competenze, modularità ed integrazione delle
Transcript
competenze, modularità ed integrazione delle
Open Innovation nel settore auto: competenze, modularità, ed integrazione delle performance Francesco Zirpoli Università di Salerno, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Meccanica I-84084 Fisciano (SA), Italy, Tel. 0039-089964042, Fax 0039-089964037, [email protected] 1. Introduzione L’innovazione è sempre più il risultato congiunto dell’attività di ricerca e sviluppo realizzata da imprese che appartengono a business ecosystem (Iansiti e Levien, 2004). L’idea di fondo che sta emergendo con forza negli studi di management è che le imprese non possano perseguire strategie di sviluppo dell’innovazione facendo affidamento esclusivamente sulle proprie risorse e competenze ma devono aprirsi alla possibilità di utilizzare a proprio vantaggio il contributo di soggetti sui quali l’azienda non ha un controllo di tipo gerarchico (equity). Da qui la proposizione di nuovi modelli di business che si fondano sull’idea di “open innovation” (Chesbrough, 2003). In realtà il dibattito sulla definizione dei confini dell’impresa e sul ruolo dei soggetti esterni nei processi di innovazione non è nuovo (si veda ad esempio von Hippel, 1988 e Womack et. al., 1990). Tuttavia, gli elementi di novità attengono alla circostanza che le imprese hanno iniziato a metabolizzare il cambio di scenario e sono impegnate in un processo di ristrutturazione complessa sia dell’organizzazione interna del processo di sviluppo prodotto sia della architettura della propria value chain (Jacobides et al., 2006). Tale processo si rispecchia anche nella letteratura che è passata da una rappresentazione entusiastica ed, a volte, edulcorata delle prerogative positive dei processi di outsourcing di alcune delle attività di ricerca e sviluppo, ad una loro analisi critica. Questo lavoro si inquadra nella necessità di analizzare con maggiore profondità il tema dell’outsourcing di innovazione e si pone due finalità. In primo luogo si cercherà di rappresentare in modo dettagliato le implicazioni che l’outsourcing di attività di progettazione di sistemi e componenti ha sulla capacità dell’impresa di realizzare con efficacia l’integrazione di sistemi (Prencipe et al., 2003). In secondo luogo si offrirà un’analisi critica delle variabili più rilevanti ai fini del successo nell’integrazione di sistema. Il lavoro si pone nel solco della letteratura che si è occupata dell’innovazione nel contesto di prodotti complessi (Hobday e Rush, 2000). Di conseguenza si è scelto di condurre l’analisi empirica su cui si basa il lavoro, nel settore dell’auto e di circoscriverla al coinvolgimento nei processi di innovazione dei fornitori di primo livello di componenti e sistemi complessi. Il taglio del lavoro è volto a mettere in luce le modalità organizzative con le quali le imprese implementano nella pratica le strategie di integrazione di sistema ed i problemi che gli OEM (Original Equipment Manufacturer) si trovano ad affrontare nel perseguire una strategia di outsourcing di progettazione. In quanto segue si presenta l’analisi della letteratura e le domande di ricerca. Ad una breve descrizione della metodologia seguirà la presentazione del caso e la discussione. 2 2. Analisi della letteratura 2.1 Il concetto di system integration L’attenzione accademica al fenomeno della network innovation in un’ottica connessa ai processi di apprendimento organizzativo nasce intorno alla metà degli anni Novanta. L’articolo di Powell et al. (1996) ed il libro di Chesbrough (2003) sulla “Open innovation”1 sono risultati particolarmente influenti e catalizzatori di diverse comunità di ricercatori interessate all’innovazione. In questo lavoro si focalizza l’attenzione sulla prospettiva teorica che ha avuto ad oggetto la comprensione, in ottica manageriale, di come le imprese gestiscano l’innovazione in network. In questo filone di ricerca i concetti di modularità e integrazione di sistema giocano un ruolo centrale. Il concetto di modularità2 applicato all’innovazione di prodotto introduce un diverso principio di divisione del lavoro che sottende il coordinamento tra OEM e fornitori: non è né l’impresa a condurre tutte le fasi di progettazione, e quindi a controllarle, né il mercato. Piuttosto una volta standardizzate le interfacce tra componente e sottosistema, la loro progettazione e industrializzazione può essere condotta in modo relativamente indipendente dalle diverse unità organizzative. L’OEM gestisce i fornitori principalmente attraverso il controllo delle interfacce standard. Questo accade anche all’interno dell’impresa (Sanchez e Mahoney, 1996) dove il coordinamento dei diversi attori (R&D dell’OEM, fornitori, e servizi d’ingegneria) può essere ottenuto attraverso la progettazione delle interfacce e la specifica delle performance, e non più esclusivamente attraverso la gerarchia. La principale implicazione del concetto di modularità è legata al fatto che i fornitori possono lavorare con più clienti utilizzando le stesse tecnologie di prodotto e di processo; inoltre, la definizione di interfacce standard e delle caratteristiche prezzo/performance introducono un processo di selezione dei fornitori sostanzialmente basato sul mercato (Sturgeon, 2002). 1 2 Nel corso del paper i termini network innovation ed open innovation saranno utilizzati come sinonimi. Ulrich 1995; Sanchez & Mahoney, 1996; Baldwin & Clark, 1997; Sanchez, 1995, Schilling, 2000. 3 Il concetto di system integrator ed i contributi scientifici sul tema nascono dalla estensione della letteratura sulla network innovation e sulla modularità. L’integrazione di sistema può essere considerata come il paradigma emergente per la gestione della network innovation (Brusoni e Prencipe, 2001, Mikkola, 2006). I systems integrator sono imprese che “fondono componenti ad alto contenuto tecnologico, sottosistemi e software, competenze e capacità, manager e ingeneri per realizzare un prodotto competitivo” (Hobday et al., 2005). Questo richiede la progettazione e l’integrazione dei sistemi oltre alla gestione di network di fornitori di componenti o sottosistemi (Hobday et al., 2005). In quanto competenza specifica, l’integrazione di sistema permette all’OEM leader della supply chain lo sviluppo di nuovi prodotti, il coordinamento del network di fornitura, e la continua ottimizzazione del suo posizionamento nell’ambito della catena del valore del settore (Hobday et al., 2005). Resta ancora da approfondire quali siano le competenze necessarie e come le imprese possano acquisire tali competenze per potersi definire integratori di sistema. Una possibile risposta a tale interrogativo è stata data da Brusoni et al. (2001) i quali suggeriscono una prospettiva strategica per cui le imprese devono sviluppare una base di conoscenza più ampia di quella strettamente legata alla realizzazione dei beni o servizi che producono (per esempio estesa alla conoscenza delle tecnologie che ne sono alla base). Gli autori segnalano, ad esempio, come le imprese che realizzano sistemi di controllo per aerei, sono attivamente coinvolte non solo nello sviluppo dei sistemi ma anche nella R&D e brevettazione delle tecnologie di base di tali sistemi (Brusoni et al., 2002; per casi analoghi si veda anche Nesta e Dibiaggio, 2003). Disporre di una base di conoscenza più ampia di quella strettamente necessaria consente di far fronte ad eventuali asincronie nell’evoluzione delle tecnologie che sono alla base del