OSSERVO IN PLATEA LA GIOIA DEL PUBBLICO

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OSSERVO IN PLATEA LA GIOIA DEL PUBBLICO
[PERSONAGGI]
DI MICHELA TURRA
L
SULLE PUNTE
Sotto, la Compagnia di
balletto classico. Nella foto
grande: Liliana Cosi in
Spartacus e nell’altra
pagina, con Marinel
Stefanescu in Coppelia
iliana Cosi, una vita per la danza.
Anche una volta riposte le scarpe
da punta, la prima ballerina grande
étoile della Scala, per anni guest artist al Teatro Bolshoi di Mosca, ha continuato a dedicarsi al balletto. La Scuola di balletto classico
fondata a Reggio Emilia, con il ballerino rumeno Marinel Stefanescu nel 1978 e la Compagnia balletto classico che ha sede nello stesso edificio, 2.600 metri quadrati di spazi tutti
per il ballo, la occupano a tempo pieno.
Signora Cosi, com’è cominciato il suo
grande amore per la danza?
«È stato un caso, ho avuto l’occasione di
partecipare a uno spettacolo, mi hanno fatto
SCALA, BOLSHOI E REGGIO EMILIA
M
“
”
La danza è
un’espressione
dell’anima. La mia
maestra russa diceva
che eleva lo spirito
dell’uomo
ilanese, nata nel
1941, Liliana Cosi
studia alla Scuola di ballo
del Teatro alla Scala di
Milano, dove si diploma
quale miglior allieva.
Nel 1963 è inviata dalla
Scala a Mosca, al Teatro
Bolshoi, e vi torna per tre
anni studiando coi maggiori
maestri. Nel 1965
esordisce al Bolshoi da
protagonista ne Il lago dei
cigni; di ritorno alla Scala è
promossa solista e le si
affida il ruolo di prima
ballerina in Cenerentola.
Di nuovo al Bolshoi debutta
nel 1966 in Giselle e l’anno
dopo ne La bella
addormentata nel bosco.
Dal 1968 è prima ballerina
étoile della Scala dove
interpreta i ruoli più
impegnativi del repertorio
classico. Nel 1969
debutta alla Scala ne Lo
schiaccianoci con Nureyev.
A 27 anni comincia la sua
carriera di guest artist e
raggiunge i più alti livelli
internazionali. La sua
notorietà è al culmine
quando, con Marinel
Stefanescu e sua moglie
Louise, fonda
l’Associazione balletto
classico, di cui è
presidente. Nel 1978
inaugura il centro di Reggio
Emilia, che diviene presto
fulcro di produzione, sede
della Compagnia balletto
classico Cosi-Stefanescu
e della Scuola di balletto
professionale, che ha
formato ballerini presenti
in molte compagnie
europee. La Compagnia
balletto classico, di cui
Stefanescu è coreografo,
in trent’anni di attività si è
esibita in più di 370 città
italiane e 50 estere, con
2.000 spettacoli. Accanto a
un’intensa attività costellata
di riconoscimenti e premi,
Liliana Cosi ha scritto un
libro autobiografico,
Étoile - la mia vita.
OSSERVO
IN
PLATEA
LA
GIOIA
DEL
PUBBLICO
Liliana Cosi e la sua scuola di danza: «C’è chi entra in sala distrattamente ed esce felice. Che c’è di meglio?»
mettere le scarpe da punta e ho ballato sulle
punte come se l’avessi sempre fatto. Ero una
bambina timida, introversa, eppure in
palcoscenico mi sentivo come a casa
mia. Così, mi hanno iscritta alla Scala. Avevo otto anni e mezzo. Ho frequentato le elementari internamente, le medie invece ho dovuto farle
fuori, serali, perché di giorno avevo
lezioni di ballo. L’adolescenza è stata
faticosa, dovevo leggere in autobus
per sfruttare tutti i minuti liberi».
E adesso, finalmente trova il
tempo per leggere?
«Sì, leggo soprattutto
biografie di artisti, docu48
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menti sul loro vissuto. La raccolta di lettere di
Ciakowski, per esempio, testimonia di qualcuno che ha fatto cose sublimi anche se la vita allora era dura. Adesso è il contrario: alcuni artisti stanno benone e, per fare moda, ti sbattono in faccia tutti i problemi della società».
Cosa pensa della danza contemporanea?
«Oggi tutto è contaminato. Io non ho prevenzioni su nessuno stile, ma sul senso dell’operazione che si fa. Si può usare qualsiasi
linguaggio, ma bisogna fare attenzione alla
qualità. Se c’è purezza artistica non importa
avere le scarpe da punta: sul Claire de lune di
Debussy, Stefanescu non le ha volute perché
la musica è così delicata che non voleva sentire
rumore. Da qualche anno i teatri sono meno
pieni perché gli spettatori non hanno capito
più nulla, sono storditi dalla “non” danza».
Che cos’è, a suo parere, la danza?
«La danza, e la storia lo insegna, è da sempre un’espressione dell’anima, dell’essere, dell’intera persona. “La danza eleva lo spirito dell’uomo”, mi diceva la mia maestra russa. La
cosa più bella per me, da quando non ballo
più e sto in platea a vedere la compagnia ballare, è osservare le reazioni del pubblico, che
magari è entrato distratto ed esce felice».
L’idea di una scuola da dove nasce?
«Nasce dalla mia esperienza in Russia, dalla grandezza dei maestri che ho avuto là.
Quando, nel 1977, ho avuto il coraggio di licenziarmi dalla Scala e di tentare quest’av-
ventura con Stefanescu, ho realizzato un proposito che coltivavo fin da giovane, un sogno che avevo nel cuore».
Ha rimpianti sul piano della vita privata?
«Niente affatto. Io do tutto e se non mi
fossi affermata nella danza probabilmente
mi sarei fatta una famiglia. Ma un artista non
può dividersi e sono felice che mi sia toccata
questa meravigliosa famiglia allargata».
Cosa si augura in futuro per la danza?
«Che sia più fruibile perché aiuta a superare la divisione corpo-mente. La danza si
preoccupa di restituire anima alla gente, canta la bellezza dell’unità della persona. Per
questo occorre possedere tanta tecnica, non
per esibirla, ma per poterla dimenticare». 왎
“
”
Mi piacerebbe
che quest’arte fosse
più fruibile da tutti
perché aiuta
a superare la divisione
fra corpo e mente
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