Tesi XVII Assemblea nazionale Acli Colf 22 24 maggio_r2009…

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Tesi XVII Assemblea nazionale Acli Colf 22 24 maggio_r2009…
Tesi XVIIª Assemblea nazionale Acli Colf
Acli Colf per un nuovo
welfare della cura
oltre il “fai da te”
Roma 22 - 24 Maggio 2009
Parlano le colf e le assistenti familiari immigrate∗
Testimonianze di lavoratrici provenienti da vari Paesi del Mondo
…il problema della discriminazione:
… “Bisogna che gli italiani abbiano più fiducia perché la maggior parte delle straniere è onesta…
… “Spero che gli italiani cambino mentalità verso l’albanese e che siano più accoglienti e disponibili
verso gli stranieri aiutandoli nel loro inserimento”…
…“Mi sento straniera nella terra dei miei nonni”…
…“Gli stranieri specie se di colore, sono ancora visti come diversissimi. C’è troppo razzismo e
chiusura. Bisogna ricordare che anche noi abbiamo un’anima”…
…“Bisognerebbe dare più attenzione al problema dell’integrazione dei bambini e ragazzi stranieri.
Quindi avviare progetti di sensibilizzazione contro il razzismo nei confronti degli stranieri”…
…il dramma dell’abbandono dei figli
… “Sono venuta in Italia per lavoro però ho dovuto sacrificare mio figlio. E’ un grande dolore per
una madre separarsi da un figlio così piccolo”…
…“Voglio solo migliorare la mia condizione economica per consentire ai figli di studiare”…
…“Sarebbe bello avere un buon lavoro e avere vicino i figli”…
…l’importanza di conoscere la lingua italiana:
…“E’ importante studiare la lingua italiana per migliorare il lavoro e non accontentarsi dei soli lavori
offerti per la straniere che sono pulizia e assistenza”…
…“Possibilmente prima di intraprendere il viaggio migratorio sarebbe utile imparare la lingua italiana
per un più facile inserimento”…
∗
FONTE INDAGINE 2004 IRTEF per Acli Colf FVG
2
…l’esperienza
…“Ero clandestina avevo il terrore di essere fermata dalla polizia. Volevo solo un lavoro onesto e
una vita da vivere. Ho sofferto tanto, tantissimo”…
….“Ho molti problemi economici, di solitudine, quando mio marito ha avuto problemi sul lavoro o
incidente mi sono sempre sentita sola, non ho nessuno che mi sostenga nelle difficoltà”…
…“Tutta la mia fatica per le prime due settimane bevevo solo acqua e zucchero, qualche volta trovo
che sia peggio che in Albania, mi viene voglia di fare le valigie e ritornare a casa”…
…“I miei primi anni sono stati difficilissimi, bisogna dare l’opportunità a chi merita, dare spazio a
chi vuole”…
…“Sarà bello quando la gente non dovrà andare più all’estero. Lavorare e vivere con la propria
famiglia nel paese di origine. Un’utopia”…
…ma anche l’ospitalità dell’Italia
…“Ringrazio Iddio che c’è l’Italia che ci ospita e ci da lavoro”…
…“Vorrei ringraziare perché ho avuto la possibilità di trovare lavoro”…
…“E’ stato un passo importante, ho più cultura, è stata un’esperienza molto importante”…
…“Sono contenta di essere arrivata in Italia e quando c’è lavoro e rispetto non manca niente”…
…“Mi piace l’Italia è un paese buono e per i miei figli la vita sarà migliore con più opportunità di
scelta”…
…“Grazie all’Italia che mi ha accolta e perché i miei figli hanno l’opportunità di studiare e lavorare e
perché qui in Friuli c’è la mentalità di lavorare per costruire la casa e poi divertirsi, da noi si lavora per
divertirsi e non si pensa alla casa”…
…“Quando c’è lavoro e c’è casa tutto bene. Mi piace l’Italia”…
3
Indice
Prefazione
1.
2.
L’Identità delle Acli Colf
1.1
Migrare dal 900
1.2
Abitare il presente
1.3
Servire il futuro: la mission delle Acli Colf
Per un nuovo welfare della cura oltre il “fai da te”
2.1
La situazione politica, economica, sociale attuale relativa al lavoro di cura
2.2
Le lavoratrici chi sono, bisogni, problemi, difficoltà
2.3
Welfare e famiglia
2.4
Per un nuovo welfare della cura: corresponsabilità pubblica, la rete con gli
Enti locali, educare alla legalità.
2.5
3.
3.1
Nuove forme di organizzazione del lavoro domestico
Per una nuova normativa del lavoro domestico
Perché è necessario modificare la normativa
3.2
Previdenza, un nuovo mercato del lavoro, una fiscalità
diversa, una nuova modalità di prelievo fiscale
Conclusioni
Alcune riflessioni spirituali tratte dal Libro di Rut
4
Prefazione
Senza ombra di dubbio le collaboratrici e le assistenti familiari sono oggi le indiscusse protagoniste di una
porzione di welfare che troppo spesso è considerato dalle Istituzioni come “marginale” e “subalterno”, ma che nei
fatti tende ad essere una sorta di economia sommersa e silenziosa ma essenziale e preziosa per tutto il Paese.
Donne migranti e italiane è a queste lavoratrici che le ACLI COLF, da oltre 60 anni, dedicano la propria
azione associativa mettendo al servizio della società e del Movimento tutta la propria ricchezza ed accoglienza.
Se è vero che le lavoratrici domestiche nel passaggio tra il XX ed il XXI secolo hanno conquistando dignità
e diritti per troppo tempo negati, purtroppo sono molte ancora le questioni irrisolte.
Si tratta di questioni ampie e complesse che non riguardano più soltanto le colf e le assistenti familiari, ma che
investono aspetti della vita quotidiana di famiglie e singoli individui. Per tale ragione è necessario che la società
intera pensi ad un nuovo modello di sviluppo per il futuro.
Pina Brustolin
Responsabile nazionale ACLI COLF
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1.
L’Identità delle Acli Colf
1.1
Migrare dal 900
Da serva a domestica, da collaboratrice ad assistente familiare.
Il secolo scorso si è concluso portando con sé cambiamenti epocali nell’ambito del lavoro domestico. Tali
tappe storiche potrebbero essere riassunte in modo esemplificativo dall’alternarsi e dall’evoluzione della
terminologia, nella quale sono entrati anche numerosi neologismi, utilizzata per identificare le donne che
svolgono il lavoro in ambito domestico. Evoluzione che dà conto anche della nuova dignità che tali lavoratrici
hanno acquistato nel tempo.
La parola “serva” utilizzata all’inizio del secolo, rievoca la condizione di una “schiavitù legalizzata”, di una
totale dipendenza nei confronti del datore di lavoro, il “padrone. Dalla seconda metà del 900 si preferisce
l’espressione “domestica” a indicare un significativo cambiamento di mentalità che troverà un punto di approdo
nella stesura della legge numero 339 del 1958, la prima in ordine di tempo che di fatto tutela e disciplina in
modo organico il lavoro domestico, in cui si utilizza appunto il termine “domestica”. Altro passaggio è la legge
numero 1403 del 1971 riguardante la “disciplina dell’obbligo delle assicurazioni sociali nei confronti dei
lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari” qualunque sia la durata delle prestazioni svolte. Questa legge
riconosce alla categoria importanti diritti previdenziali e assistenziali.
Il primo Contratto Collettivo Nazionale dei lavoratori domestici risale solo al 1974. In esso si utilizza il
termine “collaboratori familiari” (neologismo coniato proprio dalle Acli sin dall’aprile 1964) per indicare la
categoria delle “Colf” per lo più italiane che svolgono il loro lavoro presso famiglie benestanti.
Bisognerà aspettare la fine degli anni ’70 e il decennio successivo per assistere ad un mutamento sostanziale
dello scenario sociale con un allargamento dell’utenza, per cui è proprio dai ceti medi che giunge una nuova
domanda di lavoro domestico a cui rispondono le italiane, ma anche le straniere arrivate con i primi flussi
migratori.
Un vero e proprio cambiamento epocale, espressione anche di una emancipazione delle donne italiane che
uscendo dalle “mura domestiche” per entrare a tutti gli effetti nel mercato del lavoro, necessitano del supporto di
“casalinghe di riserva”1 che lavorino ad ore e che sopperiscano alle esigenze familiari ed alla cura della casa, dei
bambini ed degli anziani.
Negli anni ’80 e ’90, a seguito anche dell’invecchiamento della popolazione, cresce in maniera esponenziale la
richiesta da parte delle famiglie di lavoratrici conviventi che possano occuparsi in modo specifico della cura degli
anziani, nasce così la figura dell’assistente familiare.
1
La definizione riprende il titolo, curato da Olga Turrini, che contiene la prima indagine italiana, commissionata e
svolta dalle Acli Colf, sulle lavoratrici del settore domestico. Olga Turrini Casalinghe di riserva Coines Edizioni Roma
1977
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Il ruolo giocato dalle Acli Colf in questo passaggio che abbiamo definito storico, è stato certamente di primo
piano. Non solo siamo state promotrici di un nuovo modo di pensare al lavoro domestico quale lavoro
socialmente utile e dignitoso sin dagli anni 60 del secolo scorso, ma in alcuni casi siamo state anticipatrici degli
eventi.
1.2
Abitare il presente
Nel passaggio dal passato al presente dobbiamo avere la certezza che le lavoratrici domestiche hanno
conquistato, con non poca fatica, diritti contrattuali che erano scontati per alcune categorie, ma non per chi si
dedicava al lavoro di cura.
Nonostante ciò, purtroppo, lo scenario attuale non è privo di “questioni irrisolte” che da decenni
mantengono e – addirittura – incentivano lo stato di precarietà/illegalità che caratterizza il lavoro domestico 2.
In questi ultimi quattro anni di lavoro le Acli Colf si sono adoperate per essere un “luogo” in cui ragionare sui
temi legati al lavoro di cura assieme alle Istituzioni, ai sindacati, alle associazioni. Un “ponte” che ha unito le parti
in causa seguendo uno stile di lavoro preciso ovvero: ascoltare, dialogare, proporre.
• Ascoltare
L’ascolto è certamente la condizione essenziale per comprendere a pieno ciò che ci circonda. Tale carisma ha
da sempre contraddistinto l’azione delle Acli Colf per la tutela e la promozione delle lavoratrici. Ascoltare per noi
ha una valenza duplice: da un lato si tratta di adoperarsi per risolvere i problemi legati al lavoro, dall’altro
rappresenta una modalità di condivisione e supporto per i problemi sociali ed esistenziali delle persone che
incontriamo nella vita associativa.
• Dialogare
Il dialogo è stato senza dubbio “il filo rosso” che ha caratterizzato questi ultimi anni di lavoro. Molte sono
state le occasioni in cui la nostra associazione si è fatta portavoce dei diritti e delle richieste delle lavoratrici. Ci
piace, in questo contesto, ricordarne almeno quattro: il dialogo con le Istituzioni, con i mass media , con il
Movimento e con le neodirigenti Acli Colf.
