HIMed – Anno 3, numero 1 – Maggio 2012

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HIMed – Anno 3, numero 1 – Maggio 2012
Gli unici globuli omeopatici per bambini.
L’uso dell’omeopatia può rappresentare un valido
supporto per ritrovare lo stato di salute del bambino.
Per il suo futuro sviluppo, scegli naturalmente.
LOACKER REMEDIA S.r.l.
Via Brennero 16 I - 39053 Prato Isarco (BZ)
Tel. 0471/353355 Fax 0471/353133
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SOMMARIO
HIM d
HOMEOPATHY
and Integrated Medicine
Anno 3 - Numero 1, Maggio 2012
Editoriale
2 Il Manifesto per la Medicina Integrata, progetti e prospettive
di Simonetta Bernardini
Inprimopiano
In copertina: la nebulosa NGC 2818.
Pergentileconc.NASAandtheHubbleHeritageTeam(AURA/STScI).
4 Cosa significa “curare”‘
di Vincenzo Nuzzo
Contributioriginali
Organo ufficiale della
12 I raggi invisibili in diagnostica e terapia
Società Italiana di Omeopatia
e Medicina Integrata
18 L’approccio omeopatico al paziente che ha paura
Calma, sangue freddo e occhio all’essenza
di Alberto Laffranchi
di Luca Biasci
22 Studi clinici sperimentali in omeopatia veterinaria
Esperienze preliminari nell’allevamento suino intensivo
di Giuseppina Brocherel, Olga Lai, Lavinia Alfieri, Dario Deni, Mario Sciarri, Franco Del Francia
DirettoreResponsabile:Gino Santini
DirettoreScientifico:Simonetta Bernardini
RegistrazionealTribunalediRoman.61del24febbraio2010
Periodicità:Semestrale
©2010-2012SIOMI-Tuttiidirittiriservati.Nessunaparte
diquestapubblicazionepuòessereriprodottaotrasmessa
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LecopiearretratepossonoessererichiesteallaSIOMI.
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28 Un caso clinico di asma felina
di Bruno Cipollone
31 La Medicina Integrata in Sicilia
di Maria Concetta Giuliano
33 La malattia come consumo
L’uso dei farmaci e il ritardo integrativo in medicina
di Carlo Di Stanislao
36 Una buona occasione - L’atto di cura al termine dell’esistenza
di Maurizio Venezi
Igrandipersonaggidell’omeopatia
29 Michael Frass
MedicinaIntegrataeoncologia
a cura di Tiziana Di Giampietro
Finitodistamparenelmesediaprile2012
pressoGraficaDiMarcotullios.a.s.
ViadiCervara,139-00155Roma
COMITATO SCIENTIFICO
Area di omeopatia e medicina integrata
SimonettaBernardini,FrancescoBottaccioli,TizianaDiGiampietro,
CarloDiStanislao,PeterFisher,ItaloGrassi,FrancescoMacrì,
EnnioMasciello,RobertoPulcri,GinoSantini,GabrieleSaudelli
Area accademica e medicina convenzionale
IvanCavicchi,AndreaDei,GiuseppeDelBarone,
ClaudioFabris,LucianoFonzi,AntonioPanti,
RobertoRomizi,MauroSerafini,UmbertoSolimene
Spotlight
26
a cura di Gino Santini
Frattalidiverità-Omeopatiaepatologiecutanee-AzionediApismellificasubasofili-Arsenicoeambiente:ilcontributo
dell’omeopatia
QuadernidiMedicinaIntegrata
La menopausa
40 Il contributo dell’omeopatia
di Stefania Graziosi
43 Il contributo della fitoterapia
di Gabriele Saudelli
45 Il contributo dell’agopuntura
di Franco Cracolici
L’omeopatiaraccontata
16 Il fantasma dei globulini
di Italo Grassi
HOMEOPATY AND INTEGRATED MEDICINE | marzo 2010 | vol. 1 | n. 1
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EDITORIALE
Il Manifesto per la MI, progetti e prospettive
Simonetta Bernardini
Presidente SIOMI, Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata
E-mail: [email protected]
Da più di dieci anni in letteratura scientifica si parla di
Medicina Integrata (MI) nel servizio sanitario pubblico
(Rees & Well, BMJ 2001; Hollenberg, Social Science &
Medicine 2006). Si tratta di un fenomeno che ha riguardato in primis gli Stati Uniti e il Canada, paesi nei quali
la terminologia preferita è “medicina integrativa”, e successivamente anche l’Europa, dove è più diffuso il termine “medicina integrata”. Al di là della definizione e
nonostante le molte pagine dedicate al fenomeno, il movimento culturale propone in sintesi un ampliamento
delle offerte terapeutiche della medicina ortodossa attraverso l’apertura della stessa ortodossia alle risorse terapeutiche delle Complementary and Alternative
Medicines (CAM). Tale movimento sta muovendo i
primi passi ma la più parte dei medici dei servizi sanitari
pubblici al momento ne sanno poco o niente.
Volendo dare per scontati i principi portanti della Medicina Integrata (MI), ampiamente descritti nel numero
precedente di HIMed, la prima domanda da porsi è se il
modello di alleanza terapeutica da promuovere debba essere quello che implica una semplice incorporazione subordinata all’ortodossia di strumenti delle CAM nei
percorsi sanitari o se, piuttosto, il fine non sia quello di
una ridiscussione dei paradigmi portanti in medicina. In
questo secondo caso esso comporterebbe la condivisione
di percorsi terapeutici integrati come risultante di un
reale approccio interdisciplinare alla cura del cittadino.
In poche parole (ma si tratterebbe, ce ne rendiamo
conto, di uno straordinario balzo in avanti nel concetto
di assistenza sanitaria) se il modello della MI non dovrebbe prevedere la risultante di un processo di condivisione del cittadino-paziente da parte di un team
interdisciplinare. Se si accetta questo punto di vista, la
MI diventa l’occasione di un ripensamento profondo
della pratica terapeutica poichè inevitabilmente comporta la messa in discussione dei canoni della pratica biomedica a cominciare dallo stesso approccio al malato,
ripensato in chiave olistica, dal ruolo del terapeuta e dal
significato dell’approccio terapeutico. In estrema sintesi,
si tratta di avviare un confronto tra il concetto di terapia
tipico della biomedicina occidentale e il concetto di terapia finalizzata al sostegno del potenziale di autoriparazione biologica dell’organismo vivente che è proprio
della più parte delle CAM. Da una parte il trattamento
terapeutico aggressivo della patologia e dall’ altra lo stimolo all’autoguarigione previsto da altri grandi sistemi
medici (Omeopatia, MTC, Ayurveda) e da tutte le “discipline bionaturali” (ad es. Shiatsu, Naturopatia, Qi
Gong, Tai Qi, Yoga, etc.) che costituiscono l’ ampio contenitore delle CAM.
2
A noi che promuoviamo la MI sin dalla fondazione della
SIOMI il cammino appare oramai chiaro, anche se dobbiamo prendere atto di un allargato discorso culturale.
Infatti, se all’inizio la nostra attività si focalizzava sulla
sola integrazione dell’omeopatia nella medicina ortodossa, col tempo abbiamo compreso che il termine MI
non poteva essere limitato all’incorporazione selettiva di
una unica pratica medica. ma che la scommessa culturale
era ben più ampia ed che essa prevedeva un ripensamento grandangolare della medicina. Un tema che è diventato preponderante nella nostra SMS già con
l’organizzazione del convegno nazionale “Ripensare la
cura”.
Ed è proprio da quel convegno che è scaturita la necessità
di ampliare il lavoro della nostra Società dedicandosi ai
concetti di MI in chiave moderna, adoperandosi per sensibilizzare ancora di più la medicina ortodossa verso i
temi della integrazione delle cure. Del resto i dati drammatici sulla crescita e sulla inguaribilità delle malattie
croniche mettono sempre più di fronte i medici ai limiti
terapeutici della medicina ortodossa la cui crisi non si
arresta nonostante le continue conquiste tecnologiche.
Ma di fatto il problema è ancora più generale. La Biomedicina si è limitata a focalizzarsi sulla risoluzione di
problemi immediati concentrandosi sulla tecnologia, l’
eziologia e la prevenzione.
La MI invece riguarda anche la più ampia domanda di
salute del mondo moderno intesa a privilegiare lo stato
di forma fisica e a migliorare le capacità di sopravvivenza
non disgiunta, tuttavia, dal mantenimento del miglior
modo di interazione con l’ambiente (benessere psico-fisico e sociale).
Medicina integrata e condivisione
Per una Società come la nostra, che ha fatto della integrazione la propria ragione di essere, si parava davanti,
dunque, un obbiettivo più ambizioso rispetto a quelli
degli anni passati, in quanto prevedeva la sensibilizzazione delle Istituzioni del servizio sanitario nazionale
sulla necessità di avviare riflessioni più ampie sul concetto di MI nel nostro paese. Ed è così che è nata l’avventura che, dopo un intero anno di gestazione, ha
portato alla presentazione del “Manifesto per la Medicina Integrata” avvenuta lo scorso 3 dicembre in Palazzo
Vecchio a Firenze (per saperne di più: www.siomi.it, area
“Manifesto” in homepage). In un primo momento si è
trattato di reclutare “pensatori”. Trattandosi di un argomento che coinvolgeva, oltre alla conoscenza delle meHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
EDITORIALE
dicine e discipline complementari, anche aspetti sociologici, filosofici, scientifici ed etici, abbiamo cercato di
coinvolgere personalità esperte in queste tematiche. Ringrazio ancora una volta il Prof. Andrea Dei, professore
di chimica all’università di Firenze, che tanto ha dato
con il suo pensiero alla maturità culturale della nostra
Società, il Prof. Guido Giarelli, esperto di sociologia medica, il Prof Ivan Cavicchi esperto di filosofia della medicina e il Dr. Alfredo Zuppiroli, presidente della
Commissione regionale di Bioetica della Toscana, che
hanno accettato di partecipare, insieme al Prof. Francesco Macrì e a me stessa, alla redazione del Documento
sulla MI e alla proposta di Manifesto. Il risultato di un
intenso periodo di lavoro è stato il Documento pubblicato nel numero precedente di HIMed, che rappresenta
ad oggi la disanima più ampia e a carattere multidisciplinare sul tema mai apparsa in letteratura. Un distillato
di quel Documento è riportato nella proposta di Manifesto per la Medicina Integrata presentato il 3 dicembre.
Riguardo al Manifesto, c’è da notare che la sua presentazione in nove punti è voluta. Lo scopo, infatti, non era
quello di presentare un decalogo, ma piuttosto una bozza
di lavoro che avviasse una discussione la più ampia possibile in Italia e all’estero, con lo scopo di dar vita ad un
forum permanente che possa riflettere sul futuro orientamento della sanità pubblica e privata. Il progetto si
propone di arrivare, un domani, ad un Manifesto condiviso non solo nei contenuti ma ancor più nei propositi
di rinnovamento della medicina. Qualche parola merita
spenderla sulla cerimonia di presentazione. Una vera
scommessa l’organizzazione di quell’evento. Infatti si è
trattato di invitare tutta la sanità italiana attraverso i suoi
rappresentanti istituzionali e, possiamo oggi dire, che l’
obiettivo è stato pienamente centrato. Infatti quasi tutte
le Istituzioni invitate hanno partecipato, a cominciare
dalla FNOMCeO, FOFI, Ordine nazionale dei biologi,
dalle società scientifiche della medicina convenzionale
come FISM, SIP, SICP, fino alle sigle della medicina del
territorio, FIMMG, FIMP, UGL Medici, alle rappresentanze delle discipline bionaturali, FISTQ, UISP, IAS, etc.
per finire con SIPNEI e le sigle delle medicine complementari, come CONMI, APO, AMNCO, CoReSiMi,
etc. Nell’insieme hanno preso la parola per condividere
i temi proposti dal Manifesto e dare contributi propositivi più di 30 rappresentanti di altrettante sigle istituzionali. Il livello di condivisione dei contenuti del
Manifesto è stato elevato da parte di tutti e non sono
mancati propositi dichiarati di diffondere l’iniziativa
nell’ambito dei Consigli Direttivi delle Istituzioni partecipanti.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
Medicina integrata, prospettive
Nel prossimo futuro, per continuare il progetto avviato
con ottica propositiva, SIOMI ha aperto un forum di
discussione nazionale permanente cui sono state invitate
le sigle presenti. A tale scopo è stata attivata una mailing
list (il cui indirizzo di riferimento è [email protected])
alla quale sarà possibile inviare riflessioni e proposte con
lo scopo di far crescere tra i protagonisti della sanità italiana la dimensione della MI al fine di una sempre più
ampia condivisione che possa tradursi in progetti sanitari
integrati a partire dalla formazione in MI e fino alla realizzazione pratica di offerte sanitarie integrate nell’ambito del servizio sanitario pubblico e privato. Nel
contempo il Manifesto è stato inviato anche a referenti
internazionali dei servizi di cure integrate con l’avvio di
una discussione che ha già coinvolto alcune personalità
in Europa, India e USA.
I primi risultati del forum di discussione saranno presentati in occasione del Congresso internazionale di Medicina Integrata previsto a Firenze il prossimo 21-22
settembre. Per allora la nostra Società sosterrà anche lo
sforzo economico di offrire alle molte centinaia di esperti
delle MC provenienti da tutto il mondo la versione in
lingua inglese del numero di HIMed dedicato al Manifesto e al Documento sulla Medicina Integrata. g
Le ultime news, l’elenco dei medici SIOMI,
le FAQ sull’omeopatia, più di 500 abstract,
motore di ricerca interno e molto altro su:
www.siomi.it
3
IN PRIMO PIANO
Cosa significa “curare”?
Vincenzo Nuzzo
Pediatra e psicoterapeuta, omeopata e omotossicologo
E-mail: [email protected]
L
’omeopatia è una dottrina scientifica affascinante
e pregna di infiniti stimoli alla riflessione e meditazione, ma non può essere considerata né un corpus di verità dogmatiche né l’unica medicina possibile.
Allo stesso modo il suo fondatore Samuel Hahnemann
non va considerato né un santo né un genio, ma un medico ed uno scienziato di grandi capacità che si è lodevolmente sforzato di dare alla Medicina una profondità
che fino a quel momento non aveva avuto
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
siano stato per nulla originali, essendo riconoscibili negli
scritti di grandi esponenti del sapere ermetico-alchemico
del XVI e XVII secolo. Gli scritti del pensatore mistico
tedesco Jakob Böhme1, rigurgitano per esempio di riferimenti di questo genere. Purtroppo non c’è spazio qui
per riportarle, ma ne basti solo una in quanto estremamente suggestiva: “Anche la ragione può ammalarsi mercè
le parole, ma guarisce con rimedi simili al male” (§9.54).
In ogni caso, per il medico che non si sia mai rassegnato
né allo sperimentalismo né al positivismo dominanti,
l’omeopatia non può che rappresentare un’occasione
unica per ritrovare l’autentico spirito umanistico della
Medicina, perso durante ormai più di tre secoli di dominio in essa del razionalismo e del materialismo scientisti. Proprio per questo però bisogna anche restare critici
quanto basta per non andare oltre i limiti di quanto
l’omeopatia effettivamente può dare. E’ sullo sfondo di
quest’attitudine, critica ma affatto distruttiva, che andrebbe compresa la chiave di lettura offerta in questo articolo per interpretare il senso della cura alla luce della
dottrina omeopatica.
L’omeopatia e l’arte di curare
Per riaffermare cosa sia veramente curare bisogna andare
oltre la dottrina classica dell'omeopatia, ma per farlo è
proprio da essa che bisogna partire.
La malattia intesa come “totalità dei sintomi” (Organon2
§5-6 e §71-89) è qualcosa che viene colto nell'esperienza
ed al di fuori di qualunque astrazione, promettendo così
un'interpretazione del patologico che è ben più razionale
e profonda di quanto fosse disponibile al tempo di Hahmahnn e Kent. Il patologico si riassume in una malattia
fondamentale ed universale, la psora, che si articola poi
nel tempo e nello spazio nei tre miasmi o stati costituzionali individuali ad essa successivi (psorico, sicotico e
sifilitico)3.
I tre miasmi sono stati poi ridotti entro lo schema ippocratico dei quattro umori (iroso, flemmatico, pletorico,
melancolico), ai quali corrispondono le quattro costitu-
4
zioni fondamentali (carbonica, tubercolinica, sulfurica,
fluorica).
Ciò che il medico sperimenta non è che questo, essenzialmente la psora (anche se poi manifestantesi in modi
diversi nei singoli individui), e non invece le diverse entità nosografiche, assolutamente astratte, della medicina
tradizionale. Ed è con ciò che si confrontano i sintomi
prodotti nell'individuo sano dalla sostanza diluita e dinamizzata, il rimedio omeopatico.
Ecco che la diagnosi di “malattia” e anche “diagnosi di
rimedio”, ovvero terapia: la “bronchite” del mio paziente
non è malattia astratta ed ideale, ma la “bronchite pulsatilla in un paziente tubercolinico”. Da ora in poi definiremo questa entità come “rimedio-malattia”. Da qui una
terapeutica pragmatica e flessibile, ovvero esperienziale
e non astratta, basata a sua volta sulla sperimentazione
di un gran numero di quadri “rimedio-malattia”, i rimedi
della Materia Medica omeopatica equivalente alla clinica
medica della medicina tradizionale.
Ma la “malattia” omeopatica indica anche un determinato genere di squilibrio del delicato rapporto tra organismo ed ambiente (la psora è tutta espressione di
minusvalia disfunzionale, la sicosi è tutta espressione di
eccesso ed accumulo, la siphilis è tutta espressione di difetto e perdita), stati patologici rispetto ai quali il rimedio-malattia equivale ad una sorta di istantanea
dinamica. Nulla è lasciato al caso e tutto ha senso in un
Tutto, proprio come nella visione dei “vincoli” di Giordano Bruno4, concetto tipico di una filosofia della natura, quella rinascimentale, che sapeva essere non lontana
dalla metafisica.
La malattia non è quindi un accidentale ex abrupto ma
un evento che si comprende dal punto di vista del suo
senso entro l'assetto dell’equilibrio individuale in rapporto all’ambiente. La mia malattia non è un caso naturale, ma ha un determinato senso nell’ambito del
rapporto tra me e l’ambiente in cui sono immerso. Il rimedio, vero e proprio individuo simbolico che mi corrisponde quale individuo malato, configura la malattia
quale entità che ogni volta si interpone tra noi come potenziale entità energetico-dinamica e non quid materiale
reale. La malattia non è che un caso del rapporto tra individuo ed ambiente, rapporto di salute o di malattia.
Essa non esiste ontologicamente al di fuori di questo rapporto.
Qui l’agente fisico-biologico slatentizza in me sano lo
squilibrio latente, facendo emergere così la mia malattia,
e dall'altro versante l'ambiente (medico) la riconosce,
chiamando la natura a contro-rispondere (sostanze miHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
IN PRIMO PIANO
nerali, chimiche ed animali quali potenziali rimedi). La
malattia della medicina tradizionale, quale nomen (realtà
astratta) di un meccanismo fisiopatologico alterato da
un agente patogeno, è qualcosa che esiste nel cosmo
senza il malato e la sua soggettività, e se ne sta lì in agguato pronta aggredire in un momento spazio-temporale
del tutto casuale. È evidente che non si può parlare di
“predisposizione” senza che essa si riferisca al senso che
l'evento patogeno acquista nell'economia che lega specificamente l'individuo all'ambiente.
Il fattore freddo non è patogeno nello psorico come nel
tubercolinico, e la bronchite di Marco non è la bronchite
universale nella quale egli si è imbattuto per caso. Lo
stesso vale evidentemente anche per il farmaco, che nella
medicina tradizionale viene usato in modo assolutamente impersonale ed indifferenziato.
Ogni omeopata sa invece che se il rimedio non è individualmente “ben scelto” non vi sarà alcuna probabilità di
guarigione. Qui non si tratta di annientare, ma di presentare ai circuiti cibernetici dell’organismo il segnale costituito dalla fotocopia del suo stato patologico
(l’individuo simbolico malattia-rimedio), perché essi si
mettano in azione per superare da dentro la malattia.
Ecco che la malattia tutta virtuale dell’omeopatia non è
affatto astratta, mentre la malattia tutta reale della medicina tradizionale lo è invece assolutamente, ovvero è
un aliquid assolutamente alieno, che cade entro un contesto in cui nulla ha un vero senso se non meramente casuale, e dove praticamente tutto può accadere.
Tutto questo trova esplicazione in una delle più fondamentali affermazioni di Hahnemann, secondo il quale
la malattia “non è da considerare come un quid (materia
peccans) separato dall’organismo vivente e dal principio dinamico che lo vivifica”(§13). La malattia è espressione di
un determinato genius patologico e non è invece un quid
a sé stante. Ci sembra evidente che ciò pone la medicina
omeopatica ben più in continuità con l'antica filosofia
della natura. In essa manca tutta l'accidentalità arbitraria
dello sperimentalismo, in cui il conoscere è un mero rifare la natura in vitro5.
Pertanto in essa tutto è stato dottrinariamente stabilito
una volta per tutte. Non vi saranno nuove malattie (sperimentalmente arbitrarie), ma semmai solo nuove malattie-rimedio il cui valore è solo terapeutico.
I suoi principi: a) è degno di essere curato solo ciò che
può essere riconosciuto come espressione dei tre morbi
fondamentali (e non il patologico accidentale); b) la dottrina e l’arte terapeutica si riferiscono ad una totalità nosologica definita una tantum, e non alle sue possibili
evoluzioni sperimentali; c) i tre miasmi come potenziale
globalità patologica sono l'unica base di diagnosi e terapia.
Lo stato di salute è l'effetto di una vis vitalis, la forza vitale, che equivale perfettamente alla vis medicatrix. Non
sono date relazioni casuali tra di esse. La terapeutica dev'essere in stretta relazione di identità con la semeiologia,
e pertanto non sono ammesse né concepibili terapie sperimentali, derivanti da casuali scoperte fisico-chimiche
in altri settori della scienza.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
Ciò significa che l’omeopatia dispone di un sistemata
contenente una teoria della salute, una teoria della malattia ed una teoria della guarigione, strettamente connesse. Ciò significa estrema coerenza. Non la stessa cosa
può essere detta dell'allopatia.
Ma esaminando i perché di questo giungeremo al cuore
del problema del senso della cura, che, come vedremo,
vedrà come imputata anche l'omeopatia accanto alla medicina tradizionale.
Teoria della salute - Ciò che dall'allopatia viene contrabbandato per teoria della salute (definizione OMS si malattia) non è che un patetico tentativo di costruire una
teoria impossibile su un coacervo di dati tra essi del tutto
slegati. Il risultato non poteva quindi essere che di una
sconcertante banalità, puerilità ed ovvietà: la salute non
è mera assenza di malattia, ma perfetto benessere psicofisico.
Naturalmente qui il termine “salute” è solo impiegato,
ma non è affatto spiegato, se non dalla sua del tutto casuale concomitanza con altri termini non spiegati come
“malattia” e “benessere”. Chissà se sotto sotto non sia
stato spulciato di nascosto proprio l’Organon (§8): “Non
si può pensare né dimostrare con alcuna esperienza al
mondo, che, dopo la rimozione di tutti i sintomi della malattia... rimanga o possa rimanere altra cosa se non la salute”. Più avanti esamineremo anche quest'affermazione.
Teoria della Malattia - La malattia dell'allopatia non è
altro che un contenitore logico-sperimentale con un’etichetta nosologica casuale, che non esprime il genius dei
corrispondenti fenomeni fisiopatologici. Le miriadi di
malattie oggi conosciute non ci dicono nulla circa l’identità ed il senso globale e profondo della “malattia”, ovvero tacciono sul senso dell’ammalarsi.
Teoria della Guarigione - Una volta esclusa la coerenza
profonda tra diagnostica e la cura, ed in assenza di una
teoria della salute e della malattia, non può esistere alcuna teoria della guarigione. La guarigione è per l'allopatia solo un fenomeno binario (“più-meno”) che
coincide con l'eliminazione casuale e senza senso dei sintomi attuali. Cosa possa o non possa restare, una volta
ottenuto questo, è cosa che non può né deve interessare.
Come la malattia non ha alcun vero senso, allo stesso
modo non ha alcun vero senso neanche la cura.
La decadenza dell’omeopatia
Ma anche se tutto ciò ha un suo rigore logico, non bisogna dimenticarsi della realtà, e quindi di tutti i punti deboli che nell'omeopatia non possono essere ignorati. Tra
questi diversi aspetti problematici della “sperimentazione
pura” hahnemanniana, base della clinica omeopatica
(materia medica), e l’intera sua terapeutica:
< L’efficacia del rimedio omeopatico è resa molto insicura da un numero molto, forse troppo, grande di variabili (fedeltà dei sintomi forniti dal malato, abilità
diagnostica del medico, troppo vaghi criteri circa la
scelta dell’adeguata potenza del rimedio, eventuale resistenza del malato al rimedio, varianti tossicologiche
ambientali che riducono o annullano l’effetto del rimedio...).
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IN PRIMO PIANO
Anche la teoria hahnemanniana della malattia e della
guarigione sono largamente insufficienti, perché presentano diverse incongruenze filosofiche, nell’ambito
delle più generali incongruenze filosofiche dell’intera
dottrina e pratica medica nei riguardi del problema
del male.
Poiché non c’è spazio qui per dedicarsi ai primi due ordini di considerazioni, rifletteremo solo sugli ultimi due
di essi.
La concezione della malattia di Hahnemann è molto più
materialistica di quanto pretenda di essere. Così il §17
dell'Organon: “Dal fatto che ogni volta nella guarigione,
con la rimozione di tutto l’assieme dei segni percepibili e dei
disturbi della malattia, viene rimossa contemporaneamente
l’alterazione intima della forza vitale, che costituisce la base
del male - ossia della malattia nella sua totalità - segue che
il medico togliendo la totalità dei sintomi toglie e distrugge
l’alterazione intima...”. Qui si rinuncia a chiedersi se, eliminando la malattia fondamentale (sintomi), non resti
comunque qualcosa di negativo, invece che la sola salute.
Il “tutta la malattia” ha tutta l'aria di raffigurare qualcosa
di materiale, ovvero quello stesso “quid” patologico di
cui Hahnemann aveva negato l'esistenza.
Insomma, sebbene l'omeopatia rappresenti oggi un ottimo punto di partenza per una critica al materialismo
della Medicina moderna, nemmeno essa stessa risulta del
tutto immune dall'illuminismo scientifico che ha condotto a tale materialismo. Prova ne è secondo noi il fatale
scadere progressivo della terapeutica omeopatica in pragmatismo utilitarista ed edonista che risponde sempre meglio ai potenti stimoli di un'industria farmaceutica che
sembra puntare ad omologare fortemente le strategie di
mercato in campo omeopatico ed allopatico. Il risultato,
insieme al frazionamento dell'omeopatia stessa in mille
conventicole in conflitto, è sempre più la riduzione della
sua terapeutica ad un ramo genericamente “alternativo”
di una sempre più aggressiva e senza scrupoli industria
farmaceutica.
In altre parole l'omeopatia è scivolata dal regno dell'immateriale al regno dell'effimero. La sicosi non si combatte più in nome dello spirito (Kent) ma in nome della
strenua lotta all'invecchiamento.
Ma ciò significa due cose di decisiva importanza: a) che
l'immateriale non era in essa poi così voluto; b ) che tale
così facile seduzione implica una non così forte aspirazione alla purezza. Basta aggiungere a ciò egoismi particolati ed interessi ed il gioco è fatto.
E peraltro connivente con la degenerazione non è stata
solo l'anima impura dell'omeopatia, ma anche quella purista, arroccatasi sempre più in dogmatismo che impediva di dar corso a qualunque legittima critica alle
contraddizioni della dottrina hahnemanniana, e che peraltro rivendicava per l'omeopatia stessa il posto ed il
ruolo di unica e vera Medicina.
Ciò non poteva avere altro effetto che una sclerosi sicotica dell'antico edificio tradizionale dell'omeopatia, sclerosi che non poteva non renderla vittima indifesa delle
montanti eresie.
Ed ecco lo scenario della più aperta corruzione, costellato
<
6
dai segnali ammiccanti della nuova omeopatia edonista
ed affarista allo scienziato positivista, all'amministratore
dell'azienda sanitaria, al medico di base, al manager
spompato, all'attempata signora, al giovane e meno giovane vitellone palestrato e trasgressivo, al fanatico new
age. A tutti viene promessa la realizzazione dei loro sogni
di piacere e consumo. Ed ecco la promessa a tutti di un
equilibrio psico-fisico indistruttibile ed inossidabile, che
sottrae alla necessità di ogni sacrificio e permette di sfuggire ad ogni limite. Fatto sta che, in questo scenario,
l’arte omeopatica di curare perlomeno non obbedisce più
ai suoi principi originari. Ma se è così bisogna pur chiedersi se questi principi erano veramente sufficienti a fondare un’arte terapeutica veramente alternativa. E che non
fosse proprio così crediamo di averlo sufficientemente
motivato.
La medicina davanti al problema del male
Noi non intendiamo fare qui una critica distruttiva ma
solo porre a noi stessi ed a tutti un problema che l'intera
medicina sembra aver dimenticato: che ne è del male, il
male eterno della condizione umana e terrena, una volta
eliminata la malattia, in qualunque modo essa venga
concepita? E ciò vale senz'altro anche per l'omeopatia.
Ci sembra che purtroppo anch'essa abbia dimenticato le
questioni morali fondamentali poste dai grandi filosofi
dell'umanità (Pitagora, Socrate e Platone), e cioè che la
salute è salvezza, una condizione che corrisponde a vivere
secondo il Bene, il Vero ed il Giusto, che sia o non sia
questo garanzia di vita eterna.
La dimenticanza di tutto ciò sembra evidente nelle stesse
categoriche affermazioni di Hahnemann: “...La distruzione della malattia equivale alla restaurazione della salute,
scopo supremo ed unico del medico che ha coscienza dell’importanza della sua arte. Questa non consiste in chiacchiere
apparentemente vuote, ma nel giovare ai malati” (§17).
L'intera filosofia antica, unitamente a Paracelso, lo contraddice. E perfino un altro teorico dell'Omeopatia, il
Kent, che scrisse: “La psora è la causa fondamentale, lo
stato di disordine originario e primario che affligge l’umanità. Si tratta di uno stato di disordine che sconvolge la
parte più profonda dell’organismo [...]. Nel suo complesso è
troppo esteso, giacché esso risale al primissimo errore dell’uomo, il peccato originale, alla primissima vera malattia
dell’umanità, che è una malattia di indole spirituale...”6.
Ma per non restare nel vago non si può che rifarsi al Platone della Repubblica, dove il problema del male viene
posto in termini politici nell'ambito di un'esplicita teoria
della cura. Qui la salute coincide con la virtù civica dell'esercizio della propria funzione nella perfetta subordinazione ad un corpo sociale sano in quanto integro nella
sua organicità7. È esattamente ciò che accade nella gerarchia che unisce cellula, tessuto, organo inferiore e superiore, ed insieme degli organi alle superiori funzioni
immateriali (anima). Virtù è la funzione svolta bene,
mentre vizio è la funzione svolta male. La disfunzione
ha dunque un preciso carattere etico, e non può pertanto
essere disfunzionale ciò che è naturale nell'ordine cosmico (come la morte).
