1 Cercherò di toccare solamente due punti che mi sembrano poi

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1 Cercherò di toccare solamente due punti che mi sembrano poi
LA CAUSA
- GAZZONI Cercherò di toccare solamente due punti che mi sembrano poi quelli un po’ più importanti
dell’argomento, e cioè la distinzione fra CAUSA e TIPO, che è una distinzione che naturalmente
presuppone prima un certo discorso, in accettazione di una certa impostazione, e poi, se avremo
tempo, il problema della causalità, che in realtà dovrebbe essere il primo discorso da fare e cioè
perché nel nostro ordinamento - o più che perché, che cosa significa, che conseguenze ha il fatto
che - tra gli elementi essenziali del contratto, il codice all’art. 1325 preveda anche la causa.
Questo è il punto, no? Quindi il causalismo. Per cui l’illiceità o meglio, direi, quasi
l’inconfigurabilità di contratti astratti nel nostro ordinamento. Comunque questo magari lo vediamo
dopo. Allora, il punto più importante del discorso dottrinario è quello di verificare se si debba
distinguere, come si debba distinguere e quali conseguenze comporti la distinzione tra causa e tipo.
Vi avverto subito che qui il problema, a mio avviso, è più nominalistico che effettivo e infatti mi
sono portato delle fotocopie degli scritti di Emilio Betti, la Teoria generale del negozio giuridico,
dove questo discorso della causa e del tipo è esattamente riprodotto nei termini, per esempio, con i
quali viene trattata da Giovanni Ferri, benché i due, usando terminologie diverse sembra che dicano
cose diverse. In realtà non è che dicono cose diverse, usano termini diversi. Ma, al dunque, il
discorso è sempre quello. Quindi se oggi uno dice in giro a chi conosce un po’ la dottrina sulla
causa “guarda che Betti e Ferri dicono la stessa cosa”, nessuno ci crede, perché non hanno letto
bene Betti. Oppure non si rendono conto che la terminologia di Betti, pur essendo, ripeto,
verbalisticamente, nominalisticamente diversa da quella di Ferri, ha la stessa sostanza.
Allora il problema qual è? E perché si è arrivati a distinguere? Ferri è stato il primo che ha indicato
proprio l’equivoco terminologico fra causa e tipo. Il codice del ’42 è l’esito di una lunga
discussione dottrinaria attraverso la storia, e per storia si intende naturalmente dal Codice
napoleonico in poi, perché questa è la storia moderna della codificazione; è una lunga disputa sul
carattere della causa, dell’elemento causale, se cioè esso dovesse essere individuato, qualificato in
termini soggettivi o piuttosto in termini oggettivi.
Io adesso vi faccio un discorso estremamente riduttivo, molto rozzo, tanto per intenderci, per fissare
alcuni punti. Perché inizialmente per causa si intendeva … (inizialmente vuol dire appunto subito
dopo il Codice napoleonico e anche sotto il vigore del codice del ’65, che era sostanzialmente
copiato, dal Codice napoleonico per motivi politici, perché fatta l’unità d’Italia di corsa, precipitosa
nel 1861, si aveva la necessità di un codice unificato, perché prima c’erano tutti i codici dei vari
staterelli e ogni staterello aveva giustamente il suo codice. Quindi non c’era tempo, bisognava
sbrigarsi per dare anche un segnale di unitarietà sul piano politico, quindi hanno preso il Codice
napoleonico e l’hanno copiato. Questo è il perché un codice del ’65 che non è altro che la
traduzione in italiano o quasi, con qualche varietà).
Dunque, qual’era l’impostazione? L’impostazione era volontaristica; avrete parlato del negozio
giuridico… la volontà al centro di tutto, ecc.… quindi anche quando si parlava di causa se ne
parlava in riferimento allo scopo soggettivo che i singoli contraenti intendevano perseguire
concludendo quel certo contratto. Con quale paradosso? Siccome il riferimento era allo scopo dei
contraenti, e poiché i contraenti erano due - ovviamente, almeno due - si avevano almeno due cause,
cioè uno aveva per esempio lo scopo della compravendita, uno aveva lo scopo di far soldi; chi
vendeva, lo scopo di far soldi e quindi magari poi per lucrare, investire, disinvestire, quello che
volete… e a quell’altro serviva diventare proprietario di quel certo bene per un certo motivo, ecc.
Quindi qui veramente quella che è poi divenuta la distinzione fondamentale fra causa e motivo, che
oggi è istituzionale, diciamo, all’epoca era sfumata, perché anzi motivo e causa erano un tutt’uno,
perché si doveva andare a indagare la volontà, lo scopo individuale singolo di quel singolo
contraente in quel singolo contratto.
