Tv, immagini e menzogne
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Tv, immagini e menzogne
Tv, immagini e menzogne di Diego Zipponi Disegno di Matteo Mazzucchi 1 Tempo fa un noto uomo politico disse: “Con voi giornalisti non parlo più perché deformate le mie dichiarazioni. Parlerò solo con la tv, che le riporta fedelmente.” Questo personaggio, probabilmente frustrato dalle polemiche politiche, era caduto in un frequente luogo comune, ovvero quello che la televisione sia il regno della trasparenza, della verità, della comunicazione fedele degli avvenimenti e delle dichiarazioni. Considerava cioè due situazioni distinte a seconda che la notizia fosse riportata dal giornalismo scritto o da quello televisivo, come visualizzato nella figura 1. . Giornalista Avvenimento Computer Notizia possibile menzogna Cameraman Avvenimento Telecamera Notizia verità Figura 1 2 In altre parole, il giornalista, scrivendo sul suo computer o su qualsiasi altro supporto, potrebbe deformare l’informazione o addirittura totalmente inventarla, mentre il cameraman, mediante la telecamera, può solo registrare la realtà. Ciò però non è totalmente vero e lo scopo di questo articolo è dimostrare che, attraverso le immagini, anche la televisione può proporre una versione non veritiera dei fatti. Le informazioni, da qualunque fonte pervengano, sono comunque selezionate dal sistema giornalistico. La valutazione dell’importanza degli eventi è determinata da quelle norme, per lo più non scritte, che determinano la gerarchia degli avvenimenti, chiamate di “newsmaking” o “valori notizia”. Una dettagliata descrizione del processo di formazione e selezione delle notizie è contenuta nel libro di Mauro Wolf Teorie delle comunicazioni di massa, nonché in moltissimi testi di giornalismo. Si dice che ciò che non viene visto in tv non esiste; anche se questa è certamente una forzatura, il problema sicuramente esiste. Un approccio significativo è stato proposto da Elisabeth Noelle Neumann nel suo libro La spirale del silenzio. In questo libro si afferma che il sistema dei mass media, preso nella sua totalità, non è in grado di costringere ad un pensiero specifico il pubblico, ma può imporre allo stesso gli argomenti degni di attenzione. In pratica fornire una scala di valori della realtà: questo processo viene chiamato “agenda setting”. La prima distorsione introdotta dalla televisione (ma non solo da essa) è appunto questa: solo un numero limitato di argomenti fanno notizia e questo processo, autoalimentandosi, porta alla sparizione di altri, che cadono quindi nel silenzio attraverso un processo involutivo, a spirale appunto. La nostra percezione del mondo è quindi pesantemente influenzata dai media, i quali creano quello che Walter Lippmann ha definito “il mondo di mezzo”, una pseudorealtà che in taluni casi può entrare in conflitto con le esperienze personali del singolo. Un caso diverso, ma abbastanza frequente, è quello di creare un evento che è privo di qualunque valore informativo, coinvolgendo contemporaneamente 3 gli organi di stampa. Sono quegli avvenimenti che vengono chiamati “fattoidi”, ovvero situazioni che assumono la dignità di notizia solo perché qualche organizzazione ha realizzato una manifestazione e spesso vi ha partecipato qualche personaggio molto noto. La finalità è spesso pubblicitaria o mira a distrarre l’opinione pubblica da altri temi più scottanti. In realtà la notizia o non esiste o è di bassissimo interesse, anche se “qualcosa” è avvenuto ed è stato documentato. Anche ciò che fa notizia, tuttavia, non esiste televisivamente nella sua totalità. Facciamo un esempio: che il campionato di calcio sia di moda è evidente a tutti, ma è impossibile, per uno spettatore, assistere a tutti gli incontri e quindi la sua conoscenza sarà parziale. Al massimo potrà assistere alla sintesi delle partite o vedere solo i gol, ricevere informazioni sull’arbitraggio o su uno specifico giocatore, ma resta il fatto che ciò che viene visto è comunque frutto di una selezione fatta dal sistema dei media. Spettatori diversi avranno comunque conoscenze diverse degli avvenimenti, condizionando le loro valutazioni, anche se tutti potranno parlare di ciò che chiamiamo comunemente “il campionato di