Tv, immagini e menzogne

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Tv, immagini e menzogne
Tv, immagini
e menzogne
di Diego Zipponi
Disegno di Matteo Mazzucchi
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Tempo fa un noto uomo politico disse: “Con voi giornalisti non parlo più
perché deformate le mie dichiarazioni. Parlerò solo con la tv, che le riporta
fedelmente.” Questo personaggio, probabilmente frustrato dalle polemiche
politiche, era caduto in un frequente luogo comune, ovvero quello che la
televisione sia il regno della trasparenza, della verità, della comunicazione
fedele degli avvenimenti e delle dichiarazioni. Considerava cioè due situazioni
distinte a seconda che la notizia fosse riportata dal giornalismo scritto o da
quello televisivo, come visualizzato nella figura 1.
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Giornalista
Avvenimento
Computer
Notizia
possibile menzogna
Cameraman
Avvenimento
Telecamera
Notizia
verità
Figura 1
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In altre parole, il giornalista, scrivendo sul suo computer o su qualsiasi
altro supporto, potrebbe deformare l’informazione o addirittura totalmente
inventarla, mentre il cameraman, mediante la telecamera, può solo registrare la
realtà. Ciò però non è totalmente vero e lo scopo di questo articolo è dimostrare
che, attraverso le immagini, anche la televisione può proporre una versione non
veritiera dei fatti.
Le informazioni, da qualunque fonte pervengano, sono comunque
selezionate dal sistema giornalistico. La valutazione dell’importanza degli eventi
è determinata da quelle norme, per lo più non scritte, che determinano la
gerarchia degli avvenimenti, chiamate di “newsmaking” o “valori notizia”. Una
dettagliata descrizione del processo di formazione e selezione delle notizie è
contenuta nel libro di Mauro Wolf Teorie delle comunicazioni di massa, nonché
in moltissimi testi di giornalismo. Si dice che ciò che non viene visto in tv non
esiste; anche se questa è certamente una forzatura, il problema sicuramente
esiste. Un approccio significativo è stato proposto da Elisabeth Noelle Neumann
nel suo libro La spirale del silenzio. In questo libro si afferma che il sistema dei
mass media, preso nella sua totalità, non è in grado di costringere ad un pensiero
specifico il pubblico, ma può imporre allo stesso gli argomenti degni di
attenzione. In pratica fornire una scala di valori della realtà: questo processo
viene chiamato “agenda setting”. La prima distorsione introdotta dalla
televisione (ma non solo da essa) è appunto questa: solo un numero limitato di
argomenti fanno notizia e questo processo, autoalimentandosi, porta alla
sparizione di altri, che cadono quindi nel silenzio attraverso un processo
involutivo, a spirale appunto. La nostra percezione del mondo è quindi
pesantemente influenzata dai media, i quali creano quello che Walter Lippmann
ha definito “il mondo di mezzo”, una pseudorealtà che in taluni casi può entrare
in conflitto con le esperienze personali del singolo.
Un caso diverso, ma abbastanza frequente, è quello di creare un evento
che è privo di qualunque valore informativo, coinvolgendo contemporaneamente
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gli organi di stampa. Sono quegli avvenimenti che vengono chiamati “fattoidi”,
ovvero situazioni che assumono la dignità di notizia solo perché qualche
organizzazione ha realizzato una manifestazione e spesso vi ha partecipato
qualche personaggio molto noto. La finalità è spesso pubblicitaria o mira a
distrarre l’opinione pubblica da altri temi più scottanti. In realtà la notizia o non
esiste o è di bassissimo interesse, anche se “qualcosa” è avvenuto ed è stato
documentato.
Anche ciò che fa notizia, tuttavia, non esiste televisivamente nella sua
totalità. Facciamo un esempio: che il campionato di calcio sia di moda è
evidente a tutti, ma è impossibile, per uno spettatore, assistere a tutti gli incontri
e quindi la sua conoscenza sarà parziale. Al massimo potrà assistere alla sintesi
delle partite o vedere solo i gol, ricevere informazioni sull’arbitraggio o su uno
specifico giocatore, ma resta il fatto che ciò che viene visto è comunque frutto di
una selezione fatta dal sistema dei media. Spettatori diversi avranno comunque
conoscenze diverse degli avvenimenti, condizionando le loro valutazioni, anche
se tutti potranno parlare di ciò che chiamiamo comunemente “il campionato di
calcio”.