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Quindi lo sviluppo poi dell’impostazione negoziale sul negozio giuridico, sulla costruzione del
negozio giuridico e del contratto ha condotto invece a impostare il discorso in termini più oggettivi;
e questo non è solamente valido per la causa, ma per tutta la dichiarazione, l’affidamento, la
scoperta, diciamo così tra virgolette, dell’affidamento come base per poter costruire una disciplina
più equilibrata del contratto. Quindi l’impostazione oggettiva a che cosa ha condotto? Ha condotto
naturalmente a costruire la causa con riferimento, non già allo scopo soggettivo di ciascun
contraente, ma allo scopo obiettivo, volendo usare ancora l’espressione “scopo - obiettivo” che quel
contratto obiettivamente considerato persegue. Di qui, una categorizzazione: tutte le compravendite
hanno lo stesso scopo oggettivo, cioè quello di scambiare la cosa contro un prezzo, e così via gli
altri contratti. In sostanza questa oggettivazione che prescindeva completamente dallo scopo per il
quale i contraenti avevano contratto, ma si appuntava esclusivamente sulla funzione dello strumento
contrattuale a cosa condusse? Condusse a una certa formula che tutti attribuiscono a Betti, ma in
realtà era di Scialoja; una formula di cui Betti divenne il maggiore assertore, ma vedremo poi
appunto come ne parlava, e cioè quella della causa come funzione economico-sociale, che chi di voi
ha studiato sui manuali tradizionali è la formuletta che viene appiccicata sulla testa della causa.
La causa è la funzione economico-sociale del contratto. Che cosa vuol dire poi questa formula?
Funzione, cioè lo strumento… a cosa serve… perché si conclude una compravendita … per
scambiare una cosa contro un prezzo; quella è la funzione; economico-sociale perché naturalmente
questa funzione si realizza e ha una sua ragion d’essere in termini economici e sociali, cioè nella
realtà dei commerci si utilizza quello strumento con quello scopo. Quindi questa era la formula
economico-sociale oggettiva.
Quando il codice del ’42 entrò in vigore, vi erano stati tutti studi preparatori. Ci sono stati tantissimi
cambiamenti rispetto al codice del ’65 e l’impostazione causale era questa, cioè il legislatore
acquisì, fece propria, l’idea che la causa fosse la funzione economico-sociale del contratto e questo
lo disse chiaramente anche nella relazione. Qual’era la conseguenza di questa impostazione
oggettivistica? Che se poi ci si domanda “ma come è possibile che una compravendita, che è un
contratto tipico e quindi protetto dal legislatore, riconosciuto come rilevante giuridicamente, e che,
di conseguenza, certamente non può avere dunque una causa illecita, intesa la causa come funzione
economico-sociale del contratto, abbia poi causa illecita?. Poiché la compravendita è tipizzata, cioè
lo scambio di bene contro prezzo è tipizzato, poiché questa è la funzione, come fa a essere illecita
questa funzione? Non può essere illecita, altrimenti il legislatore non l’avrebbe prevista. E allora se
non può essere illecita, la domanda è molto semplice: “ma allora tutti i contratti tipici sono tutti
leciti, sempre leciti, non c’è problema dunque di illiceità? Allora l’illiceità, o meglio l’indagine
sulla causa illecita si può riferire esclusivamente ai contratti atipici, cioè quelli la cui funzione
economico-sociale il legislatore non ha verificato, accogliendola e tipizzandola al livello
normativo?
Questa è la domanda. La risposta ovviamente è che non può essere così, è assurdo, perché allora
basta che io prendo un contratto tipico, concludo quel contratto e sto tranquillo. Posso fare quello
che mi pare perché tanto, in termini di liceità, la nullità non potrà mai essere dichiarata. Questo
naturalmente non poteva essere, allora il legislatore che cosa ha fatto? Ha fatto una scelta ideologica
(diciamo la verità, il codice è pieno di scelte ideologiche, anche in materia di contratto di impresa,
basta pensare al 1322 secondo comma, e quello meriterebbe una lezione a parte che io non farò, e
quella del secondo comma è proprio una dichiarazione di principi corporativi, anche se non
espressamente). Ha mantenuto ferma l’idea della causa come funzione economico-sociale, però poi
ha dettato altre norme in tema di causa che permettessero quella dichiarazione di nullità per illiceità
nei confronti dei contratti tipici, i quali viceversa a livello di principi, per quel che stavamo dicendo,
non avrebbero potuto essere illeciti, cioè a dire, da un lato ha mantenuto ferma l’idea che la causa
sia la funzione economico-sociale e che quindi quando si usa lo strumento tipizzato del contratto
tipico un problema di immediata, diretta illiceità non c’è; però poi ha dettato queste due norme, che
sono poi quelle che seguono immediatamente la causa illecita, e cioè 1344 in termini di frode alla
legge, 1345 in termini di motivo illecito comune. Ha dettato queste due norme che fungono da
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valvola di sicurezza, per permettere cioè di dichiarare la nullità per illiceità anche in un contratto
tipico. Solo che anziché dichiararla in virtù del 1343, che è la norma sulla causa illecita, viene
dichiarata con il 1344 o il 1345, che riguardano tutti i contratti, anzi, aggiungo io, solo o
prevalentemente i contratti tipici. La spia di quello che sto dicendo, il segnale normativo di quello
che sto dicendo, è proprio la norma 1344 che esordisce non dicendo “è illecita ecc. ecc.”, ma “si
reputa che”: una foglia di fico sulla nudità del povero legislatore. Cioè il povero legislatore si era
incastrato con le sue mani seguendo la teoria della funzione economico-sociale e quindi non
potendo più dire che i contratti tipici possono essere illeciti si è incastrato. Allora non poteva dire “è
illecito”, come fa a essere illecito il contratto tipico? Continua a non poter essere illecito, anche con
il 1344, allora dice “si reputa …” che è la solita formula all’italiana per dire e non dire; non è che è
illecito in senso stretto… si reputa… (non lo so tu come l’hai vista, io l’ho vista proprio come una
confessione di disperazione…) come ne esco? Con la frode alla legge. Quindi ogni qualvolta che il
giudice ha l’impressione - e uso questo termine non a caso, perché sarebbe affidata alla sensibilità
del giudice, diciamo così, la valutazione della cosa - ogni qualvolta il giudice ha l’impressione che
quel contratto tipico, tutto sommato, sia utilizzato dai privati per frodare la legge, per eludere, cioè
per aggirare (questo vuol dire frodare: aggirare una norma imperativa che se i privati avessero
dettato la regola in una maniera diversa sarebbe stata applicabile questa norma imperativa elusa) si
dice: “si, vabbè, nonostante formalmente la norma imperativa non è violata perché il regolamento
non è direttamente contrario a quella norma imperativa, tuttavia se il risultato di questo regolamento
di interessi finisce per avere come conseguenza ugualmente il fatto di riuscire a evitare di colpire
questa norma imperativa, di finire per infrangere questa norma imperativa, il risultato è lo stesso,
quindi non è illecito, perché non è che è illecito direttamente, si reputa illecito perché è come se
fosse illecito”. Tutto questo discorso perché non si ha il coraggio di dire che la valutazione della
causa non va fatta con riferimento alla funzione economico-sociale astratta, sempre uguale a se
stessa per tutti quanti i contraenti, per tutti i contratti di compravendita, tutti uguali, ecc. ecc. Non si
ha avuto il coraggio di dire “non è così”.
