Pareggio di bilancio: le ricadute (o le implicazioni) sui Comuni e sul

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Pareggio di bilancio: le ricadute (o le implicazioni) sui Comuni e sul
PAREGGIO DI BILANCIO:
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LE RICADUTE (O LE IMPLICAZIONI) SUI COMUNI E SUL SISTEMA SANITARIO
di
Ettore Jorio
(Professore di Diritto amministrativo sanitario
e di Diritto civile della sanità e del sociale
Università della Calabria)
16 maggio 2012
Sommario: 1. Il principio costituzionale del pareggio di bilancio: alcune considerazioni
preliminari; 2. Il problematico rapporto con il federalismo fiscale; 3. Le possibili ricadute sul
sistema autonomistico e sanitario: l’esame del testo e qualche idea; 3.1 Cosa c’è di nuovo
nella Costituzione; 3.2 Principi costituzionali nuovi e vecchi problemi (soprattutto) dei
Comuni (ma non solo); 3.3 Principi costituzionali nuovi e vecchi problemi della sanità; 3.4
Principi costituzionali nuovi, federalismo fiscale e debito pregresso (soprattutto della sanità);
4. Concludendo.
1. Il principio costituzionale del pareggio di bilancio: alcune considerazioni preliminari
La Costituzione è stata appena riscritta nella parte in cui vengono ridisegnati la struttura e il
funzionamento dell’economia e della finanza pubblica nonché la formazione del bilancio,
intesi a definire le regole di contenimento delle politiche economiche pubbliche in perfetta
armonia con gli impegni assunti in sede comunitaria, propedeutici al rientro nei parametri
*
Articolo sottoposto a referaggio.
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convenuti deficit/Pil e debito pubblico/Pil.1 Ciò è avvenuto con l’introduzione del principio
del pareggio di bilancio sulla base della previsione costituzionale che sancisce un preciso
obbligo di “risultato” in tal senso e il rispetto del vincolo di equilibrio economico del bilancio
da parte dello Stato e delle altre istituzioni sub-statali, componenti la Repubblica a mente
dell’art. 114 della Costituzione. In riferimento a queste ultime, il legislatore di revisione ha
posto, altresì, a loro carico l’esplicito obbligo di diretta osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall’ordinamento UE e, con esso, quello di assicurare la sostenibilità del
debito pubblico complessivo, elevando così a principio costituzionale il concorso del sistema
autonomistico agli adempimenti comunitari.2
Questo è quanto sancito con la legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 (pubblicata nella
G.U. n. 95 del 23 aprile 2012), che ha modificato quattro articoli fondamentali della Carta allo
scopo di imporre il pareggio di bilancio pubblico (deformalizzato dal legislatore domestico in
equilibrio tra entrate e spese pubbliche)3, tanto da tradurlo in un (quasi) obbligo giuridico da
rispettare - piuttosto che in una “aspettativa” da soddisfare, per come ordinariamente ritenuto
dalla più comune cultura - ovvero in un obiettivo di politica economica, così come
considerato da autorevole dottrina ma anche dal legislatore, ancorché implicitamente.4
Quest’ultimo ha, infatti, previsto e diffuso, da tempo, apposite premialità in tal senso, da
ritenersi tuttavia irragionevoli proprio perché riconosciute in favore dei rappresentanti
istituzionali che avessero, semplicemente, onorato il loro dovere di buona amministrazione,
piuttosto che limitarsi a sancire pesanti sanzioni, anche economiche, a carico di chi si fosse
reso responsabile di malagestio, nel caso imponendo loro, così come ha invece recentemente
disposto l’ottavo decreto del federalismo fiscale (d.lgs. 149/11), la interdizione decennale
dalle cariche elettive o, comunque, di gestione della res publica.5
Considerare l’introduzione dell’anzidetto principio di pareggio di bilancio una novità
assoluta e una esigenza vitale - quasi come siffatto evento legislativo non fosse più
prorogabile per scongiurare il protrarsi dell’indebitamento progressivo -, non è perciò
1
Bilancia F., Note critiche sul c.d. “pareggio di bilancio”, rivista telematica dell’Associazione Italiana dei
Costituzionalisti, n. 2, 2012 e anche in Rivista trimestrale di diritto tributario, 2012; Di Pillo L., Il pareggio di
bilancio è in Costituzione, IlSole24Ore, 18 aprile 2012.
2
Rapicavoli C., La riforma costituzionale sul pareggio di bilancio: prevista l’approvazione finale oggi 17
aprile, www.lagazzettadeglientilocali.it, 17 aprile 2012.
3
Dickmann R., Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione,
www.federalismi.it, 15 febbraio 2012.
4
Per una interessante disamina sul tema Di Maria R., Aspettando la costituzionalizzazione del principio del
“pareggio di bilancio”: brevi considerazioni sulla natura giuridico-economica del medesimo e rilievo di alcune
questioni (ancora) aperte sulla sua potenziale ricaduta, a livello sia interno sia sovranazionale, in Forum dei
Quaderni Costituzionali, 2012.
5
Jorio E., Il debito delle autonomie territoriali e il federalismo fiscale, www.astrid.eu, n. 19, 2011.
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condivisibile del tutto, tenuto conto della già esistenza di un tale obbligo in capo alla pubblica
amministrazione, dal momento che alla stessa è da sempre imposto l’obbligo costituzionale,
previsto nell’ultimo comma del previgente art. 81, di indicare la copertura finanziaria delle
nuove o maggiori spese, ovverosia le risorse per farvi fronte. Una conclusione, questa, cui è
anche pervenuta la Consulta che, ancorché negando ripetutamente che esso articolo avesse
costituzionalizzato il principio di pareggio di bilancio, ha più volte avuto modo di sottolineare
come lo stesso avesse, comunque, insediato nell’ordinamento l’altrettanto valido principio del
tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci pubblici.6 Una norma di tutela, questa, rimasta
tuttavia teorica a causa del perdurante difetto di attuazione della prescrizione costituzionale e
degli “accorgimenti”, più o meno legittimi, messi frequentemente in atto, sia sotto il profilo
normativo che amministrativo, per eluderne la portata.7
Peraltro, con l’approvazione dell’anzidetta legge costituzionale, il Parlamento ha compiuto
un importante passo in avanti, soprattutto in termini di impegno politico nazionale,
dimostrativo della concreta volontà di perseguire un pronto avvio del
processo di
coordinamento e di governance nell’Unione economica e monetaria, preteso a livello
comunitario.