prodotto e ad imprevedibili interdipendenze tra i sistemi che compongono il prodotto stesso; il verificarsi di tali circostanze porta nella direzione di soluzioni organizzative che sono 4 praticabili solo se le aziende avranno sviluppato opportunamente la loro base di conoscenza (Brusoni et al., 2001)3. Anche nel lavoro di Takeishi (2001; 2002) si trovano indicazioni su come i system integrator riescono ad ottimizzare la capacità d’integrazione in presenza di una strategia di outsourcing. L’autore evidenzia la differenza tra conoscenza specifica relativa ai componenti e conoscenza architetturale (Takeishi, 2002). La novità tecnologica del progetto di sviluppo del componente costituisce il criterio chiave di valutazione del livello di conoscenza necessario: per progetti di media o bassa innovazione tecnologica è sufficiente che il costruttore di autoveicoli abbia elevati livelli di conoscenza architetturale (come coordinare i diversi componenti nel veicolo) rispetto alla conoscenza specifica dei componenti, propria dei fornitori. Al contrario, quando il progetto è caratterizzato dall’esigenza di integrare componenti la cui tecnologia è nuova, è opportuno che il costruttore di autoveicoli abbia elevati livelli di conoscenza specifica dei componenti per supportare il fornitore nella soluzione di problemi di ingegnerizzazione. Nei progetti innovativi, quindi, la scomposizione delle conoscenze richiede in ogni caso alcune sovrapposizioni tra OEM e fornitori piuttosto che una chiara e delineata individuazione dei confini (Takeishi, 2002). In entrambi i casi l’idea è che la capacità di integrazione di sistema (per la quale la conoscenza architetturale gioca un ruolo importante) è una delle priorità per una gestione dell’innovazione in network che possa dirsi di successo. Di conseguenza per gestire la network innovation è necessario coltivare e accrescere la capacità di integrare i sistemi. 2.2 I problemi connessi con la system integration: il ruolo della conoscenza La letteratura, tuttavia, ha messo in evidenza anche i rischi connessi ad una strategia che faccia leva sulla system integration, ovvero che si manifesti con una rilevante esternalizzazione delle attività di progettazione nel processo d’innovazione. 3 Questo sembra rispondere ai problemi sollevati da Fine and Whitney (1996) e Fine (1998) che sottolineano la differenza tra dipendenza dalla capacità (produttiva) e dipendenza dalle conoscenze del fornitore. 5 Come Prencipe spiega, all’origine dell’idea di system integrator, c’è il concetto di singola impresa come punto nevralgico e centro strategico della catena del valore (2003): il system integrator è inquadrato come un’impresa la cui finalità prioritaria è quella di integrare conoscenza (Grant, 1996). In questa ottica, il concetto suggerito da Henderson e Cockburn (1994) di “capacità di integrazione” è da considerarsi un punto chiave dell’attività dell’OEM/system integrator4. Prencipe (2004: 1) sottolinea anche come da un punto di vista competitivo l’integrazione di sistema è più appropriatamente compresa come integrazione della conoscenza. Non è casuale, quindi, che il ruolo della conoscenza e dell’integrazione di conoscenza rappresenti il filo conduttore che attraversa la letteratura che mette in luce gli aspetti critici legati alla forte esternalizzazione delle attività di progettazione. In quanto segue si passano in rassegna i principali problemi connessi all’integrazione di sistema (conoscenza), così come evidenziati nella letteratura. Rischio di svuotamento delle conoscenze (“hollowing out”). La letteratura mostra come nel caso estremo di imprese che abbiano puntato esclusivamente sulla conoscenza architetturale ed esternalizzato completamente la conoscenza specifica dei componenti5, queste siano incorse in problemi notevoli. Tra questi i più evidenti sono: difficoltà a fornire le specifiche e conseguentemente valutare i componenti, ad identificare le offerte più qualificate, a valutarle, a supportare i fornitori dal punto di vista tecnico ed operativo, a migliorare il componente offerto o, infine, ad essere in grado di produrlo in-house (Fine e Whitney 1996). In definitiva tutto questo comporta un aggravio delle attività di coordinamento e gestione dei fornitori. Questa considerazione è un segnale per l’OEM dell’importanza di detenere un certo livello di conoscenza specifica sui 4 La capacità di integrazione è intesa come la capacità di accedere a nuova conoscenza dall’esterno dei confini aziendali e la capacità di integrare la conoscenza in modo flessibile entro l’organizzazione (Henderson e Cockburn, 1994). 5 Un caso di questo tipo è tuttavia raro nella realtà. Lo studio condotto da Takeishi (2001) riporta i risultati di una survey di 45 progetti di sviluppo in 9 imprese giapponesi di fornitura. Egli ha investigato il loro livello di conoscenza architetturale e specifica dei componenti rispetto a quello all’OEM. I risultati suggeriscono che i costruttori di autoveicoli si erano concentrati sulla conoscenza architetturale mentre i fornitori sulla conoscenza specifica dei componenti. 6 componenti allorquando si desidera mantenere e sviluppare competenze in termini di integrazione di sistema. La trappola della modularità (“modularity trap”). Accanto al problema dello svuotamento delle conoscenze si verifica anche un problema di tipo dinamico. Chesbrough e Kusunoki (2001) descrivono come possa nascere un potenziale disallineamento tra l’insieme delle core competence di un’impresa e quelle richieste dalle dinamiche evolutive del settore. Se è vero che, al fine di sfruttarne in pieno i benefici, le architetture modulari portano ad organizzazioni decentrate (Sanchez e Mahoney, 1996), Chesbrough e Kusunoki (2001) suggeriscono che l’implementazione di questa seconda possibilità comporta il rischio di cadere nella trappola della modularità: le imprese che hanno avuto successo attraverso un’organizzazione decentralizzata (ossia basata sulla modularità), continuano ad aver fiducia in questo approccio anche quando si trovano di fronte a problemi connessi con tecnologie integrali (Chesbrough e Kusunoki, 2001). In altre parole, nel caso di modifiche sostanziali nell’architettura dominante del prodotto, le imprese si trovano nella condizione di non disporre delle competenze per comprendere e gestire le interdipendenze necessarie allo sviluppo della tecnologia: non sono in grado di specificare ai fornitori necessità e richieste in modo adeguato (Chesbrough e Kusunoki, 2001). La conseguenza sembra essere che l’architettura integrale di prodotto possa essere più utilmente associata ad un’organizzazione di tipo centralizzato (che controlla l’intero range di competenze legate alle specifiche del prodotto e alla sua architettura). Data la natura dinamica delle industrie e delle architetture dominanti, la valutazione di quali competenze siano da ritenersi core va costantemente valutata. Limiti legati ad una focalizzazione spinta sulla conoscenza architetturale. L’idea di focalizzarsi su un numero ridotto di core competence, e di massimizzare i benefici di esternalizzazione di quelle attività che non minano le core competence stesse, è sicuramente allettante, soprattutto in un ottica di riduzione dei costi ed aumento della 7 flessibilità strategica. Con riferimento all’innovazione in network, un esempio di questo approccio è rappresentato dal tentativo di esternalizzare lo sviluppo di tutti i moduli e componenti nonché la produzione, mantenendo solo competenze in termini di integrazione di sistema (la Smart è un esempio di tale strategia). Tuttavia, ci sono dei limiti relativamente a quanto spinta possa essere la focalizzazione sulle competenze architetturali: per essere in grado di integrare componenti e sottosistemi, è necessaria una conoscenza specifica del componente (Lincoln et al. 1998). Altre ricerche, nello stesso filone, hanno evidenziato che le imprese dovrebbero mantenere un margine di sicurezza acquisendo e mantenendo conoscenza specifica sui componenti (Takeishi, 2001; 2002; Brusoni et al., 2001). Resta da approfondire quale tipo di conoscenza sia necessaria e il livello di approfondimento. 