N. 5 - CRISTIANO SOCIALI
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N. 5 - CRISTIANO SOCIALI
Cristiano Sociali news 30 gennaio 2003 ANNO VII • NUMERO CINQUE € 0,77 - L. 1.500 SETTIMANALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO-SOCIALI SPEDIZIONE IN ABB. POST. ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96 - FILIALE ROMA Mimmo Lucà Presidente dei Cristiano Sociali e membro della Segreteria DS CRISI FIAT: TANTI PIANI, NESSUNA STRATEGIA Perchè la guerra non è inevitabile ECCO IL TESTO INTEGRALE DELL’ARTICOLO PUBBLICATO DALL’UNITÀ IL 17 GENNAIO SCORSO pp. 4-5 I preparativi per la guerra contro l’Iraq appaiono oramai inarrestabili. E ciò nonostante occorre compiere ogni sforzo per bloccarli. L’uso delle armi non è una fatalità e non è L’INTERNAZIONALE detto che sia assolutamente inevitabile. Si devono esaurire tutti i mezzi che il diritto SOCIALISTA A ROMA internazionale prevede, tutte le mediazioni possibili, fare in modo che si estenda in tutto p. 7 il mondo una campagna di dissuasione nei confronti dell’Amministrazione americana, per evitare un conflitto militare che potrebbe avere per il popolo iracheno, per il medio Oriente e per l’intero pianeta conseguenze tragiche. Gli ispettori dell’Onu stanno svolgendo il loro lavoro senza impedimenti o interferenze da parte delle autorità irachene e, dopo circa 300 siti ispezionati, non sono emersi elementi che possano portare a conseguenze di carattere militare. Ciò ha fatto dire a Kofi Annan e a Javier Solana che la guerra non avrebbe giustificazione alcuna. È quanto vanno ripetendo in molti oramai, a partire dalle massime autorità della Chiesa cattolica. “La pace è doverosa e possibile” ha detto Papa Wojtyla nel primo Angelus del 2003. QUESTO ARTICOLO È APPARSO SUL “RIFORMI“La guerra è una sconfitta per l’umanità” ha ripetuto davanti STA” CON IL TITOLO “LA CHIESA SI FIDI DEI POLIal corpo diplomatico il 13 gennaio. Il Papa è sceso in campo conTICI CATTOLICI CI SERVONO TANTI DE GASPERI E tro la guerra senza esitazione ed ha fortemente contrastato l’idea KOHL”, LO STESSO GIORNO (GIOVEDÌ 16 GENNAdella sua ineluttabilità, oltretutto al di fuori di “un’autorità inIO) DELL’USCITA DEL DOCUMENTO DEL CARD. RAternazionale riconosciuta”. Il richiamo alle esigenze della pace è TZINGER SU CATTOLICI E POLITICA. PUBBLICHIAstato netto e senza ambiguità. MO IL TESTO INTEGRALE, APRENDO COSÌ UN DIIl Pontefice ha evocato l’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni BATTITO SU UN TEMA PARTICOLARMENTE INTEXXIII ed ha sollecitato le responsabilità dell’Onu per affrontare i RESSANTE E DELICATO. problemi del pianeta in un quadro di dialogo e di cooperazione internazionale, in cui non vi sia spazio per il concetto di “Guerra di Giorgio Tonini e Stefano Ceccanti preventiva” che, come ha ricordato il Cardinale Sodano, non fa parte del vocabolario della comunità internazionale. Salvo rinvii dell’ultima ora, oggi verrà preMons. Martino, ex nunzio all’Onu e nuovo presidente del Consentata una nota dottrinale del cardinale Ratsiglio Justitia et Pax della Santa Sede, è stato ancora più esplicizinger sui politici cattolici. Vedremo il testo, ma to. “La guerra preventiva - ha spiegato – non c’è dubbio che sia in è giusto porre già alcuni interrogativi. realtà aggressiva”, poiché non è per definizione una guerra moti- Nel rapporto tra etica e politica, non partiamo da zero segue a pag. 2 segue a pag. 2 politica segue da pag. 1 vata dalla legittima difesa, e “l’unilateralismo non è accettabile perché non possiamo pensare che ci sia un poliziotto universale che fa il castigamatti con quelli che si comportano male”. Lo stesso Episcopato americano sul no alla guerra si è allineato alle posizioni della Santa Sede, con una lettera che Mons. Gregory, presidente dei vescovi degli Usa, ha inviato al presidente Bush il 13 settembre 2002. “La guerra contro l’Iraq – scrive Mons. Gregory – potrebbe avere conseguenze imprevedibili non solo per l’Iraq stesso, ma anche per la pace e la stabilità nel resto del Medio Oriente”. L’opposizione alla guerra nel mondo cattolico, dunque, non è fondata soltanto su ragioni etico-religiose, come spesso si ritiene sbagliando, ma è sostenuta anche da motivazioni giuridiche e politiche. In un appello promosso dalla Tavola della Pace, al quale hanno aderito numerose organizzazioni anche di ispirazione religiosa, si può leggere infatti che la guerra va impedita “perché provocherà molti più problemi di quanti ne vuole risolvere, allontanerà ancora di più la possibilità di mettere fine al drammatico conflitto arabo-israeliano e di costruire una pace giusta e duratura in medio Oriente, indebolirà i cosiddetti regimi arabi moderati bloccandone ogni possibile evoluzione democratica, accrescerà il risentimento contro gli americani e i loro alleati, allargando