Chidiceche«nonèvita» ascoltiledonnecoraggio
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Chidiceche«nonèvita» ascoltiledonnecoraggio
28 Provincia L'ARENA Giovedì 8 Gennaio 2009 NEGRAR. Il caso di Eluana visto da chi vive la stessa esperienza nel reparto speciale dell’ospedale Sacro Cuore. Il medico: «Auspico un dibattito pacato» Chidiceche «nonè vita» ascoltiledonne coraggio Premio Ucsi-Il Genio della Donna 29 L'ARENA Domenica 17 Febbraio 2008 PRESENTAZIONE NUOVA FABIA WAGON Concessionaria Skoda PROVINCIA PORTE APERTE 16/17 FEBBRAIO [email protected] | Telefono 045.8094.899 Fax 045.800.5894 NEGRAR. La Suap, speciale unità di accoglienza permanente: 10 letti per le tre Ulss scaligere. Un’esperienza di frontiera per esigenze di assistenza sempre più diffuse Dopoilcoma Vitedicomune coraggio Sono mamme e mogli, donne che da anni dedicano ogni giornata ai loro cari in stato vegetativo ricoverati al Sacro Cuore Mogliemadrisemprevicine ailorocariinstatovegetativo «RispettiamopapàEnglaro manonparlatecidimorte» Camilla Madinelli A vederle così, minute, gentili, talvolta sorridenti, non diresti mai che affrontano una realtà tanto dura. Che sono così forti e determinate. Anna, Mary, Nadia, Luciana, Maria, Laura sono alcune delle donne coraggio che tutti i giorni vanno e vengono dalle camere della Speciale unità di accoglienza permanente dell’ospedale Sacro Cuore don Calabria di Negrar. Il Suap è la principale realtà di Verona per gli stati vegetativi, con 10 posti letto per le Ulss 20, 21e 22; altri cinque posti sono all’ospedale di Cologna Veneta. È un reparto particolare, dove i pazienti vengono chiamati ospiti, non sono malati ma si possono ammalare e sono seguiti con amore da personale sanitario e familiari. Soprattutto da queste donne, che non smettono mai di stare a fianco dei loro cari, andando magari controcorrente rispetto a chi chiede la “morte libera”. I 10 letti del Suap sono occupati da persone che i medici dividono in due categorie: lo stato vegetativo permanente (nessun segno di coscienza) e quello con minima responsività (risposte a tratti agli stimoli). Quanto e come si stabilisca la coscienza, spesso non lo sanno neppure i dottori. Ma per queste donne, nei letti ci sono figli, mariti, compagni scampati a un infarto o a un incidente d’auto e che, a modo loro, continuano a vivere, capire, amare. Questo signore non vogliono la pietà di nessuno, non credono ai miracoli, ma si aspettano rispetto per la loro scelta. Maria, che del gruppo è la più combattiva, affronta sacrifici personali e finanziari pur di stare accanto e dare assistenza al suo Bepi, con cui è sposata da 25 anni. «La sua non è una vita che non vale, chi pensa una cosa del genere ci offende». Dopo un attacco di cuore Bepi non si è più ripreso, ma si è svegliato dal coma. Da questo mese Maria non sa come prov- Perquesti casimancano ifondimentre ifinanziamenti sonopreziosi RENATOAVESANI DIRETTORERIABILITAZIONE vedere a pagare la retta, non ha più soldi, è disperata. Altre donne sono in difficoltà come lei, lavorano il doppio per provvedere alle spese sanitarie e alla famiglia. Ma spesso non basta. «Non mi si dica di lasciarlo morire», ribadisce, «chiediamo piuttosto aiuto a sostegno della nostra scelta». Maria ha addobbato la camera del Bepi con fotografie, ricordi, frasi; gli parla di continuo, gli fa massaggi. Lui la guarda, accenna sorrisi. Ma fa anche di più: «Quella volta che gli ha portato un mazzolino di fiori profumati», racconta, «ha spalancato gli occhi e si è voluto avvicinare per sentire meglio». Altro che incoscienti. Dai racconti di queste donne coraggio, confermati anche dagli infermieri, gli ospiti del Suap ci sono