Argomento: TERREMOTI SENZA FRONTIERE

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Argomento: TERREMOTI SENZA FRONTIERE
Argomento: TERREMOTI SENZA FRONTIERE
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Valutare la minaccia rappresentata dai terremoti, fenomeni naturali imprevedibili, per essere prepa­
rati in caso di un evento catastrofico. Questo è l’obiettivo di un nuovo progetto coordinato dall'Uni­
versità di Cambridge. Si chiama Earthquakes without frontiers, è finanziato con 4,38 milioni di euro e coinvolge ricercatori delle regioni del mondo più soggette a rischio sismico: Cina, India, Grecia, Turchia, Iran, Kazakistan e Kirghizistan. Italia compresa. Earthquakes without frontiers, attraverso u­
na collaborazione transfrontaliera, prevede infatti di mettere in piedi una sorta di taskforce interna­
zionale, un network di scienziati che, grazie al confronto e alla condivisione di esperienze e risultati, possano aiutare istituzioni e cittadini a conoscere e fronteggiare il rischio sismico, in tutti i conti­
nenti.
ANCHE L'ITALIA ­ «Al progetto collaborano i ricercatori dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) di Roma», precisa James Jackson, professore del dipartimento di scienze della Terra dell’università di Cambridge. «Nel team di ricerca», continua il coordinatore del progetto, «fanno parte scienziati di sei università britanniche e di quattro centri di ricerca». Non solo fisici e geologi, ma anche ricercatori in scienze sociali, per esplorare la vulnerabilità e la capacità di adattamento delle popolazioni in quelle regioni a maggior rischio catastrofi, e professionisti della comunicazione, in modo da riuscire a veicolare correttamente ai decisori politici informazioni utili per valutare e a­
dottare strategie efficaci per gestire il rischio sismico e eventuali disastri: promuovendo il migliora­
mento delle infrastrutture e pianificando una ottimale gestione delle crisi.
DALLE ALPI ALL’HIMALAYA ­ Il progetto, in cinque anni, si prefigge di monitorare i dieci milioni di chilometri quadrati della cintura alpino­himalayana che si estende dall’Italia alla Cina attraverso Grecia, Turchia, Medio Oriente, Iran e Asia centrale. Un’area caratterizzata da una forte attività si­
smica, perché zona di collisione tra placche di tipo continentale. Una regione molto estesa, dove i terremoti possono causare la morte di un numero significativamente alto di persone, con impatti quindi più catastrofici rispetto a eventi sismici in corrispondenza delle dorsali oceaniche. «Nel corso degli ultimi 120 anni ci sono stati circa 130 grandi terremoti. Un centinaio ha avuto luogo proprio nei margini continentali, provocando almeno 1.400.000 morti», ribadisce Jackson.
ACCUSA ­ Sotto accusa lo sviluppo urbanistico. «Proprio negli ultimi decenni, diverse metropoli (I­
stanbul, Teheran e Nuova Delhi) localizzate in queste aree fortemente sismiche hanno vissuto uno sviluppo urbanistico molto elevato, non accompagnato però da un adeguato rispetto dei parametri edilizi antisismici. E la qualità molto bassa delle costruzioni ne aumenta enormemente la vulnerabi­
lità. Di conseguenza, anche il numero di vite umane esposte a eventi sismici potenzialmente distrut­
tivi è molto maggiore rispetto ad altre città», spiega Nicola D’Agostino, ricercatore dell’Ingv di Ro­
ma, coinvolto nel progetto. Tokyo, per esempio, si trova in prossimità di una zona di subduzione, dove la placca pacifica si immerge sotto quella euro­asiatica, ma nella città giapponese anche terre­
moti con magnitudo elevata hanno un costo in vite umane relativamente contenuto. Perché, al con­
trario di altri Paesi, il Giappone applica rigidi codici di costruzione edilizia e adotta opportune stra­
tegie di attenuazione degli effetti potenzialmente devastanti.