3. Metodologia Alla luce della letteratura citata appare evidente che se il quadro strategico entro cui gli OEM si muovono (Iansiti e Levien, 2004, Chesborough, 2003) è abbastanza ben delineato, il complesso delle competenze che essi devono sviluppare ed il set di strumenti organizzativi ad esse connesse è ancora poco chiaro. Il lavoro contribuisce a colmare questo gap. Benché la presentazione dei risultati empirici della ricerca parte dalla descrizione dei trend strategici che l’OEM sotto osservazione ha seguito nei processi di outsourcing di progettazione, il focus sarà sui problemi che l’OEM ha incontrato nell’implementazione di tale strategia. Oggetto della ricerca è il settore automotive. Esso costituisce un caso interessante per studiare l’organizzazione dell’integrazione di sistemi, l’evoluzione della divisione del lavoro innovativo ed il ruolo della conoscenza in questi processi. L’OEM sul quale ci si è focalizzato, infatti, costituisce un esempio di impresa integrata verticalmente che, ad un certo punto della sua evoluzione spinge verso una strategia di esternalizzazione per 8 ritornare in seguito ad una strategia di in-sourcing6. Questi cambiamenti hanno coperto un arco temporale di 10-15 anni. Indipendentemente dalle specificità del caso, il settore auto risulta un interessante oggetto di studio data la sua complessità in termini di tecnologie ed attori coinvolti nel processo di innovazione. I dati resi noti da Maxton e Wormald (2004), ad esempio, segnalano che nel 2010 ben il 40% del valore di un nuovo veicolo sarà costituito da componenti elettronici o ad essi interconnessi, a dispetto di un 22% nel 2000 e di un 10% nel 1999. Da una iniziale focalizzazione sulla meccanica, quindi, il settore automotive è oggi caratterizzato dalla convergenza di tutte le moderne tecnologie: dall’ICT, all’elettronica, ai nuovi materiali fino alla sperimentazione delle nano-tecnologie. L’oggetto e la natura della ricerca hanno spinto verso la scelta di un’analisi longitudinale condotta attraverso lo studio di un case study (Eisenhardt, 1989, Pettigrew, 1990, Yin, 1994). La ricerca approfondisce sia dal punto di vista dell’OEM che da quello dei fornitori, la strategia connessa alla network innovation di un produttore di auto europeo su un periodo di 10 anni. Le interviste, cui si riferisce questo lavoro, sono state condotte da Gennaio a Luglio del 2006. Nel complesso sono stati intervistati 32 manager appartenenti a 10 imprese, per un totale di più di 76 ore di interviste, tutte registrate e trascritte. Dato il metodo scelto, la definizione del campione è stata “teorica”, ovvero i fornitori sono non sono stati estratti casualmente dalla popolazione bensì sono stati scelti sulla base di: 1. rilevanza del supporto alle attività di sviluppo dell’OEM, 2. eterogeneità del loro business (settore), delle tecnologie utilizzate, delle dimensioni, della proprietà e della nazionalità, 6 In questo paper si analizza lo sviluppo della strategia di outsourcing delle attività di progettazione (trascurando l’outsourcing delle attività di produzione). 9 3. non OEM captive. La raccolta dei dati è avvenuta utilizzando in primo luogo fonti d’archivio per definire le caratteristiche del settore e la storia delle imprese selezionate. Il secondo passo è stato costituito da interviste semi-strutturate con i manager dell’OEM e di 8 dei suoi fornitori di primo livello (tra i componenti oggetto di sviluppo dei fornitori coinvolti nella ricerca figurano: guarnizioni e sistema di tenuta, freni, stile ed ingegneria, sistemi elettronici (ABS, ESP, etc.), sistemi di climatizzazione, interni e sedili, sistemi di sicurezza) . Le persone intervistate presso l’OEM nel luglio 2006, sono il Chief Technology Officer, il manager responsabile per l’integrazione di sistema, e 4 dei 5 vehicle line executives (cioè gli ingegneri responsabili per lo sviluppo delle vetture piccole (segmento A-B), medie (segmento C) e grandi (D-E) e per il segmento dei veicoli commerciali). Le interviste forniscono un quadro abbastanza chiaro e completo della situazione; in particolare si è avuta anche la possibilità di intervistare le funzioni di staff per la divisione progettazione ed ingegnerizzazione (risorse umane e controllo) ed i responsabili per la gestione del portafoglio prodotto (interfaccia con il marketing). In altre parole le interviste riguardano la maggior parte dei manager che intervengono nel processo di sviluppo prodotto. Quanto agli otto fornitori, sono stati coinvolti generalmente l’”account manager” ovvero il soggetto che partecipa all’offerta di fornitura e gestisce le relazioni commerciali con l’OEM ed il “project manager”, ossia la persona responsabile per lo sviluppo tecnico del progetto. Come è prassi nelle ricerche basate su casi studio, per evitare di perdere l’imparzialità si è deciso di esplicitare le ipotesi di partenza del lavoro cercando di prescinderne durante il processo induttivo di analisi (McClosky, 1985). In accordo con Eisenhardt (1989) sono state adottate tre strategie. La prima prevede la selezione di categorie e dimensioni al fine di valutare similitudini o differenze tra i gruppi. Il secondo prevede l’analisi di similitudini e differenze per coppie di casi. In fine i dati sono stati divisi in 10 relazione alle fonti per capire se ognuna di esse supportasse l’evidenza empirica frutto di una diversa fonte. L’ultimo passo riguarda il confronto tra i risultati trovati e la letteratura esistente. Oltre alle limitazioni intrinseche legate alla scelta dei case study (Miles e Huberman, 1994), il campione potrebbe essere parzialmente influenzato dal fatto che sono state intervistate imprese tutte collocate nello stesso paese. Questo potrebbe costituire un limite alla generalizzabilità dei risultati su scala globale. In ogni caso la maggior parte delle imprese del campione sono divisioni locali di imprese multinazionali. 4. I risultati dell’indagine empirica In questa sezione vengono descritte le scelte connesse alla gestione del processo d’innovazione dell’OEM, un produttore di autoveicoli europeo. In linea del tutto generale è possibile rilevare una sostanziale inversione nella strategia adottata: nel periodo in esame (1987-2006), infatti, seguendo una tendenza del settore, l’OEM da impresa verticalmente integrata è pervenuta ad una forte esternalizzazione delle attività di sviluppo in seguito a considerazioni di carattere economico ed organizzativo. La presa di coscienza della perdita di controllo del processo d’innovazione a seguito di un critico svuotamento delle conoscenze ha comportato un cambiamento di rotta e ha spinto un nuovo processo di insourcing. Di seguito verranno descritte nel dettaglio le principali tappe dell’evoluzione della strategia dell’OEM oggetto del caso ed i principali inconvenienti in cui è incorso. 