Sul piano interno, l’intervenuta revisione costituzionale succede, con una non trascurabile
coerenza, all’introduzione del federalismo fiscale, confermando, sostanzialmente, lo schema
individuato nell’art. 119 Cost. dalla revisione costituzionale del 2001 e, quindi, anche della
legge di delegazione 42/09 e dei suoi nove decreti di attuazione (dei quali l’ultimo,
riguardante Roma capitale, è stato approvato dall’attuale Governo). Tra i decreti delegati è da
ritenersi particolarmente incisivo, per il conseguimento del neo-obiettivo costituzionale, il
decreto delegato n. 118/2011, normativamente sinergico, quanto ad armonizzazione dei conti
pubblici, con il decreto attuativo n. 91 del 31 maggio 2011, applicativo della legge di
delegazione n. 196 del 31 dicembre 2009, concernente l’adeguamento e il coordinamento dei
sistemi contabili della macchina pubblica diversa da quella territoriale.
La recente riscrittura della Costituzione non ha tuttavia affievolito - nella parte afferente gli
obblighi conseguenti in capo a tutte le istituzioni pubbliche in materia di governo della spesa,
6
Pace A., Pareggio di bilancio: qualcosa si può fare, rivista telematica Associazione Italiana dei
Costituzionalisti, n. 3, 2011; Pieroni M. (a cura di), La finanza pubblica nella giurisprudenza costituzionale,
www.cortecostituzionale.it, 2009.
7
Brancasi A., L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della
Costituzione, in Forum Quaderni costituzionali, 10 gennaio 2012, in www.astrid.eu, 23 aprile 2012; Alfano G.,
L’art. 81 della Costituzione e la ‘legge finanziaria’. Sistematica disapplicazione della norma da parte dei suoi
naturali destinatari, Forum dei Quaderni Costituzionali, 20 novembre 2008.
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sì da generare un virtuoso equilibrio con le entrate disponibili - il diffuso dubbio sulla
capacità dell’Italia a pareggiare il bilancio di esercizio sin dal 2013, così come preteso e
convenuto con l’UE8. Al riguardo, anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) si è
dichiarato scettico, tanto da presumere il conseguimento del detto risultato non prima del
2017.
Intanto, l’obbligo di equilibrio di bilancio è stato formalmente insediato nella Costituzione, a
seguito dell’approvazione definitiva intervenuta al Senato, nella serata del 17 aprile scorso,
con una maggioranza parlamentare superiore ai due terzi9, che esclude, pertanto, il ricorso al
referendum confermativo, così com’è, invece, avvenuto con la revisione del 2001.
Le modifiche introdotte (artt. 1-4), che - si badi bene - entreranno in vigore dal 2014, hanno
riguardato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione.
Con un quinto precetto (art. 5) il legislatore di revisione ha fornito, poi, una precisa
indicazione di contenuto per la legge attuativa, da approvarsi entro il 28 febbraio del prossimo
anno, alla quale l’ultimo comma del novellato art. 81 ha affidato il compito di fissare le norme
fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la
sostenibilità del debito della pubblica amministrazione nel suo complesso. Una norma, quella
dell’art. 5, dal contenuto difficilmente riassumibile, tanto è ricca di prescrizioni primarie e
indispensabili per il perseguimento dell’obiettivo costituzionale di “pareggio di bilancio”
esteso a tutte le pubbliche amministrazioni, protagoniste attive della formazione dei conti
pubblici nella loro interezza.
Le indicazioni e le previsioni in essa recate sono sostanzialmente tassative, tanto da fare
legittimamente supporre, considerata la loro analitica individuazione da parte del legislatore
di revisione costituzionale, di trovarci in presenza di una riserva di legge “rinforzata”, dal
momento che lo stesso non si è limitato a demandare alle Camere (art. 81, c. 6. Cost.)
l’approvazione dell’individuato provvedimento legislativo di regolazione della materia - da
deliberarsi a maggioranza assoluta dei componenti di ciascun ramo del Parlamento - bensì ha
ritenuto di circoscrivere la discrezionalità del legislatore ordinario medesimo, imponendogli
non solo gli obiettivi da perseguire, ma anche prescrizioni, vincoli e limiti ben definiti.
Più precisamente, sono state rimesse a siffatta legge ordinaria (art. 5):
-
l’istituzione di percorsi di verifica, preventiva e consuntiva, volti a monitorare
costantemente gli andamenti della finanza pubblica (c. 1, lettera a);
8
Il nostro è il terzo Stato, dopo la Germania e la Spagna, ad avere ossequiato costituzionalmente ad una delle
primarie prescrizioni del c.d. Fiscal Compact.
9
La quarta e ultima votazione a palazzo Madama si è conclusa con la votazione di 235 si (Pdl, Pd e Terzo polo),
11 no (Coesione nazionale-Grande sud) e 34 astenuti (Lega nord e Idv).
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-
l’individuazione delle cause generatrici di eventuali scostamenti dei conti rispetto a
quelli previsionali, distinte tra naturali e, quindi, “incolpevoli” (rectius, afferenti il
normale andamento del ciclo economico), “colpevoli” (rectius, per inefficacia degli
interventi) ed eccezionali (c. 1, lettera b);
-
la fissazione di un limite massimo degli scostamenti negativi cumulati, corretto con
l’ordinario ciclo monetario rispetto al Pil, al cui esubero dovrà verosimilmente
provvedersi con una immediata manovra finanziaria correttiva, ovviamente da
elaborarsi a cura del Governo, in quel momento in carica, e da approvarsi in
Parlamento (c.1, lettera c);
-
la definizione delle “gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi
calamità naturali”, categorizzabili come eventi eccezionali, dai quali far dipendere un
eventuale ricorso all’indebitamento illimitato, sulla base però di uno specifico piano di
rientro (c. 1, lettera d);
-
la codificazione delle regole sulla spesa indispensabili per salvaguardare gli equilibri
di bilancio e la riduzione, ancorché nel lungo periodo, del rapporto debito
pubblico/Pil, da individuarsi in ovvia coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica (c.