Il rapporto con le Istituzioni si è caratterizzato, sia a livello locale che nazionale, da una fattiva collaborazione
che spesso ha portato ad importanti relazioni. Ne elenchiamo alcuni: l’incontro organizzato a gennaio 2007 da
alcune senatrici della maggioranza sulla questione del lavoro di cura; la partecipazione alla XIIª
Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, il contributo alla Conferenza Nazionale della
Famiglia svolta a Firenze nel maggio 2007. La partecipazione al Convegno Nazionale organizzato a San
Salvo dalla Regione Abruzzo sul tema “Mestieri Invisibili” con la presenza del Ministro per le Politiche per
la Famiglia On. Rosy
2
Bindi e di rappresentanti delle Istituzioni locali. Da ultimo l’intervento richiestoci
Direttivo nazionale Acli Colf, Famiglia e colf tra solitudini e reti Roma 2006
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dall’Università di Urbino a settembre 2008, all’interno di una giornata di studio sul tema: Lavoro domestico:
quali diritti. Una riflessione a cinquant’anni dalla legge 2 aprile del 1958, n.339 per la tutela del lavoro
domestico
Le numerosissime interviste televisive, radiofoniche e della stampa locale e nazionale hanno dato
un’importante visibilità alla nostra associazione e, ovviamente, alle ACLI. Questo a conferma del fatto che le Acli
Colf godono di un grande riconoscimento presso i mass media in quanto considerate voce autorevole e
competente in materia di lavoro di cura, una competenza viva che nasce non tanto e solo dallo studio, quanto
dalla conoscenza diretta dei problemi.
Il dialogo tra le Acli Colf ed il Movimento si è rinvigorito nella collaborazione a diverse iniziative acliste che
hanno creato nuove sinergie. Citiamo solo a titolo di esempio
l’indagine di ricerca promossa nel 2006
dall’UNAR sull’emersione delle discriminazioni razziali, oppure il progetto in corso dal titolo Spazio e tempo
per l’inclusione sociale, che coinvolge le assistenti familiari e le famiglie di tre città italiane. Ma, altrettanto
importante, è stata la nostra partecipazione a moltissimi eventi cui il Movimento ha dato vita, sia a livello
nazionale, che locale.
Certamente però è stato l’ultimo Congresso nazionale ACLI, svoltosi a Roma a maggio 2008, una delle
occasioni più preziose di scambio. Da esso l’associazione ha ottenuto un importante riconoscimento formale,
ovvero la partecipazione alla Presidenza provinciale della Responsabile Acli Colf, conferendo alle Acli Colf una
maggiore presenza in uno dei luoghi decisionali più importanti del territorio.
Infine, il percorso formativo nazionale che ha visto la partecipazione di un gruppo di neodirigenti, molte delle
quali straniere ed appartenenti alla categoria, a cui hanno fatto seguito altri incontri a carattere provinciale.
Esperienze ricche e stimolanti, che hanno portato frutti preziosi grazie anche alla proficua collaborazione e alla
professionalità della Funzione Formazione della Sede nazionale ACLI.
• Proporre
Se all’ascolto ed al dialogo non segue una seria azione associativa, tutto diventa sterile ed improduttivo. Sono
infatti le proposte a tradurre in progetti di cambiamento le problematiche ed i desideri delle lavoratrici, una
responsabilità che sentiamo forte e che ci ha portato e ci porta ad agire su diversi fronti.
L’evento che ha dato maggiore risalto a questo aspetto è stato il Seminario svoltosi a Roma a giugno 2006
sul tema “Famiglie colf e servizi tra solitudini e reti” che ha visto la partecipazione del Ministro per la
Famiglia On. Rosy Bindi a cui è stato ufficialmente consegnato un documento con le proposte per migliorare
la condizione sociale e lavorativa delle collaboratrici ed assistenti familiari, alcune delle quali sono state accolte ed
in parte realizzate, come ad esempio la creazione di un fondo apposito per la formazione professionale delle
lavoratrici. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel settembre 2007, ha stanziato 97.000.000 euro, da
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distribuire fra le Regioni , per qualificare le assistenti familiari, all’interno del fondo destinato alle politiche
familiari, previsto dalla legge Finanziaria del 2007.
Altra collaborazione da menzionare è il progetto Mondo Colf , avviato a seguito della convenzione firmata
tra le Acli Colf ed il Patronato ACLI nel 2007.
Il progetto nasce con l’obiettivo di stimolare, aumentare, ma anche ridefinire, la storica collaborazione
esistente fra Patronato e Acli Colf, al fine di rendere le due organizzazioni più capaci di interpretare e affrontare
le esigenze dell’oggi attraverso l’organizzazione di un servizio efficace e l’attivazione di percorsi di cittadinanza e
partecipazione.
In quest’ottica, lo sportello Mondo Colf si rivolge sia ai lavoratori domestici sia alle famiglie per assisterli
nell’avvio e nella corretta gestione del rapporto di lavoro. Nel rivolgersi ad entrambi i soggetti coinvolti nel
rapporto di lavoro si assume la consapevolezza della loro duplice debolezza e la necessaria individuazione di
strumenti e percorsi tesi ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei diritti e dei doveri di ciascuno,
premessa indispensabile per il rispetto di quanto previsto dalla legge e dai contratti e per la riduzione dell’alta
vertenzialità che caratterizza il settore.
Oltre questa finalità specifica di servizio, il progetto si pone, come ulteriore obiettivo, la promozione di
percorsi formativi ed aggregativi con le colf, tesi a valorizzare il lavoro delle collaboratrici familiari sia
riconoscendo la giusta dignità al lavoro svolto sia professionalizzando sempre più chi si accosta al delicato e
importantissimo lavoro di cura.
1.3
Servire il futuro: la mission delle Acli Colf
Per proiettarsi verso il futuro è utile fissare alcuni obiettivi che la nostra associazione intende perseguire
ovvero: dare nuova dignità al lavoro di cura, prendersi cura di chi presta cura, ripensare al modo di “fare le Acli
Colf”.
• Dare nuova dignità al lavoro di cura.
Il lavoro di cura riveste ormai un’importanza strategica nella vita quotidiana delle famiglie ed è quanto mai
necessario che esso sia inserito in una visione promozionale di welfare che metta al centro la persona, la
responsabilità e la cooperazione sussidiaria tra servizi del privato sociale e istituzioni pubbliche, nella rete dei
servizi sociali seguendo il principio di corresponsabilità pubblica.
La promozione del lavoro di cura, intesa come tutela di due soggetti deboli e fragili, ovvero la famiglia e la
lavoratrice, va infatti collocata nell’area delle politiche del welfare e della famiglia. Se la domiciliarità è un
obiettivo delle politiche sociali e sanitarie, ci sembra ovvio che, anche quando è gestita attraverso scelte private
delle famiglie sia messa in relazione con tutte le altre risorse e opportunità e diventi un punto nella rete del
welfare locale.
9
Solo in questo modo è possibile trasformare il lavoro di cura da lavoro subalterno e sommerso in vera e
propria professione appetibile sia dal punto di vista contrattuale, sia per ciò che riguarda la sua considerazione
sociale, superando quella sorta di “abusivismo di necessità” che si è ormai affermato con forza nella nostra società.
Accudire e curare la vita significa innanzitutto aiutare chi è fragile e non è autonomo; significa dare corpo al
legame di solidarietà e mutualità che deve unire le generazioni, le famiglie e le persone nella consapevolezza che,
se manca questo legame, non può esserci una società comunitaria né benessere sociale.3
E’ questo il modello di welfare della cura che vogliamo!
•
Chi cura chi presta cura?
Nell’ultimo corso formativo per neo dirigenti Acli Colf, abbiamo riflettuto con la dott.ssa Ebe Quintavalla su
quale fosse l’attuale scenario sociale e familiare relativo alla cura.
Com’è noto accanto all’aumento progressivo degli anziani, negli ultimi anni è cresciuto il bisogno di
un’assistenza continuativa in supporto e, a volte, al posto della famiglia. Un “welfare fatto in casa”, così come dice
una recente ricerca svolta dall’ IREF ACLI, messo in campo dalle famiglie in modo molto imprenditivo e da una
nuova figura professionale, quella dell’assistente familiare.
Questa nuova relazione instaurata tra le lavoratrici e le famiglie ha prodotto spesso delle sinergie importanti,
ma anche conflitti. Una situazione sempre meno sostenibile dai soli interessati, ma che, a nostro avviso, deve
rientrare in una specifica e ben articolata politica di welfare, volta a costruire insieme progetti assistenziali
sostenibili e che presti attenzione ai diritti di tutte le persone che curano e che sono curate.
E’ quindi quanto mai necessario affiancare, sostenere ed accompagnare i curanti interrogandoci su chi si
prende cura di chi cura. Riflettendo assieme su come rispondere a questa urgente domanda, possiamo
concretamente rispondere che sono proprio le Acli Colf a prendersi cura di chi presta cura.
Lo facciamo nei nostri uffici e nei luoghi di incontro ogni giorno in mille modi: adoperandoci per la tutela e
promozione dei diritti delle lavoratrici, facendo da tramite tra la domanda e l’offerta di lavoro di cura
accompagnato da consulenze personalizzate, con interventi di facilitazione culturale e mediazione dei conflitti
sempre più presenti, promuovendo la formazione, la qualificazione e l’integrazione sociale delle assistenti
familiari soprattutto straniere, attivandoci per momenti ludico-associativi che creino relazioni e scambi
interculturali, educando alla legalità per l’emersione del lavoro evaso ed eluso.
In tutto questo non dimentichiamo certo la famiglia che in questa relazione non può rappresentare solo la
“controparte” del rapporto di lavoro, ma che spesso è l’altra debolezza e fragilità.
Il lavoro svolto dalle Acli Colf è quindi svolto in un’ottica in cui tanto più ci si prende cura di chi
cura, tanto più si può curare bene; tanto meno ci si occupa di chi cura, tanto più anche la persona da
assistere è a rischio, perché il curante ha bisogno a sua volta di assistenza.
3
Ebe Quintavalla, relazione nell’ambito del corso formativo per neodirigenti Acli Colf, Roma giugno 2006
10
È questa la prima e più importante mission delle Acli Colf: divenire fautrici di un’etica della cura, lavorando
per iniziative, percorsi che coinvolgano le famiglie, le lavoratrici e le Istituzioni nel loro complesso. Al di là di
semplici supporti economici (voucher, buoni servizio etc..) è necessario costruire con i servizi locali una serie di
sostegni risorsa che noi amiamo definire “le reti della cura”.
•
Ripensare al modo di “fare le Acli Colf”
Le innumerevoli difficoltà di conciliare il tempo del lavoro con quello delle famiglie, i ritmi frenetici, specie
nelle grandi città, sono a nostro avviso una delle cause per cui diventa sempre più difficile trovare del tempo utile
da dedicare agli altri. Sappiamo bene che le nostre Acli si stanno interrogando su tali temi, ripensando al modo di
stare insieme, di ritrovarsi nei circoli, ovvero di “fare le Acli”.
Ci pare quanto mai pertinente interrogarci su cosa significhi oggi creare o riqualificare un circolo o nucleo
Acli e, nello specifico, Acli Colf. Quale modello proporre alle giovani che scoprono la nostra associazione e
desiderano impegnarsi in essa dedicando del tempo? Davvero il circolo Acli può essere lo stesso di 30, 20 o
anche solo 10 anni fa?
Certamente la caratteristica principale dei circoli è che essi siano un luogo di incontro aperto ed accogliente,
dove per “luogo” intendiamo proprio un punto di ritrovo.
Sembra un paradosso, ma sono proprio le donne straniere conviventi presso l’abitazione del proprio datore di
lavoro con il diritto a 36 ore di riposo settimanali che uscendo dal luogo di lavoro, hanno la necessità di trovare
uno spazio di incontro e di scambio. Basta fare un giro per le nostre città e vedere che i parchi pubblici e/o le
stazioni, in certe fasce orarie e giorni settimanali, pullulano di immigrati spesso divisi in gruppi di diverse
nazionalità che offrono pasti caldi cucinati secondo la propria tradizione culinaria, si scambiano notizie di
possibilità lavorative, o semplicemente due chiacchiere fra amici nella propria lingua.
E’ così che ci piace immaginare i nuovi circoli colf: luoghi in cui dare servizi concreti, organizzare corsi di
formazione professionale, promovendo la crescita personale e spirituale nel rispetto delle diversità religiose,
luoghi di incontro, adeguati alle nuove esigenze delle assistenti familiari e delle colf immigrate, aperti soprattutto
la domenica e il giovedì pomeriggio.
