1 L`Ibridazione del Crisantemo. L`evoluzione della rappresentanza

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1 L`Ibridazione del Crisantemo. L`evoluzione della rappresentanza
1
L’Ibridazione del Crisantemo. L’evoluzione della rappresentanza degli interessi nel
Giappone contemporaneo.1
Matteo Dian2
Il Giappone contemporaneo sta attraversando una fase di transizione, che coinvolge anche la
rappresentanza degli interessi e l‟influenza dei grandi gruppi economici (keiretzu) sul policy making .
Negli anni „90 il modello del developmental state, che aveva garantito fino ad allora un eccezionale
sviluppo, è entrato in crisi. Dopo un decennio di stagnazione e di immobilismo politico, il
governo di Tokyo ha dato luogo ad una serie di riforme che hanno alterato sia gli equilibri
politico-istituzionali sia il rapporto tra gruppi di interesse e sistema politico.
Questo cambiamento è analizzato attraverso la lente teorica dell‟approccio “varieties of
capitalism”(Hall, Soskice 2000, 2010) . Il sistema giapponese è descrivibile, infatti, come un ibrido
tra un sistema a mercato coordinato e una liberal market economy. L‟ibridazione del modello
originario ha importanti conseguenze sia sul rapporto politica-economia e sul ruolo dei gruppi di
interesse sia sull‟evoluzione del sistema politico, segnando la riconfigurazione del ruolo dei grandi
trust industriali e contribuendo alla fine del “sistema del 1955”, ovvero il quasi-monopolio del
potere da parte del Partito Liberal Democratico.
“Japan modern history is particularly difficult to explain and understand.
Japan’s behavior has fluctuated widely and widely, from isolation
to enthusiastic borrowing from foreign cultures.
Since the middle of the 19th century when its leaders abruptly ended national isolation and undertook the
reorganization of their institutions after the model of the West ,
Japan has been marked by pendulum like swings in national policies”.
Lo storico Kenneth Pyle, uno dei massimi esperti occidentali di storia contemporanea
giapponese, apre in questo modo il suo Japan Rising, opera che ripercorre la storia del
Giappone contemporaneo dalla Rivoluzione Meiji in poi.3 Pyle sottolinea come la storia
Paper presentato al Convegno della Società Italiana di Scienza Politica. Università di Palermo. 8-10
Settembre 2011.
1
Dottorando in Scienza Politica. Istituto Italiano di Scienze Umane. Palazzo Strozzi. Piazza Strozzi. Firenze.
[email protected]
2
Kenneth B. Pyle, Japan Rising. The Resurgence of Japanese Power and Purpose. Public Affairs Book. New
York. 2007.
3
2
giapponese recente vada interpretata alla luce di una tensione costante tra chiusura e apertura
al mondo esterno, tra importazione di modelli, politici economici e tecnologici occidentali e
chiusura e difesa della propria unicità.
Gran parte dei cambiamenti epocali della storia degli ultimi cento cinquanta anni è derivata
dall‟irruzione degli stranieri nel microcosmo giapponese o da un tentativo di proteggere
l‟indipendenza e autosufficienza del paese dall‟influenza straniera. Tutte le cesure storiche
fondamentali quali la Restaurazione Meji, che avviò la modernizzazione dall‟alto dello stato
giapponese per evitare la conquista occidentale dal 1853 e la nascita del “sistema del 1955”4
dopo l‟occupazione americana sono associate al gaiatsu, la pressione esterna (o pressione
straniera) 5.
Questa dialettica tra chiusura, unicità e pressione al cambiamento e all‟omologazione rimane
valida, anche se sotto mutate sembianze, nel periodo della democrazia successiva alla seconda
guerra mondiale e per il Giappone contemporaneo.
Il Giappone democratico nato dalla sconfitta e dall‟occupazione americana si è distinto per
una duplice eccezionalità: la prima legata alla politica estera, la seconda al modello di sviluppo
economico. La politica estera giapponese successiva alla seconda guerra mondiale ha trovato
dei notevoli vincoli nella cultura anti-militarista e nell‟istituzionalizzazione del rifiuto dell‟uso
della forza.6 La rinuncia ad una politica estera e di difesa attiva ha permesso al Giappone di
concentrare le risorse sulla ricostruzione e sulla modernizzazione economica.7
Gerald R. Curtis, The Logic of Japanese Politics: Leaders, Institutions, and the Limits of Change, New York:
Columbia University Press. 1999. Richard J. Samuels, Securing Japan. Tokyo’s Grand Strategy and the Future of
East Asia. Cornell University Press. Ithaca. 2007. Michael Green, Japan Reluctant Realism. Foreign Policy
Challenges in a Era of Uncertain Power. CSIS Press Washington DC 2004. Tetsuya Kataoka, Creating single-party
democracy : Japan's postwar political system. Stanford, Hoover Institution Press, 1992. Robert E. Ward,
Japan's political system . Englewood Cliffs, N.J : Prentice-Hall, 1978.
4
Sul concetto di gaiatsu, T. J. Pempell, “Structural Gaiatsu: International Finance and Political Change in
Japan” Comparative Political Studies; 32; 907. 1999. Leonard J. Schoppa, “Two-Level Games and Bargaining
Outcomes: Why Gaiatsu Succeeds in Japan in Some Cases but not Others” International Organization, Vol. 47,
No. 3 (Summer, 1993), p. 353-386. John P. Tuman and Jonathan R. Strand. “The role of mercantilism,
humanitarianism, and gaiatsu in Japan's ODA programme” in Asia International Relations of the Asia-Pacific 2006
6(1):61-80; Akitoshi Miyashita, “Gaiatsu and Japan's Foreign Aid: Rethinking the Reactive-Proactive
Debate” International Studies Quarterly, Vol. 43, No. 4 Dec., 1999, pp. 695-731. Sue Ellen M Charlton,.
“Globalisation, Gaiatsu, and Women in Japanese Politics”. Journal of Interdisciplinary Gender Studies; Volume 8,
Issue 1/2; June 2004. In generale per aspetti più legati ad un approccio storico culturale si rimanda a Edwin
O Reischauer, Japan Tradition and Transformation. Op. cit.
5
Jennifer Lind, Sorry States. Apologies in International Politics. PhD Thesis at MIT 2002. Thomas U. Berger,
Cultures of Antimilitarism: National Security in Germany and Japan Baltimore, Md.: Johns Hopkins University
Press, 1998. Peter J. Katzenstein, Cultural Norms and National Security: Police and Military in Postwar Japan.
Ithaca, N.Y.: Cornell University Press, 1996. Yoshihide Soeya, “Japan: Normative Constraints versus
Structural Imperatives,” in Muthiah Alagappa, ed., Asian Security Practice: Material and Ideational Influences
Stanford, Calif.: Stanford University Press, 1998. pp. 198–233; Glenn D. Hook, Militarization and
6
3
L‟altra forma di eccezionalismo è quella legata al modello di sviluppo economico. Soprattutto
durante e dopo la crisi degli anni Settanta, il modello giapponese è stato considerato un
affascinante modello di “via asiatica al capitalismo”, alternativo a quello occidentale, in grado
di garantire alti tassi di crescita le turbolenze che agitarono le democrazie occidentali in quel
decennio.
La descrizione teorica più significativa e più fortunata del modello giapponese è stata senza
dubbio quella del “developmental state” proposta da Chalmer Johnson8. Il developmental state
rappresentava un modello misto tra libero mercato occidentale e interventismo dello stato.
Nonostante l‟ampio ruolo di coordinamento che lo stato svolgeva nell‟economia, il sistema
politico restava solidamente democratico. I giapponesi, si chiedeva Johnson, “stanno
giocando con il socialismo, rischiando di degenerare in un economia pianificata o hanno
trovato una sintesi efficace tra pianificazione e mercato?”.9
Il modello del developmental state giapponese era basato sullo sviluppo di alcuni settori
strategici, in particolare quelli ad alta concentrazione di tecnologia, affiancato da un ruolo
decisivo dello stato nell‟indirizzare l‟allocazione delle risorse verso questi settori. Inoltre, il
modello vedeva la presenza di alte barriere tariffarie, l‟uso massiccio di incentivi
all‟esportazione, il controllo centralizzato sul sistema finanziario. Il developmental state
dimostrava una notevole capacità di controllare i prezzi attraverso gli interventi regolativi
dello stato (particolarmente apprezzata tra la metà degli anni Settanta e Ottanta) . Il Giappone
era caratterizzato da una elevata produttività, una distribuzione delle risorse priva di notevoli
diseguaglianze e bassa conflittualità tra capitale e lavoro. Un‟altra dote particolarmente
apprezzata dagli analisti occidentali era l‟efficienza, particolarmente in termini di
implementazione e di enforcement delle politiche economiche ed industriali.10
Il modello delineato da Johnson sembrava possedere molte delle qualità che i sistemi
economici e produttivi occidentali non avevano o sembravano aver smarrito nella crisi degli
anni Settanta, quali controllo dei prezzi, disuguaglianza non eccessiva e stabilità sociale.
Demilitarization in Contemporary Japan London: Routledge, 1996. Peter J. Katzenstein and Nobuo Okawara,
Japan’s National Security: Structures, Norms, and Policy Responses in a Changing World Ithaca, N.Y.: East Asia
Program, Cornell University, 1993.
Richard J. Samuels, Strong Nation, Strong Army. National Security and the Technological Transformation of Japan.
Cornell University Press Ithaca 1994. Richard J. Samuels, Eric Heingbotham, “Mercantile Realism and
Japanese Foreign Policy”. International Security, Vol. 22, No. 4 (Spring, 1998), pp. 171-203 .
7
Chalmer Johnson, MITI and the Japanese miracle: the growth of industrial policy, 1925-1975. Stanford University
Press 1982.
8
Chalmer Johnson , “The Developmental State: Odyssey of a Concept” in Meredith Woo Cumings, The
Developmental State. Cornell University Press Itacha 1999.
9
10
Chalmer Johnson, “Developmental State Odyssey of a Concept” Op. cit.
4
MITI and the Japanese miracle darà origine ad un notevole dibattito sulle peculiarità giapponesi e
sulla eventuale necessità di trarre delle lezioni dal developmental state in materia di controllo dei
prezzi, crescita e rapporti tra economia e politica, considerati allora un esempio di contiguità
virtuosa.11
Dal punto di vista dell‟analisi politologica e della teoria democratica proprio questo ultimo
punto assume un particolare rilievo. Il rapporto tra gruppi di interesse e tra gruppi e stato (sia
in quanto burocrazia sia quanto personale politico elettivo) assumevano una configurazione
del tutto particolare che risultava difficilmente classificabile sul continuum pluralismocorporativismo. Da un lato, questo modello contribuiva ad alleviare i principali problemi
economici dell‟epoca attraverso la formula del “corporatism without labour”12, segnato da una
forte coordinazione tra imprese e gruppi coalizzati nella struttura dei keiretzu13; dall‟altro era
caratterizzato da una notevole commistione interna al triangolo di ferro costituito da partito
dominante, burocrazia statale e gruppi, che garantiva stabilità e alti tassi di crescita attraverso
legami molto stretti tra capitale e burocrazia. Dall‟altro lato, questa “formula magica”
sembrava anche produttiva politicamente poiché sembrava garantire la pace sociale in un
momento in cui le democrazie occidentali erano attraversate da notevoli conflittualità sia dal
punto di vista ideologico sia dal punto di vista della distribuzione delle risorse tra vincitori e
vinti del processo economico capitalistico.