eccome. Per amore loro Anna, Mary, Nadia, Luciana, Maria, Laura sopportano dolori grandissimi, fanno fatica a tirare avanti e a spiegare ai figli che papà potrebbe rimanere così, come dormiente, per sempre. Eppure non hanno dubbi sulla scelta che continuano a riconfermare. Il reparto a gennaio è finito in televisione, nel settimanale di approfondimento del Tg3 Veneto, ma nessuna di loro vuole popolarità o far clamore, anche se di cose da dire ne avrebbero tante. Per tutte parla Maria: «C’è bisogno di chiarezza quando si parla di stati vegetativi», di- Unadelle stanze dellaSuap:accanto allettodiunospite il caposala DanieleBrunelliche controllala fleboe il dottor RenatoAvesani FOTO AMATO ce, «fa clamore il caso di papà Englaro che vuole far morire la figlia, scelta che non condividiamo ma rispettiamo. C’è silenzio invece per noi familiari che, tra mille sacrifici, viviamo per loro, dedichiamo giornate intere cercando stimoli e idee nuove per andare avanti». Maria e le altre commuovono per la forza e la speranza che le anima. «Queste donne fanno moltissimo, eppure a loro pare di non fare mai abbastanza e si sentono spesso sole», confida il caposala, Daniele Brunelli. Oltre a lui, al Suap ci sono sei infermieri e alcuni operatori sanitari. Non è molto, anzi; per l’infermiere di turno la notte, da solo, spesso è un’impresa. «Per i vegetativi permanenti o con minima responsività mancano fondi, invece gli aiuti servono perché la richiesta per questo tipo di assistenza, purtroppo, è in aumento», spiega il direttore del dipartimento di riabilitazione, Renato Avesani. «C’è tanto bisogno di smuovere le acque», conclude, «c’è bisogno di creare sensibilità attorno a questi temi così delicati, che toccano la vita e la morte, che meritano sicuramente più attenzione». f LA PATOLOGIA. In aumento le persone in vita vegetativa a seguito di infarti o incidenti stradali Camilla Madinelli Permanente, persistente, prolungato. Su quale sia l’aggettivo più appropriato per lo stato vegetativo non c’è accordo nemmeno tra i medici. Da qualche tempo, sembra andare per la maggiore la definizione di vita vegetativa prolungata, a significare forse che quella che oggi ci appare irreversibile è soltanto una condizione che dura nel tempo e di eterno non ha nulla, se non l’attesa. Giorni, mesi, anni, chissà, con la coscienza che pare addormentata e l’esistenza appesa a un filo, o meglio a un sondino da cui dipendono alimentazione e idratazione. Possono passare anche decenni, come nel caso di Eluana Englaro, da 17 anni bloccata in un corpo che nessuno conosce e per la quale il padre Beppino ha chiesto la sospensione di ogni trattamento nel rispetto della sua volontà. Ma poco importa quanto durerà alle mogli e madri che assistono un familiare come Eluana nella speciale unità di accoglienza permanente dell’ospedale Sacro Cuore don Calabria di Negrar, una sezione molto particolare del dipartimento di riabilitazione diretto da Renato Avesani. Una decina di letti riservati agli stati vegetativi — e sempre occupati — per coprire i bisogni delle tre Ulss veronesi. Queste donne coraggiose non hanno dubbi, i loro cari vivono e non sopravvivono, a loro modo comunicano sensazioni, emozioni, dispiaceri, gioia. Forti di questa convinzione, Maria, Anna, Luciana, Nadia e altre non stanno dalla parte di papà Englaro, pur rispettando la sua battaglia. Non riescono nemmeno a pronunciarla la parola morte, per i figli e mariti. Ogni giorno scelgono la vita, scandita da esercizi di fisioterapia, musica, attività artistiche e creative. Passano ore vicino al letto a parlare e raccontare storie, per farli stare bene, i loro cari, che non soffrono di malattie particolari, ma