Dagli zoot suit agli hipster: storie della moda maschile
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Dagli zoot suit agli hipster: storie della moda maschile
42 | SPECIALI | SABATO 23 APRILE 2016 Dagli zoot suit agli hipster: storie della moda maschile O gni anno i dizionari includono nuove parole e ne depennano altre, a riprova del fatto che le lingue non sono granitiche e immodificabili, ma si evolvono insieme ai parlanti che le utilizzano. Così si comporta la moda, anch’essa legata a doppio filo alla contemporaneità e in perenne mutamento. Anche la moda utilizza una sorta di vocabolario: ogni capo ha infatti una sua precisa collocazione temporale e contestuale. Qualche esempio? Nessuna donna porterebbe oggi la crinolina sotto l’abito, fatta eccezione per alcune il giorno del matrimonio, mentre nessun uomo circolerebbe in calzamaglia, se non a Carnevale. Lord Byron, a inizio Ottocento, sconvolse la buona società inglese comparendo in pubblico con i primi pantaloni a sigaretta; più di recente Kate Middleton ha infranto le regole consone alle teste coronate ossia l’uso di capi acquistati nei grandi magazzini, indossando pezzi di una famosa catena svedese in occasione di diversi eventi sociali. La moda parla, anche se ci rifiutiamo di prenderla in considerazione e ha un suo linguaggio. Parla del tempo in cui viviamo e, a livello individuale, parla di ciascuno di noi. Tanto quanto credo che non sia saggio esserne succubi, sono convinta che snobbarla, criticarla o ignorarla sia un atteggiamento presuntuoso e un po’ ipocrita. Possiamo fare finta di niente, ma qualcosa dobbiamo pur indossare, giusto? E quel qualcosa racconterà sempre qualcosa di noi. Dare l’impressione di aver pescato a caso dall’armadio al buio è comunque un messaggio, che lo vogliamo o no. È stato così nel passato, lo è anche oggi è sempre sarà così. Prendiamo i pantaloni da uomo larghi. Hanno cominciato a diffondersi negli anni Venti-Trenta, negli Stati Uniti, durante la cosiddetta “Harlem Renaissance”, un movimento culturale che si è diffuso nella comunità afro-americana. Alla musica swing e jazz si accompagnavano look letteralmente esplosivi: le signore indossavano vestiti eccessivi e gioielli imponenti, in particolare perle; gli uomini portavano invece i cosiddetti zoot suit, cioè completi dalle giacche extra lunghe, con bavero a punte e spalle larghe, e dai pantaloni a sbuffo, con vita alta, gamba larga alla coscia ma stretta alla caviglia. Sotto, non potevano mancare un’elegante camicia, un farfallino e una lunga catenella. Le scarpe erano allacciate, talvolta bicolori e i cappelli a falda larga. Questo stile ha segnato la moda dei decenni successivi, e non solo negli Stati Uniti, dove abbiamo visto modelli del genere portati anche da grandi artisti come Frank Sinatra (zoot/ swing) indossava pantaloni ampi, camicia maniche corte e scarpe stringate di gusto francese. In Francia, durante la seconda guerra mondiale, hanno indossato abiti simili gli Zazou, una categoria culturale che esprimeva la propria opposizione politica all’occupazione nazista vestendo in modo anticonformista, ascoltando e danzando musiche considerate inopportune come lo swing e il bebop. Gli Zazou portavano giacche lunghissime, enormi occhiali da sole, i capelli pettinati all’indietro, baffetti sottili, calze bianche e scarpe dalle suole spesse. A partire dal dopoguerra, indossare abiti di un determinato stile divenne sempre di più un modo per manifestare ed esternare la propria essenza o appartenenza sociale. Basta pensare a Elvis Presley, “il re del rock and roll”, un artista che non smetterà mai di influenzarci, ma che al tempo rivoluzionò letteralmente la moda. I ragazzi ameri- cani vestivano allora in modo piuttosto convenzionale: avevano il tipico