Quando la documentazione di un avvenimento viene effettuata, possiamo
ritenere le riprese totalmente aderenti alla realtà? Per rispondere a questa
domanda occorre chiedersi: che cos’è un avvenimento? Generalizzando si può
affermare: uno o più eventi racchiusi in un tempo ed uno spazio. Ad esempio,
escludendo eventuali rigori dopo i tempi supplementari, il risultato di una partita
di calcio è determinato dai gol segnati tra il fischio d’inizio e quello finale. Si
potrebbe pensare che sia sufficiente riprendere in quell’intervallo di tempo per
fornire un’informazione completa. Si perderebbero così molti altri avvenimenti
collaterali: il pubblico che entra, gli eventuali inni nazionali, i commenti del
dopo partita. Cosa riprendere è frutto quindi di una ulteriore selezione, spesso
inconsapevole e rituale, selezione che può essere non solo una riduzione, ma
anche un ampliamento dell’avvenimento formalmente definito.
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La ripresa di un evento senza interruzioni potrebbe essere quanto di più
fedele si possa immaginare, ma neppure la diretta può essere considerata
totalmente realistica e può darsi che alcuni eventi vengano visti solo tramite una
registrazione, come ad esempio la celebre testata di Zidane nella finale del
campionato mondiale di calcio del 2006. Infatti la combinazioni dei movimenti
delle telecamere e delle commutazioni effettuate tramite il mixer video
rappresentano una interpretazione della realtà.
In un servizio di cronaca viene fatta una selezione ancora maggiore: le
immagini sono composte da inquadrature separate, solitamente di alcuni secondi
di durata in caso di scene ferme, un po’ di più per le panoramiche e le zoomate.
Per lo più esse vengono girate per facilitare il successivo montaggio con una
tecnica derivata da quella cinematografica. Nel cinema, infatti, dopo i primi anni
in cui la scena veniva ripresa in totale come un avvenimento teatrale, si scoprì
che era molto più coinvolgente per lo spettatore vedere in ogni momento il
particolare più significativo dell’azione. Si è giunti quindi alla definizione di una
“grammatica” cinematografica, impiegata anche in tv, molto normativa, per la
quale alcune cose sono permesse ed altre vietate.
Una ripresa “mossa” può aggiungere enfasi ad un evento girato in zona di
guerra, ma non può essere accettata in una intervista di routine, così come, per
fare un altro esempio, una ripresa sfocata è ammessa solo se intenzionalmente si
è voluto rendere il soggetto irriconoscibile, per motivi di privacy o per la sua
sicurezza, altrimenti viene considerata errore. Gli esempi potrebbero essere tanti,
come il divieto del cosiddetto “scavalcamento di campo”, per il quale non si può
passare dall’altra parte di una linea immaginaria che divide in due parti lo spazio
di un evento (tipico è il caso della ripresa di una partita di calcio, in cui tutte le
telecamere devono stare dalla stessa parte del campo) o la necessità che due
immagini successive siano sufficientemente differenti per non dare la sensazione
di un salto visivo (jump cut). Queste regole, anche se oggi si tende a superarle
ampiamente, fanno parte del patrimonio culturale degli operatori professionisti.
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Ogni cameraman ha comunque una tecnica personale e quindi diventa
importante come viene comunicato un avvenimento attraverso le riprese.
Nonostante lo slogan di Walter Cronkite - notissimo commentatore della tv
statunitense - fosse “le immagini non mentono”, l’ipotesi della neutralità della
telecamera può essere facilmente smentita.
In un sondaggio realizzato nel 1979 da Percy Tannenbaum e citato in La
spirale del silenzio fu chiesto ad un gruppo di cameramen se considerassero
significativamente influente la tecnica di ripresa per ottenere un determinato
effetto. Dei 151 soggetti che risposero, il 78 per cento affermò che ciò era vero
ed il 22 per cento possibile. In particolare veniva segnalato che le riprese di
personaggi dall’alto (il cosiddetto “a volo d’uccello”) o dal basso (prospettiva
“ad occhio di rana”) comunicavano antipatia e davano “un’impressione di
debolezza e di vuoto”.
