La Cassazione e la tela di Penelope. I giudici

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La Cassazione e la tela di Penelope. I giudici
Processo penale e giustizia n. 5 | 2015
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FILIPPO GIUNCHEDI
Professore associato di Diritto processuale penale – Università Niccolò Cusano di Roma
La Cassazione e la tela di Penelope.
I giudici “guardiani” dell’equo processo
Supreme Court and Penelope’s canvas.
Judges are the fair trial “guardians”
La Corte europea dei diritti dell’uomo impone che il giudice di appello non possa riformare in peius una sentenza
di proscioglimento senza aver prima avuto un contatto diretto con la fonte di prova dichiarativa. La Cassazione ha
avallato questo modello estremamente garantistico offrendo ampia espansione alla rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale; le Corti di appello, con atteggiamento ostinatamente refrattario, continuano, invece, a perseguire
un modello di giudizio di seconda istanza mediante una rivisitazione ex actis.
La peculiarità della decisione che si annota consiste nello specificare come, indipendentemente dal fatto che
la violazione della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia stata dedotta nel ricorso di legittimità, la Suprema Corte sia tenuta ad esaminare d’ufficio la questione in quanto relativa alla violazione dei diritti dell’equo processo.
Si tratta di un approccio estremamente importante che testimonia l’effettiva penetrazione dei principi europei nel
tessuto connettivo del nostro processo penale.
The European Court of Human Rights requires that the appellate court can not reform in peius acquittals witout a
direct contact with the source of evidence declarative. The Supreme Court has endorsed this model extremely
protective nature offering a wide expansion to the renewal of education hearing; the appeal courts, with stubbornly refractory attitude, continue to pursue a model of appeal judgment by revisiting ex actis.
The peculiarity of the decision is to specify how, regardless of whether the violation of the renewal of education
hearing is presented in the application of legality, the Supreme Court is required to consider on the issue because
of infringement of the rights fair trial.
It is a very important approach that demonstrates the effective penetration of the Europeans in the connective
tissue of our criminal process.
L’HABITAT DI RIFERIMENTO E L’HUMUS SOVRANAZIONALE
Le intersezioni tra processo penale interno e fonti sovranazionali connaturano con sempre maggiore intensità le decisioni e le trame argomentative tessute dai giudici italiani, i quali si trovano a muoversi in
un network normativo multilivello sempre più complesso e articolato, costretti a rapportarsi con interpretazione conforme e contro-limiti che impediscono torsioni esegetiche in rottura con il dato normativo interno in ragione della natura di norme interposte delle fonti sovranazionali 1. In questo contesto il
giudice rischia di incorrere nella tentazione di Icaro, il quale pur dovendo spiccare il volo per uscire dal
labirinto normativo, deve evitare di cedere alla fascinazione delle fonti sovranazionali, sforzandosi di
volare ad una quota tale da consentirgli, da un lato, di usufruire dell’elasticità esegetica offerta dalle
fonti sovranazionali così come filtrate dalla loro giurisprudenza e, dall’altro, di evitare voli troppo ardi-
1
La letteratura sul tema è copiosissima e ogni saggio offre sfumature utili al fine di una ortodossa ricostruzione dei rapporti.
Per un breve quadro di sintesi sia consentito rinviare a F. Giunchedi, I principi, le regole, le fonti, in A. Gaito (a cura di), Procedura
penale, Milano, 2015, p. 22 ss.
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ti “ammaliato” dalle sirene dell’etica dei valori, pena il rischio di cadere rovinosamente, con la conseguente perdita di certezza del diritto 2.
D’altronde un sistema penale non più esclusivamente «statocentrico» 3 espone il giudice alle intemperie della molteplicità delle fonti e alla responsabilità di dover comprendere, mediante una difficile ars
interpretandi, quale legge applicare, spostando il polo dei rapporti verso un’attività ermeneutica legata
al carattere fluttuante del diritto che investe la logica della completezza dei principi, piuttosto che quella ingannevole dei valori 4.
Ed allora pur ribadendo ancora una volta la primazia dell’interpretazione conforme, ove il limite è
costituito dall’analesticità di talune norme, tali da far operare il sindacato di legittimità costituzionale
secondo l’insegnamento delle capostipiti “sentenze gemelle” 5, non possono sottacersi ipotesi in cui di
fronte ad interpretazioni di resistenza allo spirito europeo, risulta necessario ripristinare l’ortodossa
chiave di lettura, soprattutto quando lo sviamento dal precedente non trova ragion d’essere nella peculiarità del caso concreto.
