il P 11 Vent’anni di prevenzione dentemente dal fatto che chiunque vi può aderire, per il mondo della prevenzione rappresenta organicamente solo gli operatori dei servizi pubblici. Migliaia di operatori della prevenzione del privato (e addirittura anche del pubblico, come gli Rspp, i medici competenti e gli Rls di ospedali, Asl, Comuni, Province) che concretamente concorrono giorno per giorno a “cambiare lo stato di cose esistente” non sono rappresentati da Snop, ma da altri contenitori, fioriti ex novo o rinati dalle proprie ceneri: associazioni nazionali e locali, oppure società scientifiche, che mancano di una visione globale del sistema e tendono a difendere interessi accademici o di corporazione. Riprovare, riprovarsi Secondo me, la Snop aveva geneticamente i caratteri giusti, ma ha scelto diver- Biografia A beneficio dei vecchi soci e dei nuovi che non mi hanno conosciuto, ecco dove “è andato a finire” Graziano Frigeri. Nel gennaio del 1995 ho fatto il Direttore di distretto, prima a Langhirano (PR), dove avevo lavorato come medico del lavoro per dieci anni (in precedenza cinque anni a Fidenza), poi a Parma, dal giugno dello stesso anno. Nel 1997 ho assunto la direzione dell’Ospedale di Fidenza. Nel 2000 (la storia sarebbe lunga, la racconterò alla prossima cena sociale!) mi sono licenziato e ho fondato una società di consulenza alle imprese, Euronorma, che attualmente conta 12 tra dipendenti e collaboratori (medici del lavoro, audiometristi, infermieri, ingegneri architetti, geometri, amministrativi) e assiste oltre 800 aziende prevalentemente medio piccole, distribuite nel centro-nord. Ho proseguito il mio impegno politico e scientifico collaborando principalmente con Ambiente e Lavoro e, ultimamente, anche con la Simli nella Commissione nazionale per l’accreditamento d’eccellenza in medicina del lavoro. Ho curato, sempre in collaborazione con Ambiente e Lavoro, varie pubblicazioni e dossier, non solo sui temi della medicina del lavoro: l’ultima fatica, che dovrebbe uscire in contemporanea con queste note, è il Dossier Ambiente n. 72 “Haccp Pacchetto Igiene”, in collaborazione con Elsa Ravaglia. Partecipo come docente o relatore a convegni e corsi un po’ in tutta Italia, e ogni tanto rivedo con piacere vecchi soci e amici, molti dei quali hanno fatto una prestigiosa e meritata carriera. 12 samente: anziché organizzare il cambiamento ha deciso di guardarne l’evolversi da una torre d’avorio, fatalmente destinata prima o poi a sgretolarsi sotto i colpi del tempo. In un mondo con nuovi soggetti e protagonisti, nuovi attori sociali e un nuovo ruolo della pubblica amministrazione, i servizi pubblici, i soli che la società rappresenta per scelta, tendono invece sempre più a parlare a se stessi, a identificarsi come ombelico del mondo attribuendosi compiti, funzioni e competenze al di fuori e al di sopra delle stesse norme. Dalla multireferenzialità, gloriosa parola d’ordine di allora, si è velocemente passati all’autoreferenzialità. In un recente convegno, mi sono permesso, tra lo sgomento di qualcuno e il consenso di molti altri, di criticare i servizi pubblici nel momento in cui si autoconferiscono competenze improprie, come il diritto e la funzione di vigilare su qualità ed efficacia delle prestazioni rese da soggetti terzi (pubblici e privati, professionisti, strutture), quando nessuna norma assegna ai servizi questi compiti. Né i servizi pubblici possono autocostituirsi legislatori o interpreti delle leggi, compiti e funzioni che appartengono ad altri organi dello Stato. Nello specifico, il miglioramento della qualità e dell’efficacia delle prestazioni di prevenzione non è (e non potrà mai essere) oggetto di vigilanza o di prescrizione, ma di ricerca del consenso e di sinergie collaborative in cui servizi pubbli- ci, in particolare quelli di vigilanza, e soggetti privati, o comunque non addetti alla vigilanza, devono occupare un ruolo assolutamente paritario. Proprio per questo c’è bisogno di un soggetto in grado di rappresentare l’intero mondo della prevenzione, un contenitore culturale e scientifico unico all’interno del quale tutti gli operatori, con pari dignità, possano perseguire obiettivi di qualità ed efficacia, che vadano oltre i requisiti minimi imposti dalle leggi (e oggetto, questi sì, di vigilanza). Nel 1995 pensavo che questo contenitore potesse essere proprio la Snop. Non lo è stata e non lo è, ma penso anche che non sia troppo tardi per diventarlo! Nel variegato mondo della prevenzione, la domanda di un riferimento forte e autorevole è alta e le risposte disponibili sono settoriali e inadeguate alle sfide del presente e del futuro. Ci sono ancora possibilità tempo e spazio per riempire quel vuoto. Occorre però una nuova “Operazione prevenzione”, più vasta e radicale di quella del 1988, che parta necessariamente da una rivoluzione culturale interna, soprattutto nella mente degli operatori, perché la mission è già quella fin dal 1985. Spero che non si ripeta lo stesso errore e che non si rinunci a essere protagonisti globali del presente: è indispensabile per garantire un futuro alle idee rivoluzionarie che hanno caratterizzato la nostra nascita, il nostro agire e i nostri risultati in anni difficili e tumultuosi. servizi ho scelto nel 2000 una strada professionale un po’diversa. Ho colto così l’opportunità di lavorare Claudio Calabresi per la prevenzione da un’altra postazione, quella di un istituto centrale come l’Inail, che ha anche un’articolazione territoriale in tutto il Paese. Un Istituto esperienza di Snop tradizionalmente improntaè stata certamente to alla tutela assicurativa, molto positiva, ma che negli ultimi anni si anche se oggi è circoscritta a un gruppo relativamente sentanze non hanno svolto sta sempre più lanciando anche sulle strade della riaesiguo, che però ha percor- il ruolo che si poteva immaginare dopo le lotte bilitazione e della prevenso un bel po’ di strada degli anni Settanta. Lo zione. Mi è stato così proinsieme. Per molti di noi è stata un modo di costruire stesso impatto delle norme posto di dare un contribuil futuro, almeno professio- di origine comunitaria non to, partendo dalla mia esperienza e dal mio punto nale, e di essere solidali su si è tradotto in un loro nuovo protagonismo. La di vista di operatore terriobiettivi di forte connotaprevenzione nei luoghi di toriale e ispirandomi zione civile e sociale. Per lavoro non è tuttora una all’antico assioma “conome sono stati anni fondaquestione su cui in Italia si scere per prevenire”, ma mentali anche sul piano della formazione individua- agisce concretamente e dif- anche ai due cardini “dal fusamente. Ancora oggi il sistema informativo alla le, con momenti esaltanti programmazione e pianificome l’Operazione preven- diritto alla salute e alla sicurezza non sono una cazione” del nostro modello zione o come la svolta di questione nazionale partitridimensionale. Era forte Parma, quando la Società colarmente sentita, o la spinta ad attivare collanazionale degli operatori comunque questi diritti borazioni per aiutare le della prevenzione negli ambienti di lavoro scelse di non raggiungono allo stes- realtà di lavoro territoriale so modo tutti i lavoratori a innovare il proprio ruolo divenire “semplicemente” italiani, indipendentemente e a contribuire affinché le la Società nazionale degli dal posto in cui vivono e iniziative di prevenzione operatori della prevenziooccupazionale potessero ne. Una scelta che, con l’in- lavorano. Del resto, la glogresso di varie professiona- balizzazione e l’esportazio- basarsi su strumenti conone dei rischi in tutto il scitivi più organici. lità, culture ed esperienze, mondo, così come la diviDalla postazione Inail ho significava l’impegno a sione del pianeta in fasce potuto lavorare soprattutto occuparsi della prevenziosui flussi informativi e, ne collettiva tutta, a partire profondamente diseguali, fanno sembrare irrilevanti negli ultimi tempi, anche al dalla scelta di mettere persino le nostre ingiustizie Progetto d’indagine sugli insieme gli aspetti legati italiche. Questo non riguar- infortuni mortali, che alla triade produzione, da soltanto la prevenzione hanno visto Inail, Ispesl e le lavoro e ambiente. destinata ai lavoratori, ma Regioni lavorare insieme Certo, non tutte le nostre la prevenzione tutta, di cui con un nuovo spirito collasperanze si sono tradotte Snop ha cominciato a occu- borativo. in realtà. La nostra prima Credo che oggi siano tre gli “casa comune”, i servizi di parsi faticosamente e con aspetti su cui puntare: prevenzione, non sono pro- pochi meritori contributi. sinergie, sistema, cultura babilmente oggi quelli che della prevenzione e della speravamo diventassero, legalità sul lavoro. Sinergie anche se costituiscono una Sinergie, sistema, e sistema sono condizioni realtà importante in molte cultura strategiche sempre più regioni. Negli ultimi anni, i lavoratori e le loro rappre- Dopo 25 anni di lavoro nei indispensabili: la collabora- Trent’anni dopo L’ zione tra i vari soggetti che hanno ruoli, responsabilità, competenze diverse, in particolare sul versante delle istituzioni ma anche, in prospettiva, su quello delle parti sociali, è determinante per realizzare un sistema della prevenzione. Quello che nei decenni precedenti non è mai sostanzialmente esistito e che negli ultimi anni comincia a intravedersi come una nuova possibilità di giungere agli obiettivi che in molti abbiamo cominciato a condividere negli anni Settanta. Si tratta di sfruttare al massimo, in una logica di sistema, le poche risorse investite per la prevenzione e la tutela della sicurezza e salute sul lavoro, facendole convergere, integrando le reciproche conoscenze e competenze, coordinando le azioni, evitando le duplicazioni. Vent’anni di prevenzione Niente di nuovo? Le iniziative per diffondere meglio una cultura e dei concetti di lavoro che non rendano nello stesso tempo implicito e ineluttabile anche il sacrificio di sicurezza, dignità e talora salute e vita, rappresentano un grande obiettivo, anche in questo paese “devoluto” e spesso apparentemente incolto, in questa sanità un po’ troppo aziendalizzata. In un contesto dove i lavoratori sono diversi e sempre più flessibili, così come lo è il mondo del lavoro, con la sempre più spiccata prevalenza di piccole e microimprese, e dove sono diversi la partecipazione e il senso di giustizia e di solidarietà sociale. In questo mondo solo 13 Vent’anni di prevenzione apparentemente informato, la diffusione tra cittadini e lavoratori della cultura della prevenzione e della consapevolezza del diritto a un lavoro giusto e sicuro sono tuttora obiettivi fondamentali. Informazione e comunicazione sono ancora una volta aspetti di fondo per impostare l’unico cambiamento che può consentire di andare oltre i risultati ottenuti in questi anni e di far diminuire quei numeri che parlano di un contributo inaccettabile di vite e di sacrifici. Conoscere la realtà, individuare i problemi, analizzarne le cause, impostare complessivamente e diffusamente iniziative risolutive, informare e formare: niente di nuovo, in effetti, ma di nuovo c’è forse oggi una maggiore collaborazione che, appunto, può consentire di conseguire insieme risultati che singolarmente si sono dimostrati negli scorsi decenni alquanto difficili. Biografia Nato nel 1947, Claudio Calabresi è medico del lavoro e medico legale. Ha lavorato nei Servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro (Psal) della Liguria, quasi sempre a Genova, per 25 anni. Dal 2000 lavora all’Inail, dove sta contribuendo ai progetti di prevenzione occupazionale, relativi in particolare al sistema informativo. Coordina per l’Istituto l’iniziativa dei nuovi flussi informativi e il progetto d’indagine sugli infortuni mortali. È stato il terzo presidente della Snop negli anni Ottanta. 14 Le intese progressivamente raggiunte tra le Regioni e gli Istituti centrali, insieme alla possibilità di un impegno condiviso anche dei principali ministeri competenti (quello del Lavoro, dopo e nonostante il passo falso del Testo unico, e quello della Salute, che per tanti anni dalla fatidica 833 abbiamo atteso) inducono concrete speranze anche in uno come me, che di natura non è mai stato ottimista. È possibile che chi si occuperà di prevenzione nei prossimi anni trovi un sistema meno disgregato e maggiori possibilità di lavorare per obiettivi concreti e verificabili, dispondendo di nuove collaborazioni, strumenti e risorse. Il ricambio generazionale nei servizi è stato certamente esiguo e il futuro dei servizi territoriali è alquanto incerto. Credo comunque che i nuovi operatori della prevenzione dovranno essere un po’ meno pionieri, ma il loro lavoro potrà essere più efficace se si troveranno in un vero sistema e in un Paese meno diseguale. Quando ci chiediamo che cosa lasciamo ai nostri colleghi più giovani, e soprattutto quale futuro per le attività e le iniziative per cui abbiamo lavorato e in cui abbiamo creduto la risposta non è facile, né condivisa. Credo però che sia doveroso conservare la memoria di cos’è stata, cosa potrebbe ancora essere, la prevenzione, la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e dei motivi etici che la ispiravano e dovrebbero ispirarla tuttora, naturalmente con tutte le “modernizzazioni” del caso. Mi sento di invitare almeno alla speranza, se non alla fiducia, in una continuazione di quello che era un progetto collettivo per nulla trascurabile e il cui perseguimento potrebbe forse addirittura essere rilanciato. Sta a noi fare in questi anni quel che possiamo ancora fare e ai nostri più giovani colleghi raccogliere il testimone, rinnovarlo e rilanciarlo. Cerchiamo dunque di conservare la memoria, ma anche di trovare la forza di contribuire a innovare nella prevenzione in un mondo che ha ben poco di simile a quello in cui ci muovevamo trent’anni fa, ma dove rimangono, forti seppur spesso inespresse, le esigenze da cui siamo partiti. Una storia come tante Lalla Bodini artiamo dall’inizio della nostra e mia storia: i servizi territoriali di prevenzione nei luoghi di lavoro nascono in Italia durante anni di forte contestazione in tutti i campi (scuola, fabbriche, società). Negli anni ’70 nelle facoltà di medicina l’epidemiologia delle malattie degenerative (i tumori per esempio), delle patologie da lavoro, degli infortuni, da merce rara divennero punto fermo. La parola prevenzione entrò a pieno titolo nelle aule accademiche scuotendo animi e camici. Chi scrive ha vissuto da protagonista quel periodo, sia in università che nella società civile. Molti di quelli che avevano scelto di diventare medici si specializzarono in medicina del lavoro e cercarono di lavorare dalla parte dei lavoratori o meglio studiando le condizioni di lavoro e con- P frontandosi soprattutto con i protagonisti del lavoro. Così come molti studenti dell’epoca lavoreranno nella (nuova) psichiatria, nei (nuovi) consultori (ultimamente sotto schiaffo), o nella più lenta ma rinnovata sanità pubblica. Certo questo è stato reso possibile dalla promozione dei servizi territoriali di prevenzione: agli inizi degli anni settanta solo in alcuni comuni e regioni, ovvero quelli governati da giunte di sinistra (ah, il collateralismo!). I servizi territoriali di medicina del lavoro nascono quindi come risposta istituzionale fortemente innovativa alle esigenze di interdisciplinarietà, di attenzione al territorio, di partecipazione dei lavoratori. Sono gli anni del boom economico e della intensificazione della produzione, della meccanizzazione in tutti i campi, anche definito un sistema di servizi multidisciplinari, o almeno la necessità di far partecipare ai processi di salute e sicurezza medici, tecnici, ricercatori, lavoratori delle imprese. Ma oggi il nostro modello di intervento è ancora lento e manca una legislazione europea e internazionale incisiva, che affronti il legame che esiste tra salute nel lavoro e rapporti sociali, cominciando dalla precarizzazione, dalla estrema flessibilità dei rapporti professionali, dal fenomeno degli appalti a cascata, dalla presenza di lavoratori stranieri nelle fasi di lavoro più rischiose, dalla esportazione delle lavorazioni più pericolose in paesi a minore tutela. Da oggi non esisterà più Oggi il mondo alcuna anamnesi lavoratiè cambiato va di una riga: fonditore in Falck dal 1958 al 1996 Il lavoro si è in parte ter(anno di chiusura). Il datoziarizzato, globalizzato, re di lavoro responsabile spersonalizzato. Il lavoro andrà ripescato da una rete non è più un valore, ma per molti quasi tempo per- di appalti, global service e affidi. Non basterà più un duto. Certamente da dieci po’ di bergamasco per anni abbiamo dalla nostra intendere l’idioma delparte le direttive europee l’infortunato, ma occorrerà che hanno allargato i (giustamente) il mediatore campi di intervento tradiculturale e linguistico. zionale delle politiche di prevenzione all’insieme dei Certamente l’informatizzafattori che hanno una inci- zione ha reso facile incrodenza sulla salute dei lavo- ciare dati Inps e