1, lettera e);
-
la costituzione, presso le Camere, di un organismo autonomo e indipendente (una sorta
di nuova authority)10 cui attribuire l’esercizio attivo di “compiti di analisi e verifica
degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di
bilancio” (c. 1, lettera f);
-
la determinazione delle modalità attraverso le quali lo Stato, in condizioni
emergenziali avverse, anche derogando alle prescrizioni costituzionali sancite nell’art.
119, debba concorrere “ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di
governo”, necessario per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni
fondamentali inerenti i diritti civili e sociali (c. 1, lettera g);
-
la specificazione del contenuto della legge di bilancio dello Stato (c. 2, lettera a);
-
la previsione della facoltà degli enti territoriali di ricorrere all’indebitamento, per
come revisionato dal novellato art. 119 Cost. (c. 2, lettera b), e delle modalità
10
Turno R., Pareggio di bilancio, l’Authority “bocciata” dalla Corte dei Conti, IlSole24Ore, 26 aprile 2012, in
tale articolo viene sottolineato il dissenso esplicitamente rappresentato dal Magistrato contabile, dal momento
che tale organismo verrebbe a sovrapporsi “con le competenze della Corte dei Conti, quale giudice di legittimità
e del buon governo delle risorse pubbliche”. Al riguardo, occorre precisare che anche gli organismi Ue avevano
preteso, allo scopo di evitare le particolari indulgenze proprie della maggioranza nei confronti del governo che la
medesima esprime, la terzietà dell’organo di controllo che, pare, non garantita dall’attuale lettera legislativa.
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attraverso le quali i medesimi debbano concorrere alla sostenibilità del debito pubblico
(c. 2, lettera c).
2. Il problematico rapporto con il federalismo fiscale
A ben vedere, ci sarà un bel da farsi nel dare attuazione al nuovo dettato costituzionale
proseguendo, nel contempo, a dare attuazione al federalismo fiscale, ancora orfano di circa
ottanta provvedimenti amministrativi e/o regolamentari, per garantire: a) agli organismi
comunitari l’assoluto rispetto delle prescrizioni formalizzate; b) al Paese, nella sua interezza,
l’inversione della tendenza in atto da oltre un ventennio di una politica del debito pubblico
volta prevalentemente al fine di conseguire il successo elettorale; c) alla collettività le
funzioni fondamentali del sistema autonomistico e le prestazioni afferenti i diritti sociali, da
doversi rendere uniformemente ai cittadini su tutto il territorio nazionale. Tutto ciò anche
tenuto conto del recente “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance
nell’Unione economica e monetaria”, meglio conosciuto come Fiscal Compact, sottoscritto il
2 marzo scorso, seppure al di fuori degli ordinari canoni procedurali in essere a livello
comunitario.11
Dunque, ci sarà bisogno di un impegno normativo e burocratico non di poco conto per attuare
compiutamente quanto appena formalizzato ai diversi livelli legislativi per adempiere
puntualmente a tutti gli impegni assunti a vario titolo e per assicurare al Paese la tranquillità
che merita e alla istituzione comunitaria una maggiore conformità con le economie più solide
dei partner europei. Un percorso disseminato di ostacoli politico-burocratici ma anche messo
in forse da alcune incertezze interpretative che il modificato dettato costituzionale pare
suggerire.
Una critica, generalmente mossa alla novella costituzionale, sembra essere quella di limitare
sensibilmente l’autonomia finanziaria delle Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni,
dal momento che - con l’elevazione a principio costituzionale del rispetto del “pareggio di
bilancio” e del concorso all’osservanza dei vincoli economico-finanziari imposti dall’UE verrebbe impedito ai medesimi il naturale e libero esercizio di quanto sancito nel vigente art.
119 Cost., al netto delle anzidette integrazioni insediate nel comma primo dello stesso. Si
rileva che la intervenuta revisione metterebbe a rischio tutta l’impalcatura dell’introdotto
11
Esaustivamente centrali sull’argomento: Morgante D., Note in tema di ‘Fiscal Compact’, www.federalismi.it,
n. 7, 2012; Nugnes F., Il Fiscal Compact. Prime riflessioni su un accordo ricognitivo, in Forum Quaderni
Costituzionali, 2012.
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federalismo fiscale che rintraccia la sua ragione d’essere nella esaltazione dell’autonomia
degli enti territoriali e nella loro diretta responsabilità nella gestione delle risorse economiche.
Al riguardo, è appena il caso di precisare una qualche interpretazione “difensiva”, resa anche
facile dalla obiettiva constatazione che se vi fosse stata una volontà in tal senso del legislatore
di revisione - in quanto tale demolitiva dell’introdotto federalismo fiscale - il medesimo
avrebbe ben potuto intervenire incisivamente sulla lettera dell’art. 119 Cost., sì da cancellare
ogni traccia di quanto, invece, lasciato residuare in termini di autonomia finanziaria, di
attribuzione di risorse, di riferibilità impositiva al territorio e, infine, di perequazione
finalizzata a dare certezza all’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite al sistema
autonomistico.
