un nodo… che tenga!

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un nodo… che tenga!
Un nodo… un nodo… che tenga!
Lunedì 7 aprile, ore 4:10
Sono sveglio, o meglio… mi sveglio. La colpa è del cellulare che solo due ore fa ho impostato a quest'ora.
Sono dentro la macchina, disteso, vestito da caccia perché non vale la pena spogliarsi. Fuori, sulla sponda
del lago Sgagna, ci sono le altre auto con dentro Fabrizio e Christian, anche loro immersi nel sonno del
giusto.
Mi faccio violenza e, pensando seriamente che non sono normale, apro la portiera e faccio cadere gli
scarponi che avevo incastrato in qualche modo, poi anche io ci casco dentro e barcollando mi metto in piedi.
“Cazzo, che freddo!” Decido di muovermi e fare qualcosa per scaldarmi un po’…. “tanto devo svegliare
Fabrizio e Christian…” .
“Fabrizio.! … Fabrizio !” chiamo picchiettando sul finestrino della sua macchina. Il vetro è appannato per la
condensa, ma intravedo dentro il volto di un uomo sconvolto, occhi pesti, barba lunga.
“Sono le 4 e un quarto. Che fai? Vieni?”
“Sono andato a letto alle 3, non ce la faccio. Andate voi” dice Fabrizio scomparendo nuovamente dietro il
vetro biancastro.
“Christian? Te ci sei?” domando girandomi verso la sua macchina che però vedo aperta ed illuminata dalla
luce di cortesia.
“Comandi!” fa Christian. Eh si, lui ci prova, ha fatto il militare nei parà e qualcosa gli è rimasto dentro: deve
far vedere che è cazzuto. Io gli voglio bene, anche se non lo riesco a seguire in questa sua versione
guerriera. In compenso abbiamo sempre: razioni K, fornellino da campo, merendine energetiche, coltelli da
combattimento e da lavoro, ed una miriade di aggeggi che tornano sempre utili nelle nostre uscite. GRANDE
CHRISTIAN !
“Il gommone? E’ sempre gonfio?” domando.
“Penso di si. Manca la batteria che è sotto carica”, risponde Christian, incamminandosi verso la rimessa
dove c’è l’unica presa di corrente alla quale abbiamo attaccato il nostro carica batterie.
Cinque minuti ed una decina di preparativi dopo siamo in acqua, io in piedi a prua e Christian a poppa che
pilota tenendo la barra del motore elettrico.
E’ la nostra seconda notte di caccia al siluro, abbiamo sulle spalle la ricerca di domenica notte e la noia
mortale della giornata di lunedì trascorsa a guardare la gente pescare fra un caffè ed una teoria: “…forse
abbiamo visto un siluro per un attimo… era sicuramente un siluro… però perché solo uno? Se sono usciti dal
letargo dovrebbero girare come dannati per alimentarsi in vista della frega… mi sa che quello era un temolo
russo... ma gli hai visto solo la coda andar via?…” Discorsi da bar, fatti senza troppa convinzione per
ammazzare la noia. Comunque ci si riprova, siamo con le torce sulla testa e gli archi in mano, ma nessuno ci
crede più e siamo convinti ormai che è ancora troppo presto, che l’acqua di risorgiva è fredda e qui non è
come nel Po’ dove li stanno già pescando con la canna da un mese.
Con questi pensieri puntiamo alla prima “secca”. Noi chiamiamo così tre zone del lago dove, adesso che la
falda freatica è scarica, il fondale risale fino ad un paio di metri dalla superficie. E’ lì che, per lo più,
cerchiamo con continue passate di vedere qualcosa di grosso. L’abbiamo fatto e rifatto mille volte, a tutte le
ore dal tramonto all’alba, ma di siluri neanche l’ombra. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?