4.1 Fase 1: razionalizzazione della base di fornitura (1987-1993) Intorno agli inizi degli anni Novanta, la base di fornitura era essenzialmente limitata ai componentisti locali. Per completare la progettazione di veicolo occorrevano circa 3500 disegni tecnici dei quali oltre 3450 venivano realizzati dall’OEM7 che gestiva direttamente più di 3000 fornitori di primo livello, la maggior parte dei quali molto 7 Si ringrazia il Prof. Giuseppe Volpato per questi dati. 11 piccoli. In questi anni la necessità di razionalizzazione rappresentava una priorità e molti sforzi vennero profusi nella costituzione di una base di fornitura che fosse competitiva in termini di qualità e costi di produzione (alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta)8. Dopo questo processo di razionalizzazione nel 1995, l’OEM non poteva certamente definirsi impresa integrata: per lo sviluppo di uno dei suoi modelli di punta era, ad esempio, arrivata ad esternalizzare circa il 72% dello sviluppo (in termini di costi della produzione dei componenti). 4.2 Fase 2: verso una spinta esternalizzazione della progettazione (1993-2001) Fino alla metà degli anni Novanta il coinvolgimento dei fornitori nel processo di sviluppo prodotto dell’OEM era ancora limitato alla sola fase di industrializzazione e produzione di componenti e sistemi. Con la re-ingegnerizzazione del processo di sviluppo prodotto, nel 1996, la strategia di outsourcing dell’OEM divenne significativa. L’OEM decise di spostarsi da una esternalizzazione delle sole attività di produzione (una pratica già consolidata a quel tempo) a quella della progettazione e dell’engineering di componenti e sistemi. Allo stesso tempo l’OEM iniziò ad organizzare il contributo dei fornitori in termini di partnership strategiche per lo sviluppo di capacità complementari. L’obbiettivo dell’OEM alla fine degli anni Novanta era di esternalizzare prima interi sistemi di componenti per poi passare ai moduli pre-assemblati. Questa strategia comportò l’identificazione di due tipi di fornitori: i sistemisti ed i componentisti9, e condusse ad eccezionali livelli di outsourcing: all’inizio degli anni Novanta più dell’85% del valore totale dei veicolo veniva ingegnerizzato dai fornitori. Si può senz’altro affermare che, tra il 1996 e il 8 In particolare negli anni 1990-1992, l’OEM intraprese programmi di crescita guidata per i fornitori che mostravano potenzialità di miglioramento in termini di qualità e costi del prodotto nonché capacità di conformarsi agli standard dell’OEM stesso. Inoltre, un supporto gestionale e particolari accordi contrattuali si resero necessari in cambio di questo piano di miglioramento (Enrietti et al., 2002). 9 In questo contesto un sistema viene definito come l’insieme dei componenti che interagiscono tra loro e che condividono la stessa funzione (per esempio centralina, strumentazione e computer di bordo). Un modulo viene definito come l’insieme dei componenti che condividono una prossimità fisica ma diverse tecnologie (l’OEM ha definito sette moduli come il modulo frontale che include le luci, il paraurti e il radiatore. 12 2001 l’OEM divenne una delle imprese con il più alto grado di esternalizzazione della progettazione del settore automotive. 4.3 Fase 3: un nuovo modello verso l’insourcing Il livello di outsourcing appena descritto aveva comportato la progressiva perdita di competenze su alcune aree del veicolo tra cui, ad esempio, cruscotto, sospensioni e sistema di sicurezza. Il management dell’OEM comprese, con un certo ritardo, che l’outsourcing era stato spinto troppo e che erano necessarie iniziative volte a ristabilire queste competenze. Le interviste condotte nel 2006 mostrano come questa strategia sia stata effettivamente implementata. Essa si è sviluppata in due fasi successive. Una prima fase ha riguardato l’acquisizione delle competenze dai fornitori: il loro coinvolgimento nel processo di sviluppo prodotto viene inquadrato nell’obiettivo esplicito di apprendere know-how e strumenti tecnologici. Questa motivazione, risulta palesemente diversa dalla mera finalità di essere supportati nel processo di progettazione di un particolare componente o sistema. In secondo luogo, l’OEM ha intrapreso una strategia per l’internalizzazione delle competenze di progettazione che erano state perse assumendo personale altamente qualificato sulle aree di conoscenza “scoperte”. 4.4 Problemi riscontrati dall’OEM nell’integrazione di sistema “Quando sono arrivato nel 2005 la situazione era critica sia dal punto di vista delle competenze tecniche, sia dal punto di vista organizzativo. Le business unit erano fuori controllo. Attraverso una discutibile strategia di outsourcing, l’impresa aveva sistematicamente indebolito le sue competenze tecniche. La divisione enginnering rappresentava un fornitore come gli altri che accidentalmente apparteneva all’impresa.” (Chief Technology Officer, Luglio 2006) 13 Una delle principali conseguenze della forte esternalizzazione di progettazione fu che l’OEM aveva perso le competenze tecniche di progettazione di molti sottosistemi del veicolo. Oltre alla mancanza di risorse umane con competenze tecniche significative c’era anche un problema di qualità delle competenze delle risorse ancora a disposizione dell’OEM: non superiori a quelle di ogni altro fornitore di servizi d’ingegneria10. Negli anni 1993-2001 molti degli ingegneri dell’OEM si ritrovarono prevalentemente impegnati a coordinare i fornitori e gestire i progetti di sviluppo. “Gli ingegneri dell’impresa avevano il compito di delegare la progettazione e l’ingegnerizzazione a qualcun altro, generalmente fuori dall’impresa. Questa situazione non era accettabile per un’impresa tecnologica” (Chief Technology Officer, 14 Luglio 2006) Queste attività consistevano principalmente nell’assegnare le performance dei componenti o sistemi attribuiti ai fornitori e monitorare che tali obbiettivi venissero raggiunti in termini di costi e tempi. In molti casi il livello di specificazione delle attività affidate al fornitore non andava molto oltre l’assegnazione di target di prezzo e di performance. Tuttavia, “…nel fare questo l’OEM stava perdendo la capacità di fissare gli obbiettivi in termini di performance e di monitorare le attività. E ancor più grave stava perdendo la capacità di gestire i trade off di performance. Gestire le performance di ogni singolo sistema non comporta, infatti la gestione efficace dell’integrazione di sistema.” (Responsabile Integrazione di Sistema, Luglio 2006) I manager intervistati spiegano la mancanza di competenze nella gestione del trade off tra performance dei singoli componenti e performance del sistema nel suo complesso come conseguenza del fatto che non venivano più svolte in house attività di 10 Come affermato dal manager delle risorse umane della divisione progettazione e ingegnerizzazione, c’era una particolare lacuna in termini di capacità di utilizzo di sistemi di simulazione virtuale e questo costituiva un notevole vincolo alla progettazione dell’organizzazione. 