schede di dimissione ospedaliera e ratori e a tutti i luoghi di quindi far emergere tante lavoro: dai controllori di malattie perdute e formare volo, ai gestori degli registri di patologia più impianti di compostaggio. Le direttive europee hanno accurati. Certamente formulato l’obbligo di sicu- l’informatizzazione ha reso rezza a carico degli impren- più agile il rapporto con il ditori in termini incondizio- sistema di prevenzione di impresa. I servizi bravi nati, ovvero l’obbligo di hanno un sito, si occupano garantire la sicurezza tecnicamente fattibile (fin che anche di formazione e informazione. dura) e stimolato (teoricaMi è rimasta sempre una mente!) la partecipazione certezza quotidiana: soladei lavoratori. Hanno segnati anche da un accrescersi di infortuni e malattie professionali. Molto spesso verifico (per documentare un tumore professionale, o partecipando a una riunione del Museo del lavoro e dell’industria di Sesto san Giovanni, o cercando di dare una mano a un lavoratore che deve chiedere dei benefici previdenziali sull’amianto) quanto di positivo e preciso è stato fatto allora: grandi indagini, comparti sezionati, documenti alla portata di tutti, lavoratori e operatori. Ho avuto la fortuna di conoscere leader operai, sindacali, colleghi bravissimi, magistrati capaci, politici attenti. mente un sistema informativo permette la programmazione di tutti gli altri interventi, siano di informazione, assistenza, controllo, vigilanza. E solamente un suo aggiornamento sistematico permette il governo del mutamento continuo del mondo delle imprese. Altrimenti è giusto parlare di autoreferenzialità, soggettività, casualità, e questo è ancora più vero oggi nella velocità del cambiamento. Dopo il 1975, anno di fondazione a Milano del Coordinamento degli operatori della prevenzione, il 1985, anno di fondazione di Snop (associazione e rivista, entrambe vive e vegete), il 1990, anno di fondazione della Ciip, area di lavoro comune tra diversissimi, non ancora capita fino in fondo nella sua potenzialità, oggi, nel 2006, alla nostra maturità (21 anni come associazione e 33 anni come servizi !) rimangono ancora differenze spaventose tra le regioni, lentezze esasperanti in alcune istituzioni e soprattutto un sordo silenzio sindacale e politico. Le attuali leggi del governo italiano rischiano di determinare una devolution (leggi regionalizzazione senza regole) ancora più spinta dei sistemi sanitari e quindi un acuirsi di quella dicotomia tra servizi forti (organico, strumenti) e servizi deboli. Sui temi della sicurezza e salute nel lavoro da 20 anni commissioni parlamentari, convegni e seminari hanno ribadito questa ingiustizia per i lavoratori, ma anche per le imprese. Carta 2000 a Genova rimane il momento più alto degli ultimi decenni Poiché io credo che un sistema pubblico serva ancora fino a prova contraria, occorre quindi un’altra “operazione prevenzione”. E subito. Ma anche la vecchia “operazione comunicazione”, che Claudio Calabresi ha sempre cercato di farci capire, andrebbe ripresa proprio in questi mesi e anni non facili. Vent’anni di prevenzione Biografia Ho sempre lavorato in un servizio territoriale di prevenzione e, alle soglie della pensione, penso che continuerò, forse per pigrizia atavica. Lo trovo sempre un lavoro utile, umanamente gratificante, a volte persino divertente. Ho conseguito le tre specialità (medicina del lavoro, igiene e sanità pubblica, igiene degli alimenti a indirizzo dietologico) che potrebbero fare di me (dopo un credibile dimagrimento) l’ideale direttore di un dipartimento di prevenzione. Ho fondato il Coordinamento degli operatori della prevenzione (1975), Snop (1985), Ciip (1990). Ho organizzato molti convegni e seminari. Immodestamente credo di avere dato un contributo decisivo a molte cose, anche dal punto di vista economico, con il lavoro di divulgazione scientifica per Ambiente e lavoro. Attualmente sto cercando di fare funzionare il mio Servizio: non è molto. Ma si sa, continuo a stare ostinatamente dove mi sono messa, sono sempre stata nostalgica, stanziale e con pochissimo acume, o forse, interesse per la carriera. 15 evenienze e il norcino è disponibile, allora si macella. Il veterinario non fa in tempo ad arrivare in tutte le case. E se arriva, spesso arriva a cose fatte. Se arriva a cose ancora da fare, il buratto grosso non riscontra mai alcun problema. La sua è una visita pro forma e non Giorgio Ferigo serve a nulla. Intanto, i norcini lavorano. Sanno benissimo quando una carne è buona per farne insaccati e quando è da gettare ai porci (è il caso di dirlo). Sanno benissimo che fare di una carne maculata, di una cisti, di un ascesso cronico. È nel loro interesse che i prodotti riescano gustosi, conservagettate sulle braci, il fumo n quelle interminabili bili, commestibili, che la acre saliva al cielo, di esso (ma ahinoi terminate) quantità di sale sia adeguasi pascevano i superni. ore di latino e greco, i ta e che la pulizia sia masprofessori ci raccontavano Cosicché quei preti erano sima. Se una partita va anche macellai, e, ci fosseche gli antichi offrivano storta, il padrone del maiaro ancora, i tetti di quei sacrifici di animali ai loro le non li chiama più, li templi mostrerebbero un dei. Non approfondivano affronta all’osteria, gli più di così, né ci aiutavano foro o camino per lasciar canta «la porca» (è il caso uscire il fumo, fino al pala- Il purcit su pa brea a capire di più i peplum di di dire anche questo). to degli dei. Le carni arroHollywood o di Cinecittà, C’è una cultura tradizionaDal 1928 anche un vetericon i loro templi candidi di stite sullo spiedo, bollite le del saper fare, frutto di nario partecipa (o dovrebmarmo pario, appena lava- nel pentolone, venivano sperimentazione e di attencondivise tra i fedeli, che se be) all’ammazzamento del ti col Bref. zione, di errore e prova, di porco di famiglia. Fa la ne cibavano ritualmente. Se l’avessero fatto, avrebvisita ante mortem; la visi- innovazione e spiegazione Chi vuole, può leggersi in bero dovuto raccontarci (non scientifica, ma provata post mortem; incassa i proposito Homo necans, il che “sacrificare” significadiritti di accesso (recte: pre- ta, questa sì evidence grande libro di Walter va macellare. Dunque, nel based) che la nostra cultura stazione nell’interesse dei Burkert sul sacrificio giorno delle Bufonie il del sapere non tiene in cruento nell’antica Grecia). privati, che di interesse Partenone diventava una beccaria nella quale i preti Il clima tragico e festevole non ne hanno alcuno, e che alcuna considerazione. La salatura delle carni si facenon chiederebbero alcundi quei riti ci rimane inate gli accoliti dell’epoca va prima di scoprire che il ché, se potessero). Ripone tingibile. E tuttavia non jugulavano, squartavano evisceravano, dissezionava- doveva essere troppo diver- nel bagagliaio il dono di sei sale è un batteriostatico. rocchi di salsicce e quattro L’essicazione si faceva no il manzo dedicato al dio. so dal clima che si respira prima di scoprire l’attività braciole. ancora oggi nel giorno in Per il suovetaurilia, i temdell’acqua. Questa cultura L’uccisione del maiale si cui, presso le famiglie che pli dorici e dorati di tradizionale ha garantito la concentra in un tempo Paestum si trasformavano ancora lo ingrassano, si molto breve. Da noi si dice: sopravvivenza a milioni di in macello per il manzetto, uccide il maiale. Ammazzare una bestia “di «Sant’Andrea / il purcit su persone, per millenni, la pecora, il porco rituali. senza troppi incidenti. Un pa brea» (30 novembre, il famiglia” è un evento Sulle aie e nei cortili si giorno bisognerà riflettere denso di grumi di colpa: il maiale sull’asse); altri ammazzava l’asinello, in davvero sul denominatore porco scappa nella neve, le aspettano il vecchio di onore del mentulatior sue urla stridono acute nel- luna; altri, che il freddo sia delle cosiddette tossinfezioPriapo, dio degli orti e dei ni alimentari (il numero dei pungente, e così via. l’aria novembrina, il sanfrutteti. Le exta (interiora) pasti per nazione? per tre Quando si danno queste di questi animali venivano gue sprizza nel bacile, Sacrificio I 16 fuma la pignatta di acqua bollente che servirà a togliere le setole e a lavare le budella mentre affilatissime lame disossano e tritano le carni. Poi la tragedia si scioglie nel sentimento dell’abbondanza procurata, mentre si srotolano le ghirlande di salsicce, si appendono i cotechini, si portano a fumare i salami sulla pertica. Certo, i numerosi boccali di vino e i bicchierini di grappa aiutano. A sera, uno sbracamento eccitato e ilare prende tutti. (Chi non vi ha mai partecipato può andare a riguardarsi l’intensa ricostruzione che i contadini emiliani hanno allestito per Novecento di Bernardo Bertolucci, o che i contadini lombardi hanno ricreato per L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi). con eccezionale onestà intellettuale e rigore scientifico dai nostri colleghi di Gorizia, si può leggere sul sito EpiCentro. Naturalmente, ci sono stati mugugni da parte di un gruppo minoritario di veterinari e una raccolta di firme per abolirla. I promotori della raccolta di firme non hanno uno straccio di argomento da opporre alle dimostrazioni dei colleghi goriziani e un Norcini e mugugni ragionevole motivo per continuare questa pratica In Friuli Venezia Giulia, una delibera di Giunta del- manca, salvo l’introito, che è motivo potente. l’agosto 2005 ha praticamente abolito la visita vete- Si tratta di un classico esempio della credenza rinaria prevista dal Regio generale che la gente esiDecreto del 1928. La relazione tecnica che la sostan- sta per giustificare i prezia, un davvero importante sunti servizi che la burocrazia pretende di darle, lavoro di Ebp, costruito volte al giorno? per il numero di pietanze a pasto?) onde ricalibrare quei pochi casi rilevati, e concludere: che il mondo intero si è nutrito prima e senza di noi e che in queste pratiche noi abbiamo introdotto soltanto cautele marginali, procedure idiosincrasiche, superfetazioni e pleonasmi. nel suo interesse e per legge, ovviamente dietro compenso. Un passo soltanto di questa delibera non convince. Ed è là dove si prescrive che il norcino debba «essere formato» per continuare a fare quello che ha sempre fatto, ieri senza la tutela sostanziale, oggi senza la tutela formale, del veterinario. Cosicché, sono partiti i corsi di formazione (nuova panacea della prevenzione), dove colui che sa ma non sa fare (il veterinario) insegna a colui che sa fare (il norcino) cose che colui che sa fare non ha alcuna intenzione di imparare (il norcino non vuole diventare un veterinario). E quando finalmente colui che sa fare dimostra di sapere ciò che colui che sa ma non sa fare ritiene indispensabile per fare, allora con gran giubilo viene iscritto all’Albo regionale dei norcini. Servirà, non servirà tutta questa formazione? E prima, al tempo delle non-visite, serviva? Tutti lo ignorano, a nessuno importa dimostrarlo. Così, ancora una volta, un mantello che ha per trama la finzione scientifica e per ordito un vero autoritarismo, viene steso sulle culture popolari, che non sono ormai culture da capire e dalle quali imparare, ma soltanto culture minori da sradicare il prima possibile, e intanto da tenere sotto rigida pupillanza. Il buratto grosso 17 RISCHIO AMIANTO: ESPOSIZIONI DI IERI, ESPOSIZIONI DI OGGI I possibili danni alla salute indotti dall’ambiente sono molteplici e hanno cause diverse. Questo dossier “Salute e lavoro” ne esplora alcune. Nel settore edile e in quello navale i pericoli vengono ancora dall’amianto, come ci ribadisce il lavoro del Cspo di Firenze e le esperienze della Egitto Express e della Clemenceau. Sostanze più innocue, come il calcestruzzo, possono causare danni alla pelle, soprattutto se l’esposizione è prolungata: lo conferma uno studio della Regione Marche. Un problema antico che solo di recente ha avuto il giusto riconoscimento è il mobbing: lo mette in luce una panoramica che fa il punto della situazione in Italia. Contro i danni del fumo passivo negli ambienti di lavoro, nel 2005 è entrata in vigore in Italia la legge Sirchia, un successo. Ma già da tempo alcune realtà locali, come l’Ausl di Cesena, avevano mdelle contromisure. esposizione professionale ad amianto ha riguardato un altissimo numero di lavoratori per buona parte del secolo scorso. In particolare, dalla fine della seconda guerra mondiale a tutti gli anni Ottanta si sono verificate esposizioni importanti in numerosi comparti produttivi. Un dato indicativo è rappresentato dal numero di richieste di benefici previdenziali all’Inps, che arriva intorno a 150 mila. Il Registro nazionale mesoteliomi e i registri regionali raccolgono la casistica della principale patologia asbesto correlata. Casistica da cui emerge L’ Salute e lavoro dossier 18 con crescente chiarezza quali siano i comparti produttivi a rischio, sia per l’intensità che per la qualità dell’esposizione. La legislazione attuale vieta l’utilizzo dell’amianto nei nuovi prodotti e consente anche un controllo delle operazioni a rischio, che sono costituite soprattutto da lavori di manutenzione o di rimozione dell’amianto ancora in opera. Le esposizioni attuali all’amianto sono quindi diminuite rispetto al passato, sia per numero di esposti totali che per intensità, ma solo con la dismissione totale dell’uso di questo minerale e dei materiali che lo contengono potremo avere la certezza che siano cessate. In questo contributo si presentano i dati relativi ai comparti a maggior rischio, ricavati dall’analisi della casistica toscana di mesoteliomi e quelli relativi agli attuali esposti ad amianto ricavati dalle relazioni annuali ex articolo 9, legge 257. Gli esposti del passato… Gli archivi dei mesoteliomi rappresentano oggi un valido punto di osservazione delle esposizioni ad amianto avvenute in passato. Come risulta dalla tabella 2, vi è sufficiente sovrapponibilità tra il numero di casi osservati e i comparti in cui l’amianto veniva diffusamente utilizzato. Emergono infatti l’edilizia, la cantieristica navale e la costruzione e manutenzione dei rotabili ferroviari che, per quanto riguarda la frequenza dei casi, hanno un andamento parallelo tra la casistica toscana e quella nazionale. Per le difformità tra le due casistiche devono tenersi in considerazione le diverse caratteristiche produttive delle singole aree e il fatto che la casistica nazionale considerata si riferisce soltanto a 5 regioni su 20, tanti sono i Cor che hanno inviato i dati utilizzati nel primo rapporto Ispesl. La cernita di stracci e il tessile, per esempio, sono caratteristiche della zona di Prato, noto centro tessile di importanza nazionale. Interessante risulta anche l’andamento della frequenza dei casi suddivisa per periodo di prima esposizione (grafico 1), dalla quale possono ricavarsi importanti informazioni. Il periodo a maggior frequenza, 1955-59, è sicuramente caratterizzato dalla forte ripresa produttiva del dopoguerra, ma anche dall’inizio dell’impiego di amianto per la coibentazione di rotabili ferroviari avvenuto nel 1956-57. È aumentato così anche il numero di lavoratori esposti per le esposizioni avvenute nel periodo compreso tra le due guerre, quando verosimilmente le condizioni di lavoro erano pessime dal punto di vista igienico. È possibile ipotizzare che il numero di casi sia stato sicuramente più elevato di quello descritto, dato che fino a non molto tempo fa la definizione diagnostica era decisamente meno accurata, e dato che la registra- zione puntuale dei casi è iniziata, con ragionevole precisione, soltanto dall’inizio degli anni Novanta. Su queste esposizioni, quindi, si sono osservati solo i casi con una latenza particolarmente lunga. I dati epidemiologici iniziano a dare precise indicazioni anche sulla qualità dell’esposizione a diverse varietà mineralogiche di amianto. In particolare, laddove sia possibile individuare come prevalente l’esposizione a un solo tipo di amianto, le esposizioni pregresse ad anfiboli risultano di gran lunga più pericolose che quelle avvenute prevalentemente a crisotilo. Da citare ad esempio lo studio di coorte sui vetrai della zona di Empoli (4), che non evidenzia alcun caso di mesotelioma nonostante l’uso diffuso di amianto di tipo crisotilo. In questo comparto della medesima zona sono comunque presenti due casi di mesotelioma (uno pleurico e un altro peritoneale) non descritti nella coorte in quanto non rientranti nei criteri di selezione della popolazione in studio. Da una stima degli addetti complessivi che si attesta intorno a 7 mila unità per complessivi 200 mila 19 Salute e lavoro dossier anni/uomo, risulta un tasso di mortalità per mesotelioma di 1/100 mila: un dato inferiore a quello regionale per la popolazione maschile (1,5/100 mila). Per contro, in una coorte di addetti a una industria metalmeccanica che faceva largo uso di lastre di cemento amianto con un contenu- to di crocidolite intorno al 20%, si osservano 4 casi su 160 addetti per circa 6400 anni/uomo di osservazione