Allo stesso tempo non può trascurarsi come, in materia penale, vada emergendo un formante giurisprudenziale che assevera la preferenza della Cassazione per la soluzione di maggiore rilevanza pratica, quale garanzia per le parti per l’esito migliore della causa, vale a dire lo ius litigatoris. In particolare
questa attività che va a disancorarsi dal precedente, deve realizzarsi laddove tenda a favorire l’imputato. In breve, lo sviamento dalla giurisprudenza consolidata dovrebbe avere un effetto pratico pro reo
in aderenza al canone della considerazione di non colpevolezza. Fuori da questa ipotesi, in campo penale, la digressione interpretativa non è ammissibile in quanto le esigenze di certezza rispetto alle altre
discipline risultano maggiormente marcate, poiché strettamente aderenti al principio di legalità. Aspetto questo che non può essere confinato alle sole norme sostanziali, considerata l’ancillarità a queste di
quelle di diritto processuale penale 6.
LA REFORMATIO IN PEIUS IN APPELLO. QUESTIONI VECCHIE PER PROBLEMI NUOVI
Uno dei settori dove si è registrata una maggiore “ribellione” al precedente a causa di un’intensa trama
esegetica dettata dall’influsso europeo, è quello della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei
casi di potenziale riforma della sentenza di proscioglimento.
La questione interpretativa è a tutti nota e trova il suo più vivido esempio nella decisione Dan c.
Moldavia 7, non certo la prima, ma sicuramente quella maggiormente “reclamizzata” grazie alla sensibilità di qualche autore 8 più lungimirante di altri che ne ha colto le potenzialità e conseguentemente la
necessità di abbandonare lo stantio schema di un giudizio di appello ex actis, in vista di un giudizio
connotato dagli essentialia del giusto processo e del processo accusatorio in genere, quali oralità, immediatezza e garanzia del contraddittorio per la prova.
2
L’immagine mitologica costituisce la felice intuizione di V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto
penale e fonti sovranazionali, Roma, 2012, spec. p. 34 ss., il quale spiega come «per uscire dal labirinto penale – oltre a conoscere e
neutralizzare le sue più subdole insidie – occorre evitare di affidarsi a fragili “ali di cera”, spiccando voli inebrianti e troppo arditi; piuttosto è bene entrarvi con la cautela di Teseo, equipaggiati dell’etica del limite, e muniti di un filo che possa ricondurre
all’uscita» (p. 41).
3
L’espressione è da attribuire a R.E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, in A. Balsamo-R.E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, p. 3 ss.
4
N. Irti, Diritto senza verità, Roma-Bari, 2011, p. 68. Il richiamo ai valori può però risultare fuorviante in quanto interpretare
in funzione del valore, rischia di spingere verso derive esegetiche in rottura con il sistema, quasi che a sorreggerli vi sia
un’ottica machiavellica di fine che giustifica i mezzi; diverso, invece, è il procedere coerentemente con i principi che guidano le
nostre azioni in linea con le norme. Per imprescindibili approfondimenti, non possibili in questa sede, G. Zagrebelsky, La legge e
la sua giustizia, Bologna, 2008, p. 207 ss.
5
C. cost., sent. 24 ottobre 2007 n. 348, in Giur. cost., 2007, p. 3475; Id., sent. 24 ottobre 2007 n. 349, ibidem, p. 3535.
6
Il profilo analizzato è denso di implicazioni e non può essere risolto in poche battute. Per una recente sintesi degli aspetti
richiamati sia consentito il rinvio a F. Giunchedi, In nome della nomofilachia. La Cassazione cerca di prevenire i fenomeni di overruling, in www.archiviopenale.it.
7
Corte e.d.u., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, in www.echr.coe.int.
8
A. Gaito, Verso una crisi evolutiva del giudizio di appello. L’Europa impone la riassunzione delle prove dichiarative quando il p.m.
impugna l’assoluzione, in Arch. pen., 2012, p. 349.
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Si tratta, in buona sostanza, di ripristinare quei principi che erano stati legislativamente recepiti mediante l. 20 febbraio 2006, n. 46, ma che la Corte costituzionale 9 non ha ritenuto conformi alla Carta
fondamentale in quanto lesivi della parità delle armi tra p.m. e imputato, posto che il primo sarebbe risultato irragionevolmente privato di un potere concesso al secondo 10. La decisione ha omesso di considerare che la parità delle parti nel processo non si traduce in un’assoluta parificazione delle posizioni
processuali, dovendosi adattare alle specifiche caratteristiche di ogni tipo di processo 11, così da diversificare le armi a disposizione dell’una o dell’altra parte 12.