Il costo politico di questa formula era però un sistema politico a sistema dominante14,
centrato sul primato del Partito Liberal Democratico e sulla sovrarappresentanza degli
Per un dibattito sulla tesi di Johnson: David Fiedman The Misunderstood Miracle: Industrial Development and
Political Change in Japan. Ithaca Cornell University Press 1988. Kent E. Calder Strategic Capitalism: Private
Business and Public Response in Japanese Industrial Finance. Princeton. Princeton University Press 1993. Daniel
Okimoto, Between MITI and the Market: Japanese Industrial Policy for High Technology. Stanford University Press
1993. Richard Samuels, The Business of the Japanese State: Energy Markets in Comparative and Historical Perspective
Ithaca Cornell University Press. 1989. Alice H. Amsden, Asia's Next Giant: South Korea and Late
Industrialization, New York, Oxford University Press, 1989. Frederic C. Deyo, ed., The Political Economy of the
New Asian Industrialism, Ithaca, Cornell University Press, 1987. Robert Wade, Governing the Market: Economic
Theory and the Role of Government in East Asian Industrialization, Princeton, Princeton University Press, 1990.
11
TJ Pempel, “Corporatism without labor? The Japanese anomaly” in Philippe Schmitter, Gerhard
Lehmbruch, Trends toward corporatist intermediation SAGE Publication 1979.
12
Jeffrey. H Dyer,. "Does Governance Matter? Keiretsu Alliances and Asset Specificity as Sources of
Japanese Competitive Advantage." Organization Science 7:649-666. 1996. Christina L. Ahmadjian, James R.
Lincoln. 2001. "Keiretsu, Governance, and Learning: Case Studies in Change from the Japanese Automotive
Industry." Organization Science 12:683-701. David Bernotas,. “Ownership structure and firm profitability in
the Japanese keiretsu”. Journal of Asian Economics, 16(3): 533–554. 2005. Ulrike Schaede, “The Strategic Logic
of Japanese Keiretsu, Main Banks and Cross-Shareholdings, Revisited”. Working Paper Series Center on
Japanese Economy and Business. Columbia Business School October 2006.
13
Giovanni Sartori, Parties and Party Systems. A Framework for Analysis. Cambridge Cambridge University
Press. 1976.
14
5
interessi legati ai grandi keiretsu industriali15. Dal punto di vista normativo, l‟esempio
giapponese sollevava le perplessità degli studiosi che notavano le carenze della sua
rappresentatività, ma risquoteva l‟ammirazione di coloro che notavano come il Giappone,
oltre ad evitare o risolvere altri problemi economici, avesse saputo superare i problemi politici
dei quel periodo, soprattutto quelli legati alla crisi di governabilità o “crisi da sovraccarico”16.
La rappresentazione di Johnson in MITI and the Japanese Miracle, pubblicata nel 1982 e basata
su studi empirici della seconda metà degli anni settanta, descrive l‟origine del developmental state
e ne fotografa l‟apogeo. Dalla metà degli anni Ottanta e poi, in modo determinante tra il 1989
e il 1992, il Giappone entrò in una crisi economica e politica che ancora oggi non è
definitivamente superata.17
L‟attenzione della comunità accademica si è spostata dall‟ammirazione per il miracolo
economico e per il successo della via alternativa al capitalismo proposta fino agli anni Ottanta
(non casualmente durante la Guerra Fredda), alla analisi delle ragioni della crisi e della
stagnazione del sistema Giappone. L‟ammirazione per la via giapponese al capitalismo si è
spesso trasformata in critica di un modello considerato anacronistico ed eccessivamente
ancorato alla tradizione.18 Ancora una volta il declino del modello del developmental state può
essere compreso alla luce della dialettica tra pressione esterna e tentativi di conservare
l‟unicità e la diversità del paese. L‟ambiente esterno è arrivato ancora una volta a perturbare il
microcosmo giapponese con una serie di shock esterni. In particolare, due fenomeni
distinguibili ma interconnessi tra loro sono intervenuti sulla vita economica e politica
giapponese: la fine della guerra fredda e l‟accelerazione della globalizzazione economica e
finanziaria.
Liborio Mattina, “Il Giappone Democratico tra Continuità e Cambiamento” Studi Politici Quaderni del
Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Trieste, II, 1998, pp. 3-41.
15
La tematica della crisi da sovraccarico di input era analizzata da molti degli autori più rilevanti degli anni
Settanta tra i quali Huntington e Easton un esempio è Samuel P. Huntington, Michael Crozier, Joji
Watanuki, “The crisis of democracy” Report on the governability of democracies to the Trilateral
Commission. 1975.
16
17Kent
E. Calder, Crisis and compensation: Public policy and political stability in Japan. Princeton, NJ: Princeton
University Press. 1988. T.J Pemperl Regime Shift Comparative Diynamics of the Japanese Political Economy. Cornell
University Press 1999. Steven K. Vogel,. “Can Japan disengage? Winners and losers in Japan‟s political
economy, and the ties that bind them.”Social Science Japan Journal, 2, 3-21 Gary R. Saxonhouse and Robert M.
Stern, eds Japan’s Lost Decade: Origins, Consequences, and Prospects For Recovery . School of Public Policy The
University of Michigan Ann Arbor, Discussion Paper No. 485. Fumio Hayashi and Edward C. Prescott,
“The 1990s in Japan: A Lost Decade” Review of Economic Dynamics Volume 5, Issue 1, January 2002, Pages
206-235.
Mark Beeson, “Is Developmental State Compatible with Globalisation? Markets and Politics in East
Asia.” In Richard Stubbs and Geoffrey R.D. Underhill (eds.), Political Economy and the Changing Global Order, 3
rd Edition, Oxford University Press 2001. George McCormack, The Emptiness of Japanese Affluence, St
Leonard‟s: Allen & Unwin. 1996.
18
6
La fine della guerra fredda ha eroso la rendita di posizione giapponese, non solo dal punto di
vista politico e di sicurezza, ma anche da punto di vista economico19. La “American unsinkable
aircraft carrier”20 perdeva parte del suo valore strategico come avamposto democratico in un
contesto strategico segnato dalla minaccia sovietica. Ciò comportò una drastica riduzione
della tolleranza degli Stati Uniti nei confronti delle politiche protezionistiche e di dumping
giapponesi, i quali imposero una notevole rivalutazione dello yen per recuperare parte del
deficit commerciale bilaterale.21
Durante la guerra fredda, la prosperità giapponese rafforzava gli argini al comunismo
sovietico. Negli anni novanta con l‟implosione dell‟URSS e la Cina ancora lontana dalla
crescita attuale, il Giappone si trovò sotto pressione e spinto verso un fair play economico
estraneo al suo modello di sviluppo.22 Anche l‟accelerazione della globalizzazione ha indotto il
Giappone a numerosi ripensamenti obbligati. Da un lato, il sistema giapponese aveva sempre
protetto il mercato interno dai capitali stranieri e incoraggiato una quasi totale autosufficienza
finanziaria. Con gli anni Novanta, il mercato finanziario iniziò ad aprirsi all‟esterno con
investimenti diretti esteri e notevoli flussi di capitale in entrata e in uscita.23
Inoltre, l‟adesione ai nuovi sistemi di regolazione multilaterale dell‟economia globale, prima il
GATT e poi il WTO hanno forzato il passaggio dal “embedded mercantilsm”24 del passato all‟
“embedded liberalism”25 promosso e rinnovato dagli Stati Uniti.
A questa nuova ondata di gaiatsu, il governo giapponese ha risposto con un tentativo di
mantenere in vita il proprio modello attraverso una serie di misure congiunturali che non
hanno risolto le contraddizioni interne al sistema, anzi ne hanno aggravato la crisi, palesando
la contraddizione tra la struttura economica e politica giapponese e l‟ambiente in quale questa
operava. Le autorità finanziarie e monetarie hanno risposto alla rivalutazione dello yen e
Sull‟influenza del sistema internazionale sulla struttura politica domestica Peter A. Gourevitch, “The
Second Image Reversed,” International Organization, vol. 32, no. 4, Autumn, 1978, pp. 881-912.
19
Questa definizione di “portaerei americana inaffondabile” è stata usata dal primo ministro Yunishiro
Nakasone nel 1983 durante una visita di Ronald Reagan in Giappone per ribadire la fedeltà e la
collaborazione giapponese verso gli Stati Uniti, soprattutto in merito alla questione già aperta dell‟uso di
Okinawa. William E. Smith, Edwin Reingold, “Diplomacy and Bitter Lemons” January 31th 1983 Time
20
Steven K. Vogel, Freer markets, more rules: Regulatory reform in the advanced industrial countries. Ithaca, NY:
Cornell University Press. 1996
21
22
Liborio Mattina, “Il Giappone Democratico tra Continuità e Cambiamento” Op. cit.
T. J. Pempell, “Structural Gaiatsu: International Finance and Political Change in Japan” Op.cit . Bai Gao,.
Japan's Economic Dilemma: The Institutional Origins of Prosperity and Stagnation. New York: Cambridge University
Press. 2001
23
24
T.J Pemperl Regime Shift Comparative Dynamics of the Japanese Political Economy. Cornell University Press 1999.
John G. Ruggie. “International Regimes, Transactions, and Change: Embedded Liberalism in the Postwar
Economic System.” International Organization 36 (2), Spring, 1982: pp. 379-415
25
7
all‟impossibilità di protrarre il dumping valutario26 con una politica del denaro facile e di bassi
tassi di interesse che ha condotto ad una “trappola della liquidità” che hanno reso sterili le
politiche di rilancio basate sull‟interazione della leva fiscale e monetaria27. La bolla del 1992 e
le inaspettate difficoltà ad avviare la ripresa hanno reso evidente la necessità di un
aggiustamento strutturale del cosiddetto modello “Japan Inc.”28. Il cambiamento non poteva
essere semplicemente riguardare una serie di politiche macroeconomiche o industriali ma
doveva comportare quello che Pempel definisce un regime shift, ovvero un cambiamento
riguardante istituzioni, coalizioni di interessi e politiche pubbliche.29
La consapevolezza della necessità del cambiamento si è fatta strada con lentezza sia tra le elite
economiche e politiche sia nell‟opinione pubblica giapponesi poiché il sistema si reggeva su
una struttura di interessi consolidata costituita dal triangolo di ferro tra i keiretsu, il Partito
Liberal Democratico e la burocrazia.
La spinta esterna al cambiamento e la crescente consapevolezza della necessità di riforme
economiche hanno dato avvio a diverse ondate di riforme strutturali che hanno trasformato il
sistema economico e i rapporti tra gruppi economici e potere politico.
