2013 22 Giugno 2013 NOTIZIARIO

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2013 22 Giugno 2013 NOTIZIARIO
Dirigenti Scolastici
NOTIZIARIO NAZIONALE
N. 039/ 2013
2013 – 22 Giugno 2013
R. Ciuffreda - Coordinamento Nazionale STRUTTURA COMPARTO NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI FLC
IN PRIMO PIANO
01. Camusso: "Basta annunci senza scelte". Lavoro, al via
la 'marcia' di Cgil-Cisl-Uil
02. Dirigenti scolastici: valutazione, i sindacati chiedono un
incontro al MIUR
03. Il protocollo di intesa sottoscritto da UPI e ANP è un
atto da ritirare
MANOVRA - MEF – F.P. RAPPORTI STATO - REGIONI – NOTIZIE ESTERO
04. "Decreto del fare": timidi segnali positivi per le
assunzioni negli enti di ricerca e università ma per le scuole
continuano i tagli
05. Pubblica Amministrazione: CGIL, inaccettabile proroga
del blocco della contrattazione
06. Scuola: NO al blocco dei contratti
NOTIZIE NAZIONALI
07. Finanziamenti
economie MOF
alle
scuole:
firmata
l’Intesa
sulle
08. Finanziamenti alle scuole: in arrivo la nota del MIUR sul
pagamento dei supplenti e delle ferie
09. Precari scuola. 59.000 assunzioni in 4 anni: ancora
troppo poche
10. Concorso 24 mesi ATA 2012/2013: nessun rinvio
all'anno successivo del riconoscimento giuridico del
servizio
11. Bisogni educativi speciali: convocato l’incontro per il 26
giugno 2013
12. Emergenza infanzia: un primo segnale da Palazzo Chigi
SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA
13. Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 –
Fusari – Diritto scolastico
NAVIGANDO IN RETE
14. Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno …
A proposito di “maturità” e prima prova -di Antonio Valentino
15. Per le nuove scuole soldi e idee. Era ora - Luigi Berlinguer
16. Politicamente corretto... Note a margine delle dichiarazioni
programmatiche del Ministro M.C.Carrozza alle Camere - di Giancarlo
Cerini – scuola oggi
17. Tra Orwell e Young. Incubi per chi insegna - di Benedetto Vertecchi
- Tuttoscuola, XXXVIII, 530, 2013
18. Scuola, per cambiarla coinvolgere tutti i protagonisti - di B.
Vertecchi
19. Occorre un curricolo verticale per consentire ai giovani di
conseguire le competenze di cittadinanza Maurizio Tiriticco
20. La scuola è morta, viva la scuola - Franco De Anna
N.B. PER MOTIVI TECNICI,
IL NOTIZIARIO NAZIONALE E GLI ALLEGATI
SONO ARCHIVIATI ED ACCESSIBILI SUL SITO REGIONALE FLC LOMBARDIA
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
• MANIFESTAZIONE 22 GIUGNO 2013 INTERVENTO INTEGRALE CAMUSSO
• decreto legge del 15 giugno 2013 sviluppo semplificazione e giustizia civile
• intesa miur sindacati scuola economie mof 2011 2012 e pratica sportiva 2012
2013 del 20 giugno 2013
• nota 5954 del 17 giugno 2013 concorso 24 mesi personale ata
• Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 Soccombenza virtuale e
rifusione delle spese giudiziali.
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IN PRIMO PIANO
01. Camusso: "Basta annunci senza scelte". Lavoro, al via la 'marcia' di
Cgil-Cisl-Uil
E' la giornata della protesta unitaria nella
Capitale, dopo 10 anni, dei tre sindacati di
nuovo insieme: Cgil, Cisl e Uil.
Oltre 100 mila persone in marcia per il lavoro e per un fisco più equo, arrivate nella capitale
anche con 1.400 pullman e voli aerei e navi 'speciali'. I partecipanti si sono raccolti a piazza
della Repubblica e a piazzale dei Partigiani, per poi percorrere due tragitti distinti e incontrarsi,
alla fine, alle 11.30 circa, a piazza di porta San Giovanni, dove è stato allestito il palco per gli
interventi finali.
Presenti i tre segretari generali, Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi
Angeletti (Uil) per chiedere provvedimenti "urgenti e indispensabili" al governo. Per i sindacati
non c'è più tempo da perdere, "bisogna frenare la caduta libera dell'economia del nostro
paese" rivedendo immediatamente questioni come gli investimenti, la redistribuzione del
reddito e la ripresa dei consumi.
Il leader del sindacato alla manifestazione a Roma: "Siamo in piazza perché il Paese ha
bisogno di risposte rapide. I provvedimenti del Governo non vanno bene: sono continui
annunci che non si traducono in un vero cambiamento". Oltre 100 mila le persone arrivate da
ogni parte d'Italia
"Non vanno bene i continui annunci che non si traducono in una scelta che dia il senso del
cambiamento". La leader della Cgil, Susanna Camusso, riassume così il senso della
manifestazione unitaria a Roma. "La priorità, dice, deve essere "una restituzione fiscale a
lavoratori dipendenti e pensioni". "Al Paese servono risposte rapide che lo aiutino a uscire dalla
crisi, non continui annunci". "Siamo in piazza - ha continuato Camusso - perché il paese ha
bisogno di risposte rapide. I provvedimenti del Governo non vanno bene: sono continui
annunci che non si traducono in un vero cambiamento".
"Sul terreno del lavoro - ha aggiunto - si possono fare cose importanti anche senza risorse,
come la clausola sociale sugli appalti e la garanzia per i lavoratori che non perdano il posto in
quelle situazioni. Invece si fa una discussione sulla flessibilità che non è utile per fare ripartire
l'economia. Oggi manifestiamo e vediamo quali risposte arriveranno, ma i sindacati sono
convinti che senza risposte si perde tempo e si aggrava la crisi. La situazione non sta ferma in
attesa e peggiora", ha concluso Camusso.
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
• MANIFESTAZIONE 22 GIUGNO 2013 INTERVENTO INTEGRALE CAMUSSO
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02. Dirigenti scolastici: valutazione, i sindacati chiedono un incontro al
MIUR
I sindacati intendono affrontare
le questioni connesse alla
partecipazione al progetto
sperimentale Vales e quelle
derivanti dal DPR sul sistema
nazionale di valutazione.
Le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dell’Area V della dirigenza
scolastica (FLC CGIL, CISL Scuola, SNALS CONFSAL, UIL Scuola) hanno chiesto al Ministro, al
capo di Gabinetto ed al Direttore per il personale un incontro urgente per affrontare le
questioni relative alla valutazione dei dirigenti scolastici.
Questo per evitare che, mentre non è stato mai dato seguito alla valutazione prevista
nell’articolo 20 del CCNL 2002/2005, tutt’ora in vigore, in modo inopportuno sia tirata in ballo
la valutazione dei dirigenti scolastici in progetti quali Vales o in attuazione del DPR sul
Sistema Nazionale di Valutazione.
Con la richiesta di incontro, i sindacati intendono attivare sull’argomento la procedura di
concertazione prevista dall’articolo 5 del CCNL dell’11 aprile 2006, poi integrato dall’articolo 3
del CCNL dell’Area V del 15 luglio 2010.
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FLC CGIL - CISL SCUOLA - SNALS CONFSAL - UIL SCUOLA
Roma, 17 giugno 2013
On. Maria Chiara Carrozza
Ministro dell’Istruzione, della Università e della Ricerca
Dott. Luigi Fiorentino
Capo Gabinetto Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca
Dott. Luciano Chiappetta
Direttore Generale per il Personale Scolastico Ministero dell’Istruzione, della Università e della
Ricerca
Viale Trastevere, 76 a
00153 Roma
Le scriventi Organizzazioni Sindacali rappresentative dell’Area V della Dirigenza scolastica
chiedono un incontro urgente per affrontare le problematiche della valutazione dei dirigenti
scolastici connesse alla partecipazione al progetto sperimentale Vales e quelle derivanti dal
DPR sul sistema nazionale di valutazione.
Si segnala che la stessa presentazione del progetto Vales richiama la validità sia dell’art. 25 del
DLgs 165/2001 sia dell’art. 20 del CCNL 2002-2005 non modificato dal vigente CCNL 2006-09.
La presente richiesta è inviata ai sensi del comma 3 dell’art.5 CCNL 2002-2005 non modificato
nel punto specifico dall’art.3 del vigente CCNL2006-09.
Si preannuncia l’intenzione delle scriventi Organizzazioni Sindacali di chiedere la procedura di
concertazione prevista dal comma 4 del citato art.5 del CCNL 2002-05.
Si resta in attesa di un cortese riscontro e si porgono distinti saluti.
I Responsabili dei Dirigenti Scolastici di
FLC CGIL
Gianni Carlini
CISL SCUOLA
Mario Guglietti
UIL SCUOLA
Rosa Cirillo
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SNALS CONFSAL
Pasquale Ragone
03. Il protocollo di intesa sottoscritto da UPI e ANP è un atto da
ritirare
I sindacati maggiormente
rappresentativi dei comparti della
scuola e della dirigenza chiedono
all’Unione delle Province d’Italia
l’immediato ritiro dell’intesa.
Non è ammissibile che l’UPI (Unione delle Province d’Italia), ente riconosciuto come autorevole
rappresentante delle province, sottoscriva un' Intesa che riguarda le scuole superiori e i
Dirigenti scolastici con una sola organizzazione sindacale non rappresentativa delle scuole
autonome e minoranza nell’Area V della dirigenza scolastica.
L’intesa, stipulata da un soggetto che non ha alcun potere di rappresentare le scuole, è priva
di qualsivoglia fondamento giuridico ed amministrativo e si conforma ad una prospettiva di
mero risparmio economico su temi di estrema importanza come la fornitura di servizi
fondamentali (energia e comunicazioni) e la sicurezza e la vivibilità delle strutture scolastiche.
E’ provato in modo incontestabile da tutte le rilevazioni che è necessario intervenire sulle
condizioni materiali in cui viene erogato il servizio pubblico di istruzione.
Nelle attuali condizioni ipotizzare che si possa intervenire con una logica di ulteriore risparmio
è impensabile. Sul miglioramento è invece indispensabile tornare ad investire.
E’ ora di smetterla di scaricare responsabilità sulle scuole e di aumentare le responsabilità
dei dirigenti e dei lavoratori impegnati nei servizi caricandoli di incombenze che non hanno a
che vedere con lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle scuole.
I Coordinamenti Nazionali dei Dirigenti Scolastici di FLC CGIL, CISL Scuola, UIL scuola e SNALS
CONFSAL, organizzazioni che insieme rappresentano la maggioranza dei dirigenti scolastici,
hanno analizzato in un comunicato forma e contenuti del Protocollo di Intesa ed espresso il
proprio completo dissenso.
I Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori
della scuola (FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS CONFSAL) hanno inoltrato una
lettera all’UPI chiedendo l’immediato ritiro del Protocollo di Intesa ed un conseguente
confronto di metodo e merito sull’argomento.
Riportiamo di seguito il testo del comunicato dei Coordinamenti Nazionali dei Dirigenti
Scolastici di FLC CGIL, CISL Scuola, UIL scuola e SNALS CONFSAL.
_______________________
Il 13 giugno 2013 l’UPI (Unione delle Province d’Italia), associazione rappresentativa di tutte le
province italiane, con esclusione di quelle autonome, e l’ANP (Associazione Nazionale dei
Dirigenti), organizzazione sindacale dell’Area V della dirigenza scolastica che rappresenta il
36,33% dei dirigenti hanno firmato un protocollo d’intesa.
Desta forte perplessità il fatto che un ente, seppure a natura associativa, ma riconosciuto
come autorevole rappresentante delle province, decida di sottoscrivere un’intesa con una sola
organizzazione sindacale, oltretutto minoritaria fra i dirigenti scolastici, assumendo e
condividendo impegni che riguardano tutte le scuole autonome del secondo ciclo.
Le scriventi Organizzazioni Sindacali dell’Area V della dirigenza scolastica, che rappresentano
(ultimi dati ARAN sulla rappresentatività 2013-15) il 56,54% dei dirigenti scolastici,
denunciano la falsità di quanto asserito dalle parti che hanno sottoscritto il protocollo di intesa:
l’ANP non rappresenta la categoria dei dirigenti, ma ne è solamente una delle organizzazioni
sindacali rappresentative. Come tale è legittimata a sedere ai tavoli contrattuali e di confronto,
ma non certo a rappresentare in via esclusiva una categoria di lavoratori nelle relazioni con
altri enti ed istituzioni. Tanto meno l’ANP è rappresentativa delle scuole, che sono dotate di
una autonomia di rango costituzionale e si rapportano con gli interlocutori del territorio,
istituzionali e non, attraverso gli strumenti delle reti o nelle conferenze di servizio previste
dalla legge 241/90.
Ad esprimere e rappresentare le scuole autonome sarebbero certamente più titolate
associazioni territoriali rappresentative di tutte le istituzione scolastiche, legittimate dalla
certezza di una costituzione elettiva e democratica e con regole di funzionamento previste dalla
legge.
In attesa che il legislatore riprenda il percorso di definizione delle rappresentanze delle scuole
autonome, ogni tentativo di sostituirsi ad esse è inopportuno e sbagliato.
Un protocollo di intesa fra l’UPI e soggetti non riconosciuti come rappresentativi delle scuole
autonome non aiuta peraltro queste ultime a gestire un contesto reso sempre più difficile dalla
penuria di finanziamenti e dallo stato delle strutture scolastiche.
Soprattutto non è positivo che i temi dell’idoneità dei locali, della manutenzione ordinaria delle
scuole e della sicurezza vengano trattati in una mera logica di risparmio, con la presunzione
che sia addirittura possibile recuperare risorse per le scuole attraverso il trasferimento ad esse
dei fondi, attualmente a disposizione delle province per la manutenzione ordinaria, sulla base
della spesa storica. Altrettanto aleatoria è l’ipotesi di ottenere risparmi attraverso la voltura, a
carico delle scuole, dei contratti per la fornitura dei servizi telefonici e dell’energia elettrica. Si
tratta di risparmi il cui conseguimento appare assai incerto e non sempre, secondo il
protocollo, a vantaggio delle scuole.