E’ questa la nostra “Casa della Mondialità” di cui abbiamo anche parlato nella XVIª Assemblea nazionale colf.
Facciamo nostro l’invito che il Presidente nazionale, Andrea Olivero, ci ha formulato in una lettera inviataci
nell’ambito del percorso formativo per neodirigenti del giugno 2008 in cui dice:
“ Acli e Acli Colf, da sempre, promuovono una visione della vita, del lavoro e della società che ha al centro la persona, portatrice di
diritti e, nella sua unicità, ineguagliabile elemento di ricchezza. Da qui scaturisce il nostro impegno sociale, affinché a tutti sia garantita
dignità nel lavoro e nella vita, senza subalternità alle logiche del mercato e discriminazioni per nazionalità, sesso o appartenenza
religiosa. Le battaglie a questo riguardo sono oggi persino più dure di un tempo, perché ci si scontra con pregiudizi consolidati – basti
pensare alla situazione degli stranieri – o con interessi economici perversi – si pensi alla condizione di tanti lavoratori tenuti in nero.”4
Non deve sembrare scontato il ruolo di primo piano che la dirigente Acli Colf deve ricoprire.
4
Lettera del Presidente nazionale alle Acli Colf Roma giugno 2008
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Certamente la caratterizzazione di genere, ovvero il fatto che sono, nella maggior parte dei casi, le donne a
ricoprire tale incarico, non è secondaria poiché esse portano con sé un sapere tutto femminile, e ciò costituisce
un punto di forza e non di debolezza.
Altri punti di forza sono la versatilità, il fatto di avere competenze specifiche, l’accrescersi della
consapevolezza che essere dirigente è un servizio reso alle persone e non una professione da intraprendere. Per
questi motivi è necessario un profondo senso di appartenenza all’associazione ed alla categoria, senso di
appartenenza che non è direttamente legato soltanto al fatto di aver svolto la professione di colf e /o assistente
familiare.
E’ necessario dunque, sia che si sia italiane o migranti, aggregarsi e creare occasioni di crescita personale e
sociale, sviluppare una coscienza dei diritti e dei doveri, la consapevolezza di essere donne-lavoratrici-cittadine.
La forza deriva proprio dalla capacità di aggregazione dalla condivisione dei problemi in modo condiviso.
Certamente i circoli o i gruppi Acli colf rappresentano un importante punto di riferimento in cui si possono
discutere gli annosi problemi del lavoro domestico, dove si promuovono attività formative di tutela ed autotutela,
si organizzano iniziative per richiamare l’attenzione delle istituzioni e dell’ opinione pubblica sulle questioni del
lavoro di cura, si programmano attività ricreative di scambio culturale tra i diversi gruppi etnici.
12
2.
Per un nuovo welfare della cura oltre il “fai da te”
2.1
La situazione politica, economica, sociale attuale relativa al lavoro
di cura
La cura nell’ambito familiare da sempre si è identificata con la fatica invisibile delle donne, come se nel sentire
comune, la cura facesse parte della stessa condizione femminile, appartenente alla sfera della sua tipica
responsabilità.
Ma con la rivoluzione culturale e sociale cui si è assistito negli ultimi anni, si sono viste le donne sempre più
protagoniste nel mondo del lavoro, sempre più indaffarate a rivolgere le proprie attenzioni anche all’esterno della
famiglia, e non più disposte a farsi interamente e da sole carico della cura familiare prolungata nel tempo e ad alta
intensità. Nel contempo, l’invecchiamento progressivo della popolazione e l’arrivo sempre più massiccio di
donne straniere ha creato l’humus culturale e sociale ideale per la crescita esponenziale della domanda di cura, cui
il nostro sistema socio sanitario non ha saputo rispondere adeguatamente.
Il recente decreto flussi che ha stabilito l’ingresso nel paese di oltre 100.000 tra Colf e assistenti familiari
straniere, se risolve un problema contingente delle famiglie italiane e fa risparmiare lo Stato, in realtà non
affronta le problematiche di fondo che restano insolute, se non complicate. Si possono infatti intravedere una
serie di rischi, tra cui: disincentivo ad investire sul pubblico, con implicita svalutazione e scadimento dei servizi
che sono in balia dell’offerta straniera; pochi e inadeguati investimenti nel settore della cura, la cui
riorganizzazione all’interno del sistema socio-sanitario non è più rimandabile o risolvibile, scaricando gli oneri di
organizzazione sulla famiglia sempre meno in grado di prendersene carico. Altri rischi sono che prevalga un
mercato privato scadente, che aumenti il lavoro sommerso, poco controllato e non programmato dal pubblico,
che al
principio di un welfare solidale si sostituisca quello delle sole leggi del mercato che porta alla
deresponsabilizzazione dei cittadini verso la comunità, lasciando spazio alla competizione tra lavoro di cura
privato, pubblico e cooperativistico.
Le politiche di welfare della cura, si limitano ad assicurare prestazioni predeterminate e standardizzate
attinenti più strettamente alla vita biologica delle persone assistite, condizionate fortemente dal budget del
momento e comunque delimitate a spazi temporali ben definiti: interventi infermieristici e socio assistenziali,
accesso a centri diurni, ricoveri temporanei di sollievo.
Si tratta di interventi a volte fondamentali per poter dare un po’ di sollievo alla famiglia, ma non risolutivi per
le situazioni più gravi, che necessitano di assistenza a intero ciclo diurno, di tipo più parafamiliare attraverso
modalità relazionali “calde” ed empatiche, che rigidi protocolli non possono certo assicurare.
E’ qui che si fonda il successo delle assistenti familiari: esse pongono in essere una cura complessiva rivolta
non solo alla persona assistita, ma a tutto il contesto familiare, alla sua casa, all’intero ambiente familiare.
E’ così che lo scenario della cura si è andato configurando secondo un fai da te inizialmente totalmente
ignorato dalle Istituzioni e subito dopo inseguito di corsa e con affanno dalle politiche territoriali.
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Oggi, secondo stime recenti 5, le famiglie italiane sostengono una spesa pari a 9 miliardi 352 milioni di euro
per retribuire il lavoro delle assistenti familiari, che corrisponde al 10% della spesa sanitaria corrente sostenuta
dalle Regioni6, e che si avvicina a quanto spende lo Stato per l’indennità di accompagnamento (quasi dieci
miliardi di euro).
E’ possibile incanalare queste risorse per creare un vero e proprio “welfare integrato della cura”?
Alcune realtà territoriali prendendo atto del fenomeno dirompente, hanno tentato di porre in essere politiche
di inclusione, realizzando sportelli di mediazione, percorsi formativi, contributi monetari diretti al
cofinanziamento della spesa contributiva, ma tali soluzioni lasciano comunque la famiglia in balia dei rischi
connessi ad una gestione del rapporto di lavoro, che rimane interna, intima, familiare, esposta ad abusi e
vertenzialità continue.
Il rapporto diretto tra famiglie e lavoratori/lavoratrici si presenta foriero di rischi sia per il trattamento e le
condizioni di lavoro delle persone assunte, sia per la qualità dei servizi erogati.
E’ notizia di questi giorni sui giornali la crescita esponenziale di vertenze tra le c.d. “badanti” e le famiglie.
Solo a Bologna l’Ufficio stranieri della CGIL ha fatto sapere di aver registrato circa 500 controversie legali di
lavoro nell’anno, con una forte propensione alla crescita in tutta la Regione, gli altri sindacati confermano tale
tendenza.
Anche nei nostri sportelli si registra un aumento della vertenzialità, dovuta all’ambiguità culturale con cui la
famiglia gestisce il rapporto di lavoro, e alla lavoratrice che una volta superata la impellente necessità della
coabitazione rivendica i diritti non goduti.
Per le lavoratrici la familiarizzazione del rapporto di lavoro implica adeguarsi a ritmi di lavoro non scanditi da
orari, prolungati nel tempo del giorno e della notte, in una estenuante disponibilità, non sopportabile per lunghi
periodi, se non con adeguate turnazioni.
Esistono poi le difficoltà legate al “vivere insieme” tra cui la reciproca difficoltà nella lingua, il sentirsi
entrambi estranei, le abitudini diverse, i maltrattamenti da entrambe le parti, improvvisi abbandoni, solitudine,
peggioramento delle condizioni di salute, depressione, etc.. Sono problemi che spesso vengono vissuti da
entrambe le parti e che si acuiscono quando la colf straniera, nell’evoluzione dell’integrazione, si riappropria del
ruolo di madre, moglie, figlia della propria famiglia: si sposa, ha dei figli, si ricongiunge con i propri familiari.
Crediamo che sia venuto il momento di chiedersi se l’attuazione del diritto alla salute, così come proclamato
dall’art. 32 della Costituzione, possa passare per l’attuazione di uno strumento così rigido e privatistico come il
CCNL, rimanendo così “affare privato” delle famiglie.
Le Acli Colf sono convinte che la cura, nel suo complesso, debba essere riconosciuta come bene sociale, da
condividere e sostenere in quanto essere curati bene e curare bene è un diritto di cittadinanza.
5
6
www.qualificare.info “Badanti la nuova generazione” IRS
www.assr.it
14
2.2 Le lavoratrici: chi sono, bisogni, problemi, difficoltà
La ricerca dell’IRS (Istituto per la ricerca sociale di Milano) del novembre 2008, stima che in Italia lavorano
complessivamente 774.000 assistenti familiari (“badanti”), di cui 700.000 straniere e solo 74.000 italiane.
Atre ricerche presentano il fenomeno in modo più consistente. Fra queste quella dell’Università Bocconi del
2006, che stimava la presenza delle cosiddette “badanti” tra un numero variabile da 713.000 a 1.134.000
lavoratrici.
Il Sole 24 Ore nel 2007, invece, stimava la presenza di lavoratori domestici irregolari tra un minimo di
250.000 persone a un massimo di 900.000, a queste aggiungeva i 745.000 iscritti all’INPS, dati che sommati,
danno totali da poco meno di un milione di addetti a 1.600.000 lavoratori.
Il fenomeno è sicuramente più esteso rispetto agli iscritti all’INPS, che nel 2008 sono 745.000, non è però
possibile stabilire in modo univoco il numero di questa categoria in quanto le statistiche ufficiali escludono dal
computo tutte le situazioni in nero, non registrate; inoltre le cifre del sommerso variano anche per la diffusa
presenza nel settore del cosiddetto “carsismo contributivo” secondo il quale il pagamento degli oneri sociali è
effettuato a periodi alterni e in modo irregolare, variabile secondo le convenienze delle parti: famiglia-lavoratrice,
in particolare è legato alla scadenza del permesso di soggiorno.
Non è poi possibile quantificare quante lavoratrici si occupano del lavoro di cura agli anziani, quante lavorano
nelle mansioni di pulizia e di gestione della casa, quante sono impegnate nell’accudimento dei bambini, le baby
sitter. Dai dati INPS non si distinguono i tre inquadramenti contrattuali prevalenti.
I dati INPS ci segnalano che nel 2002, per effetto della regolarizzazione a seguito della Legge n. 189/2002 i
lavoratori domestici stranieri, che fino ad allora erano poco più della metà degli italiani, risultano più che
raddoppiati, raggiungendo circa il 74% ( tre su quattro sono stranieri). Infatti nel 2002 il totale dei lavoratori
domestici è di 552.069 addetti, gli stranieri sono 419.808, gli italiani 132.261.
Tuttavia la crescita improvvisa si trasforma in decrescita e negli anni successivi dal 2002 al 2005, il numero dei
domestici stranieri iscritti all’INPS registra un calo di ben -19,1% (-71.381 addetti) e il calo prosegue nel 2006
con un –2,5% (-7.661 addetti).7
Invece il lavoro domestico italiano tiene fino al 2001, con qualche diminuzione negli anni successivi. Nel
2002 questi lavoratori erano 132.261, nel 2006 sono 130.299.