La regola della caccia dice che tutto quello che non è successo per ore, per giorni, poi accade in un minuto:
se ci sei e se sei pronto vinci, altrimenti… nisba... Io lo so bene e così, anche questa volta, come tutte le altre
migliaia di volte, aggancio il loop, disarmo il mulinello e controllo la freccia mentre mi concentro sul fondale
che risale e schiarisce man mano che ci avviciniamo alla secca. Christian è in piedi a poppa, una mano sulla
barra e l’altra a reggere il suo arco pronto per lo scocco.
Improvvisamente noto un riflesso nerastro ancora lontano in diagonale sul fondo. Ne vedo a decine fra i
riflessi della notte rotta dal fascio delle torce che abbiamo in testa, e sono sempre e soltanto bagliori o
sassi… però, non so perché, forse Diana che ha deciso di darmi una mano, questa volta apro l’arco…
“ECCOLO !”, grido mentre gli stiamo arrivando quasi sopra e lui parte per la fuga. “Tira… va via…” mi dice
Christian che è troppo giovane di caccia e fatica a mantenere il sangue freddo, ma io so per esperienza che
gli devo piantare la freccia nell’unico punto in cui posso sfondarlo, cioè dietro la testa, prima dell’ano e
subito a fianco dell’imponente spina dorsale. “Cazzo se è grosso… è uno dei quattro giganti” mi dice
Christian, ma io non posso rispondergli perchè sono piegato a 90° fuori bordo, la freccia quasi in verticale e
con una T perfetta sto vedendo solo il punto in cui tirare. Seguo il movimento del siluro e poi… SCOCCO !
“PRESO !” urla Christian, mentre la lenza fischia uscendo dal mulinello.
“Vagli dietro! Posa l’arco e stagli dietro… mi finisce la lenza. Cazzo com’è grosso !!” dico a Christian mentre
cerco di tenere la lenza e frenare un po’.
Il combattimento è cominciato e nella mente sto cercando di capire come l’ho preso. Questo è enorme e
vorrei tanto vederlo fuori dall’acqua. Con la barca riusciamo a ritornargli sulla verticale e così posso
riavvolgere. Provo anche a pomparlo un po’, ma ho una gran paura di strappare. Christian, come al solito,
alza la mano e viene a cercare la mia per battere il cinque: “GRANDE! Grande Paolo!”.
“Ce l’hai il raffio? Mi sta venendo su ma non lo vedo… Stai pronto ‘che questo è grosso. Se ce la fo a farlo
venire vicino provaci”… (l’emozione tira fuori ancora di più la mia toscanità).
“Tranquillo! Ci sono!”
“…e dai co’ sto tranquillo. Tranquillo è morto…” gli dico mentre Christian si fa la sua risata.
A un certo punto intravedo la cocca bianca della mia freccia e poi una silhouette appena accennata
nell’acqua sotto la mia verticale. “Lo vedo… eccolo!”
Lui si muove sinuoso, lento ma potente con l’enorme coda natatoria che si ritrova. Non sembrerebbe
neppure colpito se non fosse per la freccia che gli vedo piantata sul dorso. Per sperare di portarlo in
superficie bisogna necessariamente che lui mi “aiuti”: a peso morto sarebbe impossibile. Mentre ci trascina
pompo e sembro guadagnare ad ogni pompata 50 centimetri di risalita, ma quando arriva a quasi due metri
decide di picchiare deciso verso il fondo e non posso far altro che lasciarlo andare.
Questo gioco si ripete due, tre, … otto volte. Allora mi decido: “Lascia fare il raffio, tanto non ci si fa. Se
ritorna su prova a doppiare il tiro”
A Christian non pare il vero e si arma velocemente mentre io ri-pompo il bestione.
“Eccolo! Stai pronto… tira solo a colpo sicuro, mi raccomando…” dico a Christian. Come se esistesse un
colpo sicuro… che è tale solo dopo che l’hai constatato. Ok, ho detto una stronzata, però in questi momenti
mi viene facile confondere ciò che vorrei ardentemente con quello che mi esce dalla bocca.