calcio”. Quando la documentazione di un avvenimento viene effettuata, possiamo ritenere le riprese totalmente aderenti alla realtà? Per rispondere a questa domanda occorre chiedersi: che cos’è un avvenimento? Generalizzando si può affermare: uno o più eventi racchiusi in un tempo ed uno spazio. Ad esempio, escludendo eventuali rigori dopo i tempi supplementari, il risultato di una partita di calcio è determinato dai gol segnati tra il fischio d’inizio e quello finale. Si potrebbe pensare che sia sufficiente riprendere in quell’intervallo di tempo per fornire un’informazione completa. Si perderebbero così molti altri avvenimenti collaterali: il pubblico che entra, gli eventuali inni nazionali, i commenti del dopo partita. Cosa riprendere è frutto quindi di una ulteriore selezione, spesso inconsapevole e rituale, selezione che può essere non solo una riduzione, ma anche un ampliamento dell’avvenimento formalmente definito. 4 La ripresa di un evento senza interruzioni potrebbe essere quanto di più fedele si possa immaginare, ma neppure la diretta può essere considerata totalmente realistica e può darsi che alcuni eventi vengano visti solo tramite una registrazione, come ad esempio la celebre testata di Zidane nella finale del campionato mondiale di calcio del 2006. Infatti la combinazioni dei movimenti delle telecamere e delle commutazioni effettuate tramite il mixer video rappresentano una interpretazione della realtà. In un servizio di cronaca viene fatta una selezione ancora maggiore: le immagini sono composte da inquadrature separate, solitamente di alcuni secondi di durata in caso di scene ferme, un po’ di più per le panoramiche e le zoomate. Per lo più esse vengono girate per facilitare il successivo montaggio con una tecnica derivata da quella cinematografica. Nel cinema, infatti, dopo i primi anni in cui la scena veniva ripresa in totale come un avvenimento teatrale, si scoprì che era molto più coinvolgente per lo spettatore vedere in ogni momento il particolare più significativo dell’azione. Si è giunti quindi alla definizione di una “grammatica” cinematografica, impiegata anche in tv, molto normativa, per la quale alcune cose sono permesse ed altre vietate. Una ripresa “mossa” può aggiungere enfasi ad un evento girato in zona di guerra, ma non può essere accettata in una intervista di routine, così come, per fare un altro esempio, una ripresa sfocata è ammessa solo se intenzionalmente si è voluto rendere il soggetto irriconoscibile, per motivi di privacy o per la sua sicurezza, altrimenti viene considerata errore. Gli esempi potrebbero essere tanti, come il divieto del cosiddetto “scavalcamento di campo”, per il quale non si può passare dall’altra parte di una linea immaginaria che divide in due parti lo spazio di un evento (tipico è il caso della ripresa di una partita di calcio, in cui tutte le telecamere devono stare dalla stessa parte del campo) o la necessità che due immagini successive siano sufficientemente differenti per non dare la sensazione di un salto visivo (jump cut). Queste regole, anche se oggi si tende a superarle ampiamente, fanno parte del patrimonio culturale degli operatori professionisti. 5 Ogni cameraman ha comunque una tecnica personale e quindi diventa importante come viene comunicato un avvenimento attraverso le riprese. Nonostante lo slogan di Walter Cronkite - notissimo commentatore della tv statunitense - fosse “le immagini non mentono”, l’ipotesi della neutralità della telecamera può essere facilmente smentita. In un sondaggio realizzato nel 1979 da Percy Tannenbaum e citato in La spirale del silenzio fu chiesto ad un gruppo di cameramen se considerassero significativamente influente la tecnica di ripresa per ottenere un determinato effetto. Dei 151 soggetti che risposero, il 78 per cento affermò che ciò era vero ed il 22 per cento possibile. In particolare veniva segnalato che le riprese di personaggi dall’alto (il cosiddetto “a volo d’uccello”) o dal basso (prospettiva “ad occhio di rana”) comunicavano antipatia e davano “un’impressione di debolezza e di vuoto”. Il sondaggio si riferiva alle riprese relative ad una campagna elettorale tedesca, in cui risultava molto importante l’impressione fornita da ciascun candidato, al