Joseph E. Stiglitz and Shahid Yusuf, eds. Rethinking the East Asian Miracle, Washington: World Bank, 2001.
Robert Wade, Governing the Market: Economic Theory and the Role of Government in East Asian Industrialization,
Princeton, Princeton University Press, 1990. Linda Weiss, ed. States in the Global Economy: Bringing Domestic
Institutions Back In, Cambridge: Cambridge University Press, 2003.
26
Con trappola della liquidità la letteratura economica si riferisce ad una situazione in cui i tassi di interesse
reali sono troppo bassi per permettere ulteriori politiche monetarie espansive a sostegno del reddito. Il
Giappone essendo un paese con forte propensione al risparmio e bassi tassi di consumo interno manifesta
questo problema in modo particolarmente acuto. Jennifer Ann Amyx, Japan's Financial Crisis : Institutional
Rigidity and Reluctant Change. Princeton, N.J.: Princeton University Press 2004. Paul R. Krugman, Kathryn M.
Dominquez and Kenneth Rogoff, “It's Baaack: Japan's Slump and the Return of the Liquidity Trap”
Brookings Papers on Economic Activity, Vol. 1998, No. 2 (1998), pp. 137-205. Paul Krugman, “Thinking About
the Liquidity Trap.” Journal of the Japanese and International Economies 14, 221–237 (2000) Rishi Goyal and
Ronald McKinnon, “Japan‟s Negative Risk Premium in Interest Rates: The Liquidity Trap and Fall in Bank
Lending” The World Economy No .2 May 2003.
27
28TJ
Pempel, “The Unbundling of "Japan, Inc.": The Changing Dynamics of Japanese Policy Formation”
Journal of Japanese Studies, Vol. 13, No. 2, Special Issue: A Forum on the Trade Crisis (Summer, 1987), pp.
271-306 . Christopher Wood, The End of the Japan Inc. and how the new Japan will look. New York : Simon &
Schuster, 1994.
29
TJ Pempel, Regime Shift. Op.cit.
8
Varieties of Capitalism.
Uno degli approcci teorici che meglio si prestano a interpretare il regime shift giapponese è
quello definito da Peter Hall e David Soskice e “varieties of capitalism”30.
Questo è un approccio actor centred e rivolge l‟attenzione verso interazione strategica tra attori,
soprattutto imprese, e istituzioni. Il problema principale per le imprese è il coordinamento
con una molteplicità di attori istituzionali al fine dei risolvere i problemi organizzativi e di
azione collettiva legate a quattro differenti dimensioni: accesso al finanziamento, corporate
governance, relazioni tra imprese e relazioni industriali.31
L‟analisi dei diversi modi attraverso i quali le imprese risolvono i loro problemi di
coordinamento induce Hall e Soskice ad elaborare due tipi polari, ovvero due “varietà di
capitalismo”: le economie di libero mercato (Liberal Market Economies) e le economie a
mercato coordinato (Coordinated Market Economies).
Il primo tipo è caratterizzato da forme di coordinamento simili a quelle descritte
dall‟economia marginalista neoclassica, secondo la quale gli attori agiscono esclusivamente
secondo un tipo di razionalità strumentale e in base ad un calcolo marginale dei costi e dei
benefici. In questo tipo di assetto, il prezzo è il principale segnale per coordinare e aggiustare
la domanda e l‟offerta di beni e servizi. Nelle economie a mercato coordinato le aziende
dipendono maggiormente da meccanismi di coordinamento non di mercato. In questo caso,
secondo Hall, le imprese si trovano ad affrontare tutti i problemi tipici dell‟interazione
strategica descritta dalla teoria dei giochi, quali la formazione di impegni credibili,
condivisione delle informazioni, monitoraggio, sanzione dell‟inadempienza.32
La tipologia di coordinamento (strategico o di mercato) dipende soprattutto dalla struttura
istituzionale. Questo approccio assume le istituzioni come norme e regole che forniscono
condizioni di costrizione ed opportunità per l‟azione.33 Quindi in un ambiente istituzionale
favorevole a impegni credibili e cooperazione tra imprese sarà più probabile riscontrare un
elevato grado di interazione strategica. In presenza di basso sostegno istituzionale e maggiore
fluidità del mercato, le imprese agiranno maggiormente secondo meccanismi di mercato. Si
dovrebbe verificare, quindi, una corrispondenza tra configurazione istituzionale di ognuna
Peter Hall, David Soskice, Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage.
Oxford : Oxford University Press, 2001.
30
31
ibidem
Peter Hall, David Soskice, Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage. Op.
cit.
32
33Douglass
North, Institutions, Institutional Change, and Economic Performance New York: Cambridge University
Press, 1990; Masahiko Aoki, Toward a Comparative Institutional Analysis Cambridge: MIT Press, 2001.
9
delle quattro sfere dell‟economia e la tipologia di coordinamento tra gli agenti. Le istituzioni,
infatti, riducono l‟incertezza degli attori rispetto al comportamento futuro degli altri e
permettono loro di produrre reciproci impegni credibili. Le istituzioni, inoltre, pongono in
essere i meccanismi necessari per lo scambio di informazioni, il monitoraggio del
comportamento e l‟eventuale sanzione del comportamento deviante34.
LMEs
CMEs
Accesso al Credito
Mercato Finanziario (Azioni)
Centralità delle Banche
Corporate Governance
Redditività
Mantenere Quote di Mercato
Profitto di Breve Periodo
Crescita di Lungo Periodo
Competizione
Cooperazione,
Relazioni tra Imprese
Interconnessione
Relazioni Industriali
Pluralismo, contrattazione
Contrattazione centralizzata,
decentrata, lavoro debole
cooperazione
La prima dimensione fondamentale riguarda il finanziamento e l‟accesso al credito da parte
delle imprese. Le economie di libero mercato si fondano su forme di accesso al credito
essenzialmente finanziarie (azionarie). Queste ultime sono favorite dall‟apertura dei mercati e
dalla globalizzazione dei capitali. La mobilità del capitale rende infatti più agevole per le
imprese che si finanziano sul mercato azionario l‟accesso a capitali stranieri. Al contrario, le
economie di tipo coordinato favoriscono un tipo di finanziamento basato essenzialmente sul
contributo delle banche, più adatto a produrre impegni di lungo periodo, evitando le
fluttuazioni e l‟instabilità del mercato finanziario.35
Un‟altra differenza fondamentale riguarda il rapporto tra le imprese. Nelle LMEs, si verifica
una distribuzione pluralistica del capitale e un basso livello di coordinamento tra le imprese. Il
comportamento delle imprese è prevalentemente regolato da competizione e da meccanismi
di mercato. I mercati non regolati sono caratterizzati da nulle o irrilevanti barriere all‟ingresso
Elinor Ostrom, “Review: Rational Choice Theory and Institutional Analysis: Toward Complementarity”
The American Political Science Review, Vol. 85, No. 1 March 1991, pp. 237-243.
34
Gregory Jackson and Richard Deeg, “How Many Varieties of Capitalism? Comparing the Comparative
Institutional Analyses of Capitalist Diversity” MPIfG Discussion Paper 06/2 Max-Planck-Institut für
Gesellschaftsforschung Köln April 2006.
35
10
non costituite dalla concorrenza di prezzo. Nelle CMEs, le interazioni tra imprese si basano
maggiormente
su
relazioni
diverse
da
quelle
competitive,
soprattutto
a
causa
dell‟interdipendenza che lega diversi attori tra loro. Si verificano, inoltre, alti tassi di
coordinamento e di concentrazione del capitale che comportano alte barriere all‟entrata.
La terza differenza riguarda la corporate governance. Da un lato del continuum è prevista l‟enfasi
sulla redditività e il profitto di breve periodo tipico di sistemi LME, quali Stati Uniti o Gran
Bretagna. In un sistema come quello delle CMEs, invece, le imprese sono maggiormente
orientate a perseguire strategie di lungo periodo al fine di massimizzare la propria quota di
mercato e a mantenere buoni rapporti con le altre “imprese amiche”, ponendo in secondo
piano la redditività e il profitto di breve periodo. La letteratura tende a identificare la causa di
questa diversa enfasi tra redditività di breve periodo e obiettivi diversi nella logica tra
principale e agente (in questo caso stakeholder-manager)36. In sistemi fortemente competitivi
come quelli LMEs viene privilegiato l‟interesse immediato dell‟azionista. In sistemi CMEs, la
presenza di una molteplicità di attori influenti (banche, stato) determina uno spostamento
sullo sviluppo e sulla crescita di lungo periodo.
Il sistema LME è basato su un mercato del lavoro altamente flessibile che ricerca e seleziona
manodopera qualificata anche all‟estero e da forti incentivi alla redditività di breve periodo e
non sulla crescita di lungo periodo. Al contrario, le economie di tipo coordinato impiegano
manodopera qualificata tendenzialmente locale (per questo deve essere formata dalla aziende
che la impiegano generalmente a vita o comunque per lunghi periodi) con competenze legate
all‟industria che li impiega.
Un aspetto molto rilevante del modello varieties of capitalism è quello della complementarietà tra
le diverse dimensioni che costituiscono i poli.37 Ogni dimensione, infatti, è strettamente
interconnessa alle altre e la coordinazione di un settore dipende fortemente dalle altre. Dove
le istituzioni facilitano il coordinamento (o il mercato) in una dimensione è probabile trovare
forme simili nelle altre. Ad esempio, una corporate governance basata sul profitto di breve
periodo richiede basse barriere all‟entrata, quindi scarsa interconnessione tra imprese. Tutto
ciò si adatta meglio ad un mercato del lavoro flessibile. I sostenitori di questo approccio
infatti tendono a riscontrare una certa polarizzazione di tipi di capitalismo, evidenziando
come la distribuzione non sia normale ma concentrata verso i due estremi.
36
Ibidem.
Peter Hall and Daniel Gingerich, “Varieties of Capitalism and Institutional Complementarieties in the
Macroeconomics. An Empirical Analysis.” MPIfG Discussion Paper 04/5 Max-Planck-Institut für
Gesellschaftsforschung Köln. September 2004.
37
11
La complementarietà tra le dimensioni considerate ha dei risvolti molto importanti per il caso
in esame: nella maggioranza dei casi, cambiamenti in una dimensione avranno un impatto
rilevante per tutte le altre. I casi di misfit, ovvero di differenze macroscopiche tra queste
dimensioni sono, secondo Hall, rare e transitorie a causa degli increasing returns38 determinati
dalla compresenza di meccanismi di mercato o di coordinamento strategico nei diversi settori.
Quando avviene un cambiamento, nella maggioranza dei casi si assiste ad una variazione
coerente in tutte le dimensioni rilevanti.
L‟approccio delle varietà del capitalismo, oltre a descrivere in modo statico i tipi polari, è
adatto a comprendere l‟evoluzione interna ai diversi sistemi proprio perché concentra
l‟attenzione sugli attori e sul loro rapporto con l‟ambiente circostante.39
Il fattore di cambiamento più rilevante per quanto riguarda questo approccio è la
globalizzazione economica e finanziaria40 con l‟ondata di “distruzione creativa” che ne
consegue.