È nullo per illiceità della causa quel contratto che in concreto, cioè quel singolo contratto che in
concreto, per come è stato costruito dai contraenti, finisce per violare una norma imperativa di
ordine pubblico e buon costume, cioè a dire: se noi ragioniamo in termini astratti, causa = funzione
economico-sociale, poi dobbiamo trovare qualche strumento che permetta al giudice di valutare in
concreto che cosa è successo in quel caso, ed è il 1344 usando la formula della frode alla legge. Ed
è anche il 1345 in termini di motivo comune illecito, che poi vedremo che non esiste, perché il
motivo comune illecito per forza di cose riguarda quei contraenti e solo quei contraenti. Allora
quando parliamo di causa illecita andiamo a indagare nella contrattazione singola concreta che cosa
realizza quella singola contrattazione, cioè lo scopo concreto oggettivo, non più lo scopo
individuale dei singoli, ma lo scopo che oggettivamente quel certo regolamento riesce a
raggiungere.
Quale scopo raggiunge? Ecco se noi ragionassimo in questi termini, cioè se la causa fosse questa e
noi dovessimo quindi indagare su questa realtà, che senso ha più la norma sulla frode alla legge?
Nessuna, perché a questo punto io mi guardo il singolo concreto regolamento, se ritengo che sia in
armonia con i principi dell’ordinamento bene, sennò lo sanziono; e questo vale anche per il motivo
comune illecito. Quindi quelle tre norme del 1343, 1344, 1345 in realtà corrispondono a una norma
sull’illiceità, che sarebbe la causa, ma la causa considerata come? Non si è capito… solo per i
contratti atipici, nell’idea del legislatore? Poi ci sono le altre due che invece sono norme che si
applicano a tutti i contratti, anche tipici e permettono di recuperare quell’indagine in concreto che la
funzione economico-sociale del contratto non permette. Quindi basterebbe dire che una cosa è il
tipo, una cosa è la causa per risolvere tutti i nostri problemi, e cioè dire: una cosa è la funzione
economico-sociale, chiamiamola così, che altro non sarebbe se non il tipo contrattuale: quando noi
diciamo la compravendita è lo scambio di cosa contro prezzo, non abbiamo fatto altro che definire
la causa - lo dice il codice, perché in tutti i contratti tipici, in tutti indifferentemente (tranne quello
di lavoro e la mediazione, perché se ne discute la contrattualità, nel senso che il vincolo può nascere
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anche a prescindere da un accordo, quindi se escludiamo quei due contratti, tutti gli altri contratti
tipici), la prima norma, la norma d’esordio della disciplina di questi contratti è definizione, così si
chiama la rubrica, definizione, e la definizione è, per esempio, per la compravendita, scambio di
“cosa contro prezzo”, e così via per tutti gli altri contratti. Quindi quando noi diciamo che la
compravendita è uno scambio di cosa contro prezzo, non è che abbiamo individuato la causa, ma
abbiamo definito la funzione. E questo che cos’è? È forse quella causa, quegli interessi sottostanti,
gli scopi che si vogliono perseguire, i risultati che si ottengono, le modificazioni patrimoniali… no!
In quei singoli casi no. Quella è, appunto, l’indagine in concreto causale che poi si deve fare.
Quindi, prima di tutto, il giudice si deve porre questo problema quando trova una lite: come lo
definiamo questo contratto? Allora vede che cosa è successo, vede che c’è stato uno scambio di
cosa contro prezzo e dice: questa è una compravendita. A questo punto il giudice cosa ha fatto fino
adesso… non ha fatto altro che qualificare, ... la qualificazione, (che viene dopo … ho saltato
l’interpretazione nel senso che il giudice capisce subito quello che volevano, se non lo capisce deve
capire prima che volevano, poi capisce quello che volevano – interpretazione -, allora poi qualifica:
questo è uno scambio di cosa contro prezzo, questa è una compravendita). È importante questo
passaggio, il tipo contrattuale è importantissimo perché permette di stabilire poi qual è la disciplina
normativa di quel contratto e quindi innanzitutto quali sono le norme imperative che debbono
necessariamente essere rispettate dai privati, e poi quali sono le norme suppletive, dispositive che si
possono applicare salvo che i privati non abbiano diversamente disposto.
