“Io voglio educare” Ciclo di incontri per genitori e docenti “Educare

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“Io voglio educare” Ciclo di incontri per genitori e docenti “Educare
 “Io voglio educare” Ciclo di incontri per genitori e docenti “Educare nell’era di Facebook” Incontro con don Jonah Lynch Teatro di Vigonza -­‐ 27 febbraio 2014 Andrea Righetto Buonasera a tutti. È nostro graditissimo ospite Don Jonah Lynch, Rettore del Seminario della Fraternità Sacerdotale San Carlo di Roma. Francesca Bassi Sono Francesca Bonsembiante, mamma di Teresa, Tommaso e Martino, alunni delle Scuole Romano Bruni. Anch’io vi do il benvenuto al primo appuntamento del ciclo dei tre incontri dal titolo “Io voglio educare”. Questi incontri sono stati organizzati insieme dall’Associazione dei Genitori, dalle Scuole Romano Bruni, dalla Scuola dell’Infanzia San Gaetano e dal Centro di Formazione Professionale Dieffe. Questa iniziativa è nata dal bisogno emerso tra un gruppo di genitori e di docenti di aiutarsi vicendevolmente nell’arduo compito dell’educazione dei nostri figli. Un grande educatore, don Luigi Giussani, nel suo “Rischio educativo” già negli anni ’60 scriveva: “In particolare la genialità educativa della famiglia si rivela nella scelta dei collaboratori che essa si assume nell’opera di educazione dei figli”. Nel contesto attuale, per molte ragioni, la famiglia è sempre più naturalmente sola in quest’opera e quindi in difficoltà. L’Associazione dei Genitori è una possibilità per questa alleanza educativa e il ciclo di incontri è la richiesta ad altri educatori, insegnanti o genitori, di condividere un tratto di strada insieme e di suggerirci un cammino. L’appuntamento di questa sera in particolare, come già è stato detto, è dedicato al tema delle nuove tecnologie di comunicazione e soprattutto dei rapporti umani nell’epoca dei social network. Vi preannuncio che il secondo incontro sarà il 21 marzo con Rosario Mazzeo e Luigi Campagner e il titolo sarà: “Figli! O del vantaggio di essere genitori” e l’ultimo sarà l’11 aprile con Gemma Capra, vedova del Commissario Luigi Calabresi, con il titolo: “La famiglia: traguardo o punto di partenza?”: sarà la testimonianza di fede e positività di una mamma. Finalmente dopo questa premessa, ho il piacere e l’onore di presentarvi il nostro graditissimo ospite di questa sera, Don Jonah Lynch. E’ un giovane sacerdote nato in Irlanda, di origine americana, ha vissuto negli Stati Uniti, ha studiato fisica in Canada e poi filosofia e teologia. Attualmente è Rettore del Seminario della Fraternità Sacerdotale San Carlo a Roma. E’ autore di diversi libri e quello che ha attirato la nostra attenzione è Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook. Ma è molto bello anche Egli canta ogni cosa, che raccoglie dialoghi con ragazzi adolescenti sul senso della vita. Nel libro Il profumo dei limoni Don Jonah affronta il tema dell’utilizzo delle nuove tecnologie, prima dal punto di vista personale e poi a partire dai suoi tentativi come educatore dei suoi giovani seminaristi. All’inizio del volume spiega il titolo che è un po’ curioso. Dice: “Ma che cosa c’entrano i limoni con la tecnologia? Un limone colto dall’albero ha la scorza ruvida, più curato è l’albero più ruvida è la scorza. Se la si schiaccia un poco, esce un liquido profumato e d’improvviso la superficie diventa liscia e poi c’è quel succo asprigno così buono con la cotoletta o con le ostriche, nei drink estivi e con il thè caldo. Tatto, olfatto e gusto. Tre dei cinque sensi non possono essere trasmessi attraverso la tecnologia, tre quinti della realtà, il 60%”. Leggendo in particolare la prima parte del libro io sono rimasta colpita dal fatto che mi sono sentita descritta proprio nel mio comportamento. Don Jonah afferma che le tecnologie nascono generalmente da un desiderio positivo: fare meno fatica, produrre di più con le stesse risorse e fare più in fretta. Ma allo stesso tempo, dico io, possono diventare conniventi con la nostra pigrizia e ritrosia nei rapporti umani. Anche Papa Francesco, nel suo messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali ha detto: “Internet è un dono di Dio”. Ha anche detto che la velocità delle informazioni supera la nostra 1 capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. Dice ancora il Papa: “Abbiamo bisogno di amare e di essere amati, ovvero di relazioni umane concrete”. Mi pare che i primi ad aver bisogno di essere educati a riflettere sull’uso delle nuove tecnologie siamo proprio noi adulti, almeno questa è la mia esperienza. Comunque cominciamo questo dialogo con Don Jonah. Alcune domande sono arrivate attraverso l’indirizzo di posta elettronica che era stato inviato ai genitori e partirei leggendone un paio. Però lui avrebbe proprio piacere di dialogare con tutti quelli che sono qui e quindi lasceremo spazio alle vostre domande. Domande con cui siete arrivati e domande che le sue parole