possono ammalarsi in qualunque momento, che non sono attaccati a nessuna macchina e non sono nemmeno costretti sempre a letto. Loro che sorridono, stringono la mano, aprono gli occhi. Come lunedì durante il concerto tenuto da alcuni tirocinanti del corso di musicoterapia del conservatorio di Verona. «L’amore fa miracoli», afferma Maria, che è accanto al marito Bepi da quattro anni e mezzo, «1.640 giorni in cui abbiamo condiviso tanto». La signora non si stanca mai di elencare i progressi del marito; la loro vita è cambiata da giorno in cui lui è stato colpito da un arresto cardiaco, ma non è finita. «Certo, ci sono alti e bassi, le crisi respiratorie da cui temo che mio marito venga sopraffatto», continua Maria. «Qui a Negrar abbiamo festeggiato compleanni, anniversari, nozze d’argento e tante feste natalizie. Lui non smette mai di comunicare con Gli esperti preferiscono parlare di «vita vegetativa» e non di «stato». Perché proprio di vita si tratta, anche se “sospesa”, difficile da imbrigliare in una qualche definizione precisa. La vita vegetativa è la condizione di un numero sempre più elevato di pazienti: grazie ai progressi della medicina di emergenza-urgenza, infatti, oppure per un destino individuale imperscrutabile, alcune persone superano un infarto o un grave incidente, entrano in un coma più o meno prolungato e poi, dopo la remissione della fase acuta, iniziano una nuova esistenza. Un’esistenza a volte destinata a protrarsi per anni e anni. Le persone che vivono in sta- to vegetativo non sono attaccate alle macchine, necessitano tutt’al più di alcune flebo per alimentarsi e tenersi idratate, inoltre respirano da sole, manifestano cicli di sonno veglia e, soprattutto, non sono costrette a letto ma possono essere alzate, sistemate su carrozzine e spostate dalle loro camere, con la possibilità anche di uscite all’aria aperta. Le residenze sanitarie assistite del tipo di quella del Suap di Negrar non costituiscono l’unica possibilità di assistenza possibile; queste persone infatti possono essere seguite anche a casa senza particolari problemi, una scelta che viene fatta spesso dai familiari di persone giovani. Ma allora, se non c’è alcun macchinario che tiene in vita questi pazienti, dov’è la spina da staccare? «Esiste un’immagine distorta del paziente in stato vegeta- tivo, che in realtà è autonomo nelle sue principali funzioni vitali», spiega il direttore del dipartimento di riabilitazione, Renato Avesani. La Speciale unità di accoglienza permanente di Negrar, infatti, non somiglia affatto a un reparto di rianimazione, a cui può essere erroneamente associata. Tra le prime ad essere istituite in Veneto a seguito di un decreto regionale del 2001, la Speciale unità dell’ospedale Sacro Cuore accoglie pazienti affetti da grave cerebro lesione, ac- Chisirisveglia vienericoverato inunospeciale reparto diriabilitazione intensiva La vita al Suap è tutt’altro che noiosa. È scandita da momenti di festa, musico e arte terapia, fisioterapia, uscite e spettacoli. Il tutto grazie alla dedizione di molti volontari e alla presenza instancabile di persone come Maria, un tornado d’idee. I compleanni degli ospiti sono un momento di festa atteso. Inoltre, nulla costringe gli ospiti a letto o chiusi in reparto. Possono avere problemi di salute o beccarsi un’influenza, ma non sono malati. Certo non mancano problemi logistici, ma nulla di impossibile: tant’è che ci sono anche le gite. Alcuni, come il Bepi, hanno visitato il Safari di Pastrengo e il Parco Sigurtà di Valeggio. «Per loro è un’esplosione di stimoli, colori e profumi, un toccasana», spiega Maria. Maria con il marito Bepi, ospite al Suap, ospedale Sacro