il fossato che separa l’Occidente e il mondo islamico e ci esporrà tutti al rischio di violenze e sconsiderate azioni terroristiche”. La Chiesa e le comunità religiose, rivolgendosi alle autorità istituzionali e politiche, chiedono ad alta voce il coraggio e l’ostinazione di rimanere ancorati al tavolo negoziale dell’Onu, esigendo certamente il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e, nel contempo, di ricercare tutte le possibili soluzioni diplomatiche e politiche per evitare una guerra che condannerebbe ad indicibili sofferenze un popolo già duramente provato da un embargo che dura da dodici anni, causerebbe il sacrificio di tantissime vite umane e metterebbe a repentaglio la stessa sicurezza internazionale. Molti movimenti ed associazioni, di diversa ispirazione culturale, sono scesi in campo, spesso unitamente alle organizzazioni dei partiti della sinistra, per sostenere le ragioni della pace ed hanno, recentemente, rivolto un appello al Parlamento e al Governo italiano, per negare ogni forma di assenso e di coinvolgimento militare nell’organizzazione di un possibile attacco armato contro l’Iraq. Personalmente condivido l’appello, senza “se” e senza “ma”, perché penso che si debba sostenere in modo risoluto il no a questa guerra in ogni caso e spero che la sinistra e tutto lo schieramento dei riformisti italiani sappiano trovare al più presto le forme e definire i contenuti di una risposta positiva e coerente. sicurezza internazionale segue da pag. 1 Essa s’inserisce nel filone della critica contro un “relativismo etico” che finirebbe col generare un “totalitarismo aperto oppure subdolo”, come ha ribadito il Papa alle Camere. Il problema è reale. Non partiamo però da zero. Il Vaticano II aveva affrontato questo problema con una triplice discontinuità: una visione dinamica della Tradizione, la cui comprensione “cresce” e “progredisce” nell’“esperienza” dell’unica storia; un’opzione preferenziale per la democrazia e una valorizzazione del diritto alla libertà religiosa. 2 La polemica contro il relativismo, se mal declinata, rischia di restringere la portata della discontinuità del Vaticano II sul primo aspetto, quasi che l’autorità della Chiesa possedesse la comprensione piena e astorica del diritto naturale da tradurre in leggi civili. Il non cattolico può limitarsi a dissentire: non sarà impossibile trovare compromessi. Ma chi deve fare la mediazione? L’autorità della Chiesa in modo vincolante o c’è uno spazio autonomo in cui, sia pure dentro determinati princìpi, si esercita la responsabilità dei laici cattolici? C’è un mandato imperativo che dai princìpi della Chiesa trae volta per volta un’unica CRISTIANO SOCIALI NEWS politica soluzione possibile o un margine significativo di scelta? C’è infatti una connessione stringente tra una visione dinamica della verità e la conseguenza per la quale il Concilio invita a valorizzare la competenza, anche se non esclusiva, di un laicato cattolico in grado di assumersi “la propria responsabilità” e che abbia nei confronti del magistero dei vescovi un’“atten-zione rispettosa”, senza aspettarsi da esso né richiedergli una “soluzione concreta” ai problemi emergenti. Tre esempi di laici cattolici che si sono esercitati in modo fecondo sul tema. Il giurista Costantino Mortati ci ricorda che il relativismo delle democrazie è a sua volta relativo perché alle sue spalle c’è comunque “la credenza nell’assolutezza del valore da riconoscere ad ogni uomo”, un fondamento così esigente rispetto al quale le democrazie possono raggiungere solo un “ragionevole grado di approssimazione” attraverso il dialogo. Un altro giurista, Gregorio Peces Barba, allievo di Maritain, ricorda che la “verità unica” non può essere espressa né da una maggioranza né “da una minoranza religiosa o filosofica che pensando di esprimere il monopolio della verità possa imporsi alla maggioranza”. Infine uno statista, Alcide De Gasperi: di fronte a vescovi che, tra le altre perle, identificavano come norma di diritto naturale non disponibile per il legislatore il carattere “gerarchico” del rapporto uomo-donna nel matrimonio, invitava nel 1945 a scendere “dall’alta montagna” di un’“atmosfera ossigenata” di soli cattolici per capire il suo sforzo di “fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione”. I dilemmi posti dal relativismo si affrontano cercando di avere tanti De Gasperi a destra come a sinistra, cioè tanti Kohl e Delors, ma ciò richiede che non si comprima il loro ruolo attivo di mediazione. Altrimenti, che lo si voglia o meno, vi è solo spazio solo per gruppi di pressione confessionale monotematica che lottino per immediate traduzioni dei valori in politica trattando come incoerenti gli altri cattoli- CRISTIANO SOCIALI NEWS ci, producendo cioè pacifisti fondamentalisti a sinistra e antiabortisti