La disciplina del contratto, naturalmente, presuppone prima l’individuazione del contratto e dunque
la qualificazione e l’individuazione del tipo contrattuale. Il problema del tipo è la qualificazione. La
funzione economico-sociale serve per individuare il contratto e qualificarlo e individuare la
disciplina applicabile. Quindi è un’operazione in termini statici, perché il giudice deve fare un
confronto. Una volta che ha capito quello che volevano le parti, con l’interpretazione, dice: questo
modello, a quale modello contrattuale tipico corrisponde? Se lo individua ne consegue tutto quello
che abbiamo detto; se non individua alcun modello tipico nel quale inserire questo modello creato
dai privati, siamo fuori della tipicità, siamo dunque nel campo dell’atipicità e lì ci sono problemi
diversi sui quali non ci intratteniamo. Quindi la qualificazione serve a questo, il tipo contrattuale
serve a questo, la funzione economico-sociale del contratto, intesa come definizione serve a questo.
La professoressa Giacobbe segue la teoria pugliattiana, che non è che porta a risultati molto diversi,
perché secondo Pugliatti sarebbe la causa la sintesi degli effetti essenziali del contratto: la stessa
cosa, anche se ideologicamente non è per nulla la stessa cosa, ma i risultati non cambiano; quando
io dico che la causa è la sintesi degli effetti essenziali, perché per esempio la compravendita, qual è
la sintesi degli effetti essenziali? Lo scambio di cosa contro prezzo, di nuovo, cioè l’effetto è
trasferire la proprietà da una parte e assumere l’obbligo di pagare il prezzo dall’altra. Quindi la
sintesi è questa, non è che cambia, rimane ferma, tant’è che anche Pugliatti è un oggettivista,
diciamo, cioè segue la teoria oggettivistica.
Ora se noi accettiamo viceversa che tutto questo discorso della funzione sociale e della oggettività
della causa vada riferita al tipo contrattuale, poi il discorso della causa, così come lo intendo io,
Giovanni Ferri, che cosa si risolve? Lo abbiamo già detto: nell’individuare la ragione dell’affare.
C’è Bianca che parla di ragione dell’affare. Ragione dell’affare intesa oggettivamente, ma di
quell’affare, non di uno schema contrattuale di compravendita, ma quella singola compravendita…
che volevano fare questi, insomma… devo leggere prima Betti, poi facciamo alcuni esempi.
Dunque, Betti passa per essere un oggettivista e cioè l’inventore…ripeto: non è vero, però
insomma…l’inventore della funzione economico sociale, quindi uno che identificava la causa con
la definizione del contratto. Questo non è vero se prescindiamo dai termini, cioè Betti non parla mai
di tipo contrattuale o di causa in concreto, però Betti parla di causa astratta e causa concreta, cioè è
la stessa cosa, perché quando io dico la compravendita ha una causa astratta e la causa astratta è lo
scambio di cosa contro prezzo, e poi dico: qualunque compravendita ha una causa in concreto, che è
la ragione dell’affare, lo scopo delle parti…che ho detto? Ho detto la stessa cosa di quello che
abbiamo detto fino adesso, cioè la causa astratta è il tipo e l’altra è la causa.
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Vi leggo alcune parti di Betti. Che cosa dice a proposito dell’illiceità della causa? Dice questo:
“illecita non può essere in sé, nella sua astrattezza la causa tipica, che non è il tipo, riconosciuta
dall’ordine giuridico, ma soltanto risultare tale se considerata in connessione e concatenazione
psicologica con l’interesse sottostante, con lo scopo pratico, immediato, perseguito in concreto dalle
parti”. Più chiaro di così..?! “Scopo che investe e colora la causa…”, intesa da lui come tipo, “…e
se illecito, riverbera su di essa la sua illiceità”. Questo che vuol dire? Che lui pur di continuare con
la sua idea della causa oggettiva, dice che lo scopo concreto, pratico, legale, perseguito in concreto
dalle parti, se illecito, riverbera sulla causa la sua illiceità. Se non ci vogliamo prendere in giro,
questo significa che il contratto tipico è illecito quando lo scopo che investe e colora la causa, e cioè
lo scopo pratico, immediato, perseguito da entrambe le parti, è illecito. Cioè quello che dice
Giovanni Ferri. Giovanni Ferri dice che quello che Betti chiama causa in astratto è il tipo
contrattuale, quindi vogliamo dire allora che l’illiceità riguarda il tipo contrattuale, ma va desunto
dallo scopo che riverbera, che colora… non so, diciamolo, ma abbiamo detto la stessa cosa. Poi lui
passa a parlare della funzione della frode alla legge; lui dice: ogni volta che l’atto del singolo si
pone direttamente, apertamente in contrasto con il precetto di legge non c’è bisogno di istituire
un’indagine.
Tale bisogno sorge invece allorché l’atto del singolo, pur facendo salve le apparenze e rispettando la
lettera legge, riesca a violarne il precetto secondo il suo spirito, quello che diciamo della frode alla
legge. In questa ipotesi, caratterizzata, appunto, dalla necessità di risalire alla causa e al concreto
interesse ad essa sottostante, l’atto viene propriamente qualificato come in frode alla legge. Il
contrasto allora non è più tra la norma e il contenuto precettivo dell’atto, bensì tra la norma e la
causa del negozio, ravvisata nella sua concreta attuazione, ossia nell’assetto dato dalle parti ai
propri interessi.