susciteranno. Partiamo con una prima domanda semplice. Una mamma diceva: “Mostrare l’attrattiva del reale rispetto al virtuale mi sembra una battaglia persa. Anche di fronte a una cosa davvero bella, un tramonto in montagna o qualcosa di innegabilmente bello, ai ragazzi può sembrare ancora più bello giocare con la playstation; per cui magari neanche alzano gli occhi dal video. Noi che cosa possiamo fare?” Don Jonah Lynch Buonasera a tutti. Sono molto contento di essere qua e di parlare di queste cose con voi. Ho chiesto a Francesca di fare un incontro dialogato perché a me piacerebbe imparare qualcosa da stasera e mi piacerebbe non ripetere soltanto le stesse cose che ho detto stamattina ai ragazzi del Liceo Bruni o ieri sera a Forlì, la sera prima a Cesena e domani sera a Rovereto. Non voglio darvi un pacchetto, perché tanto c’è già il libro. Mi piacerebbe, se dico una cosa imprecisa che la correggiamo, oppure magari qualcuno di voi può sfidarmi e io faccio un passo. In questo senso io sono molto americano, poi vedrete, mi piace la sfida, mi piace camminare sul crinale, per arrivare a dire qualcosa di vero. Una domanda sulla bellezza: partiamo da qua, come potremo partire da tanti altri punti. Adesso facciamo un piccolo sondaggio per alzata di mano: quanti di voi avete fatto questa esperienza con i vostri figli, cioè avete provato a far loro vedere una cosa bella e quelli non hanno distolto lo sguardo dal video o dalla playstation? Qualcuno. Quanti di voi hanno fatto esperienza di essere in presenza di qualcosa di molto bello (ad esempio il tramonto di ieri), però di trovare molto più attraente lo schermo del cellulare? A me è successo una volta di fare delle foto bellissime in montagna in una giornata di sole e alla sera, quando le ho salvate sul computer, riguardandole, mi sembravano più vere le foto che non la realtà! Qualcuno ha mai provato questa esperienza? Qualcuno. Altra domanda: qualcuno ha mai fatto esperienza di stare davanti a un quadro (oggi io sono stato alla Cappella degli Scrovegni che non avevo mai visto) che ti trafigge? Oggi c’era una guida e gli affreschi erano così belli che io non la ascoltavo. Qualcuno ha mai fatto questa esperienza? Oppure una musica che ti entra dentro e ti fa smettere di dire una frase? Ecco queste esperienze ci possono dare un punto di partenza questa sera. L’esperienza che c’è qualcosa che sorprende nella realtà, l’esperienza di qualcosa di talmente bello, talmente buono. Come la prima volta che provi il brunello (come può esistere un vino così buono?), la prima volta che vedi le Dolomiti o il primo bacio. Tutte queste esperienze in cui dici: “Io non pensavo che il mondo contenesse una cosa così bella!”. Questa domanda va a toccare questo punto: è possibile portare i nostri figli, i nostri studenti, le persone a cui vogliamo bene a fare esperienza di cose di questo genere, che non hanno ancora fatto, oppure la tecnologia ce lo impedisce? Mi sembra che questa sia la domanda che è emersa. Altro sondaggio: chi ha paura invece che la tecnologia ci stia impedendo questa esperienza, qualcuno di voi ha paura? Chi invece crede nel progresso, che le cose stanno andando e diventando migliori? Quasi nessuno… Quello di cui stiamo parlando stasera vuole essere un invito, una conversazione sul vero progresso, perché penso che questa parola sia molto ambigua. Giustamente un po’ abbiamo paura e pensiamo che si stesse meglio quando si stava peggio. La modernità ci ha tolto un po’ di cose: prima si vedeva l’orizzonte, adesso con i fili della luce non si può più vedere... Vediamo i nostri figli che sono attaccati a Facebook o messaggiano su WhatsApp o che si insultano su Ask. Questo è un lato della questione; dall’altra parte vediamo il progresso della medicina, vediamo le 2 autostrade che ci connettono più rapidamente. E ci diciamo che il progresso è buono perché ci sono delle cose migliori oggi di ieri. Penso quindi che facciamo un po’ come un orologio a pendolo che va nelle due direzioni. Certe cose ci piacciono e sono inequivocabilmente progresso -­‐ come per esempio questo bellissimo MacBook che ho qui davanti -­‐ mentre altre ci sembrano inequivocabilmente la perdita di qualche cosa di prezioso. Ecco, l’educazione è proprio questo, cioè è passare alla generazione futura le cose migliori che abbiamo e insegnare loro le cose che abbiamo imparato sulla nostra pelle. Sto cercando di mettere davanti a voi queste domande con tutta la serietà, la ricchezza e la profondità. Come questa esperienza di mamma tanto preoccupata perché la play station è più interessante di un bel tramonto in montagna. Che fare? Adesso vorrei aggiungere un altro pezzo alla domanda: avete sentito forse parlare della questione del gender? Cioè l’idea che l’uomo può decidere il suo sesso. Io personalmente affermo il contrario, che nasci uomo o donna e non lo puoi decidere. Però questo stasera ci interessa poco. La cosa che volevo dire tirando