L’esteso obbligo di equilibrio di bilancio in capo a quest’ultimo non appare, invero, che
possa considerarsi invasivo e/o limitativo dell’autonomia di entrata e di spesa riservata agli
enti territoriali dal primo comma dell’art. 119 Cost. Siffatto vincolo viene, infatti, a riferirsi –
seppure diretto ai singoli enti territoriali che lo compongono – a Regioni, Città metropolitane,
Province e Comuni in quanto componenti essenziali del sistema autonomistico, ovverosia al
“complesso delle pubbliche amministrazioni”, cui il novellato art. 81 riferisce la disciplina
attuativa finalizzata ad assicurare l’equilibrio corrente dei bilanci e la sostenibilità del debito
consolidato. Con ciò si vuole pervenire esclusivamente ad una oculata gestione delle risorse
impegnate nel loro ciclo economico e, quindi, assicurare un costruttivo contributo al pareggio
di “bilancio della Repubblica”. Dunque, non una limitazione dell’autonomia finanziaria delle
entrate e delle spese, bensì una sua esaltazione da esercitarsi, com’è naturale che sia, nel
naturale rispetto dei vincoli economici e finanziari comunitari.
Allo stesso modo la novella lettera della Carta non appare essere invasiva, più di quanto lo
fosse la preesistente revisione costituzionale del 2001, dell’autonomia delle Regioni, nella
parte in cui rimette in capo alla competenza esclusiva dello Stato la determinazione delle
esigenze complessive delle politiche di bilancio in funzione del ciclo economico, atteso che
esso viene esplicitamente individuato quale unico responsabile del governo delle politiche
economiche anticicliche.12 Del resto, la loro autonomia è ampiamente ribadita nel novellato
testo costituzionale allorquando viene: a) sancita la loro diretta “partecipazione” al debito
pubblico complessivo; b) attribuita l’autonoma scelta di ricorrere all’indebitamento per
investimenti, nonché l’altrettanto autonomo obbligo di predisposizione dei piani di
ammortamento relativi, con l’unico limite che venga comunque assicurato l’equilibrio
12
Rapicavoli C., op. cit., www.lagazzettadeglientilocali.it, 17 aprile 2012.
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complessivo dell’aggregato regionale, ovverosia anche degli enti facenti capo alla medesima
Regione; c) imposto il loro ineludibile concorso all’osservanza dei vincoli economici e
finanziari imposti dall’Unione europea.
3. Le possibili ricadute sul sistema autonomistico e sanitario: l’esame del testo e
qualche idea
Ciò premesso, emerge l’importanza di esaminare nel dettaglio, senza presunzione alcuna, il
sopravvenuto dettato costituzionale, soprattutto in relazione alla condizione economicofinanziaria obiettivamente vissuta dal sistema autonomistico e dalla organizzazione della
salute, anche alla luce del federalismo fiscale, oramai all’esordio. Ciò in quanto esso
influenzerà, e non poco, gli esiti del futuro welfare assistenziale, posto direttamente a carico
di Regioni e Comuni, ancorché assistito dalla copertura garantita dalla perequazione.
Proprio per questo motivo si rende necessario analizzare con le dovute cautele – tenuto conto
dell’estemporanea lettura degli appena novellati testi costituzionali - le possibili ricadute che
le intervenute modifiche della Carta faranno registrare nella filiera degli enti territoriali e nel
sistema della salute in termini di conduzione economica e, quanto alla sanità, anche di
appropriatezza dell’intervento salutare. Più esattamente, necessiterà ben comprendere il peso
che una siffatta neointrodotta disciplina avrà soprattutto sull’esercizio delle funzioni
fondamentali assegnate ai Comuni nonché sulla tutela della salute. Quanto a quest’ultima
occorrerà ben comprendere quanto peserà sull’equilibrio del bilancio pubblico la sanità
effettivamente goduta rispetto a quella costituzionalmente dovuta, notoriamente asimmetrica
sul piano territoriale sia in termini di qualità di erogazione che di costi sopportati. Una
ponderazione, quest’ultima, che sarà necessaria, dal momento che da una sua corretta
preventiva determinazione dipenderà l’approccio del legislatore ordinario, chiamato ad attuare
il neointrodotto principio costituzionale di “pareggio di bilancio” in relazione all’analogo
principio che pretende, ovunque e comunque, l’esigibilità indiscriminata dei livelli essenziali
di assistenza, estesi anche al sociale.
Intanto, occorre premettere che l’odierna analisi non potrà fare a meno di valutare, altresì,
l’impatto del nuovo dettato costituzionale con il federalismo fiscale applicato, soprattutto in
riferimento alle disponibilità economico-finanziarie reali che si renderanno, di conseguenza,
concretamente disponibili per assicurare i compiti del governo locale e i Lea alle collettività
interessate.
Il migliore modo per farlo, senza tuttavia nutrire alcuna pretesa di esaustività, è quello di
suddividere l’analisi in scansioni argomentative.
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3.1 Cosa c’è di nuovo nella Costituzione.
La neointrodotta disciplina costituzionale impone alle istituzioni componenti la Repubblica
l’equilibrio economico: allo Stato, nei novellati commi dell’art. 81, e alle autonomie
territoriali, in concorso con il primo, con l’integrazione del comma 1 dell’art. 119 Cost. Il
tutto, ovviamente, sancito con l’introdotto obbligo alle pubbliche amministrazioni, nel loro
complesso, di garantire l’equilibrio nei loro bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, così
come previsto nella coeva integrazione dell’art. 97 Cost.
In buona sostanza, la recente revisione costituzionale, in linea con quanto prescritto dagli
organismi comunitari, ribadisce il divieto di indebitamento corrente, salvo preventiva
autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta e in presenza di eventi eccezionali, e
condiziona quello per investimenti alla contestuale definizione di un apposito piano di
ammortamento, nonché al rispetto dell’equilibrio di bilancio, come detto, da parte di tutte le
istituzioni pubbliche, ivi compresa la totalità degli enti facenti capo a ciascuna Regione.
Una prescrizione che comporterà, di conseguenza, una maggiore cura degli enti locali nella
gestione delle loro risorse e delle Regioni, prioritariamente sull’andamento dell’economia
della salute, così come su quello dell’assistenza sociale da doversi erogare in concorso con i
Comuni.