fanatici a destra. Una volta negata la mediazione, è difficile restringere una logica semplicistica ad alcuni temi anziché ad altri. Bisogna distinguere bene, come nei documenti conciliari, tra l’appello alle coscienze perché si orientino verso “la vera religione” e il livello delle decisioni politiche vincolanti per tutti dove “va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile”, il diritto di “non essere oppressi da misure coercitive”. Per questo speriamo che la nota - oltre che parlare, come annunciato, di “resistenza profetica” e di “tolleranza” di fronte a “leggi imperfette”, vie d’uscita solo dopo il fallimento di ogni dialogo possibile - parli anche del dovere morale prioritario di costruire leggi magari imperfette ma più solide perché condivise. Ovvero frutto del dialogo dei deputati cattolici con tutti i loro elettori che essi rappresentano (cattolici e non) e con gli altri parlamentari. Proprio noi che in questi giorni difendiamo su un’altra materia, quella delle riforme costituzionali, il principio che si debba preferire una convergenza larga, oltre gli schieramenti destra-sinistra, alla stretta applicazione del principio di maggioranza, vorremmo che anche il dialogo cattolici-non cattolici, la ricerca di soluzioni condivise sui temi etici fosse considerata un valore, con un’attenzione almeno pari a quella prestata ai contenuti. Prima di resistere o tollerare, o di imporsi a maggioranza (magari pagando per questo prezzi di compromissioni su altri terreni) viene il dovere di ricercare soluzioni condivise. Al di là dei contenuti della nota, sarà importante che i politici cattolici, impegnati in prima linea e per questo più coscienti delle potenzialità e delle difficoltà del pluralismo, la vivano e la interpretino degasperianamente, tenendo ferma la distinzione tra cose di Dio e cose di Cesare, contro facili deduzioni dalla fede alla legge. Un laicato cattolico conscio del proprio ruolo ha anch’esso “istruzioni” da dare. Roma locuta, causa non finita. 3 argomenti Pierre Carniti Crisi Fiat Crisi Fiat: tanti piani, nessuna strategia La Fiat rimane in prognosi riservata. Perché i diversi “piani” approntati in queste settimane si limitano a suggerire soluzioni (più o meno ingegnose) per risolvere i problemi finanziari e trascurano completamente il punto cruciale. Cioè come fare buone macchine e riuscire a venderle. Sembra quasi che per i terapeuti che si sono candidati a risanare la Fiat il problema della strategia industriale sia una sorta di optional. Un accessorio non indispensabile che, come l’”enten-dance” per Napoleone, può seguire. Può venire dopo. Non è un caso che tutti coloro che potrebbero fare qualcosa per cercare di risolvere la crisi (governo, banche, famiglia Agnelli, finanzieri, aspiranti imprenditori e quant’altri) siano soprattutto interessati agli aggiustamenti finanziari ed alla connessa ridefinizione delle quote di proprietà, più che alle condizioni necessarie per produrre automobili competitive. quando anche il mercato ha dovuto essere aperto), si è cercato di accompagnare l’inesorabile declino dell’azienda. Di tanto in tanto, questo armamentario è stato integrato da svalutazioni competitive. Ma con l’entrata nell’Euro le svalutazioni sono ormai precluse. Si è quindi ripiegato su più canoniche misure assistenziali. Però queste cure sono come il cortisone nelle crisi asmatiche. Può dare sollievo nelle fasi acute. Ma la sua azione è passeggera e, oltre tutto, non esente da inconvenienti. I sindacati, giustamente consapevoli che con simili rimedi non si sarebbe risanato l’ammalato, hanno insistito (per ora senza successo) per ottenere soluzioni più convincenti. Il governo, un po’ per cialtroneria, ed un po’ perché non poteva fare diversamente, ha invece condiviso le misure proposte dall’azienda. Si è soltanto limitato a chiedere qualche piccolo correttivo (con un occhio alle situazioni sociali e l’altro a quelle elettorali) nella distribuzione territoriale dei tagli programmati. La sostanza, ovviamente, non è cambiata e quindi nemmeno le prospettive dell’azienda. Dunque, nella migliore delle ipotesi, le misure adottate (assieme ad alcune cessioni per alleggerire la situazione debitoria del gruppo) potranno servire a guadagnare tempo ed arrivare al 2004. Quando scatterà l’obbligo di GM ad acquistare il settore auto della Fiat. Cosa potrà avvenire da qui al 2004 e soprattutto quale potrà essere il futuro dell’auto in Italia dopo quella data, resta avvolto nella nebbia. Convinto, come molti, che il “piano di risanamento e di rilancio” non risanava e non rilanciava un bel nulla, si è fatto avanti Colaninno. Il suo “piano” è noto solo attraverso indiscrezioni di stampa, quindi dei dettagli non si conosce granché. Ma, da quel che si è capito, il primo punto della proposta Colaninno è che la Fiat