•
I rapporti di lavoro
I rapporti di lavoro domestico in atto presso l’INPS a gennaio 2009, risultano 1.544.101, rapporti che
interessano altrettante famiglie e oltre 700mila lavoratori.
Nel lavoro domestico si registrano diverse varietà di orari di lavoro: si va dalla co-residenza che prevede
l’alloggio presso la famiglia-datore di lavor,o con un unico contratto di lavoro fino a 54 ore settimanali, alle
7
Dossier Caritas/Migrantes, 2008
15
numerose prestazioni in multi-committenza svolte dalle lavoratrici cosiddette “ad ore”, dove
si possono
intrattenere contemporaneamente rapporti di lavoro con varie famiglie. Gli orari sono compresi da un minimo di
poche ore settimanali, a volte a cadenza quindicinale, oppure 2 o 3 volte alla settimana, fino a un massimo di 40.
•
Caratterizzazione di genere
Le donne migranti rappresentano ormai il 50% dei flussi migratori, un tempo erano gli uomini a partire per
primi, ora sono spesso le donne ad affrontare le sfide del migrare. Anche in Italia la presenza femminile è ormai
paritaria rispetto a quella maschile. Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT nel 2008 le donne migranti residenti in
Italia hanno superato gli uomini. Esse sono quasi un milione e 800mila, il 50,4% di tutti i residenti non italiani.
Però la loro partecipazione al mercato del lavoro è più ridotta.
Infatti, i lavoratori extracomunitari iscritti all’INPS al 31.12.2004 erano 1.537.380, le donne immigrate
rappresentavano il 42,12% (647.573), di questa cifra il lavoro domestico occupa il 45,5% del totale delle
occupate, mentre gli uomini rappresentano solo il 4,72%. L’incidenza delle donne straniere nel settore è
dell’87,51% (più dei tre quarti degli occupati domestici) in alcune regioni la percentuale è superiore al 95%
(Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Friuli, ecc.) Fra gli occupati italiani la presenza delle donne nel lavoro
domestico arriva al 96%, un settore quasi completamente femminilizzato. Esse rappresentano un quarto del
totale degli addetti.8
La presenza degli stranieri nel settore domestico è concentrata al nord per il 48% (176.228 addetti),il 35% al
centro (129.156) e il 17% al sud (60.691).
Il gruppo etnico prevalente è quello dell’Europa dell’ Est dal quale proviene oltre la metà delle lavoratici
domestiche (Ucraina, Romania, Moldavia,Polonia, Russia, ecc) a queste si aggiungono le grosse comunità di
lavoratori presenti in Italia da più tempo, fra cui quella delle Filippine, dell’ America Latina, degli Africani, ecc.
Lavoratrici immigrate
Le lavoratrici straniere sono in netta prevalenza donne sia tra gli immigrati e ancora di più tra gli italiani. Fra i
primi sono l’87,51%, fra i secondi il 96%. Le donne straniere hanno iniziato ad emigrare verso l’Italia negli anni
’70 e giungevano nel nostro paese provenienti dall’Asia (Filippine), dall’Africa, Eritrea, Isole Capo Verde,
dall’America Latina, Ecuador, El Salvador, ecc.. Erano spinte da problemi economici e talvolta politici,
svolgevano lavoro fisso presso le famiglie della borghesia italiana. Il canale d’ingresso, a volte, era offerto dagli
Istituti religiosi della Chiesa Cattolica. Generalmente erano giovani, nubili e, soprattutto le filippine possedevano
e possiedono un buon livello di scolarizzazione. Negli anni successivi, il fenomeno migratorio nel lavoro
domestico ha subito una costante crescita fino a diventare per oltre i due terzi straniero e dove vi lavora una
donna su tre del totale delle immigrate con permesso di soggiorno per lavoro.
Un forte cambiamento dei flussi migratori è avvenuto dopo la caduta del muro di Berlino (1989) che ha
portato verso l’Italia una massiccia presenza di donne provenienti dall’ Europa dell’ est. Accanto alla presenza di
asiatiche, latinoamericane e africane, vi sono alte percentuali di donne romene, ucraine, moldave, polacche,
8
Inps (2007),Un fenomeno complesso il lavoro femminile immigrato, rapporto di ricerca, Roma
16
bulgare, russe che lavorano nel settore della cura agli anziani. Queste donne non sono più giovani, hanno un’ età
media di 40 anni, nella maggior parte dei casi sono coniugate e madri di giovani che lasciano nel loro paese con il
marito o con altri familiari, oppure che affidano a baby sitter o mandano in istituto. Non di rado sono persone
con un buon livello di istruzione spesso in possesso di diplomi universitari fra cui medici, infermieri, psicologi,
insegnanti, ingegneri, ecc. Donne che sebbene siano munite di specifiche professionalità sono essenzialmente
occupate nel lavoro domestico e di cura.
Si sono imposte nel nostro mercato di lavoro con la disponibilità a lavorare nella cura agli anziani in forma di
co-residenza, sono state accettate dalle famiglie per la loro rapida capacità di apprendere i nostri stili di vita, per le
loro caratteristiche personali (abbigliamento, tratti somatici) più vicine alle nostre, per la loro capacità
organizzativa di garantire eventuali sostituzioni di lavoro.
Queste donne rappresentano l’unica speranza delle famiglie italiane per affidare a loro i compiti di cura di
bambini e di assistenza di anziani. Infatti è noto che il nostro welfare è largamente carente di adeguati servizi per
le persone anziane o non autosufficienti che vivono in casa.
I flussi dall’Est tenderanno a diminuire ( anche se pare che saranno sostituiti da altri paesi), oppure a
trasformarsi. Diminuiranno per effetto del loro sviluppo economico, della diminuzione della popolazione attiva,
dall’attrazione dei flussi esercitata da alcuni paesi europei, fra cui la Gran Bretagna, dall’aumento delle migrazioni
Est-Est ( es: Ucraina- Polonia ); oppure si trasformeranno in relazione ad una minore elasticità alle esigenze del
nostro mercato della cura e alla più elevata mobilità della manodopera, contemporaneamente si prevede la
tendenza alla stabilizzazione di alcuni gruppi che favorirà la ricerca di opportunità di lavoro più favorevoli.
Fra i possibili nuovi bacini si segnala l’America Latina, l’Asia (Filippine- India). E’ probabile che si andrà
verso un divario tra la domanda e l’offerta nel lavoro di cura che potrebbero presentare nuovi problemi di
minore adattabilità delle immigrate, maggiori difficoltà culturali, scarsa propensione al lavoro di assistenza
familiare in forma di co-residenza. Da considerare che i nuovi arrivati spesso possono contare su familiari o
connazionali già stabiliti in Italia e questo favorisce maggiori garanzie di indipendenza di lavoro.
Lavoratrici italiane
Accanto alla massiccia presenza di immigrate continuano ad operare nel settore anche le donne italiane.
Queste sono prevalentemente sposate, separate o vedove con età superiore ai 40 anni che svolgono lavori
domestici ad ore, alcune si dedicano agli anziani, ma non in forma di co-residenza. Mentre le immigrate lavorano
maggiormente nella cura delle persone anziane o malate e sono consapevoli dell’importanza sociale del loro
ruolo, le italiane generalmente
prestano servizi di cura e manutenzione alla casa, che sono le tradizionali
incombenze domestiche di pulizia, riassetto locali, stiro,cucina, ecc. Spesso non si manifestano come lavoratrici
domestiche bensì come casalinghe in quanto lo ritengono un lavoro di ripiego, non riconosciuto come vero
lavoro che abbandonano appena possono.
Nei periodi di crisi economica come quella attuale e di espulsione di manodopera da altri settori produttivi,
molte donne ritornano nel settore domestico dove si verifica un aumento di domande di lavoro, anche se i dati
INPS ancora non le registrano. Un altro caso da evidenziare è quello delle giovani, spesso studententesse, che per
diverse ragioni ( difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, necessità di mantenersi agli studi etc, ) svolgono
17
lavoro in qualità di baby sitter o di compagnia agli anziani. Inoltre è notevole è la presenza di pensionate ex colf
che non possono vivere con il misero importo di pensione maturata che non è mai superiore al trattamento
minimo INPS, € 458,64 mensili per il 2009. Per le italiane il lavoro domestico ad ore rappresenta un’occasione
per arrotondare il bilancio familiare e per conciliare l’occupazione extradomestica, seppur svolta in un’altra casa,
con le proprie esigenze casalinghe. Per le immigrate, la cui famiglia è rimasta in patria, è il modo per mantenere i
figli, il marito o per costruire la casa.
•
Condizioni di lavoro
Le condizioni di lavoro delle colf e delle assistenti familiari variano secondo la modalità con cui si svolge il
rapporto di lavoro: se organizzato in forma di co-residenza o di rapporto ad ore. Condizioni di lavoro più pesanti
e limitative della libertà personale sono presenti nella relazione di co-abitazione della lavoratrice con la
famiglia/anziano, dato che molte volte sono malati o non-autosufficienti. Di sovente accadde che la persona da
assistere non è nella stessa casa abitata da qualche figlio, ma vive autonomamente. Da parte dei familiari c’è la
tendenza a delegare alla “badante” il peso della cura che si estende per tutto il giorno e la notte, la cosiddetta
presenza 24 ore su 24. Famiglie che non si percepiscono come datore di lavoro e che al rispetto delle norme
contrattuali e costituzionali del diritto al riposo sostituiscono una gestione “familistica” della relazione nell’
illusione di aver a che fare con un componente della famiglia al quale è richiesta disponibilità totale. Modello
“familistico” che si rompe non appena la lavoratrice supera gli impellenti bisogni economici, o trova migliori
opportunità di lavoro, o si ammala a causa della fatica di vegliare giorno e notte, o prende coscienza dei propri
diritti. Infatti negli ultimi tempi è aumentata in modo esponenziale la conflittualità fra le parti. Fra i principali
punti del contenzioso
ci sono: i riposi giornalieri e settimanali non goduti, il mancato pagamento degli
straordinari, il non rispetto degli orari di lavoro, i contributi non pagati o pagati in parte, il recupero della paga
contrattuale, ecc. A volte la lavoratrice non ha una sua cameretta dove poter riposare tranquilla, ma è costretta a
condividere la stessa stanza in cui vive la persona assistita, in alcuni casi perfino il letto.
Non vanno dimenticate le tante ricche relazioni che si instaurano fra gli anziani e le assistenti familiari che
non di rado diventano le uniche persone a cui gli assistiti confidano le loro memorie.
In molte famiglie, di frequente, si creano delle vere e proprie solidarietà con la loro lavoratrice straniera che
viene supportata, in un primo momento, per ottenere la sua regolarizzazione ( ottenere permesso di soggiorno
per lavoro) e poi, se necessario, per il disbrigo della procedura per chiedere il ricongiungimento dei suoi familiari.
Questi una volta giunti in Italia, sono aiutati ad inserirsi nel tessuto sociale e produttivo e ad utilizzare i servizi del
territorio (scuola, sanità servizi sociali etc.)
Tuttavia se come ACLI COLF siamo testimoni di queste molteplici solidarietà e vere relazioni umane, non
possiamo nascondere che in questo lavoro chiuso tra le pareti domestico succedono di frequente maltrattamenti,
umiliazioni, discriminazioni razziali, molestie sessuali, ecc. come ha evidenziato la ricerca IREF del 2008,
“Usciamo dal silenzio”9.
