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INTERFERENZE TRA DIRITTO PENALE E DIRITTO CIVILE: REATI CONTRATTO
E REATI IN CONTRATTO.
Sommario: 1. La violazione di norme imperative ex art. 1418 del Codice Civile e il
contratto in contrasto con una prescrizione penale.
2. I reati - contratto e i reati in contratto: caratteristiche e diversità.
3. Un’ ipotesi di reato in contratto: la truffa.
1. La violazione di norme imperative ex art. 1418 del Codice Civile e il contratto in
contrasto con una prescrizione penale.
Nella trattazione della dibattuta questione relativa ai reati contratto ed ai reati in
contratto non può prescindersi da una analisi della norma civilistica che sanziona con
la nullità il contratto contrario a norme imperative. Recita infatti il comma I dell’art.
1418 c.c. “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge
disponga diversamente”.
La norma esprime la c.d. nullità virtuale, cioè quella nullità che non attiene alla
mancanza o alla patologia degli elementi strutturali della fattispecie, quali appunto la
carenza della causa o dell’oggetto o l’illiceità della causa, ma alla violazione di norme
imperative la cui identificazione è rimessa alla valutazione dell’interprete.
Al fine di comprendere quale sia l’ambito di operatività della nullità virtuale si
consideri che, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, le norme
imperative che essa richiama attengono agli elementi c.d. “intrinseci” della fattispecie
negoziale i quali però non necessariamente coincidono con gli elementi strutturali del
contratto, quali la causa o l’oggetto.
E’ ovvio che se le norme imperative violate fossero inerenti agli elementi strutturali del
contratto, la nullità che ne deriverebbe sarebbe quella comminata dal comma II° del
medesimo articolo, cioè quella strutturale, e non già quella virtuale di cui al comma I°
in esame.
Pertanto nella nozione di elementi intrinseci data dalla giurisprudenza di legittimità
rientrano altri elementi, non strutturali, quali il “contenuto” che, richiamando la norma
di cui all’art. 1322 c.c., riguarda proprio la libertà dei contraenti di stabilire il medesimo
e di determinarlo nei limiti imposti dalla legge.
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Ecco così chiaramente illustrata la diversità e il differente ambito di applicazione del I°
comma dell’art. 1418 c.c., indubbiamente più esteso rispetto al II° comma1.
La violazione di norme imperative immediatamente concentra l’osservazione sul caso
in cui il contratto sia in contrasto con una norma penale e sulla eventuale invalidità –
nullità da cui lo stesso verrebbe colpito.
Si segnalano, sul punto, due orientamenti in contrasto tra loro: l’uno, c.c. “pan penalistico” tendente a voler riconoscere una prevalenza del precetto penale, nel senso
che l’illiceità penale non può non ricondurre anche ad un’illiceità civile e determinare la
nullità del contratto; l’altro, più garantista ed ispirato da ragioni di conservazione
contrattuale ma non per questo meno rigoroso, che ritiene che la sanzione della nullità
debba essere applicata tenendo conto non del mero dato letterale della norma penale
violata, ma del fondamento del divieto in essa previsto e della possibilità che dalla
violazione della norma imperativa derivi sia la sanzione penale che la nullità dell’atto 2.
A fronte di tali osservazioni critiche, dottrina e giurisprudenza penale hanno elaborato
la particolare categoria dei reati c.d. contratto e dei reati c.d. in contratto di cui, nei
paragrafi che seguono, si analizzeranno le caratteristiche nonchè le principali
problematiche connesse.
2. I reati - contratto e i reati in contratto: caratteristiche e diversità.
In primo luogo si deve porre in evidenza che, sul piano squisitamente penalistico, le
categorie dei reati – contratto e dei reati in contratto rappresentano particolari figure di
reati plurisoggettivi per i quali è necessario ai fini della loro realizzazione la
partecipazione di più soggetti agenti.
Ciò che rileva è senz’altro la stipulazione di un accordo contrattuale che richiede quindi
la partecipazione di almeno due parti/soggetti.