Ed infatti oggigiorno siamo a discutere su questioni vecchie che generano problemi nuovi in quanto
se la formulazione dell’art. 593 c.p.p. prima dell’intervento della Corte costituzionale, imponeva
l’appello avverso le sentenze di proscioglimento solo in ipotesi in cui risultasse necessaria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale senza margini interpretativi per il giudice, attualmente, mancando
la norma di riferimento, si creano delle sacche di arbitrio incontrollabile che hanno generato questo fiorente panorama di legittimità a causa dell’ostinata ritrosia dei giudici di appello nello snaturare un giudizio relegato a mero controllo cartolare della pregressa regiudicanda 13. L’incipit proveniente da Strasburgo si pone nel recupero dei fondamentali del giusto processo (modalità di assunzione della prova,
oralità ed immediatezza, in primis) che non tollerano strozzature nel giudizio di seconda istanza il quale, per come si sviluppa nella prassi quotidiana, costituisce il portato di una concezione inquisitoria.
Le policrome decisioni della Cassazione, censuranti questo modus operandi in contrasto con i “comandamenti” europei, ammoniscono circa la mancanza di penetrazione della cultura accusatoria nel
tessuto connettivo del giudizio di secondo grado, cosicché le Corti territoriali in sede di rinvio vengono
“costrette” a rinnovare l’istruzione dibattimentale per conformarsi ai principi emergenti dalla oramai
univoca giurisprudenza della Corte europea, ferma nel censurare la malpractice di effettuare giudizi di
appello in cui l’accusa domanda la riforma della sentenza di assoluzione mediante una mera rivisitazione dei verbali delle testimonianze assunte in primo grado 14. Eppure l’art. 111 Cost. non distingue tra
processo di primo grado e giudizio di appello 15.
Allo stesso tempo non può trascurarsi l’energia che sprigionano le pronunce della Corte di Strasburgo. È indubitabile che ogni sistema giuridico possa dotarsi del modello più acconcio alle proprie coor-
9
C. cost., sent. 6 febbraio 2007 n. 26, in Giur. cost., 2007, p. 221, con osservazioni di A. Bargi-A. Gaito, Il ritorno della Consulta
alla cultura processuale inquisitoria (a proposito della funzione del p.m. nelle impugnazioni penali) e F. Caprioli, Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo penale; alla quale ha fatto seguito in riferimento al giudizio abbreviato C.
cost., sent. 20 luglio 2007 n. 320, in Giur. cost., 2007, p. 3096, con osservazione di F. Caprioli, Limiti all’appello del pubblico ministero
e parità delle parti nel giudizio abbreviato.
10
Per A. Scalfati, Bilancio preventivo di una riforma: principi buoni e norme da ritoccare, in A. Scalfati (a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006, n. 46 “legge Pecorella”, Milano, 2006, p. 23, «non è irragionevole, peraltro,
dinanzi ai tempi e ai mezzi dei quali dispone, che il pubblico ministero perda molte chances di capovolgere il proscioglimento
tramite un giudizio “sulle carte”».
11
La questione non è stata trattata con la dovuta completezza da parte della Consulta, trascurando, ad esempio, i procedimenti a contraddittorio differito che manifestano come la parità delle parti non di traduca necessariamente in parità delle armi.
Sul punto v. A. Andronio, sub art. 111 Cost., in R. Bifulco-A. Celotto-M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino,
2006, p. 2113.
12
Sullo specifico aspetto sia consentito il richiamo alle considerazioni contenute in S. Furfaro-F. Giunchedi, La “parità delle
armi” tra Costituzione, diritto sovranazionale e alchimie interpretative, in A. Gaito (a cura di), La disciplina delle impugnazioni tra riforma e controriforma. L’incostituzionalità parziale della “legge Pecorella”, Torino, 2007, p. 17 ss.
13
Con spirito fortemente critico A. Gaito, Verso una crisi evolutiva del giudizio di appello. L’Europa impone la riassunzione delle
prove dichiarative quando il p.m. impugna l’assoluzione, cit., p. 351, spiega come «la celebrazione di giudizi di secondo grado con
controllo esclusivamente o prevalentemente cartolare (con la rinnovazione istruttoria ancora relegata ad ipotesi marginali discrezionalmente rimesse agli umori della Corte d’appello), al di fuori e senza tener conto dei parametri del giusto processo europeo, non può più essere intesa quale modulo standardizzato immodificabile».
14
Senza pretesa di esaustività, oltre alla già ricordata “Dan c. Moldavia”, cfr. Corte e.d.u., 16 settembre 2014, Mischie c. Romania, in www.echr.coe.int; Id., 4 giugno 2013, Kostecki c. Polonia, ivi; Id., 4 giugno 2013, Hanu c. Romania, ivi; Id., 9 aprile 2013,
Fluera c. Romania, ivi; Id., 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania, ivi; Id., 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c. Regno Unito, ivi;
Id., 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna, ivi; Id., 27 novembre 2007, Popovic c. Moldavia, ivi; Id., 18 maggio 2004, Destreheme
c. Francia, ivi; Id., 9 luglio 2002, P.K. c. Finlandia, ivi; Id., 27 giugno 2000, Costantinescu c. Romania, ivi.