dal 1960 a oggi. In questo caso, il tasso risulterebbe essere 62,5/100 mila, ben 40 volte superiore a quello regionale. Nelle altre coorti toscane di ex esposti ad amianto, l’incidenza dei casi di mesotelioma è rilevante negli addetti alla costruzione di rotabili ferroviari e nei cantieri navali. In entrambi i comparti, infatti, veniva fatto largo uso di crocidolite. Nel contempo, livelli anche contenuti di esposizione (che non hanno comportato insorgenze di patologie dose correlate, Sesso N° casi Con esposizione % Maschi 503 407 80,8 Femmine 117 33 28,2 Totale 620 440 70,9 Tabella 1 - Casistica mesoteliomi (1970-2003, Cor Toscana) Comparto Edilizia e coibentazione Cantieristica navale Costruzione riparazione rotabili Cernita stracci Metalmeccanica Trasporti marittimi Chimica Tessile Vetro Zuccherifici e industria alimentare Termoidraulica Cemento amianto Siderurgia Produzione energia elettrica Forze armate Portuali Trasporti ferroviari Concia Manutenzione acquedotti Impianti elettrici Altri comparti Totale N° casi Toscana % Cor Toscana 60 13,6 57 13,0 41 9,3 37 8,4 32 7,3 15 3,4 15 3,4 22 5,0 13 3,0 12 2,7 11 2,5 11 2,5 10 2,3 13 3,0 10 2,3 9 2,0 6 1,4 4 0,9 4 0,9 3 0,7 55 12,5 440 100,0 % Re.Na.M 10,3 20,6 4,9 2,8 8,2 Nd* 5,1 0,8 0,5 2,6 2,1 6,2 7,2 2,1 Nd* 4,6 1,3 Nd* Nd* 1,5 Nd* Nd* *Nd = non determinabile per diversità di accorpamento di comparti produttivi 20 Tabella 2 - Casistica mesoteliomi (1970-2003, Cor Toscana e ReNaM) Salute e lavoro dossier Grafico 1 - Distribuzione di frequenza del periodo di prima esposizione ad amianto (Cor, Toscana) come asbestosi parenchimali) sono state comunque sufficienti a causare numerosi casi di mesotelioma. Dai dati forniti dall’Inail sulle richieste di benefici previdenziali, si ricava un numero intorno a 150 mila unità (marzo 2002). Hanno ottenuto il riconoscimento circa 60 mila, con il 10% delle domande ancora da esaminare. I riconoscimenti vengono assegnati a chi ha avuto un’esposizione ponderata di 100 ff/l (numero di fibre contenute in un litro di volume) per almeno dieci anni: criteri quindi molto diversi da quelli utilizzati nell’ambito del registro nazionale, che considera esposti tutti coloro che hanno avuto un’esposizione superiore, anche se di poco, a quella della popolazione generale. Il riconoscimento risulta comunque influenzato da fattori politici e sociali che possono comportare importanti misclassificazioni, tanto da rendere difficilmente utilizzabili i dati per scopi scientifici. … e quelli attuali Non esistono al momento dati epidemiologici su patologie asbesto correlate per gli attuali esposti ad amianto. Si tratta in massima parte di lavoratori giovani che hanno iniziato l’attività circa dieci anni fa, da quando cioè è entrata in vigore la legge di messa al bando dell’amianto. Tuttavia nella lista toscana ricavata dalle relazioni ex articolo 9 sono presenti anche i dipendenti delle ferrovie che prestano la loro opera nelle officine delle ferrovie stesse. Per una errata interpretazione della legge, molte aziende che tuttora utilizzano indirettamente amianto nei processi produttivi non inviano la relazione annuale. Risulta pertanto difficile avere una visione panoramica reale dell’attuale uso dell’amianto. Si tratta verosimilmente di lavorazioni in grandi impianti chimici, petrolchimici, siderurgici e di opere di manutenzione navale su naviglio vecchio che ancora presenta particolari meccanici con coibentazioni in amianto. L’altro problema, che riguarda principalmente gli addetti a rimozioni di amianto friabile, è quello della scarsa diffusione tra le aziende di una metodologia cor- retta di valutazione del rischio. La stragrande maggioranza delle relazioni indica “uguale a zero” l’esposizione degli addetti, ma è ragionevole pensare che i cosiddetti “infortuni igienistici” comportino invece esposizioni, se pur minime, ad amianto. Malfunzionamento degli impianti di estrazione dell’aria, contaminazioni accidentali delle aree di cantiere frequentate da addetti senza le protezioni individuali, non corretta applicazione delle procedure di lavoro che si verificano spesso anche per la necessità di effettuare interventi in ambienti molto ostili con posizioni disagevoli, sono le principali cause delle esposizioni accidentali. Una osservazione che è doveroso rilevare riguarda l’adeguatezza delle protezioni respiratorie individuali utilizzate in queste operazioni. Il l’autore Stefano Silvestri U.O. Epidemiologia ambientale-occupazionale Cspo Firenze 21 Salute e lavoro dossier decreto del ministero della Sanità del 20 agosto 1999 indica i criteri di scelta delle protezioni respiratorie individuali, calcolando il fattore di protezione (sia nominale che operativo per le varie tipologie di maschere) sul livello di azione del decreto legislativo 277/91, e cioè su 100 fibre/litro. Va da sé che è consentito utilizzare protezioni respiratorie per concentrazioni ambientali di una certa rilevanza, come di solito si verificano nei cantieri di scoibentazione, che possono “lasciar filtrare” nell’apparato respiratorio fino a 100 ff/litro. Questo risulta essere in palese contraddizione con i dettami del controllo del rischio ad agenti cancerogeni, come ben esplicitato nel titolo VII del decreto 626/94. È dunque ragionevole assegnare a questi lavoratori una esposizione ad amianto complessivamente superiore a quella della popolazione generale. Risultati ex esposti 22 La Toscana ha istituito il proprio registro mesoteliomi già nel 1988 e ad oggi ha archiviato 620 casi istologicamente diagnosticati insorti tra i residenti in Regione dal 1970. Nella tabella 1 viene sinteticamente riportata la casistica con la frazione per la quale è stata individuata esposizione ad amianto. La tabella 2 riporta invece la distribuzione dei casi nei singoli comparti produttivi sia della casistica toscana per gli anni 1970-2003 che di quella raccolta nei 5 Cor (Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Puglia) del Registro nazionale mesoteliomi negli anni 1993-1996. Nel grafico 1 è riportata, invece, la distribuzione di frequenza del periodo di prima esposizione ad amianto della casistica toscana. Il dato è ricavato dalle anamnesi lavorative dei casi; come prima esposizione viene individuata Attività Impianti elettrici Riparazione di rotabili Produzione energia elettrica Edilizia Scoibentazione Autotrasportatori Smaltitori % sul totale delle relazioni 3 5 5 46 22 9 6 Concentrazione 0∏2 >2 ∏ 10 >10 ∏ 100 >100 ∏ 600 >600 ∏ 2000 >2000 ∏ 10000 > 10000 Livello ambientale molto basso basso medio medio alto alto molto alto Concentrazione 0∏2 >2 ∏ 10 >10 ∏ 100 >100 ∏ 200 >200 ∏ 600 >600 ∏ 3000 > 3000 Livello ambientale molto basso basso medio medio alto alto molto alto In alto tabella 3 - Frequenza delle relazioni per comparto Al centro tabella 4 a - Contaminazioni dovute a fibre di amianto crisotilo (valori in fibre/litro) In basso tabella 4 b - Contaminazioni ambientali dovute ad anfiboli miscela crisotilo/anfiboli (valori in fibre/litro) quella cronologicamente più lontana dall’anno di diagnosi oppure quella a maggior livello di certezza, nel caso di esposizioni avvenute in più periodi lavorativi. Risultati attuali esposti Per quanto riguarda gli esposti attuali, sono state registrate complessivamente 1282 relazioni inviate da 1152 ditte, dal 1988 a tutto il 1999. In totale, la lista degli addetti comprende 4491 lavoratori. Nella tabella 3 si riporta la frequenza media sul totale delle relazioni dei comparti più rappresentativi. Le relazioni non riportano dati quantitativi sull’esposizione, in quanto presuppongono che le protezioni collettive e individuali siano sufficienti a eliminare qualsiasi, anche minimo, rischio di inalazione di fibre. La letteratura fornisce stime quantitative sui livelli di contaminazione ambientale di fibre aerodisperse, misurate in varie condizioni di lavoro e con operazioni svolte su materiali contenenti amianto di diversa natura. In assenza di dati ambientali misurati, un utile riferimento per la stima dei livelli di esposizione può essere rappresentato dalla tabella 4 (4a e 4b), che associa Salute e lavoro IL REGISTRO NAZIONALE MESOTELIOMI Il Registro nazionale mesoteliomi (ReNaM) e i relativi registri regionali (Cor), istituiti formalmente nel dicembre 2002, hanno il compito di raccogliere tutti i casi di mesotelioma diagnosticati istologicamente e di ricostruire, per ogni singolo caso, la storia di lavoro e di vita: lo scopo è accertare un’eventuale esposizione ad amianto. La procedura di lavoro è unificata su tutto il territorio nazionale secondo le linee guida pubblicate dall’Ispesl. A ogni soggetto viene somministrato un questionario, valutato successivamente per stabilire se e quando vi sia stata esposizione ad amianto. Gli archivi registrano e codificano i comparti lavorativi frequentati nonché le mansioni svolte. Dai dati raccolti è possibile risalire alle condizioni di esposizione del passato: un punto particolarmente importante, dato che la latenza media per i mesoteliomi è di circa 40 anni. Oggi esposizioni ad amianto si possono verificare nei comparti in cui si procede alla rimozione e allo smaltimento di materiali contenenti amianto e nelle intervalli quantitativi a una scala nominale semi-quantitativa. Prevenzione, prima di tutto Gli strumenti oggi disponibili permettono dunque di sviluppare un’attività di sorveglianza epidemiologica sugli esposti ad amianto, sia per approfondire alcuni aspetti di ricerca che per favorire interventi di prevenzione. In particolare, la raccolta di coorti di ex esposti ad amianto potrà permettere di fare stime di rischio per il mesotelioma (e anche per il tumore polmonare) in relazione ai tempi di latenza, al tipo di fibra, alla durata dell’esposizione. Per gli attuali addetti a lavorazioni su amianto è da rilevare una scarsa attenzione da parte delle aziende del settore alle corrette procedure per la valutazione del rischio. L’insistenza con la quale viene valutato “zero” il livello di esposizione potrebbe indurre a pensare, nel caso in cui si verifichi una patologia asbesto correla- aziende che tuttora lo utilizzano indirettamente nei processi produttivi. La legge 257/92 prevede, all’articolo 9, che le aziende che operano in questi comparti inviino ogni anno alle Regioni una relazione dettagliata con le informazioni sulle attività svolte, l’elenco nominativo degli addetti e le relative esposizioni ricavate dalla valutazione del rischio, (decreto legislativo 277/91). L’U.O. di Epidemiologia del Cspo effettua per la Regione Toscana il controllo e l’archiviazione di queste relazioni costruendo così anche una lista nominativa di addetti. La protezione degli attuali lavoratori dal rischio di inalazione di fibre è affidata a presidi di prevenzione collettiva e individuale. Negli ultimi dieci anni la legislazione inerente il controllo di questo rischio si è arricchita di numerosi decreti tecnici che indicano precise metodologie da attuare per un lavoro “sicuro”. In particolare il decreto del ministero della Sanità del 20 agosto 1999 indica i criteri di scelta delle protezioni respiratorie individuali. ta tra questi addetti, che anche soltanto la manipolazione senza inalazione delle fibre possa essere dannosa. Ma soprattutto questo atteggiamento risulta fuorviante per le attività di sorveglianza sanitaria affidate ai medici competenti. L’identificazione degli attuali esposti ad amianto fornisce un’importante opportunità per sviluppare programmi di prevenzione primaria, sia per quanto riguarda il controllo sulle esposizioni lavorative da parte dell’organo di vigilanza, sia per quanto riguarda interventi mirati all’individuo (come gli interventi per la cessazione del fumo, o quelli per una corretta alimentazione). È quindi importante che a livello regionale siano individuate le strutture competenti per sviluppare simili interventi di studio, sorveglianza epidemiologica e prevenzione primaria. BIBLIOGRAFIA Gorini G. et al. “Archivio regionale toscano dei mesoteliomi dossier maligni - Rapporto sulla casistica 1988 - 2000. Collana “Ti Con Erre” Regione Toscana - Febbraio 2002 Nesti M. et al “ Registro nazionale mesoteliomi - Primo rapporto” monografico di fogli di informazione Ispesl Paci E. et al. “Malignant Mesothelioma in non asbestos textile workers in Florence”. Am J Ind Med 1987; 11:249-254 Bartoli D. “Studio di coorte dei lavoratori del vetro artistico nel territorio empolese” La Medicina del lavoro. Vol 89 n° 5: 1998: 424 436 Seniori Costantini A. et al “Studio sulla mortalità degli addetti di un’azienda di produzione di rotabili ferroviari” La Medicina del lavoro Vol 91, n°1 Gen Febb 2000 Silvestri S. “Gli attuali esposti ad amianto” Atti conferenza nazionale amianto Roma 1999 23 AMIANTO A BORDO: E LA NAVE VA… Salute e lavoro l problema della presenza di amianto a bordo di imbarcazioni ancora in esercizio è stato riportato alla luce dalla vicenda dell’Egitto Express, nave passeggeri italiana posta sotto sequestro per inquinamento da fibre di amianto. Nonostante i noti rischi per la salute, si tratta di una questione spesso sottovalutata, a fronte di una carenza o addirittura di una mancanza generale di controlli e ispezioni adeguate. L’Egitto Express, traghetto della “Adriatica di navigazione” (società a partecipazione statale, oggi assorbita dalla Tirrenia), operava principalmente tra le due sponde dell’Adriatico, in particolare tra Italia, Croazia e Albania. A seguito di un esposto che segnalava lavori di manutenzione a bordo in zone trattate con amianto, la Asl di Ancona è intervenuta con personale ispettivo del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro. Dal controllo effettuato è emerso che da una paratia era stato rimosso materiale che sembrava essere costituito da amianto. Gli ispettori hanno quindi prelevato il materiale e sospeso i lavori, imponendo l’isolamento delle aree interessate dall’intervento. Le analisi effettuate hanno poi confermato i sospetti: il materiale prelevato conteneva amianto, precisamente amosite. Lorenzo Papa Giorgio Sampaoli I 24 La recente vicenda del traghetto Egitto Express, nave passeggeri italiana che operava principalmente tra le due sponde dell’Adriatico, ha riportato alla luce il problema della presenza di amianto a bordo di imbarcazioni ancora in esercizio. Ancora oggi sono moltissime le navi in circolazione costruite prima della messa al bando dell’amianto. Nonostante i noti rischi per la salute, primo fra tutti l’insorgenza di tumori polmonari, i controlli sono scarsi o inadeguati, se non del tutto assenti. Viene quindi da chiedersi quali tutele abbiano i marittimi e le altre persone, siano esse passeggeri o lavoratori che a vario titolo salgono a bordo di vecchie navi. Dalle verifiche al sequestro La verifica dei documenti di bordo ha messo in evidenza come la mappatura relativa alla presenza di “materiali contenenti amianto”, redatta in conformità al decreto ministeriale del 20 agosto 1999, non rappresentasse la realtà: da questo documento, infatti, la zona alloggi equipaggio di prora risultava esente da amianto. Va precisato, poi, che i ponti destinati ai passeggeri erano già stati oggetto di bonifica. Nei giorni successivi sono stati effettuati lavaggi di aria e pulizia a umido, per abbattere l’eventuale presenza di fibre aerodi- sperse. Sono stati effettuati anche campionamenti dell’aria, sia nelle zone segregate di prora sia negli alloggi equipaggio di poppa. I risultati hanno mostrato un valore di 2,56 ff/l (quantità di fibre contenute nel volume di un litro), superiore a quello indicato dal decreto ministeriale del 6 settembre 1994 per il rilascio di un cantiere di bonifica (2 ff/l). Sono stati quindi effettuati ulteriori campionamenti: i dati rilevati, sia prima che dopo la pulizia, indicavano in ben cinque dei sei punti di prelievo valori superiori a 2 ff/l, con un valore massimo di 13,5 ff/l: era dunque chiara una situazione di inquinamento già presente e gli autori Lorenzo Papa Giorgio Sampaoli Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro Asur Zona territoriale 7, Ancona ancora in corso. Mentre la nave continuava a svolgere regolarmente il proprio servizio, tutte le attività disposte per risolvere l’inquinamento (incontri con la società armatrice, atti di prescrizione e disposizione) non hanno portato a una soluzione concreta. E per questo è stato richiesto il sequestro della nave, disposto dalla Procura. Sequestro che si è protratto fino all’esecuzione degli interventi necessari, effettuati nel porto di Trieste. Quali tutele per i lavoratori? A causa delle sue caratteristiche tecniche e dei suoi bassi costi, l’amianto ha trovato per lungo tempo ampio impiego in numerosi settori dell’industria. Tra questi, appunto quello delle costruzioni navali, dove è stato utilizzato massicciamente per le particolari qualità di isolante termico (coibentazioni di tubature, guarnizioni, pannelli) e di resistenza al fuoco (spruzzato sulle strutture metalliche e a protezione degli impianti). Simili applicazioni nel tempo possono provocare