14 progettazione relative a quei specifici componenti o sistemi. In particolare essi hanno confermato che risultava difficile (se non impossibile) integrare sistemi senza padroneggiare a pieno la tecnologia del sistema stesso. Accanto allo svuotamento delle conoscenze e alla incapacità di gestire il trade off delle performance nel periodo oggetto di analisi si verificarono anche problemi di diversa natura. Infatti, durante la fase di sviluppo nuovo prodotto c’erano anche notevoli problemi riguardanti la struttura organizzativa, l’allocazione delle responsabilità e la descrizione delle mansioni11. Questo venne alla luce quando i manager della piattaforma di prodotto si sentirono schiacciati dai doveri legati alla gestione del progetto, dai problemi di integrazione tecnica e dal coordinamento e gestione dei fornitori. I manager di piattaforma erano responsabili dell’aspetto economico e di gestione del progetto, e allo stesso tempo gestivano il coordinamento tecnico avendo la responsabilità delle soluzioni tecniche. Tutto ciò complicato dall’esigenza di coordinare soggetti prevalentemente esterni all’impresa (fornitori). “prima (si riferisce ad un periodo anteriore al 2005) occorreva essere un “mago”. Ogni cosa era sotto il controllo del manager responsabile del veicolo. Era impossibile far fronte a tutti gli aspetti dello sviluppo del prodotto, dagli aspetti tecnici a quelli economici” (Vehicle Line Executive, Luglio 2006) La spinta esternalizzazione era causa, quindi, non solo dello svuotamento delle conoscenze e della conseguente incapacità di gestire il trade off delle performance di prodotto ma anche di problemi specifici della struttura organizzativa. La perdita di controllo da parte dell’OEM della importante fase di pre-sviluppo (vedi Figura 1) e la 11 Come evidenziato in altri studi la strategia di outsourcing dell’OEM era stata accompagnata da un’organizzazione per progetti in cui le unità organizzative incaricate per lo sviluppo dei nuovi prodotti (“piattaforme”) avevano assunto una rilevanza centrale nell’organizzazione comportando un sostanziale ridimensionamento delle competenze e delle capacità della struttura organizzativa che in una logica funzionale gestiva lo sviluppo della tecnologia di componenti, sistemi e processi. 15 reale interpretazione del co-design12 rappresentavano ancora conseguenze del massiccio outsourcing delle attività di progettazione. A causa della perdita di know-how in alcune aree tecniche e delle carenti competenze degli ingegneri nella progettazione di particolari sistemi, l’OEM scelse di coinvolgere i fornitori nella fase di pre-sviluppo al fine di lasciar loro realizzare una gran parte di essa. Il coinvolgimento e la gestione di tali fornitori era un’operazione tutt’altro che banale: a causa della mancanza di competenze, infatti, c’erano problemi nel definire le specifiche dei componenti. I fornitori avevano la responsabilità (nonché la gestione e la conduzione) dell’integrazione dei sottosistemi (definendo gli obbiettivi e le specifiche dei principali componenti). Questo processo non era del tutto “esplicito” nel senso che l’OEM riteneva di poter definire le specifiche del componente. Il punto era, infatti, che la progettazione delle soluzioni e le performance del sistema nel suo complesso non erano sotto il pieno controllo dell’OEM. Questo era dovuto al fatto che gradualmente i fornitori avevano aumentato le loro responsabilità nella fase di presviluppo. In più la fase di pre-sviluppo non era organizzata nel migliore dei modi possibili a causa di colli di bottiglia nel processo decisionale. Quando, l’integrazione di sistema veniva fatta dall’OEM principalmente nella fase di sviluppo, le performance a livello veicolo erano testate alla fine del processo: i tempi per l’affinamento delle performance arano molto limitati e modifiche a questo stadio della progettazione risultavano estremamente costose e con alta probabilità di comportare problemi di qualità del prodotto. Questo è il risultato di un approvvigionamento di tipo black box: i fornitori incaricati della progettazione del concept del componente (fase di presviluppo) consegnano il componente o il sistema quando necessario al processo d’integrazione, ossia nella fase terminale dell’intero processo (sviluppo). 12 Il co-design nel caso dell’OEM in oggetto assomiglia molto ad un black box sourcing (Lamming, 1993) piuttosto che ad una progettazione congiunta OEM-fornitore. 16 Tempo (circa 5 anni) Pre –sviluppo Sviluppo OEM: OEM: Definisce le caratteristiche dei componenti e i trade-off tra le performance (progettazione degli archetipi e delle performance attese) Progetta ed industrializza il prodotto per la produzione di massa Fornitori: Fornitori: Contribuiscono alla definizione del concept del veicolo attraverso la proposizione di nuove tecnologie e soluzioni tecniche con riferimento ad i loro componenti Progettano ed industrializzano i componenti ed i sistemi in dettaglio Congelamento del concept e dello stile di massima Nello sviluppo di un prodotto complesso, è possibile distinguere due fasi principali: la fase di pre-sviluppo nella quale il veicolo viene “concepito” che comprende anche la definizione delle caratteristiche di componenti e sistemi (definizione archetipi e performance attese) e la fase di sviluppo nella quale la progettazione e l’engineering del veicolo è specificata in dettaglio. Tra queste due fasi si colloca il congelamento dello stile e l’avvio della fase di industrializzione del veicolo con i parametri stabiliti. Figura 1 – Differenza tra le fasi di pre-sviluppo e di sviluppo È da notare come le conseguenze della perdita di controllo della fase di pre-sviluppo siano significative: essa infatti, decide l’ammontare e la difficoltà del trade off che si presenterà nella fase di sviluppo. Questi sono infatti programmati nella fase di presviluppo. Non controllando questa fase e lasciando che i fornitori prendano le decisioni di maggiore rilievo (con un focus sui loro sottosistemi) si producono una serie di problemi nella successiva fase di sviluppo (questo punto sarà ripreso sotto e nella figura 2). 5. Discussione In questa sezione si cerca di discutere i principali problemi cui l’OEM ha dovuto far fronte a seguito della scelta di esternalizzare le attività di progettazione. 17 5.1 L’integrazione di sistema comporta l’integrazione di performance Come già detto gli ingegneri dell’OEM ritenevano che le loro principali attività fossero connesse all’integrazione di sistema e alla gestione del coinvolgimento dei fornitori nel processo di progettazione piuttosto che alla progettazione vera e propria. Di conseguenza l’integrazione di sistema veniva erroneamente interpretata come integrazione fisica dei sottosistemi. Occorre sottolineare che esiste una significativa differenza tra integrazione fisica dei sistemi e gestione delle performance: “le performance sono l’obbiettivo ultimo, non i sistemi” (Responsabile Integrazione di Sistema, Luglio 2006) È opportuno approfondire questo punto per comprenderne l’importanza. Semplicisticamente un’automobile è progettata per fornire determinate performance (manovrabilità, consumi, determinati parametri ai crash test ecc..). Queste performance sono generate dai componenti fisici e dai sistemi (il sistema di sicurezza passeggeri è composto da freni, airbag, sedili, cinture di sicurezza ecc..). Alcune performance sono generate da più di un sistema. Evidentemente freni, cinture di sicurezza, ecc. sono importanti per definire le caratteristiche di sicurezza di un veicolo. Nei crash test, comunque, la posizione, il peso e la struttura del motore così come le caratteristiche dello chassis influenzano l’impatto percepito dal conducente. Il motore non fa parte del sistema di sicurezza nello schema di scomposizione di un veicolo (perché la sua funzione primaria è fornire la forza motrice). L’importante conclusione cui si perviene è che le performance non possono essere completamente scomposte e risultano strettamente legate ai particolari sistemi. In altre parole: per progettare un veicolo ad elevate performance con riferimento al sistema di sicurezza non è sufficiente soltanto un buon sistema di sicurezza in senso stretto; la sicurezza degli occupanti è una performance a livello veicolo, una caratteristica di performance del prodotto nel suo complesso e non solo del sistema di sicurezza stesso. Questo è un caso di performance di prodotto e non di performance del singolo sistema. In conclusione, sebbene la progettazione dei singoli sistemi e componenti sia una parte necessaria del processo, 18 sarebbe un errore limitarsi ad essa, sottovalutando la circostanza che la buona progettazione dei singoli sistemi non necessariamente implica un prodotto dalle ottime performance complessive. Ne consegue che la sola integrazione fisica non basta. 