15
In questa prospettiva A. Gaito, Verso una crisi evolutiva del giudizio di appello. L’Europa impone la riassunzione delle prove dichiarative quando il p.m. impugna l’assoluzione, cit., p. 351, sottolinea come «anche il processo d’appello, cioè, deve essere “giusto”,
con tutto quanto ne consegue in termini di prova, oralità e contraddittorio».
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dinate di politica criminale, ma è altrettanto indubitabile che gli Stati che aderiscono alla Convenzione
europea devono garantire uno standard minimo che ritroviamo tra gli essentialia dell’equo processo il
quale, a tutta prima, conduce alla primazia del principio di immediatezza 16 che in Cassazione, a fronte
della chiusura delle corti territoriali, ha trovato la sua massima espansione. Basti pensare che, seppur
timidamente, va affiorando l’idea di renderlo operativo ogni qualvolta si prospetti la possibilità di una
riforma della decisione di primo grado, sia questa di proscioglimento che di condanna 17. Questa ulteriore propaggine interpretativa significa che l’eccezione (id est l’appendice istruttoria) è destinata a divenire la regola 18 in ragione della forte connotazione cognitiva del processo penale italiano (quindi non
solo di primo grado) che trova il suo più fulgido esempio nei poteri istruttori posti in capo al giudice 19
esercitabili in ogni fase processuale 20.
Sul piano sistematico l’ingresso della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non costituisce un
particolare problema in quanto l’iniziativa ex officio soggiace al presupposto dell’«assoluta necessità» che,
nel caso di specie, è caratterizzato dall’interpretazione fornita dalla Corte europea, ferma nell’imporre la
realizzazione di un processo in linea con i parametri convenzionali 21. D’altronde, l’ingresso nel nostro sistema penale della giurisprudenza europea, come canone interpretativo, non trova ostacoli nella natura
interposta delle norme della Convezione europea, dato che la Costituzione non disciplina il giudizio di
appello; aspetto questo che consente un’applicazione “senza ostacoli” delle norme della C.e.d.u.
D’altro canto, colto lo spirito e la ragion d’essere di un istituto, non possono legittimarsi prassi distorte tese ad arginare l’incremento della piattaforma probatoria ogni qualvolta possano emergere elementi utili alla decisione 22. In un sistema che si fonda sulla considerazione di non colpevolezza sino alla sentenza definitiva e sul diritto dell’imputato all’acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore, la
recezione dei dicta europei in tema di obbligatorietà della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
per consentire al giudice di percepire personalmente il sapere del teste della cui attendibilità si dubita,
non rappresenta altro che il minimo etico in epoca di giusto processo 23.
16
Sul tema v. l’imprescindibile contributo di D. Chinnici, L’immediatezza nel processo penale, Milano, 2005. Sull’immediatezza
in tema di necessità della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ancora D. Chinnici, Contraddittorio, immediatezza e parità
delle parti nel giudizio di appello. Estenuazioni interne e affermazione europee, in Proc. pen. giust., 2015, n. 3, p. 172.
17
Cass., sez. II, 24 aprile 2014, n. 32619, in CED Cass., n. 260071, secondo cui «in tema di valutazione della prova testimoniale
da parte del giudice d’appello, l’obbligo di rinnovare l’istruzione e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante su detto
giudice qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (obbligo sancito dall’art. 6
C.e.d.u., come interpretato dalla sentenza della Corte e.d.u. del 5 luglio 2011, nel caso Dan c. Moldavia, cit.), costituisce espressione di un generale principio di immediatezza, e trova pertanto applicazione non solo quando il giudice d’appello intenda riformare “in peius” una sentenza di assoluzione, ma anche nell’ipotesi in cui vi sia stata condanna in primo grado».
In dottrina v. il commento di G. Spangher, Riforma in appello (proscioglimento vs condanna) e principio di immediatezza, in Giur.
it., 2014, p. 2592, per il quale «la decisione pone al centro della sua motivazione lo stretto collegamento che deve sussistere tra
l’immediatezza e la valutazione di quanto emerso in dibattimento, ritenendo che un completo e complesso elemento come quello dell’accertamento della responsabilità non possa essere eseguito mediante una semplice lettura delle parole verbalizzate. Il
principio di immediatezza che governa (con la sanzione della nullità assoluta speciale (art. 525, cpv., c.p.p.) (il giudizio di primo
grado deve regolare anche quello di seconda istanza che, per effetto di questa giurisprudenza, che si va consolidando, acquista
una nuova “vitalità”, a dispetto di quanti ne ipotizzano (con varie modalità) il superamento».