dispersione in aria di fibre, in particolare a causa dell’usura dei materiali o degli interventi demolitivi che si rendono necessari per intervenire sugli impianti “protetti” da amianto. Tutto questo, inoltre, in un ambiente caratterizzato da forte presenza di vibrazioni e ventilazione forzata. Sono moltissime le navi in circolazione costruite prima della messa al bando dell’amianto. E sono numerosi anche gli studi che hanno dimostrato un significativo aumento di tumori a carico dell’apparato respiratorio nei lavoratori marittimi. È un fatto, per esempio, che tra gli addetti ai cantieri navali si registrino molti casi di mesotelioma pleurico. Il fatto che in una nave battente bandiera italiana, appartenente a una società a capitale pubblico, che aveva effettuato il censimento previsto dalla legge, il problema amianto fosse tutt’altro che sotto controllo può essere indicativo dell’attenzione che viene posta a questi aspetti. Viene quindi da chiedersi: quali tutele hanno i marittimi e le altre persone, passeggeri o lavoratori che a vario titolo salgono a bordo di vecchie navi? Il decreto legislativo 271/99, che pone come obiettivo il rispetto delle norme a tutela della sicurezza e della salute nelle navi, risente della mancanza di strumenti, come per esempio le circolari attuative, che lo rendano operativo a pieno titolo e definiscano i ruoli dei vari organi di vigilanza (autorità e sanità marittime, Asl). La sezione Marche di Snop è disponibile a raccogliere contributi per affrontare in concreto la questione partendo dall’attuale quadro normativo, e proponendo il coinvolgimento di altri soggetti (associazione di tutela dei lavoratori, passeggeri, ambientalisti ecc) interessati al problema. Salute e lavoro dossier CLEMENCEAU: NESSUNO LA VUOLE Dopo mille peripezie, torna in Francia la Clemenceau, la portaerei di 27 mila tonnellate salpata lo scorso 31 dicembre dal porto di Toulon per essere smantellata in India. Dopo essere stata bloccata nelle acque territoriali egiziane, il 13 febbraio la Corte suprema dell’India aveva disposto un supplemento di indagini per determinare quantità e natura dei materiali pericolosi a bordo. La portaerei, un tempo orgoglio della marina nazionale transalpina, secondo l’organizzazione ambientalista Greenpeace sarebbe stata infatti piena di amianto, Pcb, piombo, mercurio e altre sostanze chimiche pericolose. Inoltre, nessuno era in grado di garantire che venisse smantellata tutelando la salvaguardia dell’ambiente e la salute degli operai che lavorano nei numerosi cimiteri navali dislocati tra India, Pakistan e Bangladesh. Il 15 gennaio scorso il governo egiziano ne ha consentito il transito attraverso il canale di Suez, dopo aver accertato che, in quanto nave da guerra, non rientrava nella Convenzione di Basilea sui carichi pericolosi. La nave ha così ripreso il suo viaggio che avrebbe dovuto portarla nel deposito indiano di Alang per essere smontata e dismessa. Ma, ancora una volta, lo stop imposto dalle autorità indiane l’ha costretta a tenersi al largo delle acque territoriali. Alla fine è arrivata la decisione del presidente Chirac di farla rientrare in Francia. La Clemenceau era stata disarmata e dichiarata in disuso nel 1997. Dopo una prima ipotesi di affondamento nel Mediterraneo, è poi prevalsa l’opzione dello smantellamento. La portaerei è stata anche “deamiantizzata” in parte, ma al momento resterebbero a bordo ancora ben 115 tonnellate di fibra cancerogena. 25 UN RISCHIO VECCHIO CON UN NOME NUOVO: MOBBING Salute e lavoro Roberta Stopponi a globalizzazione e altre motivazioni di carattere macroeconomico (fusioni, recessioni ecc), insieme al cambiamento delle tipologie di lavoro e dei relativi rischi (aumento della conflittualità, diminuzione della stabilità, frequenti tentavi aziendali di espulsioni “spurie”) hanno contribuito a incrementare il fenomeno mobbing. Questa forma di violenza morale sul lavoro, che nelle sue componenti psicosociali è sempre esistita, solo ultimamente ha assunto un suo rilievo e un suo proprio riconoscimento scientifico. Il tema del mobbing ha conosciuto anche in Italia, se pur in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, un’enorme diffusione anche se non è purtroppo ancora accompagnato da un’adeguata conoscenza scientifica, da un approccio e da una gestione multidisciplinare con il coinvolgimento di medici del lavoro, legali, psichiatri e psicologi. Allo stato attuale non esiste una definizione univoca né tantomeno un termine universalmente utilizzato per definire il fenomeno. Nella più recente, Harald Ege descrive il mobbing come una «situazione lavorativa di conflittualità sistemica, persistente e in costante progresso, in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto per- L 26 Il mobbing è una forma di violenza morale sul luogo di lavoro. È sempre esistito, ma solo da poco è studiato e considerato un problema serio. Può assumere varie forme (emarginazione, critiche continue, calunnie), ma è caratterizzato dalla ripetitività degli attacchi. Le conseguenze sono principalmente disagi psicologici, ma in alcuni casi si può arrivare anche a malattie psicosomatiche. I danni si ripercuotono anche sull’azienda, in termini di minore produttività e perdita di giornate lavorative. Dal punto di vista giuridico, in Italia la tutela non è ancora sufficiente, ma le vittime del mobbing, con l’aiuto del proprio medico, ora possono chiedere risarcimenti. secutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nella impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisica permanente». Dal mobbing al bossing È molto importante chiarire che il mobbing non è una malattia, ma una situazione lavorativa conflittuale patologica e patogena che può incidere direttamente anche sullo stato di salute della vittima, sia dal punto di vista psichico che fisico. Il mobbing viene esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi o datori di lavoro e può assumere molteplici forme, che vanno dalla semplice emarginazione, fino alla diffusione di maldicenze e alle critiche continue. Gli attacchi vengono reiterati nel tempo, con lo scopo di eliminare una persona che è, o è diventata, in qualche modo scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni. Il diverso rapporto tra mobber e mobbizzato dà luogo a tre diverse direzioni del fenomeno, individuate con nomi diversi a seconda degli autori: dall’alto (dal capo al sottoposto), dal basso (dal sottoposto al capo), e tra pari (tra colleghi). Un mobber-capo può decidere di mobbizzare un sottoposto per vari motivi, come per esempio raccomandazioni, antipatie personali, invidia, motivi politici. Quando il mobber è il datore di lavoro o l’azienda nel suo complesso e la strategia persecutoria assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione del personale o di semplice eliminazione di una persona indesiderata, allora si parla di bossing. Il bossing è una vera e propria politica di mobbing, compiuta dai quadri o dai dirigenti con lo scopo preciso di indurre il dipendente “scomodo” alle dimissioni, al riparo da qualsiasi problema di tipo sindacale (mobbing pianificato). Occorre tenere presente che in ambito lavorativo esiste un vasto insieme di disturbi psichiatrici classificabili come “reazioni a eventi” e identificabili, per nesso eziologico, come malattie professionali o malattie correlate al lavoro (work related), che nulla hanno a che vedere con la condizione di mobbing. La messa in cassa integrazione, il licenziamento dovuto a cause strutturali di crisi aziendale, una fase di forte conflitto aziendale, e tutta una serie di eventi analoghi che possono realizzarsi in ambito lavorativo, senza alcun elemento di intenzionale violenza psicologica, possono ugualmente determinare quadri di patologia, senza per questo essere però inquadrabili all’interno di una sindrome provocata da una condizione di mobbing. Non si deve parlare di mobbing quando sussiste una singola azio- ne (per esempio, il demansionamento), un conflitto generalizzato (conflitto “fisiologico” per la tipica azienda italiana che vede tutti contro tutti), una malattia (è una situazione lavorativa conflittuale che può portare a malattia), una molestia sessuale (se finalizzata a se stessa), casi di bullismo. Si raccomanda inoltre di distinguere il fenomeno mobbing dagli stressors che si ritrovano sul lavoro, e che sono dovuti a vari tipi di “carichi”. Questi stressors si possono distinguere in carichi sociali (sovralavoro, sottocupazione ecc), carichi fisici (fatica muscolare), carichi organizzativi (ritmo del lavoro), carichi oggettivi (luce, temperatura, rumore ecc), carichi psichici (paura di fallire, di essere criticato ecc). Effetti sanitari e sociali I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti sul singolo individuo si evidenziano, dopo un intervallo di tempo variabile, con manifestazioni nella sfera neuropsichica. I segnali di allarme psicosomatico (cefalea, tachicardia, gastroenteralgie, dolori osteoarticolari, mialgie, disturbi dell’equilibrio), emozionale (ansia, tensione, disturbi del sonno e dell’umore), comportamentale (anoressia, bulimia, dipendenze) sono precoci. Se lo stimolo avverso è duraturo è possibile che si evidenzino patologie d’organo. Alcuni autori contestualizzano i sintomi psicosomatici descritti in due quadri sindromici principali che rappresentano le risposte psichiatriche a condizionamenti o situazioni esogene: il disturbo dell’adattamento e il disturbo post traumatico da stress. Gli effetti derivanti da situazioni mobbizzanti non si evidenziano soltanto sul singolo individuo, ma coinvolgono anche il sistema aziendale e quello sociale. I costi delle conseguenze del mobbing si riflettono a livello aziendale sia in termini di ore lavorative perse e scadimento della qualità del lavoro, sia in termini di produttività. Con effetti negativi anche sull’organizzazione, la produttività, il lavoro e addirittura la reputazione. Anche le conseguenze sociali possono essere deleterie, in quanto le assenze dal lavoro sempre più prolungate, che derivano dalla persistenza dei disturbi psicofisici, possono portare alla cosiddetta “sindrome da rientro al lavoro” sempre più marcata, fino alle dimissioni o al licenziamento. La perdita dell’autostima e del ruolo sociale provocano a loro volta insicurezza, difficoltà relazionali e, in alcuni casi come per esempio nelle fasce d’età più avanzate, l’impossibilità di trovare un nuovo lavoro. È notevole anche l’onere economico sostenuto dalla vittima del mobbing, a causa dei costi del prepensionamento, delle spese sanitarie o delle spese legali necessarie. Non si deve inoltre tralasciare che il profondo stato di disagio è spesso causa di separazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali. Salute e lavoro dossier Più formazione, più informazione Il mobbing non è attualmente regoalto (vedi box) e, anche per questo, è difficile gestirlo. Al momento, le uniche armi concrete a nostra disposizione per risolvere o limitare il problema sono la formazione e l’informazione. A livello aziendale, infatti, è possibile affrontare il mobbing puntando sull’incidenza su costi e produttività, instaurando la “cultura del litigio” (per esempio, l’autodifesa verbale) e organizzando un conflict management preparato per una gestione produttiva del conflitto. A livello sociale, invece, è possibile affron- 27 tare il problema a partire dalla promozione della sensibilizzazione e dalla divulgazione corretta del problema, passando per la preparazione di professionisti e operatori del sociale. Il decreto legislativo 626 del 1994 prevede che il medico competente collabori con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione, per prendere tutte le misure necessarie a tutelare la salute e l’integrità psicofisica e la dignità dei lavoratori. In questo caso, è necessario richiamare l’attenzione sui fattori di rischio meno tradizionali (organizzativi e psicosociali) e partecipare ai progetti di informazione e di formazione, soprattutto quella manageriale, che rappresenta uno strumento di prevenzione fondamentale. Prevenzione, controllo, indagini In situazioni di mobbing, al medi- co del lavoro sono richiesti diversi tipi di impegno: prima di tutto un ascolto qualificato, cui segue una diagnosi di una patologia che possa riconoscere come causa o come concausa l’occasione di lavoro (“diagnosi di compatibilità causale”), una certificazione medico-legale a fini risarcitori di danno subìto a opera dell’autore dell’aggressione morale, un indirizzo di carattere sanitario nella gestione e nel superamento dei disturbi provocati dalla violenza QUALE TUTELA GIURIDICA? 28 Purtroppo nella nostra realtà giuridica a tutt’oggi non vi è ancora alcuna norma che possa assicurare tutela certa, sia per quello che riguarda la definizione teorica del mobbing che per la risarcibilità dell’eventuale danno arrecato. Anche quando si parla di mobbing non si può prescindere dal citare i principi che sono alla base di quella che è il fondamento della vita normativa, e cioè la Costituzione, in particolare gli articoli 1 e 32. Principi recepiti dal Codice civile sia nell’articolo 2043 («Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»), che nell’articolo 2087, che pone l’equivalenza tra responsabilità contrattuale e danno alla persona quale lavoratore («L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»). La legge tutela quindi il diritto del lavoratore a non essere dequalificato e a svolgere effettivamente le mansioni formalmente spettanti. In caso di mobbing, non si è in presenza solo di una dequalificazione, ma di un comportamento vessatorio e illecito nei confronti del lavoratore. A fronte di questa situazione, il responsabile ha il preciso dovere di intervenire per rimuovere una situazione non più tollerabile e di evitare ulteriori lesioni alla personalità fisica e morale del lavoratore. Per “danno esistenziale” si intende qualsiasi danno che l’individuo subisce alla realizzazione della propria persona. In particolare, il danno da mobbing, non essendo sempre causa di danno biologico, ma anzi spesso causando “soltanto” nocumenti di natura più che altro esistenziale e professionale, è qualificabile fra quelli di natura esistenziale. A questo proposito, anche le recenti sentenze (Tribunali di Pistoia, Pisa, Tempio Pausania) hanno qualificato il danno da mobbing come un nocumento di natura “esistenziale”, ossia come pregiudizio all’esistenza stessa del soggetto, potenzialmente idoneo a peggiorare la qualità e la quiete della vita della vittima, indipendentemente da qualsiasi altra ripercussione si possa avere avuto sulla salute o sulla professionalità. Deve quindi potersi riconoscere una tutela risarcitoria anche quando il nocumento di una prerogativa costituzionale (dignità, serenità sul luogo di lavoro, professionalità, libertà di pensiero e di parola) ha provocato un danno effettivo, ma non abbia comportato una patologia accertabile clinicamente. Da qui, appunto, la definizione di natura complessa del danno da mobbing come danno esistenziale. l’autore Roberta Stopponi Medico specialista in medicina del lavoro. Dirigente medico del Servizio prevenzione sicurezza ambienti di lavoro, zona territoriale 8 - Civitanova Marche (MC) subita (espressione del giudizio di idoneità qualora il lavoratore in esame sia fra i soggetti sottoposti a sorveglianza sanitaria), la certificazione all’Inail e le segnalazioni all’Organo di vigilanza e alla Magistratura dei casi di patologie riconducibili a situazioni di mobbing o sospetto di eziologia lavorativa. L’Inail ha infatti inserito le patologie mobbing-correlate all’interno delle malattie professionali per le quali vige l’obbligo di denuncia, (ai sensi dell’articolo 39 del testo unico approvato con decreto presidenziale numero 1124 del 30 giugno 1965). Anche il ruolo del Dipartimento di prevenzione della Asl è decisivo. Una volta venuti a conoscenza di eventuali problematiche relative a casi di violenza morale sul lavoro, gli operatori del Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro si trovano ad affrontare il problema dal punto di vista preventivo, di inquadramento clinico-diagnostico e di polizia giudiziaria. La segnalazione all’Organo di vigilanza e alla Magistratura di casi di sospette violenze morali nei luoghi di lavoro (associate o meno a patologie riconducibili) fa scattare l’indagine di reato a partire dall’accesso ai luoghi di lavoro, l’assunzione di sommarie informazione da testimoni o dallo stesso interessato e l’analisi delle modalità organizzative e procedurali presenti nel luogo di lavoro. Come per ogni indagine di malattia professionale, anche in questo caso si deve procedere prima di tutto a verificare l’attendibilità della diagnosi. A meno che non sia lo stesso Servizio prevenzione sicurezza ambienti di lavoro (SPreSAL) ad averla posta. Si procede poi all’assunzione di informazioni sommarie da testimoni o dallo stesso interessato: in questa fase risulta fondamentale la ricerca di diffide in forma scritta da parte del