“Arriva… aspetta di averlo di fianco… provo a portartelo…”
“Lo vedo… lo vedo…” dice Christian caricando l’arco.
“Aspetta… devi averlo a tiro… no sul capo…” Questa storia del capo-NO ce la siamo ficcata tutti bene in
testa, l’abbiamo visto l’anno scorso su animali più piccoli: la testa del siluro, in acqua, non la sfondi neanche
con le nostre 70 libbre e frecce da 1700 grani. Io lo so, anche Christian lo sa, ma non riesco a trattenermi…
poi… un rumore secco, come una frustata. Il siluro non s’intravede più ma adesso i mulinelli che fischiano
sono due.
“Ce l’ho, ce l’ho !”
“Bono, ora non c’infreniamo e cerchiamo di pomparlo in due” gli dico.
Il siluro sembra persino più potente di prima e senza più Christian che comanda il motore stiamo facendo
letteralmente il surf con il nostro gommone Yam 300. Con la frizione a metà cerchiamo di darci il tempo per
pompare e per un minuto sembra che qualcosa si riesca a fare, ma poi…
“NOOO! S’è staccato!”
Io mi giro verso Christian e lo vedo recuperare una lenza che ormai ciondola senza alcuna resistenza.
“Icche è successo?” gli domando nel mio toscano, sapendo già la risposta.
“Cazzo! Non c’è più la freccia… s’è rotta la lenza!” dice Christian.
“Come la lenza? Ma non doveva essere quella fenomenale… giapponese…? Ieri c’hai fatto tutta la tiritera e
ti s’è rotta alla prima… ma va’ a cacare te e i giapponesi…” divento cattivo… sboccato lo sono e lo so, ma
anche cattivo quando il mio compagno di caccia mi frega in questo modo.
“…E va bene. Pigliamola con calma e vediamo chi si stanca prima” dico mettendomi in ginocchio con la mia
lenza in mano. Poi, rivolto a Christian: “ascolta, bisogna fare un po’ per uno (ciascuno). Quando sono stanco
ci si scambia e si continua a tenerlo in tensione dandogli lenza quando picchia… cerca di stargli dietro e
tornargli sopra ogni volta che rallenta per non finire la lenza nel mulinello”.
“Ok. Tranquillo… è quello che sto facendo. Comunque s’è rotta al nodo, non è possibile che abbia spezzato…
o forse era vecchia… e ho anche perso la freccia!” pensa Christian a voce alta.
“Se s’è rotta la lenza la freccia è piantata sul siluro. Se lo tiriamo su riprendiamo anche la freccia!”, gli
rispondo a metà fra il rassegnato ed il dispiaciuto per non essere riusciti a doppiare il tiro.
Da questo momento non ci diciamo più nulla e per una buona mezz’ora facciamo il tira e molla con il siluro,
Christian che pilota ed io che gioco con lo yo yo animale che ho agganciato.
Girato verso la macchina di Fabrizio cerco di vedere se stia ancora dormendo, ma la distanza e la notte
m’impediscono di capirlo. Nel frattempo il siluro sento che rallenta, inizia a fare delle pause. Ora non prova
più a picchiare verso il fondo ed io non lo forzo per salire. La lenza che tengo nelle mani mi trasferisce una
sorta di pulsazione regolare, come un battito cardiaco. Mi convinco che sia proprio il battito del cuore
dell’animale, ma pensandoci adesso probabilmente era suggestione. Potenza dell’emozione e, perché no,
anche dell’atmosfera ovattata, silente, profonda che da la notte e l’essere in una barca in mezzo all’acqua
trascinati stancamente da un animale che ho arpionato ormai da quasi due ore.
Poi, improvvisamente, ci fermiamo. Il siluro non tira più. Siamo ad una ventina di metri dalla sponda
opposta a dove abbiamo il nostro campo base. Anche il battito, o quello che io credo essere il battito, non
mi arriva più nelle mani. Rompo il silenzio e guardando Christian gli chiedo: “Che ora fai? Questo s’è
fermato. Proverei anche a tirare un po’ di più, ma se davvero è morto non lo recuperiamo più!”.