18
Per G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Torino, 2015, p. 121, «al fondo si colloca e si rafforza il principio di immediatezza che deve governare non solo il giudizio di prime cure, ma ogni decisione del giudice dove il rapporto con
la prova lo renda possibile».
19
G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, cit., p. 121.
20
Si pensi agli artt. 409, comma 4, 421-bis, 422, 441, comma 5, 506, 507, 603, comma 3, 666, comma 5, e 678, comma 2, c.p.p.
21
Questa soluzione, seppur in termini più generali, è suggerita da C. Fiorio, La prova nuova nel processo penale, Padova, 2008, p. 170.
22
Per la giurisprudenza «deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606, lett. d), c.p.p., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante» (Cass., sez. IV, 23 gennaio 2014, n. 6783, in CED Cass., n. 259323).
F.M. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano, 2013, p. 394, con straordinaria chiarezza, spiega come
sia «decisiva quella prova che (se fosse stata inserita nel contesto di tutte le altre prove valutate dal giudice) avrebbe portato
all’illogicità della motivazione. La motivazione sarebbe diventata incoerente, contraddittoria, logicamente improbabile perché
avrebbe dato spazio al ragionevole dubbio».
23
Estremamente utile per un’ortodossa lettura dei poteri posti in capo a parti e giudice nel giudizio di appello la ricca disamina di F.R. Dinacci, La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di rinvio, in Cass. pen., 2007, spec. p. 3505 ss.
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IL CASO SOTTO ESAME: LA NECESSITÀ DI SAGGIARE L’ATTENDIBILITÀ DI TESTI A DISCARICO
La vicenda trattata dalla decisione in commento risulta assai peculiare e tale da portare a coniare il fondamentale principio di diritto costituente il presupposto per la risoluzione dell’ipotesi concreta. Come
anticipato, il dato realmente innovativo della decisione è costituito dalla possibilità per la Corte di cassazione di affrontare, indipendentemente da uno specifico motivo di ricorso, la lesione di un diritto
dell’equo processo (in concreto quello secondo cui per riformare in peius una decisione di proscioglimento il giudice, in aderenza al principio di immediatezza, deve udire personalmente i testimoni ritenuti decisivi onde poterne valutare l’attendibilità) annullando con rinvio affinché la Corte territoriale
disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Nello specifico la Corte di appello di Bologna aveva condannato un imputato, assolto in primo grado dal G.u.p. di Parma, accusato di violenza sessuale ai danni di una ragazza che a bordo dell’autobus
(di cui l’imputato era l’autista) aveva deciso di farsi massaggiare da questo il quale aveva dato sfogo ad
inequivocabili atteggiamenti di violenza sessuale.
Secondo la Corte territoriale felsinea le due testimoni a discarico dell’imputato, escusse dal G.u.p., il
quale, nonostante fossero state sentite nel corso delle investigazioni difensive dal difensore dell’imputato, aveva voluto saggiarne egli stesso l’attendibilità, non avevano riportato elementi tali da affermare
con precisione di trovarsi proprio il giorno del fatto-reato sull’autobus in quanto potenzialmente fuorviate dalla suggestività della domanda, formulata dal difensore, circa la collocazione temporale dell’episodio.
Per la Cassazione i giudici di appello avrebbero dovuto riesaminare le due sorelle in considerazione
della decisività delle dichiarazioni delle stesse ai fini della pronuncia di condanna, poiché dalla «rinnovazione della prova orale, all’esito della quale, nel contradditorio delle parti, le formulate ipotesi potevano risultare rafforzate, convalidando maggiormente la loro plausibilità, oppure smentite, ribaltando
il convincimento fondato, invece, su basi meramente cartolari» 24.
L’aspetto che ha generato l’interpretazione focalizzata nella massima consiste nella circostanza che
nel ricorso l’imputato, pur essendosi diffuso in articolate censure sotto il profilo del vizio di motivazione circa la ritenuta inattendibilità delle due sorelle, non aveva dedotto la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in osservanza dei dicta strasburghesi 25.
La Suprema Corte ha ritenuto che, nonostante il motivo non sia stato devoluto, operi la rilevabilità
d’ufficio in aderenza al tenore dell’art. 609, comma 2, prima parte, c.p.p. a mente del quale «la Corte decide altresì le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo».
IL CANTO DELLE MUSE: LA CASSAZIONE “ISPIRATA” DALLA CORTE DI STRASBURGO
Si tratta ovviamente di interpretazione espansiva rispetto ai consolidati arresti in materia, secondo cui
rientrano nella sfera di applicazione della norma in discorso solo quelle questioni processuali – dalle
quali vanno escluse quelle che richiedono un apprezzamento di merito, precluso al giudice di legittimità 26 – che involgono invalidità (nullità assolute, inammissibilità e abnormità) ovvero inutilizzabilità,
proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., riqualificazione giuridica del fatto 27, ne bis in idem e questioni di legittimità costituzionale 28.