di là dei suoi programmi politici. L’inquadratura migliore di un oratore, infatti, è quella fatta da alcuni metri di distanza, con una focale media, che riprenda la persona in primo piano, leggermente angolata, immagine che comunica un’impressone di chiarezza ed equilibrio. Riprendere da 50 metri con il teleobiettivo un’autorità (condizione però molto frequente nelle manifestazioni pubbliche) genera un senso di distacco: riprenderlo da pochi metri, specialmente se stringe le mani della popolazione, comunica simpatia ed affabilità. È per questo che molti personaggi politici hanno a disposizione un cameraman ufficiale che opera a pochi metri di distanza e che in genere poi fornisce le immagini alle emittenti televisive accreditate. La distanza dal soggetto, la posizione della telecamera e la focale utilizzata sono alcune delle variabili di una ripresa, che portano a risultati diversi. La televisione ricerca infatti, soprattutto nella cronaca, quell’effetto presenza che è uno dei principali strumenti di validazione della sua natura e che deve far credere allo spettatore di essere 6 presente all’evento. Diventa fondamentale mascherare quindi al massimo i meccanismi di produzione per dare l’impressione che gli avvenimenti si svolgano da sé e che la telecamera sia un testimone, per così dire, neutrale. Molto importante risulta anche la cosiddetta “composizione” o “montaggio interno” di una immagine, spesso giocata su un rapporto figura/sfondo. Un ambiente monocromatico non dà informazioni sulla collocazione spaziale del soggetto: può quindi farlo risaltare, dando l’impressione che si trovi in uno spazio indeterminato. Uno sfondo pieno di elementi tenderà generalmente a distrarre; un equilibrio si può ottenere con elementi riconoscibili ma neutri, mentre una soluzione adottata spesso è rappresentata da scritte, immagini o ambienti che richiamino l’argomento di cui si sta parlando. Anche l’illuminazione è molto importante; infatti non serve solo per rendere riconoscibile un oggetto o una persona. È una vera propria interpretazione della realtà; anche se si gira con la luce dell’ambiente, ciò non significa che, in qualche modo, non possa essere controllata. Anche se ciò non rappresenta una regola assoluta sono da preferire luci che facciano risaltare il soggetto; le sorgenti luminose “dure”, cioè molto contrastate, producono un effetto teatrale; il controluce è una tecnica che può offrire risultati spettacolari, ma che spesso, se usata male, si rivela deludente. Non meno significativi sono i movimenti di macchina. Una zoomata in avanti tende a focalizzare l’attenzione sul soggetto (e quindi a conferirgli importanza), una panoramica lo individua nell’ambiente. Un movimento dall’alto in basso rappresenta una esplorazione, che talvolta, nel caso delle persone, può risultare inopportuna a meno che non si voglia far risaltare che porta calzini a strisce rosse e blu su un vestito grigio. Riprendere la realtà è quindi sempre frutto di una mediazione, nella quale assumono molta importanza tutte le variabili connesse all’utilizzo della macchina da presa; inquadratura, distanza del soggetto, luci, posizione e 7 movimenti della telecamera producono risultati tecnici diversi, ma anche significati diversi. Potranno avere un senso puramente “denotativo”, ovvero informare su un determinato avvenimento, oppure “connotativo”, cioè suscitare emozioni e coinvolgimento. In genere le buone riprese sono principalmente informative ma devono anche stimolare la curiosità e l’interesse dello spettatore. Un servizio televisivo, tuttavia, salvo rare eccezioni, è soggetto ad un altro processo produttivo, ovvero il montaggio, che molto spesso viene realizzato con la tecnica del cosiddetto “découpage”, ovvero mediante la frammentazione del tempo e dello spazio. Il montaggio, o editing, non è solo una ulteriore selezione delle riprese per rispettare i tempi del Tg, non serve solo ad accoppiare il sonoro e le interviste alle immagini, ma è funzionale soprattutto a creare significati. Nella sua concezione più semplice il montaggio è la giunzione di due inquadrature che per il solo fatto di essere consecutive assumono un senso nuovo e specifico. Per analizzare il montaggio ci rifaremo ad uno schema cinematografico di Christian Metz da lui stesso chiamato “Grande sintagmatica”, comprendente otto tipologie, che sono frequentemente usate nella realizzazione dei servizi televisivi. 