Paul Pierson, “Increasing returns, path dependence, and the study of politics”. American Political Science
Review, 94, 251-268. 2000.
38
Peter Hall, “Institutional Change in Varieties of Capitalism”. British Journal of Political Science (2009), 39:449482. Pepper Culpepper, “Institutional Change in Contemporary Capitalism: Coordinated Financial Systems
since 1990,” World Politics 57 (2): 173-99. 2005
39
In questo caso si intende globalizzazione come liberalizzazione dei mercati finanziari, la liberalizzazione
del commercio, l‟apertura di paesi precedentemente isolati dall‟economia capitalistica, il declino dei costi di
trasporto e di comunicazione e il venir meno delle barriere tariffarie. Hall e Soskice, Varieties of Capitalism.
Op. cit.
40
12
L‟ipotesi più diffusa in letteratura è quella della convergenza verso il modello LME e la fine
della diversità per la tipologia a mercato coordinato.41 Le CMEs a prima vista sembrano
molto meno attrezzate per vivere in un contesto di crescente liberalizzazione, apertura
finanziaria e commerciale, erosione della capacità regolativa dello stato e, in generale, di
globalizzazione economica42.
Tutte le caratteristiche delle CMEs sono potenzialmente messe in discussione da queste
tendenze: il sistema basato sulle banche è meno adatto ad attirare capitali esteri di quello
basato sul mercato azionario; la liberalizzazione finanziaria produce una concorrenza al
ribasso sulla tutela dei lavoratori e spinge alla decentralizzazione della contrattazione;
l‟apertura tende a rompere i sistemi di coordinamento nazionali, favorendo l‟accesso di
capitale straniero e la redistribuzione delle alleanze a livello internazionale. Queste sono solo
alcuni aspetti della possibile convergenza. Il modello CMEs appare maggiormente adatto ad
un‟economia chiusa dal punto di vista dei fattori produttivi43 e sembra, ad una prima analisi,
dover soccombere davanti alle forze della globalizzazione.
Come sostenuto da Peter Hall e dagli altri sostenitori di questo approccio, l‟ipotesi della
convergenza tuttavia non deve essere accettata in modo acritico.44 Le forze della
globalizzazione possono avere impatti diversi sui due tipi di sistemi capitalistici, poiché gli
attori delle CMEs e della LMEs hanno preferenze e incentivi differenti e quindi reagiscono in
modo non uniforme in reazione agli shock esterni.45
Per analizzare un caso come quello del Giappone contemporaneo, attraverso il filtro della
teoria delle varietà del capitalismo, sarà dunque necessario prestare particolare attenzione
all‟interazione tra preferenze degli attori, cambiamento istituzionale e pressione esterna,
evitando due tipi di errori: considerare l‟ipotesi dell‟omologazione inevitabile o, al contrario,
In Richard Stubbs and Geoffrey R.D. Underhill (eds.), Political Economy and the Changing Global Order, 3 rd
Edition, Oxford University Press 2001. Gleen Morgan, Richard Whitley, and Eli Moen, Changing Capitalisms?:
Internationalization, Institutional Change, and Systems of Economic Organization. Oxford Univeristy Press 2005.
41
Jeffry Frieden, and Ronald Rogowski. “The Impact of the International Economy on National Policies:
An Analytical Overview.” In Robert O. Keohane and Helen V. Milner, eds., Internationalization and Domestic
Politics. New York: Cambridge University Press. 1996.
42
Chiusa in questo caso non vuol dire autarchica. I fattori produttivi, capitale e lavoro, sono locali. Il
commercio estero può essere come nel caso della Germania o del Giappone una delle maggiori voci del
prodotto interno grazie al ruolo delle esportazioni.
43
Colin Hay, „Contemporary Capitalism, Globalization, Regionalization and the Persistence of National
Variation‟, Review of International Studies 26/4 (2000), pp.509–31. Peter Hall and Daniel Gingerich “Varieties
of Capitalism and Institutional Complementarieties in the Macroeconomics. An Empirical Analysis.” Op.
cit.
44
Andreas Busch, „Unpacking the Globalization Debate: Approaches, Evidence and Data‟, in Colin Hay and
David Marsh (eds.), Demystifying Globalization (Basingstoke: Macmillan, 2000), pp.21–48.
45
13
rifugiarsi elusivamente in descrizioni che riducono la peculiarità del caso singolo a fenomeni
di unicità prettamente storico-culturali. Una corretta analisi deve quindi cercare di cogliere la
dialettica tra l‟unicità e la pressione esterna all‟omologazione attribuendo una razionalità
strumentale agli attori coinvolti e tenendo in conto le loro preferenze e la loro possibile
evoluzione.
La struttura dei Keiretsu dopo la Seconda Guerra mondiale.
La struttura dell‟organizzazione economica giapponese del dopo guerra era caratterizzata dalla
presenza dei keiretsu, ovvero “gruppi oligopolistici con una struttura istituzionalizzata
derivante da una molteplice serie di legami, formali ed informali, esistenti tra le aziende
facenti parte del gruppo.”46
La struttura dei keiretsu trovava la propria origine negli zaibatsu del periodo prebellico. Questi
ultimi erano gruppi dai confini poco definiti, dalla struttura gerarchica, controllo familiare e
stretti legami con lo stato. Questo tipo di organizzazione permetteva ad un numero ristretto
di famiglie industriali di controllare, essenzialmente attraverso condivisione di patrimoni
azionari, di condizionare la maggioranza delle imprese nazionali.47
I principali zaibatsu prebellici erano Mitsubishi, Mitsui e Sumitomo. Questi tre si svilupparono
rapidamente dopo la Restaurazione Meji, iniziata dopo il colpo di stato del 1868 che mise fine
alla struttura feudale del periodo Tokugawa. Tra la fine dell‟Ottocento e l‟inizio del
Novecento, questi gruppi iniziarono dapprima a differenziarsi internamente dando vita a
molteplici attività quali produzione bellica e navale, attività legate al commercio estero,
banche e assicurazioni. Tutti questi settori rimasero indipendenti fino all‟inizio degli anni
Venti quando un numero ristretto di famiglie assunse il controllo dei gruppi promuovendo
una riorganizzazione gerarchica e piramidale dei gruppi economici. Nel 1937 i tre grandi
Liborio Mattina, “Il Giappone Democratico tra Continuità e Cambiamento” Op. cit. Definizioni simili
sono presenti in Christina L. Ahmadjian, James R. Lincoln. "Keiretsu, Governance, and Learning: Case
Studies in Change from the Japanese Automotive Industry." Organization Science 12:683-701. 2001. David
Bernotas,. “Ownership structure and firm profitability in the Japanese keiretsu.” Journal of Asian Economics,
16(3): 533–554. 2005 Jeffrey. H Dyer,. "Does Governance Matter? Keiretsu Alliances and Asset Specificity
as Sources of Japanese Competitive Advantage." Organization Science 7:649-666. 1996.
46
Johnson, MITI and the Japanese Miracle. Op cit. Peter Evans, Embedded Autonomy: States and Industrial
Transformation Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1995. Bai Gao,. Japan's Economic Dilemma: The
Institutional Origins of Prosperity and Stagnation. New York: Cambridge University Press. 2001. Michael L.
Gerlach, Alliance Capitalism: The Social Organization of Japanese Business. Berkeley, CA: University of California
Press. 1992. James R. Lincoln, Michael L. Gerlach, and Christina L. Ahmadjian. 1996. "Keiretsu Networks
and Corporate Performance in Japan." American Sociological Review 61:67-88. Hidemasa Morikawa, Zaibatsu:
The Rise and Fall of Family Enterprise Groups in Japan. Tokyo, Japan: University of Tokyo Press. 1993.
47
14
zaibatsu possedevano il 12% del capitale industriale del paese (e addirittura il 23% nel 1944 e
se si estende ai dieci maggiori gruppi questa quota raggiunge il 35% del capitale industriale
complessivo).48
Gli americani, durante il periodo dell‟occupazione, consideravano la struttura degli zaibatsu,
con il suo potere di condizionamento sulla politica interna ed estera giapponese, uno dei
responsabili dell‟aggressività che condusse fino alla guerra del Pacifico. Di conseguenza il
governo di MacArthur si adoperò per promuovere la dissoluzione degli zaibatsu e per
incoraggiare una struttura industriale e produttiva maggiormente pluralista o comunque priva
di eccessive centralizzazioni di capitale finanziario.49 La Anti Monopoly Law del 1947 rese
illegali le concentrazioni di capitale del periodo precedente. Tuttavia, già dal 1948, gli
americani rinunciarono a portare a termine questa sforzo di smantellamento degli agglomerati
finanziari. Il rapido sviluppo dello stato giapponese, considerato un argine essenziale
all‟espansione del comunismo, fece passare in secondo piano questo aspetto, visto che il
potenziale coagularsi di nuovi gruppi poteva pilotare più efficacemente la ricostruzione.50
Dal 1949, infatti, l‟architetto del containement George Kennan diede vita al cosiddetto “reverse
course”. La democratizzazione dell‟economia giapponese venne messa in secondo piano
rispetto all‟accelerazione della ricostruzione e della ripresa economica. All‟inizio del 1950, la
minaccia comunista e la necessità di fare del Giappone la base logistica per lo sforzo bellico in
Corea determinarono la fine dei progetti di smantellamento degli zaibatsu51.
Dagli anni Cinquanta, quindi, prese definitivamente forma la struttura del keiretsu, ovvero una
nuova forma di organizzazione del capitale industriale che riproponeva forme oligopolistiche
di cooperazione e interdipendenza, anche se con caratteristiche diverse da quelle dello zaibatsu
prebellico. Mentre il sistema precedente era caratterizzato costituita dall‟accentramento della
proprietà in mano ad un numero di famiglie molto ristretto la struttura post-bellica era
caratterizzata da un alto coordinamento ma un alto grado di diffusione della proprietà.
Alcune stime prevedono che durante la seconda Guerra mondiale fino al 70% del PIL giapponese fosse
direttamente o indirettamente controllato dalla zaibatsu James R. Lincoln and Michael L. Gerlach. Japan’s
Network Economy: Structure, Persistence, and Change. New York: Cambridge University Press. 2004. Gerhard
Lehmbruch, „The Institutional Embedding of Market Economies: The German “Model” and its Impact on
Japan‟, in Wolfgang Streeck and Kozo Yamamura (eds), The Origins of Nonliberal Capitalism: Germany and Japan
in Comparison, Ithaca NY: Cornell University Press, 2001.
48
Richard Samuels, Securing Japan. Op cit. Hidemasa Morikawa, Zaibatsu: The Rise and Fall of Family Enterprise
Groups in Japan. Op. cit.
49
50
Johnson, MITI and the Japanese Miracle. Op cit. Bai Gao,. Japan's Economic Dilemma. Op. cit.
George F. Kennan, “Japanese Security and American Policy” Foreign Affairs, October 1964. John W.