Di interesse sono i reati – contratto dove ciò che si incrimina è proprio la stipulazione
contrattuale in sè; ciò avviene in tutti quei casi in cui è l’accordo a costituire il fatto
penalmente sanzionato.
Sono un esempio di reati – contratto i reati associativi sanzionati ex artt. 416 e 416 bis
c.p. (associazione per delinquere e associazione di stampo mafioso), nonchè i reati che
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In tal senso: Francesco Caringella - Luca Buffoni, Manuale di diritto Civile, Ed. Dike 2010, pg. 811 ss.
Francesco Caringella - Luca Buffoni, op. ult. cit., pg. 813.
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consistono in un semplice accordo volto alla realizzazione di un illecito, come ad
esempio il reato ex art. 304 c.p. di cospirazione politica mediante accordo.
E’ chiaro, dalle norme richiamate, che i reati di tal genere si caratterizzano per essere
plurisoggettivi propri e per avere come oggetto del divieto proprio la stipulazione del
contratto o la condotta attuativa della prestazione dedotta all’interno dello stesso3.
Analogo interesse suscitano i reati in contratto nei quali la condotta che viene
sanzionata non è tanto la formazione dell’accordo in sè, quanto il comportamento
tenuto durante la formazione del contratto e, cioè, il comportamento posto in essere
durante
la
formazione
della
volontà
contrattuale
o
successivamente
al
perfezionamento, cioè al momento esecutivo del rapporto4.
Fanno parte di tale categoria i reati che si presentano come plurisoggettivi impropri tra
cui rientra la truffa, fattispecie criminosa sanzionata dal codice penale all’art. 640.
3. Un’ipotesi di reato in contratto: la truffa.
L’art. 640 c.p. sanziona la condotta di “chiunque con artifizi o raggiri, inducendo
taluno in errore, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
Analizzando le caratteristiche del reato richiamato si nota subito che vi è una dolosa
induzione in errore di un soggetto a cui è procurato un danno.
Si tratta per l’appunto di un reato contro il patrimonio in cui il soggetto attivo
determina a sè o ad altri un ingiusto profitto a danno altrui.
Per identificare il reato di truffa la giurisprudenza penale è giunta a riconoscere spazio
anche al c.d. “silenzio serbato maliziosamente”, indice anch’esso di artificio e/o
raggiro5.
Il problema di maggior rilievo che si pone è quello relativo alla sorte del contratto
stipulato a seguito di una condotta truffaldina; in particolare si tratta di capire se il reato
stipulato a seguito di una tale condotta criminosa sia sanzionato con la nullità ex art.
Sul punto: Roberto Garofoli, Manuale di diritto penale, Ed. Nel Diritto 2010, pg. 1187.
“ I reati in contratto fanno parte dei reati plurisoggettivi impropri con i quali si è voluta incriminare non già la
stipulazione di un contratto, bensì la condotta tenuta dal soggetto attivo nella fase delle trattative antecedente la
manifestazione di volontà dei due contraenti. Sono questi i reati c.d. con la cooperazione artificiosa della vittima, in
quanto per il loro perfezionamento pretendono una disposizione patrimoniale da parte del soggetto passivo del reato.
Esempi ne sono la truffa, l’estorsione, la circonvenzione di incapace”, Antonino Nastasi, Reato e struttura
negoziale, in Temi di diritto penale, (a cura di Giuseppe Santalucia), Giuffrè editore 2006, pg. 621 ss.
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“In tema di truffa contrattuale anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da chi abbia il dovere
giuridico di farle conoscere costituisce elemento ai fini della configurabilità del reato di truffa trattandosi di un
raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato”.
Cassazione penale, Sez. II, 2.3.1996, n. 2333; Cassazione penale, Sez. VI, 13.5.1998, n. 5579.
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1418, I comma c.c., oppure se, non essendo violata una regola di validità ma, al
contrario, una regola di comportamento afferente ad una fase antecedente alla stipula
del negozio, la sanzione possa essere diversa.
Si sono contese il campo varie teorie.
A fronte di una prima teoria rigorosamente penalistica, secondo la quale il contratto
concluso in violazione di un precetto penale non può che condurre alla sanzione più
grave, cioè la nullità, se ne contrappone un’altra definita “teoria autonomistica”.