In proposito, desta una qualche preoccupazione il criterio/principio individuato nelle
indicazioni che il legislatore di revisione costituzionale scandisce all’art. 5 in relazione alla
legge da approvarsi, a cura delle Camere a maggioranza assoluta, a mente dell’ultimo comma
del novellato art 81 della Carta. Più esattamente, il criterio/principio desumibile dalla lettura
combinata dei due punti contraddistinti con le lettere d) e g) che sembrerebbe volere togliere
le garanzie di copertura totale, di cui all’art. 119 Cost., seppure in presenza di gravi crisi, delle
spese relative alle funzioni fondamentali degli enti locali e, addirittura, ai livelli essenziali di
assistenza (e non solo).
3.2 Principi costituzionali nuovi e vecchi problemi (soprattutto) dei Comuni (ma non
solo).
Tuttavia, la neodisciplina costituzionale sarà attuata a fatica, a causa di una naturale difficoltà
a rintracciare le migliori regole applicative, garanti del risultato preteso dal legislatore di
revisione, proprio perché finalizzata a determinare la certezza degli equilibri economici del
sistema Repubblica. Infatti, sarà politicamente complicato portare a termine la missione
costituzionale, a cominciare dall’approvazione della legge attuativa, cui è stata rimessa la
corretta applicazione di quanto sancito dal legislatore di revisione, così come saranno
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numerose le resistenze che renderanno difficile a quello ordinario di adempiere puntualmente
al corretto esercizio del suo dovere (da esercitarsi per di più, verosimilmente, in procinto delle
prossime elezioni del 2013) di approvare la suddetta legge.
Ciò accadrà per una serie di motivi, non ultimo quello di evitare di scoperchiare le verità
nascoste nei bilanci degli enti locali, soprattutto dei Comuni (ma anche di Province e
Regioni), avvezzi a celare tra i residui attivi consistenti crediti spesso inesistenti e/o divenuti,
da tempo, inesigibili, principalmente per le intervenute prescrizioni. Ci si riferisce alla
emersione delle appostazioni, quasi sempre fiscali, spesso irragionevoli, via via insediate nei
componenti positivi dei trascorsi esercizi finanziari, che avrà - di certo - una ricaduta
disastrosa in termini di saldi negativi dell’economia pubblica, dal momento che andrà ad
incrementare sensibilmente il debito consolidato e, con esso, ad acuire gli obblighi di rientro
ventennale insiti nel cosiddetto Fiscal Compact, di per sé difficili da sopportare - più di
quanto lo siano oggi con la previsione di ratei annuali di oltre 40/45 miliardi di euro per un
ventennio - nelle attuali condizioni economiche del Paese a secco di crescita. Eppure, bisogna
farlo perché rappresenta un obbligo prescritto dalla legge, imposto dall’Unione Europea e
preteso dai cittadini, ansiosi di conoscere che cosa e quanto saranno tenuti a ripianare
attraverso una angosciosa contrazione delle prestazioni/servizi pubblici e l’intensificazione
dei prelievi fiscali a loro carico.
Tale decisione, nonostante sia difficile da assumere, non è difatti più procrastinabile. Invero,
vi è la necessità - solo che si voglia dare la dovuta contezza reale al tesoro pubblico - di
conseguire la certezza contabile dei saldi debitori del sistema autonomistico, sì da potere
programmare una essenziale bonifica dei loro conti, viziati come sono da iscrizioni non
propriamente legittime e da appostazioni creditizie non veritiere, dimostrative di politiche
trascorse condotte all’insegna della falsità dei bilanci. Un’anomalia nota a tutti, ma messa da
parte irresponsabilmente, tanto da essere fino ad oggi sottaciuta, a causa delle responsabilità
assunte dagli amministratori che si sono succeduti e della determinante complicità assicurata
loro da un ceto dirigenziale, da revisori e da una filiera di consulenti di sovente complici e
succubi, a tal punto da consentire loro di frequentare, impunemente, anche quelle
irragionevoli esperienze sui derivati, emerse quasi ovunque.
L’operazione verità, volente o nolente, è tuttavia già in atto, grazie all’introdotto federalismo
fiscale, più precisamente al decreto legislativo 118/11, recante l’armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali e dei loro organismi, attuativo della
legge 42/09. A tale provvedimento delegato ha, invero, fatto seguito - allo scopo di pervenire
ad una proficua fase di sperimentazione anticipata della sua applicazione, per come previsto
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nel Titolo III, più esattamente nell’art. 36, intesa ad individuare le criticità economiche del
sistema - l’emanazione di appositi d.P.C.M. finalizzati, tra l’altro, a definire modalità, tempi e
strumenti applicativi. Un appuntamento istituzionale perfezionatosi con l’adozione di due
coevi d.P.C.M. del 28 dicembre 2011 (G.U. n. 285 del 31 dicembre 2011) con i quali sono
stati, rispettivamente, individuate le amministrazioni territoriali, sottoposte alla fase di
sperimentazione, e i rispettivi schemi di bilancio da adottare da parte di Regioni, enti locali e
loro organismi nonché i termini tecnici e i relativi contenuti della sperimentazione in senso
stretto. Un percorso utile per rodare la capacità del sistema autonomistico di assorbire le
novità introdotte e fare proprie le nuove regole, intese a insediare la contabilità economica
nella pubblica amministrazione sub-statale.
Gli esiti dell’anzidetta sperimentazione, se condotta a termine correttamente, metteranno in
luce non poche passate e impunite “magagne”, soprattutto a seguito della procedura di
riaccertamento dei residui (per come scandita nell’art. 14 del relativo d.P.C.M.). Un risultato,
questo, che influenzerà positivamente quella cultura amministrativa che ha fino ad oggi
inciso, negativamente, sulla qualità delle prestazioni delle istituzioni locali (ma anche di
quelle regionali) all’insegna del privilegiare le bugie comode rispetto alle verità difficili,
connivente uno Stato non molto propenso ad affrontare l’enorme problema che, prima o poi
(ormai
prossimo
alla
scadenza),
sarebbe
venuto
fuori,
ovverosia
l’emersione
dell’indebitamento nascosto.