Il sondaggio si riferiva alle riprese relative ad una campagna elettorale
tedesca, in cui risultava molto importante l’impressione fornita da ciascun
candidato, al di là dei suoi programmi politici. L’inquadratura migliore di un
oratore, infatti, è quella fatta da alcuni metri di distanza, con una focale media,
che riprenda la persona in primo piano, leggermente angolata, immagine che
comunica un’impressone di chiarezza ed equilibrio. Riprendere da 50 metri con
il teleobiettivo un’autorità (condizione però molto frequente nelle manifestazioni
pubbliche) genera un senso di distacco: riprenderlo da pochi metri, specialmente
se stringe le mani della popolazione, comunica simpatia ed affabilità. È per
questo che molti personaggi politici hanno a disposizione un cameraman
ufficiale che opera a pochi metri di distanza e che in genere poi fornisce le
immagini alle emittenti televisive accreditate. La distanza dal soggetto, la
posizione della telecamera e la focale utilizzata sono alcune delle variabili di una
ripresa, che portano a risultati diversi. La televisione ricerca infatti, soprattutto
nella cronaca, quell’effetto presenza che è uno dei principali strumenti di
validazione della sua natura e che deve far credere allo spettatore di essere
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presente all’evento. Diventa fondamentale mascherare quindi al massimo i
meccanismi di produzione per dare l’impressione che gli avvenimenti si
svolgano da sé e che la telecamera sia un testimone, per così dire, neutrale.
Molto importante risulta anche la cosiddetta “composizione” o
“montaggio interno” di una immagine, spesso giocata su un rapporto
figura/sfondo. Un ambiente monocromatico non dà informazioni sulla
collocazione spaziale del soggetto: può quindi farlo risaltare, dando
l’impressione che si trovi in uno spazio indeterminato. Uno sfondo pieno di
elementi tenderà generalmente a distrarre; un equilibrio si può ottenere con
elementi riconoscibili ma neutri, mentre una soluzione adottata spesso è
rappresentata da scritte, immagini o ambienti che richiamino l’argomento di cui
si sta parlando.
Anche l’illuminazione è molto importante; infatti non serve solo per
rendere riconoscibile un oggetto o una persona. È una vera propria
interpretazione della realtà; anche se si gira con la luce dell’ambiente, ciò non
significa che, in qualche modo, non possa essere controllata. Anche se ciò non
rappresenta una regola assoluta sono da preferire luci che facciano risaltare il
soggetto; le sorgenti luminose “dure”, cioè molto contrastate, producono un
effetto teatrale; il controluce è una tecnica che può offrire risultati spettacolari,
ma che spesso, se usata male, si rivela deludente.
Non meno significativi sono i movimenti di macchina. Una zoomata in
avanti tende a focalizzare l’attenzione sul soggetto (e quindi a conferirgli
importanza), una panoramica lo individua nell’ambiente. Un movimento
dall’alto in basso rappresenta una esplorazione, che talvolta, nel caso delle
persone, può risultare inopportuna a meno che non si voglia far risaltare che
porta calzini a strisce rosse e blu su un vestito grigio.
Riprendere la realtà è quindi sempre frutto di una mediazione, nella quale
assumono molta importanza tutte le variabili connesse all’utilizzo della
macchina da presa; inquadratura, distanza del soggetto, luci, posizione e
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movimenti della telecamera producono risultati tecnici diversi, ma anche
significati diversi. Potranno avere un senso puramente “denotativo”, ovvero
informare su un determinato avvenimento, oppure “connotativo”, cioè suscitare
emozioni e coinvolgimento. In genere le buone riprese sono principalmente
informative ma devono anche stimolare la curiosità e l’interesse dello spettatore.
Un servizio televisivo, tuttavia, salvo rare eccezioni, è soggetto ad un altro
processo produttivo, ovvero il montaggio, che molto spesso viene realizzato con
la tecnica del cosiddetto “découpage”, ovvero mediante la frammentazione del
tempo e dello spazio. Il montaggio, o editing, non è solo una ulteriore selezione
delle riprese per rispettare i tempi del Tg, non serve solo ad accoppiare il sonoro
e le interviste alle immagini, ma è funzionale soprattutto a creare significati.
Nella sua concezione più semplice il montaggio è la giunzione di due
inquadrature che per il solo fatto di essere consecutive assumono un senso
nuovo e specifico. Per analizzare il montaggio ci rifaremo ad uno schema
cinematografico di Christian Metz da lui stesso chiamato “Grande
sintagmatica”, comprendente otto tipologie, che sono frequentemente usate nella
realizzazione dei servizi televisivi.