9
Iref-Acli,(2008),Usciamo dal silenzio: un’indagine sulle discriminazioni nel lavoro di cura, Aesse Comunicazione,
Roma
18
Alle lavoratrici non sempre viene dato un adeguato vitto e alloggio, spesso sono costrette ad osservare la dieta
della persona assistita. Situazioni che diventano più vulnerabili quando la lavoratrice straniera è presente in Italia
in modo illegale. Soprusi, sfruttamento lavorativo, ricatti e, in casi estremi, ritiro del passaporto.
Solitudine e incomprensione accompagnano le parti in causa. Da un lato la lavoratrice, che spesso non
conosce la lingua italiana e ciò rende difficile la relazione, priva di una professionalità specifica che è sostituita dai
saperi femminili che variano a seconda della cultura di provenienza; dall’altra parte la famiglia lasciata sola e
sempre più in affanno a causa dell’ impoverimento delle reti familiari, delle reti sociali, della scarsa o nulla
presenza di servizi pubblici di accompagnamento della famiglia nelle fasi di bisogno.
Un quadro della situazione tutt’altro che roseo e che la dice lunga sul prezzo pagato dalle donne immigrate
che sono qui per migliorare la loro condizione di vita e quella dei familiari e che sostituiscono un welfare della
cura che non c’è, che di fatto è stato delegato a loro. Alla pesantezza e alle discriminazioni subite nel lavoro si
aggiunge la sofferenza per i propri cari lasciati in patria.
Per le lavoratrici italiane la condizione di lavoro è meno complessa. Anche per loro si verificano violazioni dei
diritti del lavoro e di evasione degli oneri contributivi, spesso concordata tra le parti. Esse sono occupate
essenzialmente ad ore, nelle case di altre donne e della loro famiglia, mentre i soggetti sono assenti, svolgendo il
lavoro in autonomia. In caso di contrasti possono più facilmente cambiare famiglia, potendo contare su punti di
riferimento più stabili.
2.3 Welfare e famiglia
Il Welfare della cura si inserisce a pieno titolo in quella visione di un welfare promotore di sviluppo umano
che le Acli propongono con forza, fondato sulla centralità della persona posta al centro di una rete di relazioni, a
partire dalla propria famiglia.
Alle colf si chiede un aiuto che va spesso oltre e al di là del mero prestazionismo e che domanda una
prossimità esigente volta a sostenere le fragilità delle persone, specie se anziane, dove la vecchiaia pare
consegnata ad un tempo dopo la vita e non della vita.
Le famiglie bisognose di sostegno e di cura appunto, che si rivolgono alle Acli Colf, sono quelle famiglie
popolari che vivono una normalità problematica, alle prese con la difficile conciliazione tra tempi lavorativi e
responsabilità di cura dei genitori anziani, dei figli piccoli; sono anche spesso famiglie composte da coniugi
anziani o dove uno dei due è rimasto solo. Questo ci dice che va posta grande attenzione alla famiglia e ai
soggetti che la compongono, che ne va sostenuto il protagonismo attraverso politiche mirate e integrate evitando
quel “welfare fai da te” che ancora una volta scarica sulla famiglia e in particolare sulle donne, l’onere della cura e
del sostegno che va ben oltre il mero “badare”.
Un welfare della promozione e della relazione richiede che accanto all’erogazione dei sussidi e strumenti
monetari, sia potenziata e qualificata la rete territoriale dei servizi che costituisce tutt’oggi un grande elemento di
19
criticità presente nel nostro sistema di welfare con evidenti disparità tra nord e sud del paese che il nuovo
quadro di federalismo fiscale, se non realizzato in modo “virtuoso”, rischia di accentuare.
Bisogni di cura
I bisogni di cura che sono destinati ad ampliarsi per effetto dell’allungamento della speranza di vita 78,8% per
gli uomini e 84,1% per le donne. Gli ultrasessantacinquenni sono il 20,1% (oltre 12milioni) della popolazione
residente in Italia al 31.12.2008. (Istat 2009).
Gli anziani costituiscono oltre il 70% delle persone con disabilità, con una concentrazione tra gli
ultraottantenni del 48%, la maggior parte di loro vive a casa propria, non in istituto. Gli anziani nonautosufficienti che vivono in istituto sono solo 170.000. 10
Secondo la stima dell’IRS c’è una assistente familiare ogni 15 anziani ultrasessantacinquenni, ma se
consideriamo anche l’area del sommerso la presenza diventa di una ogni 7anziani.
Accanto al crescente indice medio di vita, aumenta il rischio di patologie che portano alla parziale o totale
perdita dell’autonomia personale e con esse la necessità di prevedere risposte ai bisogni.
L’ultimo Decreto flussi del 3 dicembre 2008, ha previsto 105.400 posti per “badanti” su 170.400 ingressi
previsti in aggiunta al decreto flussi del 2007 che aveva registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività
domestiche e di cura su 740.813 istanze presentate.
Ma può essere solo questa la risposta che il Governo è in grado di dare alle esigenze delle nostre famiglie?
2.4 Per un nuovo welfare della cura: corresponsabilità pubblica, la rete con gli
Enti locali, educare alla legalità.
Che cosa intendono le Acli Colf quando parlano di cura?
Secondo la nostra vocazione, prendersi cura significa mantenere alto il livello di attenzione su quei soggetti deboli
che la nostra associazione incontra nel suo lavoro quotidiano.
Da un lato ci sono, come abbiamo visto, le lavoratrici, dall’altro i soggetti quali anziani soli, persone
diversamente abili e le famiglie che, in particolari momenti della loro vita, hanno bisogno di accudimento.
Per l’associazione, dunque, da tempo l’impegno più stimolante consiste nel considerare insieme i due soggetti
deboli che si relazionano, quando le colf entrano e operano nelle famiglie.
Siamo sempre più convinte che, in questa fase storica soprattutto, dobbiamo proporci di leggere e lavorare
per trovare risposte adeguate ai bisogni delle lavoratrici e a quelli delle famiglie, perché non si tratta più, come in
un passato ormai lontano, di due entità contrapposte, ma di soggetti nelle cui storie si specchiano e si amplificano
problemi che riguardano l’assetto complessivo della società in cui viviamo.
Cosa ci proponiamo allora concretamente?
Il compito è davvero complesso e crediamo sia necessario innanzi tutto creare e consolidare reti di
protezione.
10
Cfr. Istat, Indagine sulle condizioni di salute e sul ricorso ai servizi sanitari, Istat, Roma, 2000
20
La metafora della rete, che il movimento ha lanciato molto tempo fa, conserva tuttora una grande potenza,
perché dà conto della logica alla quale vogliamo rifarci nel nostro operare: tanti nodi, legati tra loro da fili
resistenti e flessibili, che costituiscono un tessuto forte e robusto.
Noi intendiamo dare un contributo di spessore nella costruzione di questa rete con la nostra esperienza e le
nostre competenze.
Vediamo, nell’indagine che abbiamo fatto sul territorio nazionale, che ci sono molti progetti in atto che si
rivolgono alle colf, alle assistenti familiari, alle famiglie in difficoltà.
Spesso però questi progetti non sono sufficientemente conosciuti, non dialogano tra loro e c’è il rischio di
sprechi o, peggio, di interventi che non arrivano dove il bisogno è più forte.
Dunque noi ci proponiamo di:
•
diffondere in tutti i nostri territori o rinsaldare, dove già sono in atto, le collaborazioni con le
altre associazioni, con il volontariato;
•
creare nuovi partenariati;
•
fare da pungolo nei confronti dell’Ente Locale [o chiamare l’Ente Locale alla corresponsabilità ];
•
facilitare il dialogo tra Ente Locale, associazioni e volontariato, aprendo tavoli di confronto e di
lavoro.
Sappiamo bene che non possiamo chiedere agli Enti Locali di farsi promotori in proprio degli interventi, ma
ci proponiamo di vigilare affinché essi garantiscano:
•
universalità degli interventi. Proprio la diffusione della nostra associazione sul territorio
nazionale e l’indagine fatta ci permettono uno sguardo complessivo, dunque l’esperienza e le
competenze per intervenire là dove noi possiamo ravvisare delle incongruità tra un territorio e l’altro, a
volte anche vicinissimi. Inoltre è indispensabile che tutte le persone, che ne hanno bisogno, possano
contare sull’intervento di aiuto;
•
qualità ed efficacia degli interventi. Proprio in momenti di crisi diventa più forte il rischio di
correre al risparmio, di privilegiare esclusivamente il dato economico. Noi siamo consapevoli della
situazione, ma siamo anche in grado di individuare quelle forme che consentono di evitare gli sprechi,
perché questo, a nostro avviso è il risparmio fondamentale, garantendo interventi che, alla lunga, si
rivelano fonte di maggior risparmio.
Ma soprattutto intendiamo essere attente affinché gli EE. LL. si assumano la responsabilità del controllo.
Questo è, a nostro avviso, un elemento imprescindibile che l’ente pubblico ha il dovere di assumere, chiedendo
conto ai partner del lavoro svolto.
È essenziale che gli EE.LL. individuino procedure e criteri di accreditamento per le associazioni che operano
in una determinata area, ma non basta. Da un lato, le famiglie, soprattutto quelle in difficoltà, non possono essere
lasciate sole e devono essere aiutate e orientate nelle scelte, dall’altro deve essere agito un controllo sugli
interventi, perché vadano effettivamente nella direzione decisa e perché siano un aiuto effettivo.
21
Inoltre il controllo pubblico può agire sul rispetto della legalità. Ciò permetterebbe di ridurre, se non di
eliminare, la piaga del lavoro nero e di offrire garanzie sia alle lavoratrici, sia a chi necessita di aiuto domestico o
per l’assistenza.
Ci sono numerosi progetti che vanno in questo senso, e citiamo per esempio, assistenza nel disbrigo delle
pratiche burocratiche o aiuti economici erogati a chi assume colf o assistenti in regola, oppure ancora sportelli di
consulenza, ma queste iniziative vanno estese a tutto il territorio nazionale, perché non si creino disparità
all’interno del territorio nazionale.
2.5 Nuove forme di organizzazione del lavoro domestico
Quanto alle modalità con le quali intervenire, non esistono più modalità univoche, applicabili su tutto il
territorio nazionale.
Bisogna scegliere tra le numerose iniziative possibili le più adeguate a rispondere a quel particolare bisogno, in
quel particolare territorio.
Dunque è più che mai necessaria una mappatura dei bisogni.
In questo la nostra associazione costituisce un’eccellenza, perché lavora su questi temi da sempre, è presente
nel territorio in modo capillare, ha accumulato esperienza e capacità di analisi.
Facciamo, nel concreto, alcuni esempi.
Non tutte le persone anziane hanno gli stessi bisogni. Alcune devono essere aiutate per fare la spesa, oppure
non escono volentieri da sole, oppure ancora non sono autonome fuori dalla propria abitazione, ma possono
essere ancora in grado di vivere nella propria casa e nel proprio ambiente. Occorre allora un aiuto solo in alcune
ore del giorno: per questi casi si possono diffondere iniziative quali il cosiddetto portierato sociale, che in alcune
aree ha già dato buoni risultati. Una sorta di portiere, dunque, che non si occupa delle “faccende” del
condominio in senso stretto, ma delle persone che lo abitano. Questa modalità permette, tra l’altro, di vigilare
anche sulla sicurezza delle persone anziane, spesso vittime di odiose truffe. Ma permette anche, a chi si assume
tale compito, di ottenere un’abitazione, e soprattutto di non essere completamente isolato/a e rinchiuso/a, da
solo o da sola, in un’abitazione spesso troppo piccola per ospitare due persone.
Se ci rivolgiamo a tutt’altra fascia d’età, cioè ai bambini, non è sempre necessario avere una baby-sitter a
tempo pieno. A volte c’è la necessità di coprire qualche ora, oppure di prendere i bambini da scuola e di stare con
loro fino al ritorno dei genitori, oppure di intervenire per qualche emergenza.