fuori questo tema è che sta emergendo l’idea che l’uomo non ha una natura, o per lo meno che la natura dell’uomo può cambiare. Perché è importante questo? E’ un tema altamente filosofico e molte persone stanno dicendo che la tecnologia sta modificando la natura dell’uomo e cioè che i nostri figli non sono come noi. Lo dicono anche i figli, ma anche noi lo dicevamo ai nostri genitori -­‐ io per lo meno non tanti anni fa. L’idea che noi siamo diversi dai nostri genitori e loro non ci capiscono è l’idea di ogni generazione. Ma adesso è più complicato perché con la tecnologia i genitori non capiscono affatto che cosa sta facendo il figlio o la figlia e quindi hanno ancor più ragione di dire che non li capiamo. Dobbiamo però prendere posizione su queste domande. La natura dei nostri figli è o non è come la nostra? Il cuore di tuo figlio o tua figlia è o non è come il tuo cuore? Penso che la vera vicenda si giochi qui. Se noi cominciamo a credere che il cuore del figlio o della figlia sia radicalmente diverso da me, allora comincio a lasciar stare e lasciar fare, così rinuncio a educare. Ho cercato di mettere in evidenza tutti questi aspetti per aiutarci a ragionare, perché penso molto spesso che affrontiamo le domande senza essere consapevoli di tutte le cose sotterranee, e averle presente può aiutare. Se il nostro cuore è lo stesso, allora è possibile educare, cioè è possibile scommettere su questa unità che ci unisce e ci sono delle buonissime ragioni per farlo. Pensate a Omero, ancora oggi si insegnano Omero o Dante. Omero 3000 anni fa ha scritto delle cose che ancora oggi noi leggiamo e che ancora commuovono qualcuno. Che il cuore dell’uomo e della donna sia ancora stabile da 3000 anni a questa parte, a me dice qualcosa. Mi dice che non è vero che la generazione degli attuali quindicenni è diversa dalla mia. Tante cose sono successe in questi 3000 anni, che non credo che WhatsApp o Facebook siano in grado di modificare radicalmente la questione. Certamente la modificano, ma non fino a quel punto lì. Quindi adesso arrivo a rispondere alla domanda. A me pare che un genitore che vuole proporre una bellezza al proprio figlio, da sempre ha avuto questa problematica. Ricordo bene mia madre che per portarmi a suonare il violino ha pianto, e anche io piangevo, facevo delle scenate terribili. Io oggi amo il violino e sono felicissimo di saperlo suonare e sono anche consapevole della fatica che ha fatto mia mamma a portarmi davanti a questa cosa bella. E’ anche vero che a un certo punto mia madre ne aveva abbastanza e mi disse: ”Se non vuoi più suonare, smetti”. Poi per la nostalgia di quella bellezza e di quell’ esperienza, dieci anni più tardi ho ricominciato. Il lavoro dell’educatore a volte non si vede nell’immediato, anzi molto spesso non si vede subito. Quindi non dobbiamo preoccuparci troppo se il figlio preferisce la playstation oggi, dobbiamo invece instancabilmente proporre quanto di meglio conosciamo e quanto di più bello abbiamo. Dobbiamo fidarci del fatto che il cuore della persona riconosce questo. Francesca Bassi Facciamo un’altra domanda raccolta dai genitori. Il tema è quello dell’educazione. Ripensiamo al fatto di quella ragazzina che si è uccisa perché i compagni la prendevano in giro sui social network. Aldilà di questo fatto tragico, a me colpisce che ciò che va in rete non può essere cancellato: questo ferisce 3 tanto, perché invece noi abbiamo bisogno di essere perdonati e di avere sempre la possibilità di ricominciare. Anche su questo, come possiamo aiutare i nostri figli? Don Jonah Lynch A me colpisce tantissimo questo fatto perché credo che io e anche tutti noi ci arrabbiamo e feriamo le persone, anche quelle che amiamo. Quando faccio il male ho bisogno di essere perdonato e desidero tanto essere liberato dal peso, magari non subito. Ci puoi mettere magari un bel po’ prima di chiedere perdono all’altro ed essere veramente pentito. Ci puoi mettere anche anni prima di andare a confessarti e chiedere a Dio di perdonarti. Il fatto è che si può farlo e andare da uno a chiedergli di perdonarti. Si può andare a confessarsi -­‐ magari io parlo per me che sono cristiano, ma credo che queste siano esperienze universali. Cosa succede su internet? Io faccio un’azione che ha la sembianza di essere un atto come un altro, ma la possibilità di ritornare indietro non c’è. Quel commento scritto di getto in modo arrabbiato, o quell’aver mandato una foto, sono cose che non tornano indietro. Come se internet fosse simile alla mente di Dio. Dio sa tutto, però quando gli chiediamo di perdonarci, Lui dimentica, cancella. Io non credo che internet sia in grado di fare questo. Mi sembra che di questo dobbiamo essere consapevoli: ciò che dici in internet rieccheggia tendenzialmente per l’eternità, perché togliere tutto da tutti i server -­‐ anche se in California qualcuno dice che è possibile farlo -­‐ è una possibilità che ora non esiste. Come fai a togliere