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Piano autonomo: il piano sequenza + inserti
Segmenti
autonomi
Sintagma
parallelo
Sintagmi
a-cronologici
Sintagma
a graffa
Sintagmi
Sintagmi
cronologici
Sintagma
descrittivo
Sintagma
alternato
Sintagmi
narrativi
Scena
Sequenza
a episodi
Sintagma
lineare
Sequenze
Sequenza
ordinaria
Una immagine fuori contesto (chiamata da Metz “inserto non-diegetico”) può
far chiedere al telespettatore a quale tempo e luogo si riferisca, facendolo
giungere anche a conclusioni erronee, tanto più gravi se provocate
deliberatamente. È altamente probabile che il gabbiano coperto di petrolio
ampiamente usato dai Tg durante la prima Guerra del Golfo sia un falso, ovvero
sia stato girato in un’altra occasione. Poiché un buon servizio televisivo
dovrebbe fornire chiari elementi del luogo di cui si parla, ecco quindi che
l’immagine decontestualizzata è sempre a rischio di menzogna, proprio per
l’incertezza intrinseca che la accompagna.
Il “piano sequenza” mostra una porzione di realtà rispettando la sua reale
durata ed è composto da una sola inquadratura, senza stacchi. È una tecnica di
ripresa amata da molti registi, alcuni dei quali, rifiutando il montaggio, la
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ritengono un forma di aderenza alla realtà; attraverso il piano sequenza, cioè,
ogni spettatore è invitato a fare da sé il proprio découpage. In realtà anche
questa tecnica di ripresa “guida” lo spettatore nella visione dello spazio e quindi
è una forma di selezione degli avvenimenti. Talvolta, però, in televisione è
soprattutto una tecnica di ripresa “povera” usata quando si deve riprendere
l’azione in continuità e si dispone di una sola telecamera.
Il “montaggio parallelo”, che ha lo scopo di mettere in relazione due
aspetti spesso conflittuali (ricco e povero, salute e malattia), viene usato
raramente nei servizi di cronaca; è riservato a quelle trasmissioni di carattere
specificamente satirico, come ad esempio Blob o Le Iene. È chiaro come
l’accostamento di due immagini - anche conflittuali - porti lo spettatore a
percepire significati di tipo metaforico.
Un’altro tipo di montaggio, chiamato “a graffa”, è quello che mostra varie
immagini accomunate da un significato comune. Ad esempio una sequenza
composta da una immagine di una operaia, di una mamma che spinge una
carrozzina, di una casalinga che fa la spesa può significare “la figura della donna
nella società”. L’accostamento, che crea un significato che le immagini da sole
non
possedevano,
ha
quindi
una
forza
espressiva
e
comunicativa
deliberatamente realizzata.
Il “sintagma descrittivo”, usato per lo più nei documentari e negli speciali,
è quello che semplicemente mostra porzioni di realtà accomunate da
caratteristiche tra loro assimilabili in cui si realizza la costruzione di un mondo
semplicemente attraverso la selezione e l’accostamento delle immagini.
Il “montaggio alternato”, ovvero il mostrare due o più avvenimenti che
accadono contemporaneamente, è spesso usato all’interno del telegiornale
stesso, nel susseguirsi dei servizi e dei collegamenti esterni su uno stesso tema e
crea un senso di partecipazione agli avvenimenti. Lo stesso Tg, visto nel suo
complesso, può essere considerato anche un esempio di “sequenza ad episodi”,
dove il susseguirsi delle notizie deve comporre un quadro d’assieme che sia
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comprensibile allo spettatore, ma che rappresenta anche una autocertificazione
sulla verità dei fatti riportati.
Quasi tutte le modalità di montaggio presentano al loro interno dei salti
temporali, le cosiddette ellissi, che sono funzionali ad eliminare dettagli inutili
ed a sintetizzare l’avvenimento. La “scena”, invece, altro sintagma narrativo,
frammenta l’azione in diverse inquadrature, mantenendo però la continuità
temporale della realtà. È impiegata nelle riprese integrali di spettacoli o di
avvenimenti sportivi oppure nel montaggio di dialoghi. La corrispondenza del
tempo reale con quello narrato provoca uno spiccato effetto di realtà.
Più interessante è invece la “sequenza ordinaria”, moltissimo impiegata
nel confezionamento dei servizi televisivi e che fa parte dei sintagmi narrativi.