8 Piano autonomo: il piano sequenza + inserti Segmenti autonomi Sintagma parallelo Sintagmi a-cronologici Sintagma a graffa Sintagmi Sintagmi cronologici Sintagma descrittivo Sintagma alternato Sintagmi narrativi Scena Sequenza a episodi Sintagma lineare Sequenze Sequenza ordinaria Una immagine fuori contesto (chiamata da Metz “inserto non-diegetico”) può far chiedere al telespettatore a quale tempo e luogo si riferisca, facendolo giungere anche a conclusioni erronee, tanto più gravi se provocate deliberatamente. È altamente probabile che il gabbiano coperto di petrolio ampiamente usato dai Tg durante la prima Guerra del Golfo sia un falso, ovvero sia stato girato in un’altra occasione. Poiché un buon servizio televisivo dovrebbe fornire chiari elementi del luogo di cui si parla, ecco quindi che l’immagine decontestualizzata è sempre a rischio di menzogna, proprio per l’incertezza intrinseca che la accompagna. Il “piano sequenza” mostra una porzione di realtà rispettando la sua reale durata ed è composto da una sola inquadratura, senza stacchi. È una tecnica di ripresa amata da molti registi, alcuni dei quali, rifiutando il montaggio, la 9 ritengono un forma di aderenza alla realtà; attraverso il piano sequenza, cioè, ogni spettatore è invitato a fare da sé il proprio découpage. In realtà anche questa tecnica di ripresa “guida” lo spettatore nella visione dello spazio e quindi è una forma di selezione degli avvenimenti. Talvolta, però, in televisione è soprattutto una tecnica di ripresa “povera” usata quando si deve riprendere l’azione in continuità e si dispone di una sola telecamera. Il “montaggio parallelo”, che ha lo scopo di mettere in relazione due aspetti spesso conflittuali (ricco e povero, salute e malattia), viene usato raramente nei servizi di cronaca; è riservato a quelle trasmissioni di carattere specificamente satirico, come ad esempio Blob o Le Iene. È chiaro come l’accostamento di due immagini - anche conflittuali - porti lo spettatore a percepire significati di tipo metaforico. Un’altro tipo di montaggio, chiamato “a graffa”, è quello che mostra varie immagini accomunate da un significato comune. Ad esempio una sequenza composta da una immagine di una operaia, di una mamma che spinge una carrozzina, di una casalinga che fa la spesa può significare “la figura della donna nella società”. L’accostamento, che crea un significato che le immagini da sole non possedevano, ha quindi una forza espressiva e comunicativa deliberatamente realizzata. Il “sintagma descrittivo”, usato per lo più nei documentari e negli speciali, è quello che semplicemente mostra porzioni di realtà accomunate da caratteristiche tra loro assimilabili in cui si realizza la costruzione di un mondo semplicemente attraverso la selezione e l’accostamento delle immagini. Il “montaggio alternato”, ovvero il mostrare due o più avvenimenti che accadono contemporaneamente, è spesso usato all’interno del telegiornale stesso, nel susseguirsi dei servizi e dei collegamenti esterni su uno stesso tema e crea un senso di partecipazione agli avvenimenti. Lo stesso Tg, visto nel suo complesso, può essere considerato anche un esempio di “sequenza ad episodi”, dove il susseguirsi delle notizie deve comporre un quadro d’assieme che sia 10 comprensibile allo spettatore, ma che rappresenta anche una autocertificazione sulla verità dei fatti riportati. Quasi tutte le modalità di montaggio presentano al loro interno dei salti temporali, le cosiddette ellissi, che sono funzionali ad eliminare dettagli inutili ed a sintetizzare l’avvenimento. La “scena”, invece, altro sintagma narrativo, frammenta l’azione in diverse inquadrature, mantenendo però la continuità temporale della realtà. È impiegata nelle riprese integrali di spettacoli o di avvenimenti sportivi oppure nel montaggio di dialoghi. La corrispondenza del tempo reale con quello narrato provoca uno spiccato effetto di realtà. Più interessante è invece la “sequenza ordinaria”, moltissimo impiegata nel confezionamento dei servizi televisivi e che fa parte dei sintagmi