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L'anima è così nella Repubblica la funzione organica che
domina su tutte altre. Lo stesso è ripetuto nel Fedone per
bocca di Socrate: tra anima e corpo non può esservi
alcun dubbio su quale dei due debba dominare8.
La funzione delle funzioni è dunque governo, cioè la
compiutezza assoluta della coincidenza tra virtù e funzione. Virtù dell’anima è dunque la giustizia, mentre il
vizio dell’anima è l’ingiustizia. La giustizia è retto agire
secondo la legge, mentre l’ingiustizia e azione non retta.
Il bene e la salute individuale è il bene e la salute sociale.
Dunque il bene che corrisponde alla salute individuale è
virtù, è obbedienza, è abnegazione, è giustizia.
Ciò permette a Platone9 di sostenere che, se la perfezione
della funzione è salute, la malattia è negativa non in
quanto passio, soggezione individuale ad una forza, ma
in quanto attivo e colpevole deflettere dell'uomo dal dovere, da una dovuta attività. Anche in questo senso la
malattia è colpa che proviene da dentro. È l'effetto di
una negativa ma volontaria scelta morale, come direbbe
Kirkegaard10. Ciò che essa richiede è pertanto l'esatto
contrario di una “lunga cura”, ossia il vegetare nell'accidia che la malattia stessa sembra giustificare. Essendo
questo l'esatto opposto del vivere bene, il medico non
dovrebbe affatto collaborarvi.
Su quale sia il dovere del medico, Platone è dunque esplicito fino alla brutalità: “E non ti pare vergognoso, continuai, ricorrere alla medicina per tutt’altra ragione che per
ferite o per certe malattie che si ripetono ogni anno, ma per
la poltroneria e il regime di vita di cui abbiamo parlato?
E, ripieni come acquitrini di flussi e soffi, costringere i bravi
Asclepiadi a denominare le malattie flussi e catarri? – Molto
vergognoso, rispose. Veramente nuovi e strani sono questi
nomi di malattie. - Nomi che non c’erano, credo, dissi, al
tempio di Asclepio”11.
Nelle Lettere12, egli dice che debole ed incapace è il medico che non costringa il malato a cambiare un regime
colpevole di vita.
La vera malattia, degna di essere curata, è dunque quella
acquisita nel pieno dell'esercizio del proprio compito, in
un cadere eroico al quale consegue o la morte o una
degna guarigione. L'altra, contratta nell'attitudine passiva, viene solo colta come occasione per tralasciare i doveri. La prima malattia è quella derivante dalle ferite di
guerra, che Platone considera come l'unica entità nosologica che sia degna di cura. La seconda malattia è quella
derivante da abitudini di vita non virtuose, e corrispondente peraltro piuttosto esattamente al paradigma delle
moderne malattie croniche (in termini omeopatici i pigri
esiti sicotico-sifilitici della psora). Non a caso il filosofo
ateniese sottolinea qui che in questo caso ricadono l'”esagerata cura del corpo, che va oltre i limiti della ginnastica”.
Del resto la stessa ossessione della felicità, che sta dietro
l'accidia e le cure eccessive del corpo, è essa stessa diametralmente contraria alla virtù della funzione. Se tutti
fossero infatti ammessi alla felicità, non vi sarebbe infatti
più nessuno capace di restare al suo posto ad esercitare
la funzione13.
Platone afferma qui che fu lo stesso Asclepio ad insegnare
ai suoi figli e discepoli questo approccio terapeutico. Egli
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considera così altamente riprovevole una cura della malattia cronica, che non può debellarla ma solo indirettamente confermarla, rendendo così lunga e penosa la vita
dello stesso individuo, corrompendo le qualità dei sui discendenti, ed infine facendo male alla collettività. La sentenza è quindi recisa: non bisogna curare, non bisogna
prolungare la vita di “un individuo malaticcio e intemperante”, la cui sopravvivenza non giova né a lui stesso nè
agli altri.
Fatto sta che il sicotico assomiglia moltissimo al “fuco”
descritto da Platone proprio nella Repubblica, quando
egli intende deprecare i vizi della plutocrazia democratizzante. Non diversi gli accenti del poeta lisboeta Fernando Pessoa: ”Viviamo una vita che ha già perso per
intero la nozione di normalità, e dove la salute vive per una
concessione della malattia. Viviamo in uno stato di malattia
cronica, di anemia febbricitante. Il nostro destino è quello
di non morire per non essere adatti allo stato di perpetui
moribondi”14. Accenti molto simili del resto a quelli del
Nietzsche di Nascita della tragedia, che lamentava la perdita della sanità tragica ed eroica ad opera della civiltà.
Pertanto il medico può essere solo in questo senso medico dell’anima, in quanto promuove la nobiltà della
virtù, il che significa non proteggere ma sfidare. Con le
parole di Zarathustra15 si tratta di essere nemico dell’amico. Ciò che è degno di essere curato, come si chiedeva Hahnemann, coincide quindi con ciò che è
richiesto da ciò è collocato più alto dell’individuo stesso,
ovvero da ciò che lo trascende. E del resto, suggerisce
Platone nel Filebo16, il medico può essere solo medico
dell’anima e non del solo corpo, dato che l’unica vera
possibilità di nobiltà del corpo, ovvero la salute, stà, a
causa dell’opera della sapienza ordinatrice (ovvero causa
creante), nella sua animicità.
Altrove, sempre nel Filebo17, Platone dirà per bocca di
Socrate che la salute è l’effetto di un’armonia che a sua
volta deriva dalla repressione da parte divina dalla potenziale maleficità dell’illimitatezza incarnata dalla singolarità (molteplicità), e ciò per mezzo dell’azione su di
essa del limite.
Si può arricciare il naso davanti a questo così spartano
rigore, e si può anche, con diverse ragioni rifiutarlo, ma
non si può certo negare che dietro tutto ciò c'è una teorizzazione profonda del male nascosto dietro la malattia,
e pertanto una giustificazione sufficiente del fatto che
esso non può certo svanire con la scomparsa di quest'ultima, sempre ammesso che questa venga veramente raggiunta. Una simile teorizzazione è, come abbiamo visto,
assente perfino in una medicina, come quella omeopatica, che vorrebbe perseguire un concetto più alto di salute.
D'altro canto, anche aldilà di Platone, la filosofia antica
e moderna, quando prossima alla metafisica, ci offre ulteriori spunti in tale senso.
La dottrina della doppia creazione di Gregorio di Nissa,
ripresa poi da Scoto Eriugena18, considera la seconda
creazione l'affermazione di un ordine corporeo corruttibile, il cui lemma è caratterizzato dall'esteriorità, dalle
“tuniche di pelle” (dermatinoi kitones), che costituiscono
il brutto per eccellenza. Eppure la deriva edonistica della
7
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medicina ne ha fatto l'esemplificazione stessa della bellezza. Ciò che saggiamente il Medioevo vedeva come una
bruttezza che rimandava ad un sogno di sublime bellezza19, poteva essere trasformato in bellezza in sé solo da
uno spirito prosaico, volgare ed ignorante, come quello
della modernità.
Come testimonia Schelling20 nella sua riflessione sulle
radici pagane della Rivelazione del Cristo, lo spirito apollineo riconduce ad armonia proprio mediante la distruzione impietosa del disordine, dell'irregolarità e
dell'eccesso. E' questo l'effetto dei dardi dell'arco di
Apollo. La bellezza è una quiete post-distruttiva, l'effetto
di una virtù guaritrice che è liberazione, apolysis, purificazione, riduzione alla perfezione dell'unità. Era del resto
per questo che Pitagora, un medico, veniva considerato
sacerdote di Apollo, se non Apollo stesso incarnato21.
E' del resto nello stesso Corpus hermeticum22 che Ermete
Trismegisto insegna al figlio Tat che il bravo medico fa
soffrire il corpo preda della malattia allo stesso modo in
cui fa soffrire l'anima, ovvero sottraendola al piacere che
rappresenta evidentemente il vero male. Ed a ciò aggiunge peraltro che “...una grave malattia dell'anima è
l'ateismo...”. In realtà il vero male per l’anima, dice Platone nel Filebo, è la stessa corporeità23.
Ora, è chiaro che tutto ciò può anche apparire come
qualcosa di ammuffito e moralistico agli occhi del medico moderno, il quale, allopata o omeopata che sia, è
comunque da un lato inevitabilmente erede del Positivismo e dall'altro figlio di una modernità in cui la totale
desacralizzazione ha reso perfino ridicolo parlare di morale religiosa (Scruton)24.
Ma il fantasma del male, le cui sfuggevoli sembianze abbiamo invitato a contemplare sullo sfondo della malattia
e dell'arte di curare, non ci invita tanto a guardare al solo
passato - ovvero ad una Rivelazione che descriva il Bene
assoluto perso con la Caduta, ed oggetto della disperata
ricerca dell’etica nell’oscurità del Male terreno - quanto
piuttosto al futuro. Ce lo ha detto con due bellissimi e
fondamentali libri il filosofo tedesco Hans Jonas25, discepolo di Heidegger, che, come diversi suoi grandi contemporanei (Hannah Arendt, Simone Weil, Leo Strauss),
fu costretto negli anni trenta proprio dal trionfo dal Male
nazista a lasciare la Germania. Non a caso uno di questi
due libri rappresenta una profonda riflessione sulle responsabilità etiche della medicina moderna.
L'etica moderna, purtroppo non ancora identificata, si
pone per Jonas come una tragica ed urgente necessità in
seguito alle tremende sfide non solo del XX ma ancor
più del XXI secolo.
I grandi e distruttivi totalitarismi del XX secolo, a loro
volta eredi della non meno distruttiva Rivoluzione Francese (purtroppo non ancora abbastanza vituperata), non
furono che il prodromo della trasformazione dell'intera
società moderna in un'entità macchinica interamente votata alla tecnologia. Ed ora quest'ultima ha incontrato il
suo estremo limite nella possibilità tangibile di una distruzione planetaria, non solo ad opera delle armi di distruzione di massa, ma ancora più ad opera della
catastrofe ambientale. Ciò significa che il male, così
come il bene, non sono né insiti nella sola storia (ovvero
8
nel suo divenire, come vollero Hegel, Darwin e Marx),
né solo all'inizio della storia (come hanno voluto i molti
teorici della Storia intesa come progressiva decadenza da
una condizione immanente di mitica perfezione originaria), né solo alla fine della storia stessa, nel senso di
una dissoluzione finale o di un'estrema reintegrazione
(come vogliono in modi diversi l'utopismo cristiano e
marxista). La spiegazione ultima del male non è affatto
naturale, materiale e storica, ma essenzialmente metafisica e teologica, come ha affermato Scruton26.
Le catastrofi della storia recente e quelle annunciate testimoniano l'operare nella storia di un male che non può
essere compreso in base all'ingenuo ottimismo razionalistico illuministico (alla Rousseau ed alla Stuart Mill)27,
né in base al naturalismo scientifico di Darwin, Marx e
di tutto il Positivismo, ma solo considerandone l'aspetto
trascendente. Come afferma Scruton, infatti, si tratta di
un male che è l'alienità stessa visitante il mondo, negante
il mondo e l'uomo, che non si presta ad alcuna educazione e ad alcun miglioramento.
Ora, proprio questo è il male che in un'ultima analisi
emerge dietro la malattia, anche dopo la sua cura radicale. Lo testimoniano tutte le voci di filosofia e metafisica
che abbiamo chiamato a deporre. E nel campo della riflessione propria della dottrina omeopatica lo testimonia
peraltro il pensiero di Kent.
Ancora una volta si obietterà che tutto questo non interessa affatto la medicina. Allora osserviamo con onestà
quanto siamo stati effettivamente liberi nel nostro pensare ed agire di medici. Basti pensare all'introduzione
dell'uso di farmaci devastanti come il cortisone in protocolli diagnostici supportati dalla verità assoluta sperimentale che l'Evidence Based Medicine si arroga da un
po' di anni a questa parte di rappresentare. Così è stato
fatto nel trattamento dell'asma dei bambini. E basti pensare a quella vera e propria truffa etica rappresentata dal
trattamento anti-neoplastico, che condanna i pazienti ad
una vita indegna di essere vissuta a fronte di prospettive
di “guarigione” che non sono altro che spudorate bugie.
E si potrebbe continuare su questa linea anche a proposito di trapianti e fecondazione artificiale. Ma non c'è
spazio qui per farlo.
Ormai, come dice Jonas, il male, un male estremo, la negazione stessa dell’esistenza, ci chiama soprattutto dal futuro più che dal passato nebuloso e dubbio delle
Rivelazioni teologiche. E' dal futuro che esso ci sfida.
Pertanto il problema del risalire al male si pone ormai
soprattutto come responsabilità estrema degli uomini
vero il futuro, come dovere della prudenza e della paura
per i possibili effetti della tecnologia.
Perchè l'etica della simultaneità e dell'immediatezza, che
poteva avere ancora la sua validità con Kant, è stata travolta dalle conseguenze a lungo termine della tecnologia.
La mente e l'anima umana sono fatte per calcolare gli effetti delle proprie azioni su scala cortissima, in una condizione in cui gli effetti sono tangibili immediatamente
aldilà degli atti. Oggi non è più così, e quindi abbiamo
bisogno di una nuova etica, di un'etica previsionale a
lungo termine, capace di commisurare gli atti non sulla
base delle certezze oggettive, ma delle incertezze, del preHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
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sumibile e non del provato sperimentalmente. E la cosa,
come dice Jonas28, diviene ancora più drammatica, dato
che la techne dell'homo faber ormai trionfante non proclama il suo dominio solo sul mondo della natura ma sul
corpo dell'uomo stesso, che essa pretende di trasformare
bionicamente in qualcosa di fisicamente perfetto (non
più invece spiritualmente perfetto).
Si tratta quindi di acquisire una capacità di previsione
del possibile fatto negativo, come opposto speculare del
valore presunto positivo, che a sua volta permette di dare
un valore non più neutro a quest'ultimo, permettendone
di giudicarlo, e, se necessario, di inibirlo29. Il che implica
il superamento di una neutralità scientifica che semplicemente non è morale. Bisogna insomma ormai più che
mai saper guardare al fondo di male che c’è dietro la malattia con uno sguardo che sia ancora più severo ed acuto
di quello di Platone, di Pitagora e di Ermete Trismegisto.
Perché questo sguardo conosce ormai il futuro.
Ciò, dice Jonas, comporta peraltro più scienza e non
meno scienza, nel senso dell'affermazione di una nuova
verità scientifica, non più basata sul sapere già disponibile, e quindi oggettivo, ma sul sapere non ancora disponibile, e quindi incerto.
Ciò pone a mio avviso la necessità urgentissima di una
nuova epistemologia scientifica. E, come ho sostenuto
nel passato30, si tratta con ciò di rovesciare finalmente
come inaccettabili le pretese della medicina sperimentale
materialistico-razionalistica di fungere da paradigma epistemologico per le medicine, come quella omeopatica,
che non condividono il suo metodo conoscitivo. Si tratta
di affermare, come peraltro ha sostenuto Husserl, che
scientifico non è affatto esclusivamente ciò che è sperimentale. Insomma, se la terapeutica omeopatica vuole
costituire una reale alternativa rispetto alla terapeutica
allopatica, essa deve saper andare molto più indietro della
dottrina hahnemanniana, per ritrovare un modo di fare
medicina che sia veramente svincolato da paradigmi utilitaristici e sappia essere profondamente etico.
Il male e l’estremo orizzonte della morte
Abbiamo già parlato di diversi aspetti della prassi terapeutica degenerata in quanto utilitaristica e non etica, e
resta quindi da parlare dell'ultimo e forse più scottante
scenario che si nasconde dietro una non cieca categorizzazione di ciò che è da intendere come male, ovvero la
morte.
In realtà, una volta tenuto conto della profondità alla
quale si colloca il male nella condizione umana, non si
può non presumere che la suprema malattia sia proprio
la morte. Fu infatti proprio in questa direzione che si rivolsero gli sforzi di due grandi sperimentatori spirituali
come Sri Aurobindo e Mère31.
La tendenza anche degli omeopati a perseguire una prassi
terapeutica utilitarista ha come sfondo una tendenza tenace della modernità, che è quella di negare la morte,
considerata come il culmine stesso dell'indegnità.
In fondo il culto dell'equilibrio perfetto, da mantenere
costi quel che costi, allontanando da sé tutto ciò che sa
di sacrificio, non rappresenta altro che quella tendenza
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al “survivalismo” recentemente criticata dal pensatore
francese Isabel32
In quest'ottica non tanto il vivere è importante quanto
il continuare a vivere, il sopravvivere alle ingiurie dell'ambiente. Non a caso Hannah Arendt33 ha messo in
evidenza come nella modernità si sia progressivamente
dissolto il valore morale che il suicidio aveva nella società
antica, suicidio che non rappresentava un atto di viltà di
fronte alle avversità, quanto piuttosto l’affermazione che
una vita degna di essere vissuta ha delle condizioni inderogabili, e peraltro condizioni più morali e spirituali
che fisiche.
Lo scopo del survivalismo è quello della eliminazione
della morte che, come dice Jonas34, è ormai considerata
appena alla stregua di un'inaccettabile disfunzione del
vitale, qualcosa insomma che può e deve essere evitato.
Purtroppo, come la medicina tradizionale, ormai messa
in condizione dalla tecnologia (farmaci ed apparati meccanici per la sopravvivenza, protesi fisiche e biochimiche,
trapianti, etc.) di prolungare la vita umana ben oltre i
suoi limiti naturali, anche l'omeopatia si è messa su questa strada, e lo ha fatto proprio degradandosi a medicina
estetico-naturale, al centro della quale c'è l'ossessione
(peraltro del tutto truffaldina ed illusoria) dell'equilibrio
perfetto. Tale equilibrio non è altro che soptavvivenza, e
sopravvivenza a scapito di tutto ciò che si può frapporre
come ostacolo sul cammino dell'individuo. Com'è sicuramente il dovere. Devo stare bene e sopravvivere, essere
sano, forte, attivo, giovane e felice a tutti i costi. E dunque qualunque cosa mi chieda una deviazione da questo
cammino, come lo è per esempio il dovere di sacirificio
per il benessere degli altri, singolo o comunità,esso dev'essere scartato come insano ed ingiusto, ovvero immorale. In tal modo l'intera medicina non si cura del
possibile male futuro, non si cura della responsabilità, e
dilapida senza ritegno le risorse che dovrebbero essere
conservate per il futuro, per i posteri.
La società moderna è dunque l'esatto contrario della società ideale che auspicava il conservatore inglese Burke35:
una società basata su un patto tra i vivi, gli uomini attuali
e presenti, ed i non ancora nati da un lato ed i già morti
dall'altro. E una società che non conserva ciò che ha ricevuto e che non preserva ciò che ha ricevuto per tramandarlo ai posteri.
La medicina che le corrisponde lotta così per l'eliminazione della morte, che è considerata non più che una
bruttura morale, lotta per la bellezza del corpo allo scopo
di godere dell’edonismo più pieno, sostituisce la biologia
con la tecnica (trapianti), mettendo riparo così alle perdite sifilitiche che la stessa dedizione al male provoca, e
sostiene il godimento incondizionato del diritto (medicina sociale) invece del valore della funzione. Ed in questo caso la funzione non implica solo il dovere verso
coloro che ci stanno intorno nel presente, ma soprattutto
verso coloro che verranno dopo di noi.
Ecco quindi che la medicina omeopatica si correda del
nitore metallico (Arendt) di una tecnologia macchinina:
depliants satinati, brillanti esperimenti in laboratori immacolati, apparecchi di ogni genere. La condizione ideale
di vita che corrisponde a questa medicina prevede quindi
9
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l'infarcimento sicotizzante a dismisura dei “fuchi”
(tranne poi a sollevarli da questa condizione con terapie
drenanti), mistifica sui veleni che usa come farmaci, oltre
che sulle sue sconfitte e sui limiti della possibilità terapeutica (oncologia).
Quindi sul piano organizzativo e pratico essa tenderà ad
operare in un modello in cui i pazienti di base (medicina
pubblica) non sono che una popolazione di mendicanti
da sostenere (la soddisfazione della cui aspettativa di salute si risolve nella richiesta incontrollata di prestazioni
sanitarie tecnologiche), ed i pazienti privilegiati (medicina privata) non sono che una sottile schiera di edonisti
da coccolare. Questo modello espande a dismisura i
fuchi, corrompe il rapporto medico-paziente basato sulla
responsabilità, istiga alla ribellione, svaluta l’esercizio del
compito.
Tenuto conto di tutto ciò che abbiamo detto e soprattutto della necessità di affermazione di una nuova etica
della previsione, nella quale la medicina è chiamata a
svolgere un ruolo centrale, il tema della politica finisce
per diventare inusualmente importante per la medicina
stessa. Bisogna ricordare che, peraltro proprio conducendo un esperimento filosofico di vitalizzazione del
mondo non più sulla base di una prospettiva metafisica,
Heidegger36 ha sostenuto intorno agli anni trenta il valore centrale della “cura” nell'esperienza dell'uomo nel
mondo e nella società.
Diversamente da Heidegger non vediamo però perchè
sia necessario escludere la metafisica e la morale da tale
prospettiva, dato che tutta la metafisica, senza voler neanche giungere alla teologia, esalta il valore del “prendersi
cura” come centro del vissuto politico umano. Anche
questo lo aveva già detto con chiarezza Platone nel Politico. L'arte medica è simile a quella regia, ossia è un'arte
che occupandosi del male ci si occupa di morale e di politica. Essa è solo di chi comunque ha intenzione di curare (tagliando, bruciano, o causando sofferenze...), che
il paziente sia o meno con lui d'accordo37. Non si può
curare senza potere.
In politica come in medicina, il punto non è avere o
meno leggi scritte invariabili che regolino il comportamento di colui che esercita il potere, ma essere o meno
in grado di costringere a fare qualcosa per il meglio38.
Questa può essere anche violenza contro le leggi vigenti,
non inferiore peraltro alla violenza di chi intende sostituire le leggi vigenti perchè crede di conoscerne di migliori, ma è comunque retto governare. Alla luce delle
drammatiche riflessioni di Jonas riguardo al tremendo
male futuro che minaccia l’uomo, la società, e l’intero
mondo, questo concetto assume ancora più valore.
Il corpo, dice nel Corpus Hermeticum l’Asclepio citato
prima da Platone39, il dio della medicina, è stato conferito all'uomo proprio per potersi prendere cura di tutte
le cose, ossia per fondare un Regnum la cui identità è appunto quella di una totalità corporea. L'uomo è un essere
divino risiedente nel corpo, per mezzo del quale la creazione viene mantenuta e portata a compimento grazie
alla conoscenza, le arti, le discipline ed i vincoli che uniscono gli uomini in una città. Dopo il Signore dell'eternità, ed il Mondo stesso, l'uomo è il terzo dio. Per il
10
pensatore francese Vallin40, sostenitore di una metafisica
integrale, l'uomo è l'opportunità data al mondo per
prendere coscienza del fatto che esso non è diverso da
Dio. In questo senso l'uomo è anima in quanto è unito
all'intelletto. L'uomo è infinitamente più che anima. E'
questa la chiave stessa dell'individuazione dell'uomo, che
è ben più che un corpo temperato dall'anima. Esso è
piuttosto un corpo-anima ossia un corpo-spirito.
Il compito cosmico affidato all'uomo trova così la sua
più completa realizzazione nel re41 , che come un essere
divino governa il mondo creato da Dio, riportando il disordine all'ordine perfetto del kòsmos. Ciò comporta primariamente la devozione, che significa disprezzo per
ogni brama. Estranee infatti all'uomo, quale essere divino, sono le cose corporee del mondo, che vanno riportate al divino.
La mortalità dell'uomo non è così altro che l'espressione
del compito che esso ha di conservare il mondo inferiore
ed evitare che esso si dissolva nel nulla sotto la spinta annientante del Male. L'unica giustificazione del corpo è
la cura (divina) del mondo inferiore.
Così cos’è la salvezza a questo punto, e pertanto la vera
salute?42 E' la misericordia divina che ci sottrae infine
alla mortalità, cioè al compito che temporaneamente è
stato affidato all’anima calata nel corpo, e restituisce così
l’uomo alla divinità.
Vivere è insomma servizio, spogliarsi e non vestirsi, sacrificio. Altro che equilibrio survivalista. Questa è la ricompensa del prendersi cura del mondo. ”A quanti,
invece, siano vissuti per sé soli ed empiamente, è negato il
ritorno al cielo ed è stabilita una degradante migrazione in
altri corpi, indegni di un animo santo“, dice il Corpus
Hermeticum. Non diversi sono gli accenti con cui i
Veda, il testo sacro indù, vedono il senso della vita
umana. L'uomo che vive come un dio, dunque regna.
Sono questi, a nostro avviso, i veri e profondi scenari di
una riflessione sul senso dell’arte di curare.
In conclusione, riferendoci alla pretesa di Hahnemann
che una volta eliminati tutti i sintomi della malattia non
resti che la salute, una volta posto che questa condizione
di supposta salute è resa sospetta dalla sua mescolanza
inevitabile con un male del mondo che non è stato per
nulla toccato dalla cura, allora le parole del medico tedesco possono essere corrette da quelle di Platone nel Filebo. “Socrate – Che ogni mescolanza, qualunque sia e
comunque sia fatta, se non ha realizzato la misura e la proporzione, determina necessariamente la rovina dei suoi
componenti, e ancor prima di sé stessa. Infatti non c’è neppure un vero misto, ma risulta ogni volta un puro insieme
non amalgamato, che rovina le realtà che lo contengono in
sé”.43 g
Bibliografia
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42. Corpus Hermeticum, op.cit, 11-13, pag. 531-537.
43. Platone, Filebo, op.cit, 64e, pag. 227.
Lucia Romeo -Vorreisottoporviuncaso:bambinodi6annioperato
allanascitadimegacolon.Tuttobene,crescitanellanorma,magrino,
Dalle pagine di OmeopatiaOnline...
panciaunpòglobosa,genitoriattenti,equilibriobuono;hannoun
altrofiglio.Vienedameperchèstufididarefarmaci,inquantoil
bimbohaalternanzedifecidureeavolteinvecesporcalemutandeconfeciliquide:datal'età,questoiniziaacreareproblemi.Glihodato
ColostrononieBenefibra,uncucchiainoalgiorno;questohamiglioratolastipsi,marestailproblemadellefecichesporcanolemutande.
Aveteideemigliori?
Simonetta Bernardini -CaraLucia,questobambinoha,oltreaisolitimotivipsicologicidiencopresi,anchemotiviorganiciessendostato
operatodimegacolon.Nontrascurerei,selatipologialoconsente(misembradisì,dacomelodescrivi)ilmedicinalechenellamiaesperienza
dàmiglioririsultatisiaperlastipsi(classichefeciapecorella),siapergliaspettimentali,siaperlamagrezza:Natrummuriaticum.Spessoper
lastipsiassocioLycopodiuminbassadiluizione:alla9CH,tregranulialgiorno.
Luca Biasci -Haiscrittocheilbambinoèinequilibrioeigenitorisonoattenti,maunpochinodimentalenonguasterebbeperunaprescrizione
chenonsiasoltantocostituzionaleodorganotropica(contuttoilrispettoperlacostituzioneegliorgani)enonostantecisiacertamenteuna
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masefosseveralaprimaipotesi:comehavissutolanascitadelfratellino?Cisonoaltrecausalitàonotecaratterialiancheminime?
Luca Biasci -DareidelGelsemiumaigenitoriperplacarelaloroansiaedell'Ignatiaalbambino,duevoltedieper1mese;spessoriequilibria
l'asseorto/parasimpatico.
segue a pagina 35
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
11
CONTRIBUTI ORIGINALI
I raggi invisibili in diagnostica e terapia
Alberto Laffranchi
Specialista in Radiodiagnostica e Radioterapia, Fondazione IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
E-mail: [email protected]
L
a notte dell’8 novembre 1895 il prof. Wilheim
Konrad Roëntgen, Fisico dell’Università di Wurzburg, nel buio assoluto del suo laboratorio, dopo
l’accensione di un tubo di Cookes, un pallone di vetro
sotto vuoto spinto in cui passa la corrente elettrica, vide
per la prima volta illuminarsi una piastra di platicianuro
di bario posta all’altra estremità della scrivania. Spegnendo il tubo la luce della piastra scompariva, ma immediatamente riappariva riaccendendo il tubo. Lo stesso
evento si verificava coprendo il tubo con schermi come
cartone nero, libri di oltre 1000 pagine e altri oggetti,
fino ad una distanza di oltre due metri. Infine, interponendo la propria mano si accorse che lo scheletro della
stessa compariva sulla piastra: le ossa erano dunque in
grado di frenare, almeno in parte, le misteriose emissioni.
Il giorno seguente Roëntgen chiese a Berta, sua moglie,
di interporre la propria mano. Il momento fu memorabile, fu realizzata la prima radiografia della storia: una
mano con anello sull’anulare. Poiché i misteriosi raggi,
in grado di attraversare oggetti e di impressionare lastre
fotografiche, erano invisibili, considerando che in matematica l’incognita è identificata dalla lettera X dell’alfabeto, decise di battezzarli “raggi X”. Nel 1901 Roëntgen,
per questa sua scoperta, ricevette il premio Nobel per la
Fisica.
L’uso moderno dei raggi X
Attualmente i raggi X, come è noto, vengono impiegati
sia per la diagnostica (radiografie e TC), sia per la terapia,
ad alte e a basse energie. Per la terapia le radiazioni utilizzate vengono prodotte sia artificialmente, mediante
apparecchiature radiogene come l’acceleratore lineare
(alte energie) e la Roëntgen-terapia (basse energie), sia
da sorgenti presenti in natura, le più note sono il Cobalto
60 e l’Iridio191. Le radiazioni da fonti naturali vengono
denominate “raggi gamma”. Oggi sappiamo che le radiazioni X e gamma altro non sono che fotoni, ovvero
Tabella 1 - Cronologia
degli eventi biologici
successivi all’irradiazione.
12
particelle senza carica elettrica che, attraversando i tessuti, possono danneggiare direttamente o indirettamente
attraverso complessi fenomeni ossidativi, il DNA delle
cellule. Tale possibilità è cruciale per la radioterapia oncologica che basa la sua efficacia terapeutica sulla possibilità di danneggiare in maniera irreversibile le cellule
tumorali maligne.
La radioterapia, infatti, insieme a chemioterapia e chirurgia, rappresenta un’importante metodica, in alcuni
casi unica ed insostituibile, nel trattamento delle neoplasie1-3. Nella moderna radioterapia, sia grazie all’approfondita conoscenza della fisica delle radiazioni, sia al
miglioramento della tecnologia, si è potuto ottimizzare
le terapie rendendole molto efficaci contro le cellule tumorali e contemporaneamente rendendo trascurabili per
incidenza, gravità ed entità, i danni sulle cellule sane circostanti il tumore, inevitabilmente attraversate dal fascio
radiante a dosi terapeutiche4,5.