La teoria autonomistica si pone su un piano diverso ritenendo necessario diversificare
tra le norme penalistiche effettivamente violate e quelle civilistiche, ciò in quanto la
violazione di un precetto penale non è condizione sufficiente a determinare la nullità di
un contratto se prima non si effettua una riqualificazione della condotta integrante il
reato anche sotto il profilo civilistico.
Ebbene solo nel caso in cui la condotta incriminatrice abbia determinato la violazione
di una regola di validità potrà comminarsi la più aspra sanzione della nullità
contrattuale ma, nel caso in cui tale condotta integri semplicemente la violazione di
una regola comportamentale, questa non potrà mai determinare un’ invalidità del
contratto potendo al limite rilevare sul piano della responsabilità nella fase delle
trattative.
La teoria autonomistica è senz’altro quella preferibile e maggiormente accolta in
quanto, ponendo l’accento sulla natura civilistica del comportamento realizzato, fa si
che nel caso in cui esso rilevi come determinante (ad esempio nel caso di dolo causam
dans del deceptor senza il quale il deceptus non avrebbe contratto) ai fini dell’accordo,
conduca all’annullabilità del contratto medesimo; laddove invece il comportamento
truffaldino del deceptor non sia stato tale da determinare il soggetto a contrarre ma
invece abbia semplicemente condotto a contrarre a certe condizioni (dolo incidens)
allora il rimedio esperibile sarà quello dell’azione per responsabilità precontrattuale
previsto dall’art. 1337 c.c.6.
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“Nel caso di dolo incidente (art. 1440 cod. civ.) il contratto è valido ma il deceptus diviene titolare di un diritto
risarcitorio nei confronti del deceptor. Quest’ultimo, dunque, con la deceptio pone in essere sia un illecito penale, la
truffa, sia un illecito civile; egli sarà gravato da una responsabilità penale e civile ma il contratto rimane valido”
Prof. Giovanni Maria Uda, in Normativa antiriciclaggio. Secondo Convegno sull’evoluzione del quadro
regolamentare e i connessi aspetti procedurali ed operatici (Sassari, 18 febbraio 2011).
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Un’ ultima questione da analizzare connessa al reato di truffa contrattuale è quella che
riguarda la nozione di “profitto” del reato assoggettabile alla confisca.
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con una recente pronuncia
riguardante la responsabilità penale delle persone giuridiche7.
In particolare, sostiene la Corte, nell’ attività di impresa impegnata nella dinamica di
un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive, può essere difficile individuare e
distinguere gli investimenti leciti da quelli illeciti.
Sussistono perciò delle situazioni in cui il concetto di profitto di reato può subire una
deroga o un ridimensionamento nel senso che tale concetto dovrà essere rapportato ed
adeguato al caso concreto che viene in considerazione.
In ragione di ciò è opportuno differenziare da un lato il vantaggio economico derivante
dalla commissione di un determinato reato, il c.d. profitto confiscabile, dall’altro il
corrispettivo che, pur derivando da un affare a sua volta originato da un illecito, viene
però incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte e come
tale non è soggetto a confisca.
In definitiva la genesi illecita di un rapporto giuridico da cui nascono obblighi
sinallagmatici destinati a protrarsi nel tempo, non necessariamente connota di illiceità
l’intera fase evolutiva del rapporto dalla quale possono emergere degli spazi leciti ed
assolutamente estranei all’attività criminosa nella quale sono rimasti coinvolti
determinati soggetti e, per essi, l’ente collettivo di riferimento8.
Avv. Daria Proietti
Cultrice di diritto penale
Facoltà di Giurisprudenza – Università E-Campus
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Cfr. Cassazione Penale, SS. UU. n. 26654/2008, Pres. Gemelli, Est. Milo.
“ Più concretamente, in un appalto pubblico di opere e servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata
da illiceità (truffa), l’appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, comunque
adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo che non può considerarsi profitto del reato, in quanto
l’iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di
una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una
concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perchè trova titolo nella fisiologica
dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure” (Cass. Penale SS.UU. ult. cit.).
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