24
Così la sentenza annotata al § 4 dei Motivi della decisione.
25
Si legge al § 2 del Considerato in diritto: «Con il quarto motivo di gravame, che non è stato spinto sino alle sue naturali conseguenze con la denuncia della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, C.e.d.u., il ricorrente sostanzialmente si duole del fatto che il
Giudice d’appello ha diversamente valutato, rispetto al giudice di primo grado, le dichiarazioni rese dalle sorelle R. formando il
proprio convincimento circa la loro inidoneità a neutralizzare la versione dichiarativa della persona offesa su base meramente
cartolare e quindi valutando, per il tramite dell’atto scritto, le dichiarazioni rese dai testimoni innanzi al primo giudice, il quale
invece si era formato l’opposto convincimento sulla base di una percezione diretta delle prove orali assunte nel contraddittorio
tra le parti».
26
Cass., sez. VI, 2 maggio 2011, n. 21877, in CED Cass., 250263; Id., sez. IV, 17 dicembre 2010, n. 2586, ivi, n. 249490; Id., sez.
VI, 21 settembre 2010, n. 37767, ivi, n. 248589.
27
Cass., sez. VI, 27 settembre 2004, n. 41972, in CED Cass., n. 229901, tanto che non compete alla Cassazione, in assenza di
specifiche deduzioni, verificare cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste e
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Allo stesso tempo risulta pacificamente ammesso che l’art. 609, comma 2, c.p.p. operi svincolato
dall’effetto devolutivo desumibile dal sistema oltre che dall’espressa previsione del combinato disposto
degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 1, c.p.p. 29. Detto principio va poi modellato con la peculiare ipotesi di condanna per la prima volta in appello seguita ad un proscioglimento in primo grado con formula preclusiva del diritto ad impugnare. In questo caso, sulla base dell’obiter dictum delle Sezioni unite
“Andreotti” 30, se, da un lato, può apparire raccomandabile che l’imputato assolto in primo grado –
qualora il pubblico ministero appelli sulla base della diversa valutazione dell’attendibilità di testimoni
– formalizzi con una memoria l’esigenza di rinnovare l’istruzione dibattimentale; dall’altro lato, la necessità di armonizzare il diritto interno con quello convenzionale impone un formante esegetico che ne
recepisca gli influssi e si ponga ad un livello di operatività svincolato dall’iniziativa di parte posto che
«”le Corti nazionali hanno l’obbligo di adottare misure positive a tal fine, anche se il ricorrente non ha
fatto richiesta”, e la mancata escussione da parte della Corte d’appello dei testimoni in prima persona e
il fatto che la Suprema Corte non cerchi di porvi rimedio rinviando il caso alla Corte d’appello per un
nuovo esame degli elementi di prova, riduce sostanzialmente il diritto di difesa del ricorrente; ciò in
quanto “uno dei requisiti di un processo equo è la possibilità per l’imputato di affrontare i testimoni in
presenza di un giudice che deve decidere la causa, perché le osservazioni del giudice sul comportamento e la credibilità di una certa testimone possono avere conseguenze per l’imputato”)» 31.
La possibilità di fruire dell’interpretazione di una decisione della Corte e.d.u. non solo quando questa abbia deciso il caso specifico, è possibile in quanto per l’«art. 32, paragrafo 1, C.e.d.u., la competenza
della Corte e.d.u. “si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della
Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa”; la Corte costituzionale può, nondimeno,
a sua volta interpretare la Convenzione, purché nel rispetto sostanziale della giurisprudenza europea
formatasi al riguardo, ma “con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi” (sentenze n. 311 del 2009 e n. 236 del 2011). L’art. 46, paragrafo 1, C.e.d.u. impegna, inoltre, gli
Stati contraenti “a conformarsi alle sentenze definitive della Corte e.d.u. sulle controversie di cui sono
parti”; soggiungendo, nel paragrafo 2, che “la sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato
dei ministri che ne controlla l’esecuzione”» 32. D’altro canto le Sezioni unite sono state limpide nello
spiegare come «le decisioni della Corte e.d.u. che evidenzino una situazione di oggettivo contrasto (non
correlata in via esclusiva al caso esaminato) della normativa interna sostanziale con la C.e.d.u. assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronunzia della
predetta Corte internazionale» 33.
Si tratta, pertanto, di un approdo che pare destinato a stratificarsi, superando con ciò talune, ingiustificate, resistenze all’operatività diffusa dei principi dell’equo processo 34.
che, quindi, implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali il cui onere è posto in capo alla parte in ragione del
principio di autosufficienza del ricorso (Cass., sez. un., 16 luglio 2009, n. 39061, in CED Cass., n. 244328).