In queste situazioni, allora, una cooperativa di assistenti familiari di quartiere potrebbe risolvere numerosi
bisogni.
Ammettiamolo: più che un’ipotesi per nuove forme di organizzazione del lavoro domestico si tratta di fare
una seria riflessione alla luce del nuovo scenario economico e della crisi che al momento attuale vede le famiglie
italiane costrette a limitare (o a ripensare) i consumi e le aziende a rallentare la produzione, secondo l’Istat si
tratterebbe del risultato peggiore dal 1997.
22
Confcommercio ha diffuso una ricerca del proprio ufficio studi secondo cui nel 2008 si è registrato il calo dei
consumi più ampio da 40 anni a questa parte, e sottolinea che il vero problema è la lenta crescita del reddito delle
famiglie che, in mancanza di seri interventi economici, si vedranno aumentare il costo annuo per l’alimentazione
di circa 500 euro (Federconsumatori).
Ancora, è il Sole 24 Ore ( Economia e Lavoro 29/03/2009) a sottolineare dati per nulla rassicuranti sul fronte
dell’occupazione: “secondo Confindustria tra la metà del 2008 e la metà del 2010 in Italia verranno persi 507 mila
posti di lavoro, il 2,2% dell’occupazione totale. Se si considerano anche le persone in cassa integrazione – che
quindi conservano formalmente il rapporto d’impiego – i lavori persi sarebbero 867 mila (-2,8%)”.
Ci troviamo quindi a percorrere una strada caratterizzata dal rallentamento dell'economia e dall’ insorgere di
nuove povertà e ciò di cui avremmo più bisogno, paradossalmente, può essere trovato ripensando ad un
rinnovato modo di fare impresa che nasce sicuramente dall’attuale necessità di trovare nuove strategie per lo
sviluppo di una nuova economia di mercato nella quasi assenza di prevedibilità.
La creazione di nuove possibilità di lavoro (fronteggiando la crescente disoccupazione ed affrontando il tema
del reinserimento lavorativo) diventa una sorta di rendita che non si focalizza sul capitale realizzato ma
sull’erogazione di servizi utili alla collettività.
Arriviamo quindi alle nuove forme di organizzazione del lavoro domestico.
Perché favorire la nascita di una cooperativa?
In primo luogo attraverso la costituzione di una cooperativa “dal marchio” Acli Colf si potrebbero
attualizzare e trasferire nel nostro tempo alcune buone prassi già sperimentate negli anni ’80.
Ma con l’assoluta consapevolezza che oggi la cooperativa dovrà essere vissuta come una impresa sociale, e
quindi indispensabilmente inserita in un contesto di sistema, dove operano realtà a più livelli e con la sinergia
necessaria ad affrontare le criticità intrinseche che un’opera di tal genere porta con sé. Queste criticità possono
essere principalmente individuate nei costi da sostenere sia per il personale utilizzato per l’assistenza (e quindi a
livello di contrattazione di CCNL) che del personale manageriale impiegato. Tutto ciò sarà sostenibile se vi
saranno accordi precisi tra Associazione Acli Colf e Patronato Acli in un’ottica di fattiva collaborazione e
divisione di responsabilità, oltre che naturalmente di risorse finanziarie.
Un cosiffatto modello di cooperativa (nato come progetto pilota su livello provinciale) potrebbe in seguito
essere replicato sul territorio regionale e nazionale.
L’approccio, dicevamo, dovrà quindi essere di stampo manageriale ed un occhio di riguardo sarà riservato
all’organizzazione e alla produttività, si favorirà in questo modo sia la gestione interna (costo del personale e
coordinamento delle risorse umane), sia l’esercizio di tutte quelle attività che daranno alla cooperativa stessa la
possibilità di assumere un ruolo positivo di innovazione ed integrazione dello Stato dando quindi risposte ai
nuovi bisogni sociali emergenti e garantendo un rapporto positivo e dialettico con l’amministrazione pubblica.
La cooperativa potrà diventare il tramite per la lettura del territorio: offrirà un’analisi del contesto, leggerà le
opportunità che il territorio offre e ne rileverà i bisogni garantendo la qualità dei servizi.
Il welfare tradizionale che si è sempre occupato dei bisogni sociali considerati universali (previdenza,
assistenza, sanità, istruzione) non riesce a rispondere a sempre nuovi bisogni emersi dal sistema di vita delle
economie mature ed ora si ritrova a fare i conti con una vera e propria emergenza povertà.
23
Le politiche del lavoro in Italia, sopratutto negli ultimi anni, non hanno favorito la riduzione della precarietà e
le misure principali per l’inserimento lavorativo verso soggetti con maggiore difficoltà di inserimento (giovani,
donne, disoccupati) sono state in gran parte disorganiche e non incisive.
La nostra Associazione (attraverso i diversi servizi) registra ogni anno una crescita di utenza che viene
reinserita nel mondo del lavoro anche grazie ad Acli Colf. Non si tratta solo di donne straniere, ma anche di
donne italiane, giovani e uomini.
In questo momento di crisi più che mai ci troviamo a rispondere all’esigenza di reinserimento lavorativo per
diverse categorie di utenza che non si possono più ascrivere al solo mondo femminile e soprattutto non più solo
extracomunitario.
Assistiamo negli ultimi decenni all’interno dell’Unione Europea ad un andamento demografico caratterizzato
da una crescente diminuzione della natalità. E ad un parallelo aumento della speranza di vita.
Inoltre è cresciuta la partecipazione femminile al mondo del lavoro, soprattutto donne con figli, che chiedono
lavoro a tempo parziale e con orari flessibili.
Non possiamo dimenticarci dell’insieme complesso di questi fattori e le trasformazioni sociali ed economiche
ad essi connesse.
Riflettendo poi sul CCNL lavoratori domestici ci rendiamo immediatamente conto che per sua particolare
natura non sempre può rispondere alle variegate esigenze degli anziani e delle famiglie in genere.
La famiglia non è un’azienda. Quante volte ci siamo ripetuti questa frase noi di Acli Colf ma le vertenze
sindacali con i lavoratori “fioccano”, l’atipicità è dilagante e colpisce anche le nostre lavoratrici e le famiglie
versano in sempre più consistenti stati di indigenza.
L’Ipotesi di una cooperativa sociale dal marchio Acli Colf prevede soprattutto un primato associativo, cioè
una garanzia di vita associativa e garanzia di tutela per le lavoratrici e i lavoratori. Con obiettivi di due tipi: un
obiettivo economico (profitto) e uno sociale (scopo).
Con dirigenti professionalmente preparati e lavoratrici impegnate non solo sul fronte dell’assistenza ma anche
sul fronte della formazione professionale e di partecipazione alla vita socio-politica dell’organismo.
La cooperativa
si inserirebbe così in quell’insieme di buone prassi che vedrà promuovere azioni che
permetteranno nel medio periodo una maggiore conciliazione tra vita privata ed attività lavorativa ed efficacia nei
servizi alla persona.
Abbiamo già sottolineato come siano aumentati i tassi di occupazione femminile che cresce molto più
rapidamente di quella maschile, e ci siamo soffermati sul cambiamento della fisionomia dei mercati del lavoro
che con la diffusione del lavoro a termine rispetto al lavoro fisso e stabile e con l’aumento dei contratti atipici sia
per le donne che per gli uomini fanno registrare una crescita esponenziale della precarietà.
Ma nonostante la forte crescita dell’occupazione femminile, le donne continuano a mantenere tassi di
disoccupazione più alti rispetto agli uomini.
Il lavoro in cooperativa potrebbe perciò essere significativo per le proprie lavoratrici permettendo loro di
conciliare il lavoro retribuito con il lavoro di cura (che sappiamo essere quasi esclusivamente a carico delle
donne).
24
La cooperativa potrà inoltre far fronte alle carenze nella gestione degli orari e dei servizi delle strutture
pubbliche relative all’ assistenza all’infanzia con servizi di sostegno (micronidi, ludoteche, baby parking) per
genitori che lavorano con orari atipici e servizi per far fronte all’ampia gamma di necessità legate alla famiglia
(pulizie, manutenzione, riparazione, stiratura, giardinaggio, cura degli anziani, baby sitting).
La cooperativa sarà inoltre veicolo per le relazioni umane, confronto guidato della realtà, accompagnamento
ai processi di cambiamento della società ed attuerà interventi tempestivi per nuove esigenze assistenziali.
Se il decentramento amministrativo della Legge 328 a portato spesso a modelli assistenziali diversi per realtà
diverse da Regione a Regione: il modello cooperativistico potrebbe appianare le differenze. Possiamo quindi
offrire al pubblico supporto qualificato nella revisione dei bisogni del welfare.
La cooperativa dovrà essere pensata come luogo di condivisione e di crescita per le lavoratrici e cioè uno
spazio lavorativo ma anche aggregativo, fatto di scambi anche interculturali.
Le Acli del futuro non possono non continuare a guardare ai legami, alle relazioni, e una struttura
organizzativa che si farà portatrice di costante dialogo e fautrice di rete a partire dai territori provinciali, e che
potrà diventare punto d’eccellenza per il puntuale monitoraggio e verifica dei bisogni del territorio stesso.
La battaglia per il rinnovamento di una parte del nostro welfare poggia sicuramente le basi sullo sviluppo di
nuovi servizi di assistenza alle famiglie con creazioni di innovativi servizi sociali domiciliari per incrementare
nuova occupazione a tempo indeterminato di donne, uomini e giovani.
La nostra associazione, allora, può costituire il nodo della rete capace, non soltanto di dare voce ai diversi
bisogni, ma anche di proporre soluzioni efficaci, e soprattutto di mettere in relazione le risorse dei territori, siano
esse associazioni, oppure gruppi organizzati di volontariato, oppure ancora semplici vicini di casa che si
assumono una responsabilità sociale.
25
3.
Per una nuova normativa sul lavoro domestico
3.1
Perché è necessario modificare la normativa
Dinanzi alla vera e propria esplosione di “bisogno di cura” cui si è assistito negli ultimi anni, il sistema
normativo che rotea intorno al tema della cura e del lavoro domestico, mostra oggi la sua più profonda
lacunosità e arretratezza.
Il legislatore degli anni’ 60 e ‘70 che è intervenuto sulla materia, aveva in effetti agito secondo le esigenze delle
famiglie di quell’epoca e, prevedendo metodi semplificati di instaurazione del rapporto di lavoro, oneri
contributivi ribassati, un sistema flessibile di gestione, ha sicuramente contribuito, a “regolarizzare” molti
rapporti di lavoro domestico, salvaguardando anche la cultura e le aspirazioni dell’epoca, che intendevano il
lavoro di cura esternalizzato come subalterno e marginale rispetto al ruolo fondamentale della donna e della
famiglia. Lo sforzo del legislatore è stato dunque quello di riconoscere una qualche veste formale ad un rapporto
di lavoro, inserito nell’ambito familiare, in un ambito cioè considerato da sempre privato, speciale, quasi
“intimo”, in cui “tutto è permesso” in ragione di una flessibilità e disponibilità che è richiesta tra le quattro mura
domestiche.
In quest’ottica si è provveduto col tempo a elaborare normativamente una figura di lavoratore domestico “per
sottrazione” ovvero prevedendo normative sempre più garantiste e attente ai diritti, per tutti i lavoratori …. “ad
esclusione di quelli domestici”.
Secondo le stime della ricerca IRS “Badanti: la nuova generazione”, circa il 6,6 per cento degli anziani
ultrasessantacinquenni si affida alle cure delle assistenti familiari.
Si tratta di cifre incredibili, aggravate ancor di più dai dati sull’irregolarità: solo una assistente familiare su tre
ha un regolare contratto di lavoro, mentre le altre preferiscono non averlo (il 24%) oppure sono irregolarmente
soggiornanti in Italia (circa il 43% delle straniere) e non possono dar corso ad una assunzione regolare.