“Sono le sei e un quarto. Quasi due ore. Te che vuoi fare?” dice Christian rimandandomi la palla.
L’anello che, scorrendo lungo la lenza della freccia,
dovrebbe portare a fianco del siluro piantato sul fondo
l’ancorotto vincolato alla canna d’altura
“Mah?! L’unica cosa che mi viene in mente è
metterci una boa… un qualcosa che segnali la
posizione e poi con la luce si cercherà di capire dov’è
e studiare qualcosa per recuperarlo. Per me l’unica
possibilità è provare con quell’accrocco che si fece
l’anno scorso e cercare di agganciarlo a strappo”. In
effetti,
l’anno
prima
avevamo
rimediato
un’attrezzatura per la pesca d’altura e, pensando
proprio ai casi come questo, ovvero di un grosso
animale morto o piantato sul fondo, avevamo cercato
di mettere a punto una tecnica che ci permettesse,
scorrendo lungo la lenza della freccia, di far scendere
l’ancorotto fino al pesce sul fondo e poi provare a
“rampinarlo” con una decisa ferrata. Ovviamente non
c’era e non c’è nessuna garanzia che si possa ferrarlo
sul corpo non sapendo dove si poserà l’ancorotto,
però noi avevamo fatto le nostre brave verifiche. Con
un anello che infilavamo sulla lenza della freccia
riuscivamo a calare l’ancorotto più o meno a fianco
della freccia che, per sperimentare, avevamo piantato
sul fondale. La teoria c’era, la sperimentazione
simulata pure, ma mancava la prova. Comunque,
prova o non prova, la situazione non è che
presentasse molte altre opzioni.
Christian: “Ok, mettiamo la boa. Ma qui stagnine non
ne vedo…”
“Eh si! Sono rimaste sulla chiatta. Ci vorrebbe Fabrizio, ma non vedo nessun movimento… accidenti anche a
lui…”
“Facciamo così”, mi risponde Christian “se ce la fai a portarmi a riva scendo e vado a piedi e poi veniamo in
qua con la chiatta”.
“Dai… proviamoci…” dico prendendo con una mano la leva del motore elettrico mentre con l’altra continuo
a tenere la lenza della freccia. Dirigo verso la sponda e, con un po’ di equilibrismi, scarico Christian.
“Mi rimetto sulla verticale del siluro. Fai una cosina di giorno (alla svelta, senza perdere tempo)”
raccomando a Christian mentre si allontana. Nel frattempo l’alba comincia a squarciare la notte ed a me
non resta che aspettare: io sul gommone, siluro sotto e lenza in mano.
Trascorsi 20 minuti buoni, finalmente sento il rumore della chiatta che si mette in moto e dopo un po’ ecco i
miei compagni di caccia.
“E bravo! Noi si dorme e lui piglia i pesci!” scherza Fabrizio perculeggiandomi allegramente. “Insomma,
dov’è questa balena?
“E’ qui, è qui! E mi sa tanto che ci rimarrà!” affermo in un impeto di ottimismo. “Forza, vediamo di mettergli
‘sta boa e poi andiamo a farci un caffè perché non ne posso più…”.
“Passa sul gommone, che poi vi do le stagnine da legare” dice Christian a Fabrizio, ma io li fermo con un
“Boni, non facciamo casino! Prima vi passo gli archi, si taglia la lenza a misura e poi Fabrizio monti in barca a
darmi una mano…”
Ci disimpegnamo non senza qualche difficoltà e poi Fabrizio salta nel gommone e Christian ci passa due
grosse taniche vuote, tappate e legate fra di loro da una corda.
“Ammazzete! Avevi paura che una non bastasse?” dico perplesso.
“Meglio abbondare” mi risponde Christian accennando un sorriso.