Le scriventi Organizzazioni Sindacali dell’Area V della dirigenza scolastica ritengono invece che
la questione della messa in sicurezza delle scuole e del loro mantenimento in condizioni di
sicura ed efficace funzionalità richieda sia l’utilizzo di tutte le risorse economiche necessarie,
sia il mantenimento in carico alle province delle responsabilità che la legge 23/1996 ha loro
assegnato.
Quindi non servono fondi assegnati una tantum alle scuole, a prescindere dalle esigenze che
eventualmente potrebbero sopraggiungere, ma la certezza che quanto effettivamente serve
venga assicurato alle scuole da parte di chi è tenuto a farlo istituzionalmente.
Le scuole e i loro dirigenti devono poter indirizzare in modo prioritario il loro impegno sul
versante dell’azione didattico - educativa e della sua miglior qualità, non possono esaurire la
loro funzione nella ricerca di finanziamenti o nella gestione degli edifici. Il moltiplicarsi
incontrollato delle incombenze assegnate alle scuole autonome, lungi dal costituire una
valorizzazione del ruolo dei dirigenti e della loro professionalità rischia invece di aumentarne in
modo insostenibile carichi di lavoro e responsabilità, su aspetti di prevalente carattere
burocratico che non sono sicuramente al centro della loro funzione istituzionale.
I coordinatori nazionali Dirigenti Scolastici
FLC CGIL
Gianni Carlini
CISL SCUOLA
Mario Guglietti
UIL SCUOLA
Rosa Cirillo
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SNALS CONFSAL
Pasquale Ragone
MANOVRA - MEF – F.P. - RAPPORTI STATO - REGIONI – NOTIZIE ESTERO
04. "Decreto del fare": timidi segnali positivi per le assunzioni negli
enti di ricerca e università ma per le scuole continuano i tagli
Turn over al 50% ma riduzione, a regime,
di 49 milioni di euro sugli appalti delle
scuole. Per la FLC CGIL un testo da
modificare.
Presentiamo ai navigatori un primo commento delle norme specifiche su ricerca, istruzione e
università contenute nell’ultima versione a nostra disposizione del decreto legge licenziato dal
Consiglio dei Ministri con l’avviso che potrebbe non essere, incredibilmente, ancora quella
definitiva. Appena il testo sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale pubblicheremo un’analisi
approfondita. Nel frattempo, ci impegneremo per ottenere, tramite emendamenti,
cambiamenti significativi del testo.
L'articolo 57 - interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese - prevede
che il MIUR conceda “contributi alla spesa nel limite del cinquanta per cento della quota
relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibile nel Fondo FAR” per attività di ricerca di
base, applicata e al potenziamento delle infrastrutture. Le risorse saranno individuate con
decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze.
Non è quindi chiaro quali saranno i criteri per definire le priorità di questi contributi, ma
soprattutto quale sia la reale entità del fondo FAR a cui si potrà attingere. Le voci finanziabili
sono troppe con il rischio di una polverizzazione dei contributi. Queste voci appaiono piuttosto
l'elenco di una serie di priorità del Ministro che la segnalazione di precisi interventi da attuare a
breve termine. In quest'ottica le linee di intervento sono comunque condivisibili, anche se
riteniamo che la principale priorità debba essere la valorizzazione della ricerca di base e al
sostegno ai giovani ricercatori.
L'articolo 58 comma 1 prevede che il turn over degli enti di ricerca e delle università passi
dal 20% al 50%.
Lo stesso articolo (comma 2) rifinanzia il fondo ordinario delle università e degli enti di
ricerca vigilati dal Miur ma taglia le risorse per gli appalti dei servizi delle scuole (comma 5).
Sembrerebbe che l'alleggerimento, anticipato di un anno del vincolo del turn over rispetto alla
previsione attuale che prevedeva l'incremento al 50% dal 2015, valga per tutti gli enti pubblici
di ricerca. Difficile comprendere perché a questo punto non sia stato portato al 100%
considerando che si tratta di risorse già nella disponibilità degli enti e degli atenei. Dobbiamo
però ricordare che non si tratta dell'unico limite che insiste sulle assunzioni poiché sia gli enti
che le università sono penalizzate anche dal tetto di spesa per il personale sulle risorse
complessive diventato più penalizzante con i tagli degli ultimi anni. Ad esempio, per le
università sussistono ancora i vincoli all'impiego delle risorse liberate dal turn-over definiti dal
decreto legislativo n. 49 attuativo della legge 240/2010 i cui indicatori andranno rivisti a breve.
Date le difficoltà di bilancio degli atenei e le riduzioni al FFO degli ultimi anni, questi vincoli
possono rendere teorico il turn-over al 50% a fronte di atenei che potranno reclutare
utilizzando percentuali di molto inferiori di budget. Gli enti di ricerca, invece, sono poi spesso
impossibilitati comunque ad assumere perchè hanno dotazioni organiche inadeguate o non
hanno turn over come nel caso emblematico dell'INGV.
È molto positivo che venga rifinanziato il Fondo per il funzionamento delle università statali
per 21,4 milioni nell’anno 2014 e 42,7 milioni a decorrere dall’anno 2015 e il Fondo ordinario
degli enti di ricerca per 3,6 milioni nell’anno 2014 e 7,1 milioni a decorrere dall’anno 2015. Il
governo risponde così anche alle sollecitazioni contenute nei pareri approvati all'unanimità
delle Commissioni cultura di Camera e Senato sulla ripartizione del FOE. Sarebbe stato
opportuno rifinanziare il fondo anche degli enti non vigilati dal Miur che sono stati oggetto di
tagli lineari da ultimo con la spending review. Si continua a perpetrare questa distinzione
anacronistica. Serve infatti un intervento ad hoc che consenta un piano straordinario di
reclutamento e stabilizzazioni come abbiamo chiesto da ultimo alle commissioni cultura della
Camera e del Senato con il documento unitario di FLC CGIL, CISL FIR e UIL RUA.
L’incremento delle risorse per gli Atenei e alcuni Enti Il fondo per il funzionamento delle scuole
cosiddetto “capitolone” è ridotto di 25 milioni di euro per il 2014 e di 49,8 milioni di euro per il
2015 sulla parte che finanzia gli appalti delle pulizie. Qualora si dovessero verificare ulteriori
risparmi questi saranno utilizzate per incrementare il funzionamento didattico e amministrativo
delle scuole o per pagare le supplenze.
Gravissimo quindi è che il recupero di risorse avvenga con il taglio degli appalti nelle
scuole. L'effetto sarà la perdita di posti di lavoro e un peggioramento dei servizi e della cura
degli ambienti scolastici. Non si esita a speculare sulla pelle dei lavoratori, mettendoli gli uni
contro gli altri, dal momento che ulteriori risparmi finanzieranno il pagamento delle supplenze
saltuarie. Ciò è inaccettabile e dimostra la povertà culturale di chi ha proposto e accettato tale
modifica.. Le risorse si devono trovare altrove e subito.
L'articolo 58 comma 3 semplifica le procedure di chiamata nel ruolo di ricercatore a tempo
determinato di studiosi che siano risultati vincitori di programmi di ricerca di alta qualificazione
scientifica.
L'intervento era da tempo richiesto dallo stesso CUN perché appariva irragionevole che studiosi
vincitori di programmi di ricerca competiti nazionali o internazionali di alta qualificazione, quali
ad esempio i progetti FIRB o i bandi ERC, dovessero passare una nuova verifica, del tutto
formale, da parte di una commissione nazionale nominata dal Consiglio per essere. Questo
determinava l'allungamento dei tempi per il reclutamento dei ricercatori e l'impossibilità, in
molti casi, di gestire tempestivamente e con efficacia i fondi di ricerca di cui erano responsabili.
L’art. 59 istituisce borse di studio per la mobilità interregionale degli studenti universitari
finanziate con 5 milioni di Euro.
Rappresenta una inversione di tendenza necessaria. Negli ultimi anni infatti complice la
riduzione delle risorse la mobilità tra gli atenei si era ridotta con gravissimo danno per tutti
anche in considerazione del fatto che le università non offrono gli stessi corsi di studio. La
mobilità degli studenti da sempre dovrebbe essere una precondizione dell'autonomia. Tuttavia,
le risorse appaiono esigue e soprattutto sono parte del Fondo di funzionamento ordinario
dell'Università che è già sottodimensionato rispetto alle esigenze ordinarie. Ma soprattutto di
fronte al tracollo del fondo nazionale per il diritto allo studio sarebbe stato a nostro avviso più
importante destinare risorse a quest’ultimo.
L'articolo 60 (comma 1) prevede una diversa composizione del fondo ordinario degli atenei
facendo confluire in esso le voci di spesa relative alla programmazione dello sviluppo del
sistema universitario, il fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli
studenti, e il capitolo destinato alle borse di studio universitarie post lauream.
Ciò dovrebbe consentire comunque maggiore flessibilità nella gestione del fondo ed evitare che
queste risorse eventualmente non utilizzate si possano perdere. È importante, tuttavia, che le
risorse in precedenza impegnate per il sostegno ai giovani e alle borse di studio post-laurea
vengano confermate come voci autonome nella distribuzione del Fondo di funzionamento
ordinario.
Il comma 2 e 3 dello stesso articolo prevedono che l'Anvur assolva anche alla funzione di
valutazione delle attività amministrative deputate alla CIVIT.
Abbiamo sempre detto che il lavoro di valutazione del CIVIT costituiva una duplicazione
insensata con l'entrata in funzione dell'ANVUR. Pur ribadendo la nostra contrarietà all'impianto
del DLgs 150/2009 e le nostre riserve sull'operato del Anvur riteniamo comunque che non
abbia senso che la Civit continui ad operare per gli enti di ricerca non vigilati dal Miur. Serve
un riferimento unico per la valutazione di sistema.
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
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decreto legge del 15 giugno 2013 sviluppo semplificazione e giustizia civile
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05. Pubblica Amministrazione: CGIL, inaccettabile proroga del blocco
della contrattazione
Nicolosi al Governo: riaprire la stagione
contrattuale e affrontare le questioni
economiche e normative.
Da http://www.cgil.it/
Il Parlamento si appresta a varare il parere sul decreto previsto dal Governo Berlusconi e
varato da quello Monti con il quale si prorogano di un ulteriore anno tutte le misure
economiche e normative varate nel 2010, a partire dal blocco della contrattazione e che
stanno determinando una pesante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni di
3.300.000 dipendenti pubblici oltre che l'impossibilità di gestire i processi di riforma della
Pubblica Amministrazione.
Per il sindacato un ulteriore anno di proroga del blocco della contrattazione “è assolutamente
inaccettabile e la manifestazione di sabato prossimo lo dimostrerà” ha dichiarato il Segretario
Confederale della CGIL, Nicola Nicolosi, che ha aggiunto: “occorre che il Governo in carica si
esprima su questo tema evitando le 'tante voci' che si sono sentite negli ultimi tempi,
riaprendo la stagione contrattuale ed in quella sede affrontando le questioni economiche e
normative”.
Per Nicolosi “il blocco della contrattazione è tanto più inaccettabile mentre continuano ad
essere in vigore norme introdotte per legge che intervengono pesantemente sulla
contrattazione mutilandola. Si tratta di misure legislative che vanno rapidamente cassate
prima dell'avvio della stagione contrattuale”.
“Chiediamo - ha concluso Nicolosi - un incontro al massimo livello per affrontare queste
problematiche che impegnano il Governo nella sua collegialità”.
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06. Scuola: NO al blocco dei contratti
Lo ribadiscono in un comunicato unitario i
sindacati dopo il parere favorevole
all’ulteriore blocco dei contratti e delle
retribuzioni dei dipendenti pubblici
espresso delle Commissioni Affari
Costituzionali e Lavoro della Camera dei
deputati.
I Segretari generali dei sindacati FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS CONFSAL e GILDA
UNAMS, nel corso dell’incontro tenuto in vista del confronto con la Ministra dell’Istruzione,
previsto per i prossimo 1° luglio, hanno manifestato netta contrarietà a quanto deliberato dalle
Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera dei deputati, che hanno espresso oggi
parere favorevole all’ulteriore blocco dei contratti e delle retribuzioni dei dipendenti pubblici.
I Sindacati scuola invitano il Governo a non emanare tale decreto e ad aprire le trattative per il
rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni.
Il provvedimento sarebbe per il personale della scuola doppiamente penalizzante, in quanto al
blocco del contratto aggiungerebbe il blocco degli aumenti di anzianità, previsti dal Contratto
vigente e quindi già finanziati.
Le Organizzazioni sindacali della scuola, in relazione alle decisioni che saranno adottate dal
Governo, assumeranno le necessarie iniziative di mobilitazione, che potranno avere effetti
anche sull’avvio del prossimo anno scolastico.
Roma, 19 giugno 2013
FLC CGIL
D. Pantaleo
CISL Scuola
F. Scrima
UIL Scuola
M. Di Menna
SNALS Confsal
M. P. Nigi
GILDA Unams
R. Di Meglio
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NOTIZIE NAZIONALI
07. Finanziamenti alle scuole: firmata l’Intesa sulle economie MOF
43 milioni di euro per integrare il FIS
delle scuole. Ribadita la piena titolarità
delle contrattazione integrativa nella
destinazione delle economie.
Il 20 giugno si è svolto il secondo incontro al MIUR sulla ripartizione delle economie del
MOF 2011/2012 e 2012/2013, a conclusione del quale è stata firmata l’Intesa con le
organizzazioni sindacali.
Quantificazione delle economie
Il totale delle economie, che integrano il FIS delle scuole, ammonta a 43,774 milioni di
euro di cui 3,104 milioni di euro provenienti dai progetti per la pratica sportiva.