dovrebbe decidere in tempi brevi se tentare di accordarsi anticipatamente con GM per l’esercizio del put, oppure se (al prezzo più alto possibile) liberare l’azienda americana dall’onere dell’acquisto. Comunque nell’uno e nell’altro caso la Fiat si dovrebbe forzatamente impegnare alla bonifica del settore auto. Anche solo per venderlo risanato. Il secondo punto del piano Colaninno è che le risorse per gli investimenti necessari (a parte 1 milione di Euro che metterebbe a disposizione lui, chiedendo in cambio la gestione dell’azienda) verrebbero reperite con la vendita di attività non legate al settore della produzione automobilistica, a cominciare dalla Toro Assicurazioni dalla Fiat Avio. Con queste ed altre cessioni, ne potrebbe scaturire un gruppo molto più focalizzato sull’auto e quindi potenzialmente anche più in grado di competere. Questa, comunque, è l’opinione di Colaninno. settore auto Ma è un vero “piano di risanamento e rilancio”? Del tutto evanescente appare la strategia industriale del cosiddetto “piano di risanamento e rilancio”, proposto dai vertici del Lingotto a sindacati e governo. In realtà, malgrado il titolo impegnativo, il “piano” non è altro che l’ennesimo programma di dimagrimento della produzione di auto. D’altra parte, la cassa integrazione straordinaria, gli ecoincentivi per incoraggiare la domanda, i contributi alla ricerca per innovare e migliorare il prodotto, sono i tradizionali ingredienti con cui, da più di tre decenni (cioè da 4 Le “novità” del piano Colaninno Negli ultimi giorni, al “piano” Colaninno si è aggiunta la proposta di Vitale & Associati. Si tratta di un CRISTIANO SOCIALI NEWS documento di 25 pagine che da qualche giorno sarebbe sul tavolo del Ministro del Tesoro e dei banchieri coinvolti nella crisi della Fiat. Come quello di Colaninno anche il “piano” Vitale si concentra soprattutto sugli aspetti finanziari e societari. Con due novità. La prima è che l’auto verrebbe scorporata dalla holding Fiat per costituire una nuova società da collocare in borsa. La seconda è che nella nuova società viene prevista una significativa presenza di capitale pubblico nell’azionariato. Senza entrare nei dettagli, in una prima fase l’assetto societario immaginato da Vitale prevede che al Tesoro vada il 33,7 per cento del capitale, alla General Motors (che attualmente detiene il 20 per cento di Fiat Auto) il 27 per cento, alla Fiat spa il 22,5 per cento, alle banche creditrici il 16,8 per cento. In un secondo tempo, al termine di un’operazione di collocamento misto (azioni ed obbligazioni convertibili) il Tesoro risulterebbe sempre il principale azionista con il 25 per cento, seguito dalla General Motors con il 20 per cento, dalla Fiat spa con il 16,7 per cento, dalle banche con il 12,5 per cento. La quota sul mercato sarebbe pari al 25,8 per cento, ma potrebbe raggiungere il 42,5 per cento nel caso, assai probabile, che la famiglia Agnelli (e quindi la Fiat spa) dovesse decidere di uscire dall’auto. Negli ultimi giorni, sulla scena della crisi Fiat ha infine fatto la sua comparsa (anche se per ora non ufficialmente) il finanziere bresciano Emilio Gnutti, sodale di Colaninno ai tempi della scalata a Telecom. Si dice che, contrariamente a Colaninno, il coinvolgimento di Gnutti non sarebbe alternativo al progetto del Lingotto e delle banche che, all’osso, è di fare arrivare Fiat auto viva al 2004. Comunque, quale che sia il progetto che Gnutti ha in testa il suo affacciarsi nella crisi Fiat è un fatto che non può essere sottovalutato. Non può essere sottovalutato perché tra i soci della sua Hopa c’è la Fininvest (cioè Silvio Berlusconi, che non a caso si è tempestivamente incontrato con il finanziere bresciano). E non è difficile immaginare che la Fininvest sia presumibilmente più interessata al destino del Corriere della Sera e della Stampa, che a quello dell’auto. Per salvare la produzione automobilistica italiana non bastano soluzioni finanziarie Siamo tutti abbastanza “vecchi di questi boschi” per sapere che la soluzione della crisi Fiat comporterà un riassetto del capitalismo italiano. Quindi, a prescindere da ogni considerazione di carattere politico (ed anche da quelle relative al conflitto di interesse), nessuna sorpresa che Berlusconi si dia da fare per sostituire Agnelli nel ruolo che questi ha tradizionalmente occupato nel capitalismo italiano. L’importante però è avere ben chiaro che questa “competizione di ruolo” può essere una conseguenza, un effetto della crisi Fiat, ma non costituisce la soluzione della crisi. Non ha nulla a che fare con il rilancio del settore dell’auto. Infatti è più che probabile che il mantenimento ed il rilancio della produzione automobilistica in Italia comporti una modifica degli assetti proprietari della Fiat, ma, prima di ogni altra cosa, ha bisogno di nuove