mobbizzato, rivolte alla direzione aziendale, al medico competente o al mobber. Per proseguire poi con gli atteggiamenti lesivi, i provvedimenti disciplinari, i trasferimenti o i cambi di mansione. È utile che colui che si ritiene mobbizzato prepari un resoconto scritto in cui descriva la vicenda dal proprio punto di vista. Saranno utili anche eventuali resoconti preparati da altri soggetti in qualche maniera coinvolti. L’ultimo passaggio è la valutazione del nesso di causalità e la formulazione di ipotesi di violazione di articoli del Codice penale da parte delle figure aziendali. Bisogna quindi evitare attentamente ogni forma di improvvisazione: l’assistenza di un consulente esperto in tema di mobbing e di medici legali, medici del lavoro, neurologi, psichiatri, psicologi e avvocati si rende indispensabile per un approccio corretto e un esito efficace. Un problema di tutti Il ministro per la funzione pubblica, con un decreto del 19 settembre 2002, ha istituito una commissione di analisi e studio sulle politiche di gestione delle risorse umane e per lo studio delle cause e delle conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori. La commissione deve individuare i provvedimenti da predisporre ed elaborare le proposte, anche di carattere normativo, per miglio- rare l’ambiente di lavoro e le condizioni generali del lavoratore. Nella bozza di legge preparata si assegna al rappresentanye per la sicurezza anche un incarico di vigilanza per la prevenzione o la segnalazione di situazioni mobbizzanti. Viene anche proposta la costituzione di una rete diffusa di ascolto (“centri pubblici o istituti specializzati”), gestita da un gruppo di esperti a cui gli operatori possono ricorrere, lavorando con protocolli unici e uniformi a livello nazionale. Ma ancor prima di arrivare a questo grado di elaborazione, si consiglia al mobbizzato di comunicare, in un primo momento verbalmente e successivamente in forma scritta, al medico competente, alla direzione aziendale e al mobber stesso di desistere con gli atteggiamenti lesivi. La diffida scritta può infatti costituire un utile strumento per l’autotutela, oltre che per dar vita a una valida e ampia documentazione, con la descrizione della terapia prescritta dal medico, l’elenco di tutti i provvedimenti disciplinari, i trasferimenti, i cambi di mansione e le testimonianze da parte dei colleghi. Tutto materiale utilissimo per definire le responsabilità in sede legale. Tutti possono essere vittime di mobbing. E tutti possono contribuire a un clima che ne consente l’esistenza. Un problema che ci deve mettere di fronte alle nostre e altrui responsabilità, che ci costringe a riesaminare i rischi dell’attuale mondo del lavoro e di uno sviluppo troppo disordinato, diseguale e veloce. Un’altra conseguenza della globalizzazione che, come alcuni letterati amano dire, non è altro che un termine politico-economico per esprimere la frase latina nihil humanum a me alienum est: il mondo è uno, e tutto quello che vi accade ci riguarda tutti. Senza eccezioni. Salute e lavoro dossier 29 LE MANI NEL CEMENTO LE MANI NEL CEMENTO editoriale Salute e lavoro Alessandro Carella Giorgio Papa ra i settori produttivi, la cantieristica edile è certamente tra quelli caratterizzati non solo da un elevato numero di infortuni, ma anche da un rischio non trascurabile di sviluppare malattie professionali di tipo cutaneo. Queste malattie derivano dall’impiego di sostanze come il cemento o il calcestruzzo che possono avere effetti irritanti o allergici per la cute, soprattutto per la presenza di piccole quantità di cromo all’interno di queste materie prime. Una prevenzione efficace di questi effetti si basa sull’aggiunta di specifiche sostanze in grado di neutralizzare l’azione del cromo a valle del processo produttivo del cemento, ma anche sull’adozione di specifiche misure igieniche e protettive sul luogo di lavoro. T Se la pelle si ribella 30 In campo edile le malattie cutanee derivano principalmente dal contatto diretto con i diversi prodotti chimici utilizzati, direttamente o indirettamente, durante l’attività: resine epossidiche, solventi, acidi, basi, prodotti derivati della gomma, detergenti aggressivi, coloranti, asfalto, legno, oli. In particolare, il contatto diretto con il cemento bagnato (o calce- Le dermatiti da cemento sono una malattia professionale molto comune nel settore della cantieristica edile, un comparto produttivo caratterizzato da un rischio elevato di malattie cutanee, oltre che di infortuni. Materie prime come cemento o calcestruzzo contengono infatti piccole quantità di cromo, che può avere effetti irritativi o allergici sulla cute umana. Una prevenzione efficace per i lavoratori esposti a questi materiali consiste soprattutto nell’impiego di sostanze capaci di neutralizzarne l’azione allergica nel corso del processo produttivo del cemento, ma anche nell’adozione di opportune misure igieniche e protettive a livello individuale. struzzo) dà origine a malattie note come “eczemi da cemento”, che possono essere di origine tossico-irritativa o allergica. Gli eczemi tossico-irritativi derivano essenzialmente dalle proprietà alcaline, abrasive e igroscopiche (in grado cioè di assorbire l’acqua) del cemento. Infatti, a causa della dissoluzione in acqua di alcuni suoi componenti alcalini come gli ossidi di calcio, magnesio, sodio e potassio, il cemento umido e le acque che lo contengono possono raggiungere valori di pH fortemente basici, dell’ordine di 10-13 unità. L’elevata alcalinità può indurre sulla pelle delle vere e proprie ustioni, aggravate anche da altre reazioni che si verificano quando alcune componenti del cemento, come ad esempio gli ossidi di calcio, vengono mescolate all’acqua. L’irritazione della pelle è aggravata anche dalla costante azione abrasiva esercitata da piccole particelle solide durante la manipolazione del cemento, che provoca la formazione di microlesioni, peraltro influenzate dalle particolari condizioni climatiche degli ambienti di lavoro. Gli eczemi allergici derivano invece dalla sensibilizzazione cutanea provocata da sostanze allergizzanti (allergeni) contenute nel cemento bagnato, come i sali di cromo, nichel e cobalto. Questo fenomeno, inoltre, è ulteriormente amplificato in presenza di un eczema di tipo irritativo. L’azione tossica del cromo dipende dalla sua capacità di combinarsi con le proteine dell’epidermide trasformandosi in cromo trivalente, in grado di indurre sensibilizzazione. Tra i diversi stati di ossidazione, quelli potenzialmente allergenizzanti sono il cromo trivalente e quello esavalente, mentre il cromo metallico non sembra presentare questa caratteristica. In ogni caso, la forma più attiva dal punto di vista della sensibilizzazione cutanea è quella esavalente, perché grazie alla sua maggiore solubilità in acqua può essere assorbita più facilmente attraverso la pelle. Malattie cutanee settore costruzioni riconosciute dall’Inail in Italia Salute e lavoro dossier Grafico 1 - Malattie professionali di natura cutanea indennizzate dall’Inail in Italia (1999-2003) Malattie cutanee settore costruzioni riconosciute dall’Inail nella Regione Marche Sensibilità eccessiva Il contenuto di cromo nei cementi può oscillare tra i 7 e i 100 g per grammo di materiale. In genere, la frazione responsabile dell’effetto allergico-irritativo è quella solubile, di percentuale variabile. La presenza del cromo nei cementi dipende essenzialmente dalle Grafico 2 - Malattie professionali cutanee indennizzate dall’Inail nella Regione Marche (1999-2003) LE STATISTICHE INAIL Le malattie cutanee rappresentano circa il 18% delle malattie professionali riconosciute dall’Inail nel settore delle costruzioni, seconde in ordine di importanza soltanto alle ipoacusie, che sono circa il 30%. Un risultato ampiamente confermato anche dai dati relativi agli altri Paesi europei. Da uno studio condotto su 5000 lavoratori impiegati nella costruzione del tunnel della Manica è risultato che circa la metà hanno manifestato alterazioni di tipo cutaneo. In Italia, i dati Inail relativi al settore delle costruzioni mostrano come le malattie cutanee riconosciute dall’Istituto assicuratore pubblico rappresentino circa il 24% delle malattie cutanee totali indennizzate, a testimonianza dell’elevata incidenza di questa patologia in questo specifico settore. Per quanto riguarda le Marche, invece, l’incidenza delle malattie cutanee nel settore delle costruzioni edili è circa il 35% di tutte le malattie cutanee indennizzate nella Regione. Questa maggiore incidenza può dipendere dal fatto che il settore produttivo marchigiano è ricco di aziende di piccole dimensioni (circa l’82% delle ditte del settore sono di tipo prevalentemente artigianale) nelle quali opera il 68-69% dell’intera forza lavoro. Tuttavia, a partire dal 1999, il numero di malattie cutanee indennizzate relative a questo settore è in progressiva diminuzione, sia a livello nazionale che regionale, anche se è opportuno segnalare che i casi registrati nella Regione Marche rappresentino circa il 6-7 % dei casi nazionali (vedi grafici 1 e 2). 31 Salute e lavoro dossier impurezze naturali delle materie prime, soprattutto le argille, ma anche dai vari processi di produzione. A questo proposito, secondo alcuni studi potrebbero essere determinanti i residui di combustione dei carburanti impiegati nei cementifici per il riscaldamento dei forni di cottura, il rilascio dai materiali refrattari impiegati nei forni di cottura o dagli acciai di cui sono costituiti i frantoi e i molini a sfera, l’utilizzo di additivi in cui sono presenti piccole quantità di sali di cromo, come per esempio le loppe di altoforno. Oltre al cromo, i cementi possono contenere anche altri agenti sensibilizzanti, tra cui il cobalto o il nichel: infatti la dermatite allergica al cromo è spesso associata a un’allergia a questi metalli. In genere, i cementi contengono cobalto prevalentemente in forma insolubile e il rischio di sensibilizzazione è quindi piuttosto basso. Alcuni studi, però, ipotizzano la formazione di sali o altri complessi solubili di questo metallo (per esempio con gli amminoacidi della pelle) che possono superare la barriera dell’epidermide e provocare l’irritazione. Il nichel, invece, è presente nei cementi come contaminante delle materie prime e viene generalmente convertito a ossido di nichel durante la cottura del clinker a 1450 °C. Nel settore delle costruzioni, le persone che corrono il rischio maggiore di venire a contatto con il cemento bagnato sono muratori, piastrellisti e manovali, ma anche gli operai impiegati nelle costruzioni delle gallerie, a causa del calcestruzzo spruzzato, e gli addetti alla produzione dei cementi stessi. Abbasso il cromo Per ridurre il rischio di esposizione ad agenti irritanti e allergizzanti durante l’impiego del cemento, uno dei principali interventi di prevenzione è l’utilizzo di cementi a basso tenore di cromo, che ne contengono cioè quantità non superiori ai 2 g/g (soglia alla quale si può ritenere trascura- bile il suo effetto sensibilizzante). Il controllo della natura delle materie prime impiegate nella produzione del cemento è importante, ma non basta. Per questo è stato proposto il metodo del trattamento del cemento con il solfato ferroso, che porta alla riduzione del cromo esavalente a cromo trivalente, consentendo così di ridurre il tenore di cromo esavalente a una quantità inferiore alla soglia. Questo intervento ha già dato risultati soddisfacenti in alcuni paesi, come la Danimarca e la Finlandia, dove negli ultimi anni è stata registrata una sensibile riduzione delle malattie cutanee riconducibili al cemento (dal 9% all’1,3%). Recentemente, anche la Commissione europea (attraverso il Comitato scientifico di tossicità, ecotossicità e ambiente) ha proposto la riduzione del tenore di cromo esavalente idrosolubile nei cementi: «Non può essere commercializzato o impiegato quale sostanza o componente di preparati se contiene oltre lo 0,0002% di cromo esavalente idrosolubile IL PROCESSO DI PRODUZIONE DEI CEMENTI 32 Il cemento si ottiene mescolando opportunamente alcuni materiali grezzi estratti da cave, che vengono successivamente cotti. Il processo di produzione del cemento comporta una prima fase di miscelazione a freddo delle materie prime, soprattutto argille, che apportano alla miscela la giusta quantità di silice e di calcari. La miscela ottenuta viene frantumata ed essiccata, quindi macinata in due momenti: prima il materiale viene ridotto in piccoli granelli attraverso dei molini a sfere, poi viene sminuzzato ulteriormente dai molini di raffinazione fino a ottenere la cosiddetta “farina cruda”. Il cemento crudo è pronto per la successiva fase di cottura (clinkerizzazione), che avviene in forni rotatori orizzontali. Questi sono costituiti da un tubo cilindrico di ferro rivestito internamente da materiale refrattario, che contiene anche piccole quantità di cromo. I forni di cottura vengono riscaldati grazie a combustibili fossili (carbone polverizzato, gasolio o gas naturale), con aggiunta controllata di aria. La miscela del crudo viene sottoposta a un primo gradiente di temperatura fino al limite di circa 1000 °C, dove il calcare perde anidride carbonica e si converte in calce viva. Un secondo gradiente di temperatura induce quindi la reazione tra la calce viva e le altre componenti della miscela. A 1450 °C circa si ha l’agglomerazione completa e si ottiene il cosiddetto “clinker”. Al clinker, opportunamente raffreddato, vengono aggiunti degli additivi per modificare alcune caratteristiche del cemento, come il tempo di presa o la resistenza chimica agli agenti esterni. Tra gli additivi utilizzati ci sono le loppe di altoforno, costituite da scorie provenienti da processi metallurgici non ferrosi e che possono contenere, a seconda della provenienza, piccole quantità di metalli pesanti tra cui zinco, piombo e cromo. gli autori Alessandro Carella Giorgio Papa Inail, Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione (Contarp) della Regione Marche sul peso totale del cemento, per attività manuali, laddove vi sia un rischio di contatto cutaneo». Tuttavia, va sottolineato che l’attività riducente del solfato ferroso è limitata soltanto a un determinato periodo di tempo. Per questo, l’industria del cemento danese garantisce soltanto per due mesi un tenore di cromo esavalente inferiore allo 0,0002% in peso nel cemento addizionato di solfato ferroso. Inoltre, poiché questo periodo risulta a sua volta influenzato anche dalle condizioni generali di conservazione del cemento (come ad esempio le condizioni climatiche, l’umidità o la temperatura) il periodo di garanzia può ridursi anche a poche settimane. Un contatto da evitare Accanto alla prevenzione, è necessario attuare anche misure di protezione individuale per ridurre i rischi che derivano dal contatto con il cemento, che prevedano anche interventi informativi e formativi su quali siano le procedure di lavoro corrette. Per esempio, bisogna eliminare i vestiti sporchi di cemento fresco ed evitare di manipolare il cemento a mani nude o di lisciarlo con le dita, perché può provocare l’abrasione della pelle e favorire l’assorbimento di sostanze irritanti. A fini protettivi, è importante anche l’impiego di guanti idonei che permettano un’elevata protezione meccanica e chimica, senza però provocare a loro volta delle allergie particolari, come accade per esempio nel caso dei guanti ottenuti da pelli conciate con cromo o dei guanti in gomma a base di lattice. I guanti in pelle non sono sempre i più adatti per i lavori che comportano un contatto con cemento bagnato, perché si bagnano presto, aumentando così il contatto della pelle con gli allergeni e le sostanze nocive del cemento. In questi casi è meglio usare guanti di cotone con uno strato sintetico a base di nitrile o neoprene e con un’impermeabilità di almeno otto ore. In aggiunta, possono essere utili anche creme protettive a base di silicone, ma anche di sostanze chelanti o riducenti, in grado di limitare l’assorbimento cutaneo del cromo esavalente. Tuttavia l’efficacia di questi sistemi non è stata ancora del tutto dimostrata. Anche l’igiene personale è molto importante: per questo è necessario che i vari operatori abbiano a disposizione docce, spogliatoi e lavabi che permettano di evitare contaminazioni accidentali e un’igiene scrupolosa della persona al termine del turno di lavoro. In particolare, va suggerito, anche attraverso opportuni interventi di formazione e informazione, l’impiego di detergenti non aggressivi e di prodotti dermatologici per idratare e nutrire la pelle. D’altro canto, creme o pomate non appropriate possono, in alcuni casi, peggiorare una situazione già compromessa: da qui la necessità di ricorrere all’intervento del medico, e non all’automedicazione, nel caso compaiano sulla pelle lesioni o macchie sospette. Il problema delle dermatiti da cemento nel settore edile è ancora attuale, nonostante negli ultimi anni i continui interventi, sia di informazione e formazione che di prevenzione e protezione, abbiano ridotto significativamente i casi denunciati. È necessario un ulteriore sforzo da parte delle varie aziende, degli organismi di controllo, dei consulenti, delle rappresentanze sindacali per migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori attraverso interventi informativi e formativi, dispositivi di protezione idonei e ambienti per la cura e l’igiene personale. Salute e lavoro dossier BIBLIOGRAFIA Dermatoses professionnelles au ciment - Crepy - Documents pour le médecin du travail - n.88 - 4me trimestre 2001 Dermatitis de contacto por cemento: fisiopatologia Tocados, Plaza, Vozmedino Actualidad Dermatologica Sostanze sensibilizzanti per la cute - Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro Facts n. 40 Les cimentes - Inrs - 2002 Risks to Health from Chromium VI in Cement - Cstee - 2002 Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a restrizioni alla commercializzazione e all’impiego di nonifenolo, nonilfenolo etossilato, cemento” - 2002 Cembureau’s position regarding the Reduction of chromate eczema in the costruction indutry - The European Cement Association - 2002 Prévention des dermatoses chez les utilisateurs de ciment Geraut, Tripodi - Documents pour le médecin du travail - n. 90 - 2me trimestre 2002 Dermatitis de contacto por cemento: pronostico y prevenciòn - Tocados, Plaza, Vozmedino Actualidad 33 Le foto che illustrano questo numero della rivista Snop sono state scattate direttamente da alcuni operatori della Asl 10 di Firenze, e poi raccolte su www.infomonitor.it, il sito dell’Osservatorio sicurezza grandi opere. Le attività dell’osservatorio, istituito dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, sono affidate e coordinate dagli operatori dei Servizi di prevenzione delle aziende Usl di Firenze, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Ringraziamo l’osservatorio che ci ha concesso l’utilizzo delle immagini. 