E qui comincia una scena pietosa che vede me e Fabrizio girarsi fra le mani il capo tagliato della lenza della
freccia mentre cerchiamo di legarlo alla corda delle stagnine. “Fai un nodo scorsoio… No, meglio non
strozzarlo… Ma se ci facessi semplicemente un nodo semplice?...Bravo, così si scioglie appena la corda si
bagna…” e via di questo passo. Cinque lunghissimi minuti durante i quali io e Fabrizio ci facciamo diverse
masturbazioni mentali su come e perché annodare queste maledette stagnine alla maledettissima lenza
della freccia. In tutto questo, spicca come un monito il silenzio di Christian che, dall’alto della chiatta, ci
guarda commiserandoci. Lui è un atleta Fipsas, è stato anche nazionale, di pesca con la canna se ne intende
e fra di noi lui è l’esperto dei nodi e delle legature… o almeno, questo credevamo. Si, perché dopo tutti i
nostri affanni, il nostro lega-slega di lenza e corda, finalmente Christian apre la bocca e, con fare profondo,
dice:
“Ma scusate…” e qui io e Fabrizio ci giriamo fiduciosi verso Christian “…perché non fate un nodo…” Pausa.
Ancora pausa. Altra pausa che lascia presagire un’illuminata verità. “… un nodo… che tenga?”.
Silenzio.
Io e Fabrizio ci guardiamo, poi guardiamo Christian e, finalmente, gli dico: “Christian… amico mio… ti posso
toccare? Ma va’ affanculooo!! Te, e il nodo -che tenga-. Io volevo farne uno che non teneva, guarda un po’…
Questa giuro te la spando in giro! C’hai pensato mezz’ora per dire sta cazzata!“. Christian e Fabrizio ridono,
sul momento io un po’ di meno, ma poi mi unisco al perculeggiamento dilagante. Si, siamo un bel gruppo,
decisamente!
Comunque, alla fine un nodo “che tenga” l’abbiamo fatto, le stagnine galleggiano sull’acqua e noi finalmente
rientriamo. Sono ormai le sette passate, è giorno fatto e noi vogliamo ARDENTEMENTE un caffè.
Dalla riva dove siamo sistemati ogni tanto guardiamo se le taniche si vedono. Loro sono lì, dove le abbiamo
lasciate. Facciamo colazione, ci sgranchiamo… e le stagnine sono lì… forse. Io rimetto l’immane casino che
ho dentro l’auto adibita a camera, deposito, guardaroba… e le stagnine… le stagnine? …
“…o cazzo! Ragazzi, ma la boa si è spostata!” dico a voce alta.
Christian e Fabrizio prima sostengono che è il vento che fa muovere le taniche perché la lenza che ho
lasciato è lunga, ma poi questa spiegazione con il passare del tempo non regge più perché ormai la boa ha
attraversato il lago ed ha raggiunto quasi la nostra sponda.
“Porca puttana, questo è ancora vivo!”
“Si! Effettivamente non è possibile che sia solo la lenza…”
Io e Fabrizio saltiamo in barca, lui prende anche l’arco mentre io mi porto vicino alla boa.
“Passa alla guida. Io prendo la lenza e provo a tirare” dico scambiandomi con Fabrizio, poi da prua prendo la
lenza e tiro.
“Puttana miseria! Senti come tira! A questo punto provo a forzarlo e poi si starà a vedere. Te stai pronto a
doppiare il tiro” dico a Fabrizio, mentre inizio a recuperare la lenza girandomela fra le mani con i guanti. Il
siluro oppone resistenza, fa un paio di picchiate che assecondo per poi subito ripomparlo. Finalmente vedo
trasparire nell’acqua la cocca bianca, poi intravedo anche la sagoma del bestione. Fabrizio quando lo vede
esclama “accidenti, se è grosso!”.
“Appena l’hai a tiro scocca, perché non se ne può più…” e difatti vedo Fabrizio aprire il suo arco, lo seguo
con gli occhi mentre si allinea e, finalmente… scocca!
“PRESO!” urla Fabrizio.