5.2 La focalizzazione sull’integrazione fisica dei componenti distoglie dall’integrazione delle performance Interpretare l’integrazione di sistema come integrazione fisica dei componenti vuol dire assumere implicitamente che le caratteristiche di performance di un veicolo possono essere scomposte in “sotto-performance” assegnate ai principali sistemi responsabili di generare quella performance stessa. Il problema nasce allorquando le performance a livello veicolo non sono la semplice “somma” delle performance delle singole parti ma il risultato dell’interazione delle stesse. Considerare l’integrazione fisica dei sistemi come il principale obbiettivo distoglie l’attività di integrazione rispetto al reale focus: integrare le performance di componenti e sistemi a livello di prodotto (nel caso del veicolo). Ovviamente le performance sono frutto di componenti e sistemi nel loro insieme, la loro progettazione rappresenta quindi una fase importantissima del processo. La focalizzazione esclusiva sulla progettazione fisica dei prodotti e sulla gestione dei fornitori distoglie dalla progettazione delle performance. 5.3 La modularità può supportare l’integrazione fisica di componenti ma non l’integrazione delle performance Il principale interesse di un ingegnere impegnato nello sviluppo di un nuovo veicolo non riguarda la funzione svolta dal componente/sistema, ma piuttosto il livello di performance e le caratteristiche di performance che tale funzione può generare. Il problema pratico che gli ingegneri si trovano a risolvere riguarda la progettazione di un veicolo che deve raggiungere, in quanto sistema interconnesso, un determinato livello di performance complessive. Tali performance devono essere ripetibili e stabili. 19 In tale ottica si comprende come la progettazione modulare di prodotto non possa risultare una soluzione per il problema dell’integrazione delle performance. La ragione è legata al fatto che i benefici attribuiti alla modularità (Sanchez, 1995) non riescono a risolvere i problemi connessi all’integrazione delle performance13. La progettazione modulare presenta alcuni benefici nel risolvere il problema di coordinamento dei fornitori lasciando che essi sviluppino in maniera indipendente i componenti e i sistemi che occorre integrare (grazie alla presenza di interfacce standard). Per questa attività la progettazione modulare risulta estremamente efficace perché riduce gli sforzi di coordinamento necessari affinché componenti e sistemi sviluppati dai diversi fornitori portino ad un prodotto integro e coerente. Come osservato nel caso, quando la definizione ex ante delle interfacce tra i componenti del prodotto è realizzabile, una volta assegnati i singoli compiti di sviluppo ai fornitori, il coordinamento seguirà come naturale conseguenza. L’interfaccia incorporerà tutte le informazioni necessarie. Tuttavia, il caso mostra anche che non è sempre possibile definire le interfacce. In tal senso i nostri risultati supportano la letteratura (Takaeshi e Fujimoto, 2003, Sako, 2003) in cui si rappresenta l’auto come un prodotto che vede affiancati sistemi di componenti modulari e sistemi integrali. Nel complesso, tuttavia, le nostre interviste mettono in evidenza che la maggior parte delle performance complessive di veicolo sono il frutto di una stretta interazione tra molti componenti e sistemi (si pensi ai crah test o all’handling). Ciò richiede da parte dell’OEM un impegno nel coordinamento dei fornitori che va ben al di la della mera definizione delle interfacce tra componenti. Questo è fondamentalmente il motivo per cui in questo lavoro si enfatizza la differenza tra “funzione” e “performance”. L’integrazione delle performance risulta, infatti, in 13 Si tiene a precisare che la modularità può essere interpretata diversamente in funzione del livello di analisi. Per l’ingegnere progettista, realizzare un componente modulare significa progettare con un numero di vincoli superiore rispetto al caso si progettazione integrale, ovverosia nel caso in cui le interdipendenze tra i componenti e le interfacce non siano definite a priori. Se si sposta l’analisi sul piano del coordinamento organizzativo, è evidente che la modularità diventa uno strumento per minimizzare lo scambio informativo e la necessità di coordinamento inter unità. L’informazione contenuta nella definizione delle interfacce standard rappresenta uno strumento per coordinare senza necessità di altri strumenti organizzativi (per esempio team congiunti) lo sviluppo dei componenti che ruotano intorno all’interfaccia. In questo lavoro, essendo il livello di analisi quello dell’integrazione di sistema, si considererà la modularità come strumento di coordinamento. 20 ogni caso un problema molto diverso che coinvolge il comportamento in esercizio del prodotto e che attiene all’interazione delle parti allorquando queste si trovano ad operare nel prodotto finito. 5.4 L’integrazione di sistema implica la gestione del trade off delle performance Fare integrazione di sistema vuol dire progettare le performance complessive del veicolo (Manager responsabile dell’integrazione di sistema, 14 Luglio 2006). Esse sono proprietà sistemiche e nascono dall’integrazione di vari sottosistemi. La progettazione delle performance a livello veicolo richiede la gestione dei trade off di performance tra i diversi sistemi. Questo, in definitiva, richiede una profonda conoscenza e comprensione dell’interazione tra i singoli sottosistemi. Per poter identificare le conseguenze legate ai diversi trade off e per poter sfruttare le situazioni migliori è richiesta una approfondita conoscenza dei sistemi sottostanti. Come è stato argomentato in precedenza tale conoscenza risulta essere la motivazione per la quale le imprese “devono conoscere più di quello che fanno” (Brusoni et al., 2001) al fine di raggiungere elevate performance a livello di veicolo. 5.5 Il learning by doing costituisce la chiave per gestire il trade off delle performance. Le principali difficoltà incontrate dall’OEM erano principalmente legate all’incapacità di definire le specifiche funzionali inter-sistema. La causa del problema era un’insufficiente conoscenza dei sottosistemi14. Durante la fase di pre-sviluppo i fornitori (in particolare i fornitori di sistemi importanti) erano collocati presso la divisione progettazione e ingegnerizzazione dell’OEM: questo costituiva l’occasione 14 Ciò portava inevitabilmente ad elevare gli standard richiesti ai fornitori senza necessariamente una giustificazione. Tale atteggiamento era frutto dell’insicurezza dell’OEM sulle esatte prestazioni che il componente acquistato doveva offrire. Tale circostanza portava spesso ad un aumento dei costi spesso ingiustificato. 