34 CONOSCI TU IL PAESE DOVE NON SI FUMA (A TAVOLA?) Salute e lavoro Giacomo Mangiaracina ragionevolmente incredibile: l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere una legge che vieta di fumare nei luoghi di lavoro e di svago, pubblici e privati. Altri governi stanno prendendo in giusta considerazione le stesse norme e guardano al nostro Paese come se fosse il modello ispiratore. D’altronde, abituati come siamo a leggi complicate, pervase di commi e sottoparagrafi intricati, ce ne meravigliamo noi stessi. Dal 10 gennaio 2005 viviamo una realtà che ha letteralmente sconvolto il costume di una nazione, grazie all’entrata in vigore della cosiddetta “legge Sirchia”, che per la precisione è un articolo, il n° 51, di una legge, la 3/2003 sulla Pubblica amministrazione. Poche righe, toste, che dopo l’approvazione hanno dato luogo a reazioni immediate. La norma, infatti, prevede testualmente che si possa fumare nei luoghi appositamente realizzati per fumatori e nei luoghi di lavoro privati dove non sia previsto l’accesso di pubblico o utenti. È Un cammino tortuoso A pochi giorni di distanza dall’emanazione della legge, il 16 gennaio 2003, la Società italiana di Dal 10 gennaio 2005 vige in Italia la legge Sirchia, che vieta il fumo in tutti i luoghi chiusi dov’è previsto l’accesso del pubblico o di utenti. È una legge all’avanguardia, che una volta tanto mette l’Italia nella posizione di un modello da studiare e imitare nel resto d’Europa. Lo scopo dichiarato della legge, visto anche il sempre crescente numero di studi sui danni da fumo passivo, è quello di tutelare la salute dei non fumatori. Un’altra conseguenza positiva però è stata il calo sensibile del numero dei fumatori, soprattutto fra le donne e i laureati. Alla legge, ovviamente osteggiata della lobby del tabacco, è invece favorevole l’80% degli italiani. tabaccologia protestò in modo deciso, non solo con una manifestazione a Roma davanti al Senato, ma anche con interventi televisivi al Tg3 e su La7. La protesta si basava sulla semplice considerazione che il 90% dei luoghi di lavoro nel nostro Paese sono privati e che non c’era quindi alcuna ragione sostenibile per differenziare i lavoratori del pubblico da quelli del privato. La legge sarebbe dovuta entrare in vigore a un anno dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, cosa che avvenne con molto ritardo, perché le Regioni sollecitarono il Governo a emanare un necessario regolamento attuativo. L’accordo chiariva inequivocabilmente che «la predisposizione di locali per fumatori non è considerata dalla legge adempimento obbligatorio, mentre è obbligatorio il divieto di fumo in tutti i locali contemplati dalla legge» e che «permane il divieto di fumo in presenza di un unico locale e di impossibilità di assicurare idonea separazione degli ambienti». Sul piano temporale l’entrata in vigore slittò di un altro anno, ma i “chiarimenti” si rivelarono provvidenziali in quanto fissarono precisi aspetti tecnici e giuridici che non hanno consentito il saprofitismo di gramigne interpretative. In particolare, emerge 35 Salute e lavoro dossier Post 1 Pre Perdita significativa Perdita lieve Post 2 Nessuno/aumento Non so Figura 1 - Gli effetti economici della legge “antifumo” emersi dallo studio del Gruppo Enfasi nei primi mesi dall’entrata in vigore della legge (Post1) e nel periodo successivo (Post2) che non si potrà fumare non solo nei locali pubblici, ma anche nei luoghi di lavoro privati dove coesistano più lavoratori. Questa mirabile alchimia è stata resa possibile dall’interpretazione estensiva del concetto di “utente”. In assenza dell’obbligo di istituire appositi spazi per fumatori, la legge ha consentito al datore di lavoro di «istituire il divieto generalizzato di fumare in ogni luogo dell’azienda». Quanto all’eventuale predisposizione di locali per fumatori, veniva precisato che questo adempimento doveva essere realizzato in coerenza con i requisiti indicati dal citato decreto, fermo restando l’obbligo inde- rogabile di istituire il divieto di fumo in presenza di un unico locale e di impossibilità di assicurare un’opportuna separazione degli ambienti. Alla fine del 2004 intervenivano però due importanti interventi applicativi e attuativi: l’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2004, che regolava la procedura di rilevazione e sanzionamento delle infrazioni al divieto, e la circolare del ministero della Salute del 17 dicembre 2004, che ha precisato in modo inequivocabile che «la norma è volta fondamentalmente a tutelare la salute dei non fumatori», ponendosi come obiettivo la massima estensione possi- bile del divieto di fumare, con la sola esclusione delle «eccezioni espressamente previste». Nel passo conclusivo della medesima circolare il ministero chiariva come le uniche eccezioni al divieto di fumo nei locali chiusi fossero costituite dalle abitazioni private e dai «locali riservati ai fumatori, se esistenti», purché dotati delle dimensioni e dei requisiti tecnici previsti dal Dpcm del 23 dicembre 2003. La circolare ribadiva che il divieto dev’essere applicato «non solo nei luoghi di lavoro pubblici, ma anche in tutti quelli privati, che siano aperti al pubblico o a utenti». Dall’estensione del divieto a tutti i luoghi di lavoro, con cui di fatto veniva a cadere la distinzione tra locali aperti alla clientela e non, scaturiva una lettura estensiva del termine “utente”, nel quale andavano compresi nuovamente gli stessi lavoratori dipendenti, «in quanto utenti dei locali nell’ambito dei quali prestano la loro attività lavorativa». Con la conseguenza, energicamente rimarcata dal ministero, che il divieto doveva essere applicato in ogni luogo, pubblico e privato. Questi aspetti sostanziali hanno creato l’attuale “legge anti-fumo”, ferma nelle sue intenzioni e decisa nelle sue applicazioni. Le aspettative si erano tinte di rosa e i risultati erano diventati prevedibili, dando anche una spiegazione della forte controffensiva dei colossi del tabacco, la neonata Bat Italia, che aveva appena acquistato l’Ente I dati contenuti nelle tabelle1-9, pubblicate da pagina 36 a pagina 44, sono stati tratti dall’articolo “Effetti del fumo passivo sulla salute” di Francesco Barone-Adesi e Lorenzo Richiardi (Epidemiologia dei tumori, Cerms, Cpo Piemonte e Università di Torino). La versione integrale dell’articolo è disponibile on line sul sito della Snop, www.snop.it 36 1. Esposizione al fumo passivo 1983 Dimostrata in ambiente domestico, se almeno un familiare è fumatore 1989 Dimostrata nei locali pubblici 1991 Dimostrata nell’ambiente di lavoro l’autore Giacomo Mangiaracina Dipartimento di Scienze di sanità pubblica dell’Università di Roma La Sapienza - Agenzia nazionale per la prevenzione. Presidente della Società italiana di tabaccologia (Sitab), coordinatore dell’Area tabagismo della Lega italiana per la lotta contro i tumori. tabacchi italiano, e la Philip Morris, che di fatto deteneva (e detiene tuttora) il 60% del mercato del tabacco italiano. Pro e contro Che la legge funzioni è scientificamente provato da varie indagini, sia nazionali (come quelle dell’Istat, della Doxa e del Profea, o gli studi Enfasi e Passi) sia locali, nell’ambito delle diverse Regioni e Asl. Nell’insieme, infatti, i dati raccolti indicano che oltre l’80% degli italiani sono favorevoli alla legge. Alla scarsa resistenza nella popolazione si asso- cia un’ottima adesione degli esercenti, anche per il miglioramento dei profitti (vedi figura 1). Sono migliorati i comportamenti sia dei fumatori che dei gestori dei locali pubblici e si è ridotto il consumo di tabacco (fatta eccezione soltanto per i trinciati, il cui consumo è aumentato del 20%). Dall’indagine multiscopo dell’Istat è emerso che il numero dei fumatori si è ridotto sia tra i gestori dei locali, sia nella popolazione generale (riduzione dell’1,6% per i maschi e del 2,1% fra le femmine). In particolare, il numero di fumatori è sceso dell’8,2% fra i laureati e del 4,8% al Sud. Il dato è rafforzato anche da valutazioni indirette come la crescita della vendita di prodotti antifumo e della domanda di aiuto da parte di chi vuole smettere di fumare. Last but not least, si è osservata una riduzione significativa di alcune patologie correlate al fumo. Ci sono però anche alcuni aspetti critici della legge “antifumo”, come per esempio le difficoltà oggettive nel farla applicare in alcuni contesti, come gli ospedali, gli uffici pubblici e le discoteche: sono costanti le richieste di aiuto per mobbing tabagico che arrivano al servizio “Smokebusters” (www.smokebusters.it, organizzato da Codacons, Gea, Sitab, Agenzia nazionale per la prevenzione), da parte di ospedali, università, tribunali e redazioni giornalistiche, Rai compresa. Gli stessi problemi si pongono in alcuni luoghi definiti “problematici” (carceri, comunità terapeutiche, case di riposo, reparti psichiatrici) e “particolari” (gazebo e patii, edicole, centri commerciali e mercati rionali, cortili, aree condominiali, stadi, club per soli fumatori). Inoltre, si teme che a causa del sovraccarico di lavoro la vigilanza da parte dei Nas risulti disomogenea e discontinua. Ma soprattutto, il timore principale è lo spostamento dell’attenzione dalle strategie globali di intervento, aspetto che merita il giusto rilievo. Infatti, se da parte sua la legge può mutare favorevolmente gli atteggiamenti, i comportamenti e pure il costume sociale di una popolazione, c’è anche una controparte, uno schieramento contrapposto, che promuove la vendita del prodotto con eccellen- Salute e lavoro dossier 2. Tumore polmonare 1981 Associazione tra esposizione a fumo passivo e neoplasie polmonari 1985 Risultati confermati da diversi autori 1986-1992 Revisioni concludevano per una relazione di tipo causale 1997 Per le donne non fumatrici esposte al fumo del coniuge un eccesso di rischio del 24%. Eccesso di rischio del 23% per ogni 10 sigarette fumate al giorno dal marito e dell’11% ogni 10 anni di esposizione 1994-1998 Confermata associazione tra neoplasie polmonari ed esposizione in ambito domestico 1998 Esposizione occupazionale a fumo passivo: rischio relativo di 1,14 o di 1,39 2004 Confermata associazione tra neoplasie polmonari ed esposizione dovuta alla frequentazione di locali pubblici fumosi 2004 Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato questa esposizione come cancerogeno certo per l’uomo. Eccesso di rischio complessivo del 19% per le donne e del 12% negli uomini per esposizione in ambiente di lavoro 37 Salute e lavoro dossier ti strategie aziendali. Se ogni anno in Italia 90.000 persone muoiono a causa del tabacco, l’azienda dovrà reclutare almeno 90.000 nuovi acquirenti, non tra i quarantenni, ma tra i giovanissimi. E ce la fa. Questo deve preoccupare e mettere in allarme gli operatori della salute. L’approccio al problema è complesso e deve mirare al trattamento e alla prevenzione, passando per la formazione. La Società italiana di tabaccologia e la Lega italiana contro i tumori organizzeranno quindi a Roma un congresso il 12 e 13 maggio 2006 sul tema “Tabagismo: Prevenzione e Terapia”, per una politica sanitaria di incentivazione dei Centri tabagismo in Italia, e per responsabilizzare gli opera- tori a sviluppare progettualità in prevenzione che garantiscano l’efficacia. Marini C. Legge antifumo: cronistoria di un tentato golpe. Tabaccologia, pag. 7, n. 4/2005. Mura M. Il divieto di fumo nei locali pubblici in Italia ha ridotto il consumo di sigarette dell’8%. Tabaccologia, pag. 7, n. 4/2005. BIBLIOGRAFIA International Agency for Research on Cancer (Iarc), “Tobacco Smoke and Involuntary Smoking”. Lyon: 2004. Iarc Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk to Humans, vol 83. Tominz R, Poropat C. Effetti della Legge 3/03 sul divieto di Fumo nei locali pubblici. Tabaccologia, pag. 5, n. 4/2005. Mangiaracina G, Ottaviano M. La Prevenzione del tabagismo. Lega Italiana per la lotta contro i tumori, pagg 400. Roma, 2005. Mangiaracina G. Coraggio sostenibile. Tabaccologia, pag. 3, n. 4/2005. US Public Health Service report. A clinical practice guideline for treating tobacco use and dependence: The Tobacco Use and Dependence Clinical Practice Guideline Panel, Staff, and Consortium Representatives. Jama 2000; 283: 3244-3254. 3. Morte improvvisa neonatale (Sudden Infant Death Sindrome, o Sids) 1997 Il fumo materno raddoppia il rischio di Sids 4. Malattie cardiovascolari 1986 Associazione tra fumo passivo e rischio cardiovascolare “biologicamente plausibile, anche se ancora non suffragata da una sufficiente evidenza epidemiologica” 1989-1990 Conferma 1992 1997 38 Rapporto dell’American Heart Association. I non fumatori esposti a fumo passivo hanno un eccesso di rischio di malattia ischemica cardiaca del 30 per cento. Gli autori considerano l’esposizione a fumo ambientale una delle più importanti cause prevenibili di patologia cardiovascolare negli Stati Uniti I non fumatori hanno un eccesso di rischio complessivo di malattia ischemica cardiaca del 23 per cento se vivono con un fumatore. L’eccesso di rischio è simile a quello stimato per il fumo attivo di una sigaretta al giorno (39 per cento) e circa la metà di quello associato al fumo di 20 sigarette al giorno (78 per cento) 1998 Rischio relativo di 1,18 per esposti a fumo passivo occupazionale rispetto ai non esposti 1999 Relazione tra fumo passivo ed eventi cerebrovascolari. Eccesso di rischio per esposizioni domestiche del 72 per cento e 159 per cento rispettivamente per mogli di fumatori “leggeri” e “pesanti” e aumento del rischio dell’80 per cento per esposizioni lavorative 1999 Confermati i risultati. I non fumatori esposti a fumo ambientale hanno un rischio relativo di malattia coronarica pari a 1,25 1999 L’Epa della California e il National Cancer Institute riconoscono che l’esposizione a fumo ambientale è un fattore causale per le patologie cardiovascolari 2004 “Esperimento naturale” osservato a Helena, nel Montana. Durante i sei mesi nei quali è stato in vigore il divieto di fumo nei locali pubblici e sul luogo di lavoro c’è stata una riduzione del 40 per cento della frequenza dei ricoveri per infarto acuto del miocardio. Dopo la sospensione del divieto, la frequenza dei ricoveri è di nuovo aumentata INTERVENTI EFFICACI PER UNA COMUNITÀ LIBERA DAL FUMO Salute e lavoro Francesca Righi, Mauro Palazzi, Giampiero Battistini i sono quattro ingredienti che portano al successo gli sforzi della Sanità pubblica nel ridurre l’esposizione al fumo passivo: prove scientifiche altamente credibili, difensori appassionati, campagne informative con i media, leggi e regolamenti». Sono le parole con cui si conclude un rapporto speciale sugli interventi efficaci per la riduzione dell’esposizione al fumo e al fumo passivo apparso nel 2004 sul New England Journal of Medicine, che sottolineava il ruolo fondamentale della Sanità pubblica nella prevenzione del problema fumo e l’importanza di un approccio multidimensionale di intervento. Il fumo di tabacco rappresenta ancora oggi la più importante causa di mortalità evitabile e di disabilità nel mondo. La