Ripartizione delle economie
L’accordo prevede la seguente distribuzione:
•
10 milioni di euro ad integrazione del FIS per il pagamento delle indennità
obbligatorie quali l’indennità di turno notturno e festivo, l’indennità di bilinguismo e
trilinguismo e l’indennità di direzione parte fissa e variabile all’assistente
amministrativo che sostituisce il DSGA (art. 88 CCNL). Su queste voci il MIUR aprirà a
breve un monitoraggio per rilevare il fabbisogno delle scuole e solo successivamente
procederà all’invio dei fondi entro il limite del budget assegnato.
•
710.343 euro per i progetti relativi alla pratica sportiva approvati nei POF di istituto e
non soddisfatti dalla precedente assegnazione. Questo fabbisogno è già stato rilevato
dalla Direzione dello studente del MIUR. Pertanto sarà assegnato direttamente alle
scuole interessate.
•
2,93 milioni di euro per le ore eccedenti in sostituzione dei colleghi assenti;
•
30,625 milioni di euro ad integrazione delle FIS delle scuole del primo ciclo, in
proporzione a quanto già assegnato con l’intesa del 19 marzo 2013;
•
45.000 euro a incremento del MOF della scuola di riferimento del personale
docente statale impiegato presso la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli.
La nostra posizione
Positivo il fatto che la parte più consistente delle economie sia stata assegnata alle scuole del
primo ciclo. Una piccola operazione di riequilibrio, voluta dalla FLC CGIL, dal momento
che il taglio del MOF (vedi Intesa separata sugli scatti di anzianità) aveva penalizzato
maggiormente le scuole del primo in ciclo.
Abbiamo riaffermato la piena titolarità della contrattazione di scuola a decidere l’uso e la
destinazione delle economie. Esse serviranno, seppure in minima parte, a retribuire il lavoro in
più svolto da docenti e ATA per attuare i POF di istituto.
Importante essere riusciti a ristorare con risorse aggiuntive (raddoppiate rispetto agli anni
precedenti) il fabbisogno delle scuole su voci di spesa obbligatorie come le indennità. Su di
esse il MIUR si è impegnato a fare un’operazione di trasparenza prevedendo dei monitoraggi
– come da noi richiesto – a verifica che le economie assegnate siano effettivamente quelle che
necessitano alle scuole per integrare i propri bilanci. In quanto ai compensi da dare ai
sostituti dei DSGA bisogna dire che questi non comprendono l’indennità di funzioni superiori
che invece è a carico dei bilancio dello Stato, vale a dire del MEF.
Resta l’assoluta insufficienza della copertura data alle ore eccedenti prestate dai docenti in
sostituzione dei colleghi assenti. Questo annoso problema non si risolverà fino a quando non ci
sarà il loro spostamento a carico del MEF sotto la voce “supplenze”. Infatti, si tratta di voci che
vanno rubricate come spese non sono programmabili e non come salario accessorio. In ogni
caso si tratta di spese che non possono gravare sul FIS.
Il prossimo incontro è previsto il 4 luglio 2013 per l’informativa sulla circolare del MOF
2013/2014 e la destinazione delle risorse al personale della scuola comandato presso altri
uffici.
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
• intesa miur sindacati scuola economie mof 2011 2012 e pratica sportiva 2012
2013 del 20 giugno 2013
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08. Finanziamenti alle scuole: in arrivo la nota del MIUR sul pagamento
dei supplenti e delle ferie
Prossimi chiarimenti e indicazioni dal
Ministero dell'Istruzione anche sui
debiti delle scuole e sul pagamento
delle ore di insegnamento necessarie
ad assicurare lo svolgimento dei corsi
integrativi dei licei artistici.
Il 20 giugno 2013 abbiamo sollecitato il MIUR ad emanare la circolare che si era impegnato ad
inviare alle scuole sul pagamento delle ferie ai supplenti. Il MIUR ci ha assicurato il
prossimo invio di una specifica nota.
Siamo poi intervenuti per segnalare l’estrema difficoltà delle scuole e gli insopportabili
ritardi con i quale si liquidano le somme che spettano ai lavoratori e per contribuire a dare
trasparenza alla situazione e per migliorare tempi e modalità di erogazione delle risorse alle
scuole.
L’inadeguatezza complessiva delle risorse finanziarie destinate al sistema pubblico di
istruzione, i continui cambiamenti delle modalità di accertamento dei fabbisogni delle scuole e
del relativo finanziamento, l’inadeguatezza dei sistemi informatici dell’amministrazione e
l’insufficienza delle risorse professionali dedicate dal MIUR alla gestione del rapporto con le
scuole autonome producono una inaccettabile lentezza nell’assicurare il pagamento dei
lavoratori.
Pagamento supplenti
Relativamente al pagamento dei supplenti continuano le difficoltà di un sistema che
dall’anno prossimo non dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) più prevedere la liquidazione da
parte delle scuole. Il pagamento dovrebbe essere effettuato da NoiPA sulla base dei contratti
inseriti al sistema SIDI.
Per adesso il meccanismo passa attraverso il finanziamento delle posizioni finanziarie delle
scuole e sconta i gravi ritardi causati da procedimenti di controllo burocratico che autorizzano
il rifinanziamento delle scuole. Succede così che tantissime scuole segnalano continuamente
l’insufficienza delle risorse disponibili per pagare i supplenti e si determinano lamentele e
contenziosi.
Il MIUR ci ha informato che ad oggi e a partire dal primo gennaio 2013 la spesa complessiva
per le supplenze ammonta a circa 530 milioni di euro, dei quali 364 lordo dipendente e il
resto per oneri a carico dello Stato. Ad essi si aggiungono 82 milioni di euro inviati alle
scuole per le spese delle supplenze degli ultimi mesi del 2012.
Alle scuole, entro pochi giorni dovrebbero essere assegnati i fondi necessari per pagare le
supplenze inserite a sistema fino al 30 giugno (comprese le ferie non godute calcolate in base
al servizio prestato).
Debiti delle scuole
I debiti delle scuole sui quali è stata fatta la rilevazione a fine aprile, in applicazione del decreto
legge n.35 del 8 aprile 2013, ammontano a 44 milioni di euro. Si è trattato di una rilevazioni
fatta in tempi brevissimi ed il rischio che diverse scuole non abbiano partecipato alla
rilevazione è piuttosto alto.
Entro il 5 luglio 2013 i dirigenti scolastici dovranno provvedere alla definizione del piano di
pagamento e dovranno comunicarlo ai creditori. Anche in questo caso per l’eventuale ritardo
negli adempimenti è prevista una sanzione pecuniaria (100 euro per ogni giorno di ritardo).
Il MIUR, che deve fare le operazioni propedeutiche agli adempimenti delle scuole, fornirà le
indicazioni necessarie.
Pagamento attività di insegnamento corsi integrativi licei artistici
Si tratta di spese per il personale obbligatorie (per le ore di insegnamento necessarie ad
assicurare lo svolgimento dei corsi integrativi dei licei artistici) che non sono a carico del
fondo di istituto.
A breve il MIUR invierà una nota agli Uffici Scolastici Regionali per rilevare il fabbisogno delle
scuole; le spettanze al personale interessato saranno pagate con una rata speciale del
“cedolino unico”.
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09. Precari scuola. 59.000 assunzioni in 4 anni: ancora troppo poche
Il Ministro Carrozza risponde alla Camera.
Confermato l'effetto negativo della riforma
Fornero.
Nel corso delle interrogazioni a risposta immediata del 19 giugno 2013 alla Camera, il
Ministro Carrozza ha risposto ad un quesito relativo alle modalità con le quali intende
affrontare il tema dell'assorbimento del personale attualmente precario della scuola.
Nella risposta, il Ministro ha riconfermato che i dati del turnover restano limitati a sole
59.000 unità nei prossimi 4 anni ed in particolare per il 2013/2014 non sono ipotizzabili
più di 15.000 assunzioni tra docenti ed ATA a causa degli effetti della riforma Fornero sui
requisiti pensionistici.
Si tratta di numeri limitatissimi al confronto degli oltre 130.000 supplenti attualmente in
servizio e dei posti messi a concorso.
Solo una reale scelta di consolidare in organico di diritto i posti dell'organico di fatto e
l'introduzione dell'organico funzionale potrebbero garantire in tempi ragionevoli l'effettivo
assorbimento degli attuali precari che garantiscono il funzionamento delle scuole.
Abbiamo dimostrato, nel nostro Dossier "La scuola vince in quattro mosse", che con sono
sufficienti alcune scelte dal costo limitatissimo per ottenere sicuri benefici per la
funzionalità delle scuole e per il futuro dei lavoratori precari.
Ora il Ministro passi dagli annunci ai fatti, iniziando a sbloccare le 5.300 assunzioni del
personale ATA del 2012/2013.
___________________
Camera dei Deputati: interrogazioni a risposta immediata del 19 giugno 2013
MARIA CHIARA CARROZZA, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, si ricorda che per garantire stabilità e continuità
nell'erogazione del servizio scolastico ed educativo e per conferire il maggiore e possibile grado
di certezza nella pianificazione degli organici della scuola, l'articolo 9 del decreto-legge n. 70
del 2011 ha previsto la definizione di un piano triennale di assunzioni a tempo educativo e ATA
per il triennio indeterminato di personale docente, 2011-2013.
L'attuazione del piano ha consentito di ridurre l'entità del personale precario della scuola, con
ciò rispondendo all'esigenza di allineare il sistema nazionale alle normative comunitarie
concernenti i contratti a tempo determinato, materia sulla quale si è recentemente sviluppato
un significativo contenzioso davanti ai giudici del lavoro.
Nell'anno scolastico 2011/2012 è stato possibile assumere 33 mila unità di personale docente
ed educativo, nonché 36 mila unità di personale ATA, mentre per il successivo anno scolastico
sono stati immessi in ruolo 21 mila docenti ed è stata richiesta l'autorizzazione per circa 5.300
unità di personale ATA.
Nell'anno scolastico 2013/2014 il suddetto piano triennale giungerà a conclusione, con la
richiesta di immissione in ruolo di 15 mila precari circa, e potrà essere avviata la
programmazione delle nuove assunzioni, previa verifica delle disponibilità esistenti. Proprio per
l'anno scolastico 2013/2014 le nomine saranno necessariamente limitate al numero suddetto,
attesa l'incidenza preponderante dell'ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni
dal servizio al prossimo 1o settembre 2013. In particolare, le stime del turnover del personale,
per i prossimi anni scolastici, sono di circa 44 mila unità di personale docente e ATA. Da tali
dati emerge che l'entità del personale che potrà essere assunto, in conseguenza diretta
del turnover, ammonta complessivamente a circa 59 mila unità nel prossimo quadriennio.
Naturalmente, tale stima vale a normativa vigente, tanto per ciò che riguarda i requisiti minimi
per il pensionamento, tanto per ciò che attiene alla gestione degli organici.
Al riguardo, come ho già annunciato alle VII Commissioni congiunte, è allo studio la definizione
di un piano triennale di immissione in ruolo, 2014-2017, del personale precario, che consenta
di ridurre il numero di soggetti che ancora prestano servizio nella scuola con contratti a tempo
determinato, nonché misure per introdurre, gradualmente e compatibilmente con le risorse
disponibili, l'organico funzionale del sostegno e raggiungere la sostanziale equivalenza tra
organico di diritto e di fatto nel sostegno, con l'inquadramento in ruolo dei circa 30 mila
docenti di sostegno che vengono utilizzati annualmente e, in prospettiva, avere l'organico
funzionale come nuovo metodo di gestione degli organici.
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10. Concorso 24 mesi ATA 2012/2013: nessun
successivo del riconoscimento giuridico del servizio
rinvio
all'anno
Il MIUR emana un'altra nota di
chiarimento che consente l'applicazione
immediata e uniforme del
riconoscimento giuridico del punteggio.
Dietro nostre sollecitazioni il Ministero ha emanato una nuova nota 5954 del 17
giugno 2013, indirizzata agli USR, i quali vengono invitati ad adempiere all'applicazione del
riconoscimento giuridico del punteggio, a partire da queste graduatorie, senza
nessun rinvio all'anno successivo.
Il MIUR, con la nota 2932 del 22 marzo 2013, aveva consentito il riconoscimento giuridico
del punteggio al personale ATA collocato in posizione utile nelle graduatorie permanenti in
modo da poterlo inserire per il concorso dei 24 mesi, affinché potesse essere tutelata la
posizione di coloro che erano stati penalizzati dall'utilizzo delle graduatorie d'istituto per il
conferimento delle nomine fino agli aventi diritto.
A seguito della nota, alcuni USR (Uffici Scolastici Regionali) non avevano però consentito
l'inclusione di tale punteggio, a causa dell'avvenuta chiusura dei termini di scadenza del
concorso dei 24 mesi ed erano,
trattamento degli aspiranti ATA.
conseguentemente,
emerse
delle
difformità
di
Siamo soddisfatti dell'intervento del MIUR poiché si erano generati non pochi problemi e
difformità sulla sua applicazione e, considerata la rilevanza del riconoscimento giuridico del
servizio, era essenziale procedere nella valutazione dei punteggi con uniformità per tutto il
personale ATA interessato al concorso dei 24 mesi.
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
• nota 5954 del 17 giugno 2013 concorso 24 mesi personale ata
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11. Bisogni educativi speciali: convocato l’incontro per il 26 giugno
2013
Il MIUR risponde positivamente alla
richiesta della FLC CGIL.
La FLC CGIL nei giorni scorsi aveva presentato una richiesta urgente di incontro sulla
Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 “Strumenti di intervento per alunni con bisogni
educativi speciali”. La FLC CGIL chiederà che si apra un tavolo di confronto permanente su
tali temi e che nell’immediato siano presi alcuni impegni su:
•
carattere sperimentale dei contenuti della circolare
•
deroga del termine del 30 giugno per la definizione del piano annuale per l’inclusione
•
valutazione delle ricadute contrattuali delle operazioni previste dalla circolare.
L’incontro è stato convocato dall’amministrazione per il giorno 26 giugno 2013.