Cuore Per Natale ospiti e familiari hanno allestito un concerto spettacolo che ha allietato tutto il piano terra di Casa Nogarè, dove si trova la Suap. Grazie ai volontari del Conservatorio di Verona, le donne coraggio trascorrono pomeriggi suonando tamburo dell’oceano, cetra, chitarra, arpa celtica, campane al vento. «I nostri cari aprono gli occhi e ascoltano», continua Maria, «a volte, alcuni riescono anche a fa scorrere le loro dita sulle corde». Al Suap, insomma, niente quisita durante la fase acuta. Sulla carta si tratta di un reparto di lungodegenza per stati vegetativi permanenti e con minima responsività, che a tratti danno segnali di coscienza e di relazione, giunti al termine della fase riabilitativa intensiva senza modificazioni sostanziali del loro stato. Ma la realtà, come dalle testimonianze raccolte, è più complessa e ricca di sfumature. «Il Suap non è un parcheggio né tantomeno un ghetto, quanto piuttosto un luogo di accudimento e cura», conclude Avesani. Insieme a lui a dirigere il reparto speciale il dottor Giorgio Carbognin, mentre il dottor Gianfranco Rigoli è primario del reparto di riabilitazione intensiva e unità gravi cerebrolesi, dove invece chi esce dallo stato vegetativo viene ricoverato per iniziare il percorso riabilitativo. f C.M. tristezze: si suona, si balla, si canta. E se la musica ha un grande potere, l’arte non è da meno. A stimolare la creatività, che fa bene a ospiti e familiari, ci pensa Charlotte, arte terapeuta svizzera, un sorriso che contagia e due occhi che conquistano (Federico manderà baci anche a lei, oltre che alle infermiere?). Durante le ore guidate da Charlotte, Monica, Bepi, Federico e gli altri si godono carezze, massaggi, letture, danze e attività varie con colori, pennelli e fotografie. C.M. GLI OSPITI. C’è un filo di emozione che lega figli e compagni ai parenti Monicaè in reparto daquasi22 anni Unagravelesionecerebrale manonservono respiratori Non servono terapie intensive e molti soggetti vengono seguiti nelle loro abitazioni Le attività Musica tanticolori eperfino alcunegite È la più sveglia di tutti: sorride e sembra parlare Federico manda i suoi baci alle infermiere Monica ha 45 anni ed è in stato vegetativo da quasi 22. Un record di longevità, praticamente una vita intera, in cui mamma e papà non l’hanno lasciata sola un attimo. Il papà stava con lei tutti i giorni, andava e veniva da Negrar in autobus. Fino a quando, qualche mese fa, una malattia se l’è portato via. «Ora sono sola con Monica», dice mamma Anna. Vivere al Suap non significa non avere più emozioni. Monica è la veterana del reparto ed è la più sveglia di tutti. Aveva capito che il papà stava male e, quando non l’ha più visto, si è chiusa in silenzio, lei che solitamente tiene allegro il reparto con i suoi suoni; raccontano che ha persino chiuso gli occhi per un po’. Solo da qualche mese, elaborato il lutto, ha ripre- so a sorridere, a farsi pettinare dalla madre come sempre. In tanti anni, mai una volta che ai suoi genitori sia passato per la testa, come si dice in questi casi, di staccare la spina. La vita di Mary è cambiata il 26 maggio 2007, quando il suo compagno si è sentito male senza riprendersi. Racconta il giorno che le ha cambiato l’esistenza, il malore, lo spavento, il ritardo dei soccorsi, i mesi tra un ospedale e l’altro, l’approdo al Suap. «Era una persona buona e altruista, ora ho il terrore che si renda conto dello stato in cui si trova», ammette. Scoppia a piangere. Si chiede come sia possibile che la medicina sia impotente. Luciana lo chiama «Il mio Federico». Tutti lo conoscono perché manda baci alle infermiere e partecipa alle attività. Aveva 23 anni quando rimase