riduzione del consumo di tabacco e dell’esposizione al fumo passivo rappresentano quindi obiettivi fondamentali per la Sanità pubblica. Per contrastare questo importante fattore di rischio per la salute è necessario adottare strumenti di intervento globali che prevedano la partecipazione attiva di tutti quegli attori che hanno competenze e responsabilità in ambito educativo, sanitario, politico, economico, nel volontariato e nell’informazione. Al riguardo esi- «C Nel 1992 il Dipartimento di sanità pubblica dell’Azienda unità sanitaria di Cesena ha varato il progetto “Liberi dal fumo”, per cercare di affrontare efficacemente il problema del tabacco, in linea con le raccomandazioni elaborate da istituzioni sanitarie italiane e internazionali. Il progetto è oggi costituito da vari sottoprogetti, che si prefiggono lo scopo di ridurre l’esposizione al fumo passivo e di scoraggiare dall’abitudine del fumo. I sottoprogetti sono rivolti a diversi ambienti o figure professionali: ospedali, locali pubblici, scuole, medici generici. Altri invece hanno obiettivi più specifici: tutelare i bambini e aiutare chi vuole smettere di fumare. stono numerose linee guida rivolte agli operatori dei servizi di prevenzione, sia a livello comunitario (per ridurre l’esposizione al fumo passivo e il consumo di tabacco), che a livello individuale (per favorire la disassuefazione dal fumo). Queste strategie hanno ispirato il Dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Cesena nella realizzazione del progetto “Liberi dal Fumo” per ridurre l’esposizione al fumo di tabacco e il numero di persone che iniziano a fumare, aumentando invece il numero di persone che smettono di fumare. Questo programma, da attuare in contesti comunitari e presso strutture del sistema sanitario, si colloca all’interno di un progetto regionale più ampio, il Progetto regionale tabagismo, mirato a valorizzare e coordinare le diverse esperienze regionali in tema di prevenzione e cura del tabagismo. L’esperienza di Cesena L’esperienza realizzata nel territorio dell’Azienda sanitaria di Cesena è nata nel 1992, quando il Dipartimento di sanità pubblica ha promosso e coordinato un progetto di promozione della salute finalizzato alla prevenzione delle malattie legate al fumo di tabacco 39 Salute e lavoro dossier Forza delle prove di efficacia Raccomandazione intervento Forti Fortemente raccomandato Sufficienti Dati empirici insufficienti integrati da parere di esperti Raccomandato Raccomandato sulla base di parere di esperti Insufficienti Prove forti o insufficienti attestano l’inefficacia Gli studi disponibili non forniscono evidenze sufficienti ai fini della valutazione Sconsigliato Tabella 1 - Corrispondenza tra forza delle prove di efficacia e forza delle raccomandazioni Evidenza A Sostenuta da molti studi randomizzati controllati. Sono studi direttamente rilevanti per la raccomandazione e costituiscono una base evidente di risultati Evidenza B Sostenuta da alcuni studi randomizzati controllati ma non ottimali. Sono studi che hanno richiesto una maggiore interpretazione Sostenuta da nessuno studio randomizzato controllato. L’argomento è però sufficienteEvidenza C mente importante da meritare una raccomandazione; basata su dati pubblicati e l’opinione di esperti Tabella 2 - Tipo di evidenza scientifica e alla conseguente riduzione della morbosità e mortalità correlate. Il progetto “Liberi dal Fumo” si è sviluppato negli anni anche grazie alle numerose collaborazioni create e alle evidenze scientifiche in grado di supportare l’efficacia degli interventi proposti. Attualmente è articolato in una serie di sottoprogetti rivolti a target specifici. Tutti i programmi coinvolgono attivamente diversi attori sociali della comunità: organizzazioni del volontariato, scuole, società scientifiche, aziende priva- te, rappresentanze sindacali, attività commerciali, organi di stampa, emittenti radio e televisive. Gli interventi, di tipo normativo, educativo e di supporto alla disassuefazione, sono finalizzati a promuovere politiche locali contro il fumo, favorire la creazione di ambienti liberi dal fumo, aiutare chi vuole smettere di fumare, aumentare nella popolazione la conoscenza sui rischi legati all’abitudine al fumo e sui metodi per la disassuefazione e formare medici e altri operatori sanitari sulle tecniche di counselling rivolto al fumatore. Questi interventi di prevenzione del tabagismo e delle malattie correlate realizzati sono stati sviluppati seguendo le principali raccomandazioni evidence based e i rispettivi aggiornamenti, strumento fondamentale per la programmazione sanitaria e la formulazione degli interventi clinici e preventivi. Le revisioni sistematiche e le raccomandazioni collegate possono essere orientate allo studio di 5. 1999: eventi associati in maniera causale con il fumo passivo Bambini Adulti 40 Basso peso alla nascita, morte improvvisa del lattante, infezioni acute delle basse vie respiratorie, asma (induzione ed esacerbazione), sintomi respiratori cronici, otite media Irritazione degli occhi e delle vie nasali, tumore polmonare, tumore dei seni nasali, mortalità per malattie cardiache, malattia coronaria acuta e cronica interventi di sanità pubblica oppure alla valutazione dell’efficacia dei servizi clinici e di assistenza sanitaria. La Task Force on Community Preventive Service ha elaborato una guida che si propone di fornire valutazioni e raccomandazioni relative a interventi di popolazione e nel settore della sanità pubblica, basate su revisioni sistematiche delle evidenze scientifiche e finalizzate a mostrare il nesso tra l’intervento e determinati esiti. In generale la forza delle prove di efficacia è correlata direttamente con la forza delle raccomandazioni (tabella 1). Esistono, inoltre, una serie di raccomandazioni, frutto di revisioni sistematiche e metanalisi condotte dal Cochrane Tobacco Addiction Rewiew Group (Ctarg, Gran Bretagna) e dal Department of Health and Human Service (Usa), ora chiamato Agency for Health-care Research Quality (Ahrq), finalizzate alla stesura delle linee guida per il trattamento della dipendenza da tabacco. Queste revisioni verificano l’efficacia degli interventi di cessazione dell’abitudine al fumo, testata tramite studi clinici randomizzati e controllati. La classificazione delle raccomandazioni è basata su tre livelli di evidenza (tabella 2). Salute e lavoro dossier In linea con le raccomandazioni L’articolazione del progetto “Liberi dal fumo” è l’espressione di un intervento di sanità pubbli- 6. Malattie dell’apparato respiratorio e dell’orecchio medio Infezioni delle basse vie respiratorie 1967 L’esposizione a fumo passivo in età pediatrica (in particolare per quanto riguarda il fumo materno) è associata a un aumento dell’incidenza di infezioni delle basse vie respiratorie 1988 Bronchiti e polmoniti sono più comuni durante il primo anno di vita per i figli di fumatori. Il rischio di ospedalizzazione per malattie respiratorie è più alto 1997 Aumento di rischio del 57 per cento di contrarre infezioni respiratorie per i bambini che vivono con un genitore fumatore. L’eccesso sale a 72 per cento se è la madre a fumare 1997 Il fumo materno durante la gravidanza sembra costituire un rischio aggiuntivo a quello associato al fumo passivo postnatale 1999 L’Oms e l’Epa della California concludono che l’esposizione a fumo passivo costituisce un fattore di rischio per le infezioni respiratorie nei primi anni di vita del bambino Otite media 1998 I bambini esposti hanno un rischio maggiore di avere otiti ricorrenti e otiti medie secretive e di dover ricorrere più frequentemente all’ospedalizzazione o a visite ambulatoriali a causa di questo tipo di patologie 1999 Relazione tra esposizione domestica al fumo passivo e otite media acuta, in particolare tra i bambini sotto i 2 anni Asma 1997 Prevalenza di sintomi respiratori o asma in bambini in età scolare nel caso uno dei genitori sia un fumatore. Eccesso di rischio del 21 per cento per l’asma, del 24 per cento per la presenza di sibili, del 40 per cento per la tosse e del 31 per cento per episodi di dispnea 1999 Nci ed Epa della California concludono che il fumo passivo è un fattore di rischio sia per lo sviluppo di nuovi casi di asma che per l’aggravamento dei sintomi 41 Salute e lavoro gli autori Francesca Righi Mauro Palazzi Giampiero Battistini dossier Dipartimento di sanità pubblica Ausl di Cesena ca basato su percorsi di prevenzione multifattoriali e multidisciplinari, inquadrabili tra quelli di provata efficacia in tema di tabagismo. Analizzando gli interventi illustrati nella Community Guide e attuabili in contesti comunitari per ridurre l’esposizione al fumo passivo e il consumo di tabacco, è possibile identificare alcune aree in cui trovano una collocazione appropriata gli interventi realizzati nel nostro territorio. I progetti “Ospedale e Servizi sanitari senza fumo” e “Locali pubblici liberi dal fumo” realizzano strategie fortemente raccomandate che prevedono di ridurre l’esposizione al fumo passivo attraverso il rispetto di divieti e di restrizioni di fumare in luoghi pubblici. L’intervento in ospedale e nei Servizi sanitari si è concretizzato in una prima fase in cui è stato stilato un regolamento aziendale per l’applicazione della normativa anti-fumo negli ospedali e nei vari locali dell’Azienda sanitaria e sono stati nominati gli “agenti accertatori-educatori alla salute”. Sono stati esposti in tutti gli ambienti sanitari cartelli di divieto di fumo con l’opportuno aggiornamento legislativo e, a distanza di alcuni mesi, è stata fatta una valutazione qualitativa attraverso un questionario su un campione di utenti dei servizi. La cartellonistica è stata valutata come sufficientemente chiara e la maggioranza degli utenti è risultata favorevole alla promozione di iniziative contro il fumo. In una seconda fase del progetto sono stati avviati dei corsi di formazione (intervento raccomandato) rivolti agli agenti accertatori ed estesi successivamente a tutto il personale sanitario, per fornire agli operatori gli strumenti adeguati per sostenere il paziente nel percorso di disassuefazione dal fumo (per esempio, il counselling motivazionale). Il successo del progetto, in termini di obiettivi raggiunti, è legato al notevole coinvolgimento del personale dei servizi e alla predisposizione di una segnaletica chiara e diffusa in modo capillare. Gli agenti accertatori hanno rilevato una riduzione dei trasgressori del divieto di fumo all’interno degli ambienti sanitari e segnalato un alto gradimento della formazione ricevuta e una sua notevole ricaduta pratica. Le attività di controllo in locali pubblici come bar, ristoranti, pub e negli istituti scolastici hanno mostrato il rispetto della normativa sul divieto di fumo, addirittura oltre le aspettative. Infatti non sono state rilevate infrazioni, né sono giunte segnalazioni di mancato rispetto della normativa per le quali ci eravamo preparati a intervenire. Le attività educative in ambito scolastico rappresentano una delle strategie per scoraggiare i bambini e gli adolescenti dall’iniziare a fumare e si realizzano all’interno del progetto “Lasciateci puliti” rivolto agli studenti della scuola dell’obbligo. L’intervento prevede una formazione, condotta da medici e psicologi e rivolta agli insegnanti delle scuole medie, responsabili delle attivazioni successive all’interno della classe. L’Istituto oncologico romagnolo ha proposto e utilizzato una serie di indicatori per il monitoraggio di programmi di prevenzione dell’abitudine al fumo: questa valutazione dimostra l’efficacia dell’intervento sugli studenti raggiunti rispetto a coloro che non hanno ricevuto alcun intervento (18 per cento di fumatori tra i primi contro 31 per cento tra i secondi). L’efficacia di interventi educativi in ambito scolastico, tuttavia, è in corso di valutazione a livello internazionale, in quanto ci non sono ancora abbastanza studi. I programmi educativi hanno comunque un ruolo importante nel ridurre il consumo di tabacco, se integrati in programmi di azione multifattoriali. Il progetto “Il Medico di Medicina Generale contro il fumo” ha l’obiettivo di fornire ai medici di famiglia strumenti efficaci per individuare i pazienti fumatori e offrire consiglio e assistenza nell’intento di smettere di fumare. Inoltre, fornisce al medico gli strumenti per attuare un’attività di counselling antifumo (linee guida Ahrq, evidenza A), caratterizzata dallo sviluppo di strategie personalizzate per informare sui 7. Effetti sulla crescita intrauterina 42 1957 Il fumo attivo materno in gravidanza è un fattore di rischio per basso peso alla nascita, il quale a sua volta è fattore di rischio per numerose malattie del bambino e dell’adulto 1999 Anche le esposizioni materne a fumo passivo hanno un effetto sullo sviluppo fetale. Nei figli di donne esposte a fumo passivo sono associate a una riduzione media del peso alla nascita di 28 gr. danni da fumo e i benefici dello smettere: dal consiglio ai pazienti fumatori di smettere di fumare alla proposta di un intervento farmacologico, dall’offerta di un servizio specialistico alla registrazione dell’intenzione del paziente e relativo follow-up. Il progetto si è sviluppato in un primo momento di formazione obbligatoria rivolta a tutti i medici di base per aggiornare le cono- scenze epidemiologiche sul fumo e sulle tecniche di disassuefazione. Prima della formazione è stato compilato dai medici un questionario per raccogliere informazioni sugli atteggiamenti e le conoscenze dei medici sul tema del tabagismo. Ne è emersa una diffusa sensibilizzazione in proposito e una concreta disponibilità a sostenere i propri assistiti nel percorso di disassuefazione (il 93 per cento dei medici si dichiara disponibile ad aiutare chi vuole smettere di fumare). Tuttavia non appare così diffusa la consapevolezza dell’efficacia dell’intervento del medico nel motivare e sostenere i pazienti in questo percorso (solo il 20 per cento ritiene il proprio consiglio utile nell’aiutare il fumatore a smettere di fumare). Ai medici è stato distribuito Salute e lavoro dossier 8. 2002: impatto annuale sulla salute dell’esposizione a fumo passivo in Italia Basso peso (<2500 gr) alla nascita 2033 casi in Italia (8 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo della madre in ambiente di lavoro Morte improvvisa del lattante 87 casi in Italia (17 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (genitori) Infezioni acute delle basse vie respiratorie (0-2 anni) 76954 casi in Italia (21 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (genitori) Asma bronchiale (prevalenza, 6-14 anni) 27048 casi in Italia (9 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (genitori) Sintomi respiratori cronici (incidenza, 6-14 anni) 48183 (10 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (genitori) Otite media (incidenza, 6-14 anni) 64130 casi in Italia (14 per cento del totale) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (genitori) Morte per tumore del polmone (uomini) 21 casi in Italia (3 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge). 123 casi in Italia (20 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente di lavoro Morte per tumore del polmone (donne) 200 casi in Italia (13 per cento delle non fumatrici) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge). 200 casi in Italia (13 per cento delle non fumatrici) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente di lavoro Morte per malattie ischemiche del cuore (uomini) 487 casi in Italia (3 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge). 172 casi in Italia (6 per cento dei non fumatori) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente di lavoro Morte per malattie ischemiche del cuore (donne) 1410 casi in Italia (6 per cento delle non fumatrici) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente domestico (coniuge). 