Resta comunque una quota di pazienti, non prevedibile
prima del ciclo terapeutico, che andrà incontro ad un
danno acuto, sub-acuto e/o cronico dei tessuti sani colpiti dalle radiazioni.
Effetti tossici da radioterapia
La tossicità delle radiazioni ionizzanti utilizzate in terapia
è determinata: a) dalla qualità del fascio radiante; b) dal
tipo di tessuti inclusi nel campo; c) dalla dose per frazione; d) dalla dose totale; e) dalla sensibilità alla radioterapia dei tessuti inclusi nel campo6.
Ciascuna delle funzioni cellulari può essere compromessa
per una sequenza di effetti fisici, chimici e biochimici.
Gli effetti delle radiazioni su enzimi, RNA, DNA e in
genere sui processi metabolici di sintesi ed energetici possono tradursi in modificazioni delle strutture sub-cellulare (membrane cellulari, nuclei, mitocondri, lisosomi),
attraverso modificazioni biochimiche (turn-over metabolico, sintesi ormonale), fino a causare degenerazione
cellulare, inibizione della mitosi e, infine, morte della
cellula stessa. Gli effetti tossici che si manifestano sulle
strutture biologiche si distinguono in acuti e cronici, i
primi intervengono rapidamente, a volte durante la terapia stessa, più frequentemente alla fine del ciclo, i secondi che compaiono a distanza di uno o più anni,
raramente di decenni. In tabella 1 abbiamo riportato la
cronologia degli eventi biologici successivi all’irradiazione.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
Tutte le cellule dell’organismo possono subire lesioni radioindotte, ma esiste una scala di sensibilità relativa (specie per i danni acuti) per le differenti tipologie cellulari.
Di seguito riportiamo in ordine di sensibilità decrescente
i vari gruppi cellulari: a) spermatogoni; b) linfociti, eritroblasti, granulociti, mieloblasti; c) cellule basali e cripte
intestinali, stomaco, colon; d) cellule ovariche, cutanee,
delle ghiandole, alveolari polmonari, dotti biliari; e) cellule endoteliali; f ) cellule connettivali; g) cellule tubulari
renali; h) cellule ossee; i) cellule nervose; l) cellule muscolari.
Esistono poi per ogni citologia effetti graduati di entità
crescente all’aumentare della dose radiante, che può essere in unica dose o frazionata nel tempo. La patogenesi
comune a tutte le lesioni da raggi è stata dimostrata essere il danno vascolare4, 7, 8.
Effetti graduati
delle radiazioni ionizzanti sulla cute
La cute è il tessuto che rientra più frequentemente nel
campo d’irradiazione della radioterapia (ad eccezione
delle forme di brachiterapia), ed è coinvolta sempre, qualunqe sia l’organo da trattare. E’ pertanto importante valutarne specificatamente gli effetti lesivi. L’epidermide è
un tessuto particolarmente radiosensibile, riparabile e
non subisce un effetto cumulativo dell’esposizione a radiazioni. Il derma e l’ipoderma, invece, sono strutture a
rinnovamento lento, sono relativamente più radioresistenti, hanno meno possibilità di riparazione e subiscono
l’effetto cumulativo dell’irradiazione.
Lesioni cutanee precoci di un’irradiazione cutanea focale
sono rappresentati da: a) eritema, edema e vasodilatazione per una dose di 5 Gy; b) epidermide secca, seguita
da depilazione, desquamazione per almeno due settimane, per una dose di 10 Gy; c) radiodermite essudativa
con flittene per una dose di 15 Gy gg; d) radiodermite
acuta con necrosi per una dose di 2-30 Gy.
Lesioni cutanee tardive, determinate da sequele riparative, si osservano per dosi superiori ai 10 Gy. Al di sotto
di tale esposizione la guarigione è usualmente senza sequele. Oltre tale esposizione, invece, si hanno alterazioni
minime quali alterazioni della pigmentazione. In un
tempo variabile da 1 a 5 anni si osservano quadri di dermite cronica, che si manifesta con atrofia cutanea, secchezza, alterazioni delle unghie, teleangectasie, fibrosi e
cheratosi.
Gli effetti acuti della radioterapia su cute e mucose consistono quindi, usualmente, in una risposta infiammatoria: a) eritema; b) edema; c) pigmentazione; d)
mucositi. Queste reazioni più frequentemente si osservano nei caso di radioterapie palliative, perché richiedono elevati dosi giornaliere ravvicinate nel tempo, una
o due settimane. Le radiolesioni cutanee presentano,
come alterazione anatomo-patologica caratteristica, le alterazioni vasali: vasodilatazione, alterata permeabilità endoteliale, riduzione del letto e del flusso capillare.
Si tratta di fenomeni patologici locali che possono persistere anche a lungo, come stanno a dimostrare la lenta
regressione del danno e talvolta la loro non completa
scomparsa, oltre alla possibile insorgenza e persistenza di
teleangectasie.
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La radiodermite eritematosa è caratterizzata dalla comparsa di chiazze eritematose con tendenza alla confluenza, fino ad invadere tutto il campo cutaneo
irradiato. La cute è arrossata, edematosa, spesso pruriginosa. Successivamente il colorito si fa più intenso, rosso
rame, l’edema si attenua; a distanza si osserva caduta di
annessi e desquamazione dell’epidermide, residuando
una pigmentazione cutanea variabile. Talvolta l’edema
può coinvolgere il connettivo pervasale del derma.
La radiodermite eritemato-bollosa viene distinta istologicamente dal quadro di eritema per la scomparsa quasi
totale, per citolisi, degli elementi dello strato germinativo
basale dell’epidermide, già pochi giorni dopo l’irradiazione. La formazione delle bolle è correlata alla comparsa
di versamento sieroso che si forma tra derma ed epidermide nella stessa sede occupata dallo strato germinativo
distrutto. La cute alla periferia della lesione si pigmenta
intensamente, formando un alone scuro che contrasta
con la cute sana circostante. La rigenerazione spontanea
dell’epidermide, data la scomparsa dello strato germinativo basale, usualmente avviene per proliferazione dei
bordi della lesione ed impiega parecchi giorni (anche 20
giorni e più) seguendo i principi di rigenerazione cutanea
per seconda intenzione descritti per la prima volta nella
metà dell’800 da Ranvier. In entrambi i casi l’eritema è
sostenuto dalla vasodilatazione.
La dermite cronica è caratterizzata da comparsa di ispessimento ed indurimento cutaneo, iperpigmentazione, caduta degli annessi, atrofia del connettivo, con sclerosi.
Perché ciò si verifichi sono necessari almeno tre eventi
contemporanei: l’ipovascolarizzazione (per danno subito
dai vasi arteriosi), l’ipossia tessutale (cioè l’assenza di ossigeno), l’ipocellularità (per la morte cellulare). In queste
situazioni il rischio di complicanze, quali ulcere, fistole,
infezioni croniche specie ad opera di staphilococcus4,5 è
abbastanza frequente.
Campi elettromagnetici e terapia
Gli atomi, come sappiamo, sono formati da nuclei e da
nubi elettroniche; nei nuclei si trovano i protoni, particelle dotate di carica elettrica positiva. Essi ruotano attorno al loro asse. La carica elettrica connessa al protone
quindi gira insieme ad esso. Una carica elettrica in movimento crea una corrente elettrica e una corrente elettrica crea un campo magnetico. Da un punto di vista
fisico, le diverse cellule dell’organismo caratterizzate da
una forma differente a seconda del tessuto biologico al
quale appartengono, possono essere considerate dei dipoli elettromagnetici. Tale diversità di forma provoca una
differenza della polarità di membrana a cui consegue una
differenza della corrente endogena che le attraversa,
quindi una differente densità del campo magnetico che
è ad esse associato. Il campo magnetico cellulare è, dunque, strettamente legato alla massa-forma della cellula in
esame.
Un esempio pratico è rappresentato dalla Risonanza Magnetica Nucleare che riesce a creare immagini dei tessuti
in esame discriminando il diverso campo magnetico endogeno della cellula stessa, sfruttando un campo magnetico statico e la contemporanea presenza di impulsi di
radiofrequenza non costanti9.
13
CONTRIBUTI ORIGINALI
In magnetoterapia di risonanza le cellule del tessuto biologico bersagliato vengono sollecitate con campi magnetici esterni che hanno le stesse caratteristiche fisiche dei
campi magnetici endogeni alle cellule stesse10-13.
Tali sollecitazioni, in tessuti biologici complessi, che tendono fisiologicamente ad un continuo cambiamento attorno alla condizione di equilibrio, sono in grado di
spingere il tessuto bersaglio verso lo stato di equilibrio
biodinamico opportuno, che corrisponde allo stato di
omeostasi energetica-biochimica compatibile con la salute del Paziente14.
Effetti biologici dei campi magnetici
L’azione dei campi magnetici pulsati va dunque interpretata come una cessione energetica che tende a ripristinare gli squilibri energetici, cioè gli squilibri indotti
dalle cariche elettriche delle cellule.
Inoltre, essi consentono di ottenere un aumento loco regionale della concentrazione di O2 per ragioni non del
tutto chiarite, tra le ipotesi più accreditate vi è quella di
Lenzi15, che sostiene tre ragioni principali: a) in primo
luogo avviene una vasodilatazione del letto capillare; b)
Tabella 2 - Effetti
elettromagnetici
sulla materia vivente.
l’emoglobina è ferromagnetica, pertanto viene attratta
dai campi elettromagnetici applicati ad un determinato
distretto; c) in seguito, l’emoglobina giunta in loco libera
l’O2 legato ad essa; questo viene modicamente attratto
dal campo magnetico che tende così ad aumentarne la
concentrazione anche nei tessuti ipossici.
Gli effetti biologici dei campi magnetici pulsati16 ritenuti
più importanti sono quindi: a) effetto anti-infiammatorio; b) vasodilatazione del microcircolo (per apertura
degli sfinteri pre-capillari); c) effetto ossigeno (aumentando la concentrazione di O2); d) effetto neoangiogenico (stimola la formazione di nuovi vasi); e) stimolo
rigenerativo dei tessuti.
Corrispondenza tra effetti biologici
dei campi magnetici e danno radioindotto
Le principali alterazioni presenti nei tessuti affetti da lesioni radioindotte sono: a) edema e stato infiammatorio;
b) ipovascolarizzazione (soprattutto per danno ai vasi arteriosi); c) ipossia tessutale; d) ipocellularità locale.
Confrontando gli effetti biologici della magnetoterapia
con le alterazioni dei tessuti radiolesi se ne può apprezzare l’elevata corrispondenza. La magnetoterapia sembra
possedere, quindi, tutte le caratteristiche necessarie a
contrastare i danni causati dall’azione dei Raggi X e per
questo si può intravederne la possibilità d’utilizzo a scopo
terapeutico.
14
Apparecchiature e modalità di applicazione
della magnetoterapia
Per la terapia con campi magnetici si utilizzano apparecchiature a solenoide sia portatili, per la terapia domiciliare, sia fisse, per la terapia ambulatoriale. Esse sono
costituite da bobine emettitrici di rame, avvolte a spirale
attorno ad un cilindro di materiale amagnetico.
Ciascuna bobina, a seconda del numero e delle dimensioni delle spire, avrà un proprio campo magnetico che
si svilupperà al centro dell’area in cui si posiziona il tessuto patologico da trattare.
I campi magnetici utilizzati in terapia sono caratterizzati
da bassa intensità e bassa frequenza. L’intensità delle singole bobine varia da 10 a 100 Gauss, con valori usuali
di 20-30 Gauss9. Si tenga presente che in RMN si utilizzano campi magnetici di 0.2-2 Tesla (1 Tesla = 10000
Gauss) e che il campo magnetico terrestre è mediamente
di 0.5 Gauss. La frequenza dell’onda si aggira intorno ai
50Hz (frequenza della rete elettrica in Italia). Si è notata
un’elevata interazione tra campo magnetico a bassa frequenza e materia biologica, con riscontro in particolare
di effetti cellulari (stimolazione delle mitosi e aumentata
sintesi di DNA e proteine), effetti umorali (stimolazione
immunitaria) ed effetti anti-infiammatori (tabella 2).
Il tempo di esposizione al campo magnetico per ogni seduta è variabile, dai 30 min. ai 60 min.; spesso si preferiscono due sedute giornaliere di 30 min., anziché
un’unica seduta di 45-60 min. Il trattamento quotidiano
deve essere protratto considerando la patologia da trattare. Per le lesioni cutanee acute possono bastare pochi
giorni di terapia (da 4 a 20 giorni), mentre per le lesioni
cutanee croniche, ulcerate e per le alterazioni ossee come
le osteoradionecrosi, vanno di necessità trattate con la
magnetoterapia per mesi (da un minimo di 3 ad un massimo di 12).
Applicazioni cliniche della magnetoterapia
Esistono applicazioni terapeutiche dei campi magnetici
pulsati a bassa frequenza in differenti settori della medicina: a) in ortopedia, nelle distorsioni articolare acute,
nei casi di traumi con ritardi di consolidamento di fratture (stimolazione della proliferazione di tessuto osseo);
b) in angiologia, per flebopatie e arteriopatie (stimolazione di angiogenesi); c) in dermatologia, per ulcere, radiodermiti, psoriasi (stimolazione della proliferazione
cellulare); d) in oncologia, per il trattamento di dolore e
nevriti (azione antiedemigena, antiflogistica) esclusivamente in pazienti clinicamente liberi da malattia tumorale. A ciò si aggiunge il ruolo terapeutico nel
trattamento di lesioni radioindotte, prime tra tutte le
osteoradionecrosi della mandibola, oltre alle lesioni cutanee acute e croniche, a cui si possono associare lesioni
a lungo termine quali per esempio le osteoradionecrosi.
Trattamento di lesioni cutanee:
medicina naturale come supporto
alla magnetoterapia
Al trattamento di lesioni cutanee radioindotte, alle sedute quotidiane di magnetoterapia si possono associare
altri elementi terapeutici non convenzionali.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
Lesioni
Peraltrocutanee
sembraacute
che le intuizioni di Hahemann non
In presenza di lesioni cutanee eritematose con disepitelizzazione, edema e possibile ulcerazione superficiale l’atteggiamento terapeutico deve mirare: a) ad evitare la sovra
infezione; b) risolvere l’infiammazione; c) ridurre l’edema;
d) ridurre l’ipossia locale; e) ripristinare l’ossigenazione; f)
stimolare la rigenerazione tessutale. Come primo passo terapeutico è importante, pertanto, eseguire una corretta detersione della ferita. Dalla letteratura non vi è concordanza
sulle modalità di detersione. Interessante e molto pratica
l’ipotesi di utilizzare una seduta di 30’ di magnetoterapia
al giorno, preceduta e seguita da lavaggi con una soluzione
di Citrato di Sodio e Saccarosio al 6%17; si tratta dell’uso
improprio di un notissimo prodotto granulare di libera
vendita, che ha come principale indicazione la pirosi gastrica. Va chiarito che il citrato di sodio ha una nota azione
anticoagulante. Poiché nell’eritema bolloso la presenza di
residui siero-ematici creano un velo appiccicoso che crea
notevoli problemi pratici (le garze si accollano alla ferita
rendendone dolorosa la loro rimozione, che a sua volta
provoca sanguinamento e aggravamento della lesione ulcerata) è importante ridurre rapidamente secrezione sierosa della ferita. Si è visto sperimentalmente che la
soluzione di citrato di sodio al 6% è in grado di detergere
perfettamente la ferita aperta, questo perché ne consente
l’asportazione dei coaguli di fibrina, lasciando una ferita
pulita che, anche grazie alla magnetoterapia, nell’arco di
tre, quattro giorni si secca, consentendo il contatto con le
vesti. Da questo studio, così come era suggerito negli anni
sessanta, è stata confermata l’utilità di mantenere la ferita
scoperta all’aria, senza bendaggi occlusivi, per favorirne
l’ossigenazione superficiale, dunque la guarigione.
Lesioni cutanee croniche
Nel caso di radiodermiti croniche ai campi magnetici si
possono associare farmaci omeopatici scelti mediante una
repertorizzazione sintomatica, a volte assieme a farmaci
dotati di tropismo tessutale18. I rimedi più usati sono
Thuja occidentalis quale rimedio di fondo per le turbe
della pelle e un’associazione di farmaci iniettabili somministrati localmente in mesoterapia. Le combinazioni dei
rimedi variano da caso a caso, scelti fra Echinacea Compositum S, quale stimolo del sistema immunitario verso
le infezioni batteriche, oltre ad Arnica montana, Vipera
berus, Aesculus hippocastanum, tutti con tropismo selettivo per il sistema vascolare, ove agiscono contribuendo,
tra l’altro, alla protezione delle pareti vascolari; la frequenza di somministrazione può essere quotidiana o a
giorni alterni fino al miglioramento clinico, successivamente settimanale per almeno 2-3 mesi. Il meccanismo
d’azione dei farmaci omeopatici come noto è probabilmente di tipo biochimico alle basse diluizioni e si suppone
sia di tipo elettromagnetico alle alte, in qualche modo affine al meccanismo d’azione della magnetoterapia.
Conclusioni
I criteri guida che consentono di proporre, quali scelte
terapeutiche per lesioni da Raggi X quelle sopra citate,
sono quelli legati alla fisiopatologia delle lesioni stesse,
ovvero al danno vascolare. Quanto descritto nel lavoro
fornisce informazioni sul possibile trattamento delle leHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
sioni cutanee da raggi, quando queste sono caratterizzate
da marcata sofferenza vascolare e da ipossia tessutale, indipendentemente dalla gravità della lesione. I campi magnetici sono utilizzati, secondo le modalità citate,
principalmente per il loro effetto anti-infiammatorio, angiogenico e per l’effetto ossigeno. Ad essi si possono associare altre terapie di derivazione omeopatica, specifiche
per il determinato tipo di danno riscontrato. In conclusione, alla luce della letteratura e di quanto presentato
in questo lavoro, si ritiene che nel futuro prossimo gli
approcci terapeutici sopra descritti, di semplice realizzazione, ma di sicuro risultato, considerando la quasi totale
assenza di effetti collaterali, potranno fornire una rapida
risposta e buoni risultati clinici nel trattamento delle lesioni acute e croniche indotte dalla radioterapia. g
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15
L’OMEOPATIA RACCONTATA
Il fantasma dei globulini
Italo Grassi
Medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva. Esperto in omeopatia.
E-mail: [email protected]
La notizia arrivò in paese come un fulmine a cielo sereno.
Il castello dei conti Perossi era, da qualche tempo, frequentato da un fantasma.
- Questo spettro appare nelle notti di plenilunio. - spiegò
Ortensia Pecca, magistrato e amica dell’anziana contessa,
ultima discendente dei Perossi.
- Si aggira per il castello e cerca di uccidere, con un’antica
mazza da guerra, la contessa Perossi. Ci ha già provato
due volte.
Tarcisio Giretti, medico omeopata, intento alla lettura
di un giallo di Patricia Highsmith, sbuffò: - Fai irruzione
nel castello con una squadra di poliziotti e arresta l’assassino che si spaccia per fantasma.
Ortensia Pecca scosse la testa: - Il mese scorso, appena
gli agenti sono entrati nel castello, il fantasma è scomparso nel nulla. La contessa è convinta che sia Manfredo
Perossi, un suo avo vissuto nel 1500, tristemente famoso
per avere ucciso, in un momento di follia, tutta la sua
famiglia a colpi di mazza.
Il magistrato estrasse dalla borsa un tubulo omeopatico
vuoto, una monodose di Mancinella. - Questo l’ha perduto il fantasma durante la sua ultima apparizione. Ho
fatto fare dei pedinamenti e, tra coloro che frequentano
il castello, ce n’è uno che usa questo rimedio: Girolamo
Cucchiero, il giardiniere siciliano. Due volte al mese
scende in paese e si reca in farmacia ad acquistare delle
monodosi di Mancinella. Purtroppo io non posso arrestarlo soltanto perché prende lo stesso rimedio omeopatico del fantasma.
Il dottor Giretti chiuse il libro, si grattò il mento e disse:
- Va bene. Ci penso io.
Passò un mese. Al castello non accadde assolutamente
nulla. Il paese, invece, fu turbato da alcuni strani episodi.
Per due volte, ignoti scassinatori, dopo avere forzato la
serratura dell’entrata posteriore, penetrarono all’interno
della farmacia senza, tuttavia, rubare né soldi né farmaci.
L’altro evento, molto più inquietante, capitò a Virginia
Santi, cinquantenne insegnante di Lettere del liceo classico, donna nubile e dai morigerati costumi, catechista,
promotrice di ritiri spirituali e organizzatrice di corsi prematrimoniali. La pia donna fu fermata, a mezzanotte,
dai carabinieri mentre, in bicicletta e completamente
nuda, sfrecciava lungo le vie del paese cantando a squarciagola la canzone: “Sono una donna, non sono una
santa”. Arrestata per aver compiuto un tentativo di molestie sessuali nei confronti di un carabiniere, scambiato
per il demonio, l’insegnante fu liberata e accompagnata
a casa, in gran segreto, da don Luigi Piromalli, il parroco
del paese. Si pensò ad un momentaneo malessere della
donna, dovuto a stanchezza, quindi la notizia non fu di-
16
vulgata e Virginia Santi poté continuare a insegnare. Purtroppo, una settimana più tardi, mentre al liceo teneva
una lezione sulla poesia del Leopardi, colpita da un altro
raptus erotico, Virginia Santi si spogliò e cercò di avere
un rapporto sessuale con il preside Anselmo Merciatti,
insigne studioso di latino, molto noto per il suo spirito
ascetico e, da anni, afflitto da gravi problemi cardiaci. Il
poveretto, scambiato per Satana dall’invasata insegnante,
fu ricoverato d’urgenza in cardiologia e Virginia Santi,
con altrettanta urgenza, fu portata in una clinica psichiatrica.
Nella notte successiva c’era luna piena. Raggi di luce penetravano all’interno del castello attraverso i finestroni
delle pareti laterali. Un’inquietante figura spettrale comparve sulla cima dello scalone settecentesco. Alto quasi
due metri, avvolto in una corazza dai riflessi argentati,
con un naso adunco e bitorzoluto, i capelli dritti come
percorsi dalla corrente elettrica, il fantasma di Manfredo
Perossi iniziò a scendere le scale. Il pesante silenzio fu
rotto dalla sua lugubre risata e dal tintinnare della mazza
chiodata contro la balaustra. Ma una folata di vento spostò il vetro di un finestrone che, aprendosi, andò a sbattere contro la schiena di Manfredo Perossi.
- Minchia, che male! - Esclamò il fantasma.
Accanto a lui si materializzò una figura alquanto bizzarra.
Il lungo mantello, confezionato dalla nonna, il viso ricoperto di farina, le occhiaie nere disegnate con il carboncino, due lunghi e prominenti canini sporgenti tra
le labbra, Tarcisio Giretti aveva riesumato il costume utilizzato al carnevale di Viareggio nell’ormai lontano 1985.
- Cu è? - Domandò, rigido di paura, il fantasma di Manfredo Perossi.
- Sono Nosferatu - farfugliò, Tarcisio Giretti, mentre ad
ogni parola rischiava di cacciar fuori dalla bocca la vampiresca dentiera.
Manfredo Perossi balbettò: - Nosferatu? Che vo da me
un fantasma sardo?
Il medico, messa finalmente a posto la dentiera, esibì i
lunghi canini e, spalancando due rami che volevano assomigliare ad artigli, gridò: - Idiota, Nosferatu sta per
vampiro!
- Beddra Matri! - esclamò Manfredo Perossi.
Terrorizzato, indietreggiò, scivolò a causa dei tacchi
troppo alti e ruzzolò giù dalle scale. Immediatamente le
lampadine del grande lampadario si accesero e la luce illuminò il salone. Ortensia Pecca si precipitò sul fantasma
che, disteso sul pavimento in marmo con una gamba
fratturata a causa della caduta, guaiva come un cagnolino
bastonato. Il magistrato gli tolse il naso posticcio e la parrucca.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
L’OMEOPATIA RACCONTATA
Sotto comparve la testa pelata e il viso spaventato di Girolamo Cucchiero.
- Il giardiniere! - esclamò l’allibita contessa Perossi.
- Lei, contessa, aveva prestato molti soldi a questo signore. - spiegò Ortensia Pecca.
- Denaro che Girolamo Cucchiero non aveva alcuna intenzione di restituirle. Da qui la messinscena dell’avo
tornato per ucciderla. Il giardiniere, molto pratico di
questo castello, compariva e scompariva attraverso botole, utilizzando passaggi segreti che solo lui conosceva.
Se non fosse stato per il dottor Giretti, anche questa volta
l’avrebbe fatta franca.
Finalmente Tarcisio Giretti poté sputare fuori la dentiera
dalla bocca e disse: - Girolamo Cucchiero, pur travestendosi da fantasma, temeva il buio e le apparizioni soprannaturali. Infatti Mancinella, il rimedio che lui assumeva
ogni qualvolta si travestiva da Manfredo Perossi, è utile
per coloro che hanno paura dei fantasmi, del diavolo e
che, al buio, soffrono di ogni forma di allucinazione. Io
sono penetrato nella farmacia dove il giardiniere si procurava questo rimedio e, per due volte, ho sostituito le
monodosi di Mancinella con altre contenenti semplici
globulini di zucchero. Privato dell’effetto del rimedio, il
giardiniere mi ha scambiato, al buio, per un vero vampiro e non ha avuto la forza di fuggire.
Il medico si fermò un attimo, poi, sommessamente,
mormorò: - Però non ho pensato che, in paese, ci fosse
qualcun altro, come la professoressa Santi, ad utilizzare
Mancinella. La poveretta lo assumeva per calmare le sue
ossessioni sessuali unite all’idea della possessione con il
diavolo. Bisogna che vada subito in clinica psichiatrica a
portarle una vera monodose di Mancinella... g
CONTRIBUTI ORIGINALI
L’approccio omeopatico al paziente che ha paura
Calma, sangue freddo e occhio all’essenza
Luca Biasci
Medico psichiatra, Dirigente medico ASL 5, Psicoanalista, esperto in omeopatia
E-mail: [email protected]
N
ella mia esperienza clinica ho maturato la convinzione che, di fronte alla richiesta d’aiuto di
un paziente che ci chiama in causa in quanto
omeopati per una sua, specifica, paura, l’essenziale è essere
in grado di “assumere su di se ed in se” quel particolare
stato d’animo senza, al contempo, perdere la capacità di
osservare il fenomeno con il sufficiente distacco. La paura
del paziente “va fatta nostra”, va vissuta nel proprio corpo
e nella propria mente, va incarnata, va compresa (nell’accezione anche letterale di sostenere e capire insieme) se si
vuole sperare di coglierne “l’essenza psicopatologica”.
Questo atteggiamento empatico del medico è la conditio
sine qua non per poter quindi mettere in atto quell’opera
di comparazione analogica tra il quadro clinico del paziente e quella che George Vithoulkas ebbe a definire, appunto: “l’essenza psicopatologica del rimedio
omeopatico”, cioè la sintesi dei sintomi mentali ed emozionali, peculiari e fondamentali, come sono emersi dai
proving, ma anche e soprattutto, come essi si sono fissati
nella memoria del medico nel corso della sua personale
pratica professionale, per così dire, “dal vivo”. Va da se
che, nella seconda fase in cui si tratta di identificare il rimedio, si deve esser capaci di riemergere prontamente
dalla volontaria e consapevole identificazione con il paziente, per riacquistare lucidità e capacità riflessive, pur
trattenendo nella nostra memoria ben chiara l’imago, la
figura pittorica interiore che di quella particolare paura
ci siamo fatti, vivendola anche in prima persona. Certamente quello che ho brevemente descritto non è altro che
uno dei passaggi fondamentali della presa del caso secondo Vithoulkas e può essere genericamente valido per
qualsiasi situazione si presenti nell’ambulatorio del medico, soprattutto quando si evidenzia come prevalente
una sintomatologia psicopatologica. Ma secondo la mia
esperienza, nel caso del paziente che ha paura, questa specifica impostazione metodologica si rivela addirittura indispensabile e cercherò quindi di dare ragione, molto
sinteticamente, di questa mia laconica affermazione.
Innanzitutto la paura non è che un sintomo attraverso il
quale il paziente esprime e vive il proprio conflitto interiore perché le sue difese nevrotiche (ma potremmo anche
dire il suo sistema omeostatico PNEI, codificato dalle
predisposizioni genetiche dell’organismo e dalle sue successive modificazioni epigenetiche) trovano quel tipo di
apparente risoluzione del problema, con la minima dispersione possibile di energia psichica per quel soggetto
(si utilizzano i loci minoris resistentiae per contenere l’entropia). Avere un insight improvviso comporterebbe un
livello acutissimo di sofferenza soggettiva per il paziente,
con un possibile collasso del sistema (possibile switch
18
verso la patologia organica, di gravità maggiore e prognosi
peggiore). Quindi è necessario tenere presente che il paziente tende a “tenersi bene stretta la sua paura” e non
farà nulla per aiutare il medico a togliergliela, anzi farà di
tutto per contrastarlo, confondendo inconsciamente le
acque e trasformando in un rebus la propria fobia. Ecco
perché il terapeuta dovrà fare leva su tutta la sua capacità
empatica per immergersi nel “bagno emozionale” del paziente alla ricerca “del bandolo della matassa”, non allo
scopo di illuminarlo con delle inutili spiegazioni, ma per
cogliere l’essenza di quel sintomo o di quei sintomi, mentali, che altrimenti rimarrebbe incomprensibile proprio a
chi, invece, ha il compito di scomporre e ricomporre il
puzzle finché non emerge (nella mente dell’omeopata)
l’immagine chiara di un preciso rimedio. In secondo
luogo, però, il medico non dovrà cadere nelle trappole
disseminate dal paziente attraverso la sottolineatura (del
tutto involontaria) di sintomi somatici proteiformi e di
caratteristiche temperamentali premorbose, capaci di mascherare e dissimulare il nucleo profondo patogeno, ma
dovrà mantenersi lucido e concentrato allo scopo di operare quello sguardo focale, atto a compiere una sezione
microtomica del tessuto ed analizzarlo al microscopio (selezionare i sintomi peculiari attraverso un filtraggio ed
una scrematura della totalità dei sintomi e confrontarli
con capitoli del Mind delle materie mediche che ci sono
stati confermati dall’esperienza personale). Inoltre va sottolineato il fatto che il rimedio omeopatico, di per se, può
donare all’organismo quel surplus di energia tale da consentire al paziente di provare una attenuazione della propria paura ed al tempo stesso una spinta ad una ricerca
interiore delle cause, senza provocare quell’effetto di annullamento del senso del sintomo (soppressione) che si
ottiene con un uso indiscriminato degli psicofarmaci.
In questa sede, piuttosto che una descrizione pedissequa
della materia medica dei rimedi della paura secondo le
varie materie mediche, preferisco riferire tre microscopici
frammenti della mia attività medica dai quali credo si
possano desumere le implicazioni cliniche di quanto
prima ho cercato di argomentare metodologicamente.
Francesca è una giovane e minuta donna, dall’aspetto
mite e rassegnato, che mi consulta dopo essere stata diverse volte al pronto soccorso locale per crisi d’ansia acuta.