Dower, Embracing defeat. Japan in the wake of World War Two. Norton New York 2000. George F.
Kennan, Memoirs, 1925-50 (Boston, 1967), 393.
51
15
La letteratura economica distingue due forme principali di keiretsu, quella verticale e quella
orizzontale. La membership dei gruppi orizzontali è diversificata e questi sono attivi in diversi
settori industriali. L‟economia giapponese del dopoguerra era dominata dai “Sei Grandi”
ovvero i grandi sei keiretsu “orizzontali”. Tre di questi erano i discendenti dello zaibatsu
(Mitsui, Mitsubishi, and Sumitomo), mentre gli altri tre si erano sviluppati attorno a grandi
banche del periodo del dopo guerra (Dai Ichi Kango, Fuyo, and Sanyo). I keiretsu verticali
operavano invece in un solo settore industriale e sono sostanzialmente delle catene di
montaggio integrate costituite da più imprese che operano attorno ad un‟ “azienda madre”
alla quale sono associate aziende minori.52 Tuttavia, come sottolineato da Gerlach, la
distinzione tra keiretsu verticale e orizzontale è soprattutto analitica. Pur potendo riconoscere
forme di coordinazione più simili ad un tipo o dell‟altro, dal punto di vista empirico viene
riscontrato una compresenza di legami orizzontali e verticali che trascendono questa
dicotomia. Ad esempio, la Toyota è una struttura verticale integrata nel keiretsu orizzontale
Mitsui, così come la “catena di montaggio” Nissan era strettamente connessa con Fuyo o
NEC con Sumitomo. 53
Al di là della tipologia astratta di interazione, è importante distinguere le modalità concrete
che costituiscono i legami della struttura del keiretsu e gli effetti macroeconomici e sui rapporti
di potere tra gruppi. Una caratteristica fondamentale, in particolare delle struttura orizzontali,
è la presenza di una banca d‟affari che provvede all‟accesso al credito dei settori manifatturieri
del keiretsu e funziona come struttura centrale del gruppo . Questa banca generalmente ospita
il “consiglio mensile dei presidenti”, la struttura di governance (formale o informale) che guida e
coordina il gruppo. La presenza di una banca fornisce il principale legame tra i gruppi che è
quello del mutuo finanziamento tra settori del gruppo e interdipendenza nei confronti della
banca. Esistono, tuttavia, anche molti altri tipi di collanti tra le parti del gruppo, quali
un‟elevata commistione nella proprietà azionaria e un notevole interscambio di personale
dirigente all‟interno del keiretsu.54
Lee Branstetter, "Vertical Keiretsu and Knowledge Spillovers in Japanese Manufacturing: An Empirical
Assessment." Journal of the Japanese and International Economies 14:73-104. 2000.
52
Michael L. Gerlach, and James R. Lincoln, "Economic Organization and Innovation in Japan: Networks,
Spinoffs, and the Creation of Enterprise." Pp. 151-98 in Knowledge Creation: A New Source of Value, edited by
Ikujiro Nonaka, Georg von Krogh, and Toshihiro Nishiguchi. London: Macmillan. 2001. Kim, H.,
Hoskisson, “Power dependence, diversification strategy, and performance in keiretsu member firms.”
Strategic Management Journal, 25(7) 2004: 613–636.
53
James R. Lincoln, Michael L. Gerlach, and Christina L. Ahmadjian. "Keiretsu Networks and Corporate
Performance in Japan." American Sociological Review 61:67-88 1996.. James R. Lincoln & Shimotani Masahiro.
(2009). Whither the Keiretsu, Japan's Business Networks? How Were They Structured? What Did They Do?
Why Are They Gone?. UC Berkeley: Institute for Research on Labor and Employment. Ulrike Schaede,
“The Strategic Logic of Japanese Keiretsu, Main Banks and Cross-Shareholdings, Revisited”. Op. cit. Isobe,
54
16
Questo tipo di struttura comportava numerosi benefici per le imprese quali un accesso stabile
al credito, isolamento dalle pressioni del mercato nel breve periodo, riduzione dei rischi,
migliore monitoraggio e riduzione delle asimmetrie informative e mutua assistenza.
Questa struttura, inoltre, creava notevoli incentivi alla crescita, in particolare stimolando
costantemente la crescita degli investimenti. L‟accesso stabile al credito, infatti, con bassi tassi
di interesse metteva al riparo dal rischio di breve periodo e garantiva un livello costante e
crescente di investimento.
L‟appartenenza ad una delle “Sei Grandi” implicava una notevole riduzione dei rischi legati
alla concorrenza o a eventuali fluttuazioni di prezzi. Oltre al finanziamento bancario, il
meccanismo della condivisione delle azioni (corporate share holding) creava una serie di legami
tali da assicurare il soccorso delle altre compagnie in caso di difficoltà. La condivisione media
delle azioni tra le aziende facenti parte delle Sei Grandi variava infatti dal 20% al 45%.55 Una
quota tale creava un interesse nel soccorrere le imprese sorelle in caso di crisi, oltre ad
assicurare collaborazione, coordinamento e scambio di tecnologia in periodi ordinari. Un
altro collante era costituito da relazioni commerciali privilegiate: il commercio interno ad un
keiretsu era tendenzialmente scollegato da logiche di prezzo.
Questo modello, che si è affermato dopo la guerra, rappresentava una peculiare versione della
economia di mercato coordinato individuato dai teorici delle varietà del capitalismo. Il
Giappone postbellico, infatti, presentava in forma particolarmente accentuata tutte le
caratteristiche di questo tipo di strategia di coordinamento economico: cooperazione stretta
da aziende fino alla costituzione di cluster industriali orizzontali e verticali, la centralità delle
banche, un orientamento alla crescita nel lungo periodo e al mantenimento delle quote di
mercato, un mercato del lavoro relativamente centralizzato e con impiego tendenzialmente a
vita.56 La struttura del keiretsu si dimostrava efficace nel risolvere i problemi di coordinamento
di lungo periodo tipici delle economie a mercato coordinato, essenzialmente costituzione di
impegni credibili , informazione, monitoraggio e sanzione dell‟inadempienza.
Questo modello di sviluppo politico ed economico è entrato in crisi all‟inizio degli anni
Novanta. In precedenza, ho menzionato alcune delle possibili macro cause che hanno
Makino, S., & Goerzen, “A. Japanese horizontal keiretsu and the performance implications of membership”.
Asia Pacific Journal of Management, 23(4): 453–466. 2006.
Ronald J. Gilson and Mark J. Roe, “Understanding the Japanese Keiretsu: Overlaps between Corporate
Governance and Industrial Organization” The Yale Law Journal, Vol. 102, No. 4 (Jan., 1993), pp. 871-906.
David Bernotas,. “Ownership structure and firm profitability in the Japanese keiretsu.” Journal of Asian
Economics, 16(3): 533–554. 2005.
55
Questo modello era caratterizzato da una contrattazione a livello di azienda e non a livello settoriale, che
diminuiva la conflittualità e garantiva un‟elevata quota di accordi.
56
17
contribuito a determinare la crisi giapponese nel “decennio perduto” degli anni ‟90. Sarà ora
necessario cercare di descrivere, alla luce delle variabili identificate dall‟approccio di Hall e
Soskice, l‟impatto del regime shift57 seguente alla crisi.
Il tramonto del keiretsu.
La letteratura specializzata tende a considerare il modello di coordinamento del keiretsu in
netto declino.58 Il progressivo estinguersi di questo modello è testimoniato dal cambiamento
significativo in tutte le variabili indicate dai teorici delle varieties of capitalism59.
Come detto, una delle cause della crisi giapponese era la trappola della liquidità, ovvero
l‟impossibilità da parte del governo di utilizzare la leva monetaria per promuovere la ripresa
economica60. Una delle ragioni di questa grave disfunzione macroeconomica era l‟intreccio tra
banche e imprese all‟interno del keiretsu.61 La presa di coscienza di questo tipo di
inadeguatezza è stata in larga parte tardiva, visto che solo con il governo di Obuchi e di
Koizumi è stata intrapresa una riforma organica del sistema bancario oltre che della corporate
governance62.
La combinazione di queste due riforme organiche ha avuto un impatto fondamentale per la
struttura del keireitsu. La riforma della corporate governance ha indotto le imprese a maggiore
libertà di azione a fronte di una maggiore accountability nei confronti della proprietà e degli
azionisti. Ciò ha le capacità di controllo e monitoraggio delle banche.63 La progressiva
apertura ai capitali finanziari e una nuova regolamentazione legale del sistema bancario ha
57
T.J. Pempel, Regime Shift. Op. cit.
Ulrike Schaede, “The Strategic Logic of Japanese Keiretsu, Main Banks and Cross-Shareholdings,
Revisited”. Op. cit. Steven Kent Vogel, Japan remodeled : how government and industry are reforming Japanese
capitalism. Op. cit. Miwa Yoshiro and J. Mark Ramsayer. 2006. The Fable of the Keiretsu: Urban Legends of the
Japanese Economy. University of Chicago Press, 2006.
58
Kozo Yamagura, Wolfang Streek, The End of Diveristy. Prospect for German and Japanese Capitalism. Ithaca
Cornell University Press 2003.
59
Paul R. Krugman, Kathryn M. Dominquez and Kenneth Rogoff, “It's Baaack: Japan's Slump and the
Return of the Liquidity Trap” Op. cit.
60
Rishi Goyal and Ronald McKinnon, “Japan‟s Negative Risk Premium in Interest Rates: The Liquidity Trap
and Fall in Bank Lending” The World Economy No .2 May 2003.
61
Le principali riforme in questo settore sono state quelle del diritto societario, la liberalizzazione dei capitali
finanziari del 1998 e la “Corporate Reorganisation Law” del 2003.
62
Schade, Ulrike Schaede, “The Strategic Logic of Japanese Keiretsu, Main Banks and Cross-Shareholdings,
Revisited”. Op. cit.
63
18
ridotto ulteriormente il ruolo della “banca centrale” del keiretsu.64 Le crisi bancarie del 1992 e
del 1998 hanno evidenziato la fragilità del sistema giapponese che era giunto sull‟orlo del credit
crunch65 e hanno indotto il governo a imporre nuovi limiti legali all‟attività bancaria, in
particolare all‟esposizione verso singole imprese o cluster di imprese connesse tra loro.
Uno degli indicatori più significativi della fine del sistema dei keiretsu è proprio quello del
rapporto tra debito bancario e finanziamento azionario, in quanto esprime il sorgere di
alternative al ruolo, precedentemente indispensabile, della “banca del gruppo”. La “banca
centrale” era, infatti, il perno dei keiretsu poiché garantiva il finanziamento privilegiato al
gruppo oltre a distribuire il rischio delle aziende in difficoltà su tutto il gruppo.
Il declino del ruolo delle banche è anche indicatore di una progressiva apertura in direzione
del capitale estero e di una spinta ad una distribuzione del capitale secondo criteri più vicini a
logiche di mercato rispetto alle tradizionali forme di gestione66. Tuttavia, il ruolo delle banche
64
Ibidem.
