Der Gastarbeiter

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Der Gastarbeiter
Der Gastarbeiter
(Il lavoratore immigrato)
in Heiner Müller, Teatro IV. Hermania 3. Spettri sull’uomo morto, Milano, Ubulibri,
2002; pp.40-41
traduzione a cura di Peter Kammerer e Graziella Galvani
adattamento di Eugenio Sideri
da portare a memoria per gli iscritti al seminario a Teatri di Vita, 11-14 febbraio 2003
CROATO: Sono un contadino croato. Lavoro in Germania. Dopo due anni di lavoro
in Germania torno in Croazia, al mio paese, dalla mia famiglia, la mia famiglia è una
moglie e due bambini. Viaggio con la mia macchina comprata in Germania, porto un
vestito comprato in Germania, un completo preso ai grandi magazzini, con camicia e
cravatta, perché devo assomigliare a un tedesco. I miei vestiti da contadino croato
sono nel baule. Il viaggio dura due giorni e due notti. Arrivo la seconda notte. Ai
piedi della collina su cui c’è la mia casa, esco dall’auto e apro il baule. Mi levo il
vestito e le scarpe tedesche, mi strappo la cravatta dal collo, la camicia dal petto, i
bottoni saltano, e butto i vestiti stranieri nel baule. Vedo le stelle del mio paese, sono
più chiare di quelle tedesche, fra me e il cielo non c’è fumo. La casa è buia. Piego
bene il mio vestito, come ho imparato in Germania, e anche la camicia. La cravatta
perderà le pieghe per quando ne avrò bisogno. Indosso i miei vestiti da contadino, che
avevo due anni fa, quando sono andato in Germania, due giorni in un treno
sovraffollato con la puzza di sudore per paura del paese straniero, i pantaloni senza la
piega stirata, la casacca di tela, le scarpe di corda. Salgo la collina attraverso viti
disseccate. La casa è buia. Apro la porta con la chiave che ho portato con me per due
anni, sempre, in ogni indumento, anche nella tuta da lavoro alla catena di montaggio.
Entro nella camera da letto. Bacio mia moglie. E’ nuda sotto le coperte. Mi levo il
vestito da contadino e mi sdraio vicino a lei. Le sue cosce sono invecchiate, il suo
seno avvizzito. Nella stanza accanto sento respirare i bambini. Mentre faccio l’amore
con mia moglie, penso ai bordelli in Germania. Mia moglie s’addormenta, la testa
sulla mia spalla, la mia pelle bagnata dalle sue lacrime. Resto sveglio fino al mattino,
lo sguardo sulle crepe del soffitto della camera. Quando i bambini si svegliano mi
riconoscono, anche se non mi hanno visto da due anni, gridano papà, mia moglie si
alza e prepara la colazione, così come ero abituato: uova, pomodori, peperoni, pane.
Dopo la colazione vado nel capanno degli attrezzi, prendo l’ascia, ancora appesa allo
stesso gancio, e ammazzo mia moglie. Con le mie mani, che per due anni hanno
lavorato alla catena di montaggio in Germania, uccido i miei bambini. Lascio la casa,
Chiudo la porta e butto via la chiave, alla cieca, fra le viti rinsecchite. La prossima
pioggia la laverà nella terra. Vado tra le viti rinsecchite, giù dalla collina, alla
macchina, che ho comprato in Germania, butto i vestiti da contadino nel baule, sono
macchiati dal colpo d’ascia a mia moglie, dovrò bruciarli, mi rimetto il completo dei
grandi magazzini che ho comprato in Germania, prima la camicia, la cravatta, e torno
in Germania.