risorse (economiche ed imprenditoriali) e di nuovi progetti per fare auto migliori e più competitive. Poiché questo è il punto, è del tutto evidente che per salvare la produzione automobilistica italiana non basta escogitare qualche soluzione alla crisi finanziaria della Fiat. Occorre soprattutto definire investimenti in nuovi modelli, strategie commerciali efficaci, rete di distribuzione e logistica efficiente. Occorre, in particolare, il management giusto. Insomma, è indispensabile una vera strategia industriale di cui, nei “piani” finora presentati, non c’è traccia. Poiché siamo un paese senza memoria, può essere utile ricordare (agli immemori) che circa un anno fa la Fiat varò un aumento di capitale a sostegno del ricorrente “piano di risanamento e di rilancio”. Da allora sono passati tre amministratori delegati, tra piani “ufficiali” e almeno altri tre “ufficiosi” (Mediobanca, Colaninno e Vitale). L’unico risultato di tutti questi “piani” e di tutti questi avvicendamenti al vertice è stata un’accelerazione nella perdita di quote di mercato da parte del gruppo Fiat. Se quest’esperienza può suggerire qualcosa è che senza un vero piano industriale non si va da nessuna parte. Di conseguenza, se questo problema non venisse finalmente e seriamente affrontato potremmo trovarci di fronte all’eventualità di vedere scomparire dall’ordine del giorno la “questione Fiat”. Non perché risolta. Ma perché si dovrà prendere atto che, nel frattempo, lentamente quanto inesorabilmente, la produzione automobilistica italiana sarà ormai diventata economicamente e socialmente irrilevante. Flaiano, che conosceva bene l’indole degli italiani, sosteneva che: “Ci sono molti modi per arrivare. Il migliore è di non partire”. Esattamente ciò che finora si è deciso di fare per il caso Fiat. capitalismo italiano CRISTIANO SOCIALI NEWS Articolo pubblicato sul sito www.eguaglianzaeliberta.it 5 dal mondo Chiara Martini Ma la povertà non è solo mancanza di reddito È UN CHECK-UP DAVVERO IMPIETOSO DELLO STATO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE QUELLO CHE L’UNFPA, IL FONDO DELLE NAZIONI UNITE PER LA POPOLAZIONE, FA NEL SUO RAPPORTO 2002, DIVULGATO A FINE ANNO. Meno di due dollari al giorno. I soli di cui dispongono per vivere, o meglio per sopravvivere, 3 miliardi di persone, circa la metà della popolazione mondiale, condannate a vedersi sistematicamente negato l’accesso ai diritti fondamentali come la salute, il lavoro, l’istruzione. È un check-up davvero impietoso dello stato della popolazione mondiale quello che l’UNFPA, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, fa nel suo Rapporto 2002, divulgato a fine anno. Il rapporto dimostra che affrontare le tematiche della popolazione è un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals, Mdg): eliminare la povertà estrema e la fame, garantire l’accesso universale all’istruzione di base; promuovere l’eguaglianza di genere e l’empowerment delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; lottare contro Aids, tubercolosi, malaria e altre malattie; assicurare la sostenibilità ambientale; costituire una partnership mondiale per lo sviluppo. In sintesi l’ambizioso traguardo fissato dalla comunità internazionale è di ridurre della metà il numero di individui in stato di povertà assoluta entro il 2015. I nuovi obiettivi riconoscono che la povertà è più che la semplice carenza di reddito, ma è fatta di insicurezza, ineguaglianze, cattiva salute, mancanza di istruzione, tutti fattori capaci di incidere sulla dignità, sulle opportunità e le possibilità di scelta almeno quanto il reddito. Nel fornire un contributo al di- battito e una guida per le misure da adottare, l’edizione 2002 del Rapporto UNFPA sottolinea tre questioni chiave: 1. povertà e differenza di genere: le donne sono la stragrande maggioranza dei poveri. Crescita economica e aumento dei redditi contribuiscono a ridurre il divario di genere, ma non riescono ad abbattere tutte le barriere alla partecipazione sociale e allo sviluppo delle donne. Sono necessarie azioni mirate per far sì che le istituzioni sociali e giuridiche garantiscano alla donne parità di diritti umani e giuridici fondamentali. Le donne devono poter avere il controllo sulla terra, accesso al mercato del lavoro e a guadagni equi e devono avere il diritto di partecipare alla vita sociale e politica. I programmi per ridurre le disuguaglianze di genere possono migliorare significativamente la condizione individuale e familiare e favorire la crescita economica nazionale: gli studi condotti dimostrano, ad esempio, l’aumento del tasso di scolarizzazione femminile è un fattore di incremento reale del Pil. Potenziare l’istruzione femminile contribuisce altresì a ridurre la natalità e la denutrizione infantile, a migliorare la sopravvivenza materna e