anche una sola mail? Anche senza fare complottismi, dobbiamo ammettere che i nostri atti in internet lasciano una traccia indelebile. Allora come vivere al cospetto di un dio che non è misericordioso? Io non so risolvere il problema, ma almeno esserne consapevole è un aiuto. Questi fatti di cronaca, come il suicidio di questa ragazza: è lì che la cosa diventa complicata! Però c’è una possibilità di ampliare, modificare la solitudine, la violenza, attraverso cose come Ask. Questo è vero. Mi spiace non ho proprio una risposta a questa domanda. Fai un’altra domanda più solare… Francesca Bassi Una cosa che ha colpito me. Un’altra cosa che dici è che lo strumento non è neutrale, non nel senso che non è buono o cattivo, però in qualche modo ci influenza, ci condiziona. Dici: mi accorgo che da quando uso internet, leggo i giornali on line, non penso più come pensavo prima, e mi accorgo soprattutto quando leggo che la mia concentrazione comincia a scemare, dopo una o due pagine. Anch’io mi sono ritrovata, faccio fatica ad affrontare il testo lungo, a dedicare il giusto tempo che ogni compito richiede. Come stai di fronte a questa fatica? Don Jonah Lynch Ci sono tante cose dentro questa domanda. La prima: lo strumento non è neutrale. Tutti noi abbiamo sentito e anche detto che la tecnologia è neutrale, tutto dipende se la usi bene o male. Cosa intendo se dico che la tecnologia non è neutrale? Faccio un paio di esempi. Chi di voi ha un cellulare? Ok, bene. Chi ha il cellulare in questo momento acceso? Ah, ecco…vibrazione mi raccomando. Pensiamo un secondo a cos’è questa esperienza. Hai il cellulare acceso, vibra, arriva il messaggio… quanti di voi siete capaci di non guardare? Due o tre stoici… Io certo non sono in grado. E se invece fosse una telefonata, cosa fate? Se schiaccio il rosso… è brutto, maleducato. Se faccio finta di non sentirlo…passano trenta secondi in cui la tua attenzione è assolutamente divisa. Non sei più qui. Questo è il punto. Avere un cellulare in questo momento acceso vuol dire che sei qui e sei anche altrove. Prova a spegnerlo. Sentirai la differenza; anche se nessuno ti chiama, ti interrompe, c’è una grande differenza dal sapere che sei raggiungibile e sapere che non lo sei. La tecnologia non è neutrale, non ti 4 lascia esattamente com’eri prima, cambia la tua percezione del mondo. Non ho detto che è cattiva, ho detto che non è neutrale perché modifica il tuo rapporto col mondo. Vediamo… mi sembrate un pubblico un po’ attempato. Chi ha mai fatto una chat? Nessuno… pochi. Va bene, lascio stare questo esempio. Pensiamo invece al telefono fisso. Chi ricorda il telefono fisso? Ecco bene! Quand’ero ragazzo c’era il telefono di casa e si poteva parlare con la fidanzata, non c’era il telefono wireless, c’era il telefono in cucina. Dovevo parlare con la fidanzata in cucina e tutti sentivano i miei discorsi. Dicevo certe cose e certe altre non le dicevo, perché ero sentito da mia madre. Oppure aspettavo mezzanotte, quando andava a letto lei… Pensate a un altro esempio: la telefonata dal lavoro. Nel 1985 mi ricordo che chiamare a casa non succedeva, il tuo datore di lavoro non poteva chiamarti a casa il sabato, la domenica, fuori dall’orario di lavoro. Adesso non credo che sia così. Ricevete telefonate o messaggi dal lavoro che sul numero di casa non ricevereste. Anche questo è un esempio. La tecnologia ha modificato completamente il nostro rapporto col mondo, con lo spazio, il tempo… l’ufficio è anche qua, anche in spiaggia, sul treno. Questa è una modifica profonda del tuo rapporto con lo spazio. Quindi la tecnologia non è neutrale. Qual era la domanda? Anch’io mi accorgo che non riesco a concentrarmi con profondità, sono abituata a scorrere pagine sul computer. Ah sì, questa è stata l’esperienza che mi ha fatto iniziare il libro. Sono un sacerdote, non sono un sociologo, né uno scrittore di successo. Perché occuparmi di tecnologie? Mi sono reso conto un giorno che non riuscivo a leggere le parole del breviario in ordine, l’occhio mi saltava a metà pagina, poi tornavo su, un po’ come quando leggevo il Corriere online. Mi sono scoperto distratto. All’inizio pensavo non fosse così importante, a un certo punto ho cominciato a preoccuparmi, ho letto dei libri e ho scoperto che la tecnologia non è neutrale, tanto è vero che modifica addirittura il tuo cervello e questa è stata la cosa che mi ha fatto partire con tutta la riflessione. Modifica il cervello nel senso che quando sei bambino e impari a leggere, devi collegare due pezzi del cervello che non sono collegati, cioè la parte visiva e quella uditiva. Devi imparare a collegare un suono a un segno. Questo il cervello deve impararlo, non è in grado di farlo alla nascita. Quello che stavo facendo era togliere i legami creati per la lettura profonda e stavo creando legami nuovi nel mio cervello, dedicati alla lettura tipo “cacciatore”, che va alla ricerca di parole chiave. Francesca Bassi