coinvolto in un incidente d’auto; ora ne ha quasi 36. «Amava sperimentare tutto, con intensità, come se immaginasse che avrebbe frenato all’improvviso», dice la signora Luciana. Per 10 anni l’ha accudito in casainsieme al marito. Un sacrificio immane, per amore. E infatti Luciana è serena. «Ci sono momenti che ti si stringe il cuore, poi passa: con il tempo si impara ad accettare». Il marito di Laura ha avuto un arresto cardiaco nel 2006. Prima di arrivare al Suap, un calvario. «La sera in famiglia si scherzava, con le nostre figlie, la notte si è sentito male», racconta. «Era un bravo padre e marito, ci manca molto». Cosa passa per la testa di queste persone è un mistero. Sanno di essere prigioniere di un corpo che controllano a fatica? Queste donne hanno tante prove per dire di sì; se da un lato sono felici di mantenere un contatto con i loro cari, dall’altro temono che soffrano. «Se ha capito in che stato si trova a 46 anni, preferirebbe morire», dice Nadia, che ha due bambini piccoli. Per lei l’incubo è iniziato il 9 novembre 2005. «Era un angelo, poi un aneurisma celebrale lo ha ridotto così». Ora Nadia deve sostenere le spese per l’ospedale, spiegare ai figli come sta papà. È vivo o morto? Difficile spiegare. f C.M. La pagina che ha meritato il premio Ucsi-Il Genio della Donna Concorsogiornalistico: CamillaMadinelli falucesueroinascosti Ilcaposala DanieleBrunelli eilmedico RenatoAvesanial lettodi unuomoin statovegetativo me». Anche Monica, da 22 anni tra la vita e la morte, ti sorride spesso quando la trovi accanto a mamma Anna, una vita dedicata alla figlia, una scelta d’amore infinito condivisa con il marito e che continua senza mai un ripensamento nonostante vicissitudini e difficoltà. Anche Monica, come Eluana, deve aver sognato una vita diversa per sé e la sua famiglia. Dice il dottor Avesani: «Rispetto alla scelta di Beppino Englaro, ricordo solo che sono molto più numerose le persone che scelgono di vivere accanto a un familiare in stato vegetativo e che lo accudiscono con amore». Quello che si augura il medico negrarese è un dibattito pacato, che non cede all’onda delle emozioni, su una condizione di vita estrema che chiede di ripensare concetti come morte, malattia, persona, coscienza, e che chiama in causa, oltre alla medicina, etica e filosofia. f Per il suo servizio sull’unità di accoglienza permanente di Negrar («Dopo il coma. Vite di comune coraggio»), pubblicato sul nostro giornale il 17 febbraio 2008, Camilla Madinelli, collaboratrice dell’Arena e corrispondente da Negrar, ha vinto nell’ambito del premio nazionale Giornalisti e Società, indetto da 15 anni dall’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi), il premio speciale della Provincia di Verona «il genio della donna». La pagina dell’Arena ha portato alla luce la vita di mamme e mogli che da anni dedicano ogni giornata ai loro cari, che vivono in stato vegetativo nel reparto speciale a loro riservato nell’ospedale Sacro Cuore don Calabria di Negrar. Alcune di queste donne hanno partecipato alla premiazione, avvenuta nella sala degli Arazzi di Palazzo Barbieri, sede comunale di Verona: al loro coraggio è stato tributato un lungo, commosso applauso. ILTEMAdelle persone in coma da anni, portato all’attenzione generale dal caso di Eluana Englaro, è stato ricordato al premio Ucsi anche con una segnalazione meritata da un’altra giornalista, Simonetta Venturini del Popolo, per una sua inchiesta su un altro «caso Englaro a Pordenone». La giuria del premio ha motivato la segnalazione della giornalista «per aver colto l’altra dimensione del dramma di una vita a coscienza limitata, non risolto nella morte, ma con l’amore». G.A.