Di qui a poco, quindi, comincerà ad emergere, verosimilmente, il debito tenuto nascosto con
grande (forse troppo) naturalezza nel succedersi degli amministratori che si sono avvicendati
alla guida degli enti locali (ma anche regionali), da sempre “correi” nel celare le verità
economiche pubbliche nel loro complesso. Un debito, d’altronde, non obiettivamente
determinabile, fino a ieri, per la mancanza assoluta di un qualsivoglia strumento idoneo a
determinarlo, ma anche per un tacito accordo della politica in senso lato, divenuta artatamente
tollerante sul tema.13 Una soluzione in tal senso, intesa a stabilire una linea di demarcazione
tra ciò che era e che si è fatto e ciò che si farà, è stata fissata invece dal d.lgs. 149/11 recante
le sanzioni e le premialità a carico e in favore di Regioni, Province e Comuni, non ancora
però applicato a causa dei ritardi accumulati nell’approvare i decreti ministeriali di
individuazione degli schema-tipo delle previste relazioni di fine mandato per Comuni e
Province (per le Regioni di fine legislatura).
13
Jorio E., Il debito delle autonomie territoriali e il federalismo fiscale, www.astrid.eu, n. 19, 2011.
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11
Al riguardo, occorre pervenire ad una soluzione concreta. Oltre a sollecitare l’adozione dei
detti provvedimenti da parte del Ministro degli Interni per l’approvazione degli schemi di
relazione, una misura da prendere potrebbe essere quella di imporre legislativamente ai
sindaci in carica, a cominciare da quelli recentemente eletti, un obiettivo “punto d’inizio” del
loro mandato, ovverosia di demarcare le responsabilità, economiche e non solo, del vecchio
sindaco “uscito” da quelle del primo cittadino “subentrato”, nei confronti delle quali
quest’ultimo dovrà misurasi, democraticamente, al termine della sua gestione.14 Una esigenza,
questa, da dovere ineludibilmente soddisfare attraverso la corretta redazione di una relazione
di inizio mandato - certificata dagli organi di controllo interno - cui fare riferimento
comparativo per tutta la durata dell’incarico sindacale. Un modo concretamente utile per
monitorare, efficacemente e costantemente, l’andamento dei conti caratteristici e, di
conseguenza, valutare la correttezza delle politiche comunali, sì da scoraggiare e/o impedire
sul nascere ogni “evasione” dalle regole della trasparenza e della buona amministrazione ed
anche per non incorrere negli oramai frequenti dissesti e, quindi, nelle responsabilità
sanzionate dal d.lgs. 149/11 con il fallimento politico, comportante la ineleggibilità decennale
a tutte le cariche elettive.15
3.3 Principi costituzionali nuovi e vecchi problemi della sanità.
Il nuovo dettato costituzionale, ovviamente, influenzerà sensibilmente l’organizzazione della
salute. Di conseguenza, verrà richiesto al legislatore ordinario un grande sforzo, soprattutto
quello di immaginare, prima, e di codificare, poi, una soluzione organizzativo-gestionale
diversa da quella attuale, che è stata causa di disservizi, di una consistente disparità erogativoassistenziale e di un indebitamento irresponsabile, direttamente gravanti sui cittadini deboli,
intendendo per tali soprattutto quelli residenti in quelle aree del centro-sud che, a fatica,
hanno percepito sino ad oggi la presenza di un’autorità pubblica efficiente, che si rendesse
garante delle prestazioni essenziali afferenti i diritti sociali16. Un handicap che ha reso
difficile la corretta percezione dell’assistenza ad una platea sociale molto allargata, di circa
trenta milioni di cittadini, alla quale occorrerebbe fornire, invece, il più tempestivamente
possibile, delle risposte in termini di esigibilità dei diritti sociali. Occorre, insomma, riformare
14
Jorio E., La relazione di inizio mandato è facoltativa ma necessaria (… anche in relazione ai nuovi poteri di
controllo attribuiti all’Eurostat), www.astrid.eu, n.8, 2012; anche su I Comuni d’Italia, Rimini, n. 2, 2012.
15
Jorio E., Così si rischia di morire di rating, www.astrid.eu, n. 4, 2012.
16
Zorzi Giustiniani A., Federalismo e fisco. Lineamenti di una sintesi, e Jorio E., Il finanziamento delle
prestazioni sociali e sanitarie, entrambi in Palermo F. e Nicolini M. (a cura di), Federalismo fiscale in Europa.
Esperienze straniere e spunti per il caso italiano, Roma, 2012, che riporta il contenuto di due interventi svolti al
Convegno internazionale tenutosi a Verona nel giugno 2010.
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strutturalmente il sistema della salute divenuto oramai obsoleto e improduttivo nonché
generativo di ingenti danni all’economia pubblica, attesa l’insostenibilità dei costi di cui
necessita per il suo funzionamento.
La sanità impostata sulla aziendalizzazione ha, infatti, fallito. Lo ha fatto su entrambi i livelli
di sua stretta competenza:
a) sui conti che, dal 2001, hanno raggiunto buchi da record, che - al netto di interventi
agevolativi statali di 12,1 miliardi (di cui 3 Mld “a fondo perduto” e 9,1 Mld a mutuo
trentennale) - rendicontano, a residuo, ulteriori debiti che, ad essere ottimisti,
oltrepassano i 35 miliardi di euro. Una situazione non affatto migliorata a seguito dei
“piani di rientro”, cui sono oramai sottoposte (con tendenza alla crescita) dieci
Regioni italiane, delle quali cinque commissariate, che esprimono una soglia
inaccettabile di prestazioni destinata a circa la metà degli abitanti del Paese.17 Del
resto, che la sanità aziendalizzata non avesse dato i risultati sperati lo si sapeva da
tanto, dal momento che una gran parte del debito pubblico consolidato è dovuta alla
reiterata copertura dei dissesti da essa generati in un trentennio di storia, caratterizzata
e aggravata da malfunzionamenti sistematici e da ruberie seriali;
b) sulla qualità delle prestazioni e dei servizi non resi uniformemente e, quindi, sulla
difficoltà cronica di individuare e applicare la giusta formula per garantire
quell’appropriatezza della quale si va, da sempre, alla ricerca. Una condizione
necessaria, quella di assicurare la massima appropriatezza, in quanto strettamente
connessa anche a garantire una buona amministrazione, posta come condizione
primaria dall’attuale ministro della salute, sensibile ai Lea e alla loro corretta e
indiscriminata esigibilità da parte dei cittadini.18
Certo è che la soluzione non si presenta facile a rintracciarsi, anche perché è da tempo che ci
si gira intorno senza approdare ad alcunché, arrivando persino a prendere in considerazione,
da parte di alcuni, il ritorno all’organizzazione di tipo mutualistico, magari nella versione
corretta di quanto è vigente in Germania, che sembra coniugare il contenimento dei costi con
una dignitosa esigibilità delle prestazioni salutari da parte dei cittadini, attraverso una rete
assicurativa partecipata anche dalla organizzazione pubblica (l’Aok).