Molto spesso i nostri figli ci dicono che noi non capiamo l’importanza che questi strumenti hanno per loro, perché magari eliminiamo, poniamo un limite, addirittura impediamo. Dicono che non capiamo. Don Jonah Lynch Penso che sia vero che facciamo fatica a immedesimarci nell’esperienza dei più giovani di noi. Allora dobbiamo fidarci del cuore. Non possiamo essere sicuri di aver ragione, potremmo dire che Facebook è una perdita di tempo e quindi non bisogna usarlo e quindi toglierlo, potremmo farlo. In realtà si possono comprimere le persone per un certo tempo, però poi scoppiano. Questa via mi sembra molto complicata. In un certo senso, penso sia vero che un figlio viva un’esperienza che tu non conosci e allora da insegnante, da genitore, penso che dobbiamo essere rispettosi davanti a questo mistero che è la persona davanti a noi. Allo stesso tempo noi abbiamo l’esperienza profonda, bella che abbiamo guadagnato, pagando sangue a volte, e vorremmo dare ai nostri figli questa esperienza. Non vorremmo che facessero tutti gli sbagli che abbiamo fatto noi. Dobbiamo da una parte proporre instancabilmente quanto di bello e di buono abbiamo incontrato e allo stesso tempo sapere che l’esperienza dei figli è diversa, non possiamo farla 5 noi al loro posto. E poi potrebbe essere più ricca della mia e magari Facebook contiene qualcosa di buono che io non riesco a vedere e nemmeno serve alla mia vita, ma serve alla sua. Io insisterei: non tanto su Facebook sì Facebook no, ma insisterei sul giudicare le cose. Fare un’esperienza e dire: questa cosa mi ha reso più felice o no, ha mantenuto la promessa che mi ha fatto o no? Se chiedi a uno: “Perché hai il cellulare, perché hai lo smartphone, perché ti sei iscritto a questo social”? Saper rispondere a questa domanda. Penso che questa sia la strada. Domanda Nel rapporto fra morosi, con Whatsapp è tutto sempre così veloce, si è sempre in contatto, si vede quando il tuo messaggio è stato visualizzato. Penso ai miei genitori che si scrivevano lettere e si vedevano una volta al mese: quanto è cambiato rispetto a loro! Tante volte per me è soffocante. Qual è la cosa bella e quella brutta di questo? Don Jonah Lynch Quando ero al liceo le mie prime fidanzatine, che immancabilmente vivevano lontane, le incontravo d’estate, in campeggio; stavamo insieme una settimana e poi per due mesi ci scrivevamo lettere. Ogni giorno quando arrivava il postino, ero lì a vedere se si fermava da noi e quando capitava… esplosioni di gioia! Ma poi calava l’attesa per ventiquattro ore, perché non poteva arrivare un’altra lettera. Questo per me era molto bello: una grande attesa. Lo stesso succede con un sms: mandi un messaggio e attendi una risposta. Quando scrivo una mail, aggiorno sempre la posta in arrivo, non voglio aspettare trenta secondi per vedere se mi hanno risposto. Perché siamo così? Perché proviamo questa attesa parossistica? E poi mi sembra che le donne siano più esigenti in questo senso degli uomini… Può essere come una rincorsa in cui il tempo dell’attesa è sempre troppo lungo. Quindi si finisce per mandare messaggi… E poi c’è anche un’altra dinamica: come si fa a finire? non si capisce come si dice “ciao”. Oppure quando hai mandato una e-­‐mail, l’altro dovrebbe rispondere: “Grazie, ho ricevuto la mail” e tu dovresti dire: “Grazie, ho ricevuto la conferma che hai ricevuto…”. Tu dici è soffocante: sono d’accordo, anche perché ti toglie tutto il tempo che potresti passare a fare un’esperienza nuova. Ci sono tante esperienze che puoi fare solo con un tempo lungo, penso leggere ad esempio un romanzo come I Miserabili o qualcosa di Dostoevskij. Sono esperienze che ti segnano per tutta la vita. Quando ti senti soffocare, secondo me c’è qualcosa da cambiare; quando un rapporto fra morosi diventa soffocante, magari uno o l’altro riesce per un po’ a tener duro, però prima o poi scoppia. Molto più bello è essere liberi e sapere che ognuno ha bisogno di tempi di silenzio, e accettarlo. Accettare quella fatica di mandare un messaggio a cui non viene risposto subito. Nelle amicizie si può arrivare a questo punto, si può arrivare a guardarsi con questo rispetto e questa stima, con la fiducia che non ha bisogno di una conferma ogni tre minuti… “Mi ami, mi ami, ma davvero mi ami?”. “Basta, ti amo!”