Dinanzi a tale fenomeno non si può che affermare la necessità di una rivoluzione copernicana, che
appoggiandosi sul dato normativo agevoli un cambiamento che dovrà essere anche culturale e sociologico, in
modo tale da spezzare quella illegalità diffusa che domina il settore, e che sicuramente il sistema normativo
mostra in qualche modo di agevolare.
3.2
Previdenza, un nuovo mercato del lavoro, una fiscalità diversa/
una nuova modalità di prelievo fiscale
La recente ricerca del Censis “Un nuovo ciclo di sommerso” stima che le percentuali più elevate di lavoro
sommerso si registrano tra le colf e le assistenti familiari, con il 37% di lavoro nero e irregolare.
In più occasioni le Acli colf hanno denunciato il fenomeno e anche ora si apprestano a risollevarlo. E’ noto
che nel settore domestico ciò avviene sia nel caso di lavoro in più famiglie, dove spesso la contribuzione viene
pagata per uno solo o al massimo per due rapporti di lavoro, sia nel lavoro cosiddetto impiego “ a tempo pieno”,
26
svolto quasi esclusivamente dalle straniere, dove la contribuzione versata dalle famiglie-datori di lavoro, non è
superiore alle 30 ore settimanali.
Dalla verifica dei dati INPS sulle fasce orarie settimanali si evidenzia che l’86% dei rapporti di lavoro relativi
agli immigrati è concentrata in quella fino a 30 ore, solo per un numero modesto di questi lavoratori si versano
54 ore settimanali.
Resta dunque presente nel settore un consistente fenomeno di evasione contributiva, dove la propensione
delle famiglie a versare i contributi continua ad essere inversamente proporzionale alle ore da contribuire.
Moltissimi rapporti di lavoro ad ore non sono dichiarati e anche per il lavoro in forma di co-residenza, il
pagamento degli oneri sociali dovrebbe riferirsi all’orario di lavoro effettivamente svolto e non a quello, ormai
standard, di 30 ore. Sappiamo altresì che esiste spesso un accordo fra le parti parti:famiglia-lavoratrice per non
pagare i contributi o per pagarne meno. Questo meccanismo perverso è alimentato dalle stesse leggi sul lavoro
domestico che non prevedono adeguate contropartite in termini di diritti alle lavoratrici e di maggiori
agevolazioni fiscali alle famiglie.
L’Inps ha recentemente emanato nuove disposizioni per il lavoro domestico che semplificano le procedure
di assunzione e le nuove modalità di pagamento dei bollettini. L’Inps sta inviando ai datori di lavoro domestico i
bollettini dei versamenti contributivi già precompilati, operazione che si inserisce nel capitolo della “lotta al
lavoro nero che l’istituto continua a sostenere con azioni di vigilanza e di controllo per far emergere dal
sommerso ogni forma di attività lavorativa”11
Azione di controllo che si eserciterà sulle famiglie che dovranno comunicare all’Inps eventuali dati non
coincidenti con l’effettiva prestazione e pagare la differenza di importo.
Questa iniziativa ci consentirà di verificare sul campo l’efficacia delle disposizioni che dovrebbero portare ad
una maggiore legalità in un settore dove il lavoro irregolare dal grigio al nero è molto diffuso e ad una migliore
tutela dei diritti dei lavoratori.
Per superare la diffusa irregolarità/illegalità è necessario superare le palesi disparità di trattamento dei
lavoratori domestici rispetto alla generalità dei lavoratori dipendenti. Disparità e discriminazioni che devono
essere sanate per poter avviare un processo di effettiva lotta all’evasione contributiva.
Da un punto di vista previdenziale la palese disparità di trattamento che crea la Legge 1403/71 ancorando i
diritti previdenziali delle colf (disoccupazione, prestazioni INAIL, pensione …) ad una c.d. retribuzione
convenzionale, che mai potrà rispecchiare la retribuzione effettivamente percepita, è aggravata dal graduale ma
inesorabile passaggio ad un sistema contributivo di calcolo delle prestazioni, che è destinato a mettere ancora più
in risalto la modestia dei risultati che questa categoria di lavoratori può conseguire a livello pensionistico. A tale
sistema si aggiunge l’impossibilità di godere dell’indennità di malattia e l’ancoraggio dell’indennità di maternità a
precisi vincoli assicurativi e contributivi, che sono solo alcuni degli esempi che produce l’esiguità della copertura
assicurativa offerta dall’INPS per i lavoratori domestici e che non trova riscontro in altri settori.
11
Più semplice denunciare i rapporti di lavoro domestico: basta una telefonata, comunicato stampa, 5 febbraio 2009,
INPS
27
La debolezza del sistema previdenziale previsto per il lavoro domestico italiano si aggiunge alla generale
debolezza di un sistema previdenziale transnazionale, che si rende quanto mai necessario in considerazione della
massiccia incidenza del lavoro straniero in questo settore. Le colf extracomunitarie, che costituiscono ormai la
gran parte della categoria, rischiano di essere ancor di più penalizzate, vista la possibilità di maturare qualche
diritto per il futuro, solo in presenza di periodi di soggiorno piuttosto duraturi, non sempre congruenti con i
progetti di vita personali.
In secondo luogo, si pone la necessità di spezzare il circolo dell’illegalità diffusa in questo settore, anche
attraverso la creazione di meccanismi di regolazione del mercato di lavoro, che intrecci ricerca e incontro della
domanda e dell’offerta, formazione professionale qualificata e accompagnamento in famiglia.
L’attività dell’assistente familiare si caratterizza per una cura complessiva di tipo parafamiliare che coinvolge la
persona assistita, la casa, il contesto ambientale, le relazioni familiari in cui essa si inserisce: un rapporto
complesso quindi che ha bisogno di un sostegno, che non può limitarsi a quello economico, che spesso nasconde
una forma piuttosto semplicistica di “sbarazzamento” delle complessità.
Le ACLI COLF da tempo immemorabile attive sul fronte dell’incontro tra lavoratrici e famiglie in difficoltà,
non possono che affermare come tali attività rappresentano un’importante risorsa di integrazione e supporto
nella difficile relazione che si instaura tra famiglia-anziano-lavoratore/trice: consente di accompagnare la famiglia
nel riconoscimento dei diritti della lavoratrice, accettando il proprio ruolo di datore di lavoro, fornendo appoggio
nel superare le situazioni di conflittualità; garantisce la diffusione della legalità superando le problematiche
derivanti dal lavoro nero; offre alle lavoratrici occasione di inserimento nei percorsi formativi diretti a migliorare
qualità e fiducia reciproca nello svolgimento delle proprie mansioni.
Le statistiche riguardanti le attività dei soggetti istituzionali di Collocamento, nell’ambito del lavoro
domestico, dimostrano che l’approccio eccessivamente rigido e “istituzionale” di tali soggetti non favorisce
l’incontro della domanda con l’offerta di lavoro domestico.
Solo il 2% degli incontri avvenuti nei Centri per l’impiego riguardano il lavoro domestico e le esperienze delle
Agenzie interinali non sembrano soddisfare né i datori di lavoro, che si lamentano dei costi e della freddezza
degli operatori, né le lavoratrici, che non si sentono tutelate, né delle stesse agenzie, che non si sentono di farsi
carico delle necessità di ascolto e di cura del datore di lavoro-famiglia.
L’introduzione di meccanismi di regolazione del mercato di assistenza domiciliare, attraverso la
partecipazione di soggetti abilitati e “vicini” a entrambe le parti del rapporto di lavoro domestico (associazioni
specifiche, Patronati, come originariamente previsto dalla Legge 339/1958) che colgano la specificità di tale
rapporto nella gestione e contemperamento di due soggetti deboli, è divenuto un imperativo imprescindibile.
Si tratta di sostenere entrambi, sia sul versante della cura, che sul versante del lavoro con il riconoscimento dei
relativi diritti.
Ogni rapporto di lavoro dovrebbe essere accompagnato con percorsi formativi
che coinvolgono
contemporaneamente le parti.
Da un lato si pone il datore di lavoro che necessita di aiuto nella presa di decisione, mediazione,
accompagnamento, sostegno e intervento nei momenti di crisi, dall’altra si pone la lavoratrice il cui impegno
28
coinvolge un insieme di competenze assistenziali, domestiche e comunicative di non facile gestione, in quanto
dirette alla costruzione di un legame fiduciario in grado di portare conforto.
Si pone, poi la necessità, di rilanciare la cooperazione e l’organizzazione di forme associate di servizio.
Là dove l’ambito di riferimento rimane il contesto privato/familiare, il mercato del lavoro rimarrà a rischio
sfruttamento e ghettizzazione, in quanto, da un lato, essendo costituito da soggetti deboli, la contrattazione, non
solo economica, viene sospinta irrimediabilmente verso i livelli più bassi, dall’altro, rimanendo segregato
nell’ambito strettamente familiare, diviene poco controllabile e intercettabile da politiche sociali dell’ente locale.
La gestione del servizio attraverso una forma associata di collaboratrici familiari apre la possibilità di
progettare forme di “welfare condiviso”, che metta in rete lavoratrici, famiglie ed enti locali.
Infine a completamento di questa “rivoluzione copernicana” del lavoro domestico, sarebbe necessario
pensare a forme di fiscalità diversa per le collaboratrici familiari che vogliano “mettersi in regola”.
Ad oggi, il sistema previsto per la generalità dei lavoratori, composto da una dichiarazione annuale (modello
UNICO) con possibilità di rateizzazione dell’onere fiscale in poche rate, non tiene sufficientemente conto delle
particolarità di questo rapporto di lavoro.
Il fatto di effettuare una prestazione lavorativa non soggetta a sostituzione d’imposta, impone il pagamento di
rate eccessivamente elevate, in quanto concentrate in un particolare periodo dell’anno.
A questo si aggiunge la precarietà del lavoro domestico, non soggetto alla disciplina di stabilità del rapporto di
lavoro, e che consente il licenziamento in qualsiasi momento, spesso legato alle condizioni di salute dell’assistito
o alle particolari esigenze di sostegno, a volte transitorie, della famiglia.
Delle due l’una, per agevolare il pagamento degli oneri fiscali anche alle lavoratrici domestiche o, si ipotizza
l’introduzione anche per i datori di lavoro domestico degli obblighi di sostituzione di imposta (con trattenimento
dei relativi oneri direttamente in busta paga) oppure si sperimentano nuove forme di prelievo fiscale che
privilegino l’immediatezza del versamento e una gestione semplificata, nel rispetto delle caratteristiche di
subordinazione del rapporto di lavoro.
29
Conclusioni
“[….] Credo che nell’Assemblea nazionale sia importante andare a mettere in mostra anche le buone pratiche che
si sono sviluppate in questi anni, perché proprio in questo settore la concretezza è fondamentale, abbiamo bisogno di
buone idee abbiamo bisogno anche di darci un po’ di entusiasmo soprattutto in questo ambito del fare associazione
perché dobbiamo sperimentare cose nuove e quando le cose nuove funzionano dobbiamo dircelo ed in qualche modo
provare a ripeterle in altri luoghi, quindi immaginiamo un’Assemblea che abbia sì un confronto di tipo politico come
giusto che sia, sì delle proposte culturali e sociali di un certo rilievo e nei vostri documenti ci sono le premesse per tutti i
contenuti, ma anche pensare ad un’Assemblea che possa mostrare un volto dinamico ed attento alla persona attraverso
all’esperienze che sono state sperimentate nel nostro Paese in questi anni”.12
Abbiamo fatto nostro l’invito del nostro Presidente nazionale di rendere visibili le buone prassi realizzate dai
territori della nostra associazione. A tale scopo abbiamo deciso di realizzare un dvd da proiettare durante i lavori
congressuali in cui dar voce alle tante, tantissime iniziative dei territori, piccoli semi gettati su terreni fertili che,
ne siamo certe, daranno buoni frutti.