28
Per più ampi riferimenti in merito v. G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1967, p. 174 ss.
29
Esemplarmente A. Bargi, Il ricorso per cassazione, in A. Gaito (diretto da), Le impugnazioni penali, Torino, 1998, p. 556.
30
Cass., sez. un., 30 ottobre 2003, n. 45276, in Cass. pen., 2004, p. 811, chiara nello scandire che il ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna in appello dell’imputato prosciolto in primo grado con la formula ampiamente liberatoria «per non
aver commesso il fatto» possa essere proposto anche per violazioni di legge non dedotte, perché non deducibili per carenza di
interesse all’impugnazione in appello.
31
Così la parte motiva di Cass., sez. II, 10 ottobre 2014, n. 677, in CED Cass., n. 261555, per la quale «è rilevabile di ufficio,
anche in sede di giudizio di legittimità, la questione relativa alla violazione dell’art. 6 C.e.d.u., così come interpretato dalla sentenza della Corte e.d.u. del 4 giugno 2013, nel caso Hanu c. Romania, cit., posto che le decisioni di questa Autorità, quando evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna sostanziale con la Convenzione e.d.u., assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale sono state pronunciate».
32
Ancora Cass., sez. II, 10 ottobre 2014, n. 677, cit., § 20.3.1 del Considerato in diritto.
33
Cass., Sez. un., ord. 19 aprile 2012, n. 34472, in CED Cass., n. 252933, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv. in l. 19 gennaio 2001, n. 4, in riferimento agli artt. 3 e 117, comma 1,
Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 C.e.d.u. in relazione alla possibilità per il giudice dell’esecuzione, in attuazione dei
principi dettati in materia dalla Corte e.d.u., e modificando il giudicato, di sostituire la pena dell’ergastolo, inflitta all’esito del
giudizio abbreviato, con la pena di anni trenta di reclusione.
34
Secondo Cass., sez. V, 20 novembre 2013, n. 51396, in CED Cass., n. 257831, «non è rilevabile d’ufficio, in sede di giudizio
di legittimità, la questione riferita alla violazione dell’art. 6 C.e.d.u., così come interpretato dalla sentenza della Corte e.d.u. del 5
AVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | LA CASSAZIONE E LA TELA DI PENELOPE
Processo penale e giustizia n. 5 | 2015
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RIPENSARE IL RUOLO DELLA CASSAZIONE: DA “VERTICE” DELLA GIURISDIZIONE A “BUSSOLA” PER LO IUS
CONSTITUTIONIS
Non sempre, però, i rapporti tra le due Corti risultano così armoniosi, complice talvolta la Corte costituzionale che, vestendo i panni del “custode” di detti rapporti a causa del rango interposto delle norme
convenzionali, genera il c.d. chilling effect utilizzando la tecnica del distinguishing 35 così da immunizzare
da un’interpretazione convenzionalmente orientata in ragione di diversificazioni sostanziali, preclusive
dell’influenza sovranazionale.
L’imperativo “Not in my backyard” costituisce, quindi, un rischio concreto per la penetrazione dei
principi europei, così come è già avvenuto in precedenti della Consulta 36 e, nello specifico ambito della
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale 37, della Cassazione. Infatti non si può sottacere come, talvolta, si ecceda nell’utilizzo dell’interpretazione conforme, cosicché germinano pronunce che manifestano l’insofferenza verso l’«abuso della strategia di circolazione del precedente, che prendendo il posto
di una compiuta argomentazione finisce per fare apostasia» 38. Impostazione questa che reca con sé il
rischio di un downgrading delle garanzie promananti dalla Corte europea, utilizzando l’escamotage della
diversificazione del precedente sovranazionale dal caso concreto così da impermeabilizzarlo dall’influsso dell’interpretazione conforme.
È un rischio che esiste: spetta ai giudici, “guardiani” della legge, fare buon uso dell’attività interpretativa mediante un ortodosso utilizzo degli “arnesi” di cui sono dotati, previo bilanciamento tra margine nazionale di apprezzamento e contro-limiti 39 senza che con ciò l’attività interpretativa sfoci in un
abbassamento delle garanzie 40.
In tutto ciò la Cassazione continuerà ad esercitare quella funzione di Corte Suprema che gli assegna
l’art. 65 ord. giud. o, in considerazione della possibilità del ricorso in sede europea 41, il suo ruolo sarà
luglio 2011, nel caso Dan c. Moldavia, cit., questione riconducibile, con adattamenti, alla nozione del vizio di “violazione di legge” e, dunque, da far valere, ai sensi dell’art. 581 c.p.p., mediante illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno.