. Domanda Mi ritrovo sul fatto di dire che la tecnologia non si vieti: i nostri figli sono figli di questo tempo, che ne è denso. Però per alcuni strumenti potrebbe sembrare facile, per esempio penso all’utilizzo dell’iPIad: non c’è solo il giochino, ma ci sono altre cose interessanti, un libro da leggere o delle ricerche che si possono fare. Su Facebook è corretto giudicare assieme; ma come si fa a giudicare un’esperienza che non fanno insieme a te, nel senso che è una cosa molto personale, intima, legata al loro rapporto con l’ambiente di Facebook dove sono? Poi se posso ammettere che per Facebook si possa trovare una strada buona, per strumenti come Ask, faccio più fatica, nel senso che è stato progettato sul fatto che giocando sull’anonimato emergono gli istinti più bassi. Lì è più difficile giudicare insieme ed è ancora più difficile rintracciare il dolore che uno dei nostri figli può arrivare a provare. Don Jonah Lynch 6 Effettivamente è uno dei punti più radicalmente diversi dell’esperienza che si sta facendo oggi rispetto a pochi anni fa. Tutta questa comunicazione è privata. Nessun postino arriva, nessuna mamma vede, tutto avviene nel privato. La potenza di qualunque strumento è una potenza che dobbiamo imparare a gestire oppure ci distruggerà attraverso Ask, siti di incontri ecc. Questo è drammatico. Come si fa? Facciamo un altro esempio: l’alcool, il vino. Come si fa con gli alcolisti? Devono rinunciare perché non sono in grado di gestire il bere un bicchiere di vino, che è pur buono. Il caso della dipendenza ci apre a uno scenario più complesso, perché è possibile in questo campo che giudichiamo buona, almeno in teoria, una cosa che però per alcune persone è ingestibile. Ci sono centri psichiatrici oggi per la cura della dipendenza. C’è un’età in cui si può vietare internet, un’età in cui si può fare insieme, un’età in cui il ragazzo può andare. Come possiamo educare a far sì che la libertà diventi così forte da essere capace di gestire questo immenso potere? Forse è più semplice se racconto cosa faccio in Seminario. I ragazzi che arrivano sono come tutti gli altri, hanno il cellulare, internet da sempre, non hanno l’esperienza di un mondo senza, non sono neanche consapevoli della possibilità che una parte della realtà gli sta sfuggendo. Per due anni in Seminario non possono più tenere il cellulare, il portatile, devono usare il telefono fisso e il computer della biblioteca per la mail, la camera è come una zona franca dove non entra nessun altro se non Dio; hanno possibilità quindi di fare l’esperienza che molti non hanno ancora fatto. Al terzo anno ridò indietro cellulare e portatile e devono imparare a gestirli con una nuova consapevolezza. È un esperimento che funziona sì e no, non risolve il problema, però genera una consapevolezza maggiore, perché di nuovo possiamo fare affidamento sul cuore della persona. Nessuno vuole perdere la propria vita in mezzo ai meandri della tecnologia; se gli dai un’esperienza di libertà, saprà scegliere ciò che è bene per sé. Possiamo puntare su questo alla fine dell’educazione. Per arrivare a quel punto, c’è una bella stagione che dura fino ai tredici anni circa, in cui non serve affatto il cellulare o avere la connessione internet in camera, anzi è proprio dannoso. Poi c’è un periodo in cui bisognerebbe fare le cose assieme; è inutile, dannoso avere il portatile in camera. “Usa Facebook in cucina, mettilo in un luogo dove non sei da solo”. Chiaro che lo strumento ha per sua natura una grande componente di privacy, però un po’ si può entrare in un modo leale. Perché dico leale? I genitori che vanno a spiare i figli su Facebook mi sembra che facciano un grande danno, viene a mancare il rapporto di fiducia con i ragazzi. C’è uno spazio dove vietare è necessario, uno spazio in cui usare l’intelligenza per fare assieme e poi il tempo in cui bisogna… pregare! Domanda Ritorno al fatto che bisogna scommettere sul cuore. Porto un esempio: in casa ho due estremi. Una figlia che non riesco a tenere in casa e un figlio che non riesco a mandare fuori di casa. Su Whatsapp ci sono i gruppi dove si inserisce chi si crede possa appartenere a questo gruppo. A mio figlio, quando arriva sabato, chiedo se ha pensato di vedersi con qualche amico. “Adesso vedo”. Prende il cellulare e comincia a chiedere al chi è del gruppo: “Cosa facciamo oggi?”. È una banalità, però mi sono posto la domanda: perché uno deve lanciare a una cerchia di amici la stessa domanda? “Perché non alzi il telefono e chiami?”. Niente, ha difficoltà a sentire la voce. “Senti il tono, magari gli dispiace, ha già un altro impegno, percepisci molte più cose se lo senti”. Il più delle volte le risposte che arrivano sono talmente contraddittorie che ne esce un casino, non si organizzano mai… Poi tento di aiutarlo anche a guardare quello strumento, che se da un punto di vista aiuta, dall’altra crea anche molta confusione, perché il più delle volte non esce di casa. È vero che bisogna scommettere sul cuore dei ragazzi, però sono preoccupato perché se dovessi intervenire farei in maniera diversa. È normale percepire questa fatica? Don Jonah Lynch La domanda va a toccare la natura stessa dell’essere genitore, sono meno abilitato a parlare, sono un sacerdote. Il problema è che il ragazzo non segue quello che proponi, che è un problema che è anche 7 alla radice dell’insegnamento, perché un insegnante sa che quello che propone vale la pena. Sono d’accordo che quando si parla al telefono si sente il tono di voce, si dicono tante cose in più e non è vero che un messaggio è più rapido. Ci metti molto di più a scrivere e ad aspettare e leggere la riposta, piuttosto che undici secondi “Ciao, ci sei, andiamo al bar?”