Ben S. Bernanke, Cara S. Lown and Benjamin M. Friedman, “The Credit Crunch” Brookings Papers on
Economic Activity, Vol. 1991, No. 2 (1991), pp. 205-247. Ding Wei, Ilker Domac, Giovanni Ferri, “Is There a
Credit Crunch in East Asia?” (August 1, 1998). World Bank Policy Research Working Paper No. 1959.
65
Jason Gilson and Mark J. Roe, “Understanding the Japanese Keiretsu: Overlaps between Corporate
Governance and Industrial Organization” The Yale Law Journal, Vol. 102, No. 4 (Jan., 1993), pp. 871-906.
66
19
centrali non è venuto meno unicamente a causa delle limitazioni indotte dalla riforma o per la
concorrenza di un mercato azionario rinvigorito dall‟apertura all‟esterno. Un‟altra innovazione
strutturale molto rilevante è stata quella della grandi fusioni bancarie.67 L‟apertura del mercato
ai capitali esteri e la crescita del finanziamento azionario ha causato, infatti, una serie di mosse
difensive da parte degli istituti bancari giapponesi. Tra questi le più significative sono state le
fusioni di alcune delle banche centrali.68 Questa nuova concentrazione di capitale,
contrariamente a quanto può apparire intuitivamente, non ha giovato alla struttura
tradizionale. Le grandi fusioni hanno infatti creato un elemento di notevole turbativa nel
rapporto esclusivo tra banca e membri del keiretsu.
In generale, quindi, si assiste ad una riconfigurazione complessiva dei rapporti tra banche e
imprese. Le liberalizzazioni del settore promosse dal governo dopo il “Big Bang” del 1998 e
durante il governo Koizumi hanno avuto un impatto determinate sulla struttura dei keiretsu.
La reazione del sistema bancario a queste riforme ha indotto ad una ristrutturazione che non
ha dissolto le grandi concentrazioni di capitale ma ha prodotto una riconfigurazione segnata
da rapporti maggiormente fluidi e pluralistici.69
Considerando il continuum tra sistemi bank based e equity based proposta dal paradigma delle
“varietà del capitalismo”, il Giappone ricade ancora nel primo tipo. Tuttavia, le riforme
istituzionali e la reazione degli attori hanno segnato un notevole allontanamento dal modello
tradizionale, in particolare per quanto riguarda il ruolo della banche centrali in quanto perno
della struttura del keiretsu.
Come detto in precedenza, una dimensione strettamente interconnessa con quella del
finanziamento delle imprese è quella della “corporate governance”. La centralità delle banche
era fondamentale in termini di possibilità di diffusione del rischio, creazione di impegni
credibili, monitoraggio, condivisione delle informazioni. Il declino della banca centrale,
insieme con l‟apertura agli investimenti diretti esteri e alla partecipazione di capitale straniero,
ha comportato una necessità di accountability e di trasparenza nei confronti degli azionisti.
Anche se il Giappone è ancora lontano dal modello americano della “sovranità dell‟azionista”,
il cambiamento è orientato in direzione di un maggiore controllo diretto a scapito dei legami
di diversa natura. Questo tipo di controllo implica una maggiore attenzione alla redditività nel
Tom Ginsburg, “Dismantling the “Developmental State”? Administrative Procedure Reform in Japan and
Korea”, The American Journal of Comparative Law, 49, 585-625. 2001
Dai primi anni 200 le quindici maggiori banche hanno intrapreso una strategia di fusione e di
riaggregazione fino alla creazione di quattro grandi gruppi (Mizuho, MUFG, Sumitomo-Mitsui e Resona).
67
68
Steven Kent Vogel, Japan remodeled : how government and industry are reforming Japanese capitalism. Op. cit.
Christina L. Ahmadjian and Gregory E. Robbins, “A Clash of Capitalisms: Foreign Shareholders and
Corporate Restructuring in 1990s Japan” American Sociological Review, Vol. 70, No. 3 (Jun., 2005), pp. 451-471
69
20
breve periodo rispetto alla crescita di lungo periodo e al mantenimento del network
finanziario e industriale del keiretsu. La logica di breve periodo comporta, infatti, una maggiore
competizione e una “razionalità di mercato” a scapito delle pratiche di mutuo soccorso
all‟interno dei cluster industriali. Puntare alla redditività di breve periodo comporta una
generale preferenza verso attività regolate da meccanismi di mercato rispetto a relazioni
diverse e privilegiate. Un indicatore che esprime efficacemente questo trend è quello del
commercio preferenziale, ovvero la quota di scambi interni a cluster rispetto al totale70. Il
declino del commercio preferenziale rispetto a quello “di mercato” indica la necessità di
rispondere a logiche di breve periodo che in precedenza erano oscurate dagli interessi di
lungo periodo.
Un altro indicatore significativo della riconfigurazione della costellazione industriale e
produttiva giapponese è il cambiamento nella struttura della proprietà delle imprese. Anche in
questa dimensione, si possono rintracciare due trend diversi: l‟effetto congiunto delle riforme
e della generale apertura dell‟economia ha condotto ad una diminuzione del livello dei crossshare holding (comproprietà azionaria delle imprese) che ha avuto un effetto sostanziale sulla
struttura precedente. L‟apertura a capitali stranieri e un‟evoluzione in direzione della sovranità
dell‟azionista a scapito delle logiche di gruppo e di lungo periodo ha indotto ad un calo delle
fusione delle proprietà all‟interno dei cluster industriali. Come nel settore bancario, tuttavia,
questa tendenza è stata controbilanciata da una crescita delle “fusioni difensive” attuate con lo
scopo di prevenire acquisizioni di grandi aziende da parte di capitali stranieri. Anche in questo
settore si registra quindi una riconfigurazione che non altera in modo radicale il livello di
concentrazione del capitale ma intacca la struttura economica dei Sei Grandi keiretsu che
ormai non agiscono più come attori unitari.
La commistione della proprietà costituiva il collante più significativo per i keiretsu, poiché era
funzionale alla risoluzione di vari aspetti critici del funzionamento di una struttura a mercato
coordinato (CME). Un‟ampia commistione delle proprietà metteva al riparo dai rischi di
breve periodo e garantiva l‟esistenza un sostanziale interesse comune per tutte aziende del
gruppo. Ciò fungeva da “assicurazione” nel breve periodo contro le incertezze derivanti dalla
fluttuazione dei prezzi di mercato. Le riforme della corporate governance e l‟accesso di capitali
stranieri segnato il declino di questa logica solidaristica incentivando la concorrenza e la
profittabilità di breve periodo a scapito della coesione interna.
Uno degli aspetti più rilevanti in questo è prevalenza di logiche di discriminazione “non di prezzo” nel
commercio interno ai grandi gruppi industriali. Il commercio preferenziale esprime la preferenza al
commercio all‟interno del gruppo anche a condizioni di prezzo svantaggiose.
70
21
I dati forniti dal Nihon Life Institute‟s annual survey e dal Daiwa Research Institute survey
indicano un generale trend verso il declino della condivisione della proprietà nei cluster
industriali. 71 La dissoluzione dei vincoli del keiretsu è particolarmente significativa per i settori
più competitivi legati all‟esportazione e con presenza di capitali esteri. La variazione più
significativa è quella di Sumitomo e Mitsubishi che sono passate da una condivisione
superiore al 40% al 25% o 30%.72
L‟ingresso di capitali stranieri nella proprietà è un aspetto particolarmente significativo per
quanto riguarda questa dimensione. Esiste una correlazione particolarmente elevata, infatti,
tra la presenza di capitali stranieri e ristrutturazioni massicce delle strutture societarie. In
particolare gruppi come Toyota e Mitsui, in cui i capitali stranieri hanno una forte influenza
sul management hanno introdotto con più decisione principi estranei al modello tradizionale
e più vicini ad una gestione ispirata a criteri di mercato, redditività di breve periodo,
competizione e “sovranità dell‟azionista”.73
Questi dati sono pubblicati da Nippon Keindaren (associazione degli industriali) e Ministero delle Finanze.
http://www.keidanren.or.jp/indexj.html
71
72
Ibidem.
James R. Lincoln & Shimotani Masahiro “Whither the Keiretsu, Japan's Business Networks? How Were
They Structured? What Did They Do? Why Are They Gone?.” Op cit.
73
22
La riconfigurazione degli assetti della proprietà è in linea con le altre dimensioni che indicano
l‟introduzione di meccanismi di mercato ad affiancare le relazioni preferenziali tradizionali.
Questo tipo di riconfigurazione degli assetti della proprietà induce una maggiore
competizione e una divergenza degli interessi rispetto al passato.
L‟ultima variabile fondamentale nel processo di ristrutturazione del sistema è quella legata
alle riforme del mercato del lavoro. Il modello giapponese come detto era legato all‟impiego a
vita e alla fedeltà che legava lavoratore e azienda. In questo senso il modello giapponese
rappresentava una delle espressioni più tipiche dell‟economia a mercato coordinato.74
Il settore dei rapporti tra forza lavoro e imprese è probabilmente quello che ha subito
cambiamenti meno radicali durante il periodo delle riforme strutturali (soprattutto dal 1998 al
2006). Questo tipo di reazione è tuttavia prevedibile considerando le norme che vincolano
questo settore, sia a livello formale sia a livello sociale e informale.75
Kozo Yamagura, Wolfang Streek, The End of Diveristy. Pg 3-11. Op. cit. T.J Pemperl Regime Shift Comparative
Diynamics of the Japanese Political Economy. Pg 132-138. Op. cit.
74
Christina L. Ahmadjian and Gregory E. Robbins, “A Clash of Capitalisms: Foreign Shareholders and
Corporate Restructuring in 1990s Japan” American Sociological Review, Vol. 70, No. 3 (Jun., 2005), pp. 451-471
75
23
Tutte le grandi imprese, hanno tentato di evitare sia drastiche riduzioni della forza lavoro sia
lo smantellamento dell‟impiego a vita.76 Le ristrutturazioni seguite alla crisi e al periodo delle
riforme strutturali hanno introdotto una serie di misure atte proprio a conservare sia l‟impiego
vitalizio sia a minimizzare l‟impatto sulla disoccupazione. Le iniziative più diffuse sono state
la riduzione degli orari di lavoro, i tagli dei costi straordinari oltre ad una diminuzione
generalizzata anche se non traumatica dei salari. Il mantenimento dello status precedente dei
lavoratori ha dato tuttavia luogo ad un mercato del lavoro parallelo costituito da manodopera
non tutelata e da lavoratori temporanei. In particolare le tutele per la manodopera femminile
sono state drasticamente ridotte. I dati più recenti sostengono addirittura che il Giappone sia
il paese dell‟OCSE con la maggiore differenza di tutela e protezione tra “lavoratori protetti” e
lavoratori non qualificati (a tempo, manodopera non qualificata soprattutto femminile).77
Christina L. Ahmadjian, Patricia Robinson. "Safety in Numbers: Downsizing and the
Deinstitutionalization of Permanent Employment in Japan." Administrative Science Quarterly 46:622-654. 2001.