Si tratta di “attacchi di panico”, gli hanno sempre detto
i medici che l’hanno visitata, ci vuole una terapia con psicofarmaci. Ma lei di farmaci non ne vuole sentire parlare
e viene da me con la precisa richiesta di essere aiutata a
superare le sue paure senza “l’aiuto della chimica”.
Emerge la storia di una ragazza cresciuta all’ombra dei genitori, due illustri professionisti, sempre pronti ad ovatHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
tare la vita della figlia, “recludendola” nella camera migliore della loro sontuosa villa di proprietà, circondata da
babysitter, cuoche e maggiordomi. Il suo unico compito:
recitare il ruolo della brava ragazza. Poi, un giorno, poco
dopo il compimento del suo venticinquesimo compleanno, decide che quel ruolo non le si adatta più e fugge
con il giardiniere, extracomunitario. Storia tanto breve
quanto intensa ed una volta finita non resta che il rientro
a casa, l’onta e la vergogna. All’inizio sembra che non sia
successo niente, tutto appare come prima nella vita della
ragazza. Ma un giorno l’abituale silenzio che regna incontrastato nella grande villa viene infranto fragorosamente
da un urlo rauco ma intenso, persino agghiacciante. Tutti
si agitano, cercano di capire da dove viene. Viene dalla
camera di Francesca. La trovano a terra in posizione fetale, tutta rossa paonazza e coperta di un sudore gelido,
ha gli occhi sbarrati come di chi “ha visto la morte in faccia”, il respiro è superficiale, difficoltoso, sembra quasi
quello di un agonizzante, non parla, sembra bloccata. La
madre, disperata, la scuote e le dice: “che hai, bambina
mia, che è successo?”. “ Non puoi fare più nulla per me,
mamma, è troppo tardi... nessuno può fare più nulla” risponde Francesca, perentoria, con una voce che sembra
provenire dall’oltretomba. Scatta la chiamata al 118, la
corsa al pronto soccorso, il valium, una, due, fiale, ed infine Francesca si arrende e dorme. Quando si sveglia, non
si ricorda quasi nulla, solo che ha avuto una paura pazzesca, “da morire” e davanti a sè vede un signore con un camicie bianco che con una espressione tra il serio e il faceto
pronuncia la sentenza: DAP! Si tratta di attacchi di panico, senza dubbio. Aconitum napellus, scrivo io sulla ricetta, con altrettanta sicurezza; soprattutto dopo che
Francesca mi ha confessato che a soli 25 anni ha già chiesto di fare testamento! Convinta che non sarebbe uscita
viva da quella situazione, ed invece, dopo qualche settimana di terapia, le crisi gradatamente scompaiono: Big
Pharma ed il DSM IV o V, possono attendere. Francesca
non ha più la necessità ineluttabile di spostare, condensare e convertire simbolicamente il proprio conflitto e
può quindi avviarsi lentamente e dolorosamente alla rielaborazione del lutto della necessità di perdere (morire a)
la relazione endogamico/incestuosa con i genitori per
aprirsi alla conoscenza perturbante della dimensione maschile esogamica.
Giovanni è un ragazzone sui venti anni, di quasi due
metri di altezza, al punto che deve flettersi lievemente per
superare la porta d’ingresso dello studio; si presenta fisicamente in forma, si notano i muscoli tesi sotto la maglietta estiva, si siede lentamente, con cautela e con un
filo di voce mi sussurra: “mi aiuti dottore, sono completamente bloccato, non riesco più a fare nulla, non mangio, non dormo, piango quasi tutto il giorno e spesso
senza un vero motivo. La realtà è che ho paura di tutto,
ho paura proprio di vivere!” Dopo questa sua disperata
dichiarazione, a stenti e con grande difficoltà riesco a raccogliere l’anamnesi, perché un racconto spontaneo gli risulta impossibile: il suo eloquio, sempre scarno ed
impacciato, deve essere continuamente stimolato. Alla
fine, con poche difficoltà, riesco a raccogliere la sua storia,
e cioè quella di un ragazzo praticamente cresciuto in un
negozio di alimentari del centro, di proprietà della famiHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
glia, dove lui rimaneva pressoché seduto, nel retro, a leggersi i fumetti preferiti o al più si occupava di piccole
mansioni di gestione del magazzino. A scuola era sempre
andato poco volentieri, soprattutto non sopportava “la
confusione degli altri” e quindi, dopo la terza media, si
era “ritirato” nel magazzino del negozio, a condurre una
vita da lui stesso descritta come monotona ma tranquilla.
L’unico passatempo di una qualche importanza era il
body building, che Giovanni praticava in solitudine, nel
garage attrezzato subito adiacente al negozio, tra un “lavoretto” e l’altro. Giovanni si definisce e viene definito
piuttosto schivo, imbranato, ma, tutto sommato, sta simpatico a tutti. I familiari lo amano per come è, e i clienti
lo prendono in simpatia, per il suo carattere docile e servizievole, spesso gli lasciano le mance. Poi accade l’evento
che gli cambia la vita o meglio gliela annulla completamente. Il papà, vero pater familias e factotum, amministratore e gestore unico del negozio, muore
improvvisamente e Giovanni, il primogenito, viene chiamato ad assumersi le proprie responsabilità. In realtà la
situazione non è oggettivamente così drammatica come
potrebbe sembrare ad una prima analisi, perché Giovanni
non è affatto solo: ha una madre in buona salute, un fratello e due sorelle, tutti impiegati nell’azienda di famiglia
da sempre e quindi capaci ed informati e può anche contare su un ottimo ragioniere che si è sempre occupato
delle questioni amministrative. Il punto è che Giovanni
non ce la fa proprio ad assumersi nessuna, seppur minima, responsabilità, come, per esempio, mettere semplicemente la firma sulle “bolle” di consegna della merce e,
meno che mai, riesce ad affrontare una qualsiasi relazione
con il pubblico, nemmeno per fare un resto alla cassa. Ci
ha provato, eccome se ci ha provato, a salire su quel bancone al pubblico. Ma le gambe gli tremano, sembra che
balli il twist, la bocca si secca, manca la saliva, le parole
non escono, solo qualche mugugno, la testa gli scoppia e
l’unica sensazione che sente è paura, paura ed ancora
paura, paura di tutto. In effetti un paio di volte ha cercato
di servire un cliente, ma a parte il fatto che non riusciva
ad articolare parola ha avvertito una sensazione stranissima, come se lui, dall’alto dei suoi due metri, fosse invece
piccolo, ricurvo, bassissimo, come se si fosse messo in ginocchio. Infine Giovanni mi regala un’ultima “chicca”,
confermandomi il suo rimedio. “Ormai non riesco a fare
più niente, neppure leggere i fumetti o allenarmi”, mi
dice con voce sconfortata, “c’è solo un piccolo rituale che
mi da un poco di conforto, sfiorare con la mano più volte,
quasi ad accarezzarle, la mia collezione di macchinine,
quelle che mi regalava mio padre ad ogni compleanno
quando ero bimbo. Baryta carbonica ha aiutato non poco
quel tenero bambinone troppo cresciuto ad affrontare
progressivamente le richieste della vita ed a mettere in
moto un processo di crescita e di maturazione che non
era mai veramente avvenuto e che non può che scaturire
dalla presa di coscienza del proprio onnipotente e schizoide infantilismo.
Paola è una adolescente di 15 anni che arriva in studio
accompagnata dai genitori, i quali la tengono stretta in
mezzo a loro, quasi avessero paura che potesse fuggire o
fare chissacchè. La ragazza resta silenziosa, con uno
sguardo perso nel vuoto e con una smorfia di terrore sul
19
CONTRIBUTI ORIGINALI
volto che in certi momenti, però, assume l’aspetto di un
vero e proprio ghigno, e mi fa capire che preferisce che si
esprimano i genitori. La madre inizia il racconto descrivendo la figlia come una ragazza piena di vita, giocosa,
forse un poco ipereccitabile ed impressionabile, ma che
non aveva mai dato segnali o prove di un vero e proprio
disagio “prima dell’incidente” ed aveva altresì mostrato
sempre un comportamento adeguato, sia in famiglia che
a scuola e nel gruppo dei pari. Poi, quattro mesi prima
della visita al mio studio, la catastrofe. Durante la classica
gita scolastica, in una famosa città europea, hanno deciso
tutti insieme, lei ed i suoi compagni, di visitare un famoso
luna park e, nello specifico, un “casa degli orrori”, nota
per essere particolarmente spettacolare e realistica negli
effetti speciali. Quando escono dal tunnel della paura,
tutti si accorgono subito che c’è qualcosa che non va, perché Paola se ne resta rannicchiata nella postazione mobile
con la quale era entrata nel circuito: è contratta, tremante,
lo sguardo fisso, non parla. Gli amici la fanno uscire quasi
prendendola in braccio e la riportano all’albergo. Per fortuna, il giorno dopo, la scolaresca se ne torna a casa e
Paola sembra essersi parzialmente ripresa anche se, è ancora molto silenziosa, non vuole parlare dell’esperienza
vissuta e tutti la definiscono strana, cambiata. Arrivata a
casa, subito la prima notte, dice chiaramente che lei non
dormirà nel letto ma se ne resterà nel salotto di casa, con
la luce e la televisione accesa, che non vuole essere disturbata e non vuole parlare. La prima notte i genitori la assecondano, mai poi, il giorno dopo, quando si rendono
conto che la figlia non ha un comportamento normale,
visto che non dorme, non si alimenta regolarmente, non
parla, se non a tratti da sola, e dichiara di non voler più
tornare a dormire in camera sua, pretendendo che le luci
della casa restino sempre tutte accese, decidono di affrontarla, chiedendole spiegazioni. La reazione della ragazza
è drammatica “come nel film l’esorcista”, soggiunge il
padre, e cioè comincia a contorcersi nel volto e nelle
membra, parla con una voce bassa, rauca ed alterata e ripete continuamente: “Sono posseduta, è il demonio, è il
demonio!” Interviene il medico di famiglia, chiamato
d’urgenza a casa, che le inietta un sedativo e poi prescrive
una benzodiazepina, al bisogno. La ragazza si placa, il
quadro clinico, nella sua evidenza conclamata, non si ripete. Ma anche nei giorni e nelle settimane successive
Paola è silenziosa, strana, accetta di andare in camera ma
comunque sempre con la luce accesa e dorme solo sotto
effetto dei farmaci. Se interrogata sui suoi pensieri conferma che il suo chiodo fisso è di essere stata posseduta
dal diavolo e non riesce a non pensarci e a non avere una
paura tremenda che la scuote tutta e che le sale dentro,
soprattutto quando viene sera. A questo punto interrogo
direttamente la ragazza e cerco di svegliarla da quello che
sembra un sonno da sveglia ed in effetti anche lei mi conferma che, “quando arrivano le tenebre là fuori, è come
se, contemporaneamente, crescessero le tenebre anche
dentro di lei” ed è a quel punto che sente arrivare il male,
non può respingerlo, non può eliminarlo dalla sua testa.
Infine Paola chiede ai genitori di uscire perché mi deve
parlare in privato e dopo in attimo di silenzio mi dice che
lei pensa continuamente al sesso e al diavolo e più pensa
al diavolo più pensa al sesso e viceversa e poi aggiunge:
20
“Le sembro pazza, dottore? Non sono pazza, vero? O lo
sono? Insomma, sono pazza o non sono pazza?” Dopo
aver ascoltato per alcuni minuti le ripetizioni ossessive dei
suoi looping mentali, la sua voce si fa sempre più aggressiva e baritonale ed il suo sguardo, da abbassato e trasognato, si trasforma in acuto e penetrante, ma io,
gentilmente, la fermo e dopo aver pensato intensamente
per quasi tutto il colloquio che probabilmente sarebbe
stato bene prescriverle degli psicofarmaci, le dico: “Possiamo provare un rimedio, possiamo provare Mancinella”. Certamente questo rimedio da solo non avrebbe
mai potuto risolvere un caso così complesso, grave e delicato che ha richiesto il massimo dello holding possibile
ad una lunghissima relazione psicoterapeutica che la accompagnata fino all’età adulta. Però Mancinella al posto
di un antipsicotico, meglio di un antipsicotico, ha rappresentato per Paola soprattutto una sorta di uncino grazie al quale ancorarsi al mondo reale, aiutandola a resistere
all’attrazione inflazionante dell’universo parallelo della
psicosi, ed una specie di collante speciale per il proprio
Io, sempre a rischio di disintegrarsi al contatto con il
magma incandescente fuoriuscito da un vero e proprio
vulcano in continua eruzione: l’inconscio collettivo di
una adolescente borderline.
Da queste vignette si noterà come alcune determinate
keynote mentali (le essenze dei rimedi) hanno rappresentato il fulcro della scelta prescrittiva mentre la costituzione, la tipologia sensibile e soprattutto il carattere e/oil
temperamento di base del paziente, sono stati volutamente non presi in considerazione in quanto ininfluenti
o addirittura, spesso, svianti. Andando alla ricerca della
totalità dei sintomi o consultando le rubriche di vari repertori alla moda si sarebbero potuti prescrivere molti
altri rimedi ma, a mio parere, senza la stessa possibilità di
successo. Certamente i pazienti con delle paure sono vittime di conflitti nevrotici e o scompensi psicotici, come
ho già scritto, e quindi un cambiamento radicale della
loro personalità, allo scopo di impedire ogni recidiva e di
raggiungere livelli più profondi di comprensione dei loro
vissuti psicopatologici, è possibile ottenerlo solo grazie ad
una psicoterapia del profondo a lungo termine; ma questa
è un’altra storia, non tanto perché così amava “chiudere”
Kipling, ma perché omeopatia e psicoanalisi abitano
campi epistemici diversi e si pongono obiettivi diversi e
questo, troppo spesso, non viene evidenziato quanto basta
ad evitare inutili confusioni che rischiano di vanificare la
delicatissima procedura del case taking. g
LETTURE SELEZIONATE
Hering C.: The Guiding Symptoms of our Materia Medica, B. Jain Publishers (P) Ltd., India, 1921-2000.
Vithoulkas, G.: Essenze psicopatologiche del rimedio
omeopatico, Mirdad Edizioni, Torino, 1997.
Morrison R., Herrick N.: Psychiatric Disorders with Relevant Remedies, Anxiety, Fear & Phobia, B. Jain Publishers (P) Ltd., India, 1999-2010.
Vithoulkas, G. (2000-2006): Materia Medica Viva, Belladonna Edizioni, Milano, 2000-2010.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
Studi clinici sperimentali in omeopatia veterinaria
Esperienze preliminari nell’allevamento suino intensivo
Giuseppina Brocherel1, Olga Lai1, Lavinia Alfieri1, Dario Deni1, Mario Sciarri2, Franco Del Francia2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Scuola Superiore Internazionale di Omeopatia Veterinaria “Rita Zanchi”, Cortona (Arezzo)
E-mail: [email protected]
2
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana (IZSLT), nell’anno 2004,
ha istituito presso la sezione di Arezzo il Laboratorio di medicina integrata in veterinaria (MIV), per
lo studio, la formazione, la divulgazione tecnico-scientifica e l’attività di ricerca nell’ambito delle principali Medicine complementari (MC, omeopatia, fitoterapia ed
agopuntura) e ad oggi sono stati effettuati 12 studi clinici
sperimentali su alcune specie zootecniche (ovicaprini,
suini, api, equini).
Il problema maggiore nelle sperimentazioni delle MC è
quello di poter disporre di modelli di ricerca clinica che
ne rispettino la specificità. Pertanto, è fondamentale individuare parametri di specie sensibili ed utili per confermare l’efficacia e l’effetto terapeutico del trattamento
e valutare sul campo l’efficacia della terapia, nelle reali
condizioni in cui viene normalmente applicata (effectivness).
La presenza in provincia di Arezzo di un patrimonio suinicolo consistente, rispetto al panorama regionale, ha favorito la possibilità di approfondire e valutare
scientificamente l’applicazione dell’omeopatia in questo
settore. Il MIV in collaborazione con la Scuola Superiore
Internazionale di Omeopatia Veterinaria Rita Zanchi di
Cortona (AR), ha condotto una serie di studi clinici
nell’allevamento suinicolo intensivo, per la durata complessiva di circa 3 anni, con l’obiettivo di valutare l’efficacia del trattamento omeopatico e la sua probabile
azione modulante i meccanismi immunitari.
L’
Materiali e metodi
Azienda - Le prove sono state condotte in un’azienda da
riproduzione in provincia di Arezzo, che alleva circa 500
scrofe di razza Large White mantenute in box tradizionali. Lo svezzamento dei suinetti avviene a 28 giorni di
età; per un numero limitato di lattoni (circa 1000) per
ciclo è previsto l’ingrasso direttamente in azienda, mentre i rimanenti lattoni sono trasferiti in aziende limitrofe
di proprietà. Prima dell’inizio della prova è stato richiesto
l’intervento del Laboratorio di Diagnostica della Sezione
di Arezzo per la gestione di problematiche sanitarie (nonostante l’applicazione di norme di biosicurezza ed interventi vaccinali) rappresentate da un’elevata percentuale di ritorni in calore nelle scrofe (40%) e forme multisistemiche e polifattoriali nei lattoni. E’ stata diagnosticata la presenza di infezioni ricorrenti virali (PRRSV,
PCV2) e batteriche (E. coli, Streptococcus suis tipo 2).
La presenza di quadri clinici complessi e l’assenza di risultati con le terapie allopatiche, ha indotto l’utilizzo di
farmaci omeopatici nelle rispettive categorie produttive
22
e successivamente lo svolgimento di studi clinici sperimentali in gruppi di animali controllati. Durante lo svolgimento delle prove sono stati mantenuti gli interventi
terapeutici di routine (trattamenti antiparassitari) e di
profilassi (PRRS, PCV2, Aujeszky, Influenza suina, Parvovirus, Malrossino).
Protocollo terapeutico - Ai gruppi omeopatici (scrofe e
lattoni) sono stati somministrati Borax XMK e Lycopodium XMK (2 ml), per OS, una volta al mese, mentre
al gruppo placebo, con le stesse modalità, soluzione idroalcolica al 20%.
Indicatori - Gli effetti del trattamento omeopatico sono
stati valutati attraverso il rilevamento di indicatori sensibili: parametri riproduttivi delle scrofe affiancati da accertamenti diagnostici di laboratorio; parametri
zootecnici e sanitari dei lattoni nel periodo svezzamento
- prima fase magronaggio.
Parametri riproduttivi (scrofe): la vita riproduttiva della
scrofa è caratterizzata dalla costante ripetizione di fasi
(gravidanze e lattazioni) ed interventi (fecondazioni), che
seguono un programma preordinato, mirato allo sfruttamento produttivo dell’animale e determinano nella fattrice uno stress cronico, con possibili ripercussioni a
carico del sistema immunitario (immunodepressione) e
della sfera riproduttiva. La valutazione della performance
è fondamentale, in quanto qualsiasi riduzione della prolificità e della fecondità si ripercuote negativamente sulla
produttività e redditività aziendale. Nella prova è stato
monitorato il tasso di fertilità (TF), l’intervallo svezzamento copertura utile (ISCU) e l’interparto (IPP).
Parametri emocromocitometrici (scrofe): l’esame emocromocitometrico è ancora poco utilizzato nella pratica
clinica suinicola, pur essendo un efficace ausilio al monitoraggio sanitario e produttivo, permettendo la diagnosi precoce di molte malattie (infettive, infiammatorie
ed ematologiche). Oltre ai principali indici biochimici
ed ematologici, sono stati monitorati gli enzimi epatici
di citolisi (AST, GGT) sensibili della funzionalità epatica
nel suino.
Parametri immunitari (scrofe): lo stato del sistema immunitario può essere un valido indicatore di efficacia terapeutica ed al tempo stesso prognostico del trattamento
omeopatico nella gestione sanitaria della specie suina.
Nelle scrofe è stata valutata sia l’immunità aspecifica
(battericidia, complemento, lisozima) che l’immunità
specifica (linfociti e principali sottopopolazioni linfocitarie).
Parametri zootecnici e sanitari nella fase di ingrasso (lattoni): l’incremento medio ponderale e la percentuale di
mortalità nella fase di svezzamento e magronaggio sono i
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
Figura 1 - Ripartizione dei gruppi, fase post-svezzamento.
Figura 2 - Gruppo omeopatico, fase post-svezzamento.
parametri principali nell’allevamento da ingrasso del suino
e possono essere influenzati dal management, dalla genetica e dalle condizioni igienico sanitarie dell’allevamento.
- Protocollo 3 (2009/2010)- 100 scrofe rappresentative
per età e numero di parti, suddivise in 2 gruppi (omeopatico e placebo). Parametri valutati: parametri riproduttivi (TF, ISCU, IPP).
Protocollo sperimentale scrofe
Complessivamente sono state monitorate, nell’intervallo
di due parti consecutivi, n. 138 scrofe reclutate con criterio randomizzato e suddivise in modo omogeneo per
età, numero di parti in gruppi: n. 67 gruppo omeopatico, n. 71 gruppo controllo/placebo. Al fine di monitorare accuratamente i parametri individuati e limitare le
problematiche organizzative per il proprietario, è stato
deciso di suddividere gli animali in gruppi di numero
contenuto, applicando rispettivi protocolli sperimentali,
nell’arco temporale di circa 3 anni:
- Protocollo 1 (2008/2009)- 24 scrofe pluripare suddivise in 3 gruppi (omeopatico, placebo e controllo). I prelievi ematici sono stati eseguiti secondo i seguenti
intervalli temporali: T0,T60, T120, T210. Parametri valutati: parametri riproduttivi (TF, ISCU, IPP) e parametri emocromocitometrici con formula leucocitaria.
- Protocollo 2 (2009/2010)- 14 scrofe primipare, gravide
di circa 10 settimane, sono state suddivise in 2 gruppi
(omeopatico e placebo). Al fine di studiare la risposta
immunitaria primaria conseguente al trattamento omeopatico, i prelievi ematici sono stati eseguiti secondo la cinetica della risposta anticorpale: T0, T7, T14, T30,
T180. Parametri valutati: parametri immunitari e parametri emocromocitometrici con formula leucocitaria.
Risultati
Figura 3 - Gruppo omeopatico, fase post-svezzamento.
Figura 4 - Gruppo omeopatico, inizio fase magronaggio.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
Protocollo sperimentale lattoni
Per circa il 65% dello scrofe, oggetto della prova, è stato
possibile valutare i parametri zootecnici e sanitari dei lattoni; complessivamente sono stati monitorati n. 1969
lattoni provenienti da due parti consecutivi. Sulla base
del gruppo di origine della madre i lattoni, identificati
mediante marca auricolare, sono stati mantenuti separati
dalla fase di svezzamento (T30) all’inizio della fase di
magronaggio (T90). In caso di decesso è stata effettuata
la necroscopia dei soggetti.
I dati ottenuti dal monitoraggio degli indicatori dei rispettivi protocolli, sono stati sottoposti ad elaborazione
attraverso test statistico non parametrico Mann Withney
per ciascun parametro ad ogni intervallo di tempo.
Protocollo 1 (scrofe), parametri riproduttivi - Nel
gruppo omeopatico è stato osservato un miglioramento
del valore medio del TF e una netta riduzione del valore
medio dell’ISCU (grafico 2) da un confronto tra il T0
ed il T210; mentre nel gruppo placebo e gruppo controllo il valore medio del TF è rimasto invariato e il valore medio dell’ISCU evidenzia un progressivo
peggioramento (grafico 1-2).
23
CONTRIBUTI ORIGINALI
La riduzione
Peraltro
sembra
delche
parametro
le intuizioni
ISCUdinel
Hahemann
gruppo omeopanon
tico è confermata dal valore medio dell’IPP che non ha
subito scostamenti significativi rispetto al T0; a differenza degli altri due gruppi in cui si evidenzia un peggioramento consistente (grafico 3).
Protocollo 1 (scrofe), parametri emocromocitometrici
- L’analisi dei risultati dei parametri emocromocitometrici non ha evidenziato differenze rilevanti tra i gruppi
se non per gli enzimi di citolisi di funzionalità epatica: il
confronto tra i valori di AST e GGT del gruppo omeopatico, al T0 e T210, mostrano una progressiva ed evidente riduzione; questo risultato è dimostrabile anche
tra il gruppo omeopatico rispetto al gruppo placebo e
gruppo controllo (tabella 1, grafico 4-5).
Protocollo 2 (scrofe), parametri immunitari - I risultati
ottenuti non evidenziano differenze rilevanti tra i gruppi
nell’andamento della risposta immunitaria primaria nei
primi tre prelievi (T7, T14, T30). I parametri di immunità aspecifica mostrano un “trend positivo” nel gruppo
omeopatico al T180, in particolare per la battericidia
(grafico 6). In alcuni parametri di immunità specifica
sono presenti differenze statisticamente significative
(T180): nel gruppo placebo è presente una riduzione dei
linfociti “in percentuale”, rispetto al gruppo omeopatico
(per entrambe le metodiche utilizzate), con valori medi
inferiori per tutta la durata della sperimentazione (grafico 7 e grafico 8).
Protocollo 2 (scrofe), parametri emocromocitometrici
- Lo studio della formula leucocitaria ha evidenziato, al
T180, differenze per il valore dei neutrofili segmentati
che risulta superiore nel gruppo placebo; viceversa nelle
scrofe del gruppo omeopatico i valori sono ampliamente
nella norma (grafico 9).
Parametri riproduttivi - L’elaborazione statistica dei risultati è ancora in corso e ne è prevista la prossima pubblicazione.
Protocollo sperimentale lattoni, parametri zootecnici Si riportano i risultati preliminari dei lattoni (n = 348)
reclutati durante lo svolgimento del protocollo sperimentale 1 (scrofe). Il peso medio dei lattoni al T30 risulta omogeneo tra i gruppi, mentre al T90 il peso medio
complessivo del gruppo omeopatico è superiore rispetto
al gruppo placebo ed al gruppo controllo evidenziando
un trend positivo di accrescimento dei lattoni trattati
omeopaticamente (grafico 10).Inoltre è evidente una riduzione della percentuale di mortalità dei lattoni nel
gruppo omeopatico (2° parto), durante la fase di post
svezzamento (grafico 11).
Grafico 1: valore % medio del TF dei gruppi (T0 e T210).
Grafico 2: valore medio ISCU in gg. dei gruppi (T0 e T210).
Grafico 3: valore medio IPP in gg dei gruppi (T0 e T210).
Grafico 4: variazioni temporali di AST tra gruppi.
Grafico 5: variazioni temporali di GGT tra gruppi.
Grafico 6: variazioni temporali battericidia: range>40%
(T180: p value= 0.07).
Grafico 7: variazioni temporali linfociti tramite conta automatica:
range 39.0-62.0 (T180: p value= 0.028).
Grafico 8: variazioni temporali linfociti tramite esame microscopico:
range 39.0-62.0 (T180: p value= 0.013).
Grafico 9: variazioni temporali neutrofili segmentati: range 28-47
(T180: p value= 0.09).
Grafico 10: peso medio lattoni tra gruppi (T30 e T90).
Grafico 11: % di mortalità lattoni (1°-2° parto).
24
Conclusioni
I risultati riportati, seppur parziali ed in fase di elaborazione
definitiva, evidenziano gli effetti positivi del trattamento
omeopatico nelle scrofe e nei lattoni. Gli esiti favorevoli
ottenuti nel protocollo sperimentale 1 (scrofe), hanno indotto ad approfondire l’efficacia del trattamento omeopatico attraverso l’analisi di ulteriori parametri oggettivi e
significativi. Pertanto, gli obiettivi del protocollo sperimentale 2 (scrofe) si sono concentrati sullo studio di indicatori
di laboratorio rappresentativi dello stato di salute e dell’efficienza del sistema immunitario: nel gruppo placebo la
linfopenia (T7, T180), associata a valori medi costantemente superiori al range di riferimento dei neutrofili segmentati, è riconducibile ad un leucogramma da stress,
indice di stato patologico dell’organismo. Le alterazioni
ematiche ed immunitarie riscontrate nel gruppo placebo
sono la conseguenza diretta dello stress e delle variazioni
ormonali proprie della fase di gestazione e parto. I risultati
definitivi del protocollo sperimentale lattoni sono in fase
di elaborazione. Anche per questa categoria riteniamo necessario affiancare allo studio dei parametri zootecnici accertamenti di laboratorio (profilo immunitario e esame
emocromocitometrico), al fine di confermare e validare
l’influenza positiva del trattamento omeopatico. E’ nostra
intenzione quindi proseguire ed ampliare gli studi clinici
sperimentali nella specie suina, considerata in campo medico un funzionale modello sperimentale per le sue similitudini fisiologiche con l’uomo; l’applicazione e lo studio
dei parametri di laboratorio rivestono una duplice importanza: confermare i risultati ottenuti e rappresentare un valido aiuto alla ricerca per individuare i meccanismi biologici
influenzati dal trattamento omeopatico. g
Un caro saluto all’amico e collega Franco Del Francia,
scomparso recentemente, maestro e guida di molti
veterinari omeopati. E’ ancora vivo in noi il ricordo
della sua appassionata partecipazione
allo svolgimento di questo lavoro.
1
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CONTRIBUTI ORIGINALI
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SPOTLIGHT
In collaborazione con:
Spotlight
a cura di Gino Santini
Segretario Nazionale SIOMI
Direttore Scientifico ISMO, Istituto di Studi di Medicina Omeopatica
E-mail: [email protected]
Frattali di verità
LionelR.Milgrom-FallingTrees,Fractals,andSophistry:SomePhilosophical“Biohazards”EnRoutetoReconcilingBiomedicineandHomeopathy-JACM,2009,15(11),1247-1254.
O
gni realtà dipende dalle convinzioni e dai paradigmi di chi osserva. Ad esempio la medicina
scientifica crede sulla ripetitività statistica della
prova, mentre l’omeopatia alla singolarità del caso clinico. In definitiva, non esistendo nella scienza una verità
assoluta, il punto di osservazione ed il retaggio culturale
sono elementi centrali nella valutazione dei risultati.
Odifreddi, pur convinto e laico sostenitore della scienza,
deve ammetterlo: nel suo testo “C’era una volta un paradosso, storie d’illusioni e verità rovesciate” (Feltrinelli,
2001) esistono paradossi logici o negativi se riducono
all’assurdo le premesse su cui si basa; retorici o nulli se si
limitano a esibire la sottigliezza di un ragionamento, o a
esaltare l'abilità di chi lo produce; infine ne esistono di
ontologici o positivi, se “attraverso un ragionamento
inusuale” rafforzano le conclusioni a cui arriva. A questo
si riferiva Schopenhauer, quando diceva che “la verità
nasce come paradosso e muore come ovvietà", facendo
ben comprendere che chi si ancora a una strenua convinzione, incardina il suo sguardo su un particolare, perdendo di vista l’insieme.