. “Ok, ciao”. Questo va detto, vanno sfidati: perché parli per sms? Vuoi controllare tutte le parole? Non vuoi apparire come sei veramente, perché magari il tuo tono di voce tradisce? Oppure: sei annoiato, cosa fai? Mandi un sms a molte persone, ma ognuna di quelle non sa che l’hai mandato ad altri dieci. E pensi: qualcuno risponderà. Questo è un modo brutto di agire perché in realtà stai usando gli altri per riempire il tuo vuoto. Non penso che questo si possa combattere con la garanzia del successo, ma solo con la lotta quotidiana in cui uno cerca di vivere con coraggio, decisione, cercando di affermare le cose belle ed evitando quelle brutte, chiedendo perdono quando ci casca. Domanda Sono rimasto molto sconvolto dal fatto di quella ragazza che si è suicidata. Ho un figlio di quattordici anni. Prima lei diceva che siamo a contatto con il mondo; ma questo essere a contatto mi pone una domanda: a cosa serve? E poi, qual è il mio mondo? È la mia famiglia, i miei figli, il mio lavoro? Un’altra cosa: molti dicono che sanno cosa fanno i figli su Facebook. Io dico che è impossibile controllare un ragazzo, che ti fa vedere quello che vuole. Mi trovo in difficoltà: potenzialmente mio figlio potrebbe essere entrato su Ask, come faccio a saperlo? L’importante è domandarsi perché potrebbe entrare in questo sito. La ragazza che si è suicidata perché è entrata? Quali strumenti ho per capire cosa sta facendo mio figlio? Don Jonah Lynch Vi suggerirei di fare un giro sul sito di Ask.fm, per capire cos’è. Si può entrare anche senza fare l’iscrizione. Sono molto d’accordo con la riflessione che dice che questo è uno strumento che mi fa essere in contatto col mondo. È una frase ambigua e anche un po’ sciocca, perché qual è il mio mondo? Quanti sono gli amici cari? Cinque sono già tanti. Tre? Già un concetto così ti aiuta a capire che il tuo mondo è tua moglie, i tuoi figli, qualche amico, non siamo neanche a dieci. Il mondo veramente più vicino, più importante, quello che va custodito è questo. Questo teatro contiene più persone di quelle che potrò conoscere veramente in tutta la mia vita. A cosa mi serve conoscere tutto il mondo? Non sono completamente d’accordo perché esiste comunque la possibilità che io abbia interessi che magari non trovo qui. Allora è interessante essere in contatto con persone lontane; ma nel momento in cui questo mi distoglie da quei dieci rapporti fondamentali, ho perso, non ho guadagnato. Allora questo è importante e ha a che fare con la questione del limite: noi esseri umani siamo limitati, abbiamo una vita che dura poco, ci stanchiamo presto. Questa realtà è uno dei motivi principali per cui abbiamo inventato le tecnologie: vogliamo fare più cose, con meno fatica, più rapidamente, per raggiungere più persone. Molto dello sviluppo nasce come tentativo di superare i nostri limiti, ma rimaniamo pur sempre limitati. Capire qual è il mio mondo mi aiuta a capire che cosa mi serve, perché se il mio mondo chiede certi strumenti li uso, se non me li chiede ne faccio a meno. La domanda su Ask. È possibile che su internet ci siano delle cose che non hanno nessun valore positivo. Se prima sono stato circoscritto perché non volevo entrare qua come quello che demonizza internet, è importante mettere in evidenza il fatto che non sappiamo interamente che cos’è e che cosa sta succedendo; dobbiamo tenere uno spazio aperto per scoprire fino in fondo cos’è. Se andiamo su Ask vediamo profili fatti per attrarre l’attenzione, c’è una foto e un piccolo testo, e poi si possono scrivere delle domande. Anche quelle sono per attrarre l’attenzione, perché più domande ricevi più popolare sei, più attenzione ricevi. C’è già una prima domanda da farsi: la mia consistenza sta nelle persone che mi guardano oppure essa sta altrove? Poi la qualità di queste domande: sembrano fatte apposta per tirar fuori gli istinti più bassi, si diceva prima. Non so, però questo è l’effetto. Anche lì si può dire: perché voglio espormi a questo sudiciume, voglio mettermi in questa piazza per sentire i commenti di chiunque? A una certa età, a una certa esperienza una persona non è in grado di gestire queste cose; è il problema dell’adolescenza. Da 8 una parte sei già grande e vorresti l’attenzione di una persona matura, ma allo stesso tempo sei molto fragile, non del tutto in grado di dire. Come quella povera ragazza che non ha avuto forza di dire: “Ciao, vado via”. Si sentiva di fare, di esistere perché le persone le scrivevano, come io sentivo di esistere quando arrivava una lettera della mia ragazza al liceo. Sentivo che siccome un’altra persona mi guardava, mi voleva bene, allora esistevo veramente. Urge allora insegnare e vivere noi una consistenza diversa: noi abbiamo una consistenza da un’altra parte, non nella folla che fa apprezzamenti, ma nelle -­‐ anche tre – persone che vogliono veramente il nostro bene. Il lavoro da fare con i figli è proprio quello di sfidarli a un giudizio: se non sanno dirti la ragione contingente per cui devono avere lo smartphone, perché glielo compri? Perché? Se non ha una ragione che convince, mi sembra stupido spendere soldi perché sia uguale a tutti gli altri. Va bene, soffrirà un po’. È su questo terreno che bisogna combattere. Una mia amica si è convertita al cristianesimo perché su Facebook ha incontrato un ragazzino che ha cominciato a chattare con lei e a un certo punto le chiede: “Come mai non vai a messa?”