63 casi in Italia (4 per cento delle non fumatrici) sono stati attribuiti al fumo passivo in ambiente di lavoro 43 Salute e lavoro dossier materiale informativo da consegnare al paziente fumatore in ambulatorio (linee guida Ahrq, evidenza A). A distanza di sei mesi è stato realizzato un secondo momento di formazione, incentrato sull’apprendimento di tecniche di counselling breve rivolto al paziente fumatore e ai medici interessati ad approfondire l’argomento. Il corso, a cui ha partecipato il 10% dei medici di famiglia presenti nel territorio, è stato giudicato efficace da più del 90% dei presenti. Dopo un anno, oltre il 50% dei medici ha realizzato interventi rivolti ai propri assistiti: in particolare i Mmg si sono impegnati a individuare i propri pazienti fumatori registrando le loro abitudini rispetto al fumo e attivando nel 60% circa dei pazienti contattati un intervento di minimal advise (intervento breve per sostenere il paziente fumatore nell’intento di smettere di fumare). Fornire ai fumatori un aiuto a smettere di fumare rappresenta, nella pratica clinica, uno degli interventi più efficaci in termini di rapporto costi-benefici. Le raccomandazioni (linee guida Ahrq, evidenza A) prevedono per i fumatori l’accesso a centri specia- listici con personale specificatamente formato a offrire trattamenti individuali e di gruppo. Nel territorio dell’Azienda Usl di Cesena, questo percorso è garantito attraverso alcuni operatori del Centro antifumo (medici di sanità pubblica, psicologi esperti in dipendenze, uno pneumologo, un’assistente sanitaria) che concretamente programmano e realizzano i “Corsi per smettere di fumare”. Per questo progetto è stata realizzata una valutazione di risultato sui partecipanti ai corsi dal 1997 al 2005 ed è stata osservata un’efficacia dell’intervento paragonabile a quella della letteratura scientifica: gli astinenti a fine corso erano l’80% del totale dei partecipanti, dopo sei mesi il 38% e dopo 12 mesi il 35%. Un altro progetto basato sulle evidenze (linee guida Ahrq, evidenza A) è “Cuccioli senza fumo”, per fornire alle donne in gravidanza e ai loro familiari informazioni chiare, accurate e specifiche sugli effetti del fumo sul feto, sul bambino e su loro stessi, e proporre consigli per smettere di fumare. Il percorso è stato avviato nel maggio del 2002 con un corso di formazione, rivolto ai pediatri di famiglia e di comunità, ai gineco- logi, alle ostetriche, alle assistenti sanitarie, agli infermieri professionali, per presentare dati epidemiologici e problematiche sanitarie legate al fumo e fornire gli strumenti per favorire la disassuefazione dal fumo. È stato prodotto e distribuito materiale educativo e informativo rivolto alla donna in gravidanza e al suo bambino da esporre o consegnare ai genitori nei servizi ospedalieri e territoriali. Il materiale è stato distribuito anche nei negozi di articoli per l’infanzia, negli asili nido e nelle biblioteche per ragazzi. È prevista l’elaborazione a cadenza annuale di alcuni dati epidemiologici relativi all’abitudine al fumo delle gravide, raccolti attraverso una scheda compilata dai genitori dopo il parto e un questionario somministrato dagli operatori della pediatria di comunità ai genitori durante le visite prevaccinali del bambino a 10 e 24 mesi di età. Il fumo di tabacco rappresenta un importante problema di Sanità pubblica nel nostro Paese e la riduzione del consumo di tabacco e dell’esposizione al fumo passivo dovrebbero costituire un obiettivo di massima importanza per le comunità. Oltre alle dimensioni 9. Impatto sulla salute dell’esposizione a fumo passivo 44 1999 I non fumatori che vivono in famiglia con fumatori, e quindi potenzialmente esposti a fumo passivo domestico, sono il 26 per cento della popolazione italiana 1995 Nel Centro-Nord il 56 per cento dei bambini (6-7 anni) e il 56 per cento degli adolescenti (13-14 anni) ha almeno un genitore fumatore 2002 Seconda fase dello studio. Il 50 per cento dei bambini e il 53 per cento degli adolescenti ha almeno un genitore fumatore. Il 13 per cento dei bambini di 6-7 anni e il 14 per cento degli adolescenti di 13-14 anni è stato esposto al fumo della madre durante il periodo fetale 2002 Il 15 per cento degli uomini e il 62 per cento delle donne non fumatori sono stati esposti nella vita a fumo del coniuge, mentre il 62 per cento degli uomini e il 38 per cento delle donne sono stati esposti a fumo passivo sul lavoro 1993-1998 La probabilità di esposizione negli adulti è associata allo stato socioeconomico, con una minore prevalenza nelle persone con un più elevato livello di istruzione dell’impatto sulla salute è importante considerare che per questo problema esistono, cosa poco frequente nell’ambito della prevenzione, interventi di provata efficacia come divieti e restrizioni, aumento del prezzo dei prodotti del tabacco, campagne di educazione attraverso i mass media. La scelta di interventi efficaci e adeguati alle esigenze e capacità a livello locale, così come la loro attuazione, risulta fondamentale per contrastare la dipendenza da tabagismo, promuovere l’adozione di uno stile di vita sano e orientare nuovamente le attività dei Dipartimenti verso un settore di intervento che tradizionalmente è stato molto trascurato. La scarsa attenzione da parte degli operatori dei servizi della prevenzione è di natura prevalentemente culturale: la prevenzione dei danni da fumo è sempre stata subordinata a quella rivolta ad altri fattori di rischio presenti nell’ambiente di vita e di lavoro. Le attività di vigilanza rappresentano un importante (ma non esclusivo) settore di intervento per gli operatori dei servizi di prevenzione; altri ambiti, come per esempio la descrizione epidemiologica del problema, l’organizzazione di iniziative di comunicazione ed educazione alla salute e la valutazione dell’impatto ottenuto dagli interventi di lotta al tabagismo, devono trovare maggiore spazio all’interno della programmazione dei Dipartimenti di sanità pubblica. Questa esperienza dimostra come sia possibile realizzare, a livello della comunità locale, un intervento di prevenzione intersettoriale, evidence based e coordinato dal Dipartimento di sanità pubblica. I servizi di prevenzione possono svolgere un ruolo rilevante nella lotta al fumo di tabacco, grazie, in particolare, alle professionalità ed esperienze maturate nell’organizzazione di interventi di comunità. Purtroppo sono ancora pochi i Servizi di prevenzione che si occupano del problema, e la maggioranza delle attività è attualmente assorbita da interventi che non hanno nessuna evidenza di efficacia. È auspicabile lo sviluppo dell’Ebp per eliminare le attività inutili e riorientare le risorse verso interventi efficaci per la tutela della salute pubblica. Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 DPR 23 maggio 2003 Salute e lavoro Deliberazione della Giunta regionale Emilia-Romagna n.785/ 1999: Progetto regionale tabagismo West R, McNeill A, Raw M Smoking cessation guidelines for health professional: an update Thorax 2000; 55:987-999 dossier BIBLIOGRAFIA Forastiere F., Lo Presti E., Agabiti N., Rapiti E., Peducci C.A. Impatto sanitario dell’esposizione a fumo ambientale in Italia Epidemiologia e Prevenzione 2002, 26:18-29 US Environmental Protection Agency. Respiratory health effects of passive smoking: lung cancer and other disorders Washington, DC: U.S. Environmental Protection Agency, Office of Research and Development, office of Air and Radiation 1992; Publications. EPA/600/6-90/006F Doll R. Peto R.Wheatley K. Gray R. Sutherland I. Mortality in relation to smoking: 40 years’ observation on male British doctors. British Med.J. 1994; 309: 901-911 American Society of Clinical Oncology. Tobacco control: reducing cancer incidence and saving lives. J. Clin. Oncol. 1996; 14: 1961-63 U.S. Dep. of Health and Human Service. Healthy people 2010 (conference ed, in 2 vols). Washington, DC: U.S. Dep. of Health and Human Service. 2000 World Health Organization. Who framework convention on tobacco control.A56/8. Geneva: Who, 2003. www.who.int/gb/EB_WHA/PDF/ WHA56/ea568.pdf (accessed 16 June 03). The Who Framework Convention on Tobacco Fiore M.C., Bailey W.C., Choen S.J. et al. Treating tobacco use and dependence. Clinical Practice Guideline. U.S. Dep. of Health and Human Service. June 2000 Task Force on Community Preventive Services Guide to Community Preventive Services Epidemiol e Prev 2002; 26 (4) suppl: 1-80 Silagy C. Physician advice for smoking cessation Cochrane Database Syst Rev 2003;(2) CD000165 Lancaster T., Stead L.F. Individual behavioural counselling for smoking cessation Cochrane Database Syst Rev 2003;(2) CD0001292 Stead L.F, Lancaster T. Group behaviour therapy programmes for smoking cessation Cochrane Database Syst Rev 2003;(2) CD0001007 Silagy C., Mant D., Fowler G., Lancaster T. Nicotine replacement therapy for smoking cessation The Cochrane Library, Issye 1, 2000 Oxford: Update Software Lancaster T., Stead L.F. Self-help interventions for smoking cessation Cochrane Database Syst Rev 2003;(2) CD0001118 Schroeder SA Tobacco Control in the Wake of the 1998 Master Settlement Agreement. N Engl J Med 2004 350;3:293-301 45 Focus on La sicurezza a scuola: reale o immaginaria? sono in vigore ai sensi dell’articolo 5, comma 3 della legge 23 del 1996. L’applicazione nelle scuole delle norme di esercizio e di prevenzione relative al decreto legislativo 626 del Mimmo Didonna 1994, alla luce dell’ultimo monitoraggio effettuato, risulta ampiamente disatteStudenti di oggi, lavoratori di domani: la sicurezza sul lavoro passa anche per i sa. Un inadempimento difbanchi di scuola. Nonostante le normative, però, in molti istituti la promozione fuso, nonostante l’articolo di norme igieniche e della sicurezza è ancora una chimera. Situazione che 31 comma 3 della 626 rischia di vanificare le attività istituzionali per ridurre gli infortuni sul lavoro. obblighi il datore di lavoro (dirigente scolastico) ad adottare misure alternative che garantiscano un equili alunni e gli stuobbligo di inserire la mate- zioni per il prossimo anno valente livello di sicurezza scolastico. Alle scuole eledenti di oggi ria “prevenzione e tutela saranno lavoratori della salute e della sicurez- mentari sta arrivando l’on- in attesa dell’esecuzione da da lunga del piccolo boom parte dell’ente obbligato e datori di lavoro di doma- za sul lavoro” nell’offerta demografico del 2000, men- (comune o provincia) degli ni. Tutta l’attività che le formativa. istituzioni preposte (dalle La triste realtà è che, nella tre nei licei classici e scien- opportuni lavori di adeguaAsl all’Ispesl, passando per maggior parte delle scuole, tifici iniziano a farsi sentire mento. È bene precisare alcuni degli effetti negativi che le deroghe che si sono i Vigili del fuoco) intratutto questo è ancora una via via succedute negli prendono per ridurre il chimera. E l’imperativo «il della riforma del secondo anni riguardano solo l’eseciclo voluta dal ministro numero e la gravità degli rischio: se lo conosci, lo cuzione dei lavori di adeinfortuni sul lavoro rischia eviti» non viene applicato, Letizia Moratti. però di essere vanificata, se nonostante il ruolo centrale Praticamente è in atto una guamento, non l’applicazione delle norme di esercizio vera e propria fuga, dagli i programmi didattici non dell’istituzione scolastica che non richiedono sforzi vengono integrati organinella formazione della cul- istituti professionali e tececonomici da parte delle nici verso i licei. Una fuga camente con la materia tura. Così come nella promaturata dalla convinzione scuole. Pertanto, i dirigenti “igiene e sicurezza sul lavo- mozione della sicurezza, che la separazione del per- scolastici nella formazione ro”. D’altronde, l’impegno come previsto dalla terza d’inserire la sicurezza nei parte della carta dei servizi corso liceale da quello del- delle classi devono tener conto della reale dimensiol’istruzione e della formaprogrammi didattici è stato scolastici e dall’articolo 1 ne delle aule in relazione già assunto dal Governo e del decreto ministeriale 382 zione professionale serva all’indice applicabile e soprattutto a stabilire a dal ministro della pubblica del 1998 (per quanto attieistruzione con la firma di ne a un ambiente conforte- priori, e a un’età di appena quindi ridurre proporzionalmente il numero degli Carta 2000 (capitolo 3, vole, igienico e sicuro e alle 13 anni, il futuro percorso professionale. Questa situa- alunni. paragrafo 3) avvenuta a particolari esigenze delle zione, se le autorità prepo- Sulla base degli indici citadicembre del 2000 a scuole in questa materia). ste non interverranno tem- ti, il numero di 25 alunni Genova. Malgrado l’impeLa necessità di inserire l’iper classe è imposto dalle pestivamente, peggiorerà gno, in attesa di precise giene e sicurezza nei pronorme specifiche e di eserulteriormente la tendenza, indicazioni da parte del grammi didattici è stata cizio in materia di edilizia Miur, la maggior parte peraltro evidenziata anche già in atto da alcuni anni, scolastica e sicurezza quali di costituire illegalmente delle scuole non affronta dall’Unione europea, in il decreto del ministero dei questo problema, fondaparticolare nella scheda 52 classi con oltre 25 alunni. Lavori pubblici del 18 mentale invece per la cultu- dell’Agenzia per la sicurez- 25 alunni, ovviamente, sempre che l’aula sia gran- dicembre 1975 (edilizia scora della sicurezza. za e la salute sul lavoro. lastica, urbanistica e funde almeno 50 mq netti, Troviamo solo un accenno zionalità didattica) e il valore stabilito sulla base nell’articolo 1, comma 3 del dell’indice di edilizia scola- decreto del ministero degli decreto presidenziale 257 Aule o pollai? Interni del 26 agosto 1992 stica di 1,80 mq netti per del 2000 (regolamento sul(antincendio nelle scuole). materne, elementari e l’obbligo formativo fino al Il 25 gennaio 2006, così L’articolo 12 della legge medie e 1,96 mq netti per diciottesimo anno di età), come avviene ogni anno, 820 del 24 settembre 1971 le superiori. Questi indici che prevede un generico sono state chiuse le iscri- G 46 norme. Le scuole generalmente utilizzano il decreto del ministero dell’Istruzione numero 331 del 24 Mimmo Didonna Codacons, area tematica luglio 1998 (formazione delle classi) – un provvedi“scuola sicura” mento, questo, di stampo meramente amministrativo – per giustificare la presenza dei 25 alunni in aule (ordinamento scuola elestriminzite. Chissà cosa mentare e materna) vieta potrebbe succedere in caso l’affidamento di più di 25 di evacuazione d’emergenalunni a ogni insegnante. za o di trasmissione di malattie infettive (a causa di virus, batteri e funghi) e Scuole fuorilegge parassiti (pediculosi) in ambienti così ristretti. Il superamento di questo Eppure, lo stesso decreto limite (anche del 10%) è ministeriale 331 del 1998 una pratica illegale che all’articolo 18, comma 5 quasi tutte le scuole praticano, basandosi sulla erro- stabilisce che è compito del nea convinzione che quan- dirigente scolastico verificare la reale grandezza to indicato dal Miur sia delle aule e stabilirne il applicabile indipendentemente dalla gerarchia delle numero degli alunni, tenuto l’autore conto delle norme in materia di sicurezza e igiene. Se a questo aggiungiamo a titolo esemplificativo che la maggior parte delle scuole italiane non sono provviste del certificato di agibilità (e la scuola di San Giuliano di Puglia ne è un clamoroso e drammatico esempio) e del certificato prevenzione incendi, che non effettuano con regolarità e con professionalità le prove di evacuazione e di addestramento contro gli incendi, che non istituiscono e non formano le squadre di emergenza e di primo soccorso, che la medicina scolastica dopo l’entrata in vigore della 626 nelle scuole risulta di fatto latitante, è evidente quanto sia grave la situazione sia sotto l’aspetto dell’igiene e sicurezza che del rendimento scolastico legato al numero di alunni per ogni classe. Del resto, esaminare le aeree logistiche (aule comprese), così come disposto dalla scheda 45 dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, dovrebbe essere un preciso obbligo del dirigente scolastico. La 626 obbliga il datore di lavoro ad applicare le norme tecniche degli enti normatori in quanto ritenute “pratiche di buona tecnica”: ma le scuole sono tenute ad applicare, sia nei confronti degli alunni che degli insegnanti, la norma tecnica En Iso 10075-1 ed En Iso 10075-2 (“Il carico di lavoro mentale: come definirlo, gestirlo e valutarlo”)? Io credo proprio di sì. Focus on RISORSE IN RETE Carta 2000 e inserimento del tema della sicurezza nei programmi didattici: http://www.ispesl.it/informazione/rassegna/carta2000.htm Carta dei servizi scolastici: http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dpcm7695.html Articolo 1 del decreto ministeriale 382 del 1998: http://www.edscuola.it/arch ivio/norme/decreti/regl626_94.html Scheda 52 redatta dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro sulla necessità di inserire l’igiene e sicurezza nei programmi didattici: http://agency.osha.eu.int/publications/factsheets/52/it/FACT52_IT.PDF Affollamento aule: http://www.codacons.it/scuola/massimo_affollamento_aule.html Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del decreto legislativo 626 del 1994: http://www.epicentro.iss.it/focus/piano_prevenzione/report-nazionale.pdf Per gli approfondimenti sul rendimento scolastico, si veda l’articolo di Nico Hirtt in: http://www.edscuola.it/archivio/famiglie/star.html Scheda 45 redatta dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro sull’obbligo del dirigente scolastico di esaminare le aeree logistiche, aule comprese: http://agency.osha.eu.int/publications/factsheets/45/it/FACT-45_IT.PDF Norma tecnica En Iso 10075-1 ed En Iso 10075-2 (“Il carico di lavoro mentale: come definirlo, gestirlo e valutarlo”): http://www.uni.com/uni/controller/it/comunicare/come_comunica/uec/uec_1_2006/lavoromentale_gen2006.htm Codacons, area tematica “scuola sicura”: http://www.codacons.it/scuola/scuola.asp Lista di discussione: http://it.groups.yahoo.com/group/igiene_sicurezza-scuole/ 47