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12. Emergenza infanzia: un primo segnale da Palazzo Chigi
La risposta della Presidenza del
Consiglio e l'invito al MIUR di dare un
seguito alla nostra richiesta.
La FLC CGIL ha avviato ormai da alcuni mesi una campagna nazionale sull' emergenza
infanzia con la finalità di denunciare la situazione in cui versa la scuola dell'infanzia nel nostro
paese e nel contempo chiedere che venga rilanciato quel processo di generalizzazione
della scuola dell'infanzia statale, interrotto dalla ex ministra Gelmini nel 2008.
Nei primi giorni del mese di giugno abbiamo lanciato un appello indirizzato al Presidente del
consiglio dei ministri, Enrico Letta, e alla Ministra dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza per
chiedere che:
•
si riprenda il processo di generalizzazione della scuola dell'infanzia e aumentare del
10% il numero di sezioni di scuola statale attualmente funzionanti, vale a dire 2500
sezioni, all'interno di un piano quinquennale che preveda l'apertura di 500 sezioni
l'anno.
•
sia istituzionalizzato l'obbligo di frequenza del terzo anno per poi arrivare
all'obbligatorietà di tutta la scuola dell'infanzia, secondo l’idea di un percorso di
istruzione dai 3 ai 18 anni.
La FLC CGIL ha chiesto inoltre di dare una risposta concreta agli enti locali in difficoltà nella
gestione delle scuole comunali per effetto sia del patto di stabilità che dei minori trasferimenti
di risorse. A tal proposito sottolineiamo positivamente la recente decisione della Procura
regionale della Corte dei conti della Campania che ha disposto l'archiviazione della vertenza
inerente le assunzioni delle maestre e delle educatrici a tempo determinato effettuate dal
Comune di Napoli, nonostante i vincoli di finanza pubblica. La Procura sottolinea un aspetto
che riteniamo molto coerente con le iniziative messe in campo dalla FLC a difesa della scuola
pubblica e della scuola dell'infanzia in particolare, vale a dire che "non si possono
comprimere diritti infungibili e funzioni fondamentali, quali sono, appunto, quelli di istruzione
pubblica, ivi compresi i servizi di asilo nido e quelli di assistenza scolastica refezione".
Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto un primo riscontro al nostro appello: infatti il
Segretariato generale della Presidenza del consiglio dei Ministri, con nota, sottopone
all'attenzione del Ministro dell'Istruzione "la drammatica situazione della scuola dell'infanzia
statale” sulla base dell'appello di FLC e chiede al MIUR di informare la nostra organizzazione
sugli sviluppi nella trattazione della questione.
E' un primo segnale di attenzione al grido di allarme che la FLC ormai da tempo ha lanciato.
Importante ma non sufficiente: occorre dare risposte concrete. Anche questo sarà uno dei
temi che sarà nostra cura ricordare alla Ministra Carrozza nell'incontro con i sindacati del
prossimo 1 luglio.
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SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA
13. Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 – Fusari –
Diritto scolastico
Soccombenza virtuale e rifusione delle spese
giudiziali.
Il comportamento del MIUR che, dopo il deposito del ricorso giudiziale, in sede di autotutela
elimini gli effetti negativi del provvedimento oggetto di ricorso, non consente di emettere una
pronuncia limitata al semplice accertamento della cessazione della materia del contendere;
con tale pronuncia, il Giudice dovrà infatti anche condannare alle rifusione delle spese giudiziali
la parte virtualmente soccombente, sulla base di una sommaria delibazione della fondatezza
della domanda (nel caso specifico, conclusosi con ordinanza del Tribunale di Milano ex art. 1,
comma 49, L. 92/2012, il MIUR aveva proceduto a licenziare una docente assunta con
contratto a tempo indeterminato sulla base dell’attribuzione di un punteggio nuovo e inferiore
rispetto a quello con cui la docente era stata immessa in ruolo.
A seguito di ricorso giudiziale, il MIUR era ritornato sui suoi passi in via di autotutela,
attribuendo alla ricorrente un punteggio sufficiente a consentirle di essere riassunta con effetti
ex tunc; tenuto conto, pertanto, della esplicita ammissione dell’errore da parte del Ministero, lo
stesso veniva ritenuto evidentemente soccombente virtuale della causa, e, quindi, tenuto a
rifondere le spese del giudizio).
Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN
ALLEGATO:
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968
• Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 Soccombenza virtuale e
rifusione delle spese giudiziali.
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NAVIGANDO IN RETE
14. Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno …
A proposito di “maturità” e prima prova -di Antonio Valentino
Resto sempre e sinceramente affascinato dai temi che propongono ogni anno agli esami di
stato.
Esami che giornali e televisione si ostinano a chiamare “maturità”, come se non ci fosse stata
una legge, più di 15 anni fa (n. 425/’97), che ne cambiava i connotati prevedendo modalità e
accertamenti più puntuali e rigorosi (vi si parla per la prima volta nientemeno che di
certificazione delle competenze; che decolla però - ovviamente a parole1 - solo più di un
decennio dopo).
Il cambiamento di pelle del ’97 stava a significare che l’esame non doveva avere alcuna
pretesa di verificare e valutare la “maturità”, ma solo la preparazione del candidato, in termini
di obiettivi formativi raggiunti a seguito di azioni didattiche effettivamente e intenzionalmente
messe in campo dalla scuola.
Di queste – nella normativa vigente - si prevede dia conto il Documento di classe che si
elabora entro il 15 maggio e che riporta “i contenuti, i metodi e i mezzi, gli spazi e i tempi del
percorso formatiuvo, i criteri e gli strumenti di valutazione, gli obiettivi raggiunti, nonche ogni
altro elemento che i CdC ritrengano significativo ai fini dello svolgimento degli esami”.
La prima prova scritta, come si legge nella normativa di riferimento, “è intesa ad accertare la
padronanza della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive,
logico-linguistiche e critiche del candidato…” (dm n. 41/2003).
Come si vede, una cosa “concreta”, che è tutta dentro il senso e le finalità della nostra scuola e
dei suoi percorsi reali
Cosa propongono le tracce della prima prova?
Proviamo a ripercorrele: con il brano di Claudio Magris (bellissimo, come, d’altra parte, tutti
quelli scelti dalla commissione ministeriale), si richiedono spunti di riflessione sul viaggio, le
frontiere e il confronto con la diversità; che costituiscono, verosimilmente (come conferma
l’”indice di preferenza” delle tracce espresso dai candidato e riportato nel comunicato dal
Mnistero) un sfida difficile, ma non impossibile per lo studente “medio”; ma, già con i saggi
brevi, il terreno comincia a diventare accidentato, ma soprattutto “incognito”, come si dice: si
propongono infatti temi - non solo particolarmente ardui, ma soprattutto estranei ai nostri
1
I diplomi allegati al dm 26/2009 sono rilasciati ai candidati che hanno superato l’ esame non contengono nessuna certificazione delle
competenze ma solo il punteggio complessivo delle perove d’ esame e i crediti acquisiti. Si prevedono, in calce al punteggio, eventuali
“ uleteriori specificazioni valutative della commissione con riferimento anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo
“normali” percorsi scolastici - come il rapporto tra individuo e società di massa oppure il
rapporto tra stato e mercato e democrazia o anche le connessioni tra gli omicidi politici del
‘900.
Con la traccia scientifica, poi, si veleggia addirittura sulle prospettive aperte
dall’avanzamento degli studi sul cervello. Mentre, con la traccia sui cosiddetti BRICS (sigla che
sta ad indicare i paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia , India, Cina, Sudafrica…), si approda
nientemeno che sui vasti e complicatissimi terreni della geopolitica. Per non parlare di quella
scientifico-filosofica, affidata alle parole di Capra, con la quale si plana persino su tematica
della vita come manifestazione di cooperazione e creatività anche sul piano strettamente
biologico.
Che dire di fronte a tanta erudizione e sapienza tematica? Ammirazione sincera, non c’è
dubbio.
Mi chiedo però cosa c’entrino queste tracce con esami di stato che non vogliono più essere – e
da tempo – riti di generica e astratta/indefinita “maturità”.
La domanda è: le competenze espressive e logico – critiche possono essere accertate
proponendo problematiche, suggestive finché su vuole, ma lontane dai curricoli scolastici dei
nostri studenti? E poi: può valere, in questo caso, il riferimento alla nozione di competenza
come capacità di trasferire ad altri campi abilità e attitudini maturati attraverso le discipline di
insegnamento? Quale “maturità” dello studente si intende saggiare?
Detta in termini un po’ provocatori – ma non tanto – si ha l’impressione che, con scelte
contenutistiche come quelle proposte, si voglia far finta di ignorare
a. che le tematiche della prova – che pure dovrebbero entrare con esplicita e forte
intenzionalità nell’esperienza scolastica dello studente, lasciando segni certificabili –
hanno a che fare, solo molto accidentalmente e raramente, con gli effettivi “programmi”
scolastici (perché, in effetti, siamo ancora lì);
b. che percorsi di educazione alla riflessività, al pensiero rigorosamente critico, al pensiero
trasversale e alla conoscenza di sé e del mondo che ci circonda (in altri termini, gli
ingredienti di una idea moderna di cittadinanza,
che pure ritroviamo nelle
Raccomandazioni dell’Unione Europea e anche nella nostra più recente legislazione
scolastica), che si danno per scontati in queste tracce, sono invece ben lontani da una
pratica didattica diffusa, “normale” per le nostre scuole.
Con queste tematiche si potrebbe fare, al limite, bella figura con un cittadino finlandese che
capitasse in Italia in questo periodo e che, letti i testi della prova, sarebbe indotto ad
esprimere ammirazione per il nostro sistema di istruzione, ignorando quello che effettivamente
si insegna nelle nostre scuole.
Ma niente di più di queste attestazioni ipotetiche.
Perché allora ci si ostina in una prova siffatta? Squilibrata rispetto alla prassi comune e
squilibrante per il povero candidato?
Stiamo pagando ancora pegno, con riti di questo tipo, ad una cultura gentiliana che ha fatto il
suo tempo? Mah.
Comunque penso che bisognerebbe cominciare ad uscirne, come da più parti si auspica da
diversi anni ormai.
Come?
Occorrerebe, probabilmente, in primo luogo, sviluppare consapevolezza diffusa, partendo da
considerazioni critiche sulle tracce degli ultimi anni, che
uno: chiedere agli studenti (non a quelli “fuori norma”, che sono bravi di loro o per grazia
ricevuta) arrampicature sui vetri o esercizi di scrittura pseudo-creativa o finto-riflessiva, non è
il massimo per una istituzione che vuole essere coerente e trasparente nelle sue finalità
educative;
due: prendere coscienza – come sistema - delle proprie criticità (e questo tipo di prova lo è
certamente), attraverso il confronto tra risultati effettivi e risultati attesi, è condizione
essenziale per la ricerca di altre vie più efficaci e credibili di accertamento e certificazione.
Questo sulla prima prova.
Ma discorsi altrettanto critici andrebbero fatti sulle altre prove scritte e orali.
La neo-ministra, parlando della necessità di rivedere articolazione e senso degli ultimi due
anni del secondo ciclo - e quindi della finalità degli esami in un’ottica orientativa -, sembra se
ne sia accorta.
Proviamo a sperarci.
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15. Per le nuove scuole soldi e idee. Era ora - Luigi Berlinguer
ESULTO ED ESALTO. REAGISCO COSÌ, PROPONENDO DUE EPSILON ALLA NOTIZIA che
finalmente un governo si occupa di scuola per dare e non per tagliare o per sottrarre.
Merito di Chiara Carrozza e di Enrico Letta. Che finalmente si capisca che l'education non è
spesa ma investimento produttivo? In particolare, ciò avviene in un settore delicato come
quello dell'edilizia scolastica. L'Italia ha bisogno di rinnovare il proprio patrimonio, di uscire
dalla tristezza di tante, troppe scuole (in particolare nel sud del Paese) ospitate in
appartamenti o in edifici inadatti, insalubri. Cento milioni di euro nel triennio 2014-2016 oggi
sono indubbiamente tanti. Possono essere volano di altri investimenti di altre istituzioni, a
cominciare da quelle locali.
E la notizia può (finalmente) attirare l'attenzione su come andranno riadattati o costruiti ex
novo gli edifici scolastici, che dureranno decine di anni e pertanto dovranno fin d’ora essere
costruiti diversamente «La mente assorbente del bambino si orienta nell'ambiente; per cui si
devono prendere speciali precauzioni affinché l'ambiente offra interesse e attrattive a questa
mente che deve nutrirsene per la propria costruzione». Così Maria Montessori, una delle più
grandi italiane di tutti i tempi, aveva bollato la cultura espressa dalla vecchia aula e da quei
banchi, «neri catafalchi», secondo un'altra sua nota definizione. Ecco la sfida anche di oggi:
creare un ambiente non costrittivo, capace al contrario di sollecitare e accogliere coloro che si
stanno formando.
Nel mondo si è affermata l'educational architecture, una corrente che ha abbandonato i tristi
edifici anonimi composti da lunghi corridoi e da aule tutte uguali. I parametri sono stati
rovesciati. Esempi se ne trovano ormai ovunque, dalla Danimarca all’Austria: gli edifici si
compongono di grandi e di piccole aree, di spazi di varia foggia e di varia ampiezza per favorire
la diversità nella didattica delle varie materie e metodologie di insegnamento. Questa
rivoluzione comincia a prendere corpo anche in Italia.
Con una differenza rispetto ai Paesi evoluti. Fuori dai confini nazionali tali scelte sono
fortemente determinate dalla volontà politica, mentre in Italia sono frutto di iniziative dal
basso, in primo luogo volute da presidi e insegnanti. Posso fare gli esempi: la scuola
elementare di Fauglia (Pisa) dove non c'è più l'aula, dove non ci sono più i banchi e le cattedre,
ma gruppi di tavolini suddivisi in aree per studiare, ripetere, leggere a voce alta, discutere.
Una scuola elementare che hanno voluto chiamare «scuola senza zaino» perché probabilmente
troppe giovani schiene sono state inutilmente curvate in passato.