. Allora ho dovuto ricredermi su Facebook… è possibile che qualcosa di buono possa accadere anche lì. Ho dovuto tenere aperta questa possibilità, ma allo stesso tempo devo sfidare le persone a un giudizio. Domanda Spesso lei stasera ha parlato di giudizio, dialogo, racconto di esperienze. A me sembra che questi mezzi, ad esempio col telefonino hanno l’infinity e possono per un mese chattare eccetera, portino via questi dialoghi. Su alcuni giudizi che io vorrei impostare, la risposta è: “Non mi rompere!”. L’alternativa è o obbligo a non usare il cellulare e mi impongo, oppure chiudo il dialogo. È sempre più difficile dialogare, la tecnologia porta via lo spazio, non sono disponibili a questo dialogo. Non dico che io sia contraria: mio marito è all’estero e per me è importantissimo Skype, però lì parli, senti la voce, ti vedi. Non sto demonizzando, ma nell’adolescenza manca il dialogo. A volte quando si è arrabbiati, addirittura chiedono scusa attraverso il cellulare. Don Jonah Lynch Avete mai fatto esperienza di ferire profondamente una persona e tornare dopo un po’ a chiedere perdono e ad abbracciarla, capendo dagli occhi se l’altro ha veramente perdonato? È un’esperienza bellissima, straordinaria. E abbiamo anche fatto l’esperienza di mandare un sms con “Scusami per ieri”. Non è che sia sbagliato, però è vero che è come se ci fosse un’enorme variazione da segnare, che il sentimento può essere fortissimo, molto diverso: vivere cose come il perdono nel rapporto umano, nella carne mostra la grande ricchezza che c’è nell’esperienza umana. Questo è il punto quando parlo del cuore: non è male chiedere scusa via sms, ma è meno bello, meno ricco. Su questo possiamo puntare; andare a vedere la Cappella degli Scrovegni di persona è un’esperienza che non puoi avere guardando le foto su internet, che sono belle, ma meno belle. Io vorrei per me e per le persone che amo quest’esperienza. Domanda Mi chiedo: ma noi i nostri figli li guardiamo? Non possiamo fare niente di quello che loro fanno col cellulare, però li possiamo guardare. Ho imparato da poco al mattino a chiedere a mio figlio: “Ciao, come stai?”. Mi rendo conto che è come dire: “Io voglio godere di te”. Viene a casa mia un ragazzino a fare i compiti con mio figlio e usa spesso il cellulare. Ma io non voglio che lui non venga. Ho sentito una volta un prete della Fraternità S. Carlo raccontare che ospitava una ragazza che si drogava, ma a cui non aveva mai chiesto di smettere di drogarsi. Seguendo l’esempio, mentre questo ragazzino è lì col cellulare, mi metto davanti a lui e lo guardo. Un po’ si vergogna, alza lo sguardo e mette via. Ci vuole un po’ di coraggio: insisti ancora. Con mio figlio funziona così, perché vuol vedere fino a dove guardi tu. Penso che non possiamo entrare nel cellulare, però possiamo guardare. 9 Domanda Questo a me sembra decisivo. C’è anche il fatto che oggettivamente i figli ci guardano. Cosa vedono quando ci guardano? Don Jonah Lynch Stamattina al Liceo Bruni i ragazzi avevano preparato delle domande; una ragazza ha detto in modo deciso, coraggioso: “Vedo gli adulti che mettono i bambini davanti alla televisione per farli star buoni, che gli danno i video giochi per farli star buoni. Li vedo giocare anche loro, esattamente come noi. E allora?”. Sono d’accordo! Essere in grado di guardare l’altro con amore, cioè senza alcuna pretesa, perché l’amore non è “ti amerò se fai il bravo”, l’amore precede quello e lo fonda; guardare un’altra persona con amore, ossia carità, è ciò che ci salva. Qualcuno che ci ha guardato con quella gratuità, che non ci ha misurato per i nostri sbagli, che ci ama e non ci chiede assolutamente niente, – mio padre mi diceva sempre: “Non c’è niente che tu possa fare che mi farà amarti di meno” e così mi sfidava – questo sguardo salva la vita! Francesca Bassi Grazie di cuore. Mi sembra sia stato l’aiuto di un compagno di cammino. Magari lo sarà ancora! Mi ha colpito quando dicevi che io posso educare fidandomi del cuore dei miei figli, che è proprio come il mio e poi non stancandomi. È un lavoro, c’è una fatica anche per me, che mi chiede di non stancarmi di proporre le cose belle e di sfidarli a giudicare tutto: “Ma questa cosa mi rende veramente felice?”. Ancora grazie. _________________________________________ Testo tratto da appunti e non rivisto dal relatore 10