infantile, nonché gioca un ruolo chiave nell’arginare l’epidemia di Aids. 2. povertà e salute: i poveri sono i più esposti a rischi sanitari legati alle condizioni ambientali e a infezioni derivanti dall’inadeguatezza e dal sovraffollamento degli alloggi. I poveri hanno minore accesso del- le persone più agiate ai servizi sanitari, e minori sono le probabilità che cerchino assistenza in caso di bisogno. Allo stesso tempo la cattiva salute aggrava la povertà: inficia le capacità personali, diminuisce la produttività e frena la crescita economica. Ma vi sono strumenti per uscire da questa diabolica spirale: l’agenzia Onu sottolinea che non basta migliorare i servizi sanitari e ampliare l’utenza, ma occorre altresì rafforzare i servizi preventivi, come quelli per la salute riproduttiva. Secondo il rapporto, nell’arco di una generazione la tendenza a ridurre la fecondità si traduce in potenzialità di crescita macroeconomica, grazie alla prevalenza di persone in età lavorativa e alla diminuzione del numero di giovani e anziani a carico. Si tratta della cosiddetta finestra demografica, un’opportunità che, accompagnata da adeguate politiche di sostegno, consente progressi notevolissimi. 3. povertà e istruzione: sebbene il grado di accesso generale all’istruzione di base sia aumentato sostanzialmente in molti paesi in via di sviluppo nel corso dell’ultimo decennio, i poveri hanno tuttora minori probabilità di frequentare la scuola. I dati in alcuni pvs indicano che la maggior parte della spesa pubblica per l’istruzione è impiegata per iniziative dello stato a tutto beneficio dei più abbienti. Molti paesi riuscirebbe a garantire l’istruzione di base universale anche solo aumentando la percentuale di iscrizione tra i poveri. istituzioni sociali 6 CRISTIANO SOCIALI NEWS dal mondo Valerio Ochetto Il mondo “possibile” dei socialisti internazionali I L’INTERNAZIONALE SOCIALISTA RIUNITASI A ROMA A METÀ GENNAIO, ACCENTUA L’IMPEGNO PER LA PACE E PER LO SVILUPPO DELLA GLOBALIZZAZIONE. Un’accentuazione delle iniziative di pace contro i venti di guerra che soffiano sull’Irak è venuta dal Consiglio dell’Internazionale socialista di Roma del 20-21 gennaio. Al di là delle sfumature, che pure esistono, si è fatto un ulteriore passo in avanti rispetto al tradizionale ripudio d’ogni guerra preventiva ed azione unilaterale del governo statunitense, affermando che anche l’Onu deve in questo caso preferire soluzioni politiche e diplomatiche rispetto ad un intervento militare. L’ha sostenuto con rigore e passione lo stesso presidente dell’Is, il portoghese Antonio Guterres, già primo ministro del suo paese, il cui socialismo è nutrito di forti tensioni morali anche per la sua formazione cattolica. Che non si tratti di pura testimonianza e di abdicazione di fronte alle durezze della storia è dimostrato, tra l’altro, dal fatto che alla stessa sessione sono stati invitati e hanno parlato i rappresentanti dei curdi iracheni, che governano su una parte del Kurdistan già “liberato” dalla dittatura di Saddam e che hanno chiesto sostegno e appoggio per una transizione, se possibile pacifica, alla democrazia per tutto l’Irak. Un segno di come lotta per la pace e per la democrazia possano essere congiunte e non contrapposte (anzi stupisce che altri si siano mobilitati in passato per i curdi della Turchia, “dimenticando” i curdi dell’Irak e dell’Iran, che non propongono uno stato indipendente ma uno statuto federativo all’interno dei rispettivi paesi). Dal 23 al 28 gennaio si svolgerà in Brasile il Forum sociale di Porto Alegre III e la presenza dei socialisti aumenterà (come sempre il Forum si articola in quello dei parlamentari, dei poteri locali, e il “sociale” vero e proprio, delle Ong e dei movimenti). L’Internazionale sarà ufficialmente rappresentata dai leader del Ps belga, Elio di Rupo (figlio di emigranti italiani). Che parla di un profetico dialogo, oltre la ristretta frangia dei “contestatoti permanenti” che si autoescludono da soli, con quelli che definisce gli CRISTIANO SOCIALI NEWS “altro-mondialisti”, per sottolineare il valore di proposizione alternativa alla globalizzazione neo-liberista di quanti la stampa normalmente chiama no o new-global. Un altro aspetto positivo, da accogliere fra i contenuti del dibattito socialista, sono gli elementi di “democrazia partecipativa” sperimentati dall’amministrazione del Pt alla guida della città di Porto Alegre. Accolto con molta simpatia dai partecipanti il deputato brasiliano José Eduardo Cardozo, (del Partito dei lavoratori) che ha parlato degli indirizzi del nuovo governo del presidente Lula. Lotta alla fame, all’esclusione sociale, per l’educazione, contro la corruzione e il crimine organizzato. Nel rispetto delle regole democratiche, e quindi con una necessaria ricerca di compromessi, ma secondo principi etici