Motivo comune illecito. L’ipotesi di motivo illecito comune non configura, come potrebbe parere,
una fattispecie del tutto diversa da quella di causa illecita, ma resta in essa ricompresa e assorbita.
Quel che importa è che il motivo non sia rimasto nel foro interiore… nella coscienza individuale,
ma si sia reso riconoscibile alla controparte e sia stato da lei condiviso. Se ciò avviene, se il motivo
è cioè esteriorizzato ed è comune e determinante, si dice: ma quale motivo illecito? Questa è la
causa illecita. Resta in essa, cioè causa illecita, ricompresa e assorbita. Assorbita al mio paese
significa che quella norma non serve a niente, 1345.
“La qualifica di illiceità della causa risulta non già da un contrapposto fra causa in senso oggettivo e
causa in senso soggettivo, che invece si assume possa essere anche illecita…”. Cioè lui continua ad
affannarsi a difendere quest’idea della causa in senso oggettivo. Però poi aggiunge: “bensì da un
raffronto fra la causa in sé, concepita astrattamente, prescindendo dalla sua concreta messa in opera,
e cioè dal tipo contrattuale, e la causa data, ravvisata nel suo concreto funzionamento e pertanto
inquadrata nelle circostanze specifiche del concreto negozio”. Quindi è la causa in concreto… il
contrapposto che si esprime nella qualifica di illiceità è non fra causa oggettiva e una pretesa causa
soggettiva che non avrebbe senso, bensì tra considerazione astratta e considerazione concreta di una
data causa nel suo pratico funzionamento.
Allora, sostituiamo causa astratta con tipo e rileggo la frase sostituendo…: il contrapposto che si
esprime nella qualifica di illecito, insomma, non fra causa oggettiva e una pretesa causa
soggettiva,che non avrebbe senso, bensì fra considerazione astratta del tipo o considerazione del
tipo o qualificazione del tipo contrattuale e considerazione concreta di una data causa nel suo
pratico funzionamento. Se avessimo detto, anziché considerazione astratta, considerazione tipica o
qualificazione del tipo contrattuale, il discorso era identico. Ecco perché vi dicevo che il discorso
poi finisce per essere differenziato in termini nominalistici; perché avete sentito quanto insiste Betti
sul richiamo allo scopo concreto, all’intento concreto, alla regola concreta, che se illecita di
riverbera, colora il motivo comune annullato nella causa illecita…siccome lui è un oggettivista e
pure un pugliattiano… vuol dire che Betti lo mettiamo tra quelli soggettivisti…non lo so…
Dunque, vediamo adesso un po’ di esempi e qui dato che siamo in disaccordo dall’epoca
dell’esame, (solo che all’epoca io ero preminente e potevo sanzionare, adesso purtroppo non posso
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più sanzionare e debbo necessariamente accettare il contraddittorio della collega). Dunque, Tipo
astratto uguale a se stesso sempre, perché tutte le compravendite in Italia, chiunque le faccia, sono
sempre funzione economico-sociale uguale definizione o uguale scambio di cosa contro prezzo.
Il legislatore attuale quando ha dettato la disciplina del condono edilizio, ha involontariamente o
volontariamente costruito i vari contratti con riferimento all’immobile abusivo, proprio in termini di
causa in concreto. Perché dico questo? Perché chi di voi ha già studiato, saprà che quella legge
prevede la nullità della compravendita di immobile abusivo o in generale o della comunione o della
permuta, insomma del trasferimento inter vivos della proprietà, ma non, per esempio, della
locazione di immobile abusivo o addirittura perfino dell’ipoteca sull’immobile abusivo. Allora la
domanda è: come mai una compravendita di immobile abusivo è nulla e una locazione di immobile
abusivo è valida? Se fosse un problema di funzione, si dovrebbe dire allora che qui il legislatore ha
voluto impedire la circolazione immobiliare proprietaria, la funzione circolatoria della
compravendita, mentre si è disinteressato della funzione di godimento del bene, cioè: io sono
proprietario dell’immobile abusivo, resto proprietario dell’immobile abusivo ma tu ne godi per un
certo tempo. Certo, la cosa è strana lo stesso, perché io proprietario dell’immobile abusivo lucro
validamente… posso fare lo sfratto, se quello non paga ho azione per farmi pagare,ecc.
Se noi ragioniamo però così, che cosa dobbiamo dire… che qui avemmo o una disciplina codicistica
della compravendita che ci dice che la compravendita è valida come funzione economico-sociale,
come tipo contrattuale, come astratto modello definitorio dell’operazione… è valida, ci
mancherebbe che non fosse valida. Però poi se io vendo, cioè utilizzo lo schema della
compravendita per vendere un immobile abusivo, è nulla. Allora la cosa è stranissima perché come
si concilia la validità della funzione economico sociale compravendita con la nullità della
compravendita dell’immobile abusivo. Che fa, contraddice se stesso? No, il discorso è molto più
banale. Se noi ragioniamo come la professoressa Giacobbe, e credo anche il professor Giacobbe,
veramente abbiamo delle difficoltà, perché se la causa è la funzione economico-sociale, non si può
certo dire che nella compravendita di un immobile abusivo la nullità derivi da un’illiceità della
causa. E allora dico io, ma no è semplicissimo! Il legislatore ha lasciato fermo, come è ovvio, la
disciplina codicistica della compravendita, ha fatto una legge speciale con riferimento all’oggetto,
ad un certo oggetto, perché in concreto quella è una disciplina di un contratto, di un certo tipo di
contratto in concreto.