Da quando è nata nel 1992, l'EBM ha sviluppato il concetto che le evidenze, vale a dire le ‘informazioni aggiornate e metodologicamente valide della letteratura
medica', devono avere un ruolo preminente nelle decisioni terapeutiche. Tuttavia lo stesso David Sackett, dopo
l'incauta presentazione dell'EBM come "paradigma
emergente per la pratica clinica", oggi corregge la sua
prima definizione, precisando che "l’EBM costituisce un
approccio alla pratica clinica, dove le decisioni cliniche
risultano dall'integrazione tra l'esperienza del medico e
l'utilizzo coscienzioso e giudizioso delle migliori evidenze
scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente. In questo splendido lavoro, con sottile dialettica
e argute argomentazioni sofistiche, Lionel R. Milgrom
invita i diversi punti di vista (in questo caso biomedico
e omeopatico) ad una socratica Σψνειναι, per giungere
a quel καλοσ καγατηοσ, per raggiungere, infine, nella
scienza medica un nuovo ideale etico-filosofico, che sia
frutto della capacità di stare insieme e di ragionare mettendosi reciprocamente alla prova ed esaminando le proprie e le altrui concezioni sui fenomeni. Milgrom, poi,
partendo dalla teoria dei frattali, afferma che mentre la
visione omeopatica pone l’osservatore al centro di una
gamma speculativa multidimensionale e, pertanto, lo
26
porta a diversi “punti di interesse”, il modello biomedico
appare strutturato a esclusivo punto di osservazione dei
sintomi separati, ciascuno proveniente da un livello fisico
della realtà, con una frantumazione, finale, dell’individuo osservato. La conclusione, del tutto condivisibile, è
che occorre oggi, finalmente, una riconciliazione pragmatica di questi due punti di vista, resa possibile con il
riconoscimento è possibile che non ci sono contraddizione ma complementarietà fra i due modelli, che
ognuno ha il suo posto nello schema terapeutico delle
cos e che dovrebbe essere possibile muoversi liberamente
tra ogni tipo di atteggiamento di osservazione, cosi come
le condizioni del paziente impongono. Vogliamo qui ricordare che, nella condizione postmoderna di Jean-François Lyotard (1979, Feltrinelli) ci sono due paragrafi
particolarmente importanti per un’ulteriore riflessione
su quanto detto finora. Sono i paragrafi 13 (La scienza
postmoderna come ricerca delle instabilità) e 14 (La legittimazione per paralogia). La condizione postmoderna
di Lyotard nasce anzitutto come un rapporto sul sapere;
per questo Lyotard si riferisce, ad esempio, alla teoria
quantistica e alla microfisica evidenziando come queste
impongano “una revisione assai più radicale dell’idea di
traiettoria continua e prevedibile” (p. 102). In altri termini, i modelli lineari non funzionano più. Lyotard cita
la meccanica quantistica, Einstein, Mandelbrot e la sua
teoria dei frattali, René Thom e la teoria delle catastrofi,
la scuola di Palo Alto e la sua applicazione della paradossologia allo studio della schizofrenia (la Double Bind
Theory o teoria del doppio legame per la quale si deve
tenere presente anzitutto il contributo di Gregory Bateson). Ebbene, tutto questo diventerà di più facile accesso
se la scienza moderna saprà guardare a medicine olistiche
ed analogiche come l’omeopatia. (carlo di stanislao)
Omeopatia e patologie cutanee
R.Itamura-Effectofhomeopathictreatmentof60Japanesepatients
withchronicskindisease-ComplTherMed,2007,15(2),115-120.
U
n lavoro pubblicato su Complementary Therapies in Medicine pone in evidenza l’uso della terapia complementare, in particolare l’omeopatia, nei casi di malattie cutanee croniche di difficile
gestione quali dermatite atopica, eczema, acne severa, orticaria cronica, psoriasi e alopecia.
Nello studio, oltre ai rimedi omeopatici specifici repertorizzati durante la consultazione, lo studio della personalità, il temperamento e la storia familiare della
patologia, i pazienti hanno ricevuto anche farmaci con-
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
SPOTLIGHT
venzionali e sono stati presi in considerazione sette elementi valutati con la scala GHHOS (Glasgow Homeopathic Hospital Outcome Scale), comprendente impressione generale, miglioramento della condizione della
cute, riduzione del prurito e dei disturbi del sonno, soddisfazione nel vivere quotidiano, capacità e presenza sul
lavoro e soddisfazione nelle relazioni interpersonali.
I rimedi maggiormente prescritti sono stati Pulsatilla,
Lycopodium, Sulphur, Arsenicum e Calcarea carbonica.
Non ci sono stati segni significativi di deterioramento o
di aggravamento severo per ogni rimedio assunto. La
maggior parte dei pazienti ha mantenuto stabile il proprio status; in alcuni casi si è verificato un miglioramento
analogo alla risposta positiva sulla cute. L’omeopatia è
spesso usata nelle manifestazioni cutanee, ma ci sono
pochi report sugli effetti terapeutici dell’omeopatia: questo lavoro ha voluto indagare l’utilità dell’approccio farmacologico associato a quello omeopatico, soprattutto
sull’aspetto psicologico attuato dal rimedio che agisce
sull’asse mente-corpo.
Lo studio, seppur ridotto, indica che il trattamento
omeopatico specifico può generare una buona risposta
nei pazienti con malattia cutanea cronica. L’approccio
sul paziente in toto usato in omeopatia può essere una
strategia utile da abbinare nella terapia convenzionale del
trattamento delle malattie cutanee croniche, soprattutto
per trattare i sintomi psicofisici e psicosomatici, per altro
inestricabili in corso di malattie croniche della pelle.
Azione di Apis mellifica su basofili
SalvatoreChirumbolo,GiovannaZanoni,RiccardoOrtolaniandAntonio
Vella-InvitroBiphasicEffectofHoneyBeeVenomonBasophilsfrom
ScreenedHealthyBloodDonors-AAIR,2011,3(1),58-61.
I
n uno studio pubblicato qualche anno fa su eCAM,
Sandra Miller cerca prove di efficacia dell’immunoterapia desensibilizzante con veleno d’api per verificare se il preparato, diluito e dinamizzato, possa essere
impiegato nel trattamento delle reazioni allergiche sistemiche. Il veleno di Apis mellifica è l’allergene d’imenottero più studiato, ma molti aspetti della sua azione sui
basofili umani restano sconosciuti: in vitro non è stato
studiato, a causa anche della scarsità di elementi sul sangue periferico, della variabilità della risposta individuale
e dell’inaffidabilità e prevedibilità dei test di attivazione
sui basofili. E’ stato però condotto uno studio preliminare in vivo sugli effetti del veleno delle api su 48 volontari non allergici e con normale livello ematico di IgE. I
risultati mostrano che una dose di estratto acquoso di
veleno alla concentrazione di 10 pg/ml, attiva i basofili
a riposo (CD63: 80-90%; CD203c: 30%) mentre inibisce l’espressione di CD63 (CD63: -50%) precedentemente attivata con una soluzione agonista o anti IgE.
Quest’ultima azione sembra essere dose dipendente: infatti solo dopo che i basofili sono stati preventivamente
stimolati con un agonista IgE-mediato gli estratti di veleno a basso dosaggio hanno provocato una attivazione
(solo sui CD63), mentre sono risultati inefficaci sui
CD203c. Questo supporta l’ipotesi che alte concentraHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
zioni di veleno d’ape non inibiscono la funzione dei basofili attraverso un effetto citotossico ma che l’IL-3 autocrina (capace di legarsi alla stessa cellula che l’ha
prodotta e di influenzarne il comportamento) possa giocare un ruolo nel condizionare la risposta bifasica osservata. Ricerche recenti hanno dimostrato che l’IL- 3 non
è coinvolta nella reazione anafilattica, locale o sistemica.
Quindi il risultato ottenuto sui basofili attivati non è correlato alle reazioni sistemiche anafilattiche provocate da
punture d’insetto
Quale allora l’importanza di questo studio? I risultati
mostrano che la desensibilizzazione col veleno d’ape diluito avviene solo in uno stato di preattivazione cellulare.
Pertanto il veleno diluito per l’immunoterapia sembra
avere un comportamento ormetico (bifasico, dose dipendente): piccole dosi di veleno possono diffondersi nel circolo ematico e determinare una sensibilizzazione. Più
forte è la sensibilizzazione, tanto maggiore sarà la successiva risposta alla desensibilizzazione.
Arsenico e ambiente:
il contributo dell’omeopatia
AnisurRahmanKhuda-Bukhsh,ArnabDe,DurbaDas,SumanDutta,NaoualBoujedaini-Analysisofthecapabilityofultra-highlydilutedglucosetoincreaseglucoseuptakeinarsenite-stressedbacteriaEscherichia
coli-JChinIntMed,2011,9(8),901-912.
E
siste una pianta (Pteris vittata) che ha origine
molto antica e che è in grado di assorbire notevoli
quantità di arsenico dal suolo, al punto che si sta
valutando un suo ruolo nella disintossicazione da arsenico e nel decontaminare le acque che presentano un'elevata quantità di questo metallo. Il lato interessante della
questione è che si potrebbero replicare, su colture cellulari vegetali e animali, l'azione congiunta di questa felce
con glucosio in dinamizzazioni omeopatiche. In Giappone nel 1955 rimasero avvelenati 12.000 bambini, di
cui 120 in modo fatale, a causa della somministrazione
di alimenti per l'infanzia contaminati da arsenico. Il tossico venne ritrovato nel sodio fosfato utilizzato per stabilizzare l'alimento; il sale proveniva, come sottoprodotto, dall'industria di produzione dell'alluminio, a
sua volta ricavato per raffinazione di bauxite contenente
elevati livelli di arsenico. Sebbene nei paesi occidentali
questi composti non trovino più utilizzi agricoli, in alcuni paesi gli arsenicali possono trovare tuttora impiego
su colture non alimentari: nella coltivazione del cotone,
per esempio, si impiegano come defolianti e le popolazioni che utilizzano i semi di cotone come alimento introducono arsenico nella dieta. Per prevenire tali pericoli
alcuni paesi hanno introdotto limiti di tolleranza dei residui di arsenico negli alimenti: negli USA il limite è di
3,5 mg/kg 20, mentre in Queensland (Australia) i limiti
sono massimi permessi sono differenziati per bevande
(0,1 mg/kg), prodotti ittici (1 mg/kg di arsenico inorganico) e altri alimenti (1 mg/kg). Elevato, poi, il rischio
di intossicazione cronica per la presenza di arsenico nell'acqua. Ecco perchè l'impiego di glucosio omeopatico
alla 30CH potrebbe svolgere un’azione preventiva su
danni cellulari anche umani. g
27
CONTRIBUTI ORIGINALI
Un caso clinico di asma felina
Bruno Cipollone
Medico veterinario esperto in Omeopatia. Responsabile Scuola di Omeopatia veterinaria clinica SIOMI
E-mail: [email protected]
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
ifi è una gatta femmina di 14 anni, sterilizzata all’età di 6 mesi circa. Nel maggio 2008 le viene diagnosticata una lieve insufficienza renale confermata da prelievo, i proprietari avevamo notato maggior
frequenza nel bere. Un altro parametro clinico consiste
in una lieve alterazione dei valori tiroidei ma il veterinario che l’aveva in cura ha ritenuto che la situazione non
giustificasse un trattamento.
La dieta alimentare inoltre è basata su cibo a basso contenuto proteico (K/D, etc). Nel dicembre 2009 la gatta
mostrava infiammazione gengivale e conseguente inappetenza. Screening diagnostico-terapeutico: lesioni confinate ai premolari e molari, estrazione 407, trattamento
309, curettage sottogengivale, detartrasi e lucidatura dei
denti. Dopo tale intervento è ritornato l’appetito.
Nell’autunno 2009 sporadicamente la nostra gatta mostrava una strana tosse. Tale manifestazione si è accentuata in primavera con 1 o 2 episodi giornalieri della
durata max di 10-15 secondi, pertanto abbiamo effettuato in data 3 giugno 2010 una Rx toracica al fine di
verificare lo stato di salute dei polmoni. Il nostro veterinario ha confermato la diagnosi di asma felina in fase
iniziale ed ha detto che per il futuro si dovrà intervenire
con una cura cortisonica.
La gatta si è leccati e staccati i punti di sutura della sterilizzazione tanto da doverli rimettere. E’ regolare e abitudinaria, l’insufficienza renale è stata curata solo con
l’alimentazione.
Presenta asma con attacchi anche due tre volte al giorno
anche di notte. Scappava quando arrivava qualcuno. Mai
stata aggressiva, piuttosto remissiva.
Mangia con calma talvolta lascia per finirlo dopo, gli
piace molto il tonno mentre non gli piacciono i dolci.
Beve solo l’acqua dalla ciotola subito dopo i pasti e ge-
F
28
neralmente la mattina e poco durante il giorno. D’inverno si mette sul termosifone e al sole d’estate. Gli piace
mettersi su cose morbide. Pretenziosa, viziata, meticolosa
se il cuscino non sta sulla poltrona si fa sentire. Non si
sporge dalle sbarre del balcone. Sembra una statua.
Repertorizzazione
Femminili, Genitali - Sterilità
Reni - Renale, Insufficienza
Tosse secca
Tosse cronica
Tosse - irritazione nella laringe
Respirazione - asmatica
Mente - carattere remissivo
Mente - cauto
Mente - ansia
Mente - riservato
Mente - scrupoloso, meticoloso per le scioccezze
Sintomi generali - aggrava con il freddo
Terapia
Sepia 30CH, 3 granuli due volte al giorno per 15 giorni
La gatta è migliorata con solo un attacco di tosse giornaliero senza quello notturno ma con una decina di colpi
stizzosi. Sembra più calma non ha più paura di essere lasciata sola e mangia con più appetito.
Continuata la terapia per altri 15 giorni. La gatta sembra
stabilizzata ad un attacco di tosse al giorno, calma e più
serena. Si prosegue con Sepia 200CH, 10 gtt una volta
al giorno. La gatta Fifi presenta ora solo un attacco di
tosse al giorno, ma solo con quattro colpi quasi inesistenti, secchi! g
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
I GRANDI PERSONAGGI DELL’OMEOPATIA
Medicina Integrata e oncologia
Intervista a Michael Frass
a cura di Tiziana Di Giampietro
E-mail: [email protected]
Lavorando in una branca oncologica, può spiegare
come è riuscito ad integrare l’omeopatia in ospedale
e nell’università come metodo valutabile e riconosciuto specialmente nel settore della ricerca?
Nel 2004, il prof. Zielinsky, il capo della nostra divisione
di oncologia, mi propose di attivare un ambulatorio per
malati esterni, onde continuare a seguire i pazienti dimessi dalla nostra Unità, fornendo una cura omeopatica
continuativa per evitare che si rivolgessero, al di fuori
della struttura, a colleghi di cui non si conosceva il modo
di operare. Naturalmente il riconoscimento dell’omeopatia ottenuto dai molti colleghi della nostra università
non è lo stesso.
Innanzitutto una domanda sulla sua vita professionale: lei pratica la medicina convenzionale oltre che
la professione omeopatica?
Si, io pratico la terapia intensiva oltre la mia professione
omeopatica. Voglio sottolineare che la cooperazione tra
la medicina convenzionale e la medicina complementare,
in particolare l’omeopatia, offre molti vantaggi.
Che cosa pensa dei recenti studi sull’ormesi e della
possibilità che i farmaci omeopatici molecolari possano essere classificati in un nuovo capitolo della
medicina intitolato “farmacologia delle microdosi”?
Penso che l’ormesi possa aiutare solo in parte a comprendere gli effetti delle sostanze omeopatiche. Mi spiego:
Hahnemann ha usato le dosi convenzionali (ponderali)
tra il 1790 e il 1800; solo dopo d’allora ha iniziato il potenziamento. Pertanto l’omeopatia può anche essere
chiamata “tossicologia applicata” perchè i proving, specialmente quelli tra il 1790 e 1800, possono essere paragonati a intossicazioni. Tenendo questo in mente, io
preferirei il termine “tossicologia delle microdosi” piuttosto che “farmacologia delle microdosi”.
<
Secondo il suo curriculum vitae lei si è laureato nel
1978 e specializzato nel 1994 in omeopatia classica,
durante il suo training clinico a Vienna. Quando ha
deciso di studiare omeopatia?
Durante i miei studi ho incontrato il Prof Dr. Gerhard
Resch e sono rimasto colpito dalla sua profonda conoscenza e comprensione della medicina anche secondo un
approccio filosofico. Appena realizzate le mie prime esperienze con l’omeopatia riconobbi che gli effetti terapeutici erano sorprendenti. Nel 1991 mi iscrissi al corso di
formazione, riconosciuto dalla Camera austriaca dei Medici.
<
Se lei pratica entrambe le tecniche terapeutiche,
quale ritiene sia la più importante tra le due: la medicina convenzionale o quella complementare?
Come si fa a prescriverle entrambe?
Quando vedo per la prima volta un paziente cerco di individuare i sintomi soggettivi legati alla malattia, quindi
indago se tutti gli esami convenzionali, necessari ad una
corretta diagnosi nosologica, sono stati eseguiti. In caso
contrario rinvio il paziente ad un’ulteriore valutazione
convenzionale. Sulla base della relazione soggettiva e
delle considerazioni oggettive decido quale trattamento,
convenzionale e/o omeopatico, meglio si adatta al paziente nella situazione attuale. Quindi non è “bianco o
nero”, la terapia deve essere individualizzata.
<
<
<
Secondo la SIOMI, integrativo si riferisce all’insieme
delle terapie mediche convenzionali e complementari, integrato alla possibilità di riconsiderare i paradigmi delle medicine convenzionali e complementari. Qual è secondo lei la differenza, se c’è, tra
“medicina integrativa” e “medicina integrata”?
Secondo me, “medicina integrativa” rimanda al futuro,
mentre “medicina integrata” suggerisce che la medicina
complementare sia già scientificamente accettata. Poichè
questo non è vero, “medicina integrativa”, secondo il
mio parere, è più appropriato.
<
Michael Frass
Il Prof Michael Frass, Medico chirurgo, nato nel 1954 a
Vienna, è Specialista in Terapia Intensiva, esperto in Medicina d’Emergenza e Terapia Interna Intensiva, dirige
l’Unità ambulatoriale di “Omeopatia nelle Malattie Maligne” nella Divisione di Clinica Oncologica del Dipartimento di Medicina all’Università di Vienna; è Vicepresidente dell’Associazione dei Medici Austriaci per le
Medicine Complementari, Presidente di WissHom e di
altre associazioni di medicina olistica. Ha promosso e gestito numerose ricerche in omeopatia anche all’Università. Insegna alla scuola omeopatica di Salisburgo.
Sposato a 31 anni, ha due figli. Un uomo che non ha
perso del tempo.
Secondo la sua esperienza e gli studi nel campo della
terapia intensiva con le CAM, c’è qualche farmaco
che può essere prescritto più frequentemente di altri?
E che cosa pensa della richiesta di sviluppare protocolli standardizzati di trattamento omeopatico per i
ricoverati?
Devo ammettere che il numero dei “più usati” è limitato;
come omeopata classico sono riluttante a sviluppare pro<
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | novembre 2011 | vol. 2 | n. 2
29
I GRANDI PERSONAGGI DELL’OMEOPATIA
tocolli di trattamento standardizzato. Ogni paziente dovrebbe essere trattato individualmente.
Può dirci qualcosa riguardo la sua esperienza clinica
e i risultati delle sue ricerche sui pazienti malati di
cancro trattati con medicinali omeopatici e/o complementari? A quali farmaci fa più ricorso e per quali
disturbi? E quanto è importante l’omeopatia per i
malati di cancro, secondo lei?
I nostri studi dimostrano che sono i pazienti oncologici
con qualità di vita e benessere soggettivo peggiori che
chiedono l’integrazione di cure omeopatiche mentre i
pazienti in condizioni migliori non chiedono altre terapie. Durante il trattamento omeopatico aggiuntivo, la
qualità della vita e il soggettivo benessere migliorano significativamente nel gruppo che assume farmaci omeopatici rispetto al gruppo non trattato con l’omeopatia.
Anche in questo caso, non è di aiuto che io fornisca una
lista di farmaci più usati. Indicativamente: mi piace prescrivere Okoubaka 12CH come pure Nux vomica 6LM
nei pazienti con disturbi gastrointestinali.
Quando iniziano la radioterapia raccomando Cadmium
sulphuricum 12CH ogni giorno durante tutto il periodo
dell’irradiazione. I malati di cancro hanno compilato un
questionario in cui affermano di voler continuare il trattamento omeopatico durante quello convenzionale e di
volerlo protrarre anche dopo la conclusione del ciclo di
chemio-radioterapia.
<
Sappiamo dai suoi lavori che ha avuto risultati positivi con l’uso delle CAM nelle infezioni severe dei
pazienti ospedalizzati. In quelli affetti da serie forme
infettive, come la sepsi, quale pensa possa essere il
ruolo dell’omeopatia?
La terapia intensiva è diventata un’importante presidio
all’interno della Medicina. Oltre ai trattamenti convenzionali della sepsi nei malati con farmaci antimicrobici,
idrocortisone, catecolamine, di supporto renale e respiratorio, io penso che l’omeopatia sia in grado di sostenere
la reattività del malato verso una guarigione spontanea.
Infatti, solo se il corpo recupera l’energia per un’autoguarigione, il paziente sarà in grado di affrontare le terapie antiblastiche intensive.
<
In Austria la ricerca di farmacoeconomia è indirizzata a investigare il rapporto costo-beneficio delle
terapie CAM versus alla medicina convenzionale?
Non sono a conoscenza di studi sull’argomento; in genere faccio riferimento a quelli pubblicati da Kooreman
(Eur J Health Econ, 2011 Jun 22) che dimostrano eccellenti risultati del rapporto costi/benefici (più del 25%
di risparmio per la cura dei pazienti) e la durata della sopravvivenza per quei malati in cura ai medici che praticano anche la medicina complementare, specialmente
l’omeopatia.
<
30
<
Lei è ricercatore indipendente nella sua area o coopera con il Ministero della Sanità e con altri Centri
di ricerca Europei?
Sono ricercatore indipendente nella mia area di responsabilità ma non nego che sarebbero molto apprezzate ulteriori risorse di personale e finanziarie. Tuttavia mi piace
anche cooperare con ricercatori, ad es. Louis Rey che è
sfortunatamente deceduto, Menachem Oberbaum e
altri. Recentemente sono stato nominato Presidente di
WissHom.
<
Che tipo di rapporto esiste con i medici convenzionali del suo territorio? Inviano pazienti al vostro
Centro? Vi incontrate abitudinalmente per discutere
i casi clinici e il loro trattamento? Scambiate opinioni sui casi curati con farmaci omeopatici?
Ho un buon rapporto con i medici convenzionali alcuni
dei quali inviano i loro pazienti alla mia Unità. Sfortunatamente non c’è molto interesse nel discutere i casi clinici e scambiare opinioni, fatta eccezione per alcuni di
essi.
<
Per quale tipo di disturbo in oncologia i pazienti richiedono un supporto omeopatico? Qual’è il maggior sintomo trattato nei pazienti in chemio/radio
terapia e quali sono, nella sua esperienza, quelli non
adeguatamente trattati coi farmaci convenzionali?
I pazienti richiedono l’omeopatia perchè allevia gli effetti
collaterali della chemioterapia, risolve blocchi metabolici, guarisce malattie secondarie, può ripristinare il ciclo
mestruale interrotto, specialmente nella donna in premenopausa, e, per ultimo ma non meno importante, migliora la qualità della vita e il benessere soggettivo.
<
Quanto contribuisce finanziariamente il Governo
per le sue ricerche? E’ semplice trovare fondi per i
suoi progetti?
Il Governo non sostiene le mie sperimentazioni. E’ estremamente difficile, e dispendioso in ordine di tempo, cercare fondi per la mia ricerca.
<
Infine, qual’è la relazione tra lei e i suoi colleghi di
reparto che non sono interessati all’omeopatia e che
invece considerano le CAM/l’omeopatia come terapie non efficaci e non necessarie? E’ difficile rapportarsi con loro?
In realtà non c’è alcun collega che parla apertamente
contro all’omeopatia. Al contrario, molti di loro stanno
chiedendo trattamenti per sé stessi o per membri della
loro famiglia. Peranto io credo che la discussione porterà
ad una collaborazione aperta e costruttiva. g
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | novembre 2011 | vol. 2 | n. 2
CONTRIBUTI ORIGINALI
La Medicina Integrata in Sicilia
Maria Concetta Giuliano
A cura del Direttivo del Coordinamento Regionale Siciliano per la Medicina Integrata - Co.Re.Si.M.I.
Sito Internet: http://coresimi.blogspot.com
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
a regione Sicilia è una regione estesa e popolosa
con i suoi oltre 5.000.000 di abitanti; quindi definire la situazione attuale della Medicina Integrata
in questo contesto non è semplice, in quanto presenta
aspetti variegati nelle varie province siciliane, ove si susseguono miriadi di iniziative che raccolgono sia consensi
che dissensi, questi ultimi per lo più dovuti al grande individualismo tipico della nostra Regione.
Anche la situazione economica e sanitaria favorisce
grandi contraddizioni, attraverso l’esistenza di centri
estremamente ricchi contigui ad altri in situazione di
estrema povertà, poli di eccellenza avanzati tecnologicamente cui fanno contrasto piccoli centri e ospedali che
presentano quotidianamente gravi inadempienze.
Nel luglio del 2010 medici, farmacisti e operatori del
comparto sanitario si sono costituiti ufficialmente in associazione, dando vita al Coordinamento Regionale Siciliano per la Medicina Integrata (CoReSiMI) con
l’obiettivo di porsi come interlocutore delle istituzioni
governative siciliane, delle Università e degli Ordini dei
Medici. Il CoReSiMI si muove quindi in contesti diversi
attraversando di conseguenza momenti di grande entusiasmo alternati a momenti frustranti. Ciò nonostante,
durante il suo primo anno di vita il CoReSiMI è riuscito
a compiere costantemente dei piccoli passi avanti e ha
raccolto consensi anche a livello nazionale e da alcune
associazioni di pazienti. Le iniziative culturali e professionali si sono susseguite e molti sono stati anche gli interventi a livello istituzionale con incontri ufficiali con
la Commissione Sanità e l’Assessorato Regionale, che si
sono mostrati disponibili al dialogo e pronti a valutare
le relative problematiche presso le opportune sedi, pur
non nascondendo la grave situazione economica che ha
imposto un pesante piano di rientro e grosse limitazioni
negli interventi.
L’Assessorato ha inserito nel Tavolo tecnico per le
MC/MCN della Commissione Sanità della Conferenza
Stato Regioni un esperto della materia, rappresentante
del CoReSiMI, come consulente (a titolo gratuito) del
dirigente regionale nominato, ed ha già inviato a tutte
le Direzioni Sanitarie una scheda al fine di censire i vari
centri in cui la MC/MNC viene praticata a qualsiasi titolo. Gli Ordini dei Medici delle varie province siciliane
sono stati sollecitati a attivare i registri per le MC/MNC,
già presenti nell’Ordine dei Medici di Catania (Agopuntura, Fitoterapia, Omeopatia e Omotossicologia) e di
Agrigento (Agopuntura), ed in via di costituzione nell’Ordine dei Medici di Palermo.
Qui a lato sono riportate le diverse iniziative attivamente
supportate dal CoReSiMI. g
L
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
<
IlConvegnoRegionalediMedicinaIntegratatransculturaleLAMB,ReinterpretarelaMedicina
dell’Uomo,Palermo29-30ottobre2010.
<
IIConvegnoLAMB“RelazioniPericolose”,Catania,9/4/2011.
<
LapartecipazionealForumsu“agopuntura:medicinasocialeelibertàdicura”SaladelRefettorio-PalazzoSanMacuto-Roma26novembre2010.
<
IlCorsodi“medicinaesteticaebenesserepsicofisico:teorieepraticaclinica”,Ordinedei
Medici-Catania,18Dicembre2010.
<
LapartecipazionealConvegnoNazionale“medicineedisciplinebionaurtali.Dueleggiper
unamedicinaintegrata”.RiunioneCONMI–AulaPresidenzaRegioneToscana-Firenze,21
gennaio2011.
<
Convegnosu“AgopunturaAuricolare–Evidenzescientificheedapplicazionicliniche”,Aula
OrdinedeiMedicidiCatania,19marzo2011.
<
MasterdiIlivellosullaFitoterapiaorganizzatodallaCattedradiMedicinadelloSportdella
UniversitàdegliStudidiPalermo(maggiorinotiziesuhttp://www.masterfitoterapiapalermo.it/)traicuidocentisiannoveranoisocifondatoriNocifora,PalmerieSberna.
<
LaprogrammazionedelMasterdiIILivellodiMedicinaIntegratadell’UniversitàdegliStudi
diCatania,suiniziativadellaCommissioneMC/MNCdell’OrdinedeiMedicidiCatania,ilcui
inizioèprevistoperil2012.
<
L’attivazioneamarzo2011dell’ambulatoriodiOmeopatia,MTC,FitoterapiapressolaUOdi
GinecologiaedOstetriciadell’ARNASCivico/BenefratellidiPalermo(DirettoredellaU.Oil
Dott.LuigiAlio)responsabilidell’ambulatorioilDott.GiuseppeScaglione,socioCoReSiMI,
edilDott.LucianoRaineri.Ilserviziofornisceallepazienteinteressateancheunaterapia
omeopaticadisupportoduranteiltravagliodiparto,ilpartoel’allattamento.Incollaborazioneconglioncologi,aderiscealprogettoDianachesioccupadialimentazioneindonne
operatedicarcinomadellamammellaseguiteomeopaticamentesiapercontrastareglieffettidellevarieterapieoncologiche(chemioterapia,radioterapiaeterapieormonali),che
permigliorareingeneralelaqualitàdellavitaconterapiemirate.
<
IsociDott.GaetanoArenaeFrancescaSpada-incollaborazioneconilProf.MarioMatera
delDipartimentodiScienzeFarmacologichedell’universitàdiCatania-hannoeffettuato
unaricercaomeopaticasperimentaleadoppiociecosuOleaEuropea,pubblicatanelmese
diMarzosullarivista”Omeopatia”.
<
IlprogettodelsocioDott.SbernasullaOrodietologiapresentatoaCataniail25giugnoe
cheverràripetutoaPalermol’8ottobrec.a.Dasottolinearechel’impostazionedelprogetto
ètipicamentedimedicinaintegrata,particolarmentenellacasisticachesibasasullecinque
terapiecinesi(dieta,erbe,ginnastica,massaggi,agopuntura)echeilsupportoall’iniziativa
vienedaunaAziendaproduttricedifarmaciconvenzionali.
<
Iprimidatirelativiall’attivitàsvoltanell’ambulatoriodiOmeopatia,MTC,Fitoterapiadell’ARNASdiPalermoverrannopresentatidalDott.ScaglionealCongressoNazionaleSIGO
nellasessionededicataalleMedicineIntegrate,cheprevedeanchelapartecipazionedialtri
sociCoReSiMI.L’eventorappresentaunaimportanteoccasioneperlaMC,inquantoèla
primavoltadelleSocietàScientificheNazionaliinserisconounainterasessionediMedicine
ComplementariinunCongressoNazionale.87°CongressoNazionaleSIGO-52°Congresso
NazionaleAOGOI-19°CongressoNazionaleAGUI-Palermo25-28Settembre2011.