Una soluzione, alternativa, potrebbe essere rintracciata nell’agenzificazione del sistema,
fondata su agenzie regionali competenti per la parte corrente, escludendo così la gestione del
17
Jorio E., I (quasi) flop del piani di rientro: un ulteriore problema per la sanità e per l’esordio del federalismo
fiscale, atti VIII Convegno nazionale di diritto sanitario, Alessandria 19 novembre 2010, anticipato in
www.astrid.eu, 6 dicembre 2010.
18
Jorio E., La sanità che ci vorrebbe, www.astrid.eu, n. 17, 2011.
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13
debito pubblico da accentrarsi esclusivamente in capo ad una apposita agenzia nazionale. Una
esigenza non più rinviabile, attesi i disastri e le commistioni che l’attuale gestione promiscua,
del vecchio e del nuovo, sta determinando nell’universo regionale, soventemente non più
garante dei diritti costituzionali afferenti la tutela della salute.
3.4 Principi costituzionali nuovi, federalismo fiscale e debito pregresso (soprattutto
della sanità).
Un altro problema dell’attuale sistema, già di per sé debole sul piano economico-finanziario
- una condizione, questa, che sarà acuita dalla recente revisione della Costituzione, atteso che
comporterà non poche restrizioni alle eccessive “libertà” fino ad oggi godute dai sistemi
regionali in senso lato, che hanno determinato una situazione debitoria in progressione
geometrica e insostenibile -, riguarderà l’ingresso a regime del federalismo fiscale e, con
esso, la preventiva determinazione dei costi standard, fino ad oggi irragionevolmente
disattesa. Un evento a rischio di risultato, a causa di una riscrittura costituzionale (art. 117, c.
2, lett. e, e art. 119) che, per alcuni versi, ne ha indebolito la portata normativa relativa, quasi
a volere dimostrare un non eccessivo entusiasmo dell’attuale Governo di attuare il
federalismo fiscale, ovverosia ad eleggerlo, quantomeno nella sua attuale formula legislativa,
a baluardo del rinnovato sistema di finanza pubblica.
Invero, con l’armonizzazione dei bilanci pubblici divenuta, con la riscrittura dell’art. 117
Cost., materia esclusiva della potestà statale, verrà interdetta alle Regioni la possibilità di
legiferare nel dettaglio nella materia caratteristica, ma anche di poterla regolamentare (salvo
delega dallo Stato), sì da ottimizzare l’attuazione degli obblighi di contabilità pubblica
rispetto alle esigenze-risorse organizzative proprie, in relazione ai territori e alle collettività di
loro competenza.
Con questo, se - da una parte - lo Stato vedrà estesa la sua competenza anche alla normativa
di dettaglio - dall’altra - si correrà il verosimile rischio di omogeneizzare, seppure per
eccessiva sintesi, non solo le procedure ma anche l’intero sistema, sì da non renderlo capace
di perseguire, attraverso prescrizioni di dettaglio, i “particolari” obiettivi di risanamento, oggi
molto differenziati tra loro per entità e modalità gestionali. Insomma, così facendo, per un
versante, viene a superarsi il limite rappresentato dal c.d. “federalismo contabile”, che ha
consentito a chiunque di seguire le proprie regole per “tradurre” i conti in relazione alle
proprie esigenze politiche, per un altro, invece, si impedisce alle Regioni di ricorrere a
modalità procedurali aggiuntive, funzionali a perseguire i risultati economici tanto
diversificati a causa dei differenti saldi di partenza. Un problema, questo, che solo una attenta
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legislazione/regolamentazione regionale di dettaglio potrebbe garantire sul piano strettamente
organizzativo.
Ad un tale problema è, infatti, naturalmente connesso quello del debito pubblico, oltre a
quello riguardante la mancata perequazione infrastrutturale che costituisce un altro
fondamentale handicap senza la cui soluzione nessuna sanità appropriata potrà realizzarsi
nelle aree del Mezzogiorno. Al peso del debito pubblico dovrà, pertanto, darsi una risposta peraltro pretesa a livello comunitario - che renda compatibile un esercizio corrente, idoneo ad
assicurare i Lea alla popolazione, con il ripianamento dell’ingente posizione debitoria
nazionale, oggetto di attenzione dell’UE e di aggressiva speculazione esercitata dal mercato
che, rispettivamente, sanzionano e penalizzano.
L’oramai vigente patto di bilancio – condiviso, come detto, da 25 Paesi aderenti all’UE con il
perfezionamento del cosiddetto Fiscal Compact - comporterà obblighi in tema di rientro del
debito pubblico consolidato, oramai fuori limite (123%), di gestione dell’ordinario e di
sistema dei controlli. Tre limiti che riassumono i deficit organizzativi più evidenti della sanità
e di tutto il sistema autonomistico, carente di risorse a tal punto da non potere assicurare
neppure l’esercizio delle funzioni fondamentali.