Cioè, ogni qualvolta la compravendita astratta, che come modello astratto funziona, tuttavia abbia in
concreto, in quel singolo caso come oggetto il trasferimento della proprietà dell’immobile abusivo è
nulla. Quindi, secondo me, quella legge non ha fatto altro che codificare questa idea che anche il
contratto tipico possa essere illecito e dunque nullo quando in concreto ci sono delle circostanze, in
questo caso oggettive, in altri casi che adesso vi farò, soggettive, che impedisca che l’ordinamento
giuridico venga reputato non meritevole e quindi non giuridicizzabile. La professoressa Giacobbe è
in crisi perché dovendo trovare il motivo per cui il contratto è nullo si è dovuta buttare sull’oggetto.
Obiezione elementare, quella mia, banale… no, perché l’oggetto illecito è sempre illecito. Non può
essere illecito quando viene dedotto in contratto, lecito quando viene dedotto in un altro contratto. E
siccome l’immobile abusivo è deducibile in altri contratti, a cominciare dalla locazione, non può
essere illecito, perché quando il codice dice che il contratto è nullo quando l’oggetto è illecito e
indeterminato, perché deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile, ciò vale per
sempre, sono categorie, qualità, diciamo, dell’oggetto. Quindi non può essere un problema di
oggetto, deve essere un problema di funzione, cioè la funzione circolatoria inter vivos a titolo
oneroso, e anche gratuito a dir la verità, dell’immobile abusivo è illecita. Quindi quando Betti
parlava di scopo concreto, causa concreta… ciò significa che dobbiamo avere riguardo alle
circostanze oggettive e soggettive.
Vediamo, per esempio, quali possono essere le circostanze soggettive che in concreto potrebbero
determinare la nullità per illiceità della causa contrattuale. Ipotesi che facevo sempre…: io sono un
cittadino qualsiasi. Ho una pratica al ministero delle finanze… una pratica che sta lì e che dorme…
allora dico “dobbiamo accelerare questa pratica, bisogna che qualcuno se ne interessi”. Allora io
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andavo tutti i giorni allo sportello, chiedevo, poi mi sono stufato. Dico: “adesso vado da un
professionista”. Dò un mandato professionale a qualcuno che vada a fare questa cosa per me.
Badate bene: stiamo nel campo assolutamente della liceità sotto il profilo che non ci stanno
mazzette, non ci stanno corruzioni, non ci stanno inviti a pranzo, regali, perché la Cassazione
qualifica come illecito anche quello di chi ottiene queste cose con inviti a pranzo, pensate voi, sono
tutti illeciti i contratti italiani di questo tipo. Perché vado da quello? Quello è l’unico professionista
che fa questo mestiere, cioè di seguire le pratiche al ministero, nel senso di giustificarle, di
dimostrare che sono giuste, corrette, tutto pulito. Però, guarda caso, questo signore chi è? Questo
signore è il direttore generale del ministero, che si è messo in pensione anticipata l’altro ieri. Quindi
quello… prima stava di qua e poi passa di là. Quindi prima dava ordini a tutti i suoi sottoposti o
dava direttive sulle circolari, dopo di che passa di là e viene di qua dicendo: “guarda che questo ha
ragione”. In sostanza questo signore (cosa che capita spessissimo, tutti i giorni guardie di finanza
che si mettono a fare i tributaristi), questo signore, in sostanza, sfrutta, senza corruzione propria, la
posizione che aveva nel ministero per raccomandare le pratiche che il ministero deve esaminare.
Allora qui che contratto è? È un normalissimo contratto d’opera professionale collegato a un
mandato, quindi ragionando in termini di tipicità questo è lecito. Ma in termini di valutazione
concreta che le parti volevano realizzare… perché… qual è lo scopo… quali sono le circostanze… è
evidente che il signore è stato scelto o opera o opererà esercitando una pressione morale sopra i suoi
ex-sottoposti e sfruttando magari la sua autorità anche di merito, cioè di testa, di idee, a favore del
cittadino, mentre fino a ieri stava dalla parte dello Stato. Secondo me, ma qui entriamo
nell’opinabile, questo contratto è illecito per violazione, non già di norme imperative, perché,
ripeto, qui non è stata violata una norma penale o altro… però, guarda un po’, per violazione del
buon costume, perché il buon costume, secondo me, non è solamente il sesso e il gioco, com’è
sicuramente come risultato minimo, ma è un insieme di valutazioni che devono essere fatte anche
al di fuori di questi due campi e secondo me qui rientriamo proprio nel campo che è immorale che
un signore si metta in pensione e il giorno dopo… Se così fosse, certamente questa valutazione di
illiceità sarebbe la risultante di una valutazione in concreto di quel contratto sul piano delle
circostanze soggettive e cioè della qualità dei contraenti.