21 per intensi scambi informativi e per il trasferimento di conoscenza tacita e competenze. Tuttavia, l’erosione delle competenze e la completa esternalizzazione delle attività aveva portato comunque all’esclusione degli ingegneri dell’OEM, a causa della totale assenza di absorptive capacity (Cohen e Levintahl, 1990), dalla fase di pre-sviluppo e quindi dal processo di learning by doing. Poiché essi non svolgevano più le fasi di progettazione di alcuni sistemi, iniziavano a disinteressarsi alle tecnologie specifiche dei componenti fino al punto di perdere le capacità di integrazione. E’ interessante notare a tale proposito che nei primi anni in cui la strategia di outsourcing si era manifestata, l’OEM aveva mantenuto la capacità di indirizzo e coordinamento grazie al personale che per anni aveva sviluppato in house le tecnologie poi esternalizzate. Dopo alcuni anni, tuttavia, sia per l’allontanamento del personale dall’azienda sia per l’evoluzione tecnologica che ha caratterizzato molti dei componenti oggetto dell’outsourcing, questa capacità di sovrintendere ai processi di sviluppo si è persa e con essa l’absorptive capacity. L’OEM quindi si è trovato ad osservare i sintomi della “malattia” (perdita di controllo sull’integrazione delle tecnologie), quando ormai questa era già in fase terminale. In Figura 2 viene mostrato un caso di allontanamento dell’OEM dal processo di learning by doing della progettazione di componenti ed il suo impatto sulla capacità di progettare le performance del veicolo in fase di pre-sviluppo: la chiave sta proprio nel learning by doing. Esso sembra, infatti, il principale meccanismo in grado di assicurare il mantenimento nel tempo di specifiche competenze di progettazione. 22 Tempo (circa 5 anni) Pre –sviluppo Sviluppo OEM: OEM: Definisce le caratteristiche dei componenti e i trade-off tra le performance (progettazione degli archetipi e delle performance attese) Progetta ed industrializza il prodotto per la produzione di massa Fornitori: Fornitori: Contribuiscono alla definizione del concept del veicolo attraverso la proposizione di nuove tecnologie e soluzioni tecniche con riferimento ad i loro componenti Progettano ed industrializzano i componenti ed i sistemi in dettaglio Rischi: difficoltà nell’integrazione dei sistemi nel lungo periodo a causa dell’assenza di learning by doing nella fase di sviluppo Rischi: mancanza di integrità di prodotto e performace scarse che causano re-design tardivi e costosi durante lo sviluppo del singolo progetto Congelamento del concept e dello stile di massima Figura 2 – Rischi nelle fasi di pre-sviluppo e sviluppo 6. Conclusioni Questo paper ha analizzato il modo in cui un OEM nel settore automotive ha gestito l’innovazione in network e quale sia stato l’approccio utilizzato per la gestione dell’open innovation. Il contributo del lavoro consiste in primo luogo nell’approccio della ricerca che utilizza come unità di analisi la value chain sia osservandone le traiettorie strategiche sia quelle micro-organizzative (Jacobides e Cacciatori, 2005; Fine, 1998). I principali risultati cui si è pervenuti sono sostanzialmente legati all’analisi dell’insuccesso della strategia di esternalizzazione dell’OEM. La prima considerazione 23 riguarda il ripensamento del problema dell’integrazione di sistema in termini di integrazione della conoscenza. Il caso supporta questa affermazione perché mostra come le recenti decisioni prese dall’OEM in termini di strategia di insourcing di alcune attività di progettazione siano legate a problemi di integrazione della conoscenza. Ritenendo che l’integrazione di conoscenza sia la chiave per l’integrazione di sistema, il caso consente di comprendere quanto sia importante il modo in cui l’OEM interpreta il proprio ruolo di integratore di sistema. Quando opera come integratore di sistema, l’OEM deve non solo considerare che esiste una differenza tra le competenze architetturali e le competenze sulle singole tecnologie, ma deve tenere in conto anche che la progettazione delle performance di prodotto è la progettazione delle funzioni del prodotto stesso sono due attività concettualmente diverse. Se è vero che per alcuni componenti è possibile procedere in una logica modulare e quindi mantenere competenze architetturali tralasciando le competenze specifiche, nella maggior parte dei casi, nei prodotti complessi, le performance complessive non possono essere facilmente scomposte in particolari funzioni/moduli. Esse, infatti, sono strettamente connesse. Ne consegue che progettare le performance complessive vuol dire integrare le singole performance e non sommare le singole funzioni (per questo tema è stato di recente introdotto il termine “pliotropia”, Padget, 2001; Brusoni e Prencipe, 2006). Si può ricavare dal caso che per l’OEM oggetto dell’analisi la gestione dell’integrazione della conoscenza per prodotti complessi abbia significato essere in controllo delle reciproche interdipendenze tra sistemi e componenti ad esso sotteso. I meccanismi proposti dalla letteratura per ottenere tale integrazione - modularità15, uso di resident engineers, risorse IT, ecc. - non sembrano essere in grado di far fronte alle necessità di integrazione di conoscenza specialistica dispersa. Questo sostanzialmente accade perché i meccanismi citati supportano in maniera efficace l’integrazione fisica dei componenti e non l’integrazione delle performance. In realtà, spostarsi dalla mera integrazione fisica di sistema all’integrazione delle performance significa avere un 15 Si veda la nota 13 per inquadrare la modularità tra gli strumenti di coordinamento. 24 approfondita conoscenza e competenza dei sistemi di base coinvolti nel prodotto. In tal ottica le strategie di apprendimento poste in essere dall’OEM, ed in particolare il meccanismo del learning by doing, costituiscono la chiave per l’integrazione di sistema e la gestione del trade off delle performance. Resta tuttavia aperto il dibattito circa l’organizzazione dell’integrazione di sistema per la gestione dell’innovazione in network ed in particolare occorre approfondire quale sia la struttura organizzativa e di governance che meglio supporta tale capacità. Una possibile soluzione riguarda l’integrazione verticale: in questo caso i processi di apprendimento ed integrazione della conoscenza risulterebbero quanto meno ridotte dal fatto che tutte le attività di progettazione sono internalizzate16. Lo studio condotto, tuttavia, non porta alla conclusione che l’OEM debba ridurre l’esternalizzazione dei processi d’innovazione sviluppando una strategia completamente integrata di progettazione. L’integrazione verticale, infatti, rappresenta, comunque, una soluzione estrema, costosa e vincolante. Il caso, viceversa, supporta i vantaggi del modello della open innovation e suggerisce, piuttosto, che i problemi legati alla integrazione di sistemi non attengono tanto ai confini dell’impresa quanto alla progettazione e funzionamento delle strutture e dei processi organizzativi. Nell’esempio mostrato, una possibilità di intervento organizzativo riguarda la strutturazione del processo di sviluppo prodotto, e la necessità che l’OEM gestisca diversamente la fase di pre-sviluppo. Più in generale, quindi, la ricerca conferma che sebbene la strada tracciata nei recenti contributi (Iansiti e Levien, 2004, Jacobides et al., 2006, Chesbrough, 2003) sia foriera di soluzioni strategiche particolarmente attraenti per le imprese moderne, molto rimane ancora da comprendere sui temi (1) del passaggio dall’implementazione di strategie di open innovation alla costruzione di nuove competenze strategiche per le imprese; (2) e del come realizzare il sourcing di tecnologie esogene o sviluppate da fornitori terzi, 16 Rimarrebbero, comunque, da gestire i problemi generali legati all’integrazione della conoscenza (Becker, 2001). 