Si può ritenere, infatti, che un servizio televisivo si limiti ad illustrare un
avvenimento; in realtà esso è un racconto, ovvero la spiegazione di fatti aventi
un rapporto di causa ed effetto. In uno scontro tra manifestanti e Polizia non è
privo di significato mostrare i primi lanciare dei sassi ed i secondi effettuare una
carica: invertendo l’ordine delle immagini il senso cambia. Così non è
indifferente l’ordine di montaggio di una serie di interviste; si chiama “panino”
il montaggio in cui l’esponente del partito X (in genere di maggioranza) fa una
dichiarazione, l’esponente del partito Y (quasi sempre di opposizione) fa una
replica e chiude, con una controreplica, il primo intervistato. In questo modo chi
conclude ha un vantaggio considerevole, essendo presentato come colui che
confuta le tesi altrui e porta a compimento la discussione.
Rimanendo nel campo delle interviste, non meno importante, per la
veridicità dell’informazione, è il loro montaggio. Quasi mai le dichiarazioni
vengono riportate per intero: vediamo un possibile esempio di frammentazione.
1. quest’opera pubblica verrà realizzata
2. quando le condizioni economiche lo permetteranno;
3. tra breve lo ritengo possibile.
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È evidente che riportare solo la frase 1 dà l’avvenimento per certo.
Aggiungere la seconda parte lo fa diventare incerto, completarla con la terza
parte lo dà però possibile nel futuro. Esiste anche la variante “parte 1 + parte 3”,
che crea ancora un altro significato, in quanto fa presumere il fatto come
imminente. Il montaggio diventa quindi un’arma formidabile per distorcere
volutamente il senso di una affermazione. Trasmettendo una dichiarazione
registrata non si può far dire ad un intervistato ciò che non ha affermato, ma si
può fare in modo che le parole vengano piegate al senso desiderato.
Esiste inoltre un altro livello col quale è possibile mentire con le parole,
ovvero attraverso l’accoppiamento del testo letto alle immagini; la migliore
comprensibilità si ha quanto audio e video si completano a vicenda. Quando ciò
non avviene esiste sempre molto pesantemente il rischio di fraintendimenti o
ambiguità, che talvolta possono essere anche un fatto voluto. In altre parole:
testo e immagini possono riferire entrambe la realtà, ma la loro sintesi può non
essere corretta. Ad esempio, se parlando di un fatto di cronaca nera si mostra
insistentemente solo appartenenti ad una specifica etnia, si può far passare
subdolamente il messaggio “tale popolazione = delinquenza”. Spesso tale
fenomeno è dovuto all’uso di immagini di repertorio; secondo l’etica
giornalistica si dovrebbe infatti sempre segnalare che le immagini in onda non si
riferiscono all’avvenimento di cui si parla, ma è una usanza ormai scomparsa,
anche in quanto si ritiene che lo spettatore sia in grado di comprenderlo da sé.
Un altro caso specifico di mistificazione si verifica quando il testo
riferisce erroneamente i fatti e utilizza le immagini a supporto come conferma.
Ciò si verifica talvolta nei processi di disinformazione bellica; una della parti in
causa diffonde immagini di case distrutte. È stato veramente il bombardamento
nemico o sono state create ad arte? L’immagine infatti si limita a riferire
l’esistente. Potrebbe essere l’equivalente dei “chi”, “che cosa” e “dove” della
regola delle cinque W del giornalismo (who, what, when, where e why). È
compito del testo scritto esplicitare il quando, il perché e, possibilmente, il
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come. Ad esempio, davanti ad una immagine di un incidente stradale si può
vedere l’accaduto, ma non sapere quando è avvenuto e soprattutto se è stata
colpa dell’alta velocità, di un malore o di un incidente meccanico. È quindi
facile far passare una tesi precostituita usando come alibi le immagini,
soprattutto se di grande impatto emotivo.
A volte basta far credere che il video si riferisca ad uno specifico
avvenimento, specialmente se risulta difficile provare il contrario. Un caso
celebre è avvenuto nel 1986, quando la Cnn diffuse immagini (fosche e
traballanti) affermando che si riferivano al reattore nucleare esploso a Chernobyl
(Ucraina) pochi giorni prima e di cui non esisteva alcuna documentazione
visiva. Quando esse furono diffuse dalla Rai, molti cittadini di Trieste
chiamarono la Tv di Stato affermando, correttamente, che in realtà si riferivano
all’ospedale della città giuliana. La Cnn dovette scusarsi a livello planetario ed
intentare una causa miliardaria ai falsificatori, che ovviamente non avevano
tenuto conto della complessità del sistema dei media e pensavano quindi di farla
franca.