31
CONTRIBUTI ORIGINALI
La malattia come consumo
L’uso dei farmaci e il ritardo integrativo in medicina
Carlo Di Stanislao
E-mail: [email protected]
T
rent’anni fa Henry Gadsen, direttore della compagnia farmaceutica Merck, fece una dichiarazione sconcertante alla rivista Fortune: “Il nostro
sogno è quello di produrre farmaci per le persone sane.
Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”. Quel
sogno si è avverato. Le compagnie farmaceutiche stanno
commercializzando la paura con l’intento di abbassare la
soglia per la prescrizione delle cure e addirittura inventare nuove patologie.
Questo fatto rivela come i cambiamenti d’umore si sono
trasformati in disordini mentali, la timidezza in un Disturbo Sociale Ansiogeno, i bambini vivaci ora hanno la
Sindrome da Deficit di Attenzione e il fatto di essere “a
rischio” di una patologia è diventato esso stesso una malattia.
Sono in molti oggi, anche nel mondo scientifico, a dirci
che, dallo strapotere dell’industria farmaceutica all’uso
strumentale delle ricerche sui nuovi farmaci, dall’abilità
degli informatori alla “complicità” di alcuni medici, dalle
carenze legislative alla timida soggezione dei pazienti davanti al medico, nessun momento della “filiera del farmaco” è trascurato per ricerca una vendita, fuori da ogni
reale necessità, con un numero infinito di principi che
non danno alcun beneficio o che sono addirittura dannosi. Un vecchio motto dell’industria farmaceutica recita
“è bene avere una pillola che cura la malattia, ma è ancora meglio avere una pillola che va presa tutti i giorni”.
Affinché questi farmaci - spesso inutili, spesso semplici
fotocopie di medicinali già esistenti e ancor più spesso
pericolosi - vengano approvati e quindi immessi sul mercato, le case farmaceutiche devono dimostrare di averli
sperimentati sull’uomo. Ed è così che i giganti del farmaco sgomitano alle porte dell’India, del Brasile, della
Russia, della Cina e persino delle cliniche e dei campus
universitari americani ed europei alla ricerca di cavie
umane, spesso inconsapevoli, su cui testare nuovi prodotti. Farmaci per abbassare il colesterolo, per combattere la depressione e per alleviare la disfunzione erettile
maschile, ma anche medicinali killer come il Contergan
che, prescritto alle donne incinte, fece nascere ondate di
bimbi focomelici o il recentissimo anticolesterolo Lipobay, ritirato perché ha causato decine di morti.
Negli ultimi anni, il tema dell’integrazione socio-sanitaria ha assunto un ruolo centrale nel dibattito sulla riforma del welfare. Ma, a ben vedere, il problema è stato
sempre, concretamente, rinviato, senza mai affrontare
come il tradurre in pratica il principio dell’integrazione,
fortemente dichiarato ma spesso poco indagato per
quanto riguarda le concrete modalità di realizzazione.
Secondo l’ultimo rapporto Eurispess del 28 gennaio
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
scorso, il 14,5% degli italiani ricorre alle medicinali non
convenzionali, con un calo del 4% rispetto al 2010. La
via preferita resta l’omeopatia (70,6%), seguita da fitoterapia (39,2%), osteopatia (21,5%), agopuntura (21%)
e chiropratica (17,2%).
Il rapporto non dice, però, che questi dati sono relativi
ad un Paese in cui, tranne poche, fortunate eccezioni (In
Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Lombardia e Val
D’Aosta), le prestazioni sopra-indicate sono non convenzionate e, quindi a pagamento. E poiché la ricchezza individuale fra il 210 ed il 2011 è calata di molti più di
quattro punti, il calo è solo relativo. Per rendersi conto
di ciò basta guardare gli andamenti di fruizione fra 1999
e 2007, cioè sino a quando, con Sirchia, le medicine non
convenzionali sono usciti dai livelli minimi di assistenza
o guardare al numero di prestazioni che alcune realtà
ospedaliere (Pitigliano, Ospedale S. Paolo di Napoli,
etc.), erogano giornalmente.
Commentando il rapporto Eurispess 2012, Elio Cardinale, sottosegretario alla Salute, ha in effetti detto che
bisognerebbe parlare di PIL della felicità, non solo di PIL
economico, in quanto in questo periodo non è importante solo quanti soldi hanno in tasca gli italiani, ma
anche quanto sono sereni. E, negli ultimi tempi, difettano entrambi i “prodotti”, con ampie ed evidenti ripercussioni comportamentali.
Tornado al rapporto, esso ci dice che non siamo un popolo di salutisti, ma di persone che si prendono cura moderatamente di se’. Il 53,7% degli italiani segue
un’alimentazione abbastanza equilibrata (30,9% lo fa
poco), il 47,5% fa periodicamente esami medici di controllo, il 46,7% tiene sotto controllo il peso (contro il
32,3%), ispirandosi ad uno stile di vita salutare oppure
avendo come obiettivo la linea fisica. Inoltre fumiamo
ancora troppo, ma abbiamo un tasso di suicidi minore
rispetto ad altri di altri paesi, con un incremento, tuttavia, negli ultimi anni: stima ve ne siano stati 14mila nel
2010-2011, contro i 3mila del 2009.
Il rapporto conclude che è necessario tornare ad una
buona politica, che sappia operare giuste ed eque scelte
economiche ma, aggiungiamo noi, anche sanitarie e sociali, di basso costo, di alto impatto, gradite e alla portata
di tutti. Inoltre, cosa che sulla stampa è stato poco commentato se non addirittura taciuto, l’Eurispes rivela il rischio di strumentalizzazione delle cosiddette “non
malattie”; il rischio, cioè, dell’imposizione di nuovi farmaci destinati ad un consumo elevato perché rivolti ai
malesseri del mondo occidentale. Solitudine, infelicità e
aspetti collaterali della vecchiaia e della gravidanza. Non
si tratta, però, di vere e proprie “malattie”.
33
CONTRIBUTI ORIGINALI
Il tutto complessivamente gestito da pochi colossi farmaceutici concentrati a sua volta in pochi paesi. Decisa
la prevalenza statunitense. Un settore, nel suo complesso,
caratterizzato da un continuo processo di fusione. Una
“nobiltà economica”, ovvero un sistema farmaceutico altamente concentrato e oligopolistico, che determina la
condizione di salute o di malattia di milioni di persone.
“Big Pharma”, appunto, il nemico principale della Integrazione in Medicina, che opera perché il malato diventi
un business e la malattia non sia scovata ed eliminata,
ma solo e soltanto cronicizzata. Risale poi al 25 novembre dello scorso anno l’annuncio da parte dell’Istituto
nazionale di sanità statunitense, dello stop deciso per un
trial clinico che prevedeva l’uso di un gel vaginale per
evitare il contagio da Hiv. Il gel, denominato Voice, non
ha dato i risultati sperati: è stata registrata infatti la stessa
incidenza del virus tra le donne che lo usavano e quelle
a cui veniva somministrato un placebo.
Già il 28 ottobre del 2010, il quotidiano Repubblica
curò un ampio servizio sul business delle false malattie,
che si apriva ricordando che, in anni in cui si parla di riduzione delle risorse, si moltiplicano invece le giornate
dedicate varie patologia. Ben 60 a livello nazionale, con
osteoporosi, menopausa e timidezza, che un tempo non
erano considerate disfunzioni, ed ora divengono nemici,
così da far salire il costo per sanità pubblica per famiglie
a 4 miliardi all’anno. L’idea di partenza è meritoria: portare una patologia in piazza per farla conoscere e magari
raccogliere soldi per ricerca e assistenza. Il sistema però
è cresciuto a dismisura. Ma così facendo si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine, come scrive Marco Bobbio, nel libro “Il malato
immaginato”.
Tra gli organizzatori delle giornate c’è certamente chi ha
uno scopo speculativo; anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i
pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno
che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare
artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili. E magari a consumare più farmaci. Un esempio illuminante ci viene dal documento (del settembre 2010),
“Il significato dei farmaci - Manuale per un uso responsabile”, redatto dalla Commissione per la Vigilanza sul
doping del Ministero della Salute in collaborazione con
l’Istituto Superiore di Sanità, che rileva determinati comportamenti scorretti e ne prova ad individuare i relativi
effetti collaterali, soprattutto nell’uso legato alle performance sportive. Negli sportivi il culto della vittoria ha
fatto si che un gran numero di persone che praticavano
sport sentissero le loro minori capacità di prestazione
come una sorta di mancanza, quasi una malattia. Ed è
questa sensazione psicologica la causa scatenante della ricerca spasmodica dei modi per colmarla, ad esempio con
farmaci di tipo ormonale, convincendosi che integrassero
la propria fisiologica produzione. Per non parlare poi
del cattivo uso degli psicofarmaci, la categoria più diffusa
al mondo, che oggi vede pericolosamente prevalere la
tendenza dei giovani europei, ad impiegarli per migliorare le proprie prestazioni senza fare troppa fatica, assumendoli senza reale controllo per migliore l’attenzione,
stimolare l’attività cerebrale e riuscire a dilatare le capa-
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cita’ della mente. E’ ormai noto, poi, che ormai i medici
sono classificati a seconda della loro capacità di condizionare i colleghi. In cima ci sono gli influenzatori, bravi
a parlare in pubblico, seguiti da quelli capaci di fare
molte prescrizioni.
Un tempo si diceva che il primo farmaco è “un bravo
medico”, ma oggi non è più così. Le industrie farmaceutiche sono eternamente a caccia di early adopters, gli appassionati delle novità, che amano essere i primi a fare
le cose e, inoltre, sono pronti a sponsorizzare quei congressi in cui sia possibile inserire letture o tavole rotonde
incentrate non sul brand di un farmaco, cosa vietata, ma
sul principio attivo o sulla patologia. Avere questo spazio
scientifico costa diverse decine di migliaia di euro. Per il
tuo simposio ingaggi i relatori, che paghi tra i mille e
5mila euro, e anche il pubblico, cioè i medici che seguono la patologia di cui si parla e che ospiti al congresso. E il fine è quello di vendere più farmaci, non
certo di trovare nuove, più efficaci soluzioni.
Infine, mentre negli Usa, pubblico e privato investono
nella ricerca il 50% a testa, da noi il pubblico finanzia
solo una piccola parte degli studi. Bisognerebbe almeno
favorire l’effettuazione di ricerche a cui partecipano più
aziende: confrontando più farmaci si bilanciano gli interessi di tutti. Inoltre, negli ambulatori arrivano depliant
patinati, non informazioni, senza che il sistema sanitario
dia la possibilità a ogni dottore di accedere alle migliori
evidenze scientifiche.
Un ultimo esempio risale alla campagna, del 2010-2011,
“Dolore Misterioso”, con volantini e poster in tutti gli
studi dei medici di famiglia per insegnare a riconoscere
il dolore neuropatico e descriverlo (come bruciante, lancinante, formicolante, freddo o folgorante). A tal fine è
stato creato anche un sito per iniziativa della Fimmg, sindacato dei medici di famiglia e della Simmg, la società
scientifica di questi professionisti, con l’ausilio dell’Associazione Cittadinanzattiva e unico sponsor la Pfizer,
cioè l’azienda farmaceutica che produce il Lyrica, nato
quando un prodotto simile della stessa azienda, il Neurontin, è diventato generico (peraltro dopo aver fatto
prendere al produttore una multa della FDA da circa
450 milioni di dollari per campagne di marketing scorrette e mancata pubblicazione dei dati di studi negativi).
E senza dire, ad esempio, che, secondo dati internazionali, in più di un terzo dei casi veri e refrattari, l’agopuntura è non solo efficace, ma più maneggevole e
certamente molto meno costosa.
Insomma, oggi, le persone sono state convinte che il loro
benessere si identifichi col possesso di cose e la soddisfazione che ne ricevono non dura, sicché tutta la loro vita
sarà una rincorsa continua di un obiettivo che non raggiungeranno mai in cui si confonde il “ben essere” col
“tanto avere” e il tanto avere con la produzione di “mal
essere”. A questo mal essere generale la crescita della produzione di merci aggiunge un malessere specifico in due
ambiti strettamente legati tra loro: l’alimentazione e la
salute umana: per riuscire a vendere le quantità crescenti
di cibo le grandi aziende del settore hanno indotto una
crescita dei consumi superiore al fabbisogno fisiologico,
da cui sono derivati una serie di gravi problemi alla salute: dalla diffusione dell’obesità, al diabete, alle malattie
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
cardiovascolari. Non potendo sottrarsi alle dinamiche
della crescita economica, nel momento in cui la produzione e l’offerta di farmaci sono diventate superiori alla
domanda espressa normalmente dalla società, le aziende
farmaceutiche hanno dovuto crearsi una domanda aggiuntiva. A tal fine hanno indotto ad abbassare progressivamente le soglie degli indicatori di alcune malattie,
trasformando in patologici alcuni valori precedentemente considerati normali. Sicché la stessa industria farmaceutica non può essere interessata alla prevenzione
delle cause di malattie per cui produce le medicine, in
quanto la logica della crescita non lo consente.
Alla ricerca delle “chiavi” per comprendere la salute e la
malattia, la ricerca scientifica si è inoltrata dentro l’organismo, i tessuti, le cellule, il DNA e, quasi paradossalmente, questo viaggio verso le basi della vita ha mostrato
l’importanza dei processi di regolazione dell’insieme e ha
condotta ad una concezione dell’uomo come sistema
complesso di reti dove le parti si spiegano in relazione al
tutto. In questo contesto l’attività mentale ha cominciato
ad uscire da una dimensione troppo evanescente ed indefinita per assumere connotati più precisi: in relazione
sia all’interdipendenza mente-cervello, sia al ruolo evolutivo della mente nella mediazione tra ambiente interno
ed esterno all’organismo e nella modulazione dei processi
biologici. Se la scienza del XX secolo ci ha consegnato le
premesse per spiegare l’unità psicosomatica dell’uomo,
quella del XXI secolo deve compiere il passaggio dal modello biochimico a quello biopsicosociale della salute e
della malattia. E senza enfasi o modalità esclusivamente
medicalizzanti. Su questo, crediamo, oggi occorre riflettere molto attentamente. g
LETTURE SELEZIONATE
AAVV: L’industria della salute, Ed. Franco Angeli, Milano, 2010.
Adelé S., Jalali R.: Guida per i consumatori di integratori
per lo sport. Alimentazione completa per uno stile
di vita attivo, Ed. Olympian’s News, Roma, 2009.
Bissolo G., Fazzi L. (a cura di): Costruire l’integrazione
sociosanitaria. Attori, strumenti, metodi, Ed. Carocci, Milano, 2002.
Bologna M.: Il cancro si può evitare. Il fumo, l’alcool, la
dieta ed altri fattori carcinogeni ambientali possono
essere controllati, Ed. Verduci, Roma, 1989.
De Mauro L.: Malati di farmaci. Perché l’Industria Farmaceutica vende farmaci, inventa malattie e specula
sul cancro, Ed. Decrescita Felice, Roma, 2010.
De Mauro L.: Malati di farmaci. Come difendere la propria salute dalle medicine inutili e pericolose, Ed.
Riuniti, Torino, 2007.
Di Stanislao C.: Argomenti di Medicina. Il dialogo e l’integrazione fra culture e modeli, Ed. Fondazione Silone, L’Aquila-Roma, 2007.
Lazzari D.: Mente e salute. Evidenze, ricerche e modelli
per l’integrazione, Ed. Franco Angeli, Milano, 2007.
Manghi S.: Il medico, il paziente e l’altro. Un’indagine
sull’interazione comunicativa nelle pratiche mediche,
Ed. Franco Angeli, Milano, 2005.
Moynihan R., Cassels A.: I farmaci che ammalano, Ed.
Nuovi Mondi Media, Roma, 2012.
Shah S.: Cacciatori di corpi. La verità su farmaci killer e
medicina corrotta, Ed. Plus, Milano, 2007.
Luciano Proietti -Mipermettodiintervenireinquestointeressante
forumdellamedicinaintegratache,inquantotale,nondisdegnateDalle pagine di OmeopatiaOnline...
rapieconvenzionaliquandoquelle“alternative”(bruttadenominazione)”nonfunzionano”:sperochearriveremoprestoasmettere
questaassurdadivisionemanicheatraipuriegliimpuri,ibuonieicattivi,iverieifalsi:ilmedicodovrebbeimparareadusarequalsiasi
elementoutileacurareilsintomoolamalattiaapartiredaipiùsemplicifinoaipiùinvasivi(aria,acqua,sale,sole,terra,fiori,piante,essenze,
cibo,rimediomeopatici,massaggio,antibiotici,cortisone,chirurgia,etc).
Madovrebbesoprattuttoimparareadevitarelamalattiaimparandoimeccanismibiologicieleleggievolutivecheregolanoilfunzionamento
delnostromeravigliosoecomplessoorganismo.(...)Lapatologia,dicuisiparla,pensosiailmegacoloncongenito,definitomorbodiHirschsprungessendoilbambinostatooperatoallanascita:èunapatologiacaratterizzatadallamancataoridottainnervazionediuntrattopiù
omenolungodelretto-colonconconseguenteridottaoassentemotilitàperistaltica.Ilrisultatoclinicoèunastipsiostinatarisolvibilesolo
conenteroclismicontinuie,senonsiintervienechirurgicamentenelleprimesettimanedivita,possonoprodursiformedienterocolitegravissime
adesitoinfausto.Isintomiriferitinelcasoriportato,fecidurealternatealiquide,nonsonoaltrochel’effettodell’interventochirurgico(di
discretacomplessità)cheharisoltosoloinpartel’alterazionecongenita.Nonconoscendoilbambino,lasuastoria,latecnicachirurgicautilizzata,
l’alimentazionepraticata,etc.,possodarecomepossibiliinterpretazioni:a)unanoncompletarimozionechirurgicadeltrattoagangliare;b)
unanonadeguataeducazioneeattenzioneall’alvo;c)unanoncorrettaalimentazione.
Simonetta Bernardini -Concordopienamenteconte,sututto.Riguardoallemutandesporchedicacca,vaanchedetto,tuttavia,chesono
moltiibambininormalichesiscordanodifarelacacca(elapipì):devonogiocare,nonèquelloilmomentogiusto(asili,scuola),stipsi.Le
"mutandesudice"nonpatologiavannodistintedaquellacheèlapatologiaechetuhaiperfettamenteinquadrato.
Francesco Macrì -Ritengomoltoopportunol'interventodiLuciano,cherichiamagiustamenteall'ordine.Manonsiamonoiiprimiadaffermare
cheincasodiscarsepossibilitàdisuccessoconl'omeopatiaedaffinièilcasodimetterledaparte?Equestononèverosoprattuttonelcasodi
patologieorganiche?Tuttaviaritengochelecaratteristichedellanostralistasianotalidadareanchespazioadissertazioniche,senzavoler
essereapplicative,hannosicuramenterilevanzadalpuntodivistaancheoesclusivamentedottrinale,intalcasoastratto.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
35
CONTRIBUTI ORIGINALI
Una buona occasione
L’atto di cura al termine dell’esistenza
Maurizio Venezi
Psichiatra, psicoterapeuta, presidente ISDE Perugia
E-mail: [email protected]
Peraltro sembra che le intuizioni di Hahemann non
i sono interessato in passato degli aspetti psicologici che entrano in gioco in campo oncologico e ciò è avvenuto subito dopo la morte
di mio padre per epatocarcinoma. L’aggettivo che mi
sembra più calzante per dare un’idea di quale sia stata la
mia esperienza in quella situazione è devastante. Ciò non
ostante, avverto un senso di profonda gratitudine verso
mio padre che mi ha permesso di cogliere l’occasione, la
“buona occasione”, di essere partecipe, per la prima
volta, al percorso di distacco di una persona dall’esistenza
in vita.
Alcuni mesi prima di quest’evento era nato mio figlio ed
avevo avuto la “buona occasione” di essere partecipe, per
la prima volta, al percorso di radicamento di una persona
nell’esistenza in vita. L’aggettivo che mi sembra più calzante per dare un’idea di quale sia stata la mia esperienza
in quella situazione è esaltante. In entrambe le situazioni
mi sono sentito coinvolto affettivamente attraverso il
vincolo familiare ed al pari sollecitato a tener attivo lo
sguardo professionale. In un caso (morte del babbo) mi
trovavo in casa mia, della mia famiglia d’origine, e di ritorno dall’ospedale dove “non c’è più niente da fare”,
avevo trasformato la camera dei miei in un ibrido ospedaliero con asta per la flebo, siringhe, stetoscopio, sfigmomanometro, WC chimico e quant’altro. Nell’altro
(nascita del figlio) mi trovavo in un ospedale, ma comodamente alloggiato in una camera arredata come in un
albergo con letto matrimoniale, ampio bagno con vasca
da parto, stereo, libreria, frigorifero e telefono.
Tutto era preparato affinché la nascita avvenisse nella
maniera meno medicalizzata possibile, pur assicurando
un livello di intervento adeguato e pronto in caso di necessità. L’accoglienza in area domesticata (leggi: con atmosfera di casa) estesa ad entrambi i coniugi era molto
rassicurante, ma anche aprire la porta e trovarsi nel
mezzo di una corsia di ospedale tradizionale contribuiva
sensibilmente alla nostra tranquillità.
Nel primo caso invece, quel “non c’è più niente da fare”
decretava l’uscita di scena della medicina quale sistema
organizzato di conoscenze, pratiche e procedure atto a
contrastare, antagonizzare, combattere la malattia e mi
lasciava, unico ed ultimo avamposto con le armi spuntate
a: ritardare il più possibile l’evento? Assistere, monitorare, indirizzare l’andamento della malattia?
Mentre apparecchiavo la stanza con il materiale cortesemente offerto dall’ospedale, il babbo gonfio d’ascite già
nel letto, sentivo che eravamo come quei soldati lasciati
indietro a rallentare l’avanzata del nemico nell’attesa,
senza speranza, di una capitolazione inevitabile. Da quel
momento e durante le innumerevoli notti insonni che
M
36
seguirono ho progressivamente preso coscienza di essere
stato formato ed allenato per praticare una medicina
“belligerante”. Una medicina fatta di “lotta contro questa
e quella malattia” di “difesa della salute” di “presidi sanitari, terapeutici, preventivi”, di anticorpi come missili intelligenti alla ricerca del “target” antigenico, di
infiammazioni come incendi, di cellule neoplastiche
come incursori, di metastasi come avamposti capaci di
aprire conflitti su nuovi fronti.
Una medicina capace di pompare all’inverosimile l’onnipotenza eroica del medico, ma anche di regalare frustrazioni immense come oceani di sconfinata impotenza.
Una medicina, un sistema di conoscenza, che tenendomi
concentrato sui sintomi e sulla malattia da “combattere”
mi aiutava, in quella circostanza per me così particolare,
a difendermi dal dover prendere in considerazione la persona del mio congiunto nella sua necessità di accompagnamento all’esperienza degli ultimi tempi di esistenza
in vita. A differenza degli altri familiari potevo rifugiarmi
nel ruolo professionale ed evitare, almeno apparentemente, che quanto mio padre andava esperendo evocasse
in me lo spettro della mortalità, della mia stessa mortalità, riflessa nell’innegabile evidenza della sua che si andava compiendo. Citando Savater: “Moriranno altri
uomini, ma ciò accadde nel passato / che è la stagione (nessuno lo ignora) più propizia alla morte” dice Borges all’inizio di un breve e magnifico poema apocrifo “E’
possibile che io, suddito di Yaqub Almansur / muoia come
dovettero morire le rose e Aristotele?”.
Per quanto la statistica sia irrefutabile e il nostro stesso
corpo non smetta di mandarci segnali inequivocabili, la
nostra morte sembra a ognuno di noi non molto di più
di un ipotesi, intimamente poco verosimile. Se volete,
sappiamo che moriremo, ma non ci crediamo. Sull’argomento Sigmund Freud è assertorio: “Effettivamente la
propria morte è irrappresentabile, e ogni volta che cerchiamo
di farlo, possiamo constatare che in realtà continuiamo ad
essere ancora presenti come spettatori. Perciò la scuola psicoanalitica ha potuto anche affermare l’asserzione che non
c’è nessuno che in fondo creda alla propria morte, o, ciò che
equivale, che nel suo inconscio ognuno di noi è convinto
della propria immortalità” (S. Freud,1915: Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. in Id., Opere, vol.
8, Boringhieri, Torino 1976. p.137).
Non so definire bene, oggi, quanto allora mi trovavo ad
agire in ruolo di medico, dal procedere a misurazione di
vari paramentri biologici all’elaborare complesse strategie
per evitare il crollo della protidemia e l’ulteriore diffusione dei liquidi in peritoneo. Perché lo facevo?
E perché mi sembrava inevitabile doverlo fare?
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
Mi stavosembra
Peraltro
occupando
che ledella
intuizioni
personadidi
Hahemann
mio padrenon
o della
sua malattia? Tentavo di contrastarne il male nell’illusione onnipotente di poterne rallentare se non annullare
l’esito?
Pre-occupandomi delle sua malattia, mi prendevo forse
l’agio psicologico di non occuparmi della sua imminente
morte e della nostra, la sua come la mia, innegabile mortalità? E soprattutto, quella componente del mio agire,
diciamo così, tecnico-scientifica, corrispondeva a qualcosa che, anche solo parzialmente, potessi chiamare
“cura”?
Prendermi cura del male, del suo andamento, del suo
procedere nel corpo o prendermi cura di quella persona
che, a sua volta, con tanta cura mi aveva allevato?
E le due cose insieme, così come apparivano entrambe
necessarie, sarebbe stato umanamente possibile agirle
contemporaneamente?
Così si esprimeva Igino nell’anno 2: La “Cura”mentre
stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa ne raccolse un po’ e cominciò a dargli forma. Mentre
è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove.
La “Cura” lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa
aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la
“Cura” pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto,
Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la “Cura” e Giove disputavano sul nome, intervenne
anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse
imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una
parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta
decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento
della morte riceverai lo spirito; tu, Terra che hai dato il
corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la “Cura” che per
prima diede vita a questo essere, fin che esso vive lo possieda
la “Cura”. Per quanto concerne la controversia sul nome, si
chiami “homo” poiché è fatto di “humus” (Terra).
Quanto espresso da Igino è intuizione poetica che una
ventina di secoli dopo ha trovato conferma in osservazioni etologiche e psicanalitiche di grande ed affascinante
rilievo. Innanzitutto le osservazioni di Renè Spitz negli
anni ‘50 sulle carenze totali o sub-totali di cure affettive
materne a carico di neonati. Mi riferisco qui, nei termini
di “cure affettive materne”, allo svolgere azioni affettivamente significative esitanti in esperienze sensoriali gratificanti quali contatto, abbraccio, sguardo, voce, ecc.
Spitz svolse le sue ricerche in istituzioni per infanti abbandonati.
Laddove non riusciva a trovare una madre sostitutiva per
ognuno dei piccoli ospiti, fosse stata costei pur’anche un
uomo, propose degli allattatoi meccanici; ma dovette
constatare che, pur in presenza di cibo, calore e pulizia
ma in assenza di cure affettive materne o di adeguato sostituto, l’infante sviluppava comunque una depressione
anaclitica, altresì detta sindrome da abbandono o sindrome da ospitalizzazione, caratterizzata clinicamente
dal costante susseguirsi delle seguenti fasi: a) il pianto del
bambino si fa più monotono e meno modulato; si trasforma in grido; b) dopo 2-3 mesi, in assenza di cure affettive materne, il bambino diviene insonne, rifiuta il
contatto, ha un arresto dello sviluppo psicomotorio;
l’espressione del viso diviene rigida; assume frequenteHOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
mente la posizione che Spitz ha considerato “patognomonica”: resta lunghe ore coricato a ventre in basso con
scarsa reazione agli stimoli: nel frattempo ha un calo
ponderale ed un crollo delle difese immunitarie; c) se
perdura oltre tre mesi questa condizione può portare a
ritardi mentali irreversibili; talvolta anche a gravi decadimenti organici generali (marasma) e finanche alla
morte.
In relazione agli studi di Spitz, ed alla loro integrazione
con le risultanze prodotte da John Bolbwy e note come
“teorie dell’attaccamento”, si è giunti a collocare il bisogno affettivo del bambino a livello dei bisogni biologici
fondamentali ed a definire la dipendenza vitale dalla cura
materna nei termini essenziali di fame primaria d’amore
(Levy).
Dunque, pur provvedendo alle necessità biologiche fondamentali quali acqua, cibo, calore ed igiene adeguata,
come si può ottenere organizzando ed amministrando
una “sufficientemente buona” ospitalità secondo criteri
logici e tecnico scientifici, in assenza di veicolazione di
affetto, in assenza di quelle funzioni affettive elementari
che rendono conto, non a caso, della nostra appartenenza al gruppo dei mammiferi, la vita, constatata la bioillogicità dell’ambiente, opera un progressivo
disinvestimento dal corpo biologico decadendo gradualmente, con danno via via sempre meno riparabile, fino
ad estinguersi. In altri termini, se un “dispositivo organico umano” (ma anche solo organico o vivente) viene
lasciato senza cura, va in sofferenza ed il danno che può
derivarne sarà tanto più grave quanto più tenera è l’età
del deprivato e quanto più prolungata è l’assenza di cura
o di vicariazione della stessa da parte di altro mammifero.
Tra gli animali l’uomo, avendo supposto di poter cambiare assetto posturale (...la sfida verso il cielo), ovvero
essendo stato costretto da contingenze evoluzionisticamente significative a passare al bipedismo è andato incontro ad alcune trasformazioni.
< Restrizione dei diametri del bacino per assicurare un
supporto valido alla deambulazione.
< Trasformazione del treno anteriore dei quadrumani
in arti superiori dei bipedi. Con esonero degli arti superiori dal sostenere il peso e specializzazione degli
stessi nella funzione esplorativa/manipolativa. Esplorazione che, quando rivolta a materia vivente, diviene
interazione e quindi relazione. Esplorazione, interazione e relazione richiedono sempre maggior complessità e specializzazione che, per essere
funzionalmente integrate a livello di sistema nervoso
centrale, richiedono un fondamentale prerequisito
bio-strutturale: un aumento di dimensione della vescicola cefalica e quindi della testa del nascituro.
< Ne consegue: diminuzione relativa del tempo di gestazione per impedire che i rapporti tra diametri cefalici “aumentati” e diametri del bacino “ridotti”
possano confliggere a tal punto, al momento della nascita, da impedire il passaggio della prole attraverso il
canale del parto.
< Ne consegue: nascita anticipata di una prole che risulta essere la più inerme di tutti i mammiferi, raggiungendo l’indipendenza nel movimento, dopo 12
mesi circa.
37
CONTRIBUTI ORIGINALI
<
Peraltro
Ne consegue:
sembra che
necessità
le intuizioni
vitale di
di continuare
Hahemannad
non
essere
assistita e protetta una volta fuori dalla pancia, necessità vitale di cura; di rimanere il più possibile a contatto con i suoni del corpo materno (voce inclusa!),
con la temperatura del corpo materno, con la morbidezza del corpo materno e, via via che gli apparati sensoriali si sviluppano, con l’odore del corpo materno,
nonché con lo sguardo e la mimica materna in tutte
le sue modulazioni espressive e quindi emotive.