25 ovverosia delle implicazioni dell’open innovation sulle strutture organizzative, la cultura d’impresa, le routine. Bibliografia BALDWIN C.Y., CLARK K.B. (1997), Managing in an Age of Modularity, Harvard Business Review, 75, 84-93. BECKER M.C. (2001), Managing dispersed knowledge: Organizational problems, managerial strategies, and their effectiveness, Journal of Management Studies, 38 (7), 1037-1051. BRUSONI S., PRENCIPE A. (2001), Unpacking the Black Box of Modularity: Technologies, Products and Organizations, Industrial & Corporate Change, 10 (1), 179-205. BRUSONI S., PRENCIPE A. (2006) Making Design Rules: A multi-domain perspective, Organization Science, 17 (2), 179-189. BRUSONI S., PRENCIPE A., PAVITT K. (2001), Knowledge Specialisation, Organizational Coupling and the Boundaries of the Firm: Why Firms Know More Than They Make?, Administrative Science Quarterly, 46 (4), 597-621. BRUSONI S., PRENCIPE A., PAVITT K. (2002), Knowledge specialization, organization coupling, and the boundaries of the firm: Why do firms know more than they make? Administrative Science Quarterly, 46 (4), 597-625. CHESBROUGH H. (2003), Open innovation. Free Press, New York, NJ. CHESBROUGH H., KUSUNOKI K. (2001), The modularity trap: innovation, Technology Phases Shifts and the Resulting Limits of Virtual Organisations, in NONAKA, I., TEECE D., (eds.), Managing Industrial Knowledge, Sage Press, London, 202-30. COHEN W., LEVINTAHL, D. (1990), Absorptive Capacity: A New Perspective on Learning and innovation, Administrative Science Quarterly, 35, 128-152. EISENHARDT K. (1989), Building Theories from Case Study Research, Academy of Management Review, 14 (4), 532-550. 26 ENRIETTI A., FOLLIS M., WHITFORD J. (2002), Improving performance at the second tier of the automotive supply chain, Supply Chain Governance and Regional Development in the Global Economy, University of Wisconsin, September 10. FINE C.H. (1998), Clockspeed: Winning Industry Control in the Age of Temporary Advantage, Reading, MA, Perseus Books, Cambridge, MA. FINE C.H., WHITNEY D.E. (1996), Is the make-buy decision process a core competence?, MIT unpublished manuscript. GRANT R. M. (1996), Toward a Knowledge-Based Theory of the Firm, Strategic Management Journal, 17(Winter Special Issue), 109-122. HENDERSON R., COCKBURN I. (1994), Measuring Competence? Exploring Firm Effects in Pharmaceutical Research, Strategic Management Journal, 15, 63-84. HOBDAY M., RUSH H. (2000), innovation in complex products and system, Research Policy, 29 (7/8), 793-807. HOBDAY M., DAVIES A., PRENCIPE A. (2005), Systems integration: a core capability of the modern corporation, Industrial and Corporate Change, 14 (6), 1109-1143. IANSITI M., LEVIEN, R. (2004), The Keystone Advantage, Harvard Business School Press, Boston, MA. JACOBIDES M., CACCIATORI E. (2005), The Dynamic Limits of Specialization: Vertical Integration Reconsidered, Organization Studies, 26, 1851-1883. JACOBIDES M., KNUDSEN T., AUGIER M. (2006), Benefiting from innovation: value creation, value appropriation and the role of industry architectures, Research Policy, in press. LAMMING R. (1993), Beyond Partnership: Strategies for innovation and Lean Supply, Prentice-Hall, Harlow, UK. LINCOLN J.R., AHMADJIAN C.L., MASON E. (1998), Organizational Learning and Purchase-Supply Relations in Japan: Hitachi, Matsushita and Toyota Compared, California Management Review, 40, 241-264. MAXTON G., WORMALD J. (2004), Time for a Model Change: Re-engineering the Global Automotive Industry, Cambridge University Press, Cambridge, UK. 27 MCCLOSKEY N. D. (1985), The Rhetoric of Economics, The Noard of Regents of the University of Wisconsin System (trad. it. (1988), La retorica dell’Economia, Einaudi, Torino, IT). MIKKOLA J. (2006), Capturing the Degree of Modularity Embedded in Product Architectures, Journal of Product innovation Management, 23 (2), 128-146. MILES M.B., HUBERMAN A.M. (1994), Qualitative Data Analysis: An Expanded Sourcebook, 2nd edition, Sage Publications, Thousand Oaks, CA. NESTA L., DIBIAGGIO L. (2003), Technology strategy and knowledge dynamics: the case of biotech, Industry & innovation, 10 (3), 329-347. PADGETT J. F. (2001), Organizational genesis, identity and control: The transformation of banking in Renaissance Florence, in RAUCH J. E., CASELLA A., eds. Networks and Markets, Russell Sage, New York, NJ, 211–257. PETTIGREW A. M. (1990), Longitudinal Field Research on Change: Theory and Practice, Organization Science, 1 (3), 267-292. POWELL W., KOPUT K.W., SMITH-DOER L. (1996), Interorganizational collaboration and the locus of innovation: Networks of Learning in Biotechnology, Administrative Science Quarterly, 41, 116-145. PRENCIPE A. (2003), Corporate Strategy and Systems Integration Capabilities – Managing Networks in Complex Systems Industries, in PRENCIPE A., DAVIES A., HOBDAY M. (eds.): The Business of Systems Integration, Oxford University Press, Oxford, UK, 114-132. PRENCIPE A. (2004), Change, Coordination, and Capabilities, SPRU Electronic Working Paper Series, Paper 120. PRENCIPE A., DAVIES A., HOBDAY M. (2003), The Business of Systems Integration, Oxford University Press, Oxford, UK. SAKO M. (2003), Modularity and outsourcing: the nature of co-evolution of product architecture and organization architecture in the global automotive industry, in PRENCIPE A., DAVIES A., HOBDAY M. (2003), The Business of Systems Integration, Oxford University Press, Oxford, UK, 229-253. 28 SANCHEZ R. (1995), Strategic flexibility in Product Competition, Strategic Management Journal, 166, 135-139. SANCHEZ R., MAHONEY J.T. (1996), Modularity, Flexibility, and Knowledge Management in Product and Organization Design, Strategic Management Journal, 17, 63-76. SCHILLING M. (2000), Toward a General Modular Systems Theory and Its Application to Interfirm Product Modularity, Academy of Management Review, 25 (2), 312335. STURGEON T.J. (2002), Modular production networks: a new American model of industrial organization, Industrial and Corporate Change,11 (3), 451-496. TAKEISHI A. (2001), Bridging inter- and intra-firm boundaries: management of supplier involvement in automobile product development, Strategic Management Journal, 22, 403-433. TAKEISHI A. (2002), Knowledge Partitioning in the Inter-Firm Division of Labour: The Case of Automotive Product Development, Organization Science, 13, 321-338. TAKEISHI A., FUJIMOTO T. (2003), Modularization in the car industry: interlinked multiple hierarchies of product, production and supplier systems, in PRENCIPE A., DAVIES A., HOBDAY M., (eds.), The Business of Systems Integration, Oxford University Press, Oxford, UK, 254-278. ULRICH K.T., EPPINGER S.D. (2004), Product Design and Development, McGraw-Hill, New York, NJ. VON HIPPEL E. (1988), The Sources of innovation, Oxford University Press, Oxford. WOMACK J.P., DANIEL T.J., ROOS D. (1990), The Machine That Changed the World : The Story of Lean Production, Rawson Associates, New York, NJ. YIN, R. K. (1994), Case study research: design and methods, Sage, Thousand Oaks, CA 29