Dal Giappone con dolcezza

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Dal Giappone con dolcezza
28 maggio 2016 delle ore 15:06
Dal Giappone con dolcezza
La storia del kimono in mostra all’Istituto giapponese di Cultura di Roma racconta l’evoluzione
del gusto, dalla preziosità al prêt-à-porter. E una straordinaria manualità
Il ciliegio (sakura) - così denso di significati nel
Sol Levante - è appena sfiorito nel giardino in
stile sen’en (giardino con laghetto) dell’Istituto
Giapponese di Cultura di Roma. Solo qualche
grappolo di glicine s’intreccia al verde della
veranda che guarda lo specchio d’acqua. Per
vivere l’esperienza di una primavera senza
tempo che esplode in tutta la sua intensità
cromatica, basta però entrare nell’edificio che
ripropone in chiave moderna una tipica
architettura della corte Heian e lasciarsi
catturare dal fascino dei kimono esposti nella
mostra "Vivid Meisen. La sfavillante moda
kimono” (fino al 4 giugno). "Vivid Meisen” era
proprio lo slogan degli anni Venti con cui
venivano pubblicizzati i kimono della ditta
Meisen, una delle principali nella produzione
di questi capi d’abbigliamento ecologici ed
economici, perché realizzati con residui di seta
fuori standard rilavorata e tinta con tecniche
diverse. La mostra, organizzata dall’Istituto
Giapponese di Cultura in collaborazione con
l’Ashikaga Museum of Art e con il supporto
delle città di Ashikaga, Isesaki e Chichibu (aree
del distretto tessile del Giappone centrosettentrionale
da cui provengono gli oggetti esposti) è tra gli
eventi celebrativi del 150° anniversario delle
relazioni Italia-Giappone, che è stata anche
l’occasione della visita del principe Akishino,
secondo in linea di successione al trono del
crisantemo e della consorte principessa Kiko.
L’ultimo appuntamento, il 16 maggio, ha
previsto anche una visita all’Istituto Giapponese
di Cultura e l’incontro con la direttrice Naomi
Takasu che ha accompagnato la coppia di
Altezze Imperiali nel giardino virtuale di
camelie, gladioli, peonie, dalie, ortensie,
garofani selvatici a cui si aggiungono rose e
tulipani (unici due fiori non giapponesi), creati
dalle sapienti mani dei tessitori che hanno
intrecciato fili dai colori sgargianti, e nel
giardino reale progettato dal noto architetto Ken
Nakajima.
Tutti rigorosamente vintage, gli oggetti esposti
- kimono, haori e poster - che attraversano un
lungo e significativo periodo del secolo scorso,
dagli anni Venti al ‘60, segnato dal momento
buio della guerra. C’è poi lo sgabello-pouf
(orico-meisen stool), realizzato dal giovane
designer Junya Maejima, con l’utilizzo di un
vecchio telo di seta meisen per mostrarne le
possibilità di "riciclo” in combinazione con un
design contemporaneo. Oggi il kimono viene
indossato solo in occasioni speciali come
matrimoni e feste particolari, o magari
sfoggiato (prendendolo in affitto) durante la
gita turistica a Kyoto, ma fino agli anni ‘60 era
l’indumento femminile per eccellenza. Il
kimono prêt-à-porter, in particolare, nasce negli
anni Venti, sviluppandosi e diffondendosi in un
clima di grande liberalismo, in cui gli scambi
con l’Occidente sono intensi e reciprocamente
stimolanti. Ed è proprio il kimono Meisen,
destinato ad una fascia di clienti estremamente
variegata e numerosa, a dare un’impronta unica
ai kimono. C’erano naturalmente capi di seta
più preziosa - sebbene sempre di seconda scelta
- accanto alla versione più economica. A
stabilire il valore dell’indumento era
determinante anche la presenza del sotto
kimono, o della fodera interna, che se in seta
risultava decisamente più pregiata del ryon o
del cotone. In ogni caso ogni pezzo veniva
riprodotto solo in duecento esemplari. Quanto
alla tecnica di tessitura (kasuri) e tintura (ikat)
era frutto di un vero equilibrio tra
professionalità e creatività: il tessuto era tinto
in fasci di fili parzialmente legati in modo da
lasciarne una parte bianca. Dall’intreccio dei
fili trattati si creava il disegno, oppure il pattern
viene tracciato con l’utilizzo di uno stampo in
carta.
libertà di movimento - anche in Giappone, con
l’incremento della scolarizzazione femminile,
la donna lavora fuori dalle mura domestiche e
può ambire a diversi ruoli professionali. Anche
nel Sol Levante, quindi, la moda - in questo caso
quella del kimono Meisen - riflette le esigenze
dettate dalle conquiste sociali. Le stampe del
tempo - poster e cartoline postali - a cui è
affidata la veicolazione del messaggio
pubblicitario (considerando anche che questi
indumenti venivano commercializzati nei
moderni grandi magazzini), ci mostrano, poi,
giovani donne che al posto delle complicate
acconciature con i kanzashi sfoggiano i capelli
corti. Un altro segnale di attenzione a quanto
avveniva in Occidente nel campo della moda e
del costume che va ad intrecciarsi con la
tradizione ornamentale locale.
Manuela De Leonardis
«Il Meisen è il sottoprodotto felice dello
scambio culturale Occidente-Giappone», afferma
Tetsuya Oomori, direttore dello Ashikaga
Municipal Art Museum, che con il ricercatore
Arai Masanao è stato protagonista della
conferenza "Modernismo e Kimono”, organizzata
in occasione dell’inaugurazione della mostra. «
Ma è anche il simbolo della modernizzazione
del paese. Nasce, infatti, dal rapporto tra arte e
design» Le avanguardie storiche - in particolare
il Futurismo e il Cubismo Orfico - sono la sua
principale fonte d’ispirazione, evidente nella
presenza di motivi legati al movimento (spirali,
linee ondulate, forme geometriche), alla
tecnologia (barche a vela, aerei militari, aspi),
accanto a pattern più tradizionali che s’ispirano
al regno animale come libellule e colombi,
mentre le piume di pavone rappresentano la
quintessenza dell’esotico. Esattamente negli
stessi anni in cui in Europa e negli Stati Uniti
l’emancipazione femminile era sancita dalla
profonda trasformazione degli abiti all’indomani della Grande Guerra vediamo
accorciarsi le gonne che scoprono le caviglie
arrivando, meno di un decennio dopo, a sfiorare
il ginocchio proprio per permette maggior
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