Altro esempio: vendita di droga, di morfina. Qui lei ha ragione quando dice che c’è un
importantissimo giurista italiano che dice “vabbè la vendita di droga è nulla”. Ma quando si dice
che è nulla per illiceità dell’oggetto, ciò è sbagliato, perché in realtà la compravendita di droga è
ammessa nelle debite forme previste dalla legge. Cioè se io sono una casa farmaceutica che faccio
certi prodotti è ovvio che devo comprare la morfina. Oppure al paziente che ha la ricetta medica e
va in farmacia, gliela vendono. Quindi in quel caso il contratto è lecito. La morfina può circolare
secondo certi modelli. Ma è illecito proprio il contratto di compravendita, perché in concreto quel
contratto di compravendita, dal punto di vista soggettivo, cioè della qualità del contraente, non è
ammesso dall’ordinamento giuridico. Quindi lo scambio di cosa contro prezzo, quando chi acquista
è un privato qualsiasi che va in farmacia e pretende di acquistare o magari acquista senza ricetta,
senza niente… questo è illecito per la qualità del contraente. Altrimenti perché sarebbe illecito?
Qual è l’elemento contrattuale che determina l’illiceità? Qui stiamo parlando di elementi essenziali.
La forma non centra niente, l’oggetto nemmeno, l’accordo no perché c’è, e che ci rimane? La causa.
Poi ci sono situazioni nelle quali il contratto, secondo la dottrina tradizionale della funzione
economico-sociale, sarebbe nullo per mancanza di causa. E anche qui un equivoco grosso… il
disperato legislatore costretto dalle sue ideologie ad arrabattarsi tra la funzione economico-sociale e
la causa in concreto.
Tra gli elementi del 1325 c’è la causa, quindi: mancanza di causa. La mancanza di causa determina
la nullità ai sensi del 1418. Tutti i tradizionalisti oggettivisti cercano esempi di mancanza di causa
che determinano la nullità. E quali sono gli esempi che vengono fatti? L’acquisto di cosa propria. Si
dice: se io acquisto una cosa che è già mia non c’è lo scambio di cosa contro prezzo. Quindi questo
contratto manca della causa, sempre in termini oggettivi di funzione economico-sociale, cioè di
tipo, in sostanza.
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Qui non è che manca la causa, perché la causa è lo scopo… qui che cosa manca? Qui non si
integrano gli estremi di alcun tipo contrattuale. Perché il giudice, quando gli si presenta il pezzo di
carta in cui si dice “io acquisto la cosa mia”, a parte che il giudice chiama la croce verde per
mandarli al manicomio, comunque che cosa deve fare? Come qualifica questo contratto? Lo può
forse qualificare compravendita? No! Allora dovrebbe dire che è un contratto atipico. Ma è
meritevole di tutela? No! E allora dice:” Questa è un’operazione inconfigurabile” non rientra in
nessun modello previsto e disciplinato dall’ordinamento giuridico. E’ un problema qualificatorio.
Noi non riusciamo a qualificare in termini giuridici l’acquisto di una cosa propria. Anche in termini
sociali non avrebbe nessun senso.
E’ chiaro che la causa va considerata solo una volta che la qualificazione sia avvenuta. Prima
dobbiamo dire che contratto è: è una compravendita? Benissimo. Allora ci siamo: è giuridizzabile,
si applicano queste norme e tutti d’accordo. Vediamo però se in concreto, per tutti gli elementi che
abbiamo detto fino adesso, è lecita la causa? Questo è il modo di procedere. Invece costoro dicono:
“manca la causa” è nullo. Ma come fa ad essere nullo? Per essere nullo deve essere un quid. Questo
non è niente.
E’ un “inconfigurabile”. Oppure ci sono anche altri esempi più raffinati. Per esempio (casi
giurisprudenziali) un tizio aveva scommesso sulla corsa dei cavalli quando la corsa era già finita,
perché quello al botteghino si era sbagliato… sapete che appena si sente la campana inizia la corsa e
si chiudono le scommesse. Invece questo aveva lasciato aperto. Il furbastro aveva visto chi aveva
vinto, si è precipitato a puntare sul vincitore e ha finito per vincere. E’ normale… quello si è
giustificato, c’è la causa, e alla fine il giudice gli ha detto… ha respinto la domanda dello pseudo
vincitore perché il contratto di scommessa si era concluso, ma mancava l’alea, manca la causa che
qualifica la scommessa. Non era aleatorio perché quello sapeva chi aveva vinto. E quindi nullità per
mancanza di causa. Anche in questo caso siamo da capo. Se io dico “scommetto che vince quello”
e quello ha già vinto, che operazione ho posto in essere? Nessuna! Ho dato una notizia. Ho detto:
“guarda quello ha vinto, so che ha vinto e ti dico che vinto e voglio puntare su quello che ha vinto e
pagami”. Un discorso senza senso, non è una cosa giuridica.