forti. Il dialogo sociale e il patto fra le parti per promuovere le riforme sono forse più lenti e difficili che l’imposizione dall’alto, ma più efficaci nel lungo periodo. Cardozo ha anche spiegato perché Lula, dopo l’intervento al Forum di Porto Alegre, volerà a Davos, dove negli stessi giorni si svolge l’incontro dell’élites economiche e politiche, di cui Porto Alegre vorrebbe essere il controaltare. Per spiegare le posizioni del suo governo e per una ricerca di dialogo, anche partendo da posizioni molto diverse. E al Social Forum di Porto Alegre e al Forum mondiale l’Is ha inviato un messaggio per spiegare e ribadire le proprie posizioni. L’Internazionale socialista è oggi probabilmente l’unica “famiglia politica” al mondo dove convivano persone e partiti multietnici e anche multireligiosi. E dove si possono chiamare “compagni” gli israeliani Peres e Beilin e il palestinese Al-Hassan. E non è poco. L’Agenda per il governo del mondo MESSAGGIO DELL’INTERNAZIONALE SOCIALISTA AL SOCIAL FORUM MONDIALE E AL FORO ECONOMICO MONDIALE Il messaggio si articola in sei punti. Il primo punto riafferma i principi dell’impegno per la pace e la giustizia, strettamente collegate. Il punto due ricorda l’agenda stabilita dall’Onu, la reputa limitata, e afferma che va concretizzata. Al punto tre riassume gli impegni principali: cancellazione del debito dei paesi più poveri; apertura dei mercati del mondo sviluppato; cambiamento radicale nel protezionismo dell’agricoltura da parte di Europa, Usa e Giappone; accesso effettivo ai farmaci dei più poveri; abolizione dei paradisi fiscali; significativo aumento degli aiuti pubblici allo sviluppo; particolare attenzione alle emergenze dell’Africa sub-sahariana. Al punto quattro si indica un programma globale di riforme delle organizzazioni internazionali, la creazione di un consiglio di sicurezza economica e sociale dell’Onu, la riforma del “sistema di Bretton Woods” (FMI, ecc.), la creazione di un’organizzazione mondiale per l’ambiente, un ruolo più forte dell’organizzazione mondiale del lavoro, l’introduzione di clausole sociali e ambientali del Two (organizzazione del commercio mondiale). Segue il punto sei, che propone un nuovo “patto mondiale” e che riproduciamo integralmente, con la sua introduzione. Questa agenda di riforme implica una profonda ridistribuzione del potere, che può essere considerata utopistica in un momento in cui il potere appare sempre più concentrato. “Per questo patto mondiale vogliamo sottolineare dieci punti fondamentali: a) Il commercio internazionale come motore di sviluppo e occupazione, basato sul libero accesso ai mercati delle economie sviluppate da parte dei paesi in via di sviluppo, specialmente per i prodotti agricoli e ad alto impiego di mano d’opera. segue a pag. 8 7 dal mondo L’Ultima IL PATRONO D’EUROPA Anacleto non fa a tempo a raccontare l’ultima boutade dei leghisti che Bossi, Castelli, Moroni e sodali padani ne “sparano” un’altra. Non si era, infatti, ancora spenta l’eco della proposta di legge, presentata in Parlamento dai deputati Ballaman e Rodeghiero, sul patrono d’Europa ed ecco che il consigliere provinciale di Trento, ex senatore leghista Boso (quello delle impronte digitali dei piedi e del “piscio dei maiali” sulle aree destinate alla costruzione delle Moschee) lancia l’idea dei vagoni separati per gli immigrati. In fondo Boso è generoso. Dal momento che c’era, poteva articolare meglio la proposta e distribuire i viaggiatori in carrozze (gli italiani) e in carri (gli immigrati) o, ancor meglio, far salire in treno gli italiani e mettere gli immigrati a …spingere il convoglio! Quando si dice la solidarietà! Non si ha memmeno il tempo di ridere su ogni “pensata” leghista; una dietro l’altra, come le barzellette. E alla fine le risate…si sprecano. La proposta di legge, presentata dall’on. Ballaman (a suo tempo si fece promotore d’analoga iniziativa legislativa per l’istituzione del marchio “Made in Padania”), mira a fare Patrono d’Europa Marco d’Aviano, che sarà beatificato il prossimo 27 aprile. Il deputato leghista - ignorando, tra l’altro, che non è nelle competenze del Parlamento e nemmeno del Cavalie- re d’Arcore, padrone d’Italia, l’indicazione del Patrono d’Europa - ritiene che (le parole virgolettate sono del leghista!) “il frate cappuccino, che nel 1683 guidò la resistenza contro gli ottomani giunti fino alle porte di Vienna” debba diventare il Patrono d’Europa “in quanto - sempre parole testuali del leghista - probabilmente senza Marco d’Aviano oggi la Basilica di San Pietro ospiterebbe le stalle di Maometto IV. E - sempre parole testuali del Ballaman - non credo sia un azzardo affermare che quella battaglia sia stato il primo vagito dell’Europa unita”. Ma queste cose le sanno a Bruxelles e a Strasburgo? Da sbellicarsi dal ridere. Anacleto