Quanto alla sanità si renderà necessaria - come detto - una radicale separazione della gestione
corrente da quella del debito pregresso, da destinare, eventualmente, alla gestione
straordinaria di una apposta agenzia nazionale, eventualmente articolata su base regionale,
competente alla sola gestione dello stock debitorio pregresso.19 Un modo per evitare l’abituale
e perniciosa confusione delle risorse ordinarie destinate ai Lea con quelle utilizzate, fino ad
oggi, promiscuamente, anche per soddisfare i vecchi creditori.
In relazione ai controlli riferibili a tutto il sistema occorrerà acquisire consapevolezza di
quanto già normato a livello comunitario attraverso i cinque regolamenti e l’apposita direttiva,
adottati nello scorso novembre 2011.20
4. Concludendo.
Su tutto ci sarà bisogno di estendere ai livelli sub-statali, quanto l’attuale Governo sta
programmando e realizzando in termini di spending review riferita alle amministrazioni
centrali dello Stato, delegandone il compito a tre commissari di tutto rispetto: Enrico Bondi,
Giuliano Amato (per quanto riguarda il finanziamento di partiti e sindacati) e Francesco
19
Bottari C., Jorio E., Per una sanità migliore occorre separare il debito dalla gestione ordinaria,
www.astrid.eu, n. 3, 2012.
20
Jorio E., Op. cit., www.astrid.eu, n.8, 2012; anche su I Comuni d’Italia, Rimini, n. 2, 2012.
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15
Giavazzi (in relazione ai contributi alle imprese). Un difficile esercizio di inventariazione
estimativa (prima) e di razionalizzazione (dopo) da perfezionarsi a cura delle autonomie
competenti, sollecitate, in tal senso, nel rispetto della loro autonomia giuridica ed economica.
Nessuno equilibrio economico potrà, infatti, conseguirsi se non a seguito di un primo
intervento moralizzatore che rimedi ai guasti della politica e del suo essere stata protagonista
principale delle sorti del Paese attraverso l’irrinunciabile dimezzamento dei suoi costi,
riconosciuti inammissibili ad ogni latitudine.
Ci sarà bisogno, dunque, anche ad ogni livello decentrato, di una profonda analisi di tutti i
capitoli di spesa di ogni singola struttura pubblica, nell’ambito dei programmi da attuare, per
individuare le voci suscettibili di tagli, evitando così ogni spreco e ogni inefficienza. In
sintesi, occorre che ciascuna istituzione territoriale faccia una analisi di bilancio di tipo
qualitativo, funzionale a controllare l’utilità effettiva della sua spesa pubblica, partendo dalla
sua struttura sino ad arrivare a determinare le diffuse carenze organizzative da colmare.
Un tale necessario adempimento, finalizzato ad ottimizzare la spesa, non potrà che essere
implementato dalla definizione, a livello centrale, degli strumenti valoriali indispensabili per
l’applicazione dell’istituito criterio dei costi/fabbisogni standard, difficili ma non impossibili
da determinare. Una metodologia da estendere a tutti i rami dell’amministrazione pubblica, ivi
compresi quelli ministeriali, ma non solo, atteso il dispendio di economie emerso anche nel
funzionamento delle più prestigiose istituzioni statali.21
Allo stesso modo, considerata l’esigenza improcrastinabile di ripianare il consistente volume
del debito pregresso (arrivato a rendicontare il 123%Pil), dovranno prevedersi apposite
imposte patrimoniali ad hoc da individuarsi, nel breve periodo, unitamente ad una sana
dismissione di una consistente parte del tesoro immobiliare e mobiliare pubblico,
salvaguardando, ove più possibile, la dismissione dei “gioielli di famiglia”, intendendo per
tali quelle proprietà societarie di significato strategico che costituiscono il fiore all’occhiello
della produzione industriale.
Tutto questo non potrà prescindere dall’individuazione di una nuova filiera dei controlli
pubblici, investendo sulla potenzialità ancora inespressa della Ragioneria Generale dello Stato
21
Butturini D., I livelli essenziali delle prestazioni: problemi di definizione e di finanziamento, in Palermo F. e
Nicolini M. (a cura di), Federalismo fiscale in Europa. Esperienze straniere e spunti per il caso italiano, Roma,
2012, che riporta il contenuto di un intervento svolto al Convegno internazionale tenutosi a Verona nel giugno
2010.
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16
e della Corte dei Conti, artatamente impedite dall’agire di una politica riluttante a sottoporsi
ad un controllo reale del suo operato.22
Rimane naturalmente la necessità di rivedere le regole fondamentali che hanno fino ad oggi
assicurato il “funzionamento” nel tempo della macchina pubblica, eccessivamente premianti
per taluni e penalizzanti per molti degli appartenenti al ceto burocratico dirigenziale della
pubblica amministrazione in senso lato.
I superburocrati, intendo per tali quelli che sopravvivono ai vertici dello Stato (ma anche
delle Regioni), pur al variare delle maggioranze politiche, rappresentano un nodo cruciale.
Hanno impedito e impediscono costantemente la crescita della burocrazia, ad essi
eventualmente alternativa, e riescono da sempre a contare nelle scelte importanti, che poi sono
state quelle che hanno condotto il Paese in una siffatta situazione di disagio economico. Ciò
avviene in quanto, di fatto, dominano sulla classe politica che, sempre più ignara dei percorsi
di funzionamento del sistema caratteristico, ha bisogno di una dirigenza che sappia svolgere
nei suoi confronti una funzione tutoriale, anche elementare, quasi di accompagno.
E’ ciò che fanno i grandi dirigenti in favore dei ministri che si avvicendano, i quali, di fatto,
consentono loro di decidere quasi tutto in cambio dell’esercizio in loro favore delle necessarie
funzioni di appoggio e sostegno. Del resto, non si spiega altrimenti l’attuale assenza di uno
staff turnover nei ministeri (ma anche nelle Regioni) ove capi di gabinetto, direttori di
dipartimento e direttori generali sopravvivono nelle loro cariche da decenni, a prescindere
dalle maggioranze del momento.
22
Zotta G., La sanità nell’età del federalismo ed il ruolo della Corte dei Conti, www.contabilità-pubblica.it, 30
aprile 2011.
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