E la scuola di Montemignaio (Arezzo) dove alle aule si sostituisce un’atra serie di spazi,
compresa l’agorà. Sono esempi che evidenziano il cambiamento del modello educativo che i
riformatori perseguono e che ancora tarda ad affermarsi. La riforma profonda della scuola di
oggi deve fondarsi sulla centralità dell'apprendimento, ha bisogno di spazi che consentano la
grande articolazione delle diverse discipline. Perché un conto è proporre una lezione di storia a
30 alunni, altro è fare un esperimento di fisica, altro ancora è suonare uno strumento
musicale.
Gli spazi devono essere flessibili. Ecco perché è una gran buona notizia quella arrivata dal
Consiglio dei ministri. Nonostante il periodo di carestia si può iniziare a cambiare. Ho saputo
che nel ministero si parla di linee-guida sugli edifici da costruire fondate sui modelli appena
citati. Il mio auspicio è che l'inversione di rotta finanziaria si sposi con quella pedagogicoeducativa
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16. Politicamente corretto... Note a margine delle dichiarazioni
programmatiche del Ministro M.C.Carrozza alle Camere - di Giancarlo
Cerini – scuola oggi
Da dove ripartire?
Come non condividere le nobili dichiarazioni di principio rese dal neo ministro Maria Chiara
Carrozza il 6 giugno 2013 di fronte alle Commissioni riunite di Camera e Senato: maggiori
attenzioni e investimenti nell'istruzione per promuovere la “ricchezza” della nazione e delle
persone, per uguali opportunità per tutti, per una scuola palestra di legalità, ecc. Come non
essere d'accordo sulla vision che mette al centro del programma d'intenti i principi della
credibilità, della trasparenza, della coesione sociale: quasi un mix di efficienza e di solidarietà,
compatibile con la stagione delle “larghe intese”. Magari l'incipit è troppo connotato dal lessico
degli economisti (allocare le risorse, accountability, budget, valutazione ex-post, stakeholder,
benchmarking...), ma di necessità occorre fare virtù: un po' siamo già abituati al linguaggio e
oggi per convincere i “signori del Tesoro” (in Europa e in Italia) a sfondare i confini blindati
della spesa pubblica bisogna essere molto credibili e dimostrare conti alla mano che ciò che si
spende in istruzione ritorna - con interessi aggiunti – per lo sviluppo del paese.
Ma scavando sotto lo strato del politicamente corretto (confermato dalla richiesta di un
approccio bipartisan alle riforme possibili: è necessario che i partiti parlino la stessa lingua
verso la scuola) quali sono le priorità di iniziativa politica per la scuola che si intravvedono
nelle dichiarazioni programmatiche del Ministro Carrozza?
Una scuola “Cenerentola”?
L'Europa è lì ad inchiodarci con i suoi obiettivi riferiti a Lisbona 2020, ove esibiamo ritardi
clamorosi in tutti e sette gli indicatori (in particolare per il tasso di dispersione: dal 18% di
insuccesso a 18 anni dovremmo scendere sotto il 10%; ma anche per la qualità delle
competenze: dal 21% di criticità in lettura a 15 anni dovremmo scendere al 15%, per non
parlare della matematica). Purtuttavia, alla scuola vengono richiesti compiti sempre più
impegnativi: non è solo questione di un decimale in più nei punti Pisa o Invalsi, perché gli
insegnanti si trovano di fronte ragazzi e famiglie disorientate da nuovi stili di vita, precarietà
delle situazioni sociali, intreccio di storie, pervasività della comunicazione e con adulti che
sembrano aver perso la capacità di aiutare i giovani a “venire al mondo” (e poi a “stare al
mondo”) come ricorda la premessa delle Indicazioni/2012 per il curricolo della scuola di base,
firmata da Profumo-Rossi Doria, non a caso ampiamente citata nelle dichiarazioni del nuovo
Ministro.
Però...però...dopo queste aperture di credito verso gli insegnanti, si riparte … dall'edilizia
scolastica. Vediamo di capire il perché. E' pur vero che una buona struttura fa educazione
(come non meravigliarsi di fronte alle buone soluzioni architettoniche adottate in alcune realtà
di eccellenza del nostro paese). Prendersi cura degli spazi è dunque prendersi cura
dell'educazione. Una scuola sicura, pulita, smart, tecnologicamente adeguata, esteticamente
bella, si fa abitare e vivere meglio dagli allievi e dagli insegnanti. Scatta più facilmente il buon
apprendimento, soprattutto se le classi diventano “ambienti di apprendimento”, luoghi per
esperienze collaborative, creative, motivanti.1
Ma di fronte a questa consapevolezza sta il lungo cahier de doleance di una legislazione
farraginosa in materia di edilizia scolastica (nei suoi passaggi statali, regionali, provinciali,
comunali), nella scarsità delle risorse (a fronte nei nostri 42.000 edifici da riqualificare o
rinnovare), delle procedure tecniche e contabili al contagocce... Qui c'è da fare uno sforzo
straordinario, come ammette il Ministro, anche bussando alle istituzioni europee...
Intanto emerge l'idea di “controllare” meglio una governance multilivello: la decentralizzazione
del sistema educativo non può mettere a rischio l'unitarietà del progetto culturale della nostra
scuola. C'è una evoluzione costituzionale incerta, molte realtà territoriali procedono da sé,
rischia di venire meno la garanzia dei “livelli essenziali delle prestazioni” decisiva per un diritto
fondamentale come è l'istruzione. Ci sono troppe differenze tra le regioni, sembra ricordare il
Ministro, e lo stesso “dimensionamento” sta assumendo direzioni troppo asimmetriche, anche
se vanno rispettate le sentenze della Corte Costituzionale2.
Riparliamo degli insegnanti...
Prendere sul serio l'autonomia delle scuole appare indicazione doverosa, ma già all'orizzonte
incombono le proposte “hard” dei liberisti della Bocconi (Tabellini e Ichino ne hanno parlato in
un recente phamplet per i corsivi del Corriere della Sera)3. Il ministro sceglie la via
dell'equilibrio e riparte con l'organico funzionale di istituto. E' vero, se ne parla da ormai
vent'anni -dalle prime sperimentazioni della stagione dell'autonomia negli anni '90- ma con
scarso successo. C'è anche una recente legge (la n. 35 del 2012) che rilancia l'organico di
istituto e quello di rete, ma un anno fa i “guardiani dei conti pubblici” dissero NO alla
quantificazione dei posti-docente IN PIU' per poterlo realizzare.
Intanto, però, si ragiona sull'organico di sostegno, cui vengono dedicate parecchie pagine nella
relazione del ministro. Doveroso, ma rischioso: quando si parla di handicap, il Parlamento
“piange” come un agnellino -mi disse qualche anno fa una saggia e autorevole sottosegretaria
– ma poi le scelte politiche diventano difficili e quasi impossibili. E' doveroso stabilizzare il
sostegno, ma anche qui occorrerebbe aprire un tavolo “vero” sul sostegno per tenere insieme:
posti di sostegno (ormai 101.000 unità), mansioni necessarie (didattiche, ma anche sociali,
riabilitative, assistenziali), gli orari del personale, le sinergie tra enti, le tipologie di disabilità
(ormai spappolate tra handicap, DSA, ADHD, BES, ecc.). Terreno nobile di impegno, ma del
tutto impopolare, come dimostra il silenzio attorno alla proposta intelligente della Fondazione
Agnelli, sottoscritta pure da Caritas e Centro Erikcson).4 Comunque se ne riparla ed è già
importante farlo.
Ma è sull'intera platea degli insegnanti che si giocherà la partita vera. Sul loro numero,
certamente, ma anche sulla loro qualificazione. Il fatto è che quella dell'organico funzionale
rischia di diventare una sterile guerra di posizione, se non si riparte da un “tavolo” vero sul
lavoro insegnante (che tenga insieme: il numero dei docenti, il loro orario di lavoro, l'abolizione
delle supplenze così come sono oggi, la stabilizzazione del personale precario). Una mossa non
facile, ma indispensabile, in cui governo, sindacati e insegnanti dovrebbero fare passi indietro
(che sono poi passi in avanti), per riscoprire le reciproche convenienze di un accordo di
solidarietà (stabilizzazione sul posto in cambio di impegno maggiore...).
Fa capolino il merito
Qui il ministro percepisce certamente la scivolosità del terreno ed evoca un “patto per la
scuola” con i sindacati (per sottoscrivere alleanze decisive, come qualche volta si sono
realizzate nelle relazioni sindacali nel nostro Paese). Un richiamo al possibile riassorbimento
del precariato (44.000 posti nel triennio 2014-17) è controbilanciato dal riconoscimento che
per il prossimo settembre 2013 le nomine saranno assai poche. E il turn-over non è tutto...
Sottovoce si parla di carriera, di svincolo dall'anzianità, di valutazione del lavoro docente. Si
evocano riconoscimenti per le figure di sistema (le “posizioni organizzative”), per chi fa
funzionare la scuola, per chi si impegna in imprese innovative. L'ipotesi più concreta riguarda
nuove modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici, con un riconoscimento specifico dei
ruoli di staff. Si cita anche il nuovo Regolamento sul sistema di valutazione, ma in termini
guardinghi, quasi per saggiarne la consistenza (il Ministro chiede una cultura della valutazione
che non si limiti a misurare le performance, ma a mettere a disposizione informazioni per
migliorare il sistema educativo). Ma - date queste premesse condivisibili – le soluzioni possibili
sono molte e bisogna prendere decisioni urgenti.5
Giustamente il Ministro ricorda che per ogni riforma che si rispetti è necessario dedicare risorse
e impegni alla formazione dei docenti. Un primo banco di prova è rappresentato dalle
Indicazioni/2012 per la scuola di base, fresche di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, perché
senza un significativo piano di accompagnamento rischierebbero di rimanere lettera morta
come è successo per le tante innovazioni di questi anni.
Politiche per l'inclusione
Ma l'Europa ci incalza sulla qualità dei risultati; la dispersione ed i livelli di apprendimento sono
allarmanti. E' necessario ripartire dalla scuola dell'infanzia (ivi comprese le sezioni primavera,
da potenziare), dall'estensione del tempo scuola, da un rapporto più innovativo tra la scuola e
le altre agenzie educative e sociali del territorio (metodologia per cui i fondi europei sembrano
più a portata di mano). Esiste già un percorso avviato nelle regioni del sud dal tandem Barca-
Rossi Doria: ci si aspetta di vederne i primi frutti. Magari confrontando le metodologie: c'è che
preferisce intervenire sulle condizioni “sociali” della qualità della vita dei nostri ragazzi (la
coesione sociale e l'inclusione), c'è invece che spinge sulla didattica “breve” per migliorare i
risultati nelle prove Ocse-Pisa.
Doveroso il passaggio sul potenziamento dell'istruzione e formazione professionale, ma con
aperture assai soffici rispetto a più ruvidi richiami alla realtà provenienti da alcune parti sociali
del Paese. Appare intollerabile il doppio gap italiano della più alta percentuale di giovani
disoccupati (addirittura NEET: not in employement education training)6, ma anche della
carenza di determinati profili professionali (di basso livello formativo, si dirà...), a
testimonianza di una sfasatura immensa tra percorsi formativi e uscite nel mondo del lavoro.
Qui occorre riaprire a tutto campo la discussione, fino a lambire la scomoda prospettiva duale
del sistema tedesco (dove una filiera formativa punta decisamente all'apprendistato e al
rapporto diretto con il mercato del lavoro) o il ripensamento dell'intero percorso scolastico
italiano, per mettere i nostri ragazzi 19enni a contatto diretto con il loro futuro possibile
(all'Università, nella formazione di alto livello, verso l'Europa, negli stage). Ma per un
programma del genere occorrono effettive “larghe intese” oltre che un pubblico confronto sulle
scelte più utili.
Per ora siamo alle prime pagine di una possibile Agenda di politiche per la scuola. C'è un indice
abbozzato di questioni aperte. Spesso sono nodi irrisolti da decenni. Ma vale la pena crederci
ancora. Soprattutto per chi si cimenta con entusiasmo nel voler intravvedere un futuro positivo
per la scuola, senza farsi troppo condizionare dagli insuccessi del passato.
1 N.D'Andrea, L'importanza degli spazi nell'ambiente di apprendimento e M.Orsi, La penna, il
quaderno, la LIM e la lavagna, in “Rivista dell'istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2013, Maggioli,
Rimini.
2 Il privato in istruzione c'è, ha assunto dopo la legge Berlinguer (la legge 62/2000) le
sembianze di un sistema
paritario, che va in un qualche modo riconosciuto dal “pubblico”. E non è corretto affermare
che la scuola pubblica viene impoverita per finanziare la scuola privata. Ma cosa pretendete?
Sembra incalzare nel suo report il Ministro: con l'1,2 % dei contributi di Bilancio (circa 500 ml)
si dà una mano ad un sistema paritario che scolarizza circa il 12 % degli utenti.
Pragmaticamente laico...
3 A.Ichino, Liberiamo la scuola, ebook Corsivi del Corriere della Sera. Forum idee per la
crescita.
4 Fondazione Agnelli (Caritas e Treellle), Gli alunni con disabilità nella scuola italiana. Bilancio
e proposte, Erickson, Trento, 2011.
5 G.Cerini, Riappropriamoci della cultura della valutazione, nel Dossier predisposto da Cisl
Scuola in occasione del Congresso nazionale di Firenze (giugno 2013). Una analisi complessiva
dell'evoluzione del sistema nazionale di valutazione è contenuta nel numero monografico
1/2013 di Voci della Scuola: G.Cerini-M.Spinosi (a cura di), Cultura e strumenti della
valutazione, Tecnodid, Napoli, 2013.
6 F.Farinelli, I NEET: chi sono e cosa (non) fanno?, in “Rivista dell'istruzione”, n. 3, maggiogiugno 2012, Maggioli, Rimini.