look da studente del college, composto da camicia azzurra, giacca sportiva, pantaloni di cotone cachi, mocassini con calze bianche e capelli a spazzola. A parte pochi dettagli, assomigliavano molto ai loro padri. Poi arrivò Elvis, con il suo ciuffo gigantesco e le basette ben in evidenza. Riprese gli zoot suit e li rese mitici: si vestiva anche da bravo ragazzo, in cardigan e mocassini, ma metteva anche camicie colorate, a volte hawaiane, pantaloni ampi, anche bianchi, cravatte sottili, mocassini neri; in scena, in un secondo momento, indossava invece costumi stravaganti ispirati al mondo del country e altri, più sofisticati, come gli smoking doppio petto in lamè dorato, ricoperto di strass. Con l’arrivo di Elvis finalmente i giovani, trovarono la loro divisa differenziandosi dai loro padri:erano arrivati i jeans che allora erano portati solo dai ragazzi e si iniziavano a vedere le prime clark. Non per niente è degli anni cinquanta la nascita dell’età dei teenagers: se prima il passaggio dall’infanzia all’età adulta era una conseguenza, da allora i ragazzi sotto i diciotto si trasformarono in un’ulteriore età fatta di linguaggi propri e di movimenti ispiratori. Sono di quel periodo i vari teddy boys, bikers, beats, beatniks, folkies, hipsters e le correnti moderniste ed esistenzialiste; ciascuno si riconosceva in un ben preciso stile musicale e di abbigliamento. Tanti dei capi scelti allora sono diventati iconici e, benché siano passati decenni, continuano a portare con sé i messaggi che proiettavano al tempo. Tutti ricordiamo per esempio James Dean in jeans, t-shirt bianca e jacket barracuta (come non ricordarla rossa indossata nel film “ Gioventù bruciata) o Marlon Brando, in sella alla sua Triumph Thunderbird 67, con l’immancabile giacca in pelle nera, perfecto, abbinata al Jeans e ai famosi stivaletti biker (dal film “Il selvaggio”): sono due epitomi della ribellione. Quando compriamo un giubbotto da biker, non è forse perché anche noi vogliamo sentirci duri proprio come loro? Wodstock anni ‘69: gli hippy cercarono di liberarsi dalle restrizioni della società, scegliendo la propria strada e dando un nuovo senso alla vita. Gli hippie usavano dei vestiti dai colori brillanti e dal taglio insolito, come i pantaloni a zampa, portavano jeans, capelli lunghi e sandali, gli accessori preferiti erano copricapi, bandana e lunghe collane in grani. Anche in questo caso quan- do acquistiamo un paio di pantaloni a zampa d’elefante, non è perché vogliamo sentirci originali, creativi e un po’ eccentrici e soprattutto hippy? Bè, quei pantaloni nascono dalla mente di John Stephen, un giovane designer degli anni Cinquanta. Quella che conosciamo come “Peacock Revolution” (la “rivoluzione del pavone”), prima di approdare a Chelsea, di giungere fino ai Beatles e ai Rolling Stones, è passata dal suo negozio in Carnaby Street, inaugurando un’epoca. È impossibile affermare di indossare capi “neutri”. Nulla è neutro. Dalla più semplice delle magliette bianche alla più raffinata creazione di Martin Margiela, tutto ha un significato ben preciso nel vastissimo “vocabolario” della moda. Magari non ne siamo consapevoli, magari scegliamo solo in base al nostro gusto, magari ci facciamo guidare dall’istinto oppure dai trend osservati nelle vetrine, ma tutto ciò che indossiamo ha una storia e lo comunica. Parlando del presente esistono e anzi prosperano nella moda di oggi vere e proprie categorie culturali del tutto simili a quelle che ho citato poco fa. Il primo a venirmi in mente è sicuramente il movimento hipster. La parola è nata negli anni Quaranta per descrivere i ragazzi appassionati di jazz e, in particolare, di swing; oggi viene utilizzata per indicare giovani anti-convenzionali, aperti e curiosi nei confronti del