non ne può più e di fronte a un tal cocktail di scempiaggine, ignoranza, protervia e ridicolezza, si limita a invitare il leghisata a…scherzare coi fanti e lasciar stare i santi. Comunque, provaci ancora Sam! E chissà perché ad Anacleto vengono alla mente due detti popolari. Il primo, antico, richiama una funzione atipica della bocca: serve a spartire le orecchie. Il secondo, più moderno, al passo con la nostra era tecnologica, è quasi una sorta di avviso. “Prima di aprire la bocca, verificare che il cervello sia inserito”. Anacleto segue da pag. 7 b) Trasformare il rischio di disuguaglianza nell’accesso alla tecnologia digitale in un’opportunità internazionale. I paesi in via di sviluppo devono poter “fare il salto della rana” nell’economia digitale ed il Nord deve lanciare un piano di inclusione per il mondo in via di SOSTENETE CS NEWS Si avverte che dal prossimo febbraio 2003, riceveranno la Rivista solamente gli Abbonati (ordinari € 26, sostenitori € 52) e tutti gli iscritti al Movimento CS che faranno pervenire, tramite la struttura Regionale, alla Sede Nazionale la somma di € 10, somma comprensiva dell’iscrizione e dell’abbonamento. Le modalità di Abbonamento sono immutate e cioè: a mezzo vers. postale sul c/c n. 19943000 intestato a Cristiano-Sociali, sede nazionale P.za Adriana,5 - 00193 Roma; a mezzo Bonifico Bancario - Banca di Roma Ag. n.8, c/c 14705/31 intestato a Cristiano-Sociali sede nazionale, Cod. ABI n. 3002, CAB n. 05017/9. CRISTIANO SOCIALI NEWS • SETTIMANALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO SOCIALI Sede Nazionale del Movimento: Piazza Adriana, 5 - Tel. 06/68300537-38 Fax 06/68300539 Redazione: presso Altrimedia s.r.l., Via Properzio, 5 - 00193 Roma - Tel. 0668809295 Fax 0668213814 e-mail: [email protected] Editore: Il Bianco & il Rosso scarl editore Direttore Responsabile: Vittorio Sammarco Direttore Editoriale: Giorgio Tonini In redazione: Vittorino Ferla, Chiara Martini Segreteria: Laura Horn Autorizzazione: Tribunale di Roma, n. 00424-97 del 4/7/97 Progetto grafico e videoimpaginazione: Altrimedia immagine&comunicazione - Matera/Roma Stampa: Consorzio Age - Roma sviluppo che coinvolga il partenariato pubblico privati. c) Trasformare lo sviluppo sostenibile in opportunità di crescita. Le attuali iniziative per promuovere uno sviluppo ambientale sostenibile nell’agricoltura, nel settore energetico e nei trasporti dovrebbero essere incoraggiate e le opportunità di lavoro che questo creerebbe dovrebbero essere sfruttate. d) Un nuovo approccio per le politiche di sviluppo che sfrutti le nuove opportunità commerciali, attragga investimenti esteri, faciliti l’imprenditoria, crei una capacità produttiva nazionale, infrastrutture locali e aumenti il grado di affidabilità. Nei paesi in via di sviluppo, la stabilità e i programmi di adeguamento strutturale dovrebbero garantire un maggior reddito fiscale per gli investimenti e favorire la spesa soprattutto nella istruzione, salute e sviluppo sociale. Il processo di cancellazione da debito deve essere accelerato per i paesi altamente indebitati e si devono rafforzare gli aiuti allo sviluppo, come parte di una strategia di riduzione della povertà. e) Una migliore regolamentazione, supervisione e affidabilità del sistema finanziario darebbe anche prospettive più stabili per una crescita e uno sviluppo sostenibili. f) Investire nelle risorse umane. Aumentare i livelli d’istruzione e accrescere le opportunità di formazione per tutti, usare strumenti innovativi, sono condizioni essenziali per creare maggiori e migliori opportunità di lavoro, le tecnologie informatiche possono avere un ruolo decisivo nel creare nuove opportunità ed elevare la qualità dell’istruzione. g) Assistenza sanitaria e sicurezza sono anch’esse un importante investimento sull’uomo ed hanno implicazioni dirette e molto positive per quanto attiene alla produttività e alla qualità della vita. La lotta alle malattie contagiose deve essere considerata una grande priorità. h) La capacità di lavoro e l’adattabilità devono essere perseguite con attive politiche nel mercato del lavoro che includano la lotta contro ogni forma di discriminazione e una più efficace assistenza per i lavoratori più poveri, allo scopo di migliorare le loro condizioni di lavoro. Sono necessarie strategie specifiche per l’economia informale. i) Un forte sistema di protezione sociale si è dimostrato un’efficace condizione per consentire alle persone di adattarsi al cambiamento. j) Combattere la criminalità legata alla droga e al riciclaggio di denaro sporco rafforzando il coordinamento internazionale per ridurre le fonti della domanda e dell’offerta e coinvolgendo la società civile nella prevenzione dell’uso della droga. Questo numero è stato chiuso in tipografia il 21 gennaio 2003 8 CRISTIANO SOCIALI NEWS