CONOSCERE E PROTEGGERSI – «Quando avviene un terremoto, possiamo immaginare la Terra alle prese con esperimenti sismici», spiega Jackson. «Il nostro compito è quello di interpretare i risultati, per capire meglio il fenomeno e fornire informazioni in modo che le persone possano attrezzarsi per convivere con il rischio». E diminuire le perdite, umane e materiali. «Il terremoto che ha provocato morti e distruzione in Italia è dello stesso tipo di quelli che hanno colpito Grecia, Turchia, Africa o­
rientale, Tibet, Nevada, Nuova Zelanda e Cina. Seppure i paesaggi siano molto diversi tra loro, si pensi alle montagne italiane, alle regioni costiere in Grecia, alla Rift Valley dell'Africa, all'altopiano del Tibet o ai deserti della Cina, i processi tettonici sottostanti sono gli stessi. Noi vogliamo allora i­
dentificare e caratterizzare le faglie, quelle che potenzialmente possono determinare un terremoto, e imparare a interpretare i segnali geologici che creano nel paesaggio», ribadisce Jakson. La cono­
scenza delle faglie attive, però, è fondamentale per l’analisi della pericolosità ambientale e sismica, la comprensione della trasformazione del paesaggio, la pianificazione territoriale e la gestione delle emergenze. Ancor di più in aree densamente popolate, e industrializzate, come il territorio italiano.
Simona REGINA, “Corriere della Sera”, 31 maggio 2012
CONSEGNE E SVOLGIMENTO
Destinazione editoriale: “Messaggero Veneto”, lettere al Direttore.
Tipo di articolo: articolo di opinione.
Titolo: Scienza, politica ed economia insieme per sconfiggere i terremoti
I terremoti sono sempre stati tra gli eventi più catastrofici e incontrollabili della na­
tura. Tutt'oggi, nonostante le scoperte effettuate dalla comunità scientifica e, in par­
ticolare, dai geologi, non siamo in grado di prevedere il verificarsi di un sisma.
Come si è potuto vedere in Tv con il terremoto in Emilia e con quello del Giappone (2011), la natura “la fa ancora da padrona”. Ciò non toglie che non si possano mo­
derare gli effetti dei terremoti prendendo delle adeguate contromisure preventive, il che, fra l'altro, è anche l'obiettivo del progetto “Earthquakes without frontiers”, co­
ordinato dall'università di Cambridge. Per far ciò, e quindi per ridurre le perdite di vite umane e i danni materiali (economici), è fondamentale la comprensione dei fe­
nomeni e la messa a punto di misure che permettano la protezione delle persone.
A titolo d'esempio, mi permetto di confrontare il recente sisma dell'Emilia con quello del Friuli del 1976.
Entrambi hanno avuto una magnitudo attorno ai 6° Richter, tuttavia quello del Friuli ha avuto un bilancio finale di circa 1.000 morti, mentre quello dell'Emilia ha regi­
strato poco più di 20 vittime. E' evidente che la differenza l'hanno fatta principal­
mente le strutture anti­sismiche, che ovviamente al giorno d'oggi sono molto più al­
l'avanguardia rispetto a trent'anni fa. Tuttavia anche in Emilia ci sono stati numerosi crolli imprevisti, soprattutto di capannoni industriali (infatti la maggior parte delle vittime sono stati lavoratori): questi crolli si sarebbero potuti evitare se fossero stati applicati i codici e le leggi relativi alle costruzioni edilizie, come, appunto, accade in Giappone, dove un terremoto di 6° Richter non causa pressoché alcun danno!
Un altro esempio lampante è dato dal terremoto nel 2004 nel Sudest asiatico (terre­
moto di Sumatra), in cui il conseguente maremoto (tsunami) ha causato 300.000 morti, mentre il terremoto e il maremoto del 2011 in Giappone hanno causato “solo” 30.000 morti, cioè dieci volte in meno.
Questi due sismi sono entrambi recenti, tuttavia hanno avuto un bilancio molto di­
verso, dovuto soprattutto a un' “organizzazione tecnico­politica” assai differente. Da un lato il Giappone è uno dei paesi più sviluppati e più ricchi del mondo, dall'altro invece l'Indonesia è un paese povero e la sua economia si basa essenzialmente sul turismo.
Secondo me una buona gestione delle costruzioni edilizie, delle infrastrutture, della formazione e dell'informazione dei cittadini sono essenziali per la “prevenzione” di un terremoto, ed è ciò che si propone anche la taskforce internazionale di “Earth­
quakes without frontiers”. Tuttavia questo metodo deve prima fare i conti con la situazione politico­economica di ciascun paese. Quindi, senza togliere importanza al progetto anti­sismico portato avanti dall'università di Cambridge, ritengo che la pri­
ma cosa da fare per ridurre i danni di un terremoto, visto che non è possibile preve­
derli, sia migliorare la situazione politico­economica dei paesi “ad alta sismicità”.
MICHELE – III Ristorazione, anno scolastico 2011­2012