mondo, con animo green e un amore sfegatato per i cibi biologici e le nuove tecnologie. Gli hipster guardano al futuro con fiducia, adorano gli artisti indie e sono i primi a cercare di costruire un domani migliore, trasformando in laboratori a cielo aperto i quartieri emergenti nei quali vivono. Ovviamente, fotografano qualunque cosa e la postano su Instagram (una volta scelto il filtro più opportuno). Viaggiano, possibilmente nelle grandi capitali come Berlino, Copenhagen, Parigi, Londra, New York o Tokyo (anche se Milano e Roma sono pure destinazioni gettonate), possibilmente in compagnia di amici che hanno conosciuto in occasione di viaggi precedenti. Sono sportivi, si spostano in bicicletta e per questo mixano il loro abbigliamento con capi tecnici. Gli uomini hipster hanno uno stile alternativo ma molto riconoscibile. Innanzitutto, il viso: i baffi e la barba – entrambi curatissimi – non possono mancare. Anche gli occhiali da vista sono un accessorio molto gettonato. Indossano felpe e maglioni over size, t-shirt di ogni risma, trama e colore, basta che siano ampie e lunghe, meglio ancora se di una taglia superiore alla propria. I pantaloni sono in genere in denim ma morbidi, taluni anche in felpa o con le pinces. La costante: i cosiddetti “risvoltini”, perché l’hipster arrotola i pantaloni alla caviglia, sempre e in tutte le stagioni, a meno che non siano già sfrangiati. Nel guardaroba maschile non può mancare un abito due pezzi, che non viene portato solo in occasione di appuntamenti professionali, ma spezzato e indossato anche per un aperitivo con gli amici o un pomeriggio al museo. A tal proposito, trovo davvero molto affascinate e attuale un uomo in pantaloni arrotolati, t-shirt e felpa o maglione over. Meno attuale – sicuramente non hipster – ma resiste, l’abito classico, raffinato, dalle linee dritte e pantaloni che superano la caviglia. Entrambi questi completi si trovano in blu, in antracite, in nero e cammello. Altri stili ‘up to date’ al momento sono senza dubbio lo street style, che presta al guardaroba maschile il più tradizionale dei bomber, e il pop, che influenza la moda di stagione spingendo a mixare capi basici con piumini e pezzi più tecnici. Come vedete, le possibilità sono infinite.Mi verrebbe quasi voglia di dire che a ispirare la moda maschile primavera/estate 2016 è un certo qual gusto per la libertà: libertà di contaminare, di esplorare le proprie passioni, di essere eclettici, impegnati ma anche leggeri. Non per niente, i colori moda sono in prevalenza bianco e nero, due opposti. Anticonformista e contemporaneo, l’uomo che ho visto sfilare sulle passerelle vive una vita piena, gioca con il proprio futuro pur conoscendo il proprio presente ed è capace di stupire. Combina il gusto inglese del cardigan , nelle tinte grigio chiaro o blu, con quello italiano delle giacche con accento hipster, riconoscibile nei pantaloni arrotolati. Richiama gli anni Sessanta abbinando a pantaloni denim stretti oppure over una t-shirt bianca, un giubbotto in pelle o una giacca di jeans. Indossa classici immortali come le scarpe inglesi Church’s o Trickers con pantaloni asciutti e corti, una camicia bianca, azzurra o a righe non troppo grosse, azzurre o blu. Mixa i mocassini dalla suola in cuoio (i più noti sono quelli americani) con un semplice paio di jeans, una camicia e una giacca asciutta, magari nero, blu o grigia, anche in doppiopetto. Questi ultimi look sono sicuramente identificati come gli stili all’avanguardia: dopo anni di sperimentazioni e aggiungerei finalmente, durante la settimana della moda newyorchese hanno sfilato uomini vestiti da uomini, elegantissimi nei loro abiti due o addirittura tre pezzi, con giacca e pantaloni morbidi. Un bel vedere, dall’altra parte dell’oceano. G. F.