76
Jennifer Ann Amyx, Japan's Financial Crisis : Institutional Rigidity and Reluctant Change. Princeton, N.J.:
Princeton University Press 2004
77
24
Nonostante ciò l‟area del mercato del lavoro è infatti quella meno toccata dalle riforme
strutturali. Il modello dell‟impiego a vita è ancora uno dei punti più sensibili dal punto di vista
politico e sociale per le imprese. Le imprese che hanno attuato trasformazioni incisive in altri
settori si sono rivelati molto cauti nel proporre modifiche radicali allo status della forza
lavoro.78
Il modello di contrattazione centrato sulle aziende non è stato modificato se non in modo
molto parziale. Le rappresentanze sindacali e industriali hanno mantenuto un elevato grado di
consenso attorno al mantenimento del modello precedente, a prezzo alcuni costi marginali in
termini di salario e tutele dei lavoratori.79
Steven Vogel, “The Crisis of German and Japanese Capitalism: Stalled on the Road to the Liberal Market
Model?” Comparative Political Studies 34 2001.
78
Steven K. Vogel,. “Can Japan disengage? Winners and losers in Japan‟s political economy, and the ties that
bind them.”Social Science Japan Journal.
79
25
La dimensione dei rapporti tra capitale e lavoro è in contrasto con il cambiamento strutturale
che appare nelle altre dimensioni proposte dall‟approccio delle varieties of capitalism.80 Come
sottolineato da Steven Vogel, questo aspetto mette in luce l‟importanza della variabili non
strettamente economiche nel processo di riforma e ristrutturazione economica.81 I rapporti
tra capitale e lavoro sono, infatti, la dimensione più sensibile dal punto di vista politico. In
questo settore le imprese sono fortemente vincolate da norme e regole, spesso anche
informali, che condizionano fortemente la loro condotta. L‟impatto delle riforme del mercato
del lavoro, anche in presenza di cambiamenti formali molto rilevanti, è stato ridotto82.
In conclusione quindi, possiamo affermare che a causa dell‟effetto combinato della pressione
esterna, della globalizzazione economica e finanziaria e delle riforme intraprese (soprattutto
dopo il 1998), il keiretsu come forma di coordinamento tra cluster di imprese è in netto
declino. Le fusioni bancarie e industriali degli anni 2000 non hanno restaurato la struttura del
keiretsu poiché la riconfigurazione dei gruppi industriali ha segnato un declino della capacità di
coordinamento, di diffusione del rischio e di creazione di impegni di lungo periodo tipica
della struttura tradizionale. Il periodo delle riforme successivo al “decennio perduto” sembra
aver indirizzato l‟economia giapponese all‟apertura e all‟introduzione di maggiori meccanismi
di mercato accanto ai consolidati meccanismi di regolazione e interazione. Il mercato del
lavoro costituisce un eccezione a questo trend a causa della maggiore sensibilità politica e
sociale rivestita da questa dimensione rispetto alle altre.
Sintesi efficace o equilibrio instabile?
L‟analisi di questi cambiamenti conduce ad alcune considerazioni di carattere sia teorico sia
empirico riguardanti l‟evoluzione del modello giapponese.
Come sostenuto da studiosi quali Streek e Vogel, il cambiamento giapponese non deve essere
interpretato come una transizione da un modello di economia coordinato (CME) ad un
economia di libero mercato (LME), quanto un processo di adattamento e di ibridazione
all‟interno del modello a mercato coordinato.83
Kozo Yamagura, Wolfang Streek, The End of Diveristy. Prospect for German and Japanese Capitalism. Ithaca
Cornell University Press 2003.
80
81
Steven Vogel, Japan Remodeled. Op. Cit.
Alcune delle riforme fondamentali sono state la “Revisione degli Standard di Lavoro” del 1998, la “Legge
sui Lavoratori Distaccati” e la “Revisione della Legge sulla Sicurezza del Lavoro” del 2003.
82
Kozo Yamagura, Wolfang Streek, The End of Diveristy. Prospect for German and Japanese Capitalism. Op. cit.
Steven Vogel, Japan remodeled : how government and industry are reforming Japanese capitalism. Op. cit.
83
26
Le riforme successive al 1998 hanno inaugurato un periodo di notevole fluidità che, tuttavia,
non lascia intravedere una completa omologazione sul modello anglosassone quanto la
progressiva integrazione di elementi di libero mercato in una struttura economica basata su
meccanismi di coordinamento non di mercato.
La letteratura offre diverse interpretazioni legate alla riconfigurazione della struttura
economica e sociale giapponese e all‟ibridazione del modello tradizionale. Secondo
l‟interpretazione di studiosi quali Streek e Yamamura, l‟introduzione di caratteristiche tipiche
di un economia di libero mercato nell‟impianto tradizionale offre la possibilità di mantenere
in vita un sistema-paese con peculiarità storiche e sociali ineliminabili. Questi studiosi
suggeriscono quindi che i cambiamenti sono funzionali alla conservazione di una struttura
generale fatta di norme e prassi economiche sociali condivise. Wolfgang Streek sostiene,
infatti, che il modello giapponese possiede una “sorprendente capacità di raggiungere,
difendere e restaurare la propria coerenza interna”84. Il sistema giapponese, “in modo del
tutto simile a quello tedesco, dimostra la notevole capacità delle CME di incorporare e
assimilare elementi nuovi, inclusi quelli provenienti dalle economie di libero mercato,
ampliando il repertorio delle proprie soluzioni organizzative, allargando la propria base
sociale, e affrontando le nuove sfide senza perdere la propria identità e la propria
peculiarità”.85
Studiosi quali Hall e Gingerich offrono un‟interpretazione molto diversa, sostenendo la
fragilità degli “ibridi”. L‟approccio delle varietà del capitalismo sottolinea, infatti, la forte
interconnessione delle variabili nei due tipi polari. Il cambiamento in uno o più settori
generalmente innesca un effetto a cascata che influisce su gli altri. Inoltre, il “vantaggio
istituzionale” di un determinato paese è determinato dalla coerenza interna della struttura
determinata dalla propria costellazione di attori e istituzioni. Per questi motivi, secondo Hall e
Gingerich, “a coordinated market economy (CME) that abandoned some of the strategic
institutional complementarities through partial reforms of components of the mix, could end
up at the bottom of U-shape efficiency curve. Unless an economy goes all the way in the
transformation from a CME to Liberal market economy (LME), prospects of success are
grim.”86 . Lo stato attuale del sistema giapponese, in base a queste considerazioni, sarebbe un
Kozo Yamagura, Wolfang Streek, The Origin of Non Liberal Capitalism. Germany and Japan in Comparison.
Cornell University Press 2001.
84
85
Ibidem pag 34-35.
Peter Hall and Daniel Gingerich, “Varieties of Capitalism and Institutional Complementarities in the
Macroeconomics. An Empirical Analysis.”. Op. cit.
86
27
equilibrio instabile caratterizzato dalla perdita dei vantaggi competitivi propri del modello
CME.
E‟ necessario notare che nessuno delle due versioni sostiene un‟invitabile convergenza e
omologazione verso il modello anglosassone. Entrambi , infatti, ammettono che il modello ad
economia di mercato coordinato può sopravvivere all‟impatto della pressione esterna e della
globalizzazione. La differenza sostanziale tra l‟interpretazione di Peter Hall e quella di
Wolfang Streek è nel mantenimento dei vantaggi competitivi determinati dalla coerenza
interna e dalla complementarietà tra le diverse dimensioni. Secondo Hall, infatti, gli “increasing
returns” dovuti alla complementarietà istituzionali sono tali da comportare un notevole
vantaggio per i modelli puri nella competizione internazionale. L‟ibridazione conduce quindi
ad equilibri instabili e rendimenti inferiori.87
87
Ibidem.
28
In questa sede è difficile propendere per una ipotesi o per l‟altra, anche perché ognuna di
queste avrebbe bisogno di una verifica di lungo periodo, impossibile da riscontrare in un
momento in cui le riforme strutturali giapponese sono ancora relativamente recenti.
Ciò che appare più chiaro è la dissoluzione della struttura dei keiretsu. I Sei Grandi gruppi
industriali non agiscono più come attori unitari e dimostrano un livello di coordinamento
interno sensibilmente inferiore al passato. Questo cambiamento è rilevante sia dal punto di
vista del modello di sviluppo interno sia dal punto di vista politico.
L‟ibridazione del modello ad economia coordinata e il declino della struttura dei keiretsu,
infatti, hanno un impatto fondamentale dal punto di vista politico oltre che economico. La
struttura dei gruppi di interesse ha subito negli ultimi anni una riconfigurazione profonda che
condiziona in modo significativo anche il sistema politico.
Le conseguenze politiche dell’ibridazione del modello economico.
Uno degli aspetti più interessanti di questa transizione da un sistema di CME ad un sistema
ibrido è l‟impatto che questo cambiamento comporta nell‟interazione tra sistema economico e
potere politico. Questa prospettiva è largamente trascurata dai teorici delle varieties of capitalism,
per i quali il sistema politico entra nell‟analisi soprattutto come fornitore di norme e regole
che influenzano l‟agire degli attori economici.
Il complesso di interazioni tra sistema politico e sistema economico è definito infatti da Peter
Hall ae Kathleen Thelen come “an institutional ecology in which the strategies of the actors
are simultaneously conditioned by multiple institutions, and the process of institutional
change as one of mutual adjustment, inflected by distributive concerns, with incremental
impacts on the strategies of firms and other actors.”88
Quindi se è presente un‟analisi teorica dell‟influenza del sistema politico sull‟economia, manca
un indagine specifica che vada in direzione contraria, riguardante l‟influsso del cambiamento
nelle variabili considerate sul sistema politico.
In generale, gli analisti della situazione giapponese sono concordi nell‟affermare che una delle
variabili fondamentali per spiegare la crisi del sistema del 1955 sia quella dell‟apertura
economica e della pressione esterna. La crisi della via giapponese al capitalismo coincide,
infatti, con crisi del cosiddetto sistema del 1955, ovvero quel sistema a partito dominante che
aveva segnato la storia del Giappone post-bellico. In questo caso non si intende ipotizzare un
88
Peter Hall Kathleen Thelen, “Institutional Change in Varieties of Capitalism”. Op. cit.
29
legame univoco o deterministico tra il declino della capacità di un modello economico di
promuovere crescita e stabilità sociale e la crisi del sistema politico. Quest‟ultima non è
riducibile unicamente a fattori economici. Tuttavia, l‟evoluzione e l‟ibridazione del modello
economico sono fattori significativi per la loro influenza sulla sfera politica.