(In motivazione la Corte ha precisato che la scelta dell’imputato di non proporre richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale determina, altresì, l’impossibilità di attivare il rimedio C.e.d.u., il cui presupposto è la “consumazione” di tutti i rimedi del sistema processuale domestico)».
35
Ad evitare pericolose generalizzazioni, va specificato che valorizzando il distinguishing, mediante l’utilizzo dei casi e
quindi del precedente, si tende a radicare non tanto il principio di diritto, ma piuttosto la situazione concreta che la massima ha
regolato. Ciò all’evidente scopo di evitare assimilazioni inopportune per ipotesi apparentemente identiche in quanto generalizzate dalla massima, ma di fatto radicalmente differenti. Per più ampie considerazioni si consenta il rinvio a F. Giunchedi, In nome della nomofilachia. La Cassazione cerca di prevenire i fenomeni di overruling, cit., p. 9 s.
36
C. cost., sent. 22 luglio 2011 n. 236, in Giur. cost., 2011, p. 3021, con osservazione di C. Pinelli, Retroattività della legge penale più favorevole fra CEDU e diritto nazionale. V., anche, lo stimolante saggio di C. Sotis, La “mossa del cavallo”. La gestione dell’incoerenza nel sistema
penale europeo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, spec. p. 490 s. secondo il quale «la sentenza della Corte costituzionale, è tuttavia, e al di là
delle affermazioni di bon ton istituzionale in esso contenute, una sentenza di chiusura al dialogo e non di apertura».
37
Prova ne sia Cass., sez. V, 20 novembre 2013, n. 51396, cit., che ha giustificato il non accoglimento della richiesta di annullamento con rinvio per violazione dei principi dell’equo processo per non avere il giudice di appello disposto la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale nel riformare in peius una sentenza di proscioglimento, poiché «la mancata denuncia della questione, con appositi motivi di ricorso per cassazione, è una scelta processualmente rilevante, dipendente evidentemente dal disinteresse alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale da parte di chi era stato già assolto: ma rilevante anche perché determina una omessa attivazione, da parte dell’imputato, del rimedio processuale nel sistema nazionale, che lo pone, non essendosene doluto, nella condizione di non poter attivare il rimedio C.e.d.u., il quale presuppone la consumazione di tutti i rimedi
del sistema processuale domestico, sulla questione stessa».
38
C. Sotis, La “mossa del cavallo”. La gestione dell’incoerenza nel sistema penale europeo, cit., p. 491.
39
Conclude il suo studio V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, cit., p.
171, prendendo atto che «nessuno degli attori in gioco, insomma, sembra disposto a recitare il ruolo di deuteragonista, o di corifeo, e rinunciare così al munus di custode ultimo del labirinto; sarà piuttosto nell’ordito del dialogo, nella forza argomentativa
delle singole pronunce e nel magnetismo della loro carica assiologica, che andrà emergendo, volta a volta, l’auctoritas nomoteta, e
la “parola” destinata a prevalere».
40
C. cost., sent. 4 dicembre 2009 n. 317, in Giur. cost., 2009, p. 4747 – con osservazioni di G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale e F. Bilancia, Con l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il «margine di apprezzamento» statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla
garanzia degli stessi diritti fondamentali – spiega come «il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie».
41
Sui rapporti tra giudizio di cassazione e giudizio sovranazionale si rinvia a F.M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione: la
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destinato a mutare? Il pluralismo delle fonti che, come spiegato, porta ad un continuo dialogo tra le
Corti a causa dello sfumare della sovranità nazionale, se, da una parte, rende imprescindibile un maggior sforzo interpretativo; dall’altra, impone alla Cassazione di individuare «una lettura che risulti di
volta in volta coerente con i valori emergenti dalla Costituzione, dalla Ce.d.u. o dal diritto comunitario» 42.
Questa proiezione centrifuga della legalità offre rinnovata forza alla funzione nomofilattica, la quale
«non può ritenersi mutata nella sostanza, ma nell’oggetto» 43, dovendosi oggi muovere in un ambito
normativo e ideologico molto più vasto, ove a maggior ragione si rende necessaria una “bussola” interpretativa. Funzione che non può che spettare alla Corte di cassazione.
Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, p. 794; e, volendo, F. Giunchedi, La tutela dei diritti fondamentali previsti dalla
CEDU: la Corte europea dei diritti dell’uomo come giudice di quarta istanza?, in Arch. pen., 2013, p. 113.
42
E. Lupo, Il ruolo della cassazione: tradizioni e mutamenti, in Arch. pen., 2012, p. 172. In tema v., anche, G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, cit., p. 89 ss.
43
E. Lupo, Il ruolo della cassazione: tradizioni e mutamenti, cit., p. 172.
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