Anche i suoni e la musica hanno una funzione importante
nell’accostamento al video; i primi tendono a fornire una validazione
dell’immagini e possono portare a conclusioni errate se usate in maniera
mistificatoria. Basti pensare all’aggiunta di un applauso ad un discorso per
vedere come si può distorcere un avvenimento senza toccare le immagini. La
musica, invece, ha, per lo più, un valore emotivo, ma ha anche la funzione di
unificare il flusso delle immagini, superando la loro discontinuità e facendo in
modo che “scorrano bene”.
Un ulteriore passo che può essere fatto è la vera e propria falsificazione.
Non ci si riferisce a operazioni come l’uso del ralenty, talvolta impiegato per
nascondere la scarsezza di immagini, o a mascheramenti per rendere
irriconoscibile una persona, bensì a veri e propri filmati creati artificiosamente.
Nel film Sesso e potere di Barry Levinson (Usa, 1997) un esperto di pubbliche
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relazioni (Dustin Hoffman) viene assunto dalla Casa Bianca per far dimenticare
alla popolazione americana le scappatelle del Presidente degli Stati Uniti. Viene
così inventata una guerra virtuale, realizzata in uno studio cinematografico, per
creare un diversivo nell’opinione pubblica; similmente in Capricorn One di
Peter Hyams (Usa, 1978) la Nasa simula su un set lo sbarco degli astronauti su
Marte, che era, in realtà, fallito. In questi e altri film possiamo forse leggere una
metafora della capacità di condizionamento della popolazione da parte dei
grandi mass media, in particolare Hollywood e l’industria cinematografica, ma
risulta veramente difficile pensare che, nei telegiornali, inganni di questa portata
non vengano smascherati.
C’è un’ulteriore possibilità di menzogna, ovvero quando le immagini sono
totalmente virtuali. Le ricostruzioni che talvolta si vedono nei telegiornali, se
usate correttamente, possono essere uno strumento esplicativo molto potente, ma
immagini generate da un computer sono chiaramente a rischio di completa
falsità. Il lavoro del tecnico, in questo caso, non si discosta di molto di quello del
giornalista che abbiamo citato all’inizio. Entrambi possono generare un
messaggio (testo o immagini) che sono totalmente a discrezione dell’autore.
In sintesi possiamo riassumere nella figura 3 le possibilità di
manipolazione della realtà nel caso della ripresa, del montaggio, del testo
fuorviante e delle immagini non reali.
Operazione
Contenuto
dell’operazione
Possibile
menzogna
Ripresa
Scelta dei fatti
Distorsione
Montaggio
Ricombinazione dei fatti
Manipolazione
Testo fuorviante
Sfruttamento delle immagini Travisamento
Immagini non reali
Creazione dei fatti
Falsificazione
Figura 3
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Ritenere quindi che le immagini viste in televisione siano la assoluta verità è una
concezione ingenua. Tutto ciò che viene trasmesso è comunque frutto di
operazioni che mirano a creare significato, in altre parole proporre un percorso
di lettura al quale, in genere, lo spettatore aderisce. Ciò non significa
automaticamente la presenza di una falsificazione, ma bisogna essere coscienti
che la sola base fotografica delle riprese televisive, ovvero la necessità di avere
un fatto reale da riprendere, non autorizza a ritenerle “La Realtà”, bensì solo una
sua interpretazione. Non penso si debba giungere alle visioni pessimistiche di
Sartori, che nel suo libro Homo videns ritiene la televisione un possibile nemico
della democrazia. Salvo che nelle dittature, non esiste un “Grande Fratello” di
orwelliana memoria che manipola l’informazione; bisogna però essere coscienti
dell’esistenza del cosiddetto “Autore implicito”, ovvero quella figura semiotica
che, mediante la gestione del flusso informativo, costruisce il senso del discorso.
Alle fine possiamo quindi chiederci: la televisione è realmente una “finestra sul
mondo”? Probabilmente sì, è ancora un formidabile strumento di conoscenza,
ma è una finestra che talvolta può rimanere socchiusa.
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