Il primo ambiente di vita deve pertanto: a)rispondere il
più possibile alla nostalgia fusionale della “carne materna, prodiga di cura” (Irigaray, 1989); b) essere conseguente e congruo all’esperienza di cura totale esperita
nella fase prenatale; c) essere causa, funzione e stimolo
del gradualissimo progresso verso l’indipendenza. La
cura quindi, come funzione peculiare della specie; attitudine fondamentale e necessaria alla sopravvivenza ed
allo sviluppo della prole. Alimento della “fame primaria”
la cura materna radica in noi la prima essenziale tessera
engrammatica necessaria alla sopravvivenza: quella dell’amore.
Tornando all’ esperienza della nascita del figlio, tutto si
svolse in armonia e potemmo passare la notte insieme
nella stanza più ospitale. Se non ché la nascita prematura
di un mese ed un velo di subittero promossero, secondo
protocollo, la deposizione del “prematurino” in incubatrice, per irradiarlo con una lampada a raggi ultra violetti. Era maggio e sarebbe bastato esporre il bimbo al
sole nelle ore calde, attraverso la finestra aperta, perché
gli ultravioletti naturalmente prodotti dal sole provvedessero a rompere le molecole di bilirubina sulla superficie cutanea. Nonostante le mie conoscenze scientifiche
di giovane medico, impiegai un paio di giorni prima di
decidermi ad esprimere un motivato dissenso circa le
considerazioni tecniche, per altro ineccepibili dal punto
di vista procedurale, espresse dal pediatra; firmare la cartella clinica e “dissequestrare” l’infante dal raziocinio
scientifico che, incurante del danno che poteva occorrere, ne tratteneva il corpo in incubatrice per svolgere i
suoi (...i nostri) protocolli in totale alienazione rispetto
ai più elementari principi di cura.
Rivedendo oggi questi passaggi mi sorprendo a constatare che:
< nel caso della morte del babbo in una casa “ospitalizzata”, il ruolo medico, l’agire tecnico-scientifico e procedurale, mi si erano offerti come scappatoia alle
tensioni dovute a quanto, attraverso la malattia, si
profilava. Se, come accade a molti, avesse prevalso il
mio bisogno di fuga dallo spaventoso inevitabile
evento, ovvero se mio padre non avesse avuto la lucidità di chiedere di morire nel suo letto, molto probabilmente avrei preteso ed ottenuto che fosse assistito
secondo le migliori procedure in reparto specialistico
ed infine in terapia intensiva, attaccato a delle macchine fino all’esito.
< nel caso della nascita del figlio in un ospedale “domesticato”, le considerazioni tecnico scientifiche del primario della pediatria, portate secondo scienza e
coscienza per prevenire danno e malattie, scotomizzavano e nascondevano le effettive priorità della neonata persona che, evidentemente, erano di stare a
38
stretto contatto con la madre. Se, come accade a
molti, mi fossi semplicemente affidato al “procedere
delle procedure”, il neonato sarebbe rimasto in incubatrice per scongiurare un rischio reso tangibile dalla
colorazione giallastra della pelle, finendo per essere
esposto ad altro rischio, meno tangibile ma non per
questo di minor portata, quale la separazione dal
corpo della madre nel primo periodo di vita.
Come un’azione di protezione quando diventa invasiva
non risponde più al principio di cura, così un’azione che
distrugge non necessariamente ha una valenza negativa
se si qualifica come decostruzione di mondi simbolici o
di pratiche relazionali che riducono lo spazio di autorealizzazione dell’altro5.
Continuando ad indagare su senso e significati della cura
mi piace includere alcune righe dalla voce Cura dell’Enciclopedia Einaudi: “La Cura, presentata dalla logica liberale, formalmente rispettosa della libertà dell’individuo,
come un diritto del cittadino, si traduce in un’illusione che
consente - attraverso l’esplicazione delle (nuove) tecniche l’espropriazione del corpo del malato. Se infatti la malattia
è diventata una mediazione contro cui lottare per evitare
la morte, se cioè la paura della morte si è tradotta in paura
della malattia, non è l’uomo malato a lottare contro la sua
malattia, pur con l’aiuto del medico, ma è il tecnico che se
ne appropria come oggetto di sua competenza, escludendo
ogni partecipazione dell’uomo che, in questo modo, si trova
espropriato non solo della malattia, ma dello stesso corpo di
cui altri si impadroniscono.”6
La grande ricchezza che, a mio avviso, le medicine non
convenzionali portano in dote alla scienza medica, attraverso la proposta delle Medicine Integrate, consiste proprio nel produrre un punto di vista capace di
riposizionare il medico rispetto all’oggetto di sua competenza che, allo stato dell’arte, sembrerebbe poter essere
solo la malattia.
Ricollocarne il punto di vista in modo tale che includa
la persona oltre che la malattia. Ripeto: oltre che la malattia, non al posto della malattia!
Ciò che ha sollecitato in me l’interesse professionale e
mi ha condotto, ormai maturo, a riprendere gli studi di
medicina nella sue varianti dell’omotossicologia prima e
dell’omeopatia poi, è stato il fatto che, nell’incontro con
il paziente, si dovesse mirare innanzitutto a far emergere
la costituzione, il substrato bio-tipico di quest’ultimo.
Come dire che, nell’incontro con il malato, la prima domanda che il medico è tenuto a porsi non è: “che sintomi
esprime o che malattia ha?” così da comporre rapidamente la diagnosi e veloce passare alla terapia con già in
testa la domanda incalzante: “con quale categoria di farmaci, macchinari, manovre operative, posso aggredire la
malattia?”. Ma diventa essenziale chiedersi, in anticipo
rispetto a queste pur lecite considerazioni: “Chi è? Come
sta al mondo? Che postura ha? Come cammina? A quali
esperienze è incline? A quali emozioni? Quale costituzione è sottesa al suo modo di essere? Quale biotipo?
Quale carattere?”. E di seguito: ”Quale gruppo di rimedi,
sottoposti a proving, ha dato evidenza di sollecitare
quella costituzione ad indirizzarsi verso uno stato di
maggior benessere?” Ed infine, dopo aver incrociato questi dati con l’analisi dei sintomi ed indagato il modo, a
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
CONTRIBUTI ORIGINALI
volte delsembra
Peraltro
tutto personale,
che le intuizioni
di patirne:
di Hahemann
“Come posso
noncoltivare le cause della sua salute?”, che non solo è molto diverso da dare battaglia alla malattia ma, coltivare le cause
di salute, è qualcosa che assomiglia da vicino a quanto
fanno istintivamente le mamme di mammiferi e che,
come abbiamo visto, può essere considerato operativamente fondativo del concetto di cura.
Ed allora, trovandoci a trattare di funzioni operative,
possiamo arrivare a dire che la cura si può agire?
Certo! La cura è un agito.
Un agito diffuso in tutto il mondo animale, specifico
della classe dei mammiferi, particolarmente sviluppato
ed essenziale per la specie umana. Le cure primarie, opportunamente agite dalle mamme o da adeguati sostituti,
si inscrivono nel nostro organismo come tracce mnestico-sensoriali fondanti il presupposto assoluto dell’esistenza in vita, ed in seguito delle sue declinazioni e
rappresentazioni nell’amore, nel piacere, nel benessere,
nella salute. Le qualità termiche, ritmiche, vibrazionali,
in una parola sensomotorie, che sostanziano le cure primarie all’interno della relazione madre-neonato sono le
uniche capaci di innescare, laddove ovviamente siano
sufficienti i presupposti biologici, il nostro strumento
emotivo/sensoriale, il corpo, in-formandolo secondo i
principi biologici e zoologici di regno, classe e specie, ma
anche secondo gli stili culturali e relazionali di etnia,
tribù, famiglia, diade e, ovviamente, individuali. Il processo può avvenire in vari modi, più o meno qualitativamente congrui o difettuali; ciò che è dimostratamene
certo, è che si arresta completamente per riduzione dei
“tempi di esposizione all’amore materno” al di sotto di
un limite quantitativamente critico che, almeno negli
anni ‘50 del novecento, è stato misurato da Spitz nell’ordine di sei mesi di assenza continuativa nel corso del
primo anno di vita. Se ne deduce che, se la cura è un
agito, il requisito essenziale della cura è la presenza di un
essere capace di agirla.
Cosa possiamo intendere, allora, per presenza?
Se manca la persona fisica del caregiver (dall’inglese: colui
che profonde cure) ovviamente non c’è agente e non può
esserci cura. Se il caregiver, o presunto tale, è lì fisicamente ma con il flusso dei pensieri è nella memoria (passato) o nella previsione (futuro) quando non trasferito
istantaneamente in un “presente altro” dagli strumenti
della telecomunicazione, ciò che potrà agire sarà, tutt’al
più, una attività di cura, spesso standardizzata e routinaria ma, se l’agente è esperto, anche ineccepibile sul
piano tecnico formale. Se invece il caregiver riesce ad essere presente a sé stesso e quindi all’altro, se è capace di
rinunciare alla propria assenza, se in maniera deontologicamente ed eticamente misurata riesce ad agire la propria “mezza parte” nel fenomeno duale delle relazione,
allora ha qualche probabilità di trovarsi a svolgere una
azione di cura sinergicamente terapeutica (se è tecnicamente competente) e taumaturgica (se è relazionalmente
competente).
Performare una azione di cura non è dunque semplice;
qui come per altri fenomeni difficilmente misurabili,
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
conta non solo la quantità di tempo che come curante si
trascorre in presenza dell’altro, ma anche e soprattutto
la qualità della presenza.
L’azione di cura come atto di presenza qualitativamente
rilevabile, oltre che tecnicamente competente, può rendere conto di un ritorno a casa della medicina alla sua
funzione originaria di arte della cura. Un’arte di tipo performativo che, come tutte le arti performative, ha bisogno, oltre che di una formazione teorica ed adeguata
pratica, di un sistema di allenamento costante e continuativo che procuri, favorisca e susciti la necessità del
performer di trovarsi in un determinato stato esistenziale
di particolare disponibilità psicofisica all’esecuzione
dell’atto d’arte: in questo caso specifico l’atto squisitamente relazionale della cura.
Per concludere, mi piace proporre, ancora una volta, uno
spiazzamento semantico che possa essere d’introduzione
e stimolo ad un effettivo cambiamento dello stato dell’arte. Proviamo a vedere che succede se consideriamo
un retaggio del “bellicismo” medico-scientifico anche il
termine centrata che ancora assomiglia a mirato e che
evoca un puntatore ed un bersaglio. Proviamo ad immaginare che cosa possa accadere se sostituiamo “medicina
centrata sulla persona”, espressione alla quale come sperimentatori di medicine complementari alla medicina
tradizionale occidentale siamo già sensibilizzati e fidelizzati, con il termine “medicina basata sulla persona” o
meglio ancora “fondata sulle persone”.
Potrebbe essere, se mi passate il paragone, come quando
fu scoperto il sistema delle vene e delle arterie: era già lì
ma non lo avevamo ancora considerato; una volta che lo
abbiamo preso in considerazione si è prodotto un aggiornamento che ha riguardato tutto il sistema delle conoscenze scientifiche sul funzionamento degli animali.
Oggi, volendo affermare questa come una scoperta ed
aggiornare l’oggetto di applicazione della medicina dalla
malattia al malato o, meglio ancora, alla persona, opereremmo un necessario quanto provvidenziale “cambio di
paradigma” e potremmo trovarci a stravolgere radicalmente il sistema di conoscenza con un effetto domino.
Nel momento in cui, anche come tecnici, ci troveremo
a prendere in considerazione la persona, senza ridurre il
campo di attenzione al mero oggetto malattia, dovremo
riconoscere di aprire con questa una relazione. Poco simmetrica sul piano dei ruoli, dei poteri e delle conoscenze
ma assolutamente speculare sul piano della soggettività:
non vi sarà più un soggetto che compie operazioni tecnicamente e scientificamente validabili su di un oggetto,
ma due soggetti che si relazionano per produrre salute,
o meglio per coltivare salute.
La mia personale impressione è che, accettando finalmente di agire una medicina di relazione e di coltivare
l’altro profondendo cura, nel senso proprio del termine,
potremmo trovarci a dischiudere la medicina del futuro
recuperando al mansionario del curante la raffinata ed
antica arte della taumaturgia, da affiancare alla collaudata
ed efficiente tecnica della terapia. g
39
MPENOPAUSA
ATOLOGIA
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
40
Il contributo dell’omeopatia
Stefania Graziosi
Endocrinologo, medico esperto in omeopatia
E-mail: [email protected]
A
lla Consensus Conference internazionale dell’aprile 1993 a Hong Kong si definì l’osteoporosi
come: “affezione sistemica dello scheletro caratterizzata da riduzione della massa ossea ed alterazione
dell’architettura microscopica del tessuto osseo che comporta una maggiore fragilità ed un maggior rischio di
frattura”. E’ questa senz’altro la più corretta definizione
di una patologia che soltanto negli ultimi decenni è arrivata alla ribalta e di cui spesso si parla anche troppo e
male.
Anatomicamente risulta caratterizzata da una diminuzione della massa ossea legata a squilibrio fra la funzione
costruttiva degli osteoblasti e quella invece di riassorbimento degli osteoclasti. Questo, nella donna in menopausa, oggi davvero nell’occhio del mirino in relazione
ad essa, è causato anche dal riarrangiamento ormonale
che interviene al termine della vita fertile. A quelli cioè
che normalmente vengono definiti “disturbi ormonali”
del climaterio e della menopausa ma che sono il fisiologico, ed inevitabile, cambiamento dovuto al tempo che
passa ed all’uso che ciascun individuo, dipendentemente
sia dalla sua costituzione sia dall’anamnesi patologica sia
dallo stile di vita condotto, inteso in senso lato, fa dei
propri organi, apparati, tessuti e della propria esistenza.
In ogni caso l’osso osteoporotico presenta alterazioni
qualitative e quantitative dei suoi componenti ma anche
della sua struttura tridimensionale cioè della caratteristica trabecolatura.
L’osteoporosi è pertanto un fenomeno naturale ed, in
particolare, uno degli aspetti di quei tanti processi insiti,
e pertanto fisiologici, nell’invecchiamento dell’organismo, nella senescenza. Diviene malattia allorché la massa
ossea è inferiore all’11% della massa corporea totale, cioè
allorché l’osso può andare incontro a fratture spontanee
soprattutto a carico delle vertebre e dei femori.
La riduzione del tessuto osseo inizia addirittura fra i 20
ed i 30 anni e continua fino all’exitus in modo estremamente diverso da individuo ad individuo, in relazione
alle sue peculiarità morfologiche, funzionali, patologiche
o semplicemente legate al modus vivendi agito. Questa
rarefazione tissutale ha andamento regolare e progressivo
nell’uomo mentre può subire accelerazione nella donna
allorché inizia il climaterio e poi avviene la menopausa.
Tale caratteristica viene imputata al calo degli estrogeni
che interviene in quanto questi agiscono sia favorendo
l’assorbimento intestinale del Calcio alimentare sia favorendone l’utilizzazione proprio a livello dell’osso.
La diagnosi si effettua oggi con la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata) che andrebbe richiesta a livello lombare negli individui sotto i 65 anni ed a livello
femorale in quelli oltre i 65 anni di età. La vertebra, per
il suo alto contenuto in osso spongioso, fa rilevare meglio
le alterazioni di densità indotte dalla carenza estrogenica
mentre il femore è la sede delle fratture senili più frequenti. Non va neppure sottovalutata l’ipotesi diagnostica di una “osteoporosi secondaria” cioè legata ad altre
patologie soprattutto quando la si riscontra nel sesso maschile ed in giovane età oppure allorchè appaia di notevole gravità o rapidamente ingravescente.
Anche alcune analisi chimico-cliniche possono essere di
aiuto alla diagnosi: fosfatasi alcalina ossea circolante, calcio e fosforo plasmatici ed urinari, ma anche le ormonali:
paratormone e calcitonina, nonché osteocalcina, vitamina D3, aggiunte alle analisi cliniche generali soprattutto rivolte a possibili patologie renali intervenenti.
La raccolta di una accurata anamnesi soprattutto familiare, legata alla frequenza di osteoporosi quale malattia
degenerativa su base ereditaria e costituzionale, può essere di notevole interesse così come quella dell’anamnesi
patologica che può far valutare anche le diverse patologie, sistemiche oppure endocrine, favorenti nonché i
danni iatrogeni e gli effetti conseguenti a pregressi interventi chirurgici. Ulteriori interessanti osservazioni riguardano lo stile di vita. E’ infatti importante seguire
alcune regole igienico-dietetiche: mantenere un BMI, indice di massa corporea, non inferiore a 19 Kg/mq; evitare il fumo e l’uso eccessivo di alcool; esporsi alla luce
solare; alimentarsi con una dieta avente congruo apporto
di calcio; condurre una vita fisicamente attiva: almeno
camminare quotidianamente! ed all’aperto.
Nei paesi industrializzati le donne affette da osteoporosi
risultano essere 75.000.000, di cui il 30-40% va incontro
a fratture non traumatiche. Sembra inoltre che il 33%
delle donne in post-menopausa abbia osteoporosi. Nelle
ultra-ottantenni il rischio di frattura d’anca raggiunge il
50%. Questi dati numerici bastano a far comprendere
quale costo, anche sociale, rappresenti questa patologia!
Parlando in termini di Omeopatia costituzionale può rilevarsi come questa problematica colpisca soprattutto i
biotipi longilinei astenici pur riscontrandosi anche nelle
costituzioni brevilinee, endo- e meso-blastiche. In queste
ultime l’osteoporosi è rara in quanto è proprio dal foglietto mesoblastico che si sviluppa il tessuto osseo e
tutto il sistema osteoarticolare nonché il sangue ed i reni,
che tanto intervengono nel metabolismo osteo-calcico.
Nelle donne endoblaste o carboniche, il foglietto embrionale dà origine, fra l’altro, alle paratiroidi ed il biotipo presenta un iperparatiroidismo nonché turbe del
metabolismo del calcio che lo contraddistinguono fin
dall’infanzia con ritardo della crescita ossea, tendenza al
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
fitosi, osteiti fino alla necrosi soprattutto a carico di ossa
lunghe - mastoidi - ossa temporali, fragilità e carie dentarie. Dolori osteocopi, artrosi, artralgie diffuse, rigidità
articolare, grave osteoporosi caratterizzata da processi
sclerotici con apposizione disordinata.
Phosphorus - Medicinale della costituzione ectomorfa,
longilinea astenica, ossigenoide, tubercolinica. Il fosforo
è costituente essenziale della cellula, di ogni cellula vivente, ed è avido di ossigeno. A carico del tessuto osseo
è facile riscontrare deviazioni della colonna vertebrale e
tendenza alle infiammazioni delle epifisi nell’infanzia e
nell’adolescenza, l’età adulta è caratterizzata da una progressiva demineralizzazione che si va aggravando con la
menopausa e che porta ad una franca osteoporosi. Patognomonico è il dolore alla percussione delle vertebre dorsali ed il bruciore interscapolare ed osseo nonché le facili
osteiti dapprima condensanti poi rarefacenti che raggiungono anche la necrosi suppurativa. Le ossa caratteristicamente più colpite sono le mascellari.
Silicea - Biotipo ectomorfo, tubercolinico, magro, con
tendenza alla demineralizzazione ed alla emaciazione;
anche lo scheletro è malnutrito, esile e fragile, gli annessi
cutanei sono ipotrofici. Caratteristiche le epifisiti giovanili, il rachitismo, le fratture, le carie dentarie, l’artritismo. L’osteoporosi con fratture ed il ritardo nel
consolidamento osseo cicatriziale sono segni ben evidenti. Anche le protesi rappresentano un problema per
la facilità ai fenomeni suppurativi e la tendenza all’eliminazione dei corpi estranei.
Natrum muriaticum - Cloruro di sodio; determinante
nel mantenimento della pressione osmotica e dell’equilibrio acido-base; biotipo magro, astenico, disidratato,
demineralizzato, anemico, irritabile, ipersensibile, nostalgico, collerico, poco dignitosi. Va incontro a spondilalgie, a patognomoniche lombalgie che migliorano con
forte pressione locale in posizione seduta, artralgie croniche, tendenza alle distorsioni, epifisiti della crescita, ed
ovviamente all’osteoporosi legata ai fenomeni di demineralizzazione. Caratteristico dolore lombo-sacrale migliorato premendo la zona su una superficie dura.
In associazione ai rimedi esposti può risultare valido l’uso
dei seguenti, soprattutto a basse diluizioni:
Symphytum officinale - E’ un farmaco elettivo per il tessuto osseo ed è definito “lo specifico ortopedico”; ha
azione, sia acuta sia cronica, sulle articolazioni e soprattutto su quella delle ginocchia e sulla mandibola. Accelera la formazione del callo osseo, elimina i sequestri ossei
ed i dolori residui periostei.
Ruta graveolens - Agisce, sia in fase acuta sia in fase cronica, sul periostio, sui tendini ed i legamenti; utile dopo
traumatismi dell’osso e del periostio nonché nelle distorsioni e lussazioni; nelle lombo-sacralgie e coccigodinie
che migliorano soltanto stando in posizione supina; nei
dolori reumatici; nei dolori avvertiti come contusivi soprattutto nelle zone su cui ci si appoggia; va ricordato
non solo nei traumatismi incidentali ma anche dopo gli
interventi chirurgici. E’ un farmaco utile nella costituzione brevilinea stenica, mesomorfa, sulfurica, sanguigna
che migliora sempre con il movimento e cambiando posizione. g
PATOLOGIA
M
ENOPAUSA
rachitismo, valgismo degli arti inferiori, cifosi. La donna
astenica ectoblasta, fosforica, magra, gracile e demineralizzata è anche un ipoparatiroidea che cresce rapidamente
ma altrettanto precocemente presenta scoliosi, cifosi, lordosi, esostosi, fratture fin dall’infanzia e che sarà candidata alle forme più gravi di osteoporosi. Laddove la
strategia adattativa fluorica si manifesterà con maggior
rilievo, nei diversi biotipi, sarà possibile evidenziare un
più elevato e rapido grado di patologia. Di seguito i farmaci omeopatici che più vengono utilizzati, nelle diverse
costituzioni.
Calcarea carbonica - Farmaco costituzionale di base della
costituzione brevilinea astenica, endomorfa, linfatica e
sicotica, che presenta un alterato metabolismo dell’elemento calcio, costituente essenziale della struttura ossea.
Nell’infanzia si evidenziano rachitismo e disturbi della
dentizione. Nell’adulto lo scheletro è pesante, le articolazioni poco elastiche e con rigidità articolare; c’è tendenza ai crampi muscolari ed alle artralgie soprattutto
vertebrali e coxo-femorali. Con il procedere degli anni,
si manifesta artrosi osteofitaria soprattutto post-menopausale, che viene aggravata dal sovrappeso e dall’obesità,
caratteristicamente ginoide con preponderanza della
massa adiposa sul basso addome e con infiltrazione delle
anche, ginocchia, caviglie, che determinano complicanze
sia di ordine meccanico sia di ordine circolatorio . La
tendenza alla pigrizia fisica ed alla sedentarietà, al risparmio della fatica, peculiari di questo biotipo, contribuiscono al peggioramento della sua osteoporosi.
Calcarea phosphorica - Farmaco costituzionale di base
della costituzione longilinea astenica, ectomorfa o fosforica. Si rileva una precoce osteopenia fino alla franca e
grave osteoporosi con facilità alle fratture, anche dei
corpi vertebrali, caratterizzate da difficoltà di cicatrizzazione e comunque lenta ripresa dell’articolarità. Sono
queste le pazienti nelle quali è sempre doveroso indagare
sullo stato del loro metabolismo osseo senza attendere la
menopausa per poi ricorrere alle terapie.
Calcarea fluorica - Medicinale della strategia adattativa
fluorica, del miasma luetico hahnemanniano. Questo
sale agisce nell’organismo alterando il metabolismo del
fluoro ed attuando patologie ad andamento lento e cronico che possono raggiungere l’ulcerazione, la necrosi, la
sclerosi. Agisce omeopaticamente sul metabolismo
fluoro-calcico e pertanto sul trofismo dell’osso, dei legamenti, dei denti, del sangue. Precocemente, nel biotipo
sensibile, si notano fenomeni di lassità legamentosa ed
articolazioni particolarmente mobili, scoliosi, cifosi, sinoviti croniche, distrofie ossee, esostosi, periostiti, suppurazioni ossee, tumori ossei, reumatismo deformante,
artrite deformante, artrosi osteofita ria che va incontro a
fenomeni di anchilosi, sacralizzazione della quinta vertebra lombare, lombalgie croniche, osteoporosi con fratture spontanee, alterato rimaneggiamento osseo.
Fluoricum acidum - Svolge la sua azione (lenta, cronica
e profonda) sotto l’egida del miasma fluorico-luetico ma
anche di quella sicotica. Interviene soprattutto sui tessuti
connettivali ed in particolare su quello osseo e legamentoso, sui denti, sugli annessi cutanei, sul sangue, con alterazione della nutrizione e mineralizzazione. Sul tessuto
osseo determina fenomeni di periostosi, esostosi, osteo-
41
MPENOPAUSA
ATOLOGIA
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
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Il contributo della fitoterapia
Gabriele Saudelli
Medico esperto in agopuntura, fitoterapia e MTC
E-mail: [email protected]
S
i sa che la donna è molto più attenta al proprio
stato di salute, rispetto al maschio, tanto che di recente comparve uno studio che dimostrava che il
maschio single ha una minore aspettativa di vita rispetto
al coniugato: la moglie/compagna/fidanzata ha l’effetto
di indurlo - quando è presente un segno/sintomo - a farsi
visitare dal medico curante anche quando egli è recalcitrante. I mezzi, dalla sferoclasia occasionale, alle ritorsioni ispirate dall’aristofanesca Lisistrata non mancano,
nella panoplia di convincimenti in mano alle nostre signore; a cui, peraltro, noi maschietti siamo grati anche
proprio per questo, tra i tanti, gesto d’amore.
Le case farmaceutiche potevano sottrarsi di fronte ad una
chicca così fruttifera? Nei primi anni ’80 fu creato - con
eleganza e scaltrezza, ammetto - lo spettro della frattura
osteoporotica: ecco le prime apparecchiature. Ultrasuoni,
raggi, doppi fotoni, statistiche basate su improbabili latitudini. Nacquero tecniche di densitometria teorica, basate su densità rilevate sulle islandesi o sulle africane,
dimostrando così l’esilità ossea femminile dopo il momento critico della scomparsa dei flussi mensili. Misure
fisicamente rigorose: ancora oggi espresse in grammi su
centimetri quadrati, come se fosse la pressione di un
fluido, non in g/cm cubico (o Kg/m3). La paura (oddio
la frattura!) si diffuse, senza che ci fosse una terapia. Ancora. Pochi anni, ed eccola, estratta da salmoni sottratti
alle tartine: la calcitonina. Un discreto costo mensile, per
milioni di donne sul pianeta, basandosi su rilievi eseguiti
su una sola “lettura”, confrontati con valori di riferimento estrapolati statisticamente. Vendite alle stelle, con
i risultati che sappiamo (clinicamente ben poco, ma con
dividendi esagerati). Poi venne l’etidronato sodico: mi
ricordo che alla fine degli anni ’80 lo prescrivevo, anche
perché il costo era infimo, circa 1.000 lire al mese! Qualcosa faceva, per lo meno limitando o anche mantenendo
la densità ossea. Ma ancor oggi, guai a parlare di eseguire
una DEXA su una giovane di venti, venticinque anni,
per rivedere la situazione dopo venticinque –trent’anni
e così verificare quanto sia fisiologica o meno la perdita
di massa ossea all’arrivo della dolce età.
Tutto ciò determinato, indotto, obbligato dalla paura: è
la parola chiave della moderna menopausa. Un po’ perché la vita media di sessanta-settanta anni fa coincideva
proprio con la fine del ciclo, quindi paura della morte;
un po’ la perdita di quell’optional che è la fecondazione,
quindi paura di essere ripudiata o rifiutata, perché non
più fertile; una morte fisica, una morte civile, una morte
della femminilità. Certo che, osservato da questo punto
di vista, non può apparire come un felice momento,
quindi giù a manetta con tutto quello che c’è di prescri-
vibile: inibitori del riassorbimento di MAO, serotonina
per l’aspetto psichico (era meglio l’ademetionina), tutto
ciò che qualche anno prima era visto dalla donna con sospetto perché “fa venire la cellulite”, gli estrogeni, che ti
gonfiano come un pallone, proprio per questo splendidi
per gonfiare tette e rughe, poi una è “mestruata”. Quindi
è femmina: l’assioma più bastardo, per spacciare queste
molecole maledette; a nulla valgono le statistiche sull’aumento di cancro mammario (26%), stroke (41%), tromboembolie venose (102-110%) e malattie cardiovascolari
in genere (29%)1. Si sa benissimo dal 2001, ma vengono
tuttora prescritte, insinuando un ruolo positivo nell’osteogenesi (assolutamente nullo), addirittura protettivo del cuore, comunque del tutto positivo per la
propria salute, quando non “assolutamente necessario”.
Fin dal 2003 il NEJM di maggio già dichiarava “Estrogeni? Cura dei soli sintomi.”, cosa vera, solo raramente,
molto raramente, necessaria2.
La menopausa dovrebbe limitarsi ad essere la semplice
cessazione del sanguinamento mensile. In cinese è “Gen
Nian Qi”: Gen significa: cambiare; Nian, età e Qi è la
fase. Mentre “Gen Nian Qi Zong He Zheng” è la Menopausa con sintomi correlati (complesso dei sintomi), distinguendo la normalità della cessazione del flusso dalla
comparsa di sintomi ad esso correlabili3. Le “acque lunari” cinesi, si diradano, scompaiono e finalmente il fiore
può sbocciare nel suo pieno splendore: la femmina diventa tale: perfetta, matura; da cogliere, aggiungerei io.
Quando è turbata dalle vampe (o vampate o hot flushes)
è solo perché il corpo non è o, meglio: non era, in equilibrio. Le Medicine Tradizionali, da quella Egizia, a
quella Greco-Ippocratica, a quella Tibetana ed a quella
Cinese (nell’ordine di diffusione cronologico) hanno
sempre citato i due elementi primordiali che ci animano:
aAcqua e Fuoco. L’Acqua, per sua Natura tende verso il
basso, così come il Fuoco all’alto, ma dalla loro commistione nasce la Vita. Un po’ come mettere sul fuoco l’acqua per la pasta: se nel recipiente c’è poca acqua, essa
bollirà prima e troppo. Si svilupperà molto vapore caldo
che divamperà verso l’alto: non è troppo il Fuoco, è che,
invece, è poca l’Acqua. Questo è il concetto di “Falso
Calore”.
Direte che basti aggiungere una mestolata, o due, d’acqua per risolvere il problema e salvare anche la pentola.
Beh, il concetto è giusto, ma non è così semplice realizzarlo. Non è facile reidratare in modo sottile. Un po’
come mantenere un castello di sabbia al mare: una secchiata d’acqua lo distrugge, mentre uno straccio inumidito, percolando lentamente l’acqua, lo impregna e
preserva.