7 M.G.Dutto, Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano,
2013. Propone un approccio non rituale al cambiamento della scuola italiana, basato sul
protagonismo concreto, il coraggio dell'azione e l'iniziativa professionale di tutti i soggetti
chiamati a occuparsi della scuola. Con un occhio meno provinciale a ciò che accade all'estero
ma anche con l'orgoglio delle eccellenze italiane.
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17. Tra Orwell e Young. Incubi per chi insegna - di Benedetto Vertecchi
- Tuttoscuola, XXXVIII, 530, 2013
Non è l’ultima ragione del disagio degli insegnanti il progressivo svuotamento delle funzioni
collegate alla loro professione. Fin quando non si è preteso di assoggettare l’attività educativa
a logiche prese in prestito dal mondo della produzione, gli insegnanti potevano sviluppare la
loro attività perseguendo un disegno che si sarebbe prolungato nel tempo e che comprendeva
sia scelte a carattere culturale e sociale, sia determinazioni più direttamente collegate al loro
compito educativo. In altre parole, era chiaro a tutti che, per essere dei buoni insegnanti,
occorreva possedere un solido corredo di conoscenze in un’area determinata, al quale doveva
affiancarsi il repertorio delle competenze professionali, comprendente, oltre alla capacità di
organizzare e produrre messaggi di apprendimento conformi alle esigenze degli studenti,
quella di analizzare e interpretare la domanda sociale di istruzione e le sue conseguenze sugli
atteggiamenti e i comportamenti degli allievi.
Il fatto è che il profilo tradizionale dell’insegnante, considerato insieme un intellettuale e un
professionista dell’istruzione, si era venuto definendo in un quadro caratterizzato da uno
squilibrio fra la domanda e l’offerta di educazione scolastica che cresceva al passaggio
dall’istruzione primaria a quella secondaria inferiore e dall’istruzione secondaria inferiore a
quella superiore. Si comprende che le trasformazioni introdotte nel sistema scolastico con la
riforma della Scuola Media (1962) e quelle che in seguito sono derivate proprio in conseguenza
di tale riforma abbiano progressivamente posto in crisi quel profilo. Con gli anni, il numero
degli insegnanti è enormemente aumentato, attenuando parallelamente i tratti che in
precedenza ne qualificavano il profilo. Il sistema scolastico è cresciuto supponendo che
bastasse rivedere l’assetto normativo per adeguare l’educazione al mutare della domanda
sociale. Non si è capito che la riforma del 1962 aveva raggiunto (almeno dal punto di vista
quantitativo) i suoi intenti perché non si era limitata a prendere atto di cambiamenti più o
meno diffusi negli atteggiamenti sociali verso l’istruzione, ma aveva cercato di andare oltre,
ipotizzando equilibri socio-culturali ancora lontani dalla sensibilità collettiva. In altre parole,
quella del 1962 era stata una riforma progettuale. In seguito, si sono avuti soprattutto
interventi in direzione dell’aggiustamento dell’offerta educativa alla domanda.
Il fatto è che l’aggiustamento dell’offerta costituisce una soluzione solo per esigenze che non
comportino revisioni di qualche consistenza dell’assetto del sistema educativo. Quel che è
mancato, dopo la riforma della Scuola Media, è stato l’impegno per ridefinire il ruolo della
scuola nella società contemporanea. Si è lasciato che la popolazione scolastica crescesse in
modo lineare, ma senza chiedersi fino a che punto una simile tendenza potesse essere
considerata positiva. Il rinnovamento della cultura della scuola in troppi casi è avvenuto per
effetto di suggestioni marginali, senza che se sia derivato un incremento reale per la
conoscenza: non è un caso che le scuole siano state inondate di educazioni (alla salute, al
risparmio energetico, all’ambiente eccetera), tramite messaggi nei quali le componenti
ideologiche (ovvero l’esortazione ad assumere comportamenti conformi a determinati valori)
sono state del tutto prevalenti su quelle capaci di sollecitare la comprensione. I modelli
organizzativi del lavoro scolastico sono stati cambiati più nella fenomenologia minuta che nella
struttura, con la conseguenza di sollecitare gli insegnanti ad accogliere pratiche che si sono
aggiunte in modo posticcio al loro corredo professionale. Ma proprio tali pratiche hanno finito
col riversarsi sulle rappresentazioni sociali del lavoro educativo, togliendo rilevanza alla
componente culturale del lavoro degli insegnanti (chi qualifica oggi un insegnante come un
intellettuale?), e accreditando nello stesso tempo la nozione che quella educativa sia una
professione fondamentalmente subalterna.
La conseguenza è che oggi gli insegnanti hanno perso le due attribuzioni centrali, quella
culturale e quella professionale, sulle quali, per tradizione, si fondava il loro credito sociale. Col
passaggio da un sistema scolastico a base sociale ristretta a uno a base ampia, sarebbe stato
necessario un impegno politico che si sviluppasse nei diversi campi della vita sociale più
immediatamente coinvolti nei processi di trasformazione del sistema educativo. È accaduto il
contrario. Gli interventi politici sulla scuola sono consistiti, salvo poche eccezioni, in tentativi di
razionalizzazione intesi a ridurne i costi. La cultura dell’educazione è stata mortificata dalla sua
sostituzione con i cascami interpretativi e procedurali di una cultura organizzativa la cui
supposta validità non è mai stata dimostrata: peggio, non si è mai neanche cercato di
dimostrarla formulando inferenze che costituissero il punto d’arrivo di percorsi conoscitivi e
interpretativi intrapresi nel rispetto della buona scienza galileiana. Le università, del tutto
insensibili alla loro responsabilità storica e sociale nei confronti della promozione e dello
sviluppo della conoscenza, si sono prestate a completare l’azione distruttiva impostata sul
piano politico. L’offerta di studi per gli aspiranti all’insegnamento è crollata a livelli petroliferi.
Ciò non ha impedito che si continuassero a definire soluzioni accademiche per le esigenze che
di continuo si presentano. È onesto supporre che possano fornire competenza educativa a chi
dovrà operare ad altri livelli del sistema educativo università che ormai si distinguono solo per
le infime posizioni che occupano nelle graduatorie comparative? Si può, in altre parole,
insegnare ad altri quel che non si è capaci di fare in proprio?
In questo scenario da dopoguerra s’inseriscono stuoli d’improbabili soloni. Alcuni di essi sono
specializzati nel giustificare i vuoti di conoscenza sistematica che si lamentano nel profilo
culturale degli allievi (ma solo degli allievi?), altri sanno di preciso che cosa si debba fare per
rovesciare la situazione esistente perseguendo nuovi traguardi di qualità. I primi sembrano
uniformare il loro pensiero ai dettami di un Ministero della Verità che ricalca quello descritto da
Orwell. Tutto l’impegno è posto nel diffondere una neolingua (ovvero, pillole di una sedicente
cultura educativa) composta di poche parole, con le quali si può formulare solo un pensiero
povero d’interpretazioni. Che cos’altro sono se non espressioni di una neolingua le relazioni
lineari tra cause ed effetti che limitato le prime alle caratteristiche personali degli allievi e le
altre ai livelli di apprendimento osservati?
Certo, nessuno si sognerebbe di citare Orwell come una fonte per sostenere la pochezza di una
cultura dell’educazione così poco giustificata dalla ricerca com’è quella cui fa riferimento il
sistema scolastico italiano. Più fortunato di George Orwell è stato un altro scrittore del genere
utopistico negativo, del quale si è presa per buona l’idea centrale e la si è riproposta senza
tener conto che la parola usata per esprimerla ha un significato paradossale e grottesco. Mi
riferisco a Michael Young, che nel 1958 pubblicò un libro intitolato The Rise of the Meritocracy.
Nel libro si trova descritto un ordinamento sociale nel quale il destino degli individui è
determinato dalle loro capacità mentali e dallo sforzo che sono disposti a produrre per
affermarsi. Quella che ne deriva è una élite arrogante, il cui potere sarà rovesciato da una
rivoluzione.
I nostri insegnanti dovrebbero muoversi in una dimensione culturale dominata dalla neolingua,
e perseguire intenti meritocratici. In breve, sono sballottati fra un incubo e l’altro. Una politica
per la crescita dell’educazione non può non porsi il problema di stabilire le condizioni per
affermare un profilo d’insegnante capace di interpretare le nuove esigenze dell’educazione e di
elaborare le soluzioni più opportune.
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18. Scuola, per cambiarla coinvolgere tutti i protagonisti - di B.
Vertecchi
Molti tentativi di intervenire nella crisi del sistema educativo mi fanno venire in mente il
paradosso di Zenone. Se la tartaruga avesse avuto un sia pur modesto vantaggio, Achille non
sarebbe riuscito a superarla perché nel tempo che gli sarebbe stato necessario per raggiungere
la posizione occupata dalla tartaruga all’inizio della corsa quest’ultima avrebbe percorso un
segmento ulteriore. Achille avrebbe dovuto quindi percorrere un altro tratto, ma nel frattempo
la tartaruga avrebbe acquisito un nuovo vantaggio. E via seguitando. Eppure, sarebbe bastato
abbandonare un’argomentazione astrattamente rigorosa, e spostarsi sul piano dell’esperienza,
per verificare che Achille non avrebbe avuto alcuna difficoltà a superare la tartaruga. Anzi, su
tale piano, il problema non si sarebbe neanche posto.
Mutatis mutandis, e sempre che si manifesti un orientamento positivo nei confronti della
scuola, ci si trova di fronte a due modi del tutto diversi di affrontare le difficoltà che
caratterizzano l’attuale fase di sviluppo dei sistemi educativi: il primo si limita a dare soluzioni
a singoli aspetti del disagio, mentre l’altro tende a superarlo complessivamente, ridisegnando
gli intenti, le strategie e le pratiche dell’educazione. Se ci si soffermasse su ciò che non
soddisfa, si aprirebbe una lista da far impallidire il catalogo delle conquiste di Don Giovanni,
così puntualmente aggiornato da Leporello. L’educazione continuerebbe a percorrere un
cammino faticoso, ma soprattutto incerto. Niente assicura che ciò che sembra risolvere un
aspetto del malfunzionamento della scuola non produca contraddizioni capaci di generare
nuovo disagio. Inoltre, né le cause, né le manifestazioni del disagio resistono invariate per il
tempo necessario a introdurre questa o quella modifica nel funzionamento del sistema. Di
fronte ai tanti aspetti che non soddisfano nella pratica dell’educazione scolastica ci si dovrebbe
prima di tutto chiedere se essi discendano da uno o più fattori specifici di malfunzionamento, o
se il disagio che ne deriva non debba essere inteso come l’indice di un deterioramento che
investe l’insieme dei fattori che trovano, o dovrebbero trovare, composizione nel sistema
educativo.
Il fatto è che gli interventi che hanno come scopo di porre rimedio a questa o quella difficoltà
che le scuole incontrano nello svolgere il proprio compito rispondono a una logica interpretativa
attenta ai fenomeni contingenti, ma poco consapevole delle relazioni che collegano fra loro il
gran numero di elementi e determinano condizioni più o meno favorevoli per l’attività
educativa. Si tratta sia dei diversi aspetti del funzionamento della scuola, sia dei fattori politici
e sociali che in un contesto virtuoso facilitano il compito educativo, ma lo condizionano
negativamente se il contesto non è tale. Sono elementi che non debbono essere trascurati,
così come non possono essere lasciate senza risposta le manifestazioni di disagio più evidenti,
quelle che hanno ripercussioni immediate sulle condizioni di esistenza di chi in vario modo è
coinvolto nel funzionamento della scuola. Occorre però evitare che la ricerca di soluzioni
settoriali faccia perdere di vista l’insieme delle interazioni dalle quali deriva l’orientamento
complessivo dell’educazione. In altre parole, Achille non potrà superare la tartaruga fino a
quando al cattivo infinito (ovvero, in termini hegeliani, all’enumerazione delle cause di disagio)
non si sarà sostituita un’interpretazione unitaria. Quello che occorre superare è un certo
determinismo nello stabilire il nesso tra l’individuazione del disagio e gli effetti che questo o
quel provvedimento è in grado di conseguire. Può anche darsi che a breve termine si osservino
gli effetti desiderati, ma nulla assicura che si tratti di effetti che permangano per un tempo
abbastanza lungo da consentire di sviluppare progetti educativi di qualche consistenza.
Non si deve dimenticare che le grandi trasformazioni che hanno interessato la storia
dell’educazione e che hanno mutato gli atteggiamenti e il profilo culturale delle popolazioni
sono avvenuti in condizioni lontanissime da quelle che sarebbero state desiderabili. Quel che
era chiaro, e generalmente condiviso, era l’intento che si voleva perseguire. Fruire di
educazione formale era desiderabile non tanto per i benefici che se ne sarebbero tratti
nell’immediato, ma soprattutto per quelli che si sarebbero potuti attendere nel corso della vita.
La forza dei cambiamenti educativi era quella necessaria a dare attuazione ai disegni utopistici
(da Moro a Bacone) o politici (da Rousseau a Marx) tesi a migliorare, attraverso la conoscenza,
le condizioni di vita.
C’è speranza per la scuola se si ridefinisce l’intento dell’educazione formale e se tale intento
sarà generalmente condiviso. Il funzionamento del sistema educativo, prima ancora di essere
un problema tecnico, è una questione di coerenza dei comportamenti collettivi. Non basta
preoccuparsi per l’immediato, perché ancora più importante è assicurare a bambini e ragazzi la
capacità di capire le trasformazioni che interverranno nella società, nella conoscenza, nelle
attività produttive. Ma, per definire un progetto di trasformazione della scuola, c’è bisogno di
coinvolgere tutti i soggetti interessati, promuovendo un grande dibattito nazionale.