narrativi. Si può ritenere, infatti, che un servizio televisivo si limiti ad illustrare un avvenimento; in realtà esso è un racconto, ovvero la spiegazione di fatti aventi un rapporto di causa ed effetto. In uno scontro tra manifestanti e Polizia non è privo di significato mostrare i primi lanciare dei sassi ed i secondi effettuare una carica: invertendo l’ordine delle immagini il senso cambia. Così non è indifferente l’ordine di montaggio di una serie di interviste; si chiama “panino” il montaggio in cui l’esponente del partito X (in genere di maggioranza) fa una dichiarazione, l’esponente del partito Y (quasi sempre di opposizione) fa una replica e chiude, con una controreplica, il primo intervistato. In questo modo chi conclude ha un vantaggio considerevole, essendo presentato come colui che confuta le tesi altrui e porta a compimento la discussione. Rimanendo nel campo delle interviste, non meno importante, per la veridicità dell’informazione, è il loro montaggio. Quasi mai le dichiarazioni vengono riportate per intero: vediamo un possibile esempio di frammentazione. 1. quest’opera pubblica verrà realizzata 2. quando le condizioni economiche lo permetteranno; 3. tra breve lo ritengo possibile. 11 È evidente che riportare solo la frase 1 dà l’avvenimento per certo. Aggiungere la seconda parte lo fa diventare incerto, completarla con la terza parte lo dà però possibile nel futuro. Esiste anche la variante “parte 1 + parte 3”, che crea ancora un altro significato, in quanto fa presumere il fatto come imminente. Il montaggio diventa quindi un’arma formidabile per distorcere volutamente il senso di una affermazione. Trasmettendo una dichiarazione registrata non si può far dire ad un intervistato ciò che non ha affermato, ma si può fare in modo che le parole vengano piegate al senso desiderato. Esiste inoltre un altro livello col quale è possibile mentire con le parole, ovvero attraverso l’accoppiamento del testo letto alle immagini; la migliore comprensibilità si ha quanto audio e video si completano a vicenda. Quando ciò non avviene esiste sempre molto pesantemente il rischio di fraintendimenti o ambiguità, che talvolta possono essere anche un fatto voluto. In altre parole: testo e immagini possono riferire entrambe la realtà, ma la loro sintesi può non essere corretta. Ad esempio, se parlando di un fatto di cronaca nera si mostra insistentemente solo appartenenti ad una specifica etnia, si può far passare subdolamente il messaggio “tale popolazione = delinquenza”. Spesso tale fenomeno è dovuto all’uso di immagini di repertorio; secondo l’etica giornalistica si dovrebbe infatti sempre segnalare che le immagini in onda non si riferiscono all’avvenimento di cui si parla, ma è una usanza ormai scomparsa, anche in quanto si ritiene che lo spettatore sia in grado di comprenderlo da sé. Un altro caso specifico di mistificazione si verifica quando il testo riferisce erroneamente i fatti e utilizza le immagini a supporto come conferma. Ciò si verifica talvolta nei processi di disinformazione bellica; una della parti in causa diffonde immagini di case distrutte. È stato veramente il bombardamento nemico o sono state create ad arte? L’immagine infatti si limita a riferire l’esistente. Potrebbe essere l’equivalente dei “chi”, “che cosa” e “dove” della regola delle cinque W del giornalismo (who, what, when, where e why). È compito del testo scritto esplicitare il quando, il perché e, possibilmente, il 12 come. Ad esempio, davanti ad una immagine di un incidente stradale si può vedere l’accaduto, ma non sapere quando è avvenuto e soprattutto se è stata colpa dell’alta velocità, di un malore o di un incidente meccanico. È quindi facile far passare una tesi precostituita usando come alibi le immagini, soprattutto se di grande impatto emotivo. A volte basta far credere che il video si riferisca ad uno specifico avvenimento, specialmente se risulta difficile provare il contrario. Un caso celebre è avvenuto nel 1986, quando la Cnn diffuse immagini (fosche e traballanti) affermando che si riferivano al reattore nucleare esploso a Chernobyl (Ucraina) pochi giorni prima e di cui non esisteva alcuna documentazione visiva. Quando esse furono diffuse dalla Rai, molti cittadini di Trieste