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
un segnale simile a quello degli estrogeni (e per ciò
agendo sui sintomi): solo da pochi anni sembra che ciò
non si configuri, di fatto, in una stimolazione dei predetti recettori. In realtà, per ora, si sa che una alimentazione ricca in isoflavoni (come in Oriente) iniziata in
giovane età, sicuramente previene alcune neoplasie, segnatamente quella mammaria. Una certezza di utilizzo
in pazienti con una storia pregressa, familiarità autentica,
habitus mentale ed altro che ingeneri un semplice sospetto, non esiste, ancora; la prescrizione va vagliata con
accuratezza in tutti i casi. Quasi certamente gli isoflavoni
interferiscono negativamente con farmaci come tamoxifene, toremifene e fulvestrant, cioè antiestrogeni, per cui
personalmente non ritengo opportuno trattare una paziente se non dopo almeno dieci anni dall’evento neoplastico.
Quali risultati attendere? Piuttosto raramente vedo pazienti che dopo qualche settimana di trattamento annuncino la scomparsa delle vampate: in genere, se il
trattamento è ben studiato e prescritto e la paziente è realmente attenta nell’assunzione, i risultati migliori si ottengono –infrequentemente- quando si riducono a due
o tre gli episodi di vampate, al giorno, e di breve durata:
di più è difficile ottenere, ma si rende la vita più vivibile.
Ricche in isoflavoni, poi ne esistono numerose altre
piante: Trifolium pratense, leguminosa anch’esso, di cui
si usano foglie e fiori; Agnocasto (Vitex Agnus castus)
Hypericum (con tutte le attenzioni del caso, per via delle
interazioni non infrequenti con altri rimedi/farmaci),
Salvia (se presente titolazione in Thujone, dato che l’assunzione di 5 mg./die di questo, è ammessa per non più
di 15 giorni, per via della sua azione sui recettori GABAergici5; infatti Salvia off. può essere epilettogena;
anche in TM, avendo cura di versare le gocce prescritte
in acqua tiepida, per consentire l’evaporazione dell’alcool
più velocemente, da assumere per brevi periodi e mai in
soggetti a rischio di emorragia o in previsione di un intervento chirurgico. Quindi evitarla nei soggetti in preo peri-menopausa con presenza di fibromi uterini, per il
rischio di meno metrorragia). Anche Equisetum ha isoflavoni: è una pianta interessante per i suoi effetti remineralizzanti sull’osso. Cimicifuga, o Actea racemosa:
riduce la secrezione di LH, oltre a principi attivi con tropismo verso i recettori estrogenici, come gli isoflavoni,
con le medesime azioni di Soya; in vitro ha dimostrato
una spiccata attività antitumorale su cellule di ca mammario6.
Tornando a Soya, c’è da dire che in commercio sono numerosi anche gli alimenti a base di questa, che integrano
perfettamente i vari prodotti fitoterapici: germogli, spezzatini, olio, latte… anche perché la ricchezza proteica e
la capacità delle frazioni peptidiche delle proteine della
soia di legarsi agli steroidi ne permette l’espulsione attraverso le feci; in più, i peptidi stessi sono riassorbiti e
piccole quantità di peptidi della soia vanno in circolo e
agiscono sul metabolismo dei lipidi. Le persone che si
nutrono di derivati della soia hanno un livello di HDL
significativamente più alto ed un rischio di fenomeni aterosclerotici più basso7. Forse il problema maggiore di
questi derivati è l’improbabile sapore, spesso vicino a
quello del cartone masticato, per cui io, in casi in cui è
PATOLOGIA
M
ENOPAUSA
Difatti le vecchie medicine vennero anche qui rispolverate, all’incirca una ventina di anni fa, per trovare una
valida alternativa (questa volta il termine è idoneo) alla
TOS, acronimo di Trattamento Ormonale Sostituitivo
e anagramma di Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Soya, in primis. Si osservò che la donna orientale aveva
meno problemi, da questo punto di vista. In effetti la
pianta è l’alimento di base fin dall’infanzia, sia come germogli, sia come semi. In Medicina Tradizionale Cinese
è quest’ultimo che viene usato: Dan Dou Chi, Glycine
max, semen praeparatum, alla dose di 10-15 grammi al
dì, è droga di Natura Fresca, Sapore Amaro/Dolce (quest’ultimo è quello che ne determina la nomenclatura,
così come per il Glycine nostrano), cioè abbassa la temperatura. Il termine Soya deriva dal giapponese Shoyu,
con cui si indicano i semi. Il seme nero va preparato, cioè
lavato, cotto a bagnomaria e poi avvolto in un telo con
foglie di Gelso o di Artemisia annua (quella che si usa
nella Malaria) finchè non diviene giallo. A questo punto
viene essiccato per tre settimane, al Sole e quindi utilizzato. I principi attivi sono oltre a chrysanthemina, sojasaponina I-II-III, quelle sostanze dette isoflavoni:
genitsina, daidzeina e formononetina. In realtà questi
sono presenti nel seme del legume solo in forma di precursori delle molecole attive: sarà la flora batterica intestinale che li convertirà alla forma farmacologicamente
attiva. Una paziente con problemi di disbiosi intestinale
(e sono tante) difficilmente ne trarrà vantaggio: motivo
di frequente insuccesso è semplicemente questo. Occorre, infatti, predisporre un piano di preparazione: sanare l’equilibrio acido-base, aumentando il pH (si coglie
difficilmente sulle feci, perché non c’è un laboratorio in
Italia che esegua il test; è però facile ed eseguibile quello
sulle urine, dato che una acidosi intestinale travalica con
facilità i setti transmucosali, passando in vescica urinaria.
In questo caso la cartina al tornasole consente un esame
in ambulatorio semplice ed immediato). Ridurre l’acidosi avrà anche l’effetto adelfo di ridurre il riassorbimento del tessuto osseo. Per effettuare questo vi sono
diversi prodotti a base, prevalentemente, di carbonato di
magnesio e di calcio, sia in compresse, per le pazienti
simpatiche, sia in polvere, per quelle un po’ con la puzza
sotto il naso o per quelle eroiche, che devono soffrire a
tutti i costi e che amano sfoggiare le schifezze che ingeriscono (ci sono, ci sono).
A questo punto, intonacata la mucosa, possiamo stendere una mano di batteri, che attecchiranno volentieri.
Una persona sana, con un intestino ben educato, ha nelle
sue feci, per ogni grammo, ben 5 miliardi di batteri, che
costituiscono la flora omonima. Viviamo in un mondo
talmente asettico che siamo costretti a comprare i derivati fecali, ma preferisco non inoltrarmi in questa pericolosa piega che sta prendendo lo scritto4. I batteri della
nostra flora, renderanno attivi gli isoflavoni, che andranno ad intromettersi nelle relazioni dei recettori estrogenici, gli ER-? ed ER-? che sono dislocati in diversi
organi e visceri. Per ottenere un effetto sul sintomo predominante, cioè la vampata, occorrono circa mg. 60/die
(fino a 120) di isoflavoni.
Qualcuno ora, legittimamente, storcerà il naso a pensare
ad interferenze con recettori estrogenici, cui darebbero
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MPENOPAUSA
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indicato il legume, suggerisco sempre di assumere con
regolarità i derivati di soya, purchè ben miscelati agli alimenti di corrente utilizzo, al fine di correggerne la sapidità (veramente pochina: diffido sempre di quelli che ti
dicono: “Ah, che buono il latte di soya!” Sono i talebani
dell’alimentazione, quelli che a casa loro ti offrono un
bel bicchiere di cloruro di magnesio “che fa tanto, ma
tanto bene”). Grazie al Cielo, da alcuni anni sono stati
introdotti tipi di latte di Soya, aromatizzato alla vaniglia,
per esempio; sicuramente più accettabile.
Ma, penserete voi, le reali aspettative? Il 6 settembre
2011 Natural Standard pubblica uno studio in cui si affacciano numerosi dubbi sulla reale efficacia nel prevenire ed evitare gli hot flushes, le vampate, anzi, un trial8
condotto in doppio cieco (122 donne trattate con soya,
126 con placebo, come nel 98% dei lavori scientifici non
specificato)9 addirittura ha verificato che le vampate aumentavano, alla dose di 200 mg/die! Dose indubbiamente alta, per la quale potrei invocare un meccanismo
come l’ormesi, come si vide in un lavoro con Equiseto
(dosi basse stimolano la neo-osteogenesi, dosi elevate
tendono a reprimerla), frutto della tenacia di una ex studente del Master senese, che spero venga presto pubblicato. Anche perché alcuni prodotti con 60 mg di
isoflavoni aiutano realmente, anche se non risolvono. E’
un capitolo ancora da definire e da comprendere appieno.
Un altro interessante principio attivo che ho verificato
essere di aiuto nel trattamento della sindrome menopausale (e non solo) è un polifenolo, il resveratrolo (triidrossistilbene); antiossidante già noto, antinfiammatorio,
ipolipemizzante... 50 mg al giorno sono la giusta dose;
essendo contenuto anche nel vino rosso, sono sufficienti
da due a tre litri al giorno del nettare per apportare aumento ponderale, punti in meno sulla patente, aumento
delle vampate (forse qualcuno è già a conoscenza che il
vino rosso scalda), ma sicuramente tanta, tanta allegria
cirrotica e tante nuove conoscenze tra le forze dell’ordine.
E’ anche però contenuto in due specie di piante molto
simili: Polygonum multiflorum, herba e Poligonum cuspidatum. Nella prima la quota di resveratrolo è decisamente alta, ma anche quella antrachinonica, che (alla
dose di grammi due/die in estratto secco D:E=5:1) in un
paziente con colestasi o Gilbert può trascendere in una
epatite tossica; in questi casi, dopo due mesi, vanno assolutamente richiesti nuovamente AST/ALT e bilirubinemia.
In presenza di alterazione significativa, la semplice sospensione del farmaco ripristina in un mese circa la fisiologica crasi ematica, senza reliquiati. Non è solo la
elevata biodisponibilità che ha piazzato la pianta nei
primi posti delle hit, ma il contenuto in tetraidrossistilbene tipico di P. multiflorum: infatti stimola la pigmentazione del sistema pilifero, ritardando la canizie o,
anche, facendola parzialmente regredire. Il nome cinese
è, difatti, He Shou Wu, letteralmente: “Il sig. He ha i capelli neri”. Quando scoprii in una paziente affetta da ittero di Gilbert la epatotossicità della pianta (poi regredita
con la semplice sospensione) ebbi dei problemi con la
donna, perché non voleva smettere il trattamento, iniziato per una forma alopecica d.n.n.d.; in effetti il risul-
tato dopo due mesi fu notevole e ben gradito pur se gravato della pesante complicanza. Da allora ne prescrivo
un grammo al dì con frequenti monitoraggi ematici. P.
cuspidatum non appare, invece, così tossico, ma senza il
tetraidrostilbene, quindi senza l’effetto “cosmetico” sul
capillizio. Sulla cute, sì, invece: è evidente l’azione antiossidante (recentemente sono stati dimostrati recettori
dei polifenoli a livello del derma10), ma anche l’inibizione
dei famigerati hot flushes: ho iniziato recentemente a prescrivere un prodotto (a base di trans-resveratrolo estratto
da P. cuspidatum) sotto forma di spray orale sublinguale
da poco in commercio, con risultati apparentemente
piuttosto positivi già a breve termine (dopo due o tre
giorni) e con la dose base di 8,5 mg/die, dato che l’assorbimento sublinguale è circa 300 volte maggiore11. Il
Tempo saprà darci una risposta più solida.
Se mi reggete ancora: all’inizio di questo scritto ho citato
le basi energetiche delle medicine tradizionali occidentale
e orientale. Per aumentare la quota di Acqua, riducendo
così l’apparente scatenamento del Fuoco, senza soffiare
Aria su questo, che potrebbe spengersi, né coprendolo
di Terra per il medesimo motivo, esiste una ricetta a base
di sei droghe vegetali che tonifica lo Yin, cioè rinforza
l’Acqua, che venne pubblicata in Cina intorno al 1190
d.C., in un trattato di quello che oggi chiameremmo Pediatria. La ricetta, Liu (sei) Wei (sostanze) Di Huang
(Rehmannia glutinosa, radix praeparata che è la più importante, sia per tonificare il Sangue, sia per tonificare
l’Acqua, cioè il Rene) Wan (pillola) trova impiego nel
paziente che congenitamente si trova in un deficit di
Acqua, che si può tradurre nell’infanzia in faringo- tonsilliti, adenoiditi, otiti recidivanti, con iperidrosi notturna o anche nicturia, volto iperemico e nell’adulto con
l’anamnesi remota positiva per questi accadimenti, con
lombalgia (specie L2-L3), gonalgia, volto iperemico, intolleranza al caldo, iperidrosi, calore alla pianta dei piedi,
al palmo delle mani, regione precordiale e cervicale anteriore, ipertensione... fino alla c.d. sindrome sicca. Ovviamente trova indicazione nella sindrome postmenopausale, che - ripeto - non può avere un esordio
improvviso; deve esserci un pregresso patologico (un
RAA? Uno shock sul piano emotivo? Un trauma fisico,
un intervento, una malattia che abbia leso le risorse del
prezioso liquido: l’Acqua) che si manifesterà alla scomparsa del flussi mensili (l’unica cosa che non invidio alle
donne). Vista da quest’ottica, però, quanti maschi hanno
manifestazioni simili? La ricetta Liu Wei Di Huang Wan
è facilmente reperibile, più o meno in tutto il Globo,
forse una delle ricette più diffuse… Per ciò che concerne
posologia e tempi di somministrazione (in genere si inizia in autunno, mai d’estate: la Terra è nutrita dalle
piogge autunnali e dalle nevi invernali), preferisco che
vengano affidati agli esperti di Medicina Tradizionale Cinese.
Con la speranza che la mia pigiofania (scrivetemi e saprete cos’è) non vi abbia annoiato troppo e di essere stato
utile. g
HOMEOPATHY AND INTEGRATED MEDICINE | maggio 2012 | vol. 3 | n. 1
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
1. Jul 09, 2002 (HeartCenterOnline),press release from
the National Heart, Lung and Blood Institute
(NHLBI).
2. Postmenopausal Hormones:Therapy for Symptoms
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www.nejm.org may, 8, 2003
3. Gabriele Saudelli, Menopause in traditional Chinese
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Rome, April 3-4, 2003;
4. Se volete la guerra: “Recurrent Clostridium difficile
Colitis: Case Series Involving 18 Patients Treated
with Donor Stool Administered via a Nasogastric
Tube”. Johannes Aas, Charles E. Gessert and Johan
S. Bakken. Clinical Infectious Diseases 2003;
36:580–5
5. Revisione EMA/HMPC/331653/2008 © EMEA
2010
6. Nesselhut T et al.-Untersuchungen zur proliferativen
Potenz von Phytopharmaka mit östrogenähnlicher
Wirchung bei Mammarkarzinomzellen. Arch. Gynaecol Obstet 1993; 254; 817-818
7. Mechanisms for the hypocholesterolemic effect of
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Heird, and Henry J. Pownall. USDA/ARS Chil-
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S. Anthony, Thomas B. Clarkson, J. Koudy Williams. Bowman Gray School of Medicine of Wake
Forest University, Winston-Salem, NC.
8. Levis S, Strickman-Stein N, Ganjei-Azar P, et al. Soy
Isoflavones in the Prevention of Menopausal Bone
Loss and Menopausal Symptoms: A Randomized,
Double-blind Trial. Arch Intern Med. 2011 Aug
8;171(15):1363-9
9. Mia considerazione: un trial in doppio cieco, se il
placebo non è menzionato, che valore può avere?
10. Bastianetto S, Dumont Y, Duranton A, Vercauteren
F, Breton L, Quirion R (2010). Protective action of
resveratrol in human skin: possible involvement of
specific receptor binding sites. PLoS ONE 5 (9):
e12935. Questi risultati suggeriscono che il resveratrolo potrebbe ritardare e addirittura impedire il normale svolgimento di invecchiamento della pelle,
bloccando gli eventi apoptotici e disfunzioni mitocondriali.
11. Enunciarlo in un consesso di omeopati è un po’
come essere blasfemi ad alta voce dopo aver inciampato in una chiesa durante una funzione. D’altronde
la biodisponibilità della molecola, deglutita, è veramente scarsa, da cui la dose inferiore ai 50 mg. precedentemente indicati.
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ENOPAUSA
Bibliografia e note
Il contributo dell’agopuntura
Franco Cracolici
Direttore Scuola di agopuntura “Città di Firenze”.
Garante per la branca di agopuntura, Centro ospedaliero di Medicina Integrata, Ospedale di Pitigliano
E-mail: [email protected]
L
a Medicina Tradizionale Cinese si è occupata da
sempre della fisiologia femminile arrivando, come
poche altre pratiche mediche hanno fatto, a comprendere e a trattare i molti disturbi che possono insorgere durante la vita della donna. Dolori mestruali,
infertilità, disturbi ormonali, alterazione del ciclo mestruale, disturbi della menopausa, disturbi della gravidanza e del parto sono solo alcuni dei campi esplorati
dalla medicina cinese che da molti millenni solleva le
donne dalla sofferenza legata alla vita fertile e alla sua
conclusione.
Se in Occidente fino a pochi decenni fa nessuno si occupava del dolore legato al parto o dei dolori femminili,
classificati per lo più come isteria, in Oriente ad un rigoroso approccio fisiologico si è accompagnata una pratica medica, caratterizzata da Agopuntura e Fitoterapia,
che da centinaia e centinaia di anni migliora la salute e
la qualità della vita delle donne. Nel testo più antico della
Medicina Cinese, il HuangDi NeiJing SuWen, classico
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di medicina interna dell’Imperatore Giallo, si afferma
che la vita della donna è regolata in base a cicli di sette
anni che caratterizzano il suo sviluppo. A quattordici
anni si manifesta il Tian Gui, l’Acqua Celeste, che segna
l’inizio della via della terra e della riproduzione, mentre
a quarantanove anni la menopausa conclude la vita fertile e apre ad una fase successiva dove la donna, liberata
dai vincoli dell’accudimento e del sostegno alla famiglia
può prendere il posto che le spetta nella società ed occuparsi di se stessa, dello sviluppo della sua personalità e
dei suoi desideri. Da un punto di vista fisiologico queste
tappe corrispondono all’attività di alcuni grandi canali
energetici, i Meridiani Curiosi, che sono incaricati di regolare i passaggi energetici tra i canali Principali. Sono i
primi a formarsi in ordine cronologico e sono attivi per
tutta la vita regolando le grandi tappe dello sviluppo
della persona in base al suo Jing (Essenza) che deriva
dall’eredità cromosomica e dalla capacità che l’individuo
ha avuto di preservarla e di nutrirla.
45
MPENOPAUSA
ATOLOGIA
QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
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Tutti i Meridiani Curiosi originano nella zona ipogastrica, nel Dan Tian, luogo dove il Qi viene conservato
e da cui si irradia nei meridiani. Il nome significa letteralmente campo di cinabro, materiale rossiccio da cui
viene estratto il mercurio, materiale alchemico e mutageno per eccellenza, e fa riferimento al luogo dove avvengono le mutazioni. Fuoriescono al perineo al punto
1 CV da dove risalgono verso l’alto, anteriormente il Ren
Mai (Vaso Concezione, mare dello Yin) e il Chong Mai
(mare del Sangue) e posteriormente il Du Mai (Vaso Governatore, mare dello Yang). Nella zona compresa tra
questi canali si trova l’utero detto zigong (palazzo del
bambino) a cui arrivano due vasi, uno proveniente dal
Cuore, che porta sangue e nutrimento, e uno proveniente dal Rene che porta l’Essenza.
Se Sangue ed Essenza arrivano correttamente all’utero si
avranno le mestruazioni, Tian Gui, e sarà possibile la gravidanza. Quando si avvicina la menopausa il Sangue si
impoverisce progressivamente, l’energia comincia a diminuire e le mestruazioni si interrompono per preservare
la vitalità e impedire un cospicuo impoverimento energetico. La variazione dei parametri fisiologici si accompagna a modifiche del comportamento e dell’assetto
psicologico, come sempre nella medicina Cinese che non
riconosce una distinzione tra mente e corpo e che considera, nella patologia come nella fisiologia, ogni movimento energetico psichico in analogia ed in sincronia
con i movimenti energetici del corpo. Esiste infatti un
legame stretto tra lo Shen (Spirito) il Qi (Energia) e il
Sangue (Xue): l’Energia permette che il Sangue circoli e
questo lega saldamente lo Shen al corpo permettendogli
di muoversi.
Questa relazione è importante nella patologia dove ad
una cospicua perdita di sangue o a una sua stasi in alcuni
distretti si possono accompagnare segni psichici importanti come nella depressione post parto.
Alla fine dell’età fertile il Cuore, non più vincolato al
rapporto con l’utero può ricominciare a nutrire pienamente lo Shen. In questa fase sarà importante per la
donna trovare la sua dimensione personale attraverso la
cura del proprio corpo e dei propri interessi per assecondare il movimento energetico in atto e molti sono gli
studi che testimoniano il valore terapeutico della cura di
se stesse anche non associata ad altri tipi di trattamento.
Purtroppo non è sempre facile e la società contemporanea, paradossalmente, peggiora la condizione femminile
di questa fase specifica. Il ritardo nella maternità fa sì che
si arrivi alla menopausa senza che i figli abbiano raggiunto l’indipendenza piena, spesso con genitori o parenti da accudire e con carichi lavorativi ancora molto
pesanti. Questo spiega probabilmente la differenza di incidenza dei disturbi nelle varie popolazioni. Nei paesi
Occidentali ad esempio le vampate sono presenti nel 6575% dei casi mentre in Cina nel 25% e in Indonesia nel
10%.
I disturbi che insorgono possono essere importanti e
l’Agopuntura offre un repertorio terapeutico caratterizzato da una grande efficacia e dall’assenza di effetti collaterali. Dal punto di vista fisiopatologico i sintomi della
sindrome menopausale sono principalmente legati alla
stasi di Sangue e al vuoto di Energia che si determinano
a livello pelvico, il normale transito energetico è ostacolato e lo yang tende a salire dando origine alla maggior
parte delle manifestazioni. Si avranno così vampate di
calore verso l’alto accompagnate da una profusa sudorazione diurna e notturna. La stasi infatti innesca un aumento del calore e l’apparizione di quello che viene
chiamato Vento, una forma di yang potente e molto mobile che tende a dilatare i pori con una cospicua perdita
di liquidi. Avremo ipertensione e disturbi della sfera psichica caratterizzati da ansia, irritabilità e insonnia mentre
in basso assisteremo alla presenza di edemi, al peggioramento del ritorno venoso e ad un aumento della deposizione di grasso.
Man mano che la patologia si è instaurata si avrà un progressivo esaurimento dei liquidi organici, persi oppure
essiccati dal calore interno, con diminuzione della memoria e difficoltà di concentrazione, secchezza delle mucose, osteopenia e osteoporosi, diminuzione del trofismo
della cute e dei tessuti. Questi sintomi testimoniano il
progressivo indebolimento del Rene che è incaricato di
gestire i liquidi organici, è implicato nel nutrimento
dell’osso, dei midolli compreso il cervello e che con la
sua energia nutre tutti gli altri organi.
La stasi di Sangue può nuocere all’apparato muscolo tendineo e articolare con l’insorgenza di sindromi dolorose
che possono precedere o seguire l’inizio della menopausa,
le più frequenti sono la fibromialgia, la polimialgia e le
sindromi dolorose tipiche e atipiche cervico-brachiali.
Queste insorgono a causa di un progressivo indebolimento del Qi del Fegato che nutre muscoli e tendini e
muove l’Energia e che viene particolarmente danneggiato dalla stasi. Anche l’irritabilità e i repentini cambiamenti d’umore sono da attribuirsi a questa patogenesi.
Lo scopo di ogni intervento terapeutico è quello di ripristinare il corretto transito energetico, di risolvere la
stasi di Sangue e di tonificare gli organi maggiormente
in vuoto. Il punto principale da utilizzare in tutti i disturbi della menopausa è il 14 LV, Qimen. È l’ultimo
punto a cui arriva l’energia durante la notte che da lì si
spinge in profondità per riemergere e cominciare un
nuovo ciclo ed è particolarmente importante nel trattamento del Fegato e della sua funzione di messa in movimento dell’Energia. Si utilizza in questo caso come in
tutte le patologie dove un ciclo deve finire per ricominciare come ritardi nel secondamento placentare o spotting post-mestruale.
Un altro punto molto importante è il 31 BL, anatomicamente corrisponde al primo forame sacrale e viene utilizzato per portare energia nella pelvi e far circolare il
Sangue con un’efficace applicazione anche nelle patologia annessiali, nelle dismenorree, nell’endometriosi e nell’induzione del travaglio di parto. Si utilizza poi il 4 CV,
mare del Sangue che tonifica l’essenza e favorisce la discesa dello Yang. A questi si possono aggiungere altri
punti che vengono selezionati in base al disturbo principale. In caso di importanti sintomi vasomotori si deve
disperdere il calore attraverso l’utilizzo del 14 GV, punto
di riunione di tutti i Meridiani Yang, del 4 LI e dell’11
LI. Questi devono essere manipolati in dispersione per
migliorare l’efficacia terapeutica. In presenza di ipertensione e disturbi circolatori si aggiungono punti in grado
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QUADERNI DI MEDICINA INTEGRATA
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PATOLOGIA
M
ENOPAUSA
di far circolare il Sangue come il 3 LV o il 7 PC e di tonificare l’energia come il 6 CV Mare dell’Energia. I disturbi dell’ossificazione sono trattati tonificando i liquidi
e migliorandone l’afflusso ai midolli con il 2 TR, migliorando la circolazione del Sangue con il 17 BL, punto attivo sul diaframma e sulla sua funzione di distribuzione,
e con il 53 BL che distribuisce il Sangue nella pelvi. Il 6
SP è largamente utilizzato e tonifica il Sangue e lo Yin.
I disturbi psichici che si associano alla menopausa si risolvono spontaneamente durante il trattamento anche
se può essere utile associare il 7 HT che purifica il calore
del Sangue e agisce su insonnia, irritabilità e sbalzi di
umore e i punti specifici di regolazione dello Shen come
15 BL, 44 BL o 11GV. Si devono poi correggere gli errori nutrizionali. La Dietetica tradizionale cinese detta
dei Cinque Sapori sconsiglia l’utilizzo di cibi ricchi di
grassi (insaccati, formaggi stagionati), di cibi piccanti, di
caffè, cioccolata e consiglia di moderare l’assunzione di
alimenti caldi. Sono invece consigliati tutti i cibi che tonificano l’Essenza come germogli, frutti di mare, fagioli,
uova. Molti studi presenti sui principali database medici
hanno indagato il ruolo dell’Agopuntura nel trattamento
della sindrome menopausale anche se molti sono i limiti
metodologici che spesso non consentono di giungere a
conclusioni univoche. La depressione sembra essere il disturbo più frequente ed è documentato un miglioramento sostanziale della sintomatologia1 associato ad un
miglioramento dei disturbi del sonno e a un miglioramento della percezione soggettiva dello stato di salute.
L’agopuntura è risultata efficace nella diminuzione della
vampate di calore2 e molti autori hanno constatato un
beneficio particolare su intensità e durata degli episodi
anche se non sempre si rileva una diminuzione della frequenza. I livelli ormonali sierici3 si modificano dopo un
ciclo di Agopuntura, in particolare c’è un aumento dell’LH con sostanziale stabilità dell’FSH e un aumento dei
livelli sierici di estradiolo.
La menopausa indotta da Tamoxifene dopo un tumore
del seno, benché generalmente caratterizzata da sintomi
più severi della menopausa fisiologica e da una maggior
componente ansioso-depressiva, beneficia comunque
dell’Agopuntura, con risultati proporzionali alla durata
del trattamento che persistono a sei mesi4. Nel caso delle
vampate iatrogene spesso non viene individuata una differenza statisticamente significativa tra l’Agopuntura vera
e l’Agopuntura Sham (dove viene simulato un trattamento utilizzando punti non specificamente indicati
nella patologia) ma viene sempre rilevato un ulteriore
miglioramento della sintomatologia quando il gruppo
Sham viene sottoposto a un vero trattamento.
In questo tipo di patologia l’Agopuntura può essere considerata un trattamento di prima scelta data l’assenza di
effetti collaterali e i costi ridotti.
Molti studi effettuati nei paesi scandinavi individuano
nell’Agopuntura e nelle Medicine Complementari, una
valida alternativa ai trattamenti sostitutivi ormonali sia
dal punto di vista economico che dal punto di vista medico. Evitano infatti l’esposizione al rischio di effetti avversi migliorando la qualità della vita e della percezione
dello stato di salute, risultando per questo particolarmente appropriate alla sindrome menopausale. g
La scomparsa
di Roberto Santini,
omeopata di altri tempi
Seneèandatoinpuntadipiedi,inunadomenicadimarzo.E'uscitodi
scenadistruttodaunmalecinicoedevastantecheseloèdivoratoinpochi
giornitraildoloreel'incredulitàdifamiliari,pazientiecolleghi.Solopochi
giorniprimaeradietroallasuascrivaniaperdiffondereumanitàecompetenzaapienemani.Direttoredell'ISMO(IstitutodiStudidiMedicinaOmeopatica)diRomafindallascomparsadelfratelloAntonio,avevaaccettatoil
ruoloconl'umiltàtipicadeigrandimaestri,abbracciandoilmodelloomeopaticocostituzionalesenzasaperediessereunantesignanodiquellaMedicinaIntegratarivalutataecodificatasolodiversiannidopo.
Assorbeculturamedicaindiversiateneidellapenisola:dopolalaureaa
Napoli,sispostaprimaaCareggiinqueldiFirenzeepoiaRoma,doveapplicaglistudidiendocrinologiaallamedicinaspaziale,chetrasformeràin
specializzazione.Conquestadotel'AeronauticaMilitareloaccoglieelo
metteavalutareipilotideijetmilitari,incrementandoinconsapevolmente
lasuafamediconoscenzadellecostituzioniumaneedellepossibilitàdiottimizzarneilatipositivi.L'incontroconl'omeopatia,avvenutoadoperadel
fratelloediAntonioNegro,hafattoilresto.
Erafautorediunamedicinafigliadelsuotempo:maiunaccertamento
senzaunadiagnosi,maiungestoterapeuticochemettessearischiolasalute
deisuoipazienti.GliallievidellascuolaISMOporterannosempreconloroi
suoiequilibratiinsegnamenticolmidisanopragmatismo:aiutareilterreno
costituzionaleconildrenaggio,unusoequilibratodelfarmacoconvenzionale,ilrimedioomeopaticocomestimoloottimaledeiprocessidiautoguarigionedelpaziente.Iltuttoconditodaun'immensaumanità,ingradodi
accendereunacaldafiammadirassicurazioneinognipaziente.Quellastessa
fiammachesièspenta,inpuntadipiedi,inunatristeepiovosadomenica
dimarzo.
da Omeopatia33 del 2 aprile 2012
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47
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therapy for bacterial meningitis. N Engl J Med 1988;
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