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19. Occorre un curricolo verticale per consentire ai giovani di
conseguire le competenze di cittadinanza Maurizio Tiriticco
Com’è noto, l’obbligo di istruzione decennale è stato istituito nel nostro Paese solo alla fine del
2006, in seguito a una scelta del governo di centro-sinistra, con la legge finanziaria relativa al
2007. Il decreto applicativo è del medesimo anno (dm 139/07) e il modello di certificazione,
estremamente necessario per dare gambe e corpo all’innovazione, è stato varato ben tre anni
dopo (dm 9/10), con il governo di centro-destra. Va, comunque, ricordato che, in effetti,
l’obbligo non termina a 16 anni in quanto, a norma di quanto sancito dall’articolo 2, comma 2
della legge 53/03 (alias “riforma Moratti”, governo di centro-destra), “è assicurato a tutti il
diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al compimento di
una qualifica entro il 18° anno di età”. Come spesso avviene nel nostro Paese, l’eccesso della
norma non corrisponde poi alla normalità dei fatti, per cui possiamo dire che, per quanto
riguarda l’adempimento dell’obbligo di istruzione, la prevista certificazione delle competenze in
moltissimi casi è solo un’operazione formale e, per quanto riguarda il diritto/dovere
all’istruzione, è noto che sono migliaia i giovani che non posseggono alcun titolo di studio oltre
il diploma di licenza media che, com’è noto, dopo l’innalzamento dell’obbligo, di fatto non ha
più alcun valore formale.
Va anche detto che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno provveduto, con una
Raccomandazione del 23 aprile 2008, a definire un Quadro Europeo delle Qualifiche – EQF,
European Qualifications Framework – scandite in otto livelli, e ciascun Paese membro avrebbe
dovuto dichiarare a quali livelli corrispondessero i propri titoli di studio. Il che avrebbe reso più
facile la circolazione dei titoli, e ovviamente degli studenti e dei lavoratori, all’interno dell’UE. Il
nostro Governo ha assunto le sue decisioni in merito all’EQF con notevole ritardo, con un
provvedimento del 20 dicembre 2012. Si veda al proposito l’“Accordo sulla referenziazione del
sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento
permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23
aprile 2008”. Da tale accordo risulta che il titolo della nostra scuola media corrisponde al primo
livello europeo e la certificazione dell’obbligo decennale al secondo.
Va anche considerato che ormai in ambito europeo la conclusione di ogni ciclo di studio è
scandita in conoscenze, abilità e competenze.
Per quanto riguarda la conclusione del primo ciclo italiano, gli esiti di apprendimento indicati
dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze generali di base; abilità di base necessarie
per svolgere mansioni o compiti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione
diretta in un contesto strutturato. Ovviamente l’attività lavorativa non interessa il nostro
quattordicenne, in quanto la norma prescrive che l’accesso al mondo del lavoro è possibile solo
dopo aver assolto l’obbligo di istruzione, dopo i 16 anni di età, o dopo i 15, se si accede
all’apprendistato di primo livello.
Per quanto riguarda il conseguimento dell’obbligo di istruzione decennale, gli esiti di
apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze pratiche di base in un
ambito di lavoro e di studio; abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le
informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando
regole e strumenti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione diretta con
una certa autonomia.
Da quanto detto, emerge che nella nostra scuola la progettazione di un curricolo verticale
decennale che proceda dal primo ciclo (se non dalla stessa scuola per l’infanzia) alla
conclusione del biennio obbligatorio non è sempre agevole, almeno per due motivi: a) la
cesura tra il primo e il secondo ciclo è sottolineata da un esame di Stato di dubbia legittimità;
non ha senso un esame che non conclude un percorso di studi effettivo e che resta in vita solo
perché l’articolo 33 della Costituzione prevede che al termine di ciascun ciclo di studi vi sia un
esame di Stato; occorre anche considerare che l’effettivo primo ciclo oggi è decennale; b) una
certificazione dell’obbligo decennale è in larga misura vanificata, almeno per due motivi: 1) il
biennio non è mai percepito come “unitario” e conclusivo di un percorso, come prevede il dm
139/07, ma come “propedeutico” a un successivo e specifico triennio; 2) le competenze di
cittadinanza funzionali all’apprendimento permanente, di cui al citato EQF, sono di fatto
ignorate dal dm 139/07, istitutivo dell’obbligo di istruzione decennale (figurano in parentesi
come un ingombrante accessorio!!!), per cedere il posto a quattro assi culturali
pluridisciplinari, pur necessari, ovviamente.
Da quanto detto, ci si attende che in un prossimo futuro venga adottato un provvedimento che
si muova in verticale e in orizzontale, se si può dire così: a) in verticale, perché si decida che
un percorso obbligatorio decennale non può non avere una sua continuità didattica, pur nel
pieno rispetto dei diversi livelli di maturazione che vanno dall’infanzia alla preadolescenza e
all’adolescenza (ma queste sono questioni pedagogico-didattiche, non ordinamentali!); b) in
orizzontale perché nell’ultimo biennio obbligatorio “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” –
come si legge all’articolo 2 del dm 139/07 – sia effettivamente garantita.
A queste condizioni, un effettivo curricolo verticale, continuo e progressivo sarebbe quindi
possibile, anche perché permetterebbe ai nostri giovani “obbligati” di conseguire competenze
di cittadinanza finalizzate anche e soprattutto a un apprendimento permanente da condurre in
un concorso civile e culturale con i giovani europei. Il che permetterebbe al nostro Sistema di
istruzione di compiere quel necessario salto di qualità che è nell’auspicio di tutti.
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20. La scuola è morta, viva la scuola - Franco De Anna
Note a margine del nuovo libro di Bottani. Il nocciolo di una analisi realistica: i sistemi di
istruzione pubblica nazionale hanno fallito sia per quanto attiene ai risultati di apprendimento,
sia e soprattutto per quanto attiene alla sfida della "equità" sociale e del superamento delle
disuguaglianze. Requiem per la scuola. Così titola il libro.
Il secolo in cui sono nato incomincia con le carrozze a cavalli e i lumi a petrolio e finisce con la
microelettronica, la rete, l’ingegneria genetica, le nanotecnologie.
Ho avuto la fortuna di nascere a metà di quel secolo e dunque la mia vita si è sviluppata a
cavallo con il nuovo millennio; si è saturata, nella sua adultità, di tutte le novità della
tecnologia che con la loro velocità di diffusione, pervasività di applicazioni a tutti gli aspetti del
vivere quotidiano, hanno modificato profondamente quest’ultimo e per tutti..
Per altro non saprei dire se la pressione innovativa di tali fenomeni sulla mia vita e la loro
influenza materiale e psicologica su di me, sulla mia configurazione di persona, soggetto,
individuo, sia stata più o meno elevata di quanto accaduto per esempio a mio nonno. Lui era
nato nel 1882, l’anno della morte di Garibaldi (a dirlo così fa più impressione…) ed è morto
poco dopo la mia nascita.
Quale sfida della Storia sulle nostre reciproche storie personali è stata più radicale? Mio nonno
ha visto generalizzarsi l’uso quotidiano, produttivo e domestico dell’energia elettrica, le strade
riempirsi progressivamente di automobili, i cieli di aeroplani, l’etere di voci ed immagini
scambiate a distanza di migliaia di chilometri; è passato attraverso due guerre mondiali che
possono in realtà considerarsi come due tappe di una medesima lunghissima guerra dei
trent’anni…
Se dovessi enumerare " i cambiamenti" vissuti da mio nonno sotto il profilo della loro quantità
e portata non avrei dubbi ad assegnare la palma della sfida a quale sia più radicale.
Bisogna invece considerare altre circostanze per capire l’effettiva portata dei mutamenti della
Storia su quelli delle storie individuali.
Per esempio, per quanto riguarda il rapporto tra lo sviluppo e diffusione della tecnologia e la
sua influenza innovativa nella vita quotidiana delle persone, contano lo sguardo, le attese e le
disponibilità soggettive (curiosità, speranze, aperture) che le persone stesse mettono in campo
rispetto all’innovazione. Il Paese nel quale si è formato, cresciuto e vissuto mio nonno per gran
parte della sua vita era sostanzialmente un Paese di analfabeti e di contadini, largamente
legato alle rappresentazioni ed ai valori della vita agricola. Poche le isole di sviluppo industriale
ed urbano negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia: quando la cultura ad esse
legata ha cominciato a generalizzarsi ed a irrobustirsi a sufficienza per "marcare" il senso
comune, mio nonno era già adulto, e andava in guerra.
Vivere direttamente in prima persona il generalizzarsi della disponibilità domestica di energia
elettrica deve avere avuto un impatto formidabile sulla sua testa e sui suoi pensieri: non aveva
seguito alcun curricolo scolastico che gli avesse insegnato cosa fosse quella forma di energia
che si propagava nella sua casa.
La prima lavatrice nella mia famiglia entrò quando avevo già compiuto e per intero, l’istruzione
primaria. La sua portata innovatrice, particolarmente nella vita di mia madre, fu formidabile.
Ma io ne ero preparato: non solo la disponibilità di elettricità era ormai cosa consolidata, ma
avevo imparato a scuola che cosa fosse. La mia "testa" aveva già introiettato una "curvatura"
di curiosità, disponibilità, informazioni, attese che assicuravano una diversa mediazione
dell’impatto delle innovazioni tecnologiche e scientifiche.
La generazione di mio nonno visse in un tempo in cui l’attesa di vita media era al di sotto dei
50 anni (e le carneficine belliche produssero, nei fatti, inveramenti più che realistici delle
previsioni statistiche). La "piramide della popolazione" era davvero una piramide: classi di età
giovanili molto popolate e restringimenti progressivi verso un vertice non particolarmente
elevato.
Le "memorie", le consapevolezze della Storia, non potevano che seguire tale distribuzione, in
almeno due aspetti. Il primo: la "quantità" di innovazione che ogni persona incontrava nella
sua vita materiale era contenuta nella maggiore brevità (media) della stessa. Insomma uno
"stress innovativo" forzatamente limitato sotto il profilo quantitativo.
Il secondo: la base molto larga della piramide della popolazione e il vertice abbassato
definivano condizioni particolari alla "riproduzione della memoria". Pochi anziani, molti cuccioli
da portare nella foresta per insegnare loro a cacciare. Una "struttura" adeguata (!?) a compiti
"conservativi, nella trasmissione delle memorie tra generazioni (Come fu per gran parte della
Storia di gran parte dell’umanità).
Ma totalmente inadeguata a fare fronte a tensioni innovative sostenute dallo sviluppo della
scienza e dalla tecnologia e capaci di modificare la vita quotidiana di masse sempre più larghe
di popolazione e con velocità sempre più elevata.
Scienza, tecnologia, economia capaci di imprimere un ritmo di innovazione che poneva le
popolazioni di fronte a "oggetti" sempre nuovi, ma che le condizioni tradizionali della
riproduzione culturale intergenerazionale non garantivano di socializzare adeguatamente e
collocare nella "biblioteca personale" disponibile alle menti ed all’esercizio di padronanza dei
singoli e delle comunità..
Ovviamente non un problema per le elite sociali: l’istruzione, come funzione sociale
"specializzata" a ciò, assolveva per loro a tale compito di "riproduzione delle memorie e del
senso" che si ritrovava compressa nella struttura della distribuzione "naturale" delle
generazioni.
Chi oggi ha una età simile alla mia (ultrasessantenne) ed è laureato come me, dovrebbe
sempre ricordare alcune "verità" strutturali che a volte suonano "scomode", soprattutto
quando si tratti di discutere di politica scolastica.
L’80% (ottanta!) della popolazione di coloro che nel 1963 (scuola Media Unica) avevano più di
10 anni (quorum ego: non ho fatto la media unificata..) ha frequentato solo le scuole
elementari. Questa parte di popolazione ha vissuto una vita intera nella quale benessere
progressivo e cultura dei consumi (pervasività della tecnologia nella vita quotidiana compresa)
si sono accompagnati a condizioni di semianalfabetismo o di analfabetismo di ritorno. Una
condizione che non può non avere pesato anche sui suoi figli e nipoti, sia pure sottratti a ciò da
una scolarizzazione di massa cresciuta impetuosamente lungo gli anni ’70 del secolo scorso.
Ciò significa che a metà degli anni Novanta la stragrande maggioranza degli ultraquarantenni
erano figli di una Italia premoderna, che pur non esistendo più nella realtà non poteva però
che alimentare stratificazioni profonde (memorie, attese, disponibilità, padronanze) della loro
identità/personalità.
Tutto questo fa di me ( e di quelli come me) un privilegiato. Ricordarlo non serve ovviamente
per alimentare sensi di colpa, ma certamente per dare alle nostre opinioni, ai nostri argomenti,
alle nostre analisi piegate sull’oggi, (e su qualche deriva "funzionalista" o ideologia
postmoderna come quella della "società della conoscenza") la corretta prospettiva, capace di
respirare il futuro e non solo di invocarlo.
L’istruzione pubblica, la scuola di massa per il nostro Paese ha avuto questo fondamentale
significato storico (una sfida/scommessa in realtà): ridistribuire socialmente, oltre la
disuguaglianza sociale, le condizioni di una riproduzione culturale capace di creare le condizioni
per superare la contraddizione specifica del nostro Paese: tra la "struttura profonda"
premoderna e lo sviluppo economico da grande paese industrializzato.
La vera domanda oggi sarebbe circa quanto in quella direzione è stato fatto e quanta di quella
sfida scommessa sia ancora attuale e come fare per "giocarsela" nelle condizioni attuali (cosa è
morto, cosa occorre rivitalizzare, cosa far nascere)
E’ chiaro che qui mi riferisco ad una "istruzione di base" socializzata ed unitaria (vedi dettato
costituzionale nella sua letterale espressione). Altro ragionamento ed approccio occorrerebbe
sviluppare, pur partendo da qui, per l’istruzione superiore e terziaria.
Su questo piano il dato più preoccupante in termini di "risultati" non sono le "misure" delle
prestazioni degli studenti, ma la non "equità" del sistema, la permanenza di una varianza
interna non accettabile e che contravviene l’assunto di base, il permanere ed acuirsi di
differenze territoriali e di contesto ancora prima, e non solo, che socio economiche. Non è
certo la scuola a doversi fare carico di combattere, da sola, le disuguaglianze sociali. Esse si
riflettono al suo interno, come ovvio.