chiamarono la Tv di Stato affermando, correttamente, che in realtà si riferivano all’ospedale della città giuliana. La Cnn dovette scusarsi a livello planetario ed intentare una causa miliardaria ai falsificatori, che ovviamente non avevano tenuto conto della complessità del sistema dei media e pensavano quindi di farla franca. Anche i suoni e la musica hanno una funzione importante nell’accostamento al video; i primi tendono a fornire una validazione dell’immagini e possono portare a conclusioni errate se usate in maniera mistificatoria. Basti pensare all’aggiunta di un applauso ad un discorso per vedere come si può distorcere un avvenimento senza toccare le immagini. La musica, invece, ha, per lo più, un valore emotivo, ma ha anche la funzione di unificare il flusso delle immagini, superando la loro discontinuità e facendo in modo che “scorrano bene”. Un ulteriore passo che può essere fatto è la vera e propria falsificazione. Non ci si riferisce a operazioni come l’uso del ralenty, talvolta impiegato per nascondere la scarsezza di immagini, o a mascheramenti per rendere irriconoscibile una persona, bensì a veri e propri filmati creati artificiosamente. Nel film Sesso e potere di Barry Levinson (Usa, 1997) un esperto di pubbliche 13 relazioni (Dustin Hoffman) viene assunto dalla Casa Bianca per far dimenticare alla popolazione americana le scappatelle del Presidente degli Stati Uniti. Viene così inventata una guerra virtuale, realizzata in uno studio cinematografico, per creare un diversivo nell’opinione pubblica; similmente in Capricorn One di Peter Hyams (Usa, 1978) la Nasa simula su un set lo sbarco degli astronauti su Marte, che era, in realtà, fallito. In questi e altri film possiamo forse leggere una metafora della capacità di condizionamento della popolazione da parte dei grandi mass media, in particolare Hollywood e l’industria cinematografica, ma risulta veramente difficile pensare che, nei telegiornali, inganni di questa portata non vengano smascherati. C’è un’ulteriore possibilità di menzogna, ovvero quando le immagini sono totalmente virtuali. Le ricostruzioni che talvolta si vedono nei telegiornali, se usate correttamente, possono essere uno strumento esplicativo molto potente, ma immagini generate da un computer sono chiaramente a rischio di completa falsità. Il lavoro del tecnico, in questo caso, non si discosta di molto di quello del giornalista che abbiamo citato all’inizio. Entrambi possono generare un messaggio (testo o immagini) che sono totalmente a discrezione dell’autore. In sintesi possiamo riassumere nella figura 3 le possibilità di manipolazione della realtà nel caso della ripresa, del montaggio, del testo fuorviante e delle immagini non reali. Operazione Contenuto dell’operazione Possibile menzogna Ripresa Scelta dei fatti Distorsione Montaggio Ricombinazione dei fatti Manipolazione Testo fuorviante Sfruttamento delle immagini Travisamento Immagini non reali Creazione dei fatti Falsificazione Figura 3 14 Ritenere quindi che le immagini viste in televisione siano la assoluta verità è una concezione ingenua. Tutto ciò che viene trasmesso è comunque frutto di operazioni che mirano a creare significato, in altre parole proporre un percorso di lettura al quale, in genere, lo spettatore aderisce. Ciò non significa automaticamente la presenza di una falsificazione, ma bisogna essere coscienti che la sola base fotografica delle riprese televisive, ovvero la necessità di avere un fatto reale da riprendere, non autorizza a ritenerle “La Realtà”, bensì solo una sua interpretazione. Non penso si debba giungere alle visioni pessimistiche di Sartori, che nel suo libro Homo videns ritiene la televisione un possibile nemico della democrazia. Salvo che nelle dittature, non esiste un “Grande Fratello” di orwelliana memoria che manipola l’informazione; bisogna però essere coscienti dell’esistenza del cosiddetto “Autore implicito”, ovvero quella figura semiotica che, mediante la gestione del flusso informativo, costruisce il senso del discorso. Alle fine possiamo quindi chiederci: la televisione è realmente una “finestra sul mondo”? Probabilmente sì, è ancora un formidabile strumento di conoscenza, ma è una finestra che talvolta può rimanere socchiusa. 15