Nel progettare e pensare alle Acli Colf del futuro desideriamo tracciare quelli che ci piace definire punti di
forza, ovvero i nuovi traguardi da raggiungere.
Un punto di forza è creare occasioni di solidarietà dentro il sistema Acli in particolare con il Coordinamento
delle donne per trovare punti comuni di impegno culturale e politico soprattutto sulle questioni relative al lavoro
di cura che è una nicchia di lavoro femminilizzata, ma i cui risvolti interessano i Dipartimenti del welfare, della
famiglia, il settore immigrazione, ecc.
Sul versante fiscale è auspicabile creare dei gruppi di lavoro in cui si possa pensare a nuove formule di
collaborazione tra le Acli Colf ed il CAF ACLI anche ai fini di elaborare proposte per una nuova modalità di
prelievo fiscale.
I due soggetti coinvolti nel lavoro di cura ovvero famiglie e lavoratrici sono di fatto rappresentate nel nostro
Movimento dalla FAP e dalla nostra associazione.
In alcune realtà provinciali si sono create delle collaborazione importanti, sarebbe positivo che tali relazioni si
diffondessero anche in altri territori.
12
Dal Discorso del Presidente nazionale Acli, Andrea Olivero, alle Acli Colf nell’incontro svoltosi a Roma a febbraio
2009
30
Un altro punto di forza è la partecipazione in modo concreto alla sperimentazione dei Punto Famiglia, che
rappresenta una delle tre priorità dell’ultimo congresso nazionale, di cui 50 di prossimo avvio nel territorio
nazionale. Tali luoghi si distinguono per la loro costitutiva attitudine ad operare, coinvolgendo tutti i membri
facenti parte della famiglia: bambini, giovani, anziani, immigrati, disabili, persone sole, sviluppando reti intra ed
inter familiari, inter e intra generazionali, inter e intra culturali, non solo per sostenersi ed aiutarsi
vicendevolmente nei difficili ambiti della vita quotidiana, ma anche per confrontarsi, incontrarsi e sviluppare
comunità.
Un ulteriore obiettivo è diffondere in modo capillare la Convenzione, stipulata nel 2007, tra le Acli colf ed il
Patronato che ha proposto il progetto “Mondo colf” il cui fine è di offrire alle famiglie-datori di lavoro e alle
lavoratrici domestiche il servizio di gestione del rapporto di lavoro nelle sue incombenze burocratiche di
relazione con l’Inps e con altri istituti, nonché la tenuta delle buste paga, di mediazione dei conflitti, ecc. Un
progetto che nasce dall’esigenza di offrire nuovi strumenti di azione e di costruire una piattaforma valoriale
comune partendo dal fatto che l’ambito della cura e assistenza della famiglia sempre più si deve considerare nella
loro interdipendenza e complementarietà. La delicatezza del rapporto di lavoro che si instaura tra famigliaanziano-lavoratrice impone una visione e un approccio unitario, capace di integrare l’aspetto del servizio con
quello culturale-associativo.
Infine pensiamo sia importante creare alleanze con i sindacati e le associazioni datoriali che hanno sottoscritto
il contratto collettivo di lavoro domestico e che desideriamo coinvolgere sulle nostre proposte di riforma globale
della normativa che interessa questo vasto settore di lavoratori e le famiglie. Riforma che dovrà riscrivere exnovo l’intera disciplina del lavoro domestico parificando nei diritti questo lavoro ad un normale rapporto di
lavoro subordinato, superando le lacune vigenti come la mancanza dell’indennità di malattia, il parziale
riconoscimento della maternità, l’esiguità delle pensioni, ecc. Nuove norme che tengano conto dei mutamenti
sociali della famiglia sempre più impoverita e della notevole presenza nel settore di lavoratori stranieri.
Il percorso assembleare che si svolgerà a Roma dal 22 al 24 maggio sarà certamente l’occasione in cui
riflettere tutti assieme su quale sia il progetto comune per costruire le Acli Colf del XXI secolo assieme al nostro
Movimento.
L’esperienza maturata in più di 60 anni di vita associativa e di servizio, gli obiettivi prefissati ed il grande
entusiasmo che da sempre ci caratterizza saranno i nostri preziosi compagni di viaggio.
31
Riflessioni spirituali tratte dal libro di RUT
Alcune riflessioni spirituali proposte nell’ambito del corso formativo per neodirigenti Acli Colf svoltosi a Roma a
giugno 2006
a cura di Clorinda Turri
RUT uno dei libri sapienziali della Bibbia, una storia orale che si è tramandata nei secoli e che può
essere facilmente accessibile a molte persone più di altri testi più “teologici”. Una storia di donne che ci
aiuta a riflettere nel cammino della associazione che vede al suo interno un numero crescente di donne
immigrate con le quali dobbiamo dialogare, instaurare relazioni che ci facciano scoprire il volto di Dio
che, oggi, si manifesta nel vivere le diversità. Anche al tempo di Rut si emigrava alla ricerca della “terra
promessa”, così come accadde oggi, milioni di uomini e donne se ne vanno dai loro paesi con la
speranza di trovare in altri paesi un po’ di “latte e miele” che consenta loro di vivere una vita piena.
Rut 1,1Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di
Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di
di Moab, con la moglie e i suoi due figli.
figli
2Quest’uomo si chiamava Elimèlech,
Elimèlech sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion;
Chilion erano
Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. 3Poi Elimèlech,
marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. 4Questi sposarono donne di Moab, delle
quali una si chiamava Orpa e l’altra Rut.
Rut Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, 5quando
anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del
marito.
6Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito
dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane.
pane 7Partì dunque con le due nuore
da quel luogo e mentre era in cammino per tornare nel paese di Giuda 8Noemi disse alle due
nuore: «Andate,, tornate ciascuna a casa di vostra madre;
madre il Signore usi bontà con voi, come voi
9
avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare
riposo in casa di un marito». Essa le baciò, ma quelle piansero ad alta voce 10e le dissero: «No,
noi verremo con te al tuo popolo». 11Noemi rispose: «Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste
con me? Ho io ancora figli in seno, che possano diventare vostri mariti? 12Tornate indietro, figlie
mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche
avessi un marito questa notte e anche partorissi figli, 13vorreste voi aspettare che diventino
grandi e vi asterreste per questo dal maritarvi? No, figlie mie; io sono troppo infelice per potervi
giovare, perché la mano del Signore è stesa contro di me». 14Allora esse alzarono la voce e
piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. 15Allora Noemi le
disse: «Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua
cognata». 16Ma Rut rispose: «Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di
te; perché dove andrai tu andrò anch’io;
anch’io dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio
popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; 17dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore
mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te». 18Quando Noemi la vide
così decisa ad accompagnarla, cessò di insistere.
32
Nel libro non si parla quasi mai di Dio, tranne in alcuni punti; il tempio, i riti non sono presenti, ma è
presente il Dio dell’alleanza e gli atteggiamenti dell’alleanza (Rt 1,16-18). Si tratta di un Dio che
accompagna l’umanità nella storia, che protegge i poveri e i deboli e di una donna (Rut) che ne imita la alleanza.
Il libro di Rut è uno dei pochi libri biblici che ha il nome di una donna. E’ quasi per intero un racconto di donne.
La relazione con Dio è recuperata attraverso la reinterpretazione di Leggi che permettono di fare giustizia e
che sono le Leggi della vita : amerai Dio facendo giustizia.
La storia che comincia con la descrizione dell’ oppressione in cui vive il popolo : “Ci fu nel paese una
carestia. Per questo un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nelle campagne di Moab. Se ne andò con moglie e
figli.” L’uomo si chiamava Elimèlech, la moglie Noemi e i due figli Maclon e Chilion. (Rt 1,1-2), termina poi
con il racconto del risultato felice che il popolo spera conseguire, con il matrimonio di Rut con Booz e la nascita
del figlio Obed che “è il padre di Iesse, e questi il padre di Davide” venendo così a far parte della genealogia che
ha assicurato la venuta del Messia (Rt 4,13-17).
Elimèlech, rimane all’estero per dieci anni senza poter tornare nella sua terra e colà muore, nel frattempo i
due figli si sposano con ragazze del posto, poi anche i figli muoiono, e rimangono le tre donne, vedove, senza
discendenza.
In mezzo si svolge il cammino di tre donne : Noemi, Orpa e Rut. Donne diverse di nazionalità, di razza,
di religione. Donne povere, vedove, straniere, senza discendenza, che nella società dell’epoca, rigidamente
patriarcale, non contavano nulla e non avevano voce. Ciò che le unisce è la povertà, il desiderio di avere pane, i
vincoli dell’amicizia e di parentela e il desiderio di trovare Dio là dove si manifesta.
A questo punto cosa fa Noemi, la vedova di Elimèlech,?
“Aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane” (Rt 1,6). Non ha un
progetto stabilito. E’ la notizia della visita di Dio al suo popolo con il pane che la muove.
E’ la fede in Dio e il desiderio/bisogno di pane che spingono i popoli ad alzarsi ed a iniziare nuovi
cammini.
Partono tutte e tre, vanno verso il paese di Giuda, Noemi ritorna nella sua terra, ma sente di non poter offrire
alle nuore più nulla: “no figlie mie, io sono troppo infelice per potervi giovare, perché la mano del Signore è stesa
contro di me (Rt1,13)
Orpa lasciò Noemi e tornò indietro, ma Rut non si staccò da lei : “non insistere con me perché ti
abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò, il tuo
popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta” (Rt
1,16-17). L’impegno di Rut è radicale. Con parole semplici e profonde si impegna ad accompagnare Noemi
(più anziana e –dunque- più debole) in qualsiasi parte essa vada e per sempre. Si dona con amore, senza interesse
alcuno.
Fra le due donne si stabilisce un’alleanza che richiama l’alleanza fra Dio e il suo popolo descritta in
Genesi 9. Dio che ama l’uomo a qualunque condizione, nonostante l’uomo sbagli (Gen 9,11).
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Quella di Dio (e di Rut) è un’alleanza che consiste nello stare a fianco dei poveri, dei deboli. E’ un’ alleanza
senza “se” e senza “ma”, senza interessi, dono totale. L’ unico interesse di Rut è di poter amare la suocera, di
seguirla e di esserle fedele. E’ la loro alleanza che finisce per porle all’origine della ricostruzione del popolo e del
suo riscatto.
Analizziamo l’ alleanza fra queste due donne :
1.
sono due vedove;
2.
alleanza tra piccoli, tra poveri, tra chi non ha più niente da dare : la donna giovane (Rut) è
straniera e la donna anziana (Noemi) è vedova e non ha più niente da offrire;
3.
alleanza che mette a rischio la propria vita dato che Rut va in un paese dove le donne sono
discriminate perché:
è negato loro il possesso della terra;
possono essere ripudiate ed espulse perché straniere;
sono discriminate anche dalla religione.
Storia di donne, raccontata da donne, le donne sono le protagoniste.
E’ un testo dove le donne sono alleate e non rivali.
Il brano di Rut lo sentiamo vicino alla nostra realtà di donne migranti in cammino che quotidianamente
ascolta e partecipa alle sofferenze di tante donne che affrontano grandi sacrifici per poter dare alle famiglie
lasciate in patria e a loro stesse un futuro diverso. Forse, anche loro, sono qui perché hanno sentito dire che
in Italia c’è pane, che per certi aspetti è la esperienza che anche noi italiane abbiamo vissuto negli anni del
dopoguerra quando siamo partite dai nostri paesi e che ora dobbiamo trovarci accanto alle nuove sofferenze
tessendo l’alleanza così come è presentata dal disegno di Dio.
34