Le interpretazioni delle modalità secondo le quali l‟adeguamento del sistema economico ha
interagito con l‟evoluzione del sistema politico sono però diverse. Un primo filone di analisi
individua una delle cause della fine del sistema del 1955 e dell‟egemonia del Partito Liberal
Democratico nel processo di trasformazione dell‟ “embedded mercantilims” e della transizione
verso un‟economia aperta.89 Secondo Pempel, la trasformazione del sistema economico ha
avuto un effetto determinante nel minare le constituencies del partito dominante creando delle
tensioni strutturali nel sistema di potere del PLD. L‟apertura all‟esterno e l‟ibridazione delle
network economy con meccanismi di mercato ha creato una frattura tra i gruppi economici. In
particolare, si è venuta a creare una divergenza tra gruppi economici competitivi e non
competitivi. Coerentemente con il modello di Frieden e Rogowski, i primi sono favorevoli al
processo di liberalizzazione e riforma, i secondi continuano a chiedere al governo di
mantenere una politica di discriminazione e di protezione della produzione domestica.90
Questa situazione ha reso evidente che il partito dominante non può mantenere l‟appoggio
dei settori più moderni ed avanzati del sistema e contemporaneamente continuare ad avere il
sostegno dei settori che domandavano protezione della produzione interna.91 Secondo
Pempel quindi, la variabili fondamentali nella crisi di egemonia del PLD sarebbero l‟incapacità
di garantire, come in passato, uno scenario economico senza perdenti e la divergenza
progressiva tra gruppi competitivi e non competitivi della struttura socio-economica
giapponese.
L‟incidenza sempre maggiore di un cleavage tra vincitori e vinti del processo di ibridazione e di
globalizzazione dell‟economia comporta, infatti, notevoli risvolti anche sul piano elettorale e
non solo dal punto di vista dell‟interazione tra gruppi e politica92. Oltre al conflitto regolativo
previsto dal modello di Frieden e Rogowski, insorge anche un conflitto politico-elettorale che
rende palese la contraddizione tra le tendenze del sistema economico in corso di apertura e
89
T.J Pemperl, Regime Shift Comparative Diynamics of the Japanese Piitical Economy. Op. cit.
Jeffry Frieden, and Ronald Rogowski. “The Impact of the International Economy on National Policies:
An Analytical Overview.” In Robert O. Keohane and Helen V. Milner, eds., Internationalization and Domestic
Politics. Op. cit.
90
T. J. Pempell, “Structural Gaiatsu: International Finance and Political Change in Japan” Comparative Political
Studies 1999; 32; 907
91
Su rapporto tra globalizzazione economica e strutturazione dei cleavadge politici, Hans Peter Kriesi, West
European politics in the age of globalization. Cambridge. Cambridge University Press. 2008.
92
30
transizione e un partito come il PLD fortemente ancorato da constituencies tradizionaliste e
localiste.
Un‟altra analisi che lega esplicitamente l‟evoluzione della configurazione dei gruppi economici
e la fluidità del sistema politico è quella di Gerald Curtis93. Secondo questa interpretazione, il
sistema del 1955 era caratterizzato dalla capacità dei grandi gruppi, in particolare i sei grandi
keiretsu, di esercitare un‟influenza determinante sulla formazione dell‟agenda governativa e
nello strutturare la competizione partitica. Durante il periodo di crescita economica più
sostenuta, soprattutto dal 1955 alla metà degli anni Settanta, le domande di questi che questi
presentavano al sistema politico erano coerenti con interesse nazionale, allora ispirato al
sorpasso tecnologico e produttivo dell‟Occidente. I grandi agglomerati economici e industriali
aggregavano gli interessi di vasti settori della società e li incanalavano in domande politiche
coerenti. Nel fare ciò, avevano una funzione di collegamento fondamentale tra società e
politica. Secondo Curtis, questa funzione di cinghia di trasmissione di interessi largamente
condivisi viene messo in crisi da diversi fattori. Il primo è un fisiologico processo di
maturazione dell‟economia e della società: la fase di sviluppo e di modernizzazione si
completa e si innescano dinamiche tipiche del capitalismo maturo, quali minori tassi di
crescita, maggiori conflitti distributivi, minore coesione socioeconomica.
Da un lato, quindi, i gruppi economici si sono frammentati al loro interno, dall‟altro i loro
interessi non rispecchiano più una visione condivisa (o almeno considerata tale) dell‟interesse
generale. Il fatto che i gruppi di economici e industriali vengano identificati come portatori di
“special interests” divergenti ha aumentato la competizione per l‟accesso ai partiti politici e tra i
partiti politici, creando una conflittualità estranea al sistema del 1955.
Una delle conseguenze di questa frammentazione della rappresentanza degli interessi è la
crescente specializzazione degli zoku. Gli zoku sono le cosiddette tribù di policy “costituite da
gruppi di parlamentari che si specializzano in una determinata area di policy con lo scopo di
promuovere determinate leggi nell'interesse dei gruppi e dei cittadini interessati alla loro
approvazione”94, operando per favorire “il coordinamento dell'attività di tutti gli attori
(burocrazia, gruppi, governo, assemblee elettive) attivi nella policy community formata su
quella determinata issue per giungere alla conclusione auspicata.”95 La progressiva
frammentazione e specializzazione degli zoku è un indicatore delle tendenze in atto, ovvero
della crescente incapacità dei gruppi di farsi portatori di interessi percepiti come coerenti con
Gerald R. Curtis, The Logic of Japanese Politics: Leaders, Institutions, and the Limits of Change, New York:
Columbia University Press. 1999.
93
94
Liborio Mattina, “Il Giappone Democratico tra Continuità e Cambiamento” Op. cit.
95
Ibidem
31
il benessere generale. Inoltre, la frammentazione delle tribù di policy rispecchia anche la
perdita di coerenza dei gruppi economici, in particolare dei grandi keiretsu che non agiscono
più come attori unitari.
Conclusione.
L‟analisi del caso giapponese utilizzando il filtro del paradigma delle varieties of capitalism
conduce a due distinte conclusioni: la prima di ordine empirico, che riguarda il caso preso in
esame, la seconda di ordine teorico generale.
Per quanto riguarda il caso giapponese si può constatare che il modello di sviluppo che
Chalmer Johnson ha definito developmental state può essere considerato definitivamente
esaurito. Gran parte delle caratteristiche di quel modello sono riconducibili ad un sistema
internazionale, economico e politico, che non esiste più. Quel sistema era adatto ad uno stato
come il Giappone della Guerra Fredda che trasformava le proprie rendite geopolitiche in
rendite economiche protezioniste. Quel modello non ha retto al gaiatsu degli anni Novanta,
quando la pressione esterna ha costretto la struttura economica giapponese all‟apertura,
all‟internazionalizzazione e al fair play economico.
La struttura politico istituzionale, costituita da equilibri consolidati e spinte alla conservazione,
determinate dal mutuo sostenersi della burocrazia, del partito dominante e dal “complesso
economico e industriale” dei keiretsu, ha notevolmente rallentato le riforme strutturali e ha
condotto al “decennio perduto” degli anni Novanta. Solo dal 1998 in poi, sono state
intraprese vere e proprie riforme strutturali che hanno inaugurato un periodo di fluidità
politica che dura ancora oggi.
Questo periodo di riforme ha avuto un impatto molto significativo sul panorama economico
e politico giapponese. In questa sede ho cercato di sottolineare come l‟interazione tra
pressione esterna e riforme interne abbia avuto un impatto decisivo sulla struttura economica
ed in particolare sui gradi keireitsu che hanno perso la loro coesione e la loro capacità di agire
come attori unitari. La destrutturazione delle “Big Six” e l‟ibridazione della network economy
giapponese hanno cambiato in modo decisivo la costellazione degli interessi economici e, di
conseguenza, parte del lato dell‟input del sistema politico. In particolare, il cleavadge tra attori
favorevoli all‟apertura e attori interessati alla protezione ha contribuito allo sgretolarsi del
sistema di potere del Partito Liberal Democratico, ormai incapace di prevenire i conflitti
distributivi tra vincitori e vinti della globalizzazione.
32
La storica vittoria di Hatoyama e del Partito Democratico del Giappone del 2009 può essere
interpretata come il segno di una crisi ma anche come un primo passo di una ripresa.
Sicuramente è il segno inequivocabile della crisi del LPD che ha perso la sua funzione di
partito dominante, palesando l‟incapacità di neutralizzare la contraddizione tra la protezione
delle constituencies tradizionali e necessità di riforme strutturali.
La vittoria del Partito Democratico di Hatoyama è il segno evidente della fine del sistema del
1955. La rinnovata competizione politica è stata favorita dalla riconfigurazione del panorama
economico dalla crescente competizione per l‟appoggio dei gruppi industriali. La
destrutturazione dei sei grandi cluster industriali e la rinnovata competizione per l‟influenza
hanno contribuito, infatti, alla maggiore apertura e fluidità del sistema politico.
La seconda considerazione finale è di ordine teorico-generale. L‟analisi del caso giapponese
alla luce del paradigma proposto da Peter Hall e David Soskice conduce ad una riflessione
riguardante l‟elevato grado di complementarietà tra le diverse dimensioni dei sistemi politici
ed economici contemporanei.
I sistemi tendenzialmente puri, ovvero quelli più vicini ai tipi ideali di LME e CME, dotati di
maggiore coerenza interna, hanno notevoli vantaggi istituzionali, che a loro volta garantiscono
“ritorni crescenti”. Ciò comporta una notevole difficoltà nel raggiungere equilibri stabili
attraverso l‟ibridazione e la sovrapposizione di elementi diversi. Quando la riforma si riveli
inevitabile come nel caso del Giappone, la rottura di un equilibrio complesso e consolidato
non può che condurre a lunghi periodi di fluidità politica e a disfunzioni di carattere
economico.
Il cambiamento nelle variabili del finanziamento delle imprese (bank-based vs equity based) e
nella corporate governance, conseguenze dirette dell‟apertura del mercato nazionale dei capitali,
possono dare luogo ad un effetto a cascata che giunge fino all‟interazione tra imprese e
sistema politico. L‟apertura ai flussi finanziari transnazionali genera inevitabilmente delle
spinte all‟introduzione di meccanismi di trasparenza e di accountability nelle imprese. Questi
ultimi generano una pressione alla redditività di breve periodo e alla destrutturazione di
legami alternativi al mercato tipici delle network economy.
Questo processo, come evidenziato dal caso giapponese, crea conflitti di natura regolativa e
distributiva. Questi a loro volta, soprattutto in presenza di preesistenti situazioni di fluidità
politica, possono colpire in modo diretto i “triangoli di ferro” costituiti tra partiti al potere,
burocrazia e interessi economici. Alla luce di queste considerazioni emerge la necessità di
analizzare l‟interconnessione tra il cambiamento nella sfera economica e nel sistema politico,
concentrando l‟attenzione sull‟interazione tra sfera macro (istituzionale e politica) e micro
(comportamento e preferenze degli attori politici ed economici). L‟analisi di queste interazioni
33
mette in evidenza la crescente complessità degli “ecosistemi istituzionali”96 che caratterizzano
il capitalismo contemporaneo e apre prospettive di ricerca orientate ad analizzare le
opportunità e le condizioni di costrizione che influenzano il comportamento degli attori
economici nelle loro interazioni col sistema politico.
Peter Hall Daniel Gingerich “Varieties of Capitalism and Institutional Complementarities in the
Macroeconomics. An Empirical Analysis” Op. cit.
96