Un po’ più raffinata ancora è l’ipotesi di fideiussione rilasciata da un socio di una società in nome
collettivo a garanzia dei debiti della società. Perché più raffinata? Perché qui abbiamo una società in
nome collettivo che assume dei debiti. Per questi debiti ex lege rispondono illimitatamente, con
tutto il loro patrimonio, i soci della società. Quindi ogni singolo socio della società risponde con
tutto il patrimonio. Allora, se un socio rilascia una fideiussione a favore della società, la domanda è:
questa fideiussione ha una certa causa o non ha una causa? La risposta è no, perché siccome colui
che garantisce con tutto il suo patrimonio sottoscrivendo la fideiussione già garantisce con il proprio
patrimonio per il fatto di essere socio della società… è un bis in idem, è un doppione. E’ come se io
fossi già obbligato in virtù di una mia certa appartenenza, e poi mi riobbligassi per un altro titolo…
ma il mio patrimonio è sempre quello, non è che raddoppia il patrimonio. Qui è lo stesso discorso:
la fideiussione è senza causa perché quello già risponde. E qui invece io non sarei d’accordo, perché
siccome i titoli sono diversi ha un senso che io garantisco alla società con due titoli diversi, perché
per esempio si scopre che come socio c’era la nullità oppure i debiti non si capisce se c’erano prima
o dopo, insomma, potrebbero sorgere delle contestazioni in ordine alla garanzia in quanto socio, e
allora scatterebbe la garanzia in quanto fideiussore, però questo ve lo riferisco per dire che anche in
questo caso la giurisprudenza dice: non si realizza la funzione economico-sociale della fideiussione
che è quella di garantire, perché lui già garantisce, quindi già garantendo, non può rigarantire.
Oppure l’assicurazione per incendio per un oggetto che si era già distrutto, quindi anche qui non c’è
l’alea, non c’è il rischio.
Quindi voi potreste dire: ma se tutto questo viene ricondotto all’inconfigurabilità dell’operazione
economica allora la causa veramente può non mancare… La risposta è, tranquillamente, che la
causa non può mai mancare, cioè quella norma sulla mancanza di causa non ha senso, anche dal
punto di vista economico-sociale, a prescindere dal diritto. Perché la causa non può mai mancare?
Essendo la causa la ragione dell’affare, lo scopo che si vuole perseguire e così via… il fatto stesso
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che i privati abbiano concluso una certa operazione economica, volendo pervenire a un certo
risultato, significa che una causa, una ragione c’è.
Si potrà poi discutere se è lecita, se è meritevole di tutela, si potrà discutere… ma che ci sia è
sicuro.
Facciamo il discorso alla rovescia. Quando si può dire che non c’è una causa in una certa
operazione economica conclusa dalle parti? Secondo me ci sono casi classici che vengono
ricondotti al difetto di volontà, su cui si può ragionare, o a difetti di giuridicità.
Un tizio si era sposato per divertimento in Inghilterra. Era uscito una sera con un’inglese. Avevano
fatto bisboccia, un pò di tutto e poi alla fine era andato - un po’ allegro non brillo, magari era pure
contento, convinto - è andato lì e si è sposato al consolato italiano. Dopo ha impugnato dicendo che
era ioci causa. Non poteva dire che era brillo, quindi incapace. E che era? Era ioci causa… è bella
questa eh… Quindi ioci causa significa che siamo ancora prima della soglia della giuridicità.
Quando manca la causa? Quando non c’è un’operazione che nell’intenzione dei privati debba essere
giuridicizzata; da qui, il problema della giuridicità del vincolo (che secondo me si lega strettamente
alla meritevolezza dell’interesse, ma questo è un altro discorso che non farò). Allora il principio di
causalità nel nostro ordinamento come lo inquadriamo? Se una causa c’è allora benissimo, non c’è
mai un negozio astratto. No, perché nel nostro ordinamento il principio della causalità non significa
che ogni volta bisogna stare a dire c’è o non c’è, perché la causa c’è sempre. E’ un problema di
expectio causa e cioè a dire: ma io giudice riesco a desumere da questa operazione quale fosse la
causa in concreto? Riesco a desumerlo o no? Esempio classico: pezzo di carta con su scritto: Tizio
trasferisce la proprietà della cosa X a Caio. Ora voi potreste dire: siccome non c’è scritto il prezzo,
questa non è una compravendita. Non è vero, perché il prezzo della compravendita è un discorso
molto complesso, non è che debba essere sempre inserito, non è un elemento essenziale. Sapete che
è una beffa colossale la compravendita nel nostro ordinamento… questo consensualismo… noi ci
mettiamo d’accordo, poi lei diventa proprietario subito e io aspetto che nella sua bontà mi paghi il
prezzo. Il pagamento del prezzo è un obbligo. La compravendita è uno scambio della cosa contro
l’obbligo di pagare il prezzo. L’ipoteca legale non a caso è legale quando il prezzo non è pagato,
perché lui ha la garanzia che non ha il venditore, poveraccio, che perde subito la proprietà e non sa
se sarà pagato. Questo è un discorso spaventoso, è tutto ideologico che deriva dal diritto naturale…
tutti gli uomini sono buoni… questo buonismo che di grande attualità anche oggi. Che bisogno c’è
dello scambio mano contro mano come facevano i selvaggi! Basta l’accordo! Quindi niente
transazione, il codice Napoleonico non prevedeva la transazione.
Allora la mancanza di causa, l’astrattezza e quant’altro si riducono non a poco, e cioè al fatto che
deve essere stabilito … qua non si sa se è una donazione nulla per mancanza di forma o se è una
compravendita o è una transazione o è una permuta… non si capisce.
In questo caso c’è l’astrattezza, che non significa assenza di causa. Anche nella cambiale non
manca il rapporto sottostante, è che si astrae dal rapporto sottostante.
Dire che ci deve essere la causa significa che la causa deve essere espressa. E questo vale
soprattutto per i contratti ad effetti reali, laddove la causa deve essere espressa nello scritto, quando
lo scritto è richiesto ad substantiam, mentre si presume che l’assunzione di un’obbligazione sia
assistita da una causa sufficiente.
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