Dialogo della natura e di un islandese
Transcript
Dialogo della natura e di un islandese
Lisa Pina IV A Italiano Esami 2006 LEOPARDI, DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE Si tratta di una delle Operette Morali di Leopardi. Fu scritta nel maggio del 1824. Questa operetta risalta il pessimismo (antitesi: natura diversa dalla ragione) storico, che passa poi al pessimismo cosmico (la ragione acquista un valore positivo, la natura un attributo negativo teoria del piacere: piacere vanificato dalla natura). I protagonisti sono un Islandese (popolo poco civilizzato, natura più selvaggia, più vicino allo stato di natura) e la Natura (simbolo della grande potenza, figura di donna), che sono antagonisti. Gli uomini si battono per ottenere piaceri ed è questo che causa infelicità. È dunque la società che causa l’infelicità pessimismo storico (società accusata di una corsa affannata di beni per ottenere così la felicità accusa al consumismo di oggi). La storia narra di un uomo (islandese) che fugge nella speranza di trovare un posto dove sentirsi a proprio agio. L’islandese vuole fuggire dalla natura e ha deciso di non rincorrere il piacere cercando di vivere nella tranquillità ma tenendo lontano almeno le sofferenze. Per questo fugge dalla natura che infligge all’uomo le sofferenze. La prima causa di sofferenza non è la natura ma l’uomo stesso (pessimismo di Leopardi rinuncia al piacere) e allora l’islandese decide di isolarsi dalla società. La seconda causa di sofferenza è la natura (freddo dell’inverno e ardore dell’estate). Una terza causa di sofferenza è data dal vulcano e dalle abitazioni che spesso prendevano fuoco. Cercò altri luoghi in cui vivere ma trovava sempre degli aspetti negativi della natura. Altri ostacoli nel suo pellegrinare furono le malattie. Anche gli animali furono un grande ostacolo. La natura risponde se per caso pensasse se lei stessa si preoccupasse proprio di lui e della sua felicità, lei ha altre cose da fare. Dice che se provoca felicità non si accorge, se provoca danno non se ne preoccupa, se estingue la specie umana non se ne accorge visto che l’uomo è un granello rispetto all’intero universo. Al che l’islandese risponde che lui non ha voluto, non ha insistito per vivere sulla terra, ci è stato messo dalla natura. La sua richiesta non è quella di farlo vivere bene, ma perlomeno senza tormenti. Questa risposta la formula mediante una similitudine (invito a casa di un’altra persona). Secondo la natura, la vita è fatta di morte che genera vita (la foglia dell’albero cresce, vive, muore; cade dall’albero, giace sul terreno e da vita a qualcos’altro). L’islandese si chiede questo che scopo abbia. Ma nel frattempo l’autore dà due conclusioni: 1. Arrivano due leoni che sbranano l’islandese (che non trova ciò che cercava e, anzi, trova la morte). I leoni, mangiato l’islandese, vivono per un solo giorno. 2. Arriva un vento fortissimo che seppellì l’islandese e, molti anni dopo, lo ritrovarono sotto forma di mummia e lo trasportarono in un altro museo. In un modo o nell’altro, l’islandese non trova ciò che stava cercando, poiché ciò che trova è la morte. Tutto questo a causa della natura, che è spietata, non perché vuol far del male all’uomo, ma perché a lei non fa alcuna differenza se l’uomo sta bene o male. Secondo l’islandese (e anche Leopardi) l’infelicità è lo star male (punture d’insetti, piogge, terremoti, …): vuole vivere in solitudine, senza offendere nessuno, né essere offeso. È un materialista (pessimismo materialista, non spirituale). La natura infligge all’uomo le sofferenze fisiche. Lo stesso elemento può portare sia benessere che malessere. Il fatto che la natura sembra sia fatta per non far stare in pace l’uomo è pessimismo cosmico. La natura dice che lei agisce facendo un meccanismo, lei crea per distruggere e distrugge per creare ed è fine a se stessa, all’autoconservazione della materia e basta. Fa del bene o del male: non se n’accorge perché la sua intenzione non è la felicità degli uomini e delle altre creature concenzione meccanicistica della natura e concezione finalistica dell’uomo non c’è nessun senso dell’esistenza. Leopardi legittima dunque il suicidio.