Ma è legittima la domanda se lungo gli anni di permanenza al suo interno, essa sappia
contribuire ad attenuare il peso che le variabili di tipo economico e sociale assumono nella
crescita di una persona, se questa rappresenta una missione dichiarata e praticata dalle
politiche pubbliche, e condivisa e socializzata da un ceto professionale che a partire da essa
configura il proprio profilo, le proprie competenze, i propri "attrezzi di lavoro".
Se un attenta analisi critica dei dati (a questo servono le valutazioni) fornisce risposte negative
o quanto meno dubitative, il problema non è dichiarare fallimento e morte. Ma capire cosa e
come cambiare ciò che pareva consolidato e dato per scontato da scarsa cura nelle letture
valutative.
Se guardo ancora a me e a mio nonno mi riesce difficile pronunciare un requiem. Quando sono
nato oltre il 50% dei lavoratori italiani era impiegato (!?) nell’agricoltura. Lungo la mia vita tale
dato si è ridotto a meno di un decimo. Ed è evidente che non si tratta solamente di un dato
occupazionale: significa emigrazione interna ed esterna, inurbamento, mutazione di modelli
culturali e di vita… La massificazione della scuola di base ha accompagnato tutto questo. Ed è
un risultato storico .
Tutto questo è certamente finito: altri compiti, altre soluzioni, altre modalità e strumenti per
affrontarle.
Ma, proprio perciò, e proprio per l’istruzione di base (con quei significati, nella riproduzione
delle generazioni che ho cercato di indicare) non un requiem, ma un altro assetto di compiti e
priorità.
E se si misura il fallimento proprio in termini di equità ed uguaglianza, da lì occorre ridefinire
politiche e strumenti. Prima di tutto facendo proprio dell’istruzione di base la priorità della
politica pubblica. (Si raccomanda, personalmente, con priorità per l’infanzia…).
Riconoscere che il compito è diverso dal passato è però non solo un attributo di onestà politica
ed intellettuale (e ben vengano da questo punto di vista anche le affermazioni tranchant sui
requiem necessari) ma anche una condizione per definire politiche pubbliche sensatamente
verificabili.
Per esempio, come si ridefiniscono condizioni di riproduzione delle memorie, del senso
comune, delle capacità di padronanza tra generazioni, a fronte di una "piramide della
popolazione" che è oggi tutt’altro che una piramide e assomiglia invece ad una "cupola
orientale", con una base ristretta, un rigonfiamento mediano ed una punta che si assottiglia
verso l’alto? Anziani numerosi, e ancor più le età di mezzo. Pochi cuccioli da portare nella
foresta per insegnare loro a cacciare, ma con compiti assai più complessi di un tempo. La
foresta è più intricata e la caccia è più difficile.
Bastano in proposito anche i volenterosi e apprezzabili sforzi di innovare curricoli e contenuti
(pardon… "indicazioni"), O al contrario sono le condizioni "strutturali" da cambiare (durate,
tempi, scansioni, ambienti, contenuti e distribuzione del lavoro, protagonisti…)?
Pensiamo per esempio all’interrogativo specifico, rispetto all’istruzione di massa, rappresentato
dal rigonfiamento intermedio della piramide della popolazione e ai fenomeni acclarati di semi
analfabetismo o di analfabetismo di ritorno: forse si potrebbe azzardare che possano cambiare
i riferimenti generazionali dell’opera di istruzione della scuola, a parità di suoi significati sociali
di fondo.(la scommessa dell’uguaglianza…).
D’altra parte, a proposito di coerenza di politiche pubbliche e di priorità sociali, non posso non
ricordare che nel nostro Paese quella che oggi si chiama "formazione per tutta la vita" ha
acquisito qualche cittadinanza solo sulla scorta di un impegno "sindacale" ( le 150 ore…).
L’Ordinamento, in quanto tale (dal decisore politico, all’Amministrazione) ha sempre avuto
(ha?) "pensieri lontani" da tali obiettivi di fondo. (si vedano, al di là delle affermazioni di
principio, le vicende relative agli assetti dei Centri Territoriali di istruzione permanente…)
La grande affermazione dell’istruzione come "bene comune", non può significare mantenere ciò
che è stato. Né quei fallimenti presentati da Bottani sono un dato contingente legato ai limiti di
risorse. Questi certo aggravano la situazione, ma i cattivi risultati rispetto alla scommessa
storica dell’equità hanno radici ben più lontane.
L’argomentazione precedente muove dallo spunto iniziale costituito dalla innovazione,
diffusione, pervasività dello sviluppo tecnologico e della funzione dell’istruzione di massa come
strumento di socializzazione culturale adeguata ad esso e finalizzata allo sviluppo di sensate
condizioni di "padronanza" dei suoi effetti lungo la riproduzione delle generazioni.
Ma argomentazioni analoghe (o meglio simmetriche) si possono fare rispetto ad altri aspetti
relativi allo sviluppo dell’istruzione pubblica di massa nel nostro Paese che danno specificità al
processo anche rispetto alla comparata internazionale.
I sistemi di istruzione pubblica accompagnano, nel loro sviluppo, l’affermarsi e consolidarsi
degli stati nazionali. La loro articolazione di funzioni, le scale di valori, gli assetti, la
"significazione sociale" che accompagna il loro costituirsi istituzionale sono connesse in una
permanente dialettica con gli stessi caratteri del "costituirsi" degli Stati nazionali.
La comparata sui "risultati" è dunque analisi fondamentale e necessaria (si misurano e
valutano le "politiche pubbliche); ma certamente non né sufficiente, né esaustiva. Solo alcuni
esempi.
L’alfabetizzazione si pose come obiettivo storico fondamentale nei paesi della Riforma perché
ad essa era legata alla "lettura del Libro" esercitata personalmente. Più tardi, la "riproduzione
culturale" propriamente detta (il modello di "cultura nazionale", la Kultur) è legata alla
"nazionalizzazione delle masse", o alla "civilisation", e possiamo assumere tanto Bismark,
quanto la Republique come riferimenti storici (con modelli diversi, certamente).
Ma le correlazioni tra sviluppo dei Sistemi di istruzione pubblica e lo sviluppo e consolidamento
degli Stati nazionali, sotto il profilo sia delle "funzioni" sia delle "significazioni sociali"
riguardano in particolare i livelli superiori di istruzione.
E’ infatti a questo livello che agiscono con più significativa efficacia entrambi gli "operatori di
significazione sociale" legati alla istituzione pubblica del sistema nazionale di istruzione: la
riproduzione delle elite (politiche, amministrative, culturali, scientifiche, sociali) e la (più tarda)
riproduzione dei "talenti economici" (ingegneri, tecnici, agronomi, economisti…).
Su questo piano i miei distinguo rispetto alle diagnosi di requiem di Bottani si attenuano
alquanto per lasciare posto ad una corrispondenza di pensieri: "quel" sistema è al tramonto
conclamato.
Primo: il decadere di significato, potestà deliberativa, rappresentanza di interessi e volontà
politiche degli Stati nazionali rappresenta un tratto specifico di questa era.
C’è chi pensa, anche per sincera preoccupazione, alla possibilità di opporsi a tale processo. Ma
se appena volge lo sguardo per capire chi abbia intorno come alleato, non può che desistere.
Non pare ci sia alternativa autenticamente democratica nel rifluire a negare la fase della Storia
che vede declinare la funzione degli Stati nazionali, a meno di ritrovarsi in pessima compagnia.
Si può solamente al contrario spingere per trasferire sul piano sopranazionale le istanze di
democrazia, cittadinanza, deliberazione. Ma ciò significa operare per "far convergere" nella loro
strutturalità i diversi apparati un tempo autoparametrati sul monopolio statuale. Non sono
sufficienti (anzi a volte dannosi nella loro funzione mistificante) le sole definizioni di
"parametri" di risultato: occorre la convergenza dei processi e delle strutture reali. Il rapporto
PIL/deficit non significa nulla (è parametro "stupido" diceva Prodi) se la struttura dei diversi
bilanci pubblici non tende a convergere nella sua composizione, e dunque se non convergono,
nella loro operatività i sottosistemi di spesa pubblica, dalle pensioni, alla sanità, alla scuola…
Ciò vale dunque per quei sottosistemi istituzionali fondamentali che sono i sistemi di istruzione
nazionale…Occorrono altri obiettivi comuni, altre significazioni unificanti, altre decisioni di
investimento coordinato sull’istruzione superiore…
Secondo: la suggestione della "società della conoscenza" rischia di occultare una mistificazione
ideologica se non si considera che i caratteri dello sviluppo economico, nazionale e mondiale,
hanno bensì una necessità sempre rinnovata di disporre di talenti di alto livello di competenze
(da qui la suggestione citata e quella spesso insieme declinata del "merito"). Ma i caratteri
stessi dello sviluppo implicano che 1) le competenze richieste abbiano un elevatissimo tasso di
obsolescenza, e dunque decadano con ritmi assai più rapidi di quelli generazionali e che 2) il
sistema ha bisogno di talenti sempre più qualificati, ma è in grado di valorizzarli solo in modo
sempre più selettivo (altro che ascensore sociale: o meglio, si tenga conto, per valutare le
metafore, che l’ascensore è sempre un contenitore di assai esigue dimensioni… è in grado di
contenere assai poche persone…). Rimando, per comprendere la portata "ideologica" del
paradigma di "società della conoscenza" alle
analisi di L. Gallino sulle stratificazioni del lavoro connesse alla globalizzazione e sul valore
"falsificato" di un indicatore come il "titolo di studio" nel determinare tale stratificazione.
Terzo: se si guarda allo specifico della istruzione superiore italiana, le diagnosi nefaste si fanno
molto realistiche. Senza dilungarmi in complesse analisi (del resto ampiamente disponibili…)
uso come paradigmatico il confronto tra i tedeschi che, dopo la tragedia bellica e del nazismo
seppero spostare il baricentro dell’istruzione secondaria dalla Kultur del Gymnasium
all’istruzione professionale e tecnica (senza nulla perdere, anzi, sul piano della cultura
umanistica) e il caso italiano di contraddittoria permanenza di una scala di gerarchie e valori
incentrata sull’istruzione liceale; resa obsolescente in termini reali e conclamati da una crescita
di massa dell’istruzione tecnica e professionale (in certe fasi storiche coerente con lo stesso
sviluppo economico), e però mantenuta comunque operativa nelle scelte di ordinamento (non
una "sopravvivenza", cosa che già sarebbe grave, ma una permanenza fin entro alle "nuove"
(!?) indicazioni per la secondaria superiore).
E quanto alla riproduzione delle elites sociali e politiche…. La filiera di Presidenti francesi che, di
qualunque colore politico, provenivano tutti dall’ENA è stata bensì interrotta da Sarkosy, ma si
è subito ripresa…In Gran Bretagna Cameron convalida la funzione essenziale (nei fatti anche se
non codificata come per l’ENA) svolta da un paio di università nell’alimentare le elites politiche.
In Germania la continuità nazionale della cultura è riuscita a darsi in questi anni un (una)
premier che si è formata nell’est durante una divisione storica più che drammatica. In Italia….
Beh! È sempre possibile consolarsi guardando al numero di avvocati (e di licei classici dunque)
presenti in Parlamento ed ai magnifici risultati di quel "modello di cultura". Su altro il tacere è
bello. Altrove ho scritto: abbiamo il Liceo, abbiamo l’Accademia,peccato ci manchi la Stoa.
Più seriamente, a proposito di correlazione tra Stato nazionale e sistemi di istruzione. Io e mio
nonno (per tornare all’approccio) abbiamo condiviso una idea "formativa" di fondo: lo Stato
rappresentava il coronamento e l’ispirazione di un percorso formativo "dal soggetto alla
cittadinanza"; dalla individuazione alla "professione" (ciò che un soggetto dà e sa al contesto
sociale di riferimento). Il coronamento del percorso di cittadinanza era costituito dallo Stato.
Così per me come per mio nonno.
Ma non è più così: l’idea (e l’ideale) stesso di cittadinanza si complessificano e declinano più
livelli. Lo Stato e i suoi ordinamenti rimangono come una "intelaiatura" di inquadramento ma
entro la quale operano istanze plurime di cittadinanza "societaria" che si parametrano sulla
società civile e le sue autonomie (di dimensione non meno "pubblica" degli ordinamenti statali)
e contemporaneamente istanze che travalicano la dimensione nazionale e che richiedono
parimenti esercizio di cittadinanza (la deliberazione e le appartenenze) su una scala
sopranazionale. Per me una sfida che arriva in tarda età. Ma le nuove generazioni nascono
"dentro" questa sfida.
In altre parole, la "formazione" delle nuove generazioni (e non solo), acquista altri riferimenti e
manda in obsolescenza antiche significazioni che delineavano le funzioni sociali dei sotto
insiemi istituzionali costituiti dai sistemi di istruzione.
Qui sono francamente d’accordo con Bottani: bisognerebbe avere il coraggio di intonare un
requiem. Ma, senza esagerare, credo si possa delineare una conclusione operativa.
Focalizzare gli obiettivi di politica pubblica sull’istruzione di base: durata, organizzazione,
scansioni, ambienti, obiettivi, qualità del lavoro impegnato, condivisone di una mission forte e
fondata costituzionalmente. Qui deve "consistere" il sistema di istruzione e il suo
"ordinamento", il suo interpretare un "bene comune" e la sua capacità di interpretare la sfida
di "questa" Storia.
Per l’istruzione superiore, al contrario, occorre superare il paradigma stesso di "ordinamento"
(e le scale di valori e gerarchie implicite connesse). Portare a effettiva consequenzialità una
intuizione pure presente nei tentativi di riforma della secondaria: la flessibilità dei percorsi,
liberando tale opzione dai lacci e laccioli che la imprigionano. Arrivare ad una assennata
composizione tra (poche) prescrizioni generali e "mirate" scelte opzionali, vocazionali,
personali, in relazione a contesti socio economici e produttivi diversi e con diversa domanda
sociale.
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