“Recupera, recupera!” gli dico, sperando in un esito migliore rispetto alla seconda freccia della notte.
In effetti Fabrizio l’ha colpito, ma la freccia è passata bassa ad altezza stomaco ed è subito riuscita sui tessuti
molli, senza ledere nessun organo vitale né mettersi di traverso da consentire la trazione per il recupero. Se
forzasse strapperebbe con la lenza le carni del siluro e non avremmo risolto nulla.
“Prendi il raffio, riprovo a farlo venire sotto…”. Però il siluro ora è decisamente incazzato. La freccia di
Fabrizio non gli ha fatto sicuramente piacere e riprova ad inabissarsi. Per nostra fortuna ormai anche lui è
spompato e dopo una decina di minuti riesco a farlo nuovamente avvicinare. Fabrizio ha già il raffio in
acqua…. “eccolo… dai… deciso!...”.
Fabrizio non se lo fa ripetere due volte e da sotto la pancia tira con forza verso l’alto il raffio agganciando
saldamente il siluro. Questo comincia a dibattersi subito fuori dal gommone e noi riusciamo a mala pena a
stare in ginocchio dentro bordo.
Poi, con uno slancio deciso Fabrizio alza l’animale con la testa sopra il canotto del gommone e, lui tirandolo,
io spingendolo con la mano, riusciamo in qualche modo ad issarlo a bordo. Il siluro si dibatte, è lungo
quanto l’interno del gommone ed ha ancora addosso la mia freccia che, sporgendo sotto il ventre, potrebbe
forare il gommone. “Attento alla freccia… tienilo fermo!” urlo a Fabrizio che, alzato l’arco sopra la testa,
praticamente si siede sopra l’animale girato sul fianco per tenerlo il più fermo possibile.
Christian dalla sponda ha seguito tutta la scena e ci viene incontro verso il nostro punto di approdo. Indossa
i suoi grossi guanti da combattimento che gli assicurano una buona grip anche sul muco dell’animale.
Finalmente accostiamo a riva, Christian prende con entrambe le mani la mascella del siluro mentre Fabrizio
tenta di alzarlo.
Io non riesco a fare a meno di dire “Ragazzi, mi raccomando! Se casca in acqua siamo finiti…”, ma Christian
mi ritira fuori il suo “tranquillo…” ed io… va bè, evito di dirgli che tranquillo è morto e mi limito a guardare
l’operazione di scarico dell’animale che lascio tutta ai miei amici.
Sono, siamo sfiniti. E’ stata dura ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Il siluro è a terra, la mia freccia ben piantata
nell’unico punto in cui avrebbe potuto, come di fatto è stato, trattenere così a lungo un animale di quelle
dimensioni. Quella di Christian, invece, non c’è.
Pazzesco! Christian ha tirato da una distanza di neanche un metro una freccia esattamente sulla colonna
vertebrale, a 5-6 centimetri dalla mia che, invece, ha dovuto attraversare due metri d’acqua prima di colpire
il siluro. Ebbene: la mia ha passato l’animale sfondando sul lato opposto, ventrale, mentre quella di
Christian è penetrata solo per un paio di centimetri, fermandosi su di un disco vertebrale per poi sfilarsi con
i movimenti del siluro.
Sono le 8.
La lotta è durata tre ore e mezza.
Sono restio a fare i complimenti, sopporto pochissimo chi s’incensa e ancora meno chi si congratula con me,
però, guardando il siluro a terra e il punto dove sono riuscito a mettere la freccia, non riesco a trattenermi e
lascio andare un “Cazzo che freccia!!!”
Lo ridico: “Cazzo che freccia!!!”
Lungo m.1,62... come me
Paolo, Christian e Fabrizio
Dove ho messo la freccia, passandolo da parte a parte sotto 2 metri d'acqua. Si vede anche il punto in cui Christian
ha colpito da un